Stoicismo definizione e riassunto

 

 

 

Stoicismo definizione e riassunto

 

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Lo Stoicismo

 

 

Lo Stoicismo, scuola fondata nel 300 a.C. da Zenone di Cizio (336 – 264 a.C.); fra gli scolari si ricordano Aristone di Chio, Enrico di Cartagine, Perseo di Cizio e Cleante. Quest’ultimo successe Zenone nella direzione della scuola; seguito poi da Crisippo, il quale fu di prodigiosa fecondità letteraria. Continuarono nel dirigere tale scuola, rispettivamente Zenone di Tarso, Diogene di Selcia e infine Antiparto di Tarso.

Questa scuola venne fondata come continuamento e completamento della dottrina cinica. Come i cinici gli sotici cercavano la felicità per mezzo della virtù; ma a loro differenza, ritenevano che per raggiungere la felicità e la virtù, fosse necessaria la scienza. Questa era considerata indispensabile per la condotta di vita; e sebbene non le venisse riconosciuto un valore autonomo, veniva inclusa tra le condizioni fondamentali della virtù. Veniva considerata essa stessa una vera e propria virtù. E quindi le divisioni di quest’ultima erano anche divisioni della scienza. Questa fu la dottrina che prevalse nello Stoicismo.

 


 

 

 

 


Sede della scuola stoica, Atene

Seneca sosteneva: “La filosofia è l’esercizio di virtù, ma per mezzo della virtù stessa; giacchè non può esserci né virtù senza esercizio, né esercizio di virtù senza virtù”.
Il concetto della filosofia e quello della virtù vennero così a coincidere. Il suo fine è quello di raggiungere la sapienza, «scienza delle cose umane e divine»; ma l’unica arte per poterla raggiungere è appunto l’esercizio della virtù.
Vi sono tre virtù generali: la naturale, la mortale e la razionale; alle quali corrispondono altrettante parti in cui la filosofia viene suddivisa: la fisica, l’etica e la logica.
La logica è la dottrina avente per oggetto i logoi (discorsi). Si identifica come retorica, la scienza dei discorsi continui; come dialettica, la scienza dei discorsi divisi per domanda e risposta. In particolare la dialettica viene definita come «la scienza di ciò che è vero e di ciò che è falso e di ciò che non è né vero né falso» (quest’ultimi intesi come sofismi o paradossi e come i ragionamenti stessi, considerati solo dal loro punto di vista della loro concretezza formale).
La dialettica a sua volta si suddivide in due parti: la grammatica, trattante le parole; e la logica in senso proprio, avente per oggetto le nozioni significate (le cose che le parole significano), e quindi le rappresentazioni, le proposizioni, i ragionamenti e i sofismi.
Le rappresentazioni catalettiche o concettuali rappresentano il criterio della verità mediante cui il pensiero può servire da guida all’azione; criterio inteso o come l’atto, o come l’azione dell’oggetto che imprime la rappresentazione sull’intelletto.
Il giudizio è invece l’atto (libero) con il quale l’uomo assente ad una rappresentazione, oppure ne dissente, oppure rinunzia ad assentirne.
Secondo gli stoici la conoscenza umana deriva dai sensi: l’anima è come una carta bianca (tabula rasa) su cui si registrano le rappresentazioni (impressioni) sensibili, definite impronte o segni delle cose secondo Celante; modificazioni dell’anima secondo Crisippo; ritenute comunque rappresentazioni riprodotte passivamente dagli oggetti esterni e dagli stessi stati d’animo, le quali una volta accomunate, formano un procedimento naturale, l’anticipazione (“prolépsi”): processo inteso come una conoscenza universale ramificata in una serie di nozioni comuni (comunes natitiae).
La scienza è invece costituita dall’iniseme delle conoscenze universali formatesi artificialmente in virtù dell’istruzione e del ragionamento.
Tuttavia, entrambi i tipi di concetti, naturali e artificiali, non hanno nessuna realtà, poiché quest’ultima, secondo gli stoici, è sempre individuale e solo nell’anima esiste l’universale.
I concetti generali (categorie di Aristotele) sono quattro: 1) il soggetto o sostanza, 2) la qualità; 3) il modo d’essere; 4) la relazione.
Come concetto più esteso si intendeva il genere sommo (concetto di essere che coinvolge tutto, poiché ogni cosa, in qualche modo, è). Come concetto meno esteso e più determinato, veniva invece inteso la specie (concetto dell’individuo, che non ha altra specie sotto di sé).
Gli stoici trovarono inoltre un concetto più esteso del genere sommo, un qualcosa (aliquid), comprendente anche le cose incorporee o inesistenti.
La dottrina della logica soica che ha riscontrato maggiore importanza in tutta la tradizione filosofica è la dottrina del significato, un’alternativa alla teoria dell’essenza di Aristotele (il concetto è l’essenza delle cose).
Per gli stoici, difatti, il concetto è un segno che significa le cose. In ogni segno si distinguono tre cose: 1) la cosa significane (parola); 2) il significato (immagine o rappresentazione mentale che esiste o che viene a nascere in noi, nel momento in cui pronunziamo o ascoltiamo la parola); 3) la cosa che è significata (oggetto reale). Tra questi, si riconoscono come elementi corporei, la parola e l’oggetto reale; come elemento incorporeo, il significato.
Uno dei principali elementi speculativi dello Stoicismo furono i ragionamenti anapodittici. Se è possibile esprimere in una frase un significato, questo si dice compiuto; e pertanto si identifica con l’enunciato (axìoma), proposizione linguistica di senso compiuto(vera o falsa che sia)… concatenando più proposizioni, si compone un ragionamento; quello per eccellenza è appunto il ragionamento anapodittico (non dimostrativo), dove sia la premessa che la conclusione risultano immediatamente evidenti.
Per questo tipo di ragionamento, gli stoici enumeravano cinque figure (tròpoi):

  • Se è giorno c’è luce. Ma è giorno. Dunque c’è luce.
  • Se è giorno c’è luce. Ma non c’è luce. Dunque non è giorno.
  • Non può essere insieme giorno e notte. Ma è giorno. Dunque non è notte.
  • O è giorno o è notte. Ma non è notte. Dunque è giorno.

 

La premessa maggiore contiene un’assunzione ipotetica (se) oppure disgiuntiva (o…o); la premessa minore contiene una constatazione fattuale in forma categorica; la conclusione contiene un’inferenza dedotta coerentemente dalle premesse.
Difatti per gli Stoici, la concludenza di un ragionamento, costituiva una proprietà indipendente dalla verità; per tale ragione si concentrarono prevalentemente su meccanismi logici, in quanto tali.
I ragionamenti anapodittici non dimostrano nulla: esprimono ciò che si vede o che appare evidente. La dimostrazione invece mette in luce qualcosa che prima era oscuro, servendosi di un indizio per risalire alla causa che lo ha prodotto.
Secondo alcune testimonianze, tra le varie forme di ragionamento, gli stoici presero in considerazione anche quell’insieme di discorsi insolubili (paradossi, antinomie, dilemmi, sofismi, aporie, ...).
I più famosi, ampiamente diffusi, erano quelli di origine megarica (tradizionalmente attribuiti ad Ebulide). Tra i più celebri, quello del Mentitore e del Bugiardo (Epimenide cretese proclamava che tutti i cretesi erano bugiardi. Ma allora: diceva il vero o il falso, Epimenide? Infatti se diceva il vero mentiva, in quanto cretese, asserendo che tutti i cretesi erano bugiardi; quindi diceva il falso. Se diceva il falso, non mentiva, come cretese, quindi diceva il vero).
Più elaborato e sottile, ed altrettanto diffuso come il precedente, è il dilemma del coccodrillo(un coccodrillo, rubato un bimbo, promise alla madre di renderglielo, a patto che essa avesse indovinato la sua intenzione di restituirlo. Avendo la madre risposto che il coccodrillo non l’avrebbe restituito, il predone cadde in un terribile dilemma. Infatti, non restituendolo, avrebbe reso vera la risposta della madre, e quindi avrebbe dovuto, in base al patto, procedere alla consegna del bimbo. Viceversa, restituendolo, avrebbe reso falsa la risposta della madre, e quindi, in base al patto, non avrebbe dovuto consegnare il bambino. In ambe due i casi, il coccodrillo si sarebbe trovato in una paralizzante contraddizione con se stesso).
L’insieme di questi ragionamenti, sia essi che che siano palesi sofismi sia autentiche antinomie, hanno finito per contribuire al progresso delle ricerche logiche, in quanto obbligarono gli studiosi ad escogitare appositi schemi di risoluzione.
Il concetto fondamentale della fisica stoica si basa su un ordine immutabile, razionale, perfetto e necessario, il quale è responsabile dell’esistenza delle cose, conservandole quelle che sono.
Tale ordine si identifica secondo gli stoici, in dio stesso, poiché la loro dottrina si basa su un rigoroso panteismo.
Durante lo Stoicismo vennero sostituite le quattro cause Aristoteliche (materia, forma, causa efficiente, causa finale) con due principi: passivo (sostanza spoglia di qualità, la materia) e attivo (la ragione, ossia dio sostanza che produce gli esseri viventi, agendo sulla materia).
Entrambi i principi sono inseparabili l’uno dall’altro, ma soprattutto materiali, poiché solo il corpo esiste.
Gli Stoici attribuirono tale qualità ai due principi, basandosi sulla definizione dell’essere data da Platone nel Sofista: esiste ciò che agisce o, subisce un’azione. Di conseguenza, poiché solo il corpo può agire o subire un’azione, solo il corpo esiste. Anche il bene era ritenuto un corpo: Seneca sosteneva infatti che “il bene opera perché giova e ciò che opera è un corpo. Il bene stimola l’anima in un certo modo, la plasma e la tiene in freno, azioni che sono proprie di un corpo. I beni del corpo sono corpi, dunque anche quelli dell’anima che anch’essa è un corpo”
Solo quattro specie di cose venivano ritenute incorporee: il significato. Il vuoto, il luogo e il tempo.
Nemmeno Dio veniva ritenuto sostanza incorporea, in quanto ragione cosmica e causa di tutto; in particolare era definito fuoco, inteso come soffio caldo (pneauma) e vitale che conserva, alimenta, accresce e sostiene. Tale fuoco è chiamato ragione seminale, poiché in esso sono contenute le ragioi seminali per mezzo delle quali tutte le cose si generano.
Tuttavia risulta perfetta la distinzione tra le varie cose: non  possono esistere in tutto il mondo due cose simili, neppure due fili d’erba.
La vita del mondo è costituita da un unico ciclo il quale, dopo un lungo periodo di tempo (grande anno), superata una fase di distruzione (conflagrazione) di tutti gli esseri, ricomincia (palingenesi e avocatasi) nuovamente senza alcuna modificazione. Tale ciclo si ripete in eterno.
Gli stoici identificavano nel destino l’ordine necessario del mondo e la concatenazione causale che lega fra loro gli esseri.
Coincidendo tale ordine, da un punto di vista panteistico, con Dio, il destino si intende dunque come una struttura benefica razionale, legato in un tutt’uno con la Provvidenza.
Difatti in base all’ottimismo metafisico stoico “tutto avviene secondo una necessità  fisica, coincidente con una necessità assiologia (accade cioè quanto è bene che accada)”.
Gli stoici giustificavano quindi la mantica, ossia l’arte di prevedere il futuro, grazie all’interpretazione dell’ordine necessario delle cose; e solo il filosofo poteva praticare tale arte, in quanto conoscitore dell’ordine necessario del mondo.
Gli stoici sostenevano che il mondo si identificasse con la stessa ragione divina; dunque non poteva essere che perfetto.
Non per questo gli stoici negavano l’esistenza dei mali nel mondo; semplicemente, in quanto contrari al bene, li ritenevano necessari per l’esistenza di quest’ultimo: bisogna che i beni e i mali si sostengano tra loro, poiché senza un contrario non ci sarebbe neppure l’altro.
Crisippo giustificò la corporeità dell’anima, servendosi della definizione platonica della morte come «separazione dell’anima dal corpo». “L’incorporeo non potrebbe né separarsi dal corpo né unirsi con esso; ma l’anima si unisce al corpo e se ne separa; dunque l’anima è corpo”.
L’anima è costituita da quattro parti: 1) principio direttivo o egemonico che è la ragione; 2) i cinque sensi; 3) il seme o principio spermatico; 4) il linguaggio.
Il principio egemonico è quello che genera e controlla le altre parti dell’anima, protendendosi in esse; e inoltre produce non solo le rappresentazioni e l’assenso, ma determina anche i sensi e l’istinto.
Gli stoici sostenevano (come anche in passato fecero Platone e Aristotele) che la libertà consiste nell’essere «causa di sé» o dei propri atti o movimenti. Per indicare tale libertà gli stoici coniarono il termine autopraghia ( = autodeterminazione); attribuendola solo ai sapienti, poiché solo quest’ultimi venivano ritenuti liberi in quanto capaci di determinarsi da sé.
Ma la libertà del sapiente consiste nel suo conformarsi al destino. Per la prima volta, quindi, con questa corrente filosofica si affacciò la dottrina identificane la libertà con la necessità, trasferendo la libertà stessa dall’uomo al Principio che opera e agisce nell’uomo.
E’ la base dell’etica stoica, l’idea secondo il quale ogni essere tende ad attuare o conservare se stesso (oikéiosis) in armonia con l’ordine perfetto del mondo. Ed è attraverso due forse ugualmente infallibili che ciò avviene: L’istinto (guida l’anima a prendersi cura di sé per sopravvivere) e la ragione (garantisce l’accordo dell’uomo con se stesso e in generale con la natura).
Dell’etica stoica, la massima fondamentale fu, secondo i maggiori filosofi di tale corrente «vivere secondo natura»; dove per natura s’intende sia quella universale, sia quella umana (contenuta in quella universale). Pertanto la massima stoica equivale a quella di «vivere secondo ragione».
Venne anche introdotta, dell’etica stoica, la nozione del dovere: un’azione conforme a ragione, quindi alla natura.
“Gli stoici chiamano dovere – dice Diogene Laerzio (VII, 107 – 109) -  ciò la qui scelta può essere razionalmente giustificata… dalle azioni compiute per istinto alcune sono doverose, altre contrarie al dovere, altre né doverose né contrarie al dovere. Doverose sono quelle che la ragione consiglia di compiere… contro il dovere sono quelle che la ragione consiglia di non fare… né doverose né contrarie al dovere sono quelle che la ragione né consiglia né vieta… ”.
Si distinguevano nel periodo stoico, il dovere retto, perfetto e assoluto risiedente in nessunaltro che nel sapiente, e i doveri «intermedi», comuni a tutti, prevalentemente realizzati con il solo aiuto di un’indole buona e di una certa istruzione. Tale prevalenza delle nozioni del dovere condusse gli stoici a una delle dottrine tipiche della loro etica: la giustificabilità del suicidio. Quando infatti le azioni contrarie al dovere prevalgono su quelle favorevoli, il sapiente ha il dovere di abbandonare la vita, anche se raggiunto il colmo della felicità (precetto seguito da molti maestri stoici).
Tuttavia il dovere non è il bene. Si definisce tale, solo quando la scelta consigliata dal dovere si ripete e si consolida, mantenendosi conforme alla natura, sino a divenire, nell’uomo, una disposizione uniforme e costante. Quindi non si definisce più dovere, bensì virtù, destinata solo al sapiente. Distinta con vari nomi, la virtù in realtà è unica, posseduta interamente solo da chi sa intendere e compiere il dovere, ossia il sapiente. Per tale motivo non esiste via di mezzo tra virtù e vizio (il suo opposto).
Il principio secondo cui si definisce la virtù, portò gli stoici alla formulazione di una dottrina tipica della loro etica: quella delle cose indifferenti, cose cioè che no costituiscono virtù, ma che tuttavia venivano scelte o preferite in quanto ritenute degne di ciò; e tutti i loro contrari. Per definire l’insieme di tutti i beni e di tutte le cose indifferenti, venne utilizzata la parola valore (ogni contributo ad una vita conforme a ragione ). Nell’etica stoica si giunse però alla negazione totale del valore dell’emozione (pathos), in quanto si sosteneva che fosse provocato da fenomeni di stoltezza e di ignoranza consistenti nel “giudicare di sapere ciò che non si sa”.
Tutte le emozioni, secondo gli stoici, si potevano ridurre in quattro “tipi” fondamentali: la brama dei beni futuri e la letizia di quelli presenti, entrambe originate dai beni presunti; il timore dei mali futuri e l’afflizione di quelli presenti, entrambi generati dai mali presunti.
Alle prime tre emozioni corrispondevano rispettivamente tre stati normali propri del sapiente: la volontà, la gioia e la precauzione, tutti stati di calma e di equilibrio razionale.
E’ invece all’afflizione per lo stolto che, nel sapiente, non corrisponde nulla, poiché non esiste alcun male di cui quest’ultimo debba dolersi, in quanto egli conosce la perfezione dell’universo.


 Scultura di Cicerone

Le emozioni vengono considerate dal sapiente come delle vere e proprie malattie (dal quale è però immune), che colpiscono lo stolto.
E’ quindi il sapiente in una condizione di perenne apatia (indifferenza ad ogni emozione).
Oltre le leggi dei vari popoli, gli stoici sostenevano l’esistenza di una legge superiore a tutte le altre, governante l’intera umanità secondo l’ordine razionale del mondo. Sicchè l’umanità è retta da un’unica legge, una sarà la comunità umana.
“L’uomo che si conforme alla legge è cittadino del mondo (cosmopolita)”.
Sebbene si chiuse la parentesi di questa grande corrente filosofica, lo stoicismo no scomparve mai del tutto, lasciando nel tempo numerose tracce.
Senza dubbio infatti, quella stoica, tra le tre grandi scuole post-aristoteliche, fu la più ricca di influenze, rivestendo un ruolo decisivo, oltre che nell’ultimo periodo della filosofia greca, nella patristica, nella scolastica araba e latina e nel rinascimento; anche nel seno stesso della filosofia moderna e contemporanea, sia in maniera diretta che sotto forma di dottrine.

 

                                                                                  

Epistole, 89.

Giovanni Foriero, Protagonisti e Testi della Filosofia, Vol. A, T. I, Paravia, pp. 383;

Cfr. D. Laerzio, Vitae philosophorum, VII, 82-83. Cfr. Stoici Antichi, cit., pp. 726;

Giovanni Foriero, Protagonisti e Testi della Filosofia, Vol. A, T. I, Paravia, pp. 384;

Epistole, 106;

S. Moravia – F. Trabattoni;

Sulla Provvidenza, Crisippo;

Sulla natura degli uomini, Nemesio, 2, 81;

Diogene Laerzio, VII, 105;

Tusculane, Cicerone, IV, 26;

Cicerone;

 

autore:   Barbara Maltese

Liceo Scientifico St. “G. Galilei” di Catania

Classe IV sezione F.

Insegnante di Storia e Filosofia:
prof. Alfio Bonfiglio

fonte: http://www.csacatania.ct-egov.it/il_csa/progetti_provinciali/pdf/laboratorio%20di%20filosofia/Studenti/Elaborati/Lo%20Stoicismo.doc

 

Filosofia: la filosofia a Roma: epicurei e stoici-

Con la disgregazione della polis greca e l’avvento dei grandi imperi ( Regni ellenistici, Impero romano) si perde l’ambiente in cui avevano vissuto e operato i filosofi greci classici, come Socrate, Platone e Aristotele.
Nel mondo ellenistico fioriscono le scienze ( la matematica e fisica con Euclide e Archimede, la cosmologia con Tolomeo, la medicina con Galeno e Ippocrate) e la filosofia si “interiorizza” riflettendo sull’individuo e la sua felicità. In questo alveo possono essere ricondotti gli Epicurei e gli Stoici.
“Epicureo”, in italiano, è sinonimo di edonista, dedito ai piaceri, crapulone, ma il piacere, secondo Epicuro ( 342-270) deve essere guidato dalla ragione: quindi vengono accuratamente evitati gli eccessi ( di vino, di cibo, di sesso)  che portano poi a un dolore ( mal di testa, ecc) Leggi su pag  357 la  Lettera a Meneceo ( o lettera sulla felicità) che, per altro, è il testo più ampio pervenutoci di Epicuro, essendo gli altri solo frammenti.
Una suggestiva presentazione dell’epicureismo, anche nelle sue teorie fisiche e cosmogoniche ( atomi, clinamen)  si ha nel De rerum natura, di Lucrezio  (95-55) capolavoro della letteratura latina.
Stoico, in italiano, significa eroico, imperturbabile nelle difficoltà, ligio senza esitazioni al dovere: è l’accezione più comune della parola filosofia: “ prendila con filosofia…”-
Lo stoicismo diventa infatti quasi la filosofia “ufficiale” dell’impero romano: stoico è Seneca, (4 a. C:-65 d. C) precettore e consigliere dell’imperatore Nerone;  e addirittura l’imperatore Marco Aurelio ( 121-180) ci lascia un suo commovente diario interiore pregno di stoicismo ( perì sautòn, a se stesso, in greco, pubblicato come “Ricordi”).
Secondo la morale stoica, infatti, il saggio comprende l’inevitabilità del dolore, come di tutto quello che ci accade nella vita, e sa staccarsene, mantenendosi, secondo ragione, sereno nella buona e nella
cattiva sorte.  “Il saggio è libero, anche nelle peggiori catene” (Seneca). Egli vede i beni del mondo, li apprezza, ma non si rende schiavo di essi. “ Ricco non è chi ha molto, ma chi desidera poco” (Seneca) Comprende che tutti gli uomini sono legati da uno stesso destino e prova per tutti un sentimento di”simpatia”( patire insieme, comunanza); è cosmopolita perché dovunque è la sua casa. Ama la vita, ma sa privarsene piuttosto che perdere la dignità: il suicidio, in questo caso, diventa prova di grandezza d’animo, come il suicidio di Catone che “libertà va cercando, come sa chi per lei vita rifiuta” (Dante), o quello stesso di Seneca. I titoli  dei dialoghi morali senechiani ci possono dare un’idea delle meditazioni stoiche: De tranquillitate animi; De brevitate vitaeDe costanza sapientis – la fermezza d’animo del sapiente- De vita beata-
Lo stoicismo elaborò anche interessanti riflessioni sulla fisica e sulla logica, ma qui non ne parliamo.
Nonostante l’apparente inconciliabilità ( epicurei incentrati sul “piacere”, stoici sul “dovere”) le due correnti filosofiche hanno molto in comune: sono filosofie “della consolazione” (Popkin): il sapiente dà per scontato che la vita è dominata da eventi immodificabili, e spesso negativi, e si difende racchiudendosi in se stesso e  facendo appello solo alla propria vita interiore; nulla a che vedere con il pensiero socratico-platonico in cui il filosofo vive e opera nelle città, per guidarla verso il bene.
Seneca ha avuto una influenza enorme ; nel medioevo sorse addirittura la leggenda di un suo epistolario con San Paolo, in quanto era considerato come un autore “naturaliter” cristiano.
Curiosamente mentre nel passato è stato qualche volta visto come uno scontato e banale – negli argomenti, non nelle stile- moralista,  oggi è stato ripreso  da quelle psicoterapie che vedono in modifiche cognitive >( cioè delle nostre “interpretazioni” degli avvenimenti) la via per il superamento di crisi di ansia o di nevrosi  verso una vita più serena ( vedi A. Ellis, L’autoterapia razionale emotiva.)
Anche De Crescenzo, noto umorista napoletano, si è misurato con la saggezza stoica, sostenendo di aver ritrovato il manoscritto  con le risposte di Lucilio alle famose lettere inviate da Seneca ( Lettere a Lucilio), e le ha pubblicate: De Crescenzo, Il tempo e la felicità, Oscar Mondadori : un libro divertente.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe4/filosofia/Stoici.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Stoicismo definizione e riassunto

 

                                                Stoicismo

Lo stoicismo è una corrente filosofica che mira a definire l’ideale della saggezza e la condizione del saggio .
Il fondatore di questa scuola fu Zenone, egli non potendo acquistare un edificio tenne le sue lezioni in un portico, che era stato dipinto dal celebre pittore Polifinoto. In greco portico si dice stoa’, e per questo motivo la scuola ebbe appunto il nome di Stoà.
Nel portico di Zenone fu ammessa la discussione critica intorno ai dogmi del fondatore della scuola, ed essi, in seguito, furono soggetti ad approfondimenti.
Lo stoicismo fu in contrasto con l’epicureismo per alcuni aspetti, ma rivela anche con esso numerose affinità. Le principali differenze fra le due scuole sono nell’esigenza dell’impegno politico, profondamente sentito dagli stoici e assolutamente rifiutata dagli epicurei, e nella sostanziale immutabilità e pensiero di quest’ultimi rispetto alla capacità di evoluzione della stoà, la cui dottrina si adattò al mutare delle vicende storiche tanto che si distinguono tre periodi:

  • L’antica stoà (IV-III sec. a.C), che fonda la scuola e che ha i suoi principali esponenti in Zenone, Cleante e Clisippo.
  • La media stoà (II – I sec. a.C.), è caratterizzata dalla tendenza all’eclettismo che fu rappresentata principalmente da Panezio e Posidonio.
  • La tarda stoà , o stoà romana (fino al II sec. a.C.), in cui l’interesse etico finì con il prevalere su quello speculativo e che ebbe i suoi maggiori esponenti di lingua greca in Epitteto e Marco Aurelio e, di lingua latina, in Cicerone e Seneca.

Nel 262 a.C. alla direzione della scuola succede a Zenone, Cleonte d’Asso che dà allo stoicismo una forte ispirazione religiosa, egli, infatti compone un inno dedicato a Zeus.
Altro esponente principale fu Crisippo di Soli, definito il secondo fondatore.
Zenone, Cleonte e Crisippo intendono assicurare all’uomo una vita serena, ispirandosi a un ideale di saggezza  e di equilibrio interiore basato sull’apatia e sull’atarassia, o imperturbabilità e ad uno stile di vita rigoroso e austero.

 

Antica Stoà

 

La dottrina stoica introdotta da Zenone consta di tre parti fondamentali: La logica, dedicata al problema della conoscenza; La fisica che riguarda le questioni del mondo naturale; l’etica, che stabiliva le norme della vita pratica.
La logica stoica è divisa in dialettica e retorica, e gli stoici si interessano particolarmente al problema del linguaggio, in cui applicarono la differenza tra “significato” e  “significante”. Il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un ordine immutabile, necessario e perfetto che governa e protegge tutte le cose.
Tale ordine è identificato,secondo gli stoici, con Dio e si fonda su due principi quello attivo e quello passivo. Il principio attivo è quella forma di cui ogni cosa è fatta, è la ragione divina che agendo sulla materia crea gli esseri singoli. Questa materia è la sostanza spoglia di qualità, la sostanza da cui nasce ogni cosa. Entrambi i principi dipendono da un rigoroso materialismo, cioè solo il corpo può agire, solo il corpo esiste.
Gli esseri derivano tutti da una sola unità ma la loro distinzione è perfetta tanto che non esistono nel mondo due cose uguali. Il mondo secondo gli stoici presenta una storia completa che è destinata a ripetersi infinite volte nei minimi particolari. Questo il destino ossia l’ordine del mondo e la concezione necessaria che tale ordine pone tra tutti gli esseri. Dal punto di vista di Dio che ne è l’autore, che è la provvidenza di ogni cosa che regge e conduce al suo acme perfetto.
Sul versante etico, per gli stoici il fine della vita umana è, come per gli epicurei, la ricerca della felicità che consiste, per tutti gli esseri viventi, nella realizzazione di se stessi. Per l’uomo ciò significa realizzarsi come essere razionale, cioè arrivare a comprendere di far parte del logoV che permea di sé l’intero universo, stabilendo con esso un rapporto di totale. Questa concezione implica però un dissidio di fondo fra libertà e necessità, perché saggezza e virtù, che permettono all’uomo di realizzarsi, invece di apparire come frutto di libera scelta, si configurano come un necessario adeguamento alle leggi universali.
“L’articolarsi dell’azione umana avviene per il fatto che l’uomo è quell’essere in cui un agire si adegua consapevolmente  ad essa, se poi accade che non s’adegui, ciò non è per una sua scelta, ma per un errato giudizio di valore, fermo all’aspetto contingente della realtà, che determina un moto sregolato”.
L’uomo è il centro, è in essere dotato di ragione, tutto si muove attorno alla ragione.
Nella vita pratica, il filosofo deve liberarsi delle passioni che impediscono la razionalità, per raggiungere uno stato di totale indipendenza da esse. Questa condizione, però, non lo conduce ad una vita solitaria come nell’epicureismo, ma ad accrescere il suo impegno politico e sociale, imprescindibile perché indispensabile per la piena realizzazione di sé.
L’etica stoica identifica il male con il vizio ed il bene con la virtù: il filosofo ha l’obbligo di praticare dunque la virtù in ogni modo, anche a costo della vita; il suicidio è addirittura consigliato quando le circostanze gli impediscono di vivere secondo i principi etici stoici, perché la “qualità” morale della vita deve essere posta al di sopra di qualunque altra valutazione. Infine lo stoicismo è sostenitore dell’uguaglianza fra tutti gli uomini, fino a cancellare ogni differenza fra greci e “barbari” e perfino tra liberi e schiavi, lo stoicismo predica, infatti, che tutti devono avere le stesse possibilità.

A cura di Simona Ascione
Questo testo è stato scaricato da: http://www.portalefilosofia.com
Fonte: http://www.portalefilosofia.com/materiali/stoicismo.doc

 

 

Stoicismo definizione e riassunto

 

 

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