Temperatura e dilatazione termica
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Temperatura e dilatazione termica
Scale termometriche
La materia è formata da molecole ognuna delle quali ha una sua velocità e, di conseguenza, una sua energia cinetica. Tanto maggiore è l'energia cinetica di queste molecole, tanto maggiore è la temperatura. Infatti la temperatura di un corpo è un indice dell'agitazione termica, ossia dell'energia cinetica delle molecole che compongono il corpo. Per renderci conto di ciò è sufficiente accendere un fuoco e osservare le molecole d'aria presenti nei dintorni: ci accorgiamo subito che l'aumento di temperatura nei pressi del fuoco comporta un aumento della velocità delle molecole.
La misura della temperatura, che è una grandezza fisica fondamentale nel Sistema Internazionale, si basa su due fenomeni fisici distinti che andremo ad analizzare in dettaglio: l'equilibrio termico e la dilatazione termica. Cominciamo a studiare l'equilibrio termico: quando poniamo a contatto due corpi aventi temperatura diversa, le molecole di questi due corpi subiscono continui urti e in questi urti il corpo più caldo cede energia cinetica al corpo più freddo finché le molecole dei due corpi vengono ad avere in media la stessa energia cinetica. A livello macroscopico questo si riflette nel fatto che i due corpi vengono ad avere la stessa temperatura.
L'altro fenomeno su cui si basa la misura della temperatura è la dilatazione termica, ossia l'effetto per il quale quando scaldiamo un corpo, esso si dilata. Su questi due principi fisici si basa il termometro clinico. Infatti quando poniamo il termometro clinico a contatto con la nostra pelle, cediamo parte del nostro calore al termometro finché si arriva a una temperatura di equilibrio (che praticamente coincide con quella del nostro corpo). Il mercurio presente all'interno del termometro clinico si dilata a causa dell'aumento di temperatura e dalla dilatazione termica del mercurio possiamo risalire alla temperatura del nostro corpo.
Per tarare un termometro è importante fissare delle temperature di riferimento. Queste temperature sono: 0°C (temperatura di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica) e 100°C (temperatura di evaporazione dell'acqua). Questo intervallo di 100°C viene poi diviso in 100 parti uguali per definire il grado Celsius (°C), detto anche grado centigrado. Questa prima scala di temperatura, che è quella che usiamo quotidianamente, prende il nome di scala centigrada o scala Celsius.
Esistono altre scale di temperatura, a cominciare dalla temperatura assoluta, che si misura in gradi Kelvin (K). È anch'essa una scala centigrada ma tutte le temperature risultano traslate rispetto alla scala Celsius. In generale, se indichiamo con TC la temperatura del corpo in gradi Celsius e con TK la temperatura dello stesso corpo in gradi Kelvin vale la seguente relazione TK = TC + 273.15. In particolare, la temperatura 0 K = -273.15°C corrisponde al cosiddetto zero assoluto. Questa è una temperatura limite: è infatti impossibile scendere al di sotto dello zero assoluto. Questa temperatura corrisponde infatti a energia cinetica nulla da parte di tutte le molecole. Nella pratica, è molto difficile raggiungere lo zero assoluto anche se con le moderne tecniche si sono raggiunte temperature dell'ordine del µK (10-6 K). Le temperature più alte presenti in natura si raggiungono invece nel centro delle stelle: ad esempio, all'interno del Sole si raggiungono i 3 milioni di gradi Kelvin.
Una terza scala termometrica è utilizzata nei paesi anglosassoni e prende il nome di scala Fahrenheit. In tale scala la temperatura di fusione del ghiaccio, 0°C, corrisponde a 32°F mentre la temperatura di ebollizione dell'acqua, 100°C, corrisponde a 212°F. È chiaro già da questa corrispondenza che la scala Fahrenheit non è una scala centigrada.
Dilatazione lineare
Come abbiamo detto nella precedente sezione, uno dei principi fisici su cui si basa la misura della temperatura con un termometro clinico è la dilatazione termica che in questa sezione andremo ad analizzare un po' più in dettaglio. Quando vengono riscaldati i corpi si dilatano. Consideriamo ad esempio un'asta di lunghezza l0 a una temperatura iniziale T0. Portiamo l'asta a una temperatura finale T in modo tale che la variazione di temperatura sia uguale a ΔT = T - T0. L'asta si allungherà di una quantità pari a Δl, come indicato nella figura seguente:
Sperimentalmente si verifica che l'allungamento Δl è direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale dell'asta l0 e alla variazione della temperatura ΔT, ossia Δl = λ l0 ΔT. Il coefficiente di proporzionalità λ prende il nome di coefficiente di dilatazione lineare. Dal momento che λ = Δl / (l0 · ΔT) avremo che il coefficiente di dilatazione lineare si misura in °C-1 oppure in K-1.
Il coefficiente di dilatazione lineare dipende dalla sostanza che prendiamo in esame. Nella tabella seguente riportiamo i valori di λ per alcune sostanze:
Sostanza |
Piombo |
Alluminio |
Ferro |
Acciaio |
λ (°C-1) |
2.9·10-5 |
2.4·10-5 |
1.2·10-5 |
1.2·10-5 |
Dilatazione volumica
Un discorso analogo a quello che abbiamo visto nella precedente sezione vale se abbiamo a che fare con dei solidi tridimensionali anziché con delle aste. Supponiamo per semplicità di considerare un cubo di lato iniziale l0 e, di conseguenza, di volume iniziale V0 = (l0)3. Supponiamo anche di andare ad aumentare la temperatura da T0 a T0 + ΔT. Ognuno dei lati del cubo subirà una dilatazione lineare, ossia la lunghezza finale del lato sarà l = l0 + Δl. Andiamo a calcolarci il volume finale del cubo:
V = l3 = (l0 + Δl)3 = (l0)3 + 3 · (l0)2 · Δl + 3 · l0 · (Δl)2 + (Δl)3.
Ora la dilatazione termica Δl è in genere un numero piccolo, pertanto nella precedente espressione, quando eleviamo al quadrato o al cubo Δl otterremo degli addendi trascurabili rispetto agli altri termini. Pertanto, ricordandoci anche che Δl = λ · l0 · ΔT, possiamo approssimare il volume del cubo come segue:
V ≈ (l0)3 + 3 · (l0)2 · λ · l0 · ΔT = (l0)3 + 3 · λ · (l0)3 · ΔT = V0 + 3 · λ · V0 · ΔT.
In definitiva, la variazione di volume dovuta alla dilatazione termica è ΔV = k · V0 · ΔT, dove k = 3 · λ è il cosiddetto coefficiente di dilatazione volumica. Come conseguenza del fatto che la dilatazione di un cubo o di un qualunque solido tridimensionale può avvenire lungo tre distinte direzioni abbiamo che il coefficiente di dilatazione volumica è il triplo del coefficiente di dilatazione lineare.
Fonte: http://digilander.libero.it/quantum2008/APPUNTI/dispense%20di%20fisica%20II.doc
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