Fisiologia del sistema endocrino

 

 

 

Fisiologia del sistema endocrino

 

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Fisiologia del sistema endocrino

 

Fisiologia del Sistema Endocrino
Introduzione
Il sistema endocrino precede nella scala evolutiva il sistema di comunicazione nervoso. Nel sistema endocrino una cellula, per comunicare con un'altra, immette una certa molecola, detta ormone, nel torrente sanguigno, nel quale essa vaga fino a che trova la cellula bersaglio, ossia una cellula con un recettore appropriato.
Gli ormoni possono essere divisi in peptidici (o proteici: costituiti da una sequenza di aminoacidi) e non peptidici. Gli ormoni prodotti dalla tiroide, detti iodotironine, come vedremo, possono essere generalmente compresi tra gli ormoni non peptidici, ma presentano alcune caratteristiche comuni ad entrambe le classi.
La classificazione degli ormoni in peptidici e non peptidici risulta utile in quanto tutti gli ormoni della prima classe vengono sintetizzati e agiscono concettualmente allo stesso modo; lo stesso discorso vale per quelli della seconda classe. Nello schema seguente vengono confrontate alcune caratteristiche delle due classi di ormoni.
Caratteristica Ormoni peptidici Ormoni non peptidici
solubilità in solventi: acquosi ottima scarsa non acquosi scarsa ottima
via di sintesi unione di singoli peptidi multi enzimatica si può sfruttare un pre-ormone
trasformazioni extra-ghiandolari rare frequenti
accumulo di ormoni spesso notevole irrilevante
prodotti di degradazione inattivi talora attivi
nel sangue: legame a proteine raro frequente
periodi di emivita* alcuni minuti alcune ore
presso il bersaglio: legame iniziale con recettore sulla membrana con recettore intracell.
principale sito d'azione membrana plasmatica nucleo
meccanismo d'azione stimola II° messaggero stimola produz. mRNA
Prima di approfondire i meccanismi di azione dei due tipi di ormoni, da questo schema si nota che: l'azione degli ormoni peptidici in genere sarà più immediata di quella dei non peptidici poiché i peptidici viaggiano nel sangue liberi da proteine trasportatrici. Si nota anche che gli ormoni peptidici, a differenza dei non peptidici, hanno molta difficoltà ad attraversare la membrana: infatti i primi agiscono sulla membrana cellulare, i secondi all'interno della cellula. Gli ormoni peptidici poi possono essere conservati in apposite vescicole intracellulari, mentre per gli ormoni non peptidici questa possibilità non sussiste.
(*) il periodo o tempo di emivita è definito come il tempo necessario affinché la quantità di una sostanza si dimezzi.
Alcune eccezioni - la terza colonna dello schema riguarda gli ormoni non peptidici. Tutto quanto è stato detto in quella colonna vale per gli ormoni steroidei, mentre bisogna fare alcune precisazioni per quanto riguarda alcuni ormoni tiroidei. Le iodotironine si comportano in tutto come un ormone steroideo, ad eccezione della sintesi (presentano un precursore [= preormone] come avviene per gli ormoni peptidici) e della modalità d'azione (possono agire anche con recettori posti sulla membrana, come fanno gli ormoni peptidici). NB: iodotironine è un termine "generico" che indica due ormoni prodotti dalla tiroide: la triiodotironina (T3) e la tetraiodotironina (T4) detta anche tiroxina.
Anche l'adrenalina ha bisogno di una precisazione: essa fa parte degli ormoni peptidici, ma viene sintetizzata come gli ormoni steroidei.
Meccanismi d'azione degli ormoni peptidici (e di alcune iodotironine)
Quando un ormone peptidico (detto I° messaggero) giunge in prossimità della cellula bersaglio non penetra (non può penetrare) al suo interno, ma si lega al proprio recettore specifico posto sulla membrana cellulare. Il complesso ormone + recettore provoca all'interno della cellula la trasformazione dell'ATP in adenosim monofosfato ciclico (AMPc). L'AMPc è un messaggero intracellulare (detto II° messaggero), che provoca una risposta cellulare.
Come possono agire ognuno a suo modo molti differenti ormoni peptidici se la risposta che essi inducono è aspecifica (inducono cioè tutti la stessa risposta)? La spiegazione a questo quesito può essere data considerando le differenti concentrazioni di recettori presenti sulle membrane di diverse cellule. Consideriamo un esempio: l'organismo induce la liberazione di un ormone peptidico (adrenalina) che dovrà agire sul cuore come eccitatore. Questo ormone, una volta immesso in circolo, viene a contatto con le cellule del cuore ma anche con le cellule di tutti gli altri tessuti. Il fatto che l'azione dell'adrenalina sia concentrata e limitata alle sole cellule cardiache è garantita dall'altissima concentrazione di recettori specifici presenti sulle cellule del cuore, e dalla bassissima concentrazione presente su tutte le altre cellule che quindi risultano "invisibili" all'ormone.
Meccanismi d'azione degli ormoni steroidei
Quando un ormone steroideo giunge in prossimità della cellula bersaglio penetra al suo interno, e si lega al proprio recettore specifico. Il complesso ormone + recettore è abilitato a oltrepassare la membrana nucleare, e una volta giunto nel nucleo induce la produzione di un determinato mRNA (gli ormoni steroidei, a differenza di quelli peptidici, hanno un'azione altamente specifica). All'mRNA segue una sintesi proteica, ossia una risposta cellulare.
I sistemi APUD e non APUD
Le strutture che secernono ormoni peptidici possono sintetizzarli in vari modi. Il primo modo ad essere stato studiato fu quello in cui le strutture secernenti prelevano ammine e le decarbossilano, per poi procedere alla sintesi vera e propria dell'ormone. Le iniziali inglesi di questa azione (Amine Precursor Uptake Decarbossilation) hanno "suggerito" di chiamare brevemente APUD il sistema endocrino che secerne ormoni peptidici, ed ormoni APUD gli ormoni peptidici. Gli ormoni che non peptidici vengono detti non APUD.
I sistemi adenoipofisi dipendenti ed indipendenti, l'adenoipofisi e l'ipotalamo
Le strutture che secernono ormoni possono essere divise a seconda che dipendano o no dall'adenoipofisi.
L'adenoipofisi è un organo di origine epiteliale, che contiene corpi cellulari, ed è una vera e propria ghiandola endocrina, posta sotto il controllo dell'ipotalamo (= organo integratore) al quale è collegata tramite il sistema portale ipotalamo ipofisario. L'ipotalamo a sua volta fa parte del sistema nervoso centrale, dal quale riceve informazioni. Si può quindi affermare che l'adenoipofisi sia controllata dal sistema nervoso centrale.
Il sistema portale ipotalamo ipofisario è definito portale in quanto presenta una somiglianza concettuale con la circolazione portale propriamente detta. Infatti, come la vena porta nasce da un letto capillare e genera un secondo letto capillare, così anche le vene che dall'ipotalamo vanno all'ipofisi si originano da un letto capillare (nell'ipotalamo) e ne generano un secondo (nell'adenoipofisi).
L'utilità del sistema portale ipotalamo ipofisario può essere compresa considerando le funzioni e la morfologia dell'ipotalamo. L'ipotalamo è una ghiandola endocrina che libera, come tutte le ghiandole endocrine, degli ormoni* che giungono agli organi bersaglio tramite il torrente sanguigno. Poichè l'ipotalamo è un organo molto piccolo, libera i suoi fattori in quantità minime, cosicchè, se venissero immessi nel grande circolo si disperderebbero. Per farli giungere più direttamente all'adenoipofisi (loro unico bersaglio) si è sviluppata una "corsia preferenziale": il sistema portale ipotalamo ipofisario.
(*) gli ormoni liberati dall'ipotalamo, che sono tali a tutti gli effetti, vengono di solito chiamati fattori, e non ormoni, poiché sono molto più semplici di tutti gli altri ormoni prodotti dall'organismo.
I fattori liberati dall'ipotalamo hanno il compito di regolare la secrezione degli ormoni adenoipofisari. Quindi i fattori ipotalamici sono di due tipi: fattori di liberazione (o releasing factosr, RF) o fattori inibenti (o inibiting factors, IF). Logicamente* esiste un RF e un IF per ogni ormone adenoipofisario. Il nome completo di un fattore ipotalamico risulta dal nome dell'ormone adenoipofisario sul quale agisce e dalla sigla che lo definisce come inibente o stimolante. Per esempio il fattore inibente la liberazione di ormone adenocorticotropo (ACTH) viene detto ACTH-IF.
(*) Al giorno d'oggi non sono ancòra stati isolati gli RF e gli IF per tutti gli ormoni adenoipofisari, ma è quasi certo che essi debbano esistere.
Gli ormoni dell'adenoipofisi
L'adenoipofisi possiede sette diversi tipi di cellule. Ognuno di questi tipi è sensibile ad un particolare fattore RF e IF e produce uno specifico ormone adenoipofisario. Tutti gli ormoni prodotti dall'adenoipofisi sono stimolanti.
Nome Sigla
Ormone adenocorticotropo (agisce sulle surrenali) ACTH Ormone tireotropo TSH Ormone follicolo stimolante* FSH Ormone luteinizzante* LH, ICSH Ormone stimolante i melanociti MSH Ormone galattoforo (o prolattina)** PRL Ormone accrescimento** GH
(*) L'ormone LH agisce anche sulle cellule interstiziali delle gonadi maschili, e per questo viene anche indicato come ICSH (Interstitial Cells Stimulating Hormon). L'ormone FSH agisce anche sui tubuli seminiferi, promuovendo la produzione di spermatozoi.
(**) La prolattina e l'ormone dell'accrescimento sono gli unici due ormoni dell'adenoipofisi ad agire sui tessuti e non su ghiandole bersaglio.
I meccanismi di controllo dell'azione ormonale, il feed-back
Il principale mezzo di controllo dell'azione degli ormoni si basa sulla loro stessa concentrazione: più un ormone è concentrato più vengono inibite le cellule deputate alla sua produzione, meno è concentrato meno le cellule vengono inibite. Non sarebbe corretto affermare che "meno l'ormone è concentrato più le cellule vengono stimolate" poichè questo meccanismo di regolazione è essenzialmente frenante, e non stimolante. Esso è chiamato meccanismo di feed-back negativo.
Nel caso del complesso ipotalamo - adenoipofisi - cotreccia surrenale il feed-back è detto:
- direttissimo se le variazioni di concentrazione influiscolo sulla surrenale - diretto se le variazioni di concentrazione influiscono sull'adenoipofisi - indiretto se le variazioni di concentrazone influiscono sull'ipotalamo.
Per completezza ricordiamo che esistono anche dei meccanismi di feed-backpositivo, che ad un aumento della concentrazione ormonale fanno seguire una stimolazione delle cellule produttrici, con conseguente ulteriore aumento della concentrazione ormonale. Il feed-back positivo è molto raro ed inoltre non agisce mai "da solo", ma stà sotto lo stretto controllo di altri meccanismi (se fosse lasciato operare libermante sarebbe dannoso).
I farmaci ed il feed-back - Quando, per motivi patologici, un determinato ormone è carente, si possono somministrare dei farmaci contenenti l'ormone in questione. L'aumentata concentrazione dell'ormone però attiva il meccanismo del feed-back provocando un'ulteriore inibizione* delle ghiandole che lo producono. Il farmaco quindi provoca a brevissimo termine un miglioramento, ma successivamente non fa che aggravare la situazione, poichè le ghiandole, che producevano poco ormone, ora ne producono ancòr di meno
Il problema può essere superato sintetizzando dei farmaci che contengano delle molecole simili agli ormoni per quanto riguarda gli effetti periferici, ma che non siano in grado di attivare il feed-back.
Un altro metodo, qualora il precedente non sia applicabile, consiste nell'immettere (al posto dell'ormone mancante) gli ormoni precursori che stimolano le ghiandole produttrici dell'ormone mancante. Per esempio: nel caso la concetrazione di cortisone sia carente si può immettere l'ormone ACTH che stimola la corteccia surrenale che così produrrà più cortisone.
Si presenta però il problema che l'ACTH, stimolando la surrenale, provoca un aumento non solo della produzione di cortisone, ma anche della produzione di tutti gli altri ormoni prodotti dalla corteccia surrenale.
(*) Se la concentrazione di un ormone non è sufficiente significa che le ghiandole che lo producono sono in uno stato di ipofunzionamento (con conseguente stato di atrofia). Una somministrazione di ormone dall'esterno le debilità ancora di più. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, una volta terminato il trattamento, le ghinadole pian piano raggiungono il normale stato trofico. Talvolta ciò non succede, e allora le ghiandole cadono in atrofia totale: in questo caso è necessario continuare a somministrare dall'esterno gli ormoni (che non possono essere più prodotti dall'organismo) per tutta la vita: è il caso di alcuni tipi di diabete, nei quali la produzione di insulina da parte dell'organismo è azzerata.
Gli ormoni indipendenti dall'adenoipofisi
Alcuni ormoni sono indipendenti dall'adenoipofisi, e quindi le ghiandole che li producono fungono loro stesse da organi integratori. Il meccanismo di feed-back di questi ormoni viene attivato sia dalla loro concentrazione sia dai loro effetti. Tra gli ormoni indipendenti dall'adenoipofisi possiamo ricordare l'insulina.
L'insulina
L'insulina è un polipeptide prodotto dal alcune delle cellule delle isole del Langerhans, situate nel pancreas. Il compito dell'insulina è di mantenere costante la concentrazione del glucosio (o glicemia) nel plasma, poichè un eventuale aumento di questa sarebbe dannoso al metabolismo cellulare. L'insulina agisce favorendo l'entrata del glucosio nelle cellule (quindi fa diminuuire la glicemia nel plasma: è un agente ipoglicemizzante).
Un aumento della glicemia causa un aumento della produzione di isulina, una diminuzione della glicemia ha l'effetto contrario, infatti le cellule delle isole di Langerhans deputate alla produzione di insulina sono sensibili alla concentrazione del glucosio. La concentrazione dell'insulina, oltre a variare in funzione della glicemia, sottostà anche ai normali controlli di feed-back negativo.
L'ormone della crescita, GH
L'ormone della crescita, GH o somatotropina, durante l'età dello sviluppo promuove l'accrescimento. Bisogna notare però che la sua concentrazione non diminuisce dopo l'età dello sviluppo, ma resta costante (se si escludono piccole variazioni cicliche) per tutta la vita. La principale funzione dell'ormone GH consiste nello stimolare il metabolismo cellulare, si dice quindi che ha una funzione anabolizzante. Nella fase evolutiva, in particolare, esso favorisce la mitosi cellulare. Superata l'età evolutiva le cellule modificano alcune loro caratteristiche e l'accrescimento ha fine. La concentrazione di GH resta costante, come accennato prima, ma le modifiche cellulari ne limitano l'azione.
Per accrescimento si intende un aumento della statura e del peso del soggetto. E' ovvio che anche dopo l'età dello sviluppo le cellule continuano a dividersi (i tessuti si rinnovano continuamente, fatta eccezione per i tessuti perenni), ma il rapporo nascita cellulare/ morte cellulare in questo caso diviene pressochè costante. Nell'età dello sviluppo invece la nascita cellulare supera la morte cellulare. Nella vecchiaia il rapporto si inverte.
L'ormone GH agisce principalmente su: provocando:
tessuto muscolare aumento della sintesi proteica aumento della captazione degli aminoacidi diminuzione della captazione di glucosio (tutto ciò causa un'ipertrofia muscolare)
fegato aumento della sintesi proteica aumento della sintesi di RNA aumento della sintesi di glucoso aumento della produzione di somatomedine
tessuto adiposo aumento della lipolisi diminuzione della captazione di glucosio
Le somatomedine successivamente regolano lo sviluppo delle ossa e delle cartilagini, nonchè del metabolismo muscolare.
Il processo di ossificazione - Lo scheletro si sviluppa da una matrice cartilaginea che col tempo viene sottoposta ad ossificazione. L'ossificazione può avvenire in due modi. Gli spazi cartilaginei (si parla esclusivamente delle cartilagini che dovranno "diventare" ossa) possono subire una "occupazione" da parte di osteoblasti portati dalle arterie, che durante lo sviluppo iniziano ad irrorare le cartilagini. Oppure l' occupazione può essere promossa dal periostio, una sottile lamina che circonda le cartilagini stesse.
Le cartilagini che restano tali anche nell'adulto non vanno incontro a tali fenomeni.
Gli osteoblasti sono responsabili del deposito di sostanza ossea negli spazi cartilaginei. Gli osteoclasti invece sono responsabili della solubilizzazione e del riassorbimento del tessuto osseo: il rapporto tra osteoblasti e osteoclasti è a favore dei primi nell'età evolutiva, a favore dei secondi nella vecchiaia. L'equilibrio è pressochè stabile nell'età matura. Da ciò segue che il tessuto osseo non è un tessuto perenne, anzi nel tempo di 2/3 mesi esso risulta completamente "rifatto", ossia cotituito da cellule nuove.
Meccanica del processo di ossificazione - Consideriamo un osso lungo in accrescimento. Un osso di questo tipo possiede una diafisi (corpo) e due epifisi (estremità). Presso ognuno dei due confini diafisi-epifisi esiste una zona di cartilagine detta metaepifisaria o di accrescimento. La porzione metaepifisaria rivolta verso le estremità dell'osso presenta una continua divisione cellulare, poichè le cellule della cartilagine di accrescimento sono sensibili all'ormone GH (per essere più precisi sono senibili alle somatomedine che, come abbiamo visto, sono regolate dall'ormone GH).
L'osso, da quanto visto finora, continuerebbe ad accrescersi senza sosta, e resterebbe cartilagineo. A questo punto intervengono gli osteoblasti, che "inseguono" il fronte di accrescimento ossificando tutti gli spazi presenti tra le cellule cartilaginee. Così, durante l'accrescimento, l'unica zona cartilaginea dell'osso è rappresentata dalla zona di accrescimento. Quando gli osteoblasti raggiungono il fronte di accrescimento "bloccano" le cellule cartilaginee riempiendo gli spazi intercellulari. Si è giunti quindi al termine dell'accrescimento dell'osso (e della statura dell'individuo).
Si vede quindi che la fine dell'accrescimento osseo non è causata da una mancanza di ormone GH (la cui concentrazione rimane costante), ma da un blocco operato dagli osteoblasti sulle cellule cartilaginee, che in questo modo sono rese "insensibili" all'ormone stesso.
L'attività degli osteoblasti è prevalentemente promossa dagli ormoni sessuali (specialmente maschili), e non dall'ormone della crescita, GH. Questo fa si che gli uomini abbiano uno scheletro più grosso e pensante di quello delle donne, data ovviamnete la maggior presenza nel loro organismo di ormoni maschili.
Cenni di anatomia del tessuto osseo
Il tessuto osseo è un particolare tessuto connettivo, nel quale le fibre collagene sono cementate dall'osseina, e la sostanza fondamentale risulta molto compatta (calcificata). Le fibre collagene sono raccolte in lamelle, che a loro volta si possono riunire in due diversi modi. Nelle ossa dette spugnose le lamelle sono riunite in trabecole che delimitano gli spazi midollari, nelle ossa compatte le lamelle sono riunite in strati concentrici.
Gli strati concentrici di lamelle si alternano a strati di osteociti. La disposizione delle lamelle avviene attorno ad un canale centrale. Il canale con le sue lamelle costituisce un osteone o sistema di Havers. I canali del sistema di Havers sono in collegamento tra loro per mezzo dei canali perforanti di Volkmann.
Nel tessuto osseo è notevole la presenza di fosfato di magnesio, fosfato di calcio e carbonato di calcio. I sali minerali presenti nelle ossa possono essere trasferiti ad altri organi che ne hanno bisogno, cosicchè esse vengono considerate delle riserve di sali.
I vari tipi di ossa possono essere suddivisi in tre principali gruppi: ossa lunghe (es: femore), ossa corte (es: rotula), ossa piatte (es: scapola). Le ossa corte e le ossa piatte sono formate da tessuto spugnoso all'interno e compatto all'esterno. Le ossa lunghe sono spugnose alle estremità e compatte nel corpo.
I tessuti perenni
Tutti i tessuti, come accennato nel § sull'ormone GH, si rinnovano continuamente. Fanno eccezione a questa regola i tessuti detti perenni, ossia il tessuto muscolare, quello nervoso e quello adiposo.
Per quanto riguarda il tessuto nervoso il numero delle cellule (neuroni) che lo compongono aumenta fino al 4° anno di vita. Successivamente i neuroni iniziano a "morire" mentre non se ne formano di nuovi.
Poichè il numero di neuroni di cui si dispone al 4° anno di vita è "sovrabbondante", effetti negativi importanti della morte cellulare si manifestano solo dopo un periodo di tempo molto lungo (più lungo della vita media), cosicchè patologie di questo genere riguardano essenzialmente pazienti anziani. Per migliorare la situazione, i neuroni vanno tenuti "in allenamento" tramite una ginnastica mentale (studio, eccetera) che mantenga a livelli ottimali il loro metabolismo e faccia aumentare il numero delle loro sinapsi. Ciò allontana nel tempo il rischio di patologie dovute alla morte cellulare dei neuroni, poichè l'aumentato numero di sinapsi compensa il diminuito numero di neuroni.
Per quanto riguarda il tessuto muscolare il numero delle cellule (fibre) che lo compongono aumenta fino al periodo dello sviluppo (compreso). Successivamente il loro numero resta costante. Le cellule muscolari non vanno incontro ad una continua morte, come i neuroni.
Le cellule muscolari non presentano fenomeni di morte cellulare, ma ciò non toglie che il passare del tempo influisca negativamente su di esse, specialmente al giorno d'oggi che la vita si allunga e diviene sempre più sedentaria. Per migliorare la situazioneu, un pò come accadeva per i neuroni, le fibre muscolari vanno tenute "in allenamento" tramite una ginnastica appropriata (sport, eccetera) che mantenga a livelli ottimali il loro metabolismo e faccia aumentare il loro volume (ipertrofia muscolare). Si può paragonare quindi l'aumento del volume delle cellule muscolari con l'aumento del numero delle sinapsi delle cellule nervose.
Per quanto riguarda il tessuto adiposo il numero delle cellule che lo compongono aumenta fino al periodo dello sviluppo (compreso). Successivamente il loro numero resta costante. Le cellule adipose possono variare le loro dimensioni a seconda che siano più o meno piene di lipidi.
Il controllo adenoipofisario sulle gonadi
L'adenoipofisi controlla la produzione delle gonadotropine: FSH (o ormone follicolo-stimolante, agente nell'uomo sui tubuli seminiferi promuovendo la formazione di spermatozoi) e LH (ormone luteo-stimolante, agente nell'uomo sulle cellule interstiziali di Leydig, che a loro volta secernono ormoni maschili).
Nell'uomo la regolazione della produzione di ormoni sessuali non presenta importanti caratteristiche, poichè la produzione è costante ed uniforme. Nella donna invece la regolazione è più complessa, poichè la produzione di ormoni femminili è ciclica (didatticamente si possono distinguere un ciclo ovarico ed uno mestruale).
Gli ormoni, lo sviluppo del follicolo ovarico e dell'endometrio - (iniziamo l'analisi dei cicli partendo dalla avvenuta desquamazione dell'epitelio dell'utero). L'ormone FSH stimola la parete esterna di più follicoli ovarici, che a sua volta liberano ormoni estrogeni. Questi ormoni favoriscono la rigenerazione della mucosa uterina (endometrio). Un'altra loro caratteristica è quella di inibire lo sviluppo dei follicolo ovarici stessi, cosicchè solo uno dei più follicoli stimolati continui la sua attività: quello più "forte", ossia quello che per motivi casuali si è modificato di più e resiste megio all'attività inibente degli estrogeni.
Durante lo sviluppo il follicolo si riempie di liquor follicoli, e verso il 14° giorno scoppia liberando l'uovo (in questa fase c'è un aumento della concentrazione di LH preceduto da una caduta di concentrazione di FSH). L'uovo viene captato dalle fimbrie, e tramite le tube uterine viene portato nell'utero.
Nel frattempo nell'ovaio l'ormone LH stimola la formazione del corpo luteo, una struttura endocrina che produce il progesterone, un ormone che stimola il metabolismo dell'endometrio, che si è già rigenerato tramite gli estrogeni. Il progesterone aumenta la vascolarizzazione dell'endometrio, aumenta i depositi locali di glucosio, aminoacidi eccetera. Ciò è molto importante poichè la mucosa uterina deve essere un ottimo "terreno di colura", pichè lì si impianterà l'uovo, se fecondato.
Fecondazione o no - Se l'uovo non viene fecondato, verso il 21° giorno* si ha una diminuzione della concentrazione di ormone LH, e a ciò segue l'involuzione del corpo luteo. Cala quindi anche la concentrazione di progesterone (che era prodotto dal corpo luteo) e ciò provoca la morte della zona superficiale dell'endometrio, con conseguente eliminazione tramite la mestruazione.
Se avviene la fecondazione (solitamente gli spermatozoi raggiungono l'uovo quando si trova nelle tube) inizia immediatamente un processo di divisione cellulare, con formazione di un primitivo embrione. Circa dopo 28 giorni (ma il periodo è molto variabile) l'embrione si annida nell'utero, dove la cellule della sua parte esterna (che formeranno la placenta) iniziano a secernere gonadotropine (dette corioniche) che hanno il compito (come lo aveva l'LH) di mantenere in attività il corpo luteo (che provvede, tramite il progesterone, alla vita dell'endometrio).
Per due o tre mesi il corpo luteo è in grado di mantenere il trofismo dell'endometrio. Successivamente questo compito viene svolto dalla placenta. Infatti la placenta, producendo essa stessa progesterone, agisce con meccanismo di feed-back sul corpo luteo, ponendo fine alla sua attività. Per comprendere questa situazione si tenga presente che la placenta, in confronto alla madre, è una struttura estranea: quindi il progesterone prodotto dalla placenta, ed immesso nel circolo sanguigno della madre tramite l'endometrio uterino, equivale ad una somministrazione di ormoni esogeni.
Al terzo o quarto mese la placenta stimola il rilascio, dall'adenoipofisi, della prolattina, che causa la proliferazione cellulare della ghiandola mammaria. Alla fine del periodo* della gravidanza, che dura in media 9 mesi, la neuroipofisi inizia a secernere ossitocina, un ormone che fa aumentare la contrattilità della muscolatura liscia, ed in partilolare di quella dell'utero, le cui cellule sono dotate di molti recettori da ossitocina. Ciò stà alla base dei meccanismi del parto.
(*) Le regolazioni temporali di vari processi fisiologici sono dettate da meccanismi ancòra poco consciuti, indicati talvolta come "orologi biologici". Si pensa che sia l'ipotalamo a possedere le informazioni su quando far accadere taluni eventi.
Cenni sulla costituzione del Sangue e sul Sistema Immunitario
Il sangue, la sua parte liquida (plasma)
Il sangue è un tessuto composto parzialmente (46%) da elementi cellulari omogenei (parte corpuscolata) e parzialmnente (56%) da una matrice liquida, o plasma. Il plasma è composto in gran parte da acqua (91%), poi da proteine (7%) e da altre sostanze (sali, amminoacidi, zuccheri [specialmente glucosio], urea, ecc.) Le concentrazioni di queste sostanze sono mantenute costanti tramite vari meccanismi omeostatici, come il riassorbimento e la secrezione renale, la respirazione, ecc.
Il plasma sanguigno - Il plasma consente il trasporto delle sostanze in esso contenute (la parte corpuscolare del sangue, essenzialmente), ma partecipa anche al trasporto di ossigeno ed anidride carbonica. Essendo composto in gran parte d'acqua svolge anche funzioni termoregolatrici, infatti l'acqua mantiene per lungo tempo il calore (energia) che possiede Ci soffermiamo ora sulle proteine presenti in esso. Le più importanti sono:
- il fibrinogeno, una proteina grossa e filamentosa che prende parte alla coagulazione (il plasma, privato del fibrinogeno, viene detto siero)
- le albumine, proteine prodotte dal fegato, che servono a trasportare sia aminoacidi sia molecole non facilmente solubili, come gli ormoni steroidei o alcune vitamine
- le globuline alfa e beta, anche loro prodotte dal fegato, e anche loro trasportatrici di AA.
- le globuline gamma, o gammaglobuline, prodotte dai linfociti, hanno il compito di difendere l'organismo dalle sostanze ritenute estranee (o non-self). E' più preciso parlare di sostanze "ritenute estranee" più che di sostanze estranee in senso assoluto, poichè talvolta anche sostanze proprie dell'organismo vengono "scambiate" per non-self.
Il sangue, la sua parte corpuscolare
La parte corpuscolata del sangue, ma anche i linfociti (facenti parte del Sistema Immunitario), prendono origine dal midollo osseo rosso, detto anche tessuto emopoietico, ed in particolare da cellule staminali da esso prodotte.
Il tessuto emopoietico e le cellule staminali
Dopo la nascita i tessuti emopoietici sono rappresentati dal midollo osseo rosso, che è capace di generare vari tipi di cellule che andranno a comporre la parte corpuscolata del sangue. Esso si differenzia dal midollo osseo giallo, che ha perso questa capacità. Il midollo osseo rosso è situato, nell'adulto, nelle epifisi delle ossa lunghe, corte e piatte. In caso di emorragie croniche o di alterazioni della emopoiesi midollare, la produzione ematica può nuovamente avvenire (come accadeva nella vita fetale) nel midollo delle diafisi delle ossa lunghe e nel tessuto connettivo del fegato.
Il midollo osseo produce un tipo di cellule molto indifferenziate, dette cellule staminali, che sono in grado di dare origine a più specie di cellule diverse. Una cellula staminale può differenziarsi in una cellula linfatica (che originerà vari linfociti) o in una cellula ematica (che originerà i componenti della parte corpuscolata del sangue).
Da una cellula ematica derivano i megacariociti (origineranno le piastrine), le cellule staminali dei globuli rossi e le cellule staminali mieloidi (origineranno i globuli bianchi). Da una cellula linfatica derivano linfociti T e B.
I componenti della parte corpuscolata del sangue
La parte corpuscolata del sangue contiene globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.
Le piastrine (e la coagulazione) - le piastrine sono frammenti cellulari di megacariociti, sono coinvolti nella coagulazione. La coagulazione consiste in una serie di meccanismi atti a fermare uno spandimento di sangue, conseguente alla rottura di un piccolo vaso. Qui di seguito accenniamo, a grandi linee, al meccanismo della coagulazione.
Quando un vaso si rompe, le piastrine del sangue vengono a contatto con la membrana basale, poichè l'endotelio apparirà danneggiato in uno o più punti. Le piastrine si "attaccano" alla membrana basale (non si possono invece attaccare all'endotelio, data la sua struttura), e iniziano ad ammassarsi le une sulle altre.
In questo caso, contemporaneamente all'ammassarsi delle piastrine, la muscolatura lisica del vaso che è stato leso mette in atto una vasocostrizione locale, che causa una minor perdita di sangue ed un più efficace "tappo" ad opera delle piastrine.
Le piastrine, quando iniziano ad accumularsi, rilasciano un compesso di molecole, detto reduttasi piastrinica, che ha il compito di "spremere" le piastrine stesse, in modo che il tappo da loro formato sia più fitto. Conteporaneamente viene rilasciato anche il fibrinogeno, una molecola filamentosa prodotta dal fegato, precursore della fibrina. La trombina, attivata in questi casi, a sua volta attiva il fibrinogeno trasfromandolo in fibrina. La fibrina, che è molto adesiva, agisce da cementante tra le piastrine, rendendo così ottimale la loro azione di tappo.
NB: in particolari casi è utile che ad una lesione non segua un'azione di coagulo (per esempio durante una operazione chirurgica). Per impedire la coagulazione si usa immettere nel sangue, per esempio, degli agenti chelanti gli ioni Ca++ (ossia molecole che si attaccano, come le chele di un granchio, sugli ioni Ca++). Il Ca++ è indispensabile al processo di coagulazione, ma per motivi di semplicità non ne abbiamo parlato. Anche l'eparina può essere sfruttata, a concentrazioni farmacologiche, come agente anti-coagulante. Questa sostanza è presente naturalmente nel nostro organismo, ma a concentrazioni fisiologiche la sua unica funzione è di impedire la coagulazione nel caso di micro-traumi, che sono molto frequenti. Se ogni microtrauma fosse seguito da una coagulazione, gli inconvenienti creati all'organismo sarebbero ben maggiori dei benefici.
I globuli rossi - i globuli rossi, o eritrociti, derivano dalle cellule staminali omonime. Un globulo rosso non ancòra maturo viene detto reticolocita, poichè il tessuto che lo forma ricorda una rete. Quando diviene maturo perde questa caratteristica e diviene un globulo rosso vero e proprio. Una concentrazione abnorme di reticolociti è segno che c'è l'organismo sta tentando di porre rimedio ad una mancanza di globuli rossi: una tal situazione si può riscontrare, per esempio, dopo una emorragia.
I globuli rossi vivono circa 3 mesi, poichè sono strutture senza nucleo e non sono in grado di rinnovarsi (possiedono pochissimo DNA). La loro funzione essenziale consiste nel trasporto di ossigeno, infatti contengono emoglobina, la sostanza alla quale l'osigeno si lega. I globuli rossi possiedono anche una certa funzione di tamponi, dovuta alla presenza dell'eme dell'emoglobina.
I globuli bianchi - i globuli bianchi si dividono in granulociti e monociti.
I globuli bianchi - granulociti: si dividono a loro volta in basofili, neutrofili ed acidofili. Hanno una vita breve e la loro attività consiste essenzialmente nel fagocitare tutte quelle piccole molecole inutili al nostro organismo, che tuttavia sono ancòra troppo grandi per essere eliminate dal rene. Essi, dopo che le hanno fagocitate, ne traggono nutrimento e le "digeriscono" dividendole, ed espellono poi delle molecole molto semplici. Queste molecole potranno essere riutilizzate dall'organismo, qualora risultino utili, oppure potranno essere eliminate dal rene. I granulociti possono essere definiti microfagi, poichè fagocitano molecole piccole, se confrontate a quelle fagocitate dai monociti. I granulociti possono fuoriuscuire dal capillari, raggiungendo così tutti gli interstizi di ogni tessuto.
I globuli bianchi - monociti: come i granulociti anche i monociti hanno una vita breve, e la loro attività principale consiste nel fagocitare materiali di scarto, ed espellere prodotti trattabili dal rene. I monociti trattano molecole notevolmente grandi (grosse proteine, frammenti cellulari), e per ciò possono essere definiti macrofagi.
Linfociti T e B, cenni sul Sistema Immunitario
I linfociti T
Questa specie di linfociti viene definita T poichè nel primo periodo della vita colonizzano il Timo, dove "imparano" a riconoscere le molecole facenti parte dell'organismo, o self, da quelle estranee, o non-self. La capacità di riconoscere sostanze self e non self viene detta competenza immunitaria.
La risposta cellulare - Quando i linfociti T vengono a contatto con un antigene, danno origine ad anticorpi specifici, che restano legati alla superficie dei linfociti che li hanno prodotti. I linfociti T riconoscono, inglobano e distruggono le cellule estranee, ma anche quelle del corpo che sono state modificate da infezioni, da virus o dalla trasformazione cancerosa.
A differenza degli altri leucociti fagocitanti del sangue, che inglobano e distruggono qualsiasi materiale estraneo, i linfociti T fagocitano solo cellule estranee specifiche (si basano sugli antigeni specifici).
Alcuni linfociti T (linfociti killer ) distruggono le cellule cancerose non appena vi entrano in contatto. Altri (linfociti helper ) cooperano con i linfociti B nella produzione di immunoglobuline.
I linfociti B
I linfociti B colonizzano i linfonodi, ma non in modo fisso (posso entrare ed uscire dai linfonodi sfruttando la circolazione linfatica). Questi linfociti producono le gammaglobuline. La produzione di gammaglobuline è costante (produzione basale), ma la presenza di sostanze non-self può farla aumentare notevolmante.
La risposta umorale - Quando una sostanza entra in un organismo, i linfociti B controllano la sequenza di zuccheri che essa reca sulla propria superficie. Se questa sequenza risulta estranea, la sostanza viene classificata come non self (antigene). Poichè il riconoscimento di una sostanza avviene proprio attraverso la sequenza di zuccheri superficiali, questi vengono detti determinanti antigenici o ligandi, poichè si legano ai recettori dei linfociti B per essere controllati.
Il riconoscimento di un antigene scatena la produzione, da parte dei linfociti B, di molecole proteiche dette anticorpi (proteine dette gamma - globuline). Non è esatto però parlare di anticorpi tutti uguali che agiscono contro un singolo antigene x; è meglio parlare di anticorpi diversi che agiscono contro i singoli determinanti antigenici dell'antigene x .Infatti, quando il linfocita B riconosce una sequenza di 40 o 50 zuccheri non self , dà il via alla produzione di 40 o 50 anticorpi specifici, che agiranno ognuno contro il proprio determinante antigenico.
Gli anticorpi che agiscono in generale contro un antigene si chiamano anticorpi policlonali, e derivano da molti linfociti B (uno per ogni determinante antigenico). Gli anticorpi che agiscono contro uno ed un solo determinante antigenico si chiamano anticorpi monoclonali, e derivano tutti da un determinato linfocita B.
La struttura degli anticorpi - Tutti gli anticorpi hanno una struttura fondamentale composta da quattro catene polipeptidiche: due catene leggere identiche (a basso peso molecolare) e due catene pesanti (ad alto peso molecolare). Gli estremi delle catene, sia leggere che pesanti, che presentano il gruppo carbossil-terminale COO-, sono dette regioni costanti, poichè la loro sequenza di AA (amminoacidi) è uguale per tutti gli anticorpi di una stessa classe.
Gli estremi della catene, sia leggere che pesanti, che invece presentano il gruppo ammino-terminale NH3+, sono dette regioni variabili, poichè la loro sequenza di AA varia molto anche all'interno di una stessa classe. Sono le regioni variabili che si legano al "loro" antigene specifico.
Esistono cinque classi di anticorpi (o gammaglobulione) circolanti. Esse differiscono per la struttura delle regioni costanti e per il modo in cui attaccano le cellule e le sostanze non self .
Linfociti T e B, la teoria della selezione clonale
L'insieme dei linfociti T e B può rispondere ad una grande varietà di antigeni. Il meccanismo che spiega come ciò possa avvenire è la teoria della selezione clonale. Questa teoria afferma che ogni linfocita è programmato nel suo DNA per poter rispondere ad un determinato antigene. Se un linfocita entra in contatto con il proprio antigene inizia a moltiplicarsi e a differenziarsi. Attraverso delle mitosi si formano quindi moltissimi linfociti identici, che poi producono gli anticorpi specifici.
La teoria della selezione clonale spiega poi il fenomeno della memoria immunologica. Quando un organismo viene a contatto con un antigene per la prima volta, passa un certo periodo di tempo (periodo di latenza) prima che vengano prodotti gli anticorpi. Se successivamente l'organismo incontra di nuovo lo stesso antigene, la sua risposta sarà molto più rapida. La teoria della selezione clonale afferma infatti che tra i molti linfociti T e B che vengono prodotti ce ne sono alcuni che vivono molto a lungo (decenni), e che sono già pronti quando l'antigene si ripresenta (risposta secondaria). Questi linfociti sono chiamati cellule della memoria .
Non è stato ancòra spiegato con esattezza quale sia la fonte di una così grande varietà di anticorpi. Essi sono proteine, quindi sono determinate dai geni: le loro sequenza di AA derivano da sequenze di DNA. Si è notato che i geni che codificano la regione variabile dell'anticorpo (gV), non si trovano vicini a quelli che codificano la regione costante (gC).
In più, su una catena di DNA, per ogni gene che codifica una regione costante, ce ne sono molti che codificano l'adiacente regione variabile. Prima di andare a formare l'mRNA la catena di DNA si apre e solo uno dei tanti gV (a caso) va a sistemarsi vicino al gC. Ciò si ripete ad ogni "giro" di produzione del mRNA. E' possibile, ma non è sicuro, che i singoli gV siano il risultato di combinazioni di due o più frammenti genici, il che aumenterebbe ancòra di più la varietà di anticorpi prodotti.
Cenni sul Liquido Cerebrospinale
Il liquido (o liquor) cerebrospinale è costituito da plasma sanguigno al quale sono state sottratte praticamente tutte le proteine (quelle presenti lo sono in quantità irrilevanti). Aminoacidi, sali, e altri componenti del plasma, invece compaiono nel liquido cerebrospinale in concentrazioni immutate.
Il liquor viene prodotto nel terzo ventricolo, a livello dei plessi aracnoidei (degli agglomerati di capillari, ricoperti da tessuto connettivo). Raggiunge poi i ventricoli laterali, situati tra telencefalo e corteccia, il quarto ventricolo ed il canale ependimale. Attraverso i due foridi Luschka ed quello di Magentie, presenti nel quatro ventricolo, raggiunge lo spazio sub-aracnoideo, ossia l'inercapedine tra la dura madre e la pia madre (vedi figura).
Non è stato ancòra spiegato con esattezza quale sia la fonte di una così grande varietà di anticorpi. Essi sono proteine, quindi sono determinate dai geni: le loro sequenza di AA derivano da sequenze di DNA. Si è notato che i geni che codificano la regione variabile dell'anticorpo (gV), non si trovano vicini a quelli che codificano la regione costante (gC).


In più, su una catena di DNA, per ogni gene che codifica una regione costante, ce ne sono molti che codificano l'adiacente regione variabile. Prima di andare a formare l'mRNA la catena di DNA si apre e solo uno dei tanti gV (a caso) va a sistemarsi vicino al gC. Ciò si ripete ad ogni "giro" di produzione del mRNA. E' possibile, ma non è sicuro, che i singoli gV siano il risultato di combinazioni di due o più frammenti genici, il che aumenterebbe ancòra di più la varietà di anticorpi prodotti.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/ctfonline/appunti/file/fisiologia.rtf

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