I nomi
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I nomi
Il nome
Il nome è quella parte semplice del discorso che significa senza il tempo.
Questa caratterizzazione lo distingue dal verbo, che significa con il tempo. Non si tratta di una semplice osservazione di grammatica. Il logico ha un punto di vista diverso da quello del grammatico. Per esempio, tutti gli aggettivi qualificativi sono nomi, dal punto di vista logico.
Il logico studia le proprietà delle cose in quanto conosciute, e noi conosciamo le cose giudicando. Le giudichiamo, in qualche modo, da quello che sanno fare, dal loro operare in senso lato, sia attivo sia recettivo . Tutto questo ci è noto dalla osservazione sensibile, senza con questo voler dire che non possiamo cogliere null’altro che l’aspetto esteriore.
Avviene così che al soggetto poniamo quello che vogliamo conoscere, ed al predicato mettiamo quello che riusciamo a conoscere, che in qualche modo ha riferimento alle operazioni. Per questo il nome suona come soggetto, sostrato, sostanza... anche se questi nomi non hanno un significato solamente logico. Viceversa il predicato ci richiama in qualche modo una attualità del soggetto, che ha a che vedere con capacità operative.
Notava S. Tommaso : “... riguardo al tempo si possono considerare tre cose. Anzitutto il tempo stesso, in quanto è una certa qual cosa, ed in questo modo può essere significato da un nome, come ogni altra cosa
In un altro modo si può considerare ciò che viene misurato dal tempo, proprio in quanto ne viene misurato. E poiché ciò che in primo luogo e principalmente è misurato dal tempo è il moto, in cui si collocano l’azione e la passione, ne segue che il verbo, che significa l’azione o la passione, significa con il tempo.
La sostanza invece, in sé considerata, in quanto è significata col nome e col pronome, non richiede in quanto tale di essere misurata dal tempo, ma solo in quanto sottostà al moto, come viene significato dal participio. Quindi il verbo e il participio significano con il tempo, il nome e il pronome invece no.
In un terzo modo si può considerare la stessa relazione del tempo che misura, il che è significato per mezzo di un avverbio di tempo, come “domani”, “ieri” e altri del genere.” .
Non sono nomi, infine, il nome infinito ed il “caso” della declinazione di un nome. Anche qui notiamo la differenza del punto di vista logico da quello grammaticale.
Nome infinito è il nome che Aristotele diede a quelle dizioni composte dal segno della negazione aggiunto a un nome, quasi fosse un nome solo. Per esempio “non-uomo”, sia che mettiamo sia che omettiamo il trattino, quasi sia il nome che diamo a qualsiasi cosa che non è uomo. Nel linguaggio scientifico capita di usare nomi siffatti, ed anche nel linguaggio quotidiano (magari nella forma “anti-...”). Perché dire che non sono nomi ? Grammaticalmente lo sono. Il problema è che non significano e non trasmettono realmente informazione. Aristotele non pretende che non si usino queste dizioni : le usa lui stesso . Non sono nomi perché... si dicono indifferentemente di quasi tutto, anche di ciò che non esiste : non-uomo è dizione che può esser detta di un corpo celeste, di un minerale, di un qualsiasi animale diverso dall’uomo, del vuoto e del nulla... Come dire : se mi informi che quella cosa è “non-uomo”, non mi hai detto proprio niente di interessante.
Invece il caso del nome, che in forma diversa esiste in ogni lingua, anche dove i nomi non hanno propriamente declinazione, non è un nome perché è solo un complemento, insufficiente da solo, anche aggiungendo il verbo essere, a costituire qualcosa di vero o falso. “È di Catone”, “È per Catone”, ... sono espressioni prive di un soggetto. Nulla vieta che, in latino ad esempio, vi siano verbi che si costruiscono con un caso del nome. Esistono pure verbi impersonali, come “piove”, che significano da soli, senza un nome, qualcosa di vero o falso. Ma in realtà sottintendono quanto manca ad una enunciazione composta di soggetto e predicato, che dunque sono presenti, anche se in modo implicito.
Nomi singolari e universali, astratti e concreti
Il verbo è fatto per stare dalla parte del predicato e non è legato ad un solo soggetto. Almeno di diritto, se non di fatto, un verbo è atto ad esser predicato di più soggetti, è cioè universale.
Lo stesso vale anche per i nomi. Abbiamo ricordato, poco fa, che noi usiamo il verbo essere per significare una attualità di un soggetto, ed un nome per specificare di quale attualità si tratti. Il nome si trova anch’esso ad essere, di natura sua, predicabile di più soggetti : dunque lo diremo universale.
Questo riflette il nostro modo di conoscere, perché noi parliamo delle cose secondo che possiamo conoscerle. Noi, appunto, conosciamo giudicando ; e nel giudizio ciò che sta dalla parte del predicato prescinde, astrae, dall’individualità del soggetto. Di questo abbiamo già parlato. All’astrazione di ciò che conosciamo corrisponde, nel linguaggio, l’universalità di ciò che predichiamo.
Vorrei far notare come l’astrazione delle nozioni semplici sia legata alla conoscenza giudicativa, e sia una caratteristica estremamente conveniente per il nostro modo di conoscere : se così non fosse, dovremmo ripetere di volta in volta una nuova ricerca, poiché ogni caratteristica sarebbe vera solo per quel determinato soggetto e per quella singola volta. Invece, potendo conoscere astraendo, noi possiamo conoscere certe cose una volta per tutte. Sapere cioè che un certo frutto è edule, che una certa sostanza cura la febbre, e così via, senza dover riscoprire ogni volta queste proprietà. Quando diciamo che i predicati sono “universali”, traduciamo una espressione greca che indicava appunto “dappertutto” .
Noi conosciamo anche le cose nella loro individualità, anzi, come vedremo, Aristotele ci insegna che tutto parte appunto da lì. “Sostanza prima” (dove “prima” significa presupposta ad ogni altro modo derivato , di usare la parola “sostanza”) è “questo uomo”, “questo cavallo”, cioè “questa cosa qui”.
Il linguaggio ci aiuta a capire come si intrecci, nel nostro conoscere intelligente, l’astrarre ed il comprendere che ogni cosa che esiste è indubbiamente una. La parola “questo” è legata alla consapevolezza di una osservazione, di una immagine sensibile, mentre la parola “uomo”, o “cavallo”, ci ricorda che nel nostro mondo di cose che esistono per generazione, le caratteristiche di chi esiste non sono esclusive di questo o quello, ma sono comuni a tutti quelli che appartengono ad una stessa specie, e giustamente vengono colte prescindendo all’individualità di chi le possiede. Questo fa pensare che la nostra intelligenza sia fatta apposta per un mondo di cose generabili e corruttibili, di cui facciamo pur parte. Ma queste considerazioni ci portano fuori dal compito del logico.
Nomi singolari saranno quelli che significano “questa cosa”. I nomi propri di persone, animali e cose sono tali. In genere li troveremo al soggetto delle enunciazioni, salvo certe espressioni come “Giorgio è Giorgio !” o cose del genere. È molto difficile costruire un predicato che esprima con soli termini universali, senza cioè usare “questo” o “quello”, ossia senza far riferimento alla conoscenza sensibile, una certa cosa. Espressioni come “L’Autore de ‘I promessi sposi’”, oppure “Il primo uomo che mise piede sulla Luna” e così via, lasciano comunque l’uditore, se già non conosce di chi si tratti, nella necessità di chiedere ulteriori spiegazioni che rimanderanno a nomi propri.
Fanno eccezione quei nomi singolari con cui denominiamo le caratteristiche conosciute in astratto. Siano essi verbi all’infinito usati come nomi di un certo operare, oppure nomi che significano l’inerire di una certa caratteristica, ad esempio “bianchezza” per significare l’esser bianco : questi nomi sono singolari proprio perché “astratti”. Un nome universale, invece, è atto ad esser predicato di più cose. Di Tizio non posso predicare l’esser uomo (o “umanità”), ma “uomo”, cioè un nome considerato come riferito a qualcuno, non quasi cosa a se stante. I nomi universali sono dunque nomi concreti (dal latino concresco, cioè “unisco” : fatti per essere uniti a...).
Uso proprio ed improprio dei nomi : la polisemia
Nomi e verbi possono essere usati con una ricchezza di significati che non è equivoca. Si era già accennato all’uso proprio ed improprio del linguaggio a proposito della conoscenza mediante immagini e modelli. Ora proviamo ad approfondire tutto ciò a proposito dei nomi (intendendo comprendere anche i verbi).
Diremo che un nome viene usato in modo univoco se significa mediante una stessa nozione (a livello di linguaggio : mediante uno stesso discorso definitorio ).
Attenzione ! non dico “quando significa sempre la stessa cosa”, oppure “quando ha sempre identico significato”. Perché non è vero che il significato sia identico. Come vedremo, dire che un uomo e un cane sono animali, pur essendo “animale” detto univocamente dell’uomo e del cane, non è dire la stessa cosa, anche se la spiegazione del nome “animale” resta la stessa. Ma di questo si parlerà più avanti, a proposito di genere, specie, differenza, e della questione della definizione.
Se invece uso due volte uno stesso nome ed esso significa mediante nozioni diverse, avremo omonimia dei significati, ed avremo uso equivoco del nome.
Quando invece dico “Giorgio è un leone” e “Giorgio è forte come un leone”, la parola “leone” significa mediante due nozioni diverse, ma collegate tra loro. Nella seconda significa mediante quel che sappiamo del leone (ed in effetti il suo significato è appunto l’animale in questione). Nella prima invece significa... quello che è il predicato della seconda. Dunque devo usare “leone” detto dell’animale per poter spiegare “leone” detto di Giorgio. Il primo significato è dunque quello principale, il secondo è derivato.
Poiché l’uditore non è portato a fraintendere, non parleremo di equivocità e di omonimia, ma di polisemia del nome “leone”.
Si potrebbe dire che, quando dico che “Giorgio è un leone”, uso un linguaggio improprio, un linguaggio figurato. Ed è vero. Ma non sempre la polisemia è tale.
Uno dei punti fondamentali della ricerca aristotelica fu di mettere in evidenza la polisemia di nomi fondamentali alla ricerca filosofica ed al linguaggio di tutti i giorni. Per esempio : “essere”, “realtà”, “agire”, “atto”, “potere”...
“Bene” detto di una proprietà terriera non è uso improprio di “bene” detto di qualche altra cosa. Ogni cosa è buona a modo suo, e come tale è un bene. L’interesse del filosofo è appunto scoprire il senso principale : se esso coincidesse con ciò per cui ogni altra cosa è buona, avrebbe trovato il Bene con la “B” maiuscola. Purtroppo questo desiderio resta frustrato, almeno secondo S. Tommaso : quanto al modo di conoscere, e dunque quanto al modo di significare, l’analogato principale è il bene detto delle creature di cui abbiamo esperienza in questa vita. Quanto alla realtà significata, invece, arriviamo a capire che il bene principale è Dio. Ma questo non ci dà la soddisfazione sperata, in quanto dire “Dio è buono” significa che “quello che noi chiamiamo bene quaggiù, preesiste in Dio (è perché è buono Lui che siamo buoni anche noi), ma in un modo diverso che supera la nostra comprensione”. Resta così vero che di Dio sappiamo quello che non è, piuttosto che quello che è.
Se volessimo cercare un criterio per distinguere tra analogia (nel senso particolare che abbiamo cercato di spiegare) e forme di linguaggio polisemantico improprio (metafora, metonimia...) potremmo suggerire questo : se la connessione che fonda il rapporto tra senso principale e sensi derivati è reale e non accidentale, allora parleremo di analogia. Ad esempio (è di Aristotele) diciamo sano l’organismo, ma anche il cibo (che causa la salute) e l’aspetto (che è sintomo della salute). Se invece questa relazione è posta da noi per somiglianze o altri rapporti accidentali (ad esempio, per via della rotondità, parliamo di “occhio del ciclone” e di “occhio di grasso nel brodo”), parleremo di linguaggio improprio.
La “supposizione” dei nomi
Terminiamo con una delle più celebri teorie della logica scolastica, dal XII secolo in poi. Teoria che Tommaso conosceva, ma cui non ha dato molta rilevanza. E, del resto, non è aristotelica. Come per quanto detto sopra, parlando di “nomi” intendiamo anche i verbi. Prendiamo lo spunto da un celebre manuale di filosofia aristotelico-tomista dei nostri giorni.
Chiamando “termini” i nomi e i verbi (per S. Tommaso questa denominazione sarebbe propriamente da riservare allo studio della argomentazione, e non del giudizio e della enunciazione ), si diceva che la supposizione è l’accezione di un termine a seconda dell’esigenza della copula.
Un termine, infatti, “sta per” qualcosa. Se dico “corro è un verbo”, “corro” sta per il termine stesso, è cioè nome di una espressione verbale ben precisa, cioè di se stesso. In questo caso si parla di supposizione materiale.
Se la supposizione non è materiale, allora il termine suppone per un suo significato, e si parlerà di supposizione formale. Essa può essere propria o impropria, come si è visto dagli esempi fatti prima con il nome “leone”.
Se è propria, può essere semplice (o logica), oppure reale (o personale) : per esempio la voce “uomo”, ma pure il concetto “uomo” , significherebbe immediatamente la natura umana, che sarebbe il significato immediato del termine. In tal caso si direbbe che il termine suppone in modo semplice o logico. Però lo stesso termine, mediante la natura umana, suppone per gli individui umani, e questa è la supposizione reale o personale del termine “uomo”.
Sia la supposizione semplice sia la supposizione reale possono essere universali o singolari. Per esempio in: “l’uomo è una specie”, “uomo” ha supposizione universale semplice ; in “l’uomo è un vivente” ha supposizione universale reale. In “Platone è un individuo” la supposizione di “Platone” è singolare semplice ; in “Platone è un animale” è infine singolare reale.
La divisione proseguirebbe, ma a noi basta fermarci a questo punto. “Supporre per”, “stare per”, ed espressioni equivalenti rispecchiano una visione della significazione molto affine a quella stoica, e presuppongono, che lo si voglia ammettere o meno, una conoscenza mediante rappresentazione. Di fronte al segno della cartina geografica militare, infatti, io mi chiedo che cosa significhi appunto nel senso di “per che cosa sta questo segno ?”. Abbiamo già notato come tutto ciò sia possibile, ma entro certi limiti : non si può estendere a tutto il conoscere questo aspetto, e neppure si può accettare una teoria della significazione che riduca tutto il conoscere ad un conoscere mediante rappresentazione. La scuola aristotelico-tomista purtroppo è caduta in questa sorta di trappola, probabilmente inevitabile per motivi di storia della cultura, ma non pare sia fedele, in questo, al pensiero degli Autori cui vorrebbe ispirarsi.
È probabile che la disputa tra realisti, immanentisti, idealisti... a proposito di fenomeno e “cosa in sé”, così come la irrisolta e secolare disputa sugli universali, siano in qualche modo collegate a questo modo di considerare le cose.
Vedremo nelle prossime lezioni, studiando la divisione delle enunciazioni e la contraddizione, come S. Tommaso tratti le tematiche che la teoria della supposizione cercava di comprendere. Indubbiamente avrete già notato che la distinzione tra nome preso materialmente e nome preso formalmente è già stata toccata da noi. Il motivo della denominazione “materiale - formale” è legata al fatto che il linguaggio, come ogni artefatto, ha in certo qual modo un materiale che viene trasformato. La forma è la significazione che viene attribuita al segno. La materia è il segno. Dunque chi dice “corro è un verbo” prende “corro” in quanto segno, e non quanto al significato, che è l’azione di chi corre.
Anche per quanto segue, cf. S. TOMMASO, Summa Theologiae, I pars, q. 13, a. 5. È interessante notare come in greco sia la definizione, sia la nozione, sia infine il discorso definitorio potessero essere espressi con l’unica parola “lògos”. Questo può rendere problematiche le traduzioni di Aristotele.
GREDT I., Elementa philosophiae aristotelico-thomisticae, ed. XIII recognita et aucta ab E. ZENZEN, Herder, 1961, 2 voll., vol I, nn. 44-45. Per una valutazione storica, cf. BOCHENSKI, La logica formale, op. cit., vol. I, pp. 217-230 ; R. PIOVESAN, voce “significato” in Enciclopedia filosofica, Sansoni, Firenze 1967 (II ed.), vol. V, coll 1340-1354.
Fonte: http://digilander.libero.it/fsparenti/Logica/Logica04.rtf
Sito web : http://digilander.libero.it/fsparenti/
I nomi
I nomi possono essere di: Persona, animale, cosa, comune, proprio, maschile, femminile, singolare, plurale, derivato, alterato, composto, primitivo, collettivo,concreto, astratto, soprabbondante.
Collettivi |
Concreti |
Astratti |
Primitivi |
Derivati |
Alterati |
Composti |
Difettivi |
I nomi collettivi sono nomi che anche nella forma singolare indicano un insieme di cose, animali e persone. Es: |
I nomi concreti sono nomi di qualcosa che si può toccare, annusare,guardare, disegnare. Es: |
I nomi astratti indicano qualcosa che non si può vedere, toccare, annusare e sentire ma sono dentro di sé Es: |
I nomi primitivi sono quelli che non derivano da nessun’altra parola. Es: |
I nomi derivati sono nomi che derivano da altri nomi (primitivi) Es: Da latte: Da pesce: |
I nomi alterati sono nomi che acquistano un significato diverso rispetto il nome primitivo. Possono essere: Es: |
I nomi composti sono nomi che si formano unendo due parole o nomi. Es: |
I nomi difettivi sono quelli che mancano di singolare o del plurale. Es: |
Fonte: http://digilander.libero.it/ProntoSoccorsoScuola/ITALIANO/I%20nomi.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/ProntoSoccorsoScuola/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Il nome
I nomi sono caratterizzati da tratti inerenti; distinguiamo ad esempio:
nomi propri Londra, Rossella vs nomi comuni tavolo, gatto
nomi concreti orologio, sedia vs nomi astratti sincerità, fermezza
nomi massa sabbia, vino vs nomi numerabili foglio, lavagna
Le ultime due classi si incrociano, infatti i nomi possono appartenere a più sottocategorie contemporaneamente; possiamo infatti avere:
concreti numerabili: penna, antenna
astratti numerabili: opinione, strategia
concreti massa: birra, argilla
astratti massa: tolleranza, ilarità
Diversamente da quanto accade con i verbi, che sono intrinsecamente relazionali, le valenze dei nomi non devono necessariamente essere saturate, cioè un nome può sempre apparire senza complementi.
Distinguiamo due categorie di nomi:
- nomi non argomentali: si tratta generalmente di nomi concreti (il cui complemento esprime in genere una relazione di possesso):
La villa (dei Rossi) è chiusa da tempo
- nomi argomentali: si tratta generalmente di nomi astratti i cui complementi realizzano dei veri argomenti, cioè hanno una funzione semantica definita:
La partenza (di Gianni) era prevista per le otto
Alcuni dei nomi argomentali possono essere usati con significato concreto:
La costruzione del palazzo richiese tre mesi
Quella costruzione deturpa il paesaggio
A. Nomi non argomentali
Questi nomi designano in genere oggetti; come tali specificano una relazione generica R fra il nome ed un suo pseudo-argomento dipendente dal contesto:
La fotografia di Gianni è sul tavolo
Il regalo di Gianni è avvolto in carta rossa
Il palazzo delle assicurazioni
Qui l’argomento introdotto da di può esprimere diverse relazioni con il nome; in (i) può identificare la persona che ha fotografato o che è stata fotografata, o che possiede la foto (o, al limite, che ha parlato di essa); in (ii) può identificare l’autore del regalo, il destinatario, o ancora colui che ha scelto o ideato il regalo.In questo caso la relazione R stabilita dal nome con il suo argomento è generica, come nei seguenti casi:
a. la casa di Maria b. il libro di mio fratello
c. il tavolo di marmo d. le ville di campagna
Di solito un nome non permette di identificare più di due relazioni R:
a. il mio quadro di Matisse b. il quadro di Maria di Matisse
c.*il mio quadro di Maria (=che Maria mi ha regalato) di Matisse
d.* il quadro di Maria di Matisse di Gianni
Se è espresso il possessore, esso diventa l’unico argomento che può venire reso dal possessivo:
a. Il libro di Moravia sulla sua vita b. Il suo libro sulla sua vita
a. Il libro di Moravia di Gianni b. Il suo libro di Moravia
c.*Il suo libro di Gianni
Altri casi di relazione R sono quelli in cui un argomento è introdotto dalla preposizione da, con significato generalmente finale:
a. farina da dolci b. tavolo da ping pong c. stivali da giardino
Quando l’argomento del nome introdotto da da è un infinito, il significato può essere deontico, come in (i), o consecutivo, come in (ii):
(i) a. un film da vedere b. un manufatto da vendere
(ii) a. uno spavento da morire b. un film da ridere
c. una figuraccia da sotterrarsi
Complementi non argomentali possono essere introdotti anche da altre preposizioni, in genere in frasi relative ridotte:
a. la casa in montagna b. la sedia senza braccioli
c. il libro sullo scaffale d. le scarpe con i lacci
L’ordine reciproco di argomenti o relazioni R e complementi non argomentali è piuttosto libero, ma alcune specificazioni di tipo restrittivo devono apparire adiacenti alla testa nominale, come in (ii):
(i) a. la casa di mia sorella in montagna
b. la casa in montagna di mia sorella
(ii) a. il libro di storia di Gianni b.??il libro di Gianni di storia
a. l’orologio d’oro di mia madre b.*l’orologio di mia madre d’oro
B. Nomi argomentali
Distinguiamo i nomi argomentali a seconda del numero di argomenti in monoargomentali, biargomentali, triargomentali.
Si parla di nomi transitivi soltanto in senso lato perché i loro argomenti sono sempre introdotti da una preposizione (in genere di).
1. Nomi monoargomentali
Questi nomi corrispondono a verbi intransitivi e ne condividono la griglia tematica, cioè assegnano un solo ruolo tematico (di agente o di tema):
lavorare/lavoro: <agente> camminare/camminata: <agente>
agire/azione: <agente> arrivare/arrivo: <tema>
L’argomento che nelle strutture frasali funge da soggetto nelle strutture nominali è preceduto sempre dalla preposizione di, mentre gli altri complementi preposizionali, se presenti, vengono espressi da un sintagma preposizionale:
a. Gianni ha lavorato efficacemente a. Il lavoro di Gianni è stato efficace
b. Gianni ha camminato faticosamente b. La faticosa camminata di Gianni
c. La polizia agì improvvisamente c. L’improvvisa azione della polizia
d. Marco è arrivato in anticipo d. L’arrivo anticipato di Marco
Talvolta il soggetto può essere introdotto dalla locuzione preposizionale da parte di, che esprime in questo caso la provenienza dell’azione:
Quella telefonata da parte di Gianni mi disturbò
Quell’azione da parte della polizia fu riprovevole
2. Nomi biargomentali
2.1 Questi nomi corrispondono generalmente a verbi transitivi, di cui conservano la struttura biargomentale:
descrivere/descrizione: <agente, tema>
In questo tipo di nominalizzazioni sia il soggetto che il complemento oggetto sono preceduti dalla preposizione semanticamente vuota di:
Gianni ha descritto la collega
La descrizione di Gianni della collega è troppo lusinghiera
L’elemento corrispondente al soggetto della struttura frasale può anche essere espresso da un pronome possessivo:
La sua descrizione della collega è troppo lusinghiera
Si può avere una passivizzazione parziale quando il costituente che funge da soggetto è preceduto dalla locuzione da parte di:
La descrizione della collega da parte di Gianni è troppo lusinghiera
In questo caso il costituente che funge da oggetto può essere pronominalizzato con un possessivo, e si ha una passivizzazione totale:
La sua descrizione da parte di Gianni è troppo lusinghiera
attendere/attesa: <agente, tema>
Gianni ha atteso Maria per tre ore
L’attesa di Maria di Gianni è durata tre ore
La sua attesa di Maria durò tre ore
L’attesa di Maria da parte di Gianni durò tre ore
La sua attesa da parte di Gianni durò tre ore
Nel caso in cui venga realizzato un solo argomento esso risulta ambiguo tra l’interpretazione di soggetto e quella di oggetto:
La descrizione di Gianni L’attesa di Maria
2.2 Nomi connessi a verbi psicologici
2.2.1 Questi nomi derivano da verbi psicologici transitivi e ne conservano la griglia tematica:
ammirare/ammirazione: <esperiente, tema>
Tuttavia, in queste nominalizzazioni uno degli argomenti viene introdotto da una preposizione diversa da di, cosicché si parla intransitivizzazione della struttura.
Il costituente che riceve il ruolo tematico di esperiente è preceduto dalla preposizione di mentre quello che riceve il ruolo tematico di tema viene introdotto da una preposizione diversa (di solito per):
Gianni ammira Maria sinceramente
La sincera ammirazione di Gianni per Maria
Gianni disprezza profondamente Maria
Il profondo disprezzo di Gianni per Maria
Questo libro interessa Maria L’interesse di Maria per questo libro
La salute di Gianni preoccupa Maria
La preoccupazione di Maria per la salute di Gianni
Gianni ha giudicato Maria negativamente
Il giudizio negativo di Gianni su Maria
E’ possibile pronominalizzare l’esperiente con un possessivo:
La sua ammirazione per Maria è sincera
Il suo interesse per questo libro è notevole
Con questo tipo di nomi è possibile solo una passivizzazione parziale facendo precedere l’esperiente dalla locuzione da parte di:
L’ammirazione per Maria da parte di Gianni è sincera
L’interesse per questo libro da parte di Maria è notevole
Tuttavia non è possibile una passivizzazione totale pronominalizzando il tema con un possessivo:
*La sua ammirazione da parte di Gianni è sincera
*Il suo interesse da parte di Maria è notevole
2.2.2 Nomi non passivizzabili
Questi nomi, anch’essi connessi a verbi psicologici, danno origine a strutture ambigue rispetto all’individuazione dell’esperiente e del tema, entrambi introdotti dalla preposizione di:
desiderare/desiderio: <esperiente, tema>
Il desiderio di Maria di Gianni La paura di Maria di Gianni
Questo tipo di nomi sono definiti non passivizzabili perché il costituente che riceve il ruolo tematico di esperiente non può essere introdotto dalla locuzione da parte di:
*Il desiderio di Maria da parte di Gianni
*La paura di Maria da parte di Gianni
In questo tipo di nomi il possessivo può esprimere solo l’esperiente:
Il suo desiderio (di Gianni/di Maria) La sua paura (di Gianni/di Maria)
Al contrario, un pronome preceduto da di può esprimere solo il tema e mai l’esperiente:
Il desiderio di lui di Maria La paura di lui di Maria
Quindi, nei seguenti esempi il pronome possessivo può esprimere solo l’esperiente ed il pronome personale il tema:
Il suo desiderio di lui La sua paura di lui
2.3 Nomi inerentemente passivi
Esistono alcuni nomi inerentemente passivi, connessi a verbi transitivi, il cui argomento esterno, se espresso, deve essere preceduto dalla locuzione da parte di:
catturare/cattura: <agente, tema>
La cattura del colpevole da parte della polizia/*della polizia
La acquisizione del linguaggio da parte dei bambini/*dei bambini
La trasmissione delle informazioni da parte della spia/*della spia
Il possessivo, se presente, può solo riferirsi al soggetto della corrispondente frase passiva, cioè al costituente che riceve il ruolo tematico di tema:
La polizia ha catturato il colpevole
Il colpevole è stato catturato dalla polizia
La sua cattura (da parte della polizia)
3. Nomi triargomentali
I nomi triargomentali corrispondono a verbi transitivi trivalenti:
restituire/restituzione: <agente, tema, destinatario>
a. Gianni sorprendentemente restituì quel libro a Maria
b. Gianni ha offerto spontaneamente aiuto a Maria
Nella nominalizzazione soggetto e oggetto diretto della struttura frasale sono introdotti da di, mentre l’oggetto indiretto mantiene la preposizione a:
La sorprendente restituzione di Gianni di quel libro a Maria
La spontanea offerta di aiuto di Gianni a Maria
Il soggetto può anche essere pronominalizzato dal possessivo:
La sua sorprendente restituzione di quel libro a Maria
La sua spontanea offerta di aiuto a Maria
Nella passivizzazione il soggetto appare ultimo nella sequenza e viene preceduto dalla locuzione da parte di:
La sorprendente restituzione di quel libro a Maria da parte di Gianni
La spontanea offerta di aiuto a Maria da parte di Gianni
Non solo i verbi ed i nomi, ma anche altre categorie lessicali hanno una loro struttura argomentale:
invidioso: aggettivo; 1 (2)
NP PP
fra: preposizione; 1 2 3
NP NP NP
Il pronome
Pronomi liberi vs clitici
In italiano come in altre lingue romanze troviamo un doppio paradigma dei pronomi personali:
me/mi te/ti lui-lei/lo-la noi/ci voi/vi loro/li-le
ti inviteranno vs inviteranno te
Sulla base delle loro proprietà distribuzionali distinguiamo pronomi liberi/tonici e clitici/atoni; mentre i primi hanno la stessa distribuzione di altre espressioni nominali, l’occorrenza dei secondi è limitata ad alcune posizioni all’interno della frase.
I seguenti criteri permettono di discriminare tra le due classi:
a) i pronomi clitici non possono apparire in posizioni che possono essere occupate da nomi o da pronomi liberi:
Inviteranno Gianni/lui/*lo Ha raccontato tutto a Maria/lei/*le
Rossella ha visto tua sorella/te/*ti
b) i pronomi clitici si presentano sempre uniti al verbo e possono esserne separati solo da altri pronomi, restrizione che non vale per i pronomi liberi:
Gli ho già raccontato tutto
*Gli già ho raccontato tutto Glielo ho già raccontato
Mi spediscono gli inviti domani
*Mi domani spediscono gli inviti Me li spediscono domani
c) l’ordine relativo dei pronomi clitici è rigido:
Glielo racconterò *Lo gli racconterò
Presenterò te a lui / a lui te
d) un pronome clitico non può apparire in isolamento:
A chi l’hai spedito? A Gianni/A lui/*Gli
Chi hanno incontrato? Maria/Lei/*La
e) due pronomi clitici non possono essere coordinati:
Hanno invitato Alberto e Rossella/ lui e lei/*lo e la/*lo e lei/*la e lui
*Lo e la hanno invitato/i
f) un pronome clitico non può essere dotato di accento contrastivo:
Hanno invitato LUI, non LEI *Hanno invitato LO, non LA
ALBERTO, non ROSSELLA
g) un pronome clitico non può essere modificato:
Ho visto anche loro vs Anche li ho visti
Hanno invitato solo lei vs Solo la hanno invitata
La posizione dei pronomi clitici rispetto al verbo è determinata dal verbo con cui essi cooccorrono; se il verbo è di modo finito lo precedono, e sono detti proclitici:
La inviteranno senz’altro Vi hanno visti ieri
Se il verbo è di modo non finito o all’imperativo, lo seguono e si dicono in questo caso enclitici (ma nell’imperativo negativo entrambe le posizioni sono possibili):
Vorrei vederlo Incontratolo Avendole già scritto
Mangialo Telefonategli
Non invitarlo/lo invitare
In italiano le due particelle ci e ne si comportano, dal punto di vista distribuzionale, come dei pronomi clitici, pur non avendo dei tratti di persona; esse devono comparire adiacenti al verbo:
Ci siamo già stati *Ci già siamo stati
Ieri ne ho comprati molti *Ne ieri ho comprati molti
Possono comparire con altri pronomi solo in un ordine fisso:
Ce l’ho messo io *Lo ci ho messo io
Gliene regalo tre *Ne gli regalo tre
Ce ne sono alcuni *Ne ci sono alcuni
Te ne parlerò in un’altra occasione *Ne te parlerò in un’altra occasione
Come i pronomi clitici, la particella ne può far scattare l’accordo con il participio passato:
Ne ho visto/i tre Li ho visti *Ho visti loro
Di che cosa avete parlato? *Ne (=di questo) Dove siete andati? *Ci
*NE ho parlato, non di questo
*CI siamo andati, non là
*Ce e ne hanno portati alcuni
Pronomi personali vs riflessivi
I pronomi personali possono avere un uso:
- deittico, quando il loro riferimento è determinato dal contesto comunicativo, situazionale o extralinguistico, al pari di una espressione nominale:
Ho incontrato Alberto/lui – L’ho incontrato
- anaforico, quando il riferimento è determinato in base ad un antecedente, cioè ad una espressione nominale presente nella stessa frase o discorso:
Ho telefonato ad Alberto, ma non l’ho trovato
Non sempre tuttavia un pronome personale può ricevere referenza da un antecedente; anzi in una frase semplice ciò non è generalmente possibile:
Albertoi loj/*i ha invitato
[I suoi amici]i hanno spedito loroj/*i una cartolina
Qui lo/loro hanno referenza deittica e non possono riferirsi all’antecedente nominale nella frase; analogamente nella seguente lo può riferirsi ad Alberto o ad un altro individuo ma non a Paolo:
Albertoi presume che Paoloj non loi/l/*j abbia informato correttamente
Diversamente dai pronomi personali, i pronomi riflessivi devono avere un antecedente nella frase semplice che li contiene, quindi hanno sempre uso anaforico:
Albertoi sii è superato / Rossellai sii è ingannata
Albertoi ha superato se stessoi/*stessa
*Se stessoi ha superato Albertoi
proi ha superato se stessoi/ai (con soggetto nullo)
Albertoj ritiene che Paoloi abbia rovinato se stessoi/*j
Albertoi ritiene che Rossella abbia criticato luii/j
Luii ritiene che Rossella abbia criticato Alberto j/*i
I possessivi in italiano si comportano come aggettivi mentre in altre lingue hanno la stessa distribuzione dei determinanti:
il/questo mio libro *the/this my book
*mio libro my book
In italiano essi sono una categoria intermedia tra aggettivi e pronomi (mentre possiamo dire che in inglese hanno uno statuto intermedio tra determinanti e pronomi). Le analogie dei possessivi con i pronomi consistono nel fatto che essi condividono il tratto di persona/numero:
singolare 1 mio 2 tuo 3 suo
plurale 1 nostro 2 vostro 3 loro
Anche i possessivi possono essere usati deitticamente o anaforicamente:
Il suo impegno non fu premiato
Quello studente si comportò diligentemente ma il suo impegno non fu premiato
Inoltre, nella determinazione dell’antecedente, mentre i pronomi possessivi suo/loro possono essere usati sia deitticamente che anaforicamente, il possessivo riflessivo proprio può essere usato solo anaforicamente, con un antecedente all’interno della frase semplice:
*Il proprio impegno non fu premiato
[Quello studente]i è consapevole delle propriei capacità
[L’insegnante]j sa che [lo studente]i è consapevole delle propriei/*j capacità
Fonte: http://www.unive.it/media/allegato/download/Lingue/Materiale_didattico_Poletto/0607_linguistica_italiana/sint4_nomi&pronomi.rtf
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