Regolatori pid controllori pid

 

 

 

Regolatori pid controllori pid

 

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Regolatori pid controllori pid

 

Pid

 

Cominciamo ad occuparci di regolatori Pid, con una considerazione abbastanza semplice: abbiamo visto una slide in cui era rappresentato il tipico sistema di controllo a controreazione, con il sistema da controllare, l’attuatore, il dispositivo di misura, il riferimento e per ultimo l’operatore. Quindi per questo schema l’anello di controreazione si chiude attraverso l’operatore. La prima operazione che l’operatore effettua per la regolazione è la verifica della differenza tra il valore desiderato ed il valore ottenuto della variabile controllata. Dopo aver acquisito questo errore agisce sul forzamento al fine di ridurlo, ed in prima approssimazione effettua questa l’azione di controllo in maniera proporzionate. Quando il valore ottenuto è prossimo al valore del riferimento, allora continua ad agire in maniera più soft più delicata, fino ad ottenere che il valore desiderato ed il valore ottenuto coincidano. In altre parole quando l’errore diventa minimo l’operatore agisce con un’azione integrale. Poi se conosce l’impianto, provvede a dare delle azioni aggiuntive in funzione dell’andamento dell’errore, ossia verifica se l’errore ha delle variazioni brusche o meno e fornisce dei forzamenti di conseguenza agendo come una derivata. L’operatore esperto che controlla manualmente un sistema a controreazione agisce globalmente secondo una procedura in parte proporzionale, in parte integrale ed in parte derivativa. La modalità di controllo di un operatore in generale è la seguente: prima acquisisce una certa esperienza dell’impianto da controllare, effettuando il controllo con azioni proporzionali più integrali, ed in seguito comincia ad aggiungere l’azione derivativa. Quindi l’azione derivativa viene applicata quando è in possesso di una certa esperienza. Facciamo un esempio molto semplice: consideriamo di dover guidare per la prima volta un motoscafo, e quindi di dover seguire una determinata rotta. La prima operazione che si fa è cercare di seguire la rotta dolcemente, lentamente. In seguito al fine di velocizzare le operazioni, si danno delle virate che la barca non riesce a seguire. In altri termini viene data un’azione derivativa senza la conoscenza del sistema, per cui saranno necessarie continue correzioni di rotta. Deduciamo che in generale l’operatore che non conosce l’impianto sbaglia nel dare l’azione derivativa. La maniera più semplice per sostituire l’operatore nel precedente schema di controllo e passare dal controllo manuale al controllo automatizzato è quello di mettere al suo posto un dispositivo che ne copi il comportamento. È il tipico esempio del ragazzo dell’ascensore. Infatti al suo posto si inseriva un dispositivo a logica programmata che ricopiava le azioni dell’operatore. Con la strategia di controllo Pid si procede allo stesso modo, ossia le azioni di controllo di tipo proporzionale più integrale più derivativo non sono altro che azioni di controllo che ricopiano quello che farebbe un operatore esperto con tutti i suoi limiti. I limiti sono insiti nella limitatezza delle azioni che l’operatore riesce ad eseguire e non nella sua rapidità di risposta, perché come detto precedentemente l’operatore riesce solo ad eseguire operazioni integrali, proporzionali e derivative, non sa fare altro. Ribadiamo quindi che la regolazione attraverso modalità di controllo di tipo Pid, è la copia di ciò che farebbe un operatore esperto, né più e né meno di come il dispositivo a logica programmabile copia quello che fa un operatore nel sequenzializzare una serie di eventi, e quindi ha una intrinseca limitazione data dalla stessa strategia di controllo. Continuiamo descrivendo gli scenari che si possono presentare. Il primo è quello di un impianto estremamente sovradimensionato, in cui l’operatore può utilizzare una tecnica di controllo di tipo on-off perché le sollecitazioni del forzamento di tipo on-off vengono filtrate dalla costante di tempo del sistema da controllare. Quindi per ingressi di tipo on-off si ha un uscita di tipo continuo con delle piccole oscillazioni sovrapposte. È il caso dello scaldabagno, nel forno per il pane e di tantissimi altri impianti che sono estremamente sovradimensionati. Ovvero le oscillazioni che si producono da questo funzionamento rimangono confinate all’interno della banda di tollerabilità dell’impianto. Ribadiamo che si tratta di impianti estremamente sovradimensionati per i quali basta fare una regolazione di tipo on-off per ottenere che la variabile controllata insegua la variabili desiderata, con la condizione che le variazioni della variabili desiderata siano molto più lente nella dinamica del sistema da controllare. Questo succede molto spesso nei sistemi in cui deve essere fissato il valore della temperatura, o in generale un valore, e tale valore deve rimanere invariato per un intervallo lunghissimo di tempo. Per questi sistemi l’oscillazione che si produce non ha molto interesse se rimane dentro i limiti, e quindi si controllano con un azione di controllo di tipo on-off. Le pecche di questo tipo di intervento sono rappresentate dall’inevitabile oscillazione presente sulla variabile controllata, perché l’attuatore funziona in condizioni gravose ed è sollecitato nella maniera peggiore. Ossia il relais che effettua l’azione di controllo dopo un certo numero di cicli si può guastare e dunque questa modalità di controllo va a discapito della durata dell’attuatore. Gli attuatori come i relais sono poco costosi, ma ci sono degli attuatori che costano molto quindi bisogna stare attenti a cercare di allungarne il periodo di lavoro. Il secondo tipo di scenario che si può presentare è quello dei sistemi sovradimensionati. Come per ogni sistema di controllo, al momento del dimensionamento, è stata individuata la variabile controllata, la variabile di forzamento, ma soprattutto è stato individuato il disturbo prevedibile con la sua banda di variazione, la sua possibile forma ecc.. Quindi sono stati dimensionati in modo tale che applicando un disturbo del tipo previsto la variabile controllata rimanesse nelle specifiche di funzionamento. Un tipico esempio è il volano delle macchine alternative, come ad esempio le automobili, dove la coppia non è continua, ma avviene in corrispondenza dell’accensione dei vari cilindri. Si tratta quindi di una coppia alternativa con delle oscillazioni che non devono essere trasmesse all’albero. Il sistema da controllare risulta sovradimensionato in questo senso, ossia è dimensionato in modo tale che l’effetto di disturbi prevedibili, sia come natura del disturbo che come entità del disturbo non facciano uscire fuori dalle specifiche il sistema. La terza classe dei sistemi che possiamo incontrare è rappresentata dai sistemi che sono dimensionati per le funzionalità che devono esplicare. Nel senso che per questo sistema il raggiungimento delle prestazioni, attraverso il forzamento, è affidato alla modalità di controllo. Quindi è un tipo di sistema completamente differente dai primi due. I compressori di vecchia concezione si realizzavano con un motore a velocità costante, in grado di erogare coppia praticamente costante, e gli si aggiungeva un volano calcolato in maniera tale che le variazioni della coppia necessarie per poter azionare il compressore non facessero mai scendere la velocità del volano al disotto dei limiti che il motore era in grado di tollerare. I compressori realizzati con queste concezioni sono caratterizzati sempre da volani molto grandi. Invece nei compressori di concezione più moderna il volano è assente, perché si utilizzano dei motori controllati in coppia, in modo tale che istantaneamente si è in grado di assorbire la coppia in eccesso, trasformarla in energia e restituirla alla sorgente primaria di alimentazione, oppure si è in grado di erogare la coppia richiesta quando serve. Nel primo caso siamo di fronte a un sistema sovradimensionato, mentre nel secondo caso siamo di fronte ad un sistema dimensionato per la sua funzionalità. La differenza di fondo è che mentre nel primo caso la modalità di controllo è un qualche cosa che migliora un comportamento che è già buono perché il sistema è stato dimensionato in quella maniera, nel secondo caso il comportamento dipende dalla modalità di controllo. Questa è la distinzione di fondo che dobbiamo sempre fare e da questa distinzione deduciamo se il controllo è un qualche cosa di marginale necessario solo a migliorare il comportamento del sistema perché attenuazione dell’effetto dei disturbi la fa già l’impianto sovradimensionato. Per questi sistemi il controllo deve solo:

  • Attenuare l’entità dei disturbi casuali.
  • Riportare la variabile controllata al valore della variabile desiderata se questa si sposta per effetto di un disturbo costante.

Nel secondo caso, invece, il controllo deve fare tutto ossia attenuare l’effetto dei disturbi e garantire la precisione a regime permanente. Come abbiamo detto nel primo caso ci troviamo di fronte ad un sistema sovradimensionato, per il quale il costo è nettamente superiore al costo del controllo. Invece nel caso di un sistema dimensionato per la sua funzionalità il sistema da controllare costa molto meno del corrispondente caso sovradimensionato, ma costa molto di più il controllo. Facendo un paragone possiamo dire che quello che costa meno è il sistema dimensionato per la sua funzionalità, perché innanzitutto costa meno realizzare il sistema da controllare, e nonostante che il controllo sia più costoso bisogna ricordarsi che quest’ultimo rappresenta solo una piccola parte del costo totale dell’impianto. Facendo i conti la somma dei due costi è inferiore al caso sovradimensionato. Poi bisogna ricordare anche caratteristiche dell’impianto quali il rendimento, le prestazioni e la flessibilità che per il secondo tipo di struttura sono senz’altro migliori. Per una tecnico non esperto nel controllo, l’impianto sovradimensionato è molto più facile da controllare, e quando si sente dire che non serve avere una cultura specifica nei controlli perché i sistemi si possono far funzionare ugualmente, ci si riferisce sempre a impianti sovradimensionati. Ma come già detto prima in questo caso non si tiene conto del maggior costo dell’impianto, del minor rendimento proprio e così via. Quindi un impianto non sovradimensionato costa meno, ma è più difficile farne il controllo perché può essere fatto solo da uno specialista, e questo concetto in alcuni settori della tecnologia non è accettato. Il generale possiamo pensare di attenerci alle seguenti regole:

  • Se il sistema è altamente sovradimensionato possiamo effettuarne il controllo con una strategia del tipo on-off.
  • Se il sistema è sovradimensionato il controllo può essere effettuato con una strategia di tipo proporzionale più integrale più derivativa.
  • Se il sistema da controllare è dimensionato per la sua funzionalità allora una strategia di controllo di tipo proporzionale più integrale più derivativo è la peggiore strategia che riesca a rendere funzionante il sistema.

Dovendo progettare un sistema di controllo la prima verifica da fare è relativa alla determinazione della natura del sistema, ossia con quale tra le tre precedenti classi stiamo lavorando. Studieremo strategie di controllo che ci permettano di elevare la modalità di controllo che possiamo effettuare nella terza classe. Poiché però s’incontrano anche sistemi relativi alle prime due classi, dovremmo essere in grado farne comunque il controllo. Prima di pianificare una strategia di controllo la domanda da porsi è se vale la pena di impegnare risorse per lo studio di una strategia evoluta. Infatti per sistemi appartenenti alle prime due classi nonostante l’utilizzo di strategie evolute non si riesce ad ottenere molto di più di quello che si può ottenere con una strategia di controllo più semplice. Per gli impianti sovradimensionati non conviene impegnarsi a livello di campo, mentre si può ottenere un miglioramento delle prestazioni lavorando a livello di gestione o a livello di coordinamento, ossia facendo in modo che l’impianto perda di meno, dissipi di meno, consumi di meno ecc. Per i sistemi sovradimensionati conviene impegnarsi a livello di campo solo quando il sistema è a parametri variabili (dinamici) perché cambia il punto di lavoro e quindi conviene inseguire la predisposizione del guadagno proporzionale più integrale più derivativo per migliorare il funzionamento dello stesso. Quindi ci possiamo impegnare a cercare quali sono le condizioni di funzionamento ottimo per il tipo di impianto e quali sono i parametri del regolatore più opportuni. A livello di campo, a livello locale, ossia a livello più basso la quasi totalità dei problemi è risolta con un regolatore di tipo Pid (Proporzionale, Integrale, Derivativo). Questa sigla nasconde un mondo molto vasto perché non è di per se significativa se non entriamo nel dettaglio. L’azione di controllo di un dispositivo Pid è quella che un operatore esperto esplica nei riguardi di un sistema da controllare quando agisce manualmente. Infatti tenendo presente che l’operatore conosce l’obiettivo che vuole raggiungere fornisce un azione di controllo, ossia interviene sul sistema da controllare, proporzionalmente all’entità di uno scostamento tra il valore attuale, che ha misurato o ha stimato, ed il valore desiderato. Quando poi si avvicina ad ottenere il risultato desiderato continua ad agire sulla grandezza di comando per farne avvenire la coincidenza. Se poi conosce molto bene l’impianto anticipa l’azione di controllo tenendo conto di qual è la dinamica dominante. Se vogliamo classificarli sotto un altro punto di vista, i regolatori Pid fanno parte di quelle modalità di controllo che ricopiano l’intervento di un operatore esperto.

Slide 2

Nella slide 2 è riportato il tipico schema di controllo, e soprattutto viene chiarita la diversità che c’è tra d(t) ed n(t). La variabile d(t) è in grado di modificare significativamente l’evoluzione del sistema e quindi è il disturbo, mentre quello che invece entra come rumore in corrispondenza del dispositivo di misura n(t) non è un grado di modificare la dinamica, ma può alterare la modalità di elaborazione della legge di controllo. Passiamo alla caratterizzazione dinamica del sistema da controllare.

Slide 3

Nello schema riportato nella slide 3 l’attuatore e il sistema da controllare li consideriamo un tutt’uno. Sul sistema complessivo agiscono la variabile di comando dell’attuatore ed i disturbi e dal sistema otteniamo la variabile controllata. I disturbi li abbiamo suddivisi in disturbi prevedibili e disturbi casuali. Cominciamo col dire che il sistema può avere una dinamica molto lenta oppure una dinamica lenta od anche una dinamica che invece è rapida. La stima di tale dinamica dipende dalla scala dei tempi che consideriamo, ma soprattutto dipende dalla capacità con cui si riesce ad intervenire sul sistema e quindi dall’effetto che ha la variabile di forzamento sul sistema. A secondo delle tre dinamiche la soluzione relativa al controllo può essere differente.

Slide 4

Il discorso che adesso affronteremo è come caratterizzare il sistema da controllare. Possiamo dire che un sistema è sovradimensionato se il comportamento dello stesso in presenza di disturbi prevedibili rimane entro specifiche previste per le prestazioni, come nel diagramma a sinistra della slide 4. L’altra tipologia di sistemi che si presenta è quella relativa ai sistemi non sovradimensionati per i quali l’effetto del disturbo sulla variabile controllata porta quest’ultima fuori del valore fissato come limite delle prestazioni e bisogna cambiare la modalità di controllo rispetto al caso sovradimensionato in quanto cambiano le modalità operative. Un sistema non sovradimensionato ha un andamento del tipo riportato a destra nella slide 4. Analizzando i grafici si può notare la differenza: non considerando il tratto iniziale dei due grafici che dipende dalla scala dei tempi, possiamo vedere che l’effetto del disturbo fa rimanere comunque la variabile controllata dentro le prestazioni per l’impianto sovradimensionato ed invece supera tale limite di escursione se si è in presenza di un impianto non sovradimensionato. Questa distinzione è molto importante perché nel secondo caso è la modalità di controllo che deve riportare la variabile controllata entro l’escursione fissata dalle prestazione. Notiamo anche che la risposta al gradino del sistema non sovradimensionato è più rapida rispetto al caso sovradimensionato, quindi le due figure non sono state elaborate casualmente.

Slide 5

Nella slide 5 è riportata una tipica caratterizzazione delle condizioni operative del sistema da controllare. Possiamo notare che le possibilità sono due: la prima è quella di lavorare nell’intorno di un punto di lavoro e la seconda è che il sistema vada da un punto di quiete ad uno stato di lavoro e viceversa. Nel grafico a destra della slide 5 si vede che la variazione a gradino della variabile di controllo non parte da zero, ne tanto meno parte da zero la risposta a tale variazione, ossia la variabile controllata non parte da zero. Facendo il confronto con la slide 4 vediamo che mentre nella slide 4 l’andamento desiderato della variabile controllata partiva da zero in questo caso non si parte da zero. Quindi si lavora intorno di una condizione di equilibrio o punto di lavoro. Nel grafico a sinistra della slide 5 è riportata la seconda possibilità ovvero che il sistema passi da uno stato di quiete ad un punto di lavoro e viceversa. Con tale suddivisione si è cercato di inquadrare il problema, ed ovviamente si hanno delle coincidenze. In genere in un sistema sovradimensionato le condizioni di funzionamento sono quelle intorno ad un punto di lavoro prefissato e la dinamica è lenta o molto lenta, mentre in un sistema non sovradimensionato si passa continuamente dallo stato di quiete alle condizioni operative e viceversa e l’effetto del disturbo supera il valore limite. Per quel che riguarda la prestazioni la dinamica è rapida o molto rapida. Di solito si hanno queste coincidenze, che però possono anche non esserci.

Slide 6

Passiamo a caratterizzare il comportamento dinamico proprio del sistema da controllare. Abbiamo suddiviso l’argomento in quattro sotto casi riportandone i grafici. In rosso abbiamo evidenziato l’andamento della variabile controllata, in viola l’andamento della variabile di riferimento ed in blu l’andamento del disturbo. Nel primo caso si è rappresentato l’andamento della variabile controllata per una variazione dell’energia immessa o prelevata. Da notare che si parla di una variazione dell’energia e non di tutta l’energia del sistema. Iniziamo ad effettuare delle considerazioni per correlare i vari fenomeni ricordando che solitamente, per i sistemi, il comportamento dinamico è collegato alle variazioni di energia. Quindi in un sistema possiamo correlare comportamento dinamico e variazione di energia tenendo presente che esistono dei sotto casi in cui questa correlazione non vale. In un sistema sovradimensionato, in genere, la dinamica è molto lenta ed il comportamento dinamico è nell’intorno di un punto di lavoro. Il secondo caso è quello in cui ci può essere non solo una variazione, ma anche una trasformazione di energia. La differenza con il caso precedente è che nel secondo c’è un’oscillazione nella risposta al gradino. Ad esempio ricordiamo il pendolo, che oscilla perché parte dell’energia potenziale si trasforma in energia cinetica e viceversa. Quindi se c’è un oscillazione, ci deve essere una trasformazione di energia. Un circuito LC supposto perfetto, ossia senza perdite, presenta un oscillazione perché l’energia da elettrostatica diviene magnetostatica e cosi via. Se ci mettiamo un diodo c’è solo la prima oscillazione. Bisogna quindi tenere sempre ben presente che se la variabile controllata ha un oscillazione, ed il sistema è a catena aperta, ci deve essere una trasformazione interna di energia. Queste informazioni ci aiutano a formulare altri casi. Infatti la trasformazione può essere dissipativa o a potenza costante. La tipica trasformazione a potenza costante è quella che avviene nei sistemi idraulici. Per il teorema di Bernoulli se aumenta la velocità diminuisce la pressione e viceversa. La presenza di una sotto oscillazione rende conto di questo tipo di fenomeno e questo rappresenta il terzo possibile caso. L’ultimo caso è quello di un immissione o un prelievo di tutta l’energia accumulata nel sistema. L’andamento che si evidenzia è l’ultimo in figura. Riassumiamo tutto quanto detto finora: i sistemi sovradimensionati in generale hanno una dinamica molto lenta o lenta, lavorano intorno ad un punto di equilibrio (la dinamica è nell’intorno del punto di equilibrio), l’effetto dei disturbi prevedibili rimane dentro la fascia consentita dalle specifiche, il comportamento dinamico avviene per una variazione di energia immessa o prelevata oppure, eventualmente, per una variazione e trasformazione di energia. In un sistema non sovradimensionato in generale la dinamica è rapida, l’effetto dei disturbi è tale che la variabile controllata esca dai limiti fissati dalle specifiche ed il comportamento dinamico è dovuto in genere al fatto che viene prelevata o immessa tutta l’energia necessaria per l’evoluzione. Consideriamo un treno: quando si avvia bisogna dargli tutta l’energia per portarlo in velocità. Quando frena bisogna sottrarre tale energia. Durante la corsa possiamo modificare l’energia per variare la velocità. L’analisi dell’andamento degli scambi energetici è stata introdotta perché è preliminare alla scelta del controllo. Infatti una volta che abbiamo fatto questo tipo di diagnosi, ossia appena abbiamo inquadrato il sistema in modo cosi preciso, possiamo cominciare a pensare ad un cura. Tale cura è la scelta di una modalità di controllo più opportuna, più adeguata, più conveniente e più ingegneristicamente valida. Passiamo ora allo studio delle possibili “cure” cominciando dalle modalità di controllo di tipo intuitive.

Slide 7

Tali modalità di controllo funzionano bene quando il sistema da controllare è a dinamica molto lenta. Per un sistema di controllo che realizza tale modalità possiamo adoperare tranquillamente un regolatore on-off a relays. Infatti essendo il sistema a dinamica molto lenta, l’effetto che possono avere le variazioni brusche di energia immessa da parte del relays vengono ad essere automaticamente filtrate dalla dinamica del sistema stesso. Il relays collega l’alimentazione primaria alla variabile di forzamento o la scollega, o la collega a segno invertito. Comunque sia fornisce delle variazioni on-off molto brusche. Siccome il sistema da controllare ha una dinamica molto lenta è plausibile pensare che l’effetto di queste sollecitazioni brusche non vengano risentite dalla variabile controllata. Invertiamo il discorso e diciamo che se il sistema da controllare è a dinamica molto lenta non vale la pena dare dei forzamenti di tipo continuo perché hanno un costo più elevato rispetto al relays, e quindi non ha senso inserire un attuatore dissipativo per tali sistemi. La condizione tipica di funzionamento che si ottiene da questo schema di controllo è quella con un oscillazione sovrapposta alla variabile controllata, di ampiezza inferiore al valore massimo prevista dalle prestazioni.

Slide 8 Multilivello

Analizziamo accuratamente il relays. Il relays è costituito da dei contatti che collegano l’alimentazione primaria al sistema da controllare e tali contatti sono azionati da una bobina. Quest’ultima la si può utilizzare come strumento di zero, ossia come comparatore. Quindi con un solo componente abbiamo realizzato sia il comparatore che l’amplificatore di potenza, ossia l’attuatore. Questa è la ragione per cui i relays sono molto diffusi nei sistemi a dinamica molto lenta. Diamo a tale sistema di controllo una veste più ingegneristica dopo aver catturato l’idea. I relays possono essere di due tipi: il primo tipo, che è anche il più diffuso, è il relays di tipo on-off che ha la transcaratteristica del tipo rappresentato nella slide 9.

Slide 9

Supponiamo che la y*(t) ed d(t) abbiano entrambi l’andamento in figura, ossia di tipo a gradino. Notiamo che sull’andamento della variabile di uscita y(t) l’oscillazione praticamente non si vede. L’oscillazione però la vede il relays, infatti la variabile di forzamento u(t) ha una frequenza di oscillazione che aumenta in prossimità della condizione operativa dello stato di equilibrio. Poiché tali oscillazioni rischiano di danneggiare le lamelle del relays bisogna cercare di diminuirne il numero, soprattutto se il relays è un sistema elettromeccanico. Infatti se il relays è rappresentato da un transistor, la cosa può anche interessare poco. In ogni caso anche il transistor ha una resistenza di contatto non trascurabile e poiché quando è saturato ha una dissipazione, bisogna stare molto attenti alle dissipazioni collegate ad ogni commutazione. Riassumendo se il sistema è elettromeccanico la grossa quantità di commutazioni crea problemi di durata del relays, mentre se il sistema è elettronico possono aversi problemi di dissipazione. In genere invece di usare dei relays del tipo on-off si usano dei relays con isteresi, che rappresentano la seconda classe di relays.

Slide 10

Dal punto di vista costruttivo la realizzazione dei relays con isteresi è molto semplice. Invece di fare la bobina in ferro dolce la si fa in materiale magnetico e quindi dotata di isteresi propria. Come si può notare dal grafico riportato nella slide 10 in questo caso aumentano il numero di oscillazioni sovrapposte al segnale di uscita y(t), ma diminuiscono il numero di oscillazioni del segnale di forzamento u(t). Quindi l’isteresi introduce una maggiore oscillazione sul segnale di uscita. In genere il controllo a relays, elettromeccanico o elettronico, è sempre realizzato con un isteresi. Nei regolatori di temperatura domestici di tipo autonomo, uno dei trimmer di regolazione varia proprio l’entità dell’isteresi. In generale tale trimmer è già tarato dall’azienda costruttrice e la regolazione è inserita proprio per il ragionamento fatto prima ossia non si può far accendere e spegnere la caldaia in continuazione, in prossimità del valore di regime. Chiariamo la differenza che c’è tra regolazione e controllo: con il termine regolazione intendiamo l’azione del tenere inalterate le condizioni operative. Diciamo dunque che la regolazione è il controllo quando le condizioni operative rimangono inalterate per intervalli di tempo molto superiori all’intervallo di tempo necessario per portare il sistema dallo stato di quiete alle condizioni operative. Con il termine controllo si intende quando non si verifica il caso appena descritto ossia quando le condizioni operative vengono modificate con una rapidità paragonabile all’intervallo di tempo necessario per andare dallo stato di quiete alle condizioni operative prefissate. Bisogna stare ben attenti a quanto si parla di regolazione e quando invece viene impiegata una modalità di controllo utilizzata per la regolazione impropriamente per effettuare il controllo.

Slide 11

Nella slide 11 abbiamo riportato le tipiche verifiche che portano alla scelta di un Pid come strategia di controllo. Stiamo parlando sempre di un sistema sovradimensionato e date le specifiche descritte nella slide la strategia di controllo è rappresentata da un Pid convenzionale. In altre parole possiamo adoperare un regolatore Pid convenzionale quando sono verificate tutte le ipotesi riportate nella slide. In teoria nessuno ci vieta di adoperare tale strategia di controllo anche in altre occasioni, solo che le prestazioni che riusciamo ad ottenere saranno fortemente penalizzate rispetto a quelle che potremmo ottenere passando da un regolatore di tipo convenzionale ad uno di tipo più innovativo. In altri casi le prestazioni non sono solo penalizzate ma fortemente degradate rispetto alle prestazioni che potremmo ottenere cambiando la modalità di controllo, uscendo dalla logica dell’azione di controllo proporzionale più integrale più derivativo.

Slide 12

Nella slide 12 è presentata un ulteriore messa a fuoco del problema. Vediamo che è presente il classico sistema da controllare con un attuatore, un trasduttore e un regolatore di tipo Pid. Questi tre componenti fanno parte della strumentazione. L’attuatore è certamente realizzato in hardware cosi come il trasduttore ed il dispositivo di misura mentre il regolatore ed il comparatore possono essere realizzati sia in hardware che in software. La tendenza attuale è quella di realizzarli in software, fatto salvo i casi di impianti di piccole dimensioni. Infatti negli impianti di grandi dimensioni si cerca di realizzare in hardware solo soluzioni per piccoli problemi, ossia sistemi in cui c’è un solo anello di controllo a livello di campo (oppure ce ne sono pochissimi). Il regolatore Pid rappresenta la modalità di controllo. Notiamo che tra l’attuatore ed il sistema da controllare è presente una saturazione. Tale saturazione o l’attribuiamo all’attuatore perché non può fornire un forzamento superiore a quello per cui è stato progettato, o l’attribuiamo all’impianto per via delle sue caratteristiche fisiche intrinseche. Esempi tipici di saturazione attribuibili ad attuatore sono i seguenti :

  • Dentro un tubo ci può passare al massimo una certa portata qualunque sia la caduta di pressione.
  • Un relays on-off quando si trova nello stato on al massimo può dare il valore di tensione pari al valore dell’alimentazione.

Un esempio che si può fare per descrivere la saturazione tipica del sistema da controllare è quello delle lampadine. Se una lampadina che funziona a 125V la si collega ad un generatore a 380V la lampadina si brucia. Bisogna tenere sempre presente che la saturazione c’è sempre sia che la si attribuisca al relays o che la si attribuisca al sistema da controllare. Se diamo una variabile di comando di entità superiore a quella che è prevista per la saturazione, la variabile di forzamento non è più proporzionale alla variabile di comando. Possiamo quindi dedurre che nel fissare la modalità di controllo chi detta legge è la saturazione e sta sempre in mezzo sia che la attribuiamo all’attuatore che al sistema da controllare, come si può vedere nelle due slide successive.

Slide 13

Slide 14

Se la modalità di controllo è tale da prevedere un forzamento superiore a quello della saturazione, si ottiene che si allungano i transitori secondo cui risponde il sistema.

Slide 15

Facciamo un esempio: se il condotto di riempimento di una vasca fornisce un certo valore massimo di portata il tempo di riempimento sarà dettato dalla portata del condotto. In seguito tratteremo un capitolo che ci indicherà l’effetto sulla stabilità delle non linearità a saturazione, o di altri tipi, che sono immancabili in un ciclo di controllo. Ovviamente se la parte critica della non linearità non viene sollecitata è come se tale non linearità non esistesse. Nel nostro caso se la saturazione, che rappresenta la parte critica della non linearità in oggetto, non viene sollecitata è come se non ci fosse. Se consideriamo come esempio le valvole di regolazione che sono assimilabili ai rubinetti di casa, l’attrito tra l’otturatore ed il suo comando garantisce il fatto che il liquido non fuoriesca dallo stelo di comando. Quindi è un attrito inevitabile perché altrimenti ci sarebbe perdita di liquido dal pistone che comanda il funzionamento dell’otturatore. In pratica se non si vince l’attrito statico il pistone non si muove, quindi non è una non linearità di tipo a saturazione, ma è di tipo a soglia. In ogni caso comunque c’è questa non linearità. In seguito ci dedicheremo allo studio del comportamento dei sistemi che presentano delle non linearità inevitabili all’interno di un ciclo di controreazione. Nelle slide che seguono vedremo che la non linearità è inserita nell’attuatore, nel sistema da controllare o come spesso si fa direttamente all’uscita del regolatore.

Slide 16

Soprattutto per i regolatori di tipo elettronico la non linearità è posta a valle del regolatore ed è uno dei parametri da tarare del regolatore. Se poi il regolatore non è in hardware, ma è in software, è uno dei parametri da fissare in modo da effettuare un azione preventiva. Infatti non si va a sollecitare l’attuatore al di fuori di quello che può essere il limite intrinseco o che può sopportare l’impianto. In altre parole mettiamo un limite fittizio in una sezione dello schema di controllo in cui le energie coinvolte siano di piccola entità.

Slide 17

Dobbiamo adesso parlare delle condizioni operative per la messa a punto dell’impianto, ossia quali sono le condizioni in cui ci dobbiamo porre per poter tarare il regolatore. Siamo infatti interessati a fissare i parametri del regolatore, che in base a quanto detto fin ora, corrisponderà a fissare l’entità dell’azione proporzionale, l’entità dell’azione integrale e l’entità dell’azione derivativa. Affinché si possa mettere a punto il regolatore dobbiamo distinguere tra due casi:

  • La messa a punto avviene su carta.
  • La messa appunto viene effettuata sul campo.

Tale distinzione è di fondamentale importanza, perché nel primo caso dovremo disporre di un modello dinamico del sistema da controllare mentre nel secondo caso ne possiamo fare a meno. Comunque dobbiamo fare riferimento a condizioni operative standard per poterci mettere in condizioni di prova ripetibili ed effettuabili. La prima operazione da fare è portare il rumore interno al sistema da controllare, all’esterno. Questo passaggio si può fare nella realtà solo in pochissimi sistemi, come ad esempio i sistemi in cui la variabile controllata è una posizione meccanica di un asse. Se il sistema da controllare è già uno scambiatore di calore questo non è possibile, ossia il disturbo entra all’interno della struttura del sistema non agisce direttamente sulla variabile controllata ma agisce perché c’è una dinamica interna al sistema. Nella condizione di prova in cui ci mettiamo, supponendo di disporre del modello del sistema da controllare, dobbiamo portare il disturbo all’esterno del sistema da controllare e farlo agire direttamente sulla variabile controllata e cosi facendo ci mettiamo nelle peggiori condizioni operative che possano esserci proprio perché il disturbo agisce immediatamente sul valore della variabile controllata. Supporremo che il disturbo sia un gradino che vuol dire alterare il valore della variabile in maniera istantanea. Capiamo dunque perché siano le condizioni peggiori che si possano verificare nel sistema. Anche per ciò che concerne il rumore ci mettiamo nelle condizioni peggiori, infatti anche il rumore lo portiamo fuori del trasduttore, a monte o a valle. Tale differenza è irrilevante se consideriamo il trasduttore istantaneo. Nel caso in cui il trasduttore non fosse istantaneo sceglieremmo comunque come condizione di riferimento la condizione peggiore, ossia che tutto il rumore vada ad influenzare il nodo di comparazione. Le possibili condizioni operative del sistema sono di due tipi:

  • Problemi di inseguimento, ossia l’andamento della variabile controllata varia con continuità, ed è assimilabile ad una rampa lineare
  • Asservimento, ossia il valore della variabile controllata ha delle brusche variazioni e il sistema deve passare da una condizione ad un’altra.

Già nella premessa, con l’esempio del plotter x-y è stato messo in luce tale aspetto, infatti dovevamo stare ben attenti ad identificare il tipo di sistema di cui avevamo bisogno. Se pensavamo di realizzare i due sistemi di controllo (degli assi x ed y) secondo la logica dell’asservimento, non si sarebbe riusciti in nessun caso a tracciare il cerchio delle dimensioni desiderate. Se invece andavamo a considerare il sistema nella logica dell’inseguimento, avremmo ottenuto il cerchio desiderato. Per ciò che concerne il rumore dobbiamo dargli uno spettro, ma supporre bianco il rumore è poco realistico. In qualche modo dobbiamo riuscire ad identificare qual è la caratteristica del rumore casuale, per capire fino a che punto dobbiamo filtrare il comportamento dinamico interno del sistema. In altre parole questa operazione serve per fissare la banda passante del sistema. Supponendo che il trasduttore istantaneo, in generale possiamo ottenere che le condizioni di prova del sistema simulino un disturbo di tipo a gradino, che agisce direttamente sulla variabile controllata, fornendo una variazione di tipo a gradino al riferimento. Quindi lo stesso effetto relativo ad un disturbo su di un sistema con trasduttore istantaneo lo possiamo ottenere nei due seguenti modi:

  • Perturbando istantaneamente la variabile controllata con un gradino.
  • Fornendo una variazione di tipo a gradino al riferimento.

Quindi nella pratica, per simulare un disturbo che agisce direttamente sulla variabile controllata, assegniamo al riferimento y*(t) una variazione a gradino. Se poi vogliamo vedere come risponde all’andamento desiderato della variabile controllata gli possiamo dare ancora un gradino se dobbiamo risolvere un problema di asservimento, o una rampa se dobbiamo risolvere un problema di inseguimento. Quindi se ci dovessimo trovare nella realtà a mettere sotto prova un sistema per vedere come reagisce ad un disturbo di tipo a gradino applicato direttamente sulla variabile controllata, andremmo a dare una variazione a gradino al riferimento. Se poi, per lo stesso sistema, dovessimo fare la prova al fine di rilevare come reagisce a problemi di inseguimento, daremmo all’andamento desiderato della variabile controllata un andamento di tipo lineare. Bisogna tenere presente che queste sono le due condizioni tipiche di prova, ossia si fissa l’andamento desiderato della variabile controllata del tipo a rampa o del tipo a gradino. In gergo si dice inseguimento ed asservimento. Quindi le condizione in cui ci dobbiamo mettere per valutare le prestazioni di un sistema sono:

  • Andamento del disturbo di tipo a gradino applicato direttamente sul valore della variabile controllata.
  • Segnale idoneo per inseguimento o per asservimento.

Tale metodologia di lavoro vale sia per i sistemi sovradimensionati che per i sistemi non sovradimensionati. Infatti per un sistema destinato a funzionare nell’intorno di un punto di lavoro, sovradimensionato, etc. la condizione operativa più significativa in cui va provato è quella per cui il disturbo agisce direttamente sull’uscita. Come già detto fin ora tale condizione si realizza dando delle variazioni a gradino della variabile di riferimento. Anche per un sistema non sovradimensionato possiamo voler analizzare come reagisce ad un disturbo di tipo a gradino che agisce direttamente sull’uscita. Come nel caso precedente forniamo una variazione a gradino alla variabile di riferimento, indipendentemente che poi il sistema sia stato progettato per realizzare un inseguimento od un asservimento. Con riferimento allo schema riportato nella slide 17, consideriamo un sistema da controllare di tipo sovradimensionato destinato a lavorare in un intorno di un punto di lavoro. Il regolatore Pid viene inserito essenzialmente per attenuare l’effetto dei disturbi casuali e per riportare la variabile controllata al valore nominale quando agiscono dei disturbi prevedibili di tipo a gradino.

Slide 18

Passiamo allo schema di base di un regolatore, ricordando che si inserisce fra l’uscita del comparatore e l’ingresso dell’attuatore ossia tra la variabile di errore prodotta dal comparatore e la variabile di comando dell’attuatore. Le tre azioni di controllo prodotte da un regolatore Pid agiscono in parallelo elaborando in maniera opportuna quella che è la variabile di errore ε(t). Conviene mettere subito a valle del regolatore la saturazione e considerare che all’attuatore arrivi una variabile di comando già filtrata da una saturazione. Un amplificatore operazionale controreazionato da un condensatore con una resistenza d’ingresso è il tipico esempio di integratore. Se invece di realizzarlo con un amplificatore operazionale lo realizziamo con tecniche di tipo digitale, possiamo assimilare l’integrale ad una sommatoria. In ogni caso l’integratore a sua volta ha sempre al suo interno una saturazione. Nell’integratore realizzato con l’operazionale la saturazione è data dalla dinamica dello operazionale stesso, mentre nel caso di integratore realizzato con tecniche digitali la saturazione è rappresentata dall’overflow.

Slide 19

Bisogna tenere assolutamente conto di quali sono i fenomeni apparentemente secondari ma poi fondamentali, che incontriamo nello schema rappresentato nella slide 19. Nello schema del Pid riportato in figura sono presenti due non linearità in serie all’integratore: una saturazione collegata a valle ed un attrattore a monte. La caratteristica di un attrattore è tale che se la variabile al suo ingresso è superiore ad un certo valore l’uscita è nulla e quindi questo canale del Pid non risulta attivato. Il canale risulta invece attivato quando la variabile di errore è prossima allo zero. Supponiamo che la differenza tra il valore desiderato della variabile controllata ed il valore attuale sia molto grande, non vale la pena dare un azione che aumenti il valore del forzamento seguendo una regola integrale, ma conviene dare solo un’azione proporzionale. In un generico sistema quando l’azione proporzionale non riesce più a compensare l’errore si fa intervenire l’azione integrale, non prima. Quindi in prima approssimazione è meglio che lavori solo l’azione proporzionale. L’azione integrale serve ad annullare l’errore a regime permanente quando l’ingresso del sistema è di tipo a gradino o quando il disturbo è di tipo a gradino. Nel caso precedente, la variabile d’errore ha un ampiezza cosi elevata da far saturare l’integratore. Ossia interviene la saturazione a bloccare l’azione integrale e dunque lo caricheremmo inutilmente. Quindi è inutile che tentiamo di forzare oltre la saturazione dell’attuatore il sistema. In altre parole se la differenza tra il valore della variabile di riferimento ed il valore della variabile controllata è eccessivo è inutile caricare ulteriormente il sistema, perché c’è la saturazione dell’attuatore che blocca tutto. Basta l’azione proporzionale per poter far avvicinare la variabile controllata al valore desiderato. Se poi si vuole annullare l’errore a regime permanente ci deve essere il polo all’origine, ossia l’integratore. Se il sistema da controllare non ha il polo all’origine bisogna inserirlo con la modalità di controllo. È buona norma che solo quando l’azione proporzionale non ce la fa più a far diminuire l’errore allora intervenga l’integratore. La non linearità ad attrattore in alcuni software di controllo è presente, ed in altri no. In generale serve di capire che ci deve essere, perché è vero che in alcuni casi non possiamo mettere le mani sui software di controllo già esistenti, ma possiamo scegliere quello migliore. In altri casi possiamo modificarli, nel senso che possiamo personalizzarli, e quindi scegliere la configurazione migliore. Ci sono dei casi in cui è impossibile utilizzare l’attrattore come ad esempio quando il regolatore è dato in hardware con tecniche di tipo pneumatico e le elaborazioni sono eseguite con dispositivi di tipo pneumatico. Quando invece la modalità di controllo può essere personalizzata con un software opportuno, costruito dall’utente, ecco che può essere conveniente attuare queste tecniche. Anche in merito all’azione derivativa bisogna dare dei chiarimenti, infatti non conviene inserire un dispositivo sull’ultimo ramo del Pid che effettui una derivata matematica ma bisogna inserire un dispositivo che effettui la derivata in banda. Il derivatore in banda è un dispositivo che esegue la derivata dell’andamento desiderato della variabile controllata, ossia del segnale utile per il controllo, ma non del rumore. Come sappiamo il rumore entra dai dispositivi esterni, dal riferimento e nel caso di elaborazioni digitali a causa della quantizzazione. Quindi la derivata in banda è la derivata riferita al segnale utile, alla banda del segnale utile. Facciamo questo tipo di derivata per due ragioni:

  • Vogliamo migliorare le prestazioni.
  • Non vogliamo esaltare il rumore.

Il fatto che nel sistema ci sia un rumore non penalizza la variabile controllata perché di solito il sistema è di tipo passa basso, quindi filtra i rumori. Chi invece risulta danneggiato dal rumore è l’attuatore perché ha una dinamica molto più veloce del sistema da controllare, infatti come già detto in precedenza, bisogna dimensionare opportunamente l’attuatore altrimenti si penalizza la dinamica del sistema. Facendo riferimento alla slide16, abbiamo un attuatore che ha una certa saturazione1 riportata in blu. In rosso è riportato l’andamento della variabile controllata y1(t), in verde l’andamento del forzamento u1(t) ed in viola l’andamento della variabile di riferimento. Il forzamento u1(t) è regolato in maniera tale che sfiori la saturazione ma non l’attraversi. Supponiamo ora che la saturazione sia la saturazione2, come si vede facilmente abbiamo ridotto la potenza massima che l’attuatore può erogare come variabile di forzamento. Come si vede nel grafico, la variabile di forzamento u2(t) in risposta ad un gradino, resta tangente alla saturazione per un certo intervallo di tempo con il risultato che si allungano i transitori. Quindi il dimensionamento dell’attuatore va fatto in modo tale che nelle condizioni nominali di prova, concordate con chi fissa le prestazioni del sistema, venga ad essere sfiorata la saturazione. Dopo di che se si adopera un attuatore sotto dimensionato, quello che avviene è che si allunga il transitorio e si penalizza la produttività del sistema. Riassumiamo quali sono i miglioramenti che si possono apportare allo schema di base del regolatore Pid rappresentato nella slide18. Come abbiamo detto all’azione integrale mettiamo in serie la saturazione e l’attrattore, ed inoltre la derivata bisogna farla con un filtro. In generale esistono tre vie per fare una derivata. La prima via possibile, la peggiore ed adoperata soprattutto da coloro che pensano di poter passare senza cultura dalle tecniche analogiche alle tecniche digitali, consiste nel confondere la derivata con il rapporto incrementale e poiché il segnale è estremamente lento il rapporto incrementale apparentemente dovrebbe andare bene. Il problema di questo modo di vedere le cose è che ci può essere del rumore, come ad esempio l’errore di quantizzazione o la deriva della frequenza di campionamento. Effettuare la derivata come rapporto incrementale equivale ad inserire un generatore di rumore nel sistema. Il comportamento del sistema ne risulta quindi peggiorato, chiaramente non a causa dell’azione derivativa, ma ad un cattivo utilizzo della stessa, perché invece di dare al sistema la derivata del segnale utile si inietta del rumore che il sistema non è in grado di filtrare.

Slide 20

La seconda possibile soluzione è rappresentata dalla slide 20, ossia effettuare la derivata con un filtro del primo ordine, che non è altro che una rete anticipatrice. La rete anticipatrice si comporta come un derivatore perché porta un anticipo di fase in banda.

Slide 21

In realtà il filtro migliore per la stima della derivata è quello che ha uno zero e due poli complessi e coniugati e che rappresenta il terzo possibile modo di operare riportato nella slide 21. Analizziamo ora la risposta impulsiva delle tre azioni derivative descritte.

Slide 22

Se avessimo un derivatore puro e la variabile di errore fosse un gradino, la risposta del derivatore sarebbe un impulso, come si vede nella slide 22. Se consideriamo come blocco derivatore un filtro del primo ordine (rete anticipatrice) la risposta al gradino sarebbe del tipo riportata in figura in rosso. Come si vede c’è uno spiccato forzamento iniziale e poi un valore costante che resta praticamente invariato. Poiché la parte iniziale della risposta al gradino è un fronte ripido, ciò implica che tutto il contenuto armonico relativo alla banda del segnale prelevato risulta conservato. Se mettiamo un filtro del secondo ordine, possiamo vedere in figura che tutte le armoniche di ordine più elevato vengono attenuate. La cosa si vede ancora meglio se analizziamo i diagrammi di Bode.

Slide 23

In verde abbiamo il diagramma di Bode della derivata matematica che ha una pendenza di +20 dB/dec, ed in rosso abbiamo il diagramma di Bode del filtro del prim’ordine con la sua azione anticipatrice. Come si può vedere non attenua le armoniche di bassa frequenza ed è un vantaggio perché le armoniche in bassa frequenza sono quelle che determinano il guadagno. Quindi l’azione derivatrice effettuata con una rete anticipatrice non abbassa il guadagno a regime permanente da cui dipendono le prestazioni. Tale filtro non attenua neanche le armoniche di ordine superiore le lascia ad un valore costante, ma rispetto alla derivata matematica non le esalta. Quindi nella zona centrale del diagramma si comporta come un derivatore perfetto, mentre nella parte in alta e bassa frequenza si discosta dal derivatore perfetto perché lascia lo spettro inalterato. Il filtro del secondo ordine invece attenua lo spettro in alta frequenza, come si può vedere in figura, e quindi ha un azione di filtraggio oltre che un’azione di stima della derivata.

Slide 24

Supponiamo di avere una sinusoide, e di volerne fare la derivata come si vede nella slide 24. Supponiamo inoltre di sovrapporre del rumore al segnale da derivare, rappresentato da una sinusoide a frequenza più elevata. Con un filtro del prim’ordine avremmo un andamento della variabile di uscita del tipo rappresentato in blu mentre con un filtro del secondo ordine avremmo un andamento della variabile di uscita molto più pulito come si vede con la curva rappresentata in viola. Le armoniche di ordine superiore sono praticamente sparite ed è rimasto un ritardo di fase che è inevitabile.

Slide 25

Descriviamo la procedura per mettere a punto il filtro. Supponiamo di aver tarato sia azione proporzionale che integrale del regolatore Pid, e approssimiamo il suo andamento della risposta al gradino con una sinusoide. Tale approssimazione deve essere effettuata solo nella parte iniziale, come si vede in figura. Determiniamo quindi la frequenza Ω* di questa sinusoide. Successivamente metteremo i poli complessi e coniugati del filtro del secondo ordine a questa frequenza Ω*.

Lo zero lo posizioneremo in modo tale che la frequenza di taglio sia di una decade inferiore alla frequenza della sinusoide appena determinata. Il guadagno infine è proporzionale ad Ω e sarà pari a 20log10(0.1Ω*).

Slide 26

Verifichiamo se il tutto funziona bene con l’esempio riportato nella slide 26. Il segnale utile è la sinusoide viola, la sua derivata è rappresentata in blu mentre la stima della derivata è rappresentata in rosso. Come si può vedere dalla slide, la stima della derivata segue l’andamento della derivata. Consideriamo ora il diagramma di Bode di un sistema controllato con un regolatore Pi. La banda passante è determinata dall’intersezione del grafico di Bode del sistema, riportato in rosso, con la linea viola a –3dB. Il filtro per la stima della derivata è posizionato ad Ω*, ossia nella zona d’interesse, perché tra 0.1 Ω* ed Ω* vogliamo derivare ed oltre vogliamo attenuare i disturbi. Come si vede il filtro comincia ad attenuare in prossimità del modulo alla risonanza relativo alla risposta del sistema ad anello chiuso, perché cerchiamo di ridurre la sovraelongazione. L’attenuazione l’abbiamo posta nella zona in cui c’è il modulo alla risonanza ed abbastanza lontano da quella che è la banda passante del sistema. In corrispondenza della banda passante il segnale non viene ad essere ne esaltato ne attenuato, oltre viene attenuato. Il criterio quindi è accettabile.

Slide 27

A questo punto ne vediamo gli effetti riportati nella slide 27. La curva in blu è l’andamento del forzamento del regolatore Pid, mentre quella in rosso è l’andamento del regolatore Pi con l’azione derivativa in banda. I vantaggi che si hanno dall’introduzione dell’azione derivativa sono due e si vedono chiaramente: diminuisce il tempo del transitorio, abbassa la sovraelongazione e mantiene in un solo verso quella che è il forzamento dell’attuatore. Quest’ultima peculiarità è molto importante, perché è diverso avere un attuatore che deve erogare ed assorbire energia da un attuatore che deve solo erogarla. Quando il forzamento ha un andamento negativo vuol dire che è il sistema da controllare che restituisce energia all’attuatore. Se l’attuatore non è in grado si assorbirla è come se avessimo un blocco. La derivata in banda si mette a punto sempre dopo la taratura del regolatore Pi.

Slide 28

Ritorniamo allo schema di base del sistema di controllo: per tutte le considerazioni che seguiranno e che sono mirate a indicare come si procede nella predisposizione dei tre parametri del regolatore supporremo che lo schema di base sia quello relativo alla slide 28. In precedenza abbiamo chiarito che bisogna mettere delle non linearità essenziali al fine di migliorare l’azione di controllo, ma adesso ci rifacciamo allo schema della slide 28 che non le prevede per semplificare la messa a punto dei parametri del Pid. Come si può vedere in questo schema c’è un solo anello di controllo, quindi si dovrà decidere se rispettare le specifiche relative al comportamento ingresso uscita o relative al comportamento disturbo uscita. Infatti essendoci un solo anello di controllo abbiamo un solo grado di libertà in fase di progettazione. Se si soddisfa la prima specifica non si soddisfa la seconda e viceversa, per cercare di soddisfarle entrambe bisogna cercare un compromesso dato che abbiamo due vincoli ed un solo grado di libertà. Una possibile soluzione al problema è di fissare un criterio di ottimo. Dal punto di vista ingegneristico la situazione più comoda è quando si hanno più gradi di libertà che vincoli, perché possiamo fare delle scelte inserendo altri vincoli che ci migliorino il comportamento del sistema quali ad esempio: il minimo tempo di avviamento, minimo consumo di energia etc. Nel schema in figura 28 invece abbiamo due vincoli quali le specifiche relative al comportamento disturbo uscita e le specifiche relative al comportamento ingresso uscita e, ai fini delle modalità di controllo, un solo grado di libertà dato dal solo anello di retroazione presente: in tal caso dobbiamo scegliere quale specifica soddisfare. Analizziamo gli scenari che si possono presentare.

Slide 29

Il primo scenario possibile è quello con un sistema da controllare sovradimensionato. Il disturbo prevedibile lo assorbe il sistema sovradimensionato perché tale tipologia di disturbo non fa uscire dalle prestazioni desiderate il sistema. C’è poi il disturbo casuale e la strategia di controllo deve essere in grado di attenuare l’effetto di tale disturbo. In tal caso per il controllo basta utilizzare un regolatore convenzionale di tipo Pid con le tre azioni di controllo in parallelo. Spesso si fa a meno anche dell’azione derivativa ma in ogni caso la caratteristica importante è che sia di tipo continuo, per evitare l’oscillazione che ci potrebbe dare il relays.

Slide 30

L’altro scenario possibile è quello con il sistema da controllare non sovradimensionato come riportato nella slide 30. Il disturbo prevedibile porta la variabile controllata fuori dalle prestazioni, quindi la modalità di controllo deve assolutamente assorbire l’effetto del disturbo. Inoltre ci sono da considerare anche i disturbi casuali che comunque danno meno problemi. Per tale schema di controllo adoperiamo un trasduttore non più continuo, ma lineare, perché spostandoci dallo stato di quiete al punto di lavoro l’escursione è molto più ampia del caso precedente in cui restavamo confinati nell’intorno del punto di lavoro. Adopereremo un regolatore di tipo innovativo, in seguito vedremo cosa vuol dire, ed un attuatore lineare perché vogliamo mantenere il comportamento del sistema il più lineare possibile. In base a questi due scenari dobbiamo organizzare il controllo. Gli aspetti che interessano sono il soddisfacimento delle specifiche relative sia all’attenuazione dell’effetto del disturbo che al comportamento ingresso uscita. Oltre che fissare un criterio di ottimo per il soddisfacimento delle specifiche ingresso-uscita e disturbo-uscita possiamo cercare di aumentare i gradi di libertà, ed il modo per farlo è abbastanza semplice.

Slide 31

A noi interessa che il sistema insegua l’andamento desiderato della variabile controllata con una buona precisione, quindi c’interesserà mettere un polo all’origine. L’azione integrale è quella che ci assicura tutte la prestazione del caso. Al fine di aumentare i gradi di libertà collegheremo l’azione derivativa non più alla variabile d’errore ma alla variabile d’uscita del trasduttore come riportato nella slide 31. Osserviamo che cosi facendo sono presenti due loop: un primo loop che si chiude tra il disturbo e la variabile d’uscita ed un secondo loop che si chiude fra il riferimento e la variabile d’uscita. Con questa soluzione abbiamo due vincoli e due gradi di libertà. La storia di questa struttura è molto vecchia, infatti la sintesi a due gradi di libertà e tutta la teoria ad essa collegata è nata negli anni 60. All’epoca ci si accorse che per poter soddisfare contemporaneamente due prestazioni bisognava aumentare i gradi di libertà, ossia i loop di controreazione che si chiudevano intorno al sistema. Molti anni prima tale schema veniva utilizzato perché ci si era accorti che questo era un modo abbastanza semplice per filtrare il rumore sovrapposto alla variabile d’ingresso. Soprattutto nei servomeccanismi c’era il problema che il riferimento era altamente rumoroso, e con tale schema si eliminava il rumore. Quindi il sistema è nato per sbaglio ma poi è stato utilizzata nel modo più opportuno. A questo punto possiamo fare delle considerazioni più ampie di quelle già fatte: se il sistema è sovradimensionato l’obiettivo è quello di attenuare l’effetto dei disturbi casuali e di assicurare la precisione a regime permanente, in tal caso la scelta di un regolatore di tipo convenzionale è ottimale ed i parametri del regolatore sono predisposti in modo tale da soddisfare la specifica relativa all’attenuazione del disturbo. In seguito si verifica se sono accettabili o meno le prestazioni ingresso uscita. Per un sistema non sovradimensionato l’effetto dei disturbi prevedibili deve essere annullato con l’azione di controllo. Con lo schema della slide 31 si crea un primo loop interno che consente di soddisfare o di migliorare il comportamento disturbo-uscita, ed un secondo loop esterno che consente di garantire l’attenuazione dei disturbi casuali e la precisione a regime permanente. In un impianto di produzione di tipo continuo che funziona nell’intorno di un punto di lavoro, è inutile perdere troppo tempo a progettare la strategia di controllo: un regolatore di tipo tradizionale va più che mai bene. In un sistema in cui le condizioni del punto di lavoro variano continuamente fra il funzionamento in uno stato di quiete ed il funzionamento intorno ad un punto desiderato, bisogna che la modalità di controllo sia tale da garantire:

  • Attenuazione dell’effetto del disturbo prevedibile.
  • Precisione a regime permanente.

Slide 32

Nella slide 32 passiamo a caratterizzare il comportamento dinamico di un sistema. Ricordiamo che il comportamento dinamico si ha quando c’è un accumulo, una trasformazione od un trasferimento di energia. Possiamo suddividerlo in:

  • Dinamica dominante, che caratterizza l’evoluzione e condiziona la rapidità di risposta del sistema controllato.
  • Dinamica secondaria che condiziona l’andamento dell’evoluzione.

Se vi fosse solo la dinamica dominante allora la risposta al gradino del sistema partirebbe con una tangente diversa da zero, ma ciò non avviene mai perché c’è sempre un trasferimento di energia tra la sorgente primaria e sistema da controllare. C’è sempre una seconda costante di tempo e tale costante di tempo fa si che la risposta a gradino non parta con una pendenza definita ma con una pendenza uguale a zero. La dinamica secondaria condiziona anche la stabilità del sistema. Quindi anche se il sistema è a dinamica molto lenta e la dinamica secondaria non appare o non ci sembra importante, non possiamo stravolgere il comportamento dinamico del sistema. Dobbiamo sempre ricordare che è presente una dinamica secondaria la quale ci blocca il massimo valore del guadagno che possiamo dare al sistema. I sistemi con una sola costante di tempo sono stabili per qualunque valore del guadagno, mentre i sistemi con due costanti di tempo sono stabili per tutti i valori del guadagno solo che all’aumentare di quest’ultimo degradano il comportamento transitorio, per via delle oscillazioni sulla risposta. Nei sistemi reali difficilmente si ha una sola costante di tempo, infatti una seconda costante di tempo viene sempre fuori per la presenza dell’attuatore, per i collegamenti fra l’attuatore ed il sistema da controllare. È interessante analizzare il caso del cavo elettrico. Tale cavo è praticamente una resistenza se vi transita un segnale a frequenza industriale. Non è una resistenza perfetta, e lo si può vedere dal fatto che quando si apre un interruttore vi è una scintilla. La scintilla è data dall’energia elettromagnetica immagazzinata, la quale fa si che la corrente non possa essere interrotta istantaneamente reagendo con una sovratensione. Se invece di usare un segnale sinusoidale a frequenza industriale utilizziamo un segnale ad onda quadra, il cavo non è più un cavo a parametri concentrati, ma un cavo a parametri distribuiti. Per diminuire gli effetti secondari siamo costretti a realizzarlo in maniera diversa. Negli azionamenti elettrici il motore viene alimentato con delle forme d’onda con fronte di qualche microsecondo. Il collegamento via cavo tra il dispositivo di alimentazione ed il motore è fondamentale perché in quel tratto prendono origine dei fenomeni secondari che condizionano il comportamento del sistema. Lo stesso succede per sistemi a dinamica molto lenta quando si dispone l’attuatore molto distante dal sistema da controllare facendo si che il tempo di transito dell’energia dall’attuatore al sistema non sia trascurabile. Cosi facendo si perturba profondamente quella che è la dinamica secondaria del sistema perché il tempo di transito non è più trascurabile.

Slide 33

Nella slide 33 abbiamo riportato in rosso la risposta al gradino della dinamica globale ed in blu la risposta della dinamica dominante. Per la dinamica dominante la risposta al gradino parte con una tangente definita mentre per la dinamica globale no.

Slide 34

Fin ora ci siamo resi conto che controllare un sistema sovradimensionato è diverso da controllare un sistema non sovradimensionato perché dobbiamo guardare le cose secondo un ottica differente, anche se nominalmente adoperiamo la stessa modalità di controllo. Ossia la stessa modalità di controllo è adoperata differentemente per raggiungere obiettivi differenti. In generale quando si ha poca conoscenza del sistema da controllare si realizza il sistema di controllo con lo schema visto fin ora ossia con un controllore Pid, un trasduttore, un attuatore, etc e si provvede a chiudere il loop. Il problema che si presenta è quello di mettere a punto il regolatore. Al fine di illustrare le modalità di predisposizione basate sull’esperienza e su prove dirette effettuate sul sistema supponiamo di poter fare delle prove sull’impianto. Non sempre è possibile procedere in tal senso, infatti non sempre è possibile effettuare prove dirette su di un impianto funzionante. Da un punto di vista didattico ciò è presumibile, e ci metteremo dunque in queste ipotesi supponendo inoltre l’operatore completamente inesperto. I possibili modi per procedere sono due:

  • Eliminazione dell’azione integrale e dell’azione derivativa. Si lascia inserita la sola azione proporzionale regolata molto bassa. Successivamente la si aumenta progressivamente. Nella figura a sinistra della slide 34 possiamo vedere l’effetto dell’aumento della sola azione proporzionale. Notiamo inoltre che l’errore a regime permanente è molto elevato perché manca il polo nell’origine dato dal controllore, e se il sistema non lo possiede, l’errore a regime permanente è inversamente proporzionale al guadagno ad anello. Aumentando il guadagno d’anello l’errore diminuisce, però comincia a comparire la sovraelongazione. Ad un certo punto bisognerà fermarsi perché la sovraelongazione è troppo alta, sempre ammettendo che l’attuatore ce la faccia a seguirla. Arriva dunque il punto in cui dobbiamo fermarci per due possibili ragioni:
  • l’attuatore non ce la fa più e va in saturazione
  • la sovraelongazione è troppo alta
  • Eliminare l’azione proporzionale e l’azione derivativa e far restare in funzione solo l’azione integrale. Ciò perché l’integratore è il filtro passa basso più efficiente che esiste, non arriva mai a regime permanente, non riesce mai ad inseguire un profilo, accumula e basta. Vediamo nello schema a destra della slide 34 che per un valore molto basso dell’azione integrale il sistema rallenta la dinamica però arriva a regime permanente. Il luogo delle radici di un sistema che ha un polo al finito ed un polo nell’origine è data da una croce con una retta che passa nella mezzeria. Le radici del sistema ad anello chiuso vanno a disporsi in un punto di tale luogo, quindi certamente avremo che i poli del sistema ad anello chiuso sono più vicini all’origine rispetto a quelli ad anello aperto. Quindi le due costanti di tempo del sistema retroazionato sono più lente e poiché le costanti di tempo sono collegate alla velocità del sistema, ciò porta ad un rallentamento della dinamica. La massima velocità l’avremo, ovviamente per guadagni molto bassi. Tale comportamento ce lo dovevamo aspettare, perché è dovuto al polo nell’origine. Se aumentiamo l’azione integrale compare la sovraelongazione ed anche in questo caso ci dobbiamo fermare. Ciò perché se aumentiamo oltre l’azione integrale migliora il tempo di salita, ma compare la sovraelongazione. La sovraelongazione in un processo produttivo implica che c’è una zona in cui il nostro prodotto è fuori specifica, ed in generale non è molto tollerata negli impianti produttivi.

Sfruttando l’esperienza fatta nei due esempi appena visti, dobbiamo elaborare una strategia di messa a punto.

Slide 35

Supponiamo che per il regolatore sia attiva solo l’azione proporzionale come nella slide 35. Variando il Kp arriviamo al top dell’azione proporzionale, come si evince dal fatto che sta comparendo la sovraelongazione. In blu abbiamo riportato il forzamento ed in rosso l’andamento della variabile controllata. Attiviamo l’azione integrale, lasciando il KP precedente e cosi facendo diamo un poco di azione integrale. Questa azione ha un effetto positivo perché ci permette di raggiungere la precisione a regime permanente, ed un effetto negativo perché rende il tempo di risposta troppo lungo. Questo ovviamente avviene perché il valore di KI risulta inadeguato. C’è da notare anche che per ciò che concerne il forzamento le cose vanno abbastanza bene, infatti anche se nella fase iniziale c’è un forzamento maggiore di quello che abbiamo nel caso puramente proporzionale questo resta nell’ordine di sovracaricabilità dell’attuatore. Poiché siamo in assenza di sovraelongazione, procediamo ad aumentare l’azione integrale al fine di diminuire il tempo di salita raggiungendo in questo modo il top delle prestazioni. Se aumentassimo ancora l’azione integrale aumenterebbe troppo la sovraelongazione. Guardando l’andamento della variabile di forzamento vediamo come anche por l’attuatore non ci siano problemi. In genere quando siamo a dei livelli di cultura zero si procede in questo modo, ed è per questo che avevamo presupposto l’operatore completamente inesperto. L’azione derivativa non è stata toccata, perché va gestita da chi conosce il sistema, ne conosce il comportamento dinamico ed ha una certa esperienza di automazione. Abbiamo praticamente chiuso il discorso di come mettere a punto i parametri Kp e KI del sistema supponendo di non conoscere assolutamente nulla dello stesso. Facciamo ora un ulteriore passo avanti.

Slide 36

Dei parametri riportati nella prima espressione della slide 36 è di per se significativo solo il Kp mentre il KI non è significativo come valore. Dobbiamo cercare di mettere in luce un parametro significativo per quanto riguarda la caratterizzazione dell’azione integrale e dell’azione derivativa, ossia dobbiamo evidenziare tre parametri che ci consentano di comprendere maggiormente qual è l’entità dell’azione proporzionale, dell’azione integrale e dell’azione derivativa. Ciò al fine di poterli mettere in relazione con la costante di tempo almeno del modulo dinamico del sistema da controllare. Nella prima riga della slide 36 abbiamo l’espressione di m(t), il regolatore Pid. Ne scriviamo l’espressione nel dominio di Laplace mettendo in evidenza il guadagno Kp. Otteniamo due rapporti tra guadagni che possono essere interpretatati in un modo differente. Invece caratterizzare il regolatore Pid con il guadagno Kp lo possiamo caratterizzare con l’inverso del guadagno, la banda proporzionale Bp. Per chiarire il perché di questa operazione facciamo un esempio: se in un amplificatore operazionale si fissa la resistenza di controreazione uguale alla resistenza d’ingresso il guadagno è unitario. Per aumentare il guadagno della cella amplificatrice aumentiamo la resistenza di controreazione. Per renderlo variabile in pratica si ci mette un potenziometro ed una resistenza in serie uguale alla resistenza d’ingresso in modo tale che quando il potenziometro è a fine corsa, risulta comunque zavorrato dalla resistenza ed il guadagno è unitario. Variando il potenziometro si ha il guadagno voluto. I primi dispositivi di elaborazione, erano fatti sul principio dell’amplificatore operazionale, ci si metteva un potenziometro o un qualche cosa che gli assomigliasse in modo tale che quando il potenziometro era a fine corsa il guadagno era unitario, mentre variando il potenziometro il guadagno assumeva altri valori. Si procedeva in funzione della taratura del potenziometro. Tale modo di procedere è rimasto e viene chiamato banda proporzionale. Passiamo alle altre due grandezze evidenziate nella formula: invece del valore KI/ Kp viene indicato l’inverso TI come tempo dell’azione integrale ed invece del rapporto Kd/Kp viene indicato il Td come tempo dell’azione derivativa. Questi due valori hanno assunto il ruolo di parametri caratteristici del regolatore. Il motivo è perché è molto più facile caratterizzare una volta per tutte questi parametri.

Slide 37

Supponiamo che la variabile di errore abbia un andamento del tipo a gradino. L’azione proporzionale darà un azione del tipo a gradino mentre l’azione integrale dà un andamento di tipo a rampa. L’intervallo di tempo necessario affinché l’effetto dell’azione proporzionale sia uguale all’effetto dell’azione integrale, viene chiamato tempo dell’azione integrale. Quindi il motivo dell’introduzione del tempo dell’azione integrale TI era legato al fatto che era possibile determinarlo attraverso una misura. Se si vuole una bassa azione integrale questo tempo deve essere praticamente infinito, mentre per avere un alta azione integrale, vale l’inverso. Lo stesso principio ha portato all’introduzione del tempo dell’azione derivativa Td infatti supponiamo che la variabile di errore abbia un andamento di tipo a rampa, l’intervallo di tempo necessario affinché l’effetto dell’azione proporzionale sia eguale all’effetto dell’azione derivativa viene chiamato tempo dell’azione derivativa. Se il tempo dell’azione derivativa è molto basso praticamente l’azione derivativa non esiste, se è molto alto fa sentire io suoi effetti. Invece di ragionare con i guadagni ragioniamo in termini di banda proporzionale, di tempo dell’azione integrale e di tempo dell’azione derivativa. Ribadiamo che nei sistemi in cui la modalità di controllo copiano le operazioni di un operatore esperto, si parte dall’esperienza e quindi l’esperienza ha un ruolo determinante.

Slide 25

Nella slide 25 ritorniamo a come si dimensiona il filtro derivativo in banda analizzando un caso specifico, che può essere opportunamente esteso. Supponiamo di aver tarato il regolatore con un’azione proporzionale più integrale: in figura abbiamo riportato l’andamento della risposta al gradino in rosso. Se sul grafico della risposta al gradino sovrappongo una sinusoide il cui fronte di salita è più o meno accentuato del fronte di salita della risposta, sarei in grado di distinguerle. Se il fronte di salita della sinusoide è uguale al fronte di salita della risposta le due curve saranno indistinguibili. A questo punto misuriamo il periodo della sinusoide e ne calcoliamo la pulsazione Ω* che assegneremo ai poli complessi e coniugati del filtro per la stima della derivata in banda. Per ciò che concerne la determinazione dello zero ci mettiamo una decade prima della pulsazione Ω* perché dall’esperienza sappiamo che il comportamento dinamico di un sistema è significativo all’interno di una decade, una decade e mezzo. Quindi con la frequenza di rottura dello zero ci poniamo una decade a sinistra di Ω*. Per ciò che concerne il guadagno lo determiniamo in maniera tale che in corrispondenza della frequenza di taglio più bassa, quella dello zero, sia pari a 20log10(0.1 W*). Per verificare se abbiamo fatto bene le scelte, basta vedere se effettivamente abbiamo stimato la derivata e quindi ponendo all’ingresso del filtro per la stima in banda una sinusoide compresa nella banda di derivazione, dobbiamo ottenere in uscita un segnale che corrisponda alla derivata matematica del segnale posto in ingresso.

Slide 26

Nella slide 26 vediamo il diagramma di Bode del sistema a ciclo chiuso, e notiamo che il filtro per la stima della derivata in banda l’abbiamo posizionato bene perché l’azione derivativa agisce dove c’è il transitorio che ci porta la sovraelongazione, cercando di ridurre il modulo alla risonanza. In corrispondenza della banda passante il nostro filtro ha attenuazione 0 dB, ossia ha guadagno unitario, ed ha un azione derivativa proprio nella zona di dinamica che a noi interessa. D’altra parte come abbiamo già avuto modo di vedere è l’azione proporzionale che determina le prestazioni del sistema controllato L’azione integrale porta ad avere un comportamento a regime permanente secondo la specifica di errore nullo e l’azione derivatrice migliora il comportamento dinamico. Nella slide 27 si vede più chiaramente quanto abbiamo affermato: in rosso abbiamo l’andamento del sistema controllato con un Pi di tipo convenzionale mentre in blu c’è l’aggiunta dell’azione derivativa, come si vede l’azione derivativa ha l’effetto di diminuire la sovraelongazione, e lasciare inalterato il tempo di risposta, ma soprattutto diminuire il forzamento. Ritorniamo ai parametri caratteristici del regolatore Pid, che sono definiti in funzione di tre parametri: il tempo dell’azione integrale, il tempo dell’azione derivativa e la banda proporzionale. Abbiamo visto che la banda proporzionale ha una sua origine storica, ma oggi non viene più molto usata, e viene usato a suo posto preferibilmente il guadagno Kp. Tali parametri caratterizzano facilmente il regolatore. I regolatori, quando sono prodotti hardware, sono caratterizzati dal campo di escursione del tempo dell’azione integrale. Per capire se il regolatore è adatto o meno al sistema da controllare bisogna vedere il tempo dell’azione integrale del regolatore e confrontarlo con il valore presunto della dinamica dominante del sistema da controllare. Facciamo ora un secondo passo nel tuning dei parametri, ossia nella predisposizione dei parametri del regolatore Pid. Il primo passo lo avevamo fatto ipotizzando di non avere alcuna informazioni sul sistema e determinando una procedura di tuning che sicuramente non crea problemi al regolatore e fornisce un buon tuning. La procedura prevedeva come primo passo di determinare il massimo valore dell’azione proporzionale, successivamente di determinare il limite massimo valore per il guadagno dell’azione integrale, dopo di che si predisponeva il filtro per la derivata in banda. Adesso studieremo un altro approccio che prevede di poter fare delle prove mirate sull’impianto.

Slide 38

Ricordiamo che il guadagno dell’azione proporzionale e banda proporzionale sono fra di loro collegate ma se aumenta il guadagno diminuisce la banda proporzionale e viceversa. Altrettanto coordinate sono il guadagno dell’azione integrale ed il tempo dell’azione integrale, ma in maniera inversa. Invece il tempo dell’azione derivativa ed il guadagno dell’azione derivativa sono coordinate in maniera diretta.

Slide 39

Se assumiamo che la m(t) della slide 36 sia la funzione di trasferimento del regolatore Pid, questa la possiamo scrivere come un rapporto di polinomi al secondo ordine per il numeratore ed al primo ordine al numeratore, come si vede nella slide 39, e per ora ignoriamo i problemi di fisica realizzabilità della funzione m(t). Infatti stiamo tentando un approccio astratto per ricavare un ulteriore regola per la predisposizione dei parametri. A secondo dei valori di Kd, Kp, KI il valore gli zeri di m(t) possono essere reali e distinti o complessi e coniugati. Se Kp è maggiore di due volte la radice quadrata del prodotto di Kp per Kd allora i due poli sono reali e coincidenti, ed abbiamo un diagramma di Bode della funzione di trasferimento come quello rappresentato in rosso nella slide 39. Nel primo tratto ha una pendenza di 20 dB/dec si comporta come se fosse un integratore, e serve per migliorare le prestazioni relative alla precisione. Il secondo tratto è quello in cui avviene la correzione del diagramma di Bode originario e che determina la dinamica, il terzo tratto è quello attribuibile all’azione derivativa. Il modulo per tale diagramma è sempre positivo. L’andamento nel caso di zeri complessi e coniugati è riportato in blu. Non ci va bene perché non otteniamo i risultati desiderati circa il miglioramento del comportamento dinamico che vogliamo ottenere. Tutti i regolatori, soprattutto quelli prodotti in hardware ma anche quelli prodotti in software, mettono la condizione che il tempo d’azione integrale sia maggiore di quattro volte il tempo dell’azione derivativa, e quindi che gli zeri siano reali e distinti. L’utente non addestrato a questo vincolo non se ne accorge neppure. Ovvero si lascia la libertà di inserire il tempo dell’azione derivativa ma c’è un trabocchetto interno, che non permette di fissare liberamente l’azione integrale. Facciamo ora un breve escursus per spiegare come furono realizzati i primi regolatori. Tali regolatori erano fatti con tecniche pneumatiche, perché era l’unica tecnologia disponibile. Infatti l’elettronica delle valvole e delle microvalvole è iniziata negli anni 55 – 60. Questa ha avuto vita breve perché si è passati subito all’elettronica dei transistor discreti. Anche questa ha avuto poca vita, perché si è passati all’elettronica degli amplificatori operazionali e dei circuiti integrati che sono tuttora abbastanza usati. L’elettronica delle valvole e microvalvole ha avuto poca vita perché dovevano essere alimentate con un tensione troppo alta, e questo in un impianto poteva creare delle difficoltà per ciò che concerne problemi di scintillazione. L’elettronica dei primi transistor era problematica perché questi assorbivano moltissima corrente, e anche se non si aveva scintillazione per alta tensione si rischiava di averla per alta corrente, ed oltretutto c’erano problemi di dissipazione. Negli anni 70 - 80 si è passati all’elettronica dei circuiti integrati a bassa tensione. Circa un secolo fa funzionavano gli amplificatori pneumatici, realizzati su un principio abbastanza semplice: se abbiamo un ugello da cui fuoriesce un getto d’aria a pressione e di fronte a tale ugello poniamo una membrana, la pressione che si va a formare all’uscita dell’ugello è inversamente proporzionale alla distanza, fino ad un quarto del diametro dell’ugello. Gli ugelli avevano dei diametri dell’ordine del millimetro, come foro, quindi l’amplificatore aveva escursioni di poche centinaia di micron. La meccanica di precisione era comunque molto avanzata e quindi era facile realizzare i dispositivi meccanici per far ciò.

Venivano realizzati amplificatori del tipo spostamento-tensione. C’erano poi dei trasduttori pressione spostamento vecchi di un paio di secoli: i soffietti. Infatti i primi barometri non erano altro che barometri a soffietto, quindi la combinazione di questo “transistor pneumatico” con dei trasduttori pressione spostamento rendeva possibile la realizzazione di amplificatori ad alto guadagno, molto stabili. Le caratteristiche di questi amplificatori dipendevano dalle dimensioni meccaniche ed erano notevolmente stabili se si aveva la cura di non far avvenire dilatazioni per effetto termico, ne alterare la temperatura dell’aria. La banda passante era abbastanza bassa ma utile per i segnali dell’epoca.

Slide 40

Il regolatore veniva realizzato con un amplificatore di potenza di segnali pneumatici, ad alto guadagno. In controreazione questo amplificatore doveva alimentare il motore di una valvola di regolazione. Le valvole di regolazione avevano come motore un attuatore pneumatico, realizzato con una membrana collegata ad un pistone, a sua volta collegato all’otturatore della valvola. Si mandava l’aria in pressione su questa membrana e tale membrana posizionava la valvola. Ragionando in termini elettronici potremmo dire che aveva un impedenza d’ingresso abbastanza elevata, altrimenti non si sarebbe potuto muovere l’attuatore. Erano quindi degli amplificatori di segnale e di potenza il cui disturbo era l’energia di comando dell’attuatore. A questi amplificatori veniva messo in controreazione un blocco H(s), ed essendo K molto elevato ed istantaneo (senza ritardi), la funzione di trasferimento complessiva del sistema è del tipo 1/H(s). Volendo realizzare un controllore con funzione di trasferimento G(s) bisognava realizzare una controreazione che pari a 1/G(s).

Slide 41

Essendo la funzione di trasferimento H(s) pari a 1/G(s), se volessimo realizzare con tale tecnologia la funzione di trasferimento di un Pid, la H(s) sarà caratterizzata da uno zero nell’origine e due poli reali e distinti. Mettendo in contrapposizione due elementi, uno che ha una funzione di trasferimento (1+ τ1s) ed un’altra che ha (1+ τ2s) e realizzando una struttura come quella della slide 41 si realizzava la H(s). In pratica si utilizzavano due soffietti al cui ingresso c’era un resistore pneumatico, ossia una strozzatura. Venivano messi faccia contro faccia, quindi in contrapposizione, e la differenza di spostamento veniva portata ad un elemento di tipo meccanico come una leva. L’estremità dell’amplificatore realizzato con una leva era quello che governava la distanza tra ugello e membrana dell’amplificatore idraulico. Tale tecnica sembra primordiale, ma consentiva di avere dei tempi di azione integrale dell’ordine delle ore, perché era priva di deriva. Nei primi amplificatori operazionali era assolutamente impossibile realizzare tempi di azione integrale cosi elevati e con i primi amplificatori a transistor era abbastanza difficile. Oggi, con gli amplificatori a circuiti integrati, le cose vanno meglio. Però per certi aspetti l’amplificatore pneumatico realizzato in tal modo aveva delle prestazioni nettamente superiori a quelli realizzati elettronicamente, perché i fenomeni di deriva e di variabilità dei componenti erano praticamente inesistenti. Questi regolatori pneumatici sono ancora presenti in molti impianti, quali quelli per la distillazione dei liquidi fortemente infiammabili. Tutto l’olio di semi è ottenuto estraendo dai semi tramite dell’esano la parte oleosa commestibile. L’esano è un prodotto della distillazione del petrolio estremamente infiammabile, quindi nella parte finale del controllo di questi sistemi vengono ancora utilizzati dei regolatori pneumatici, ovviamente di moderna concezione, perché si è in presenza di questi fluidi terribilmente esplosivi. Nell’industria farmaceutica molte delle estrazioni vengono fatte con l’acetone che è ancora più infiammabile dell’esano. In tutti questi casi risulta necessario utilizzare i sistemi pneumatici.

Slide 42

Ritorniamo ai regolatori Pid ed alla loro predisposizione. Supponiamo di poter effettuare delle prove mirate sull’impianto. Da svariati anni sono state approntate delle procedure per la messa a punto che ora descriveremo. Il primo passo da fare è collegare completamente il loop di controllo ponendo a zero nel regolatore Pid l’azione integrale e a zero l’azione derivativa. Quindi si mette al massimo il tempo dell’azione integrale e al minimo il tempo dell’azione derivativa, perché i valori di tali grandezze non variano tra zero ed infinito, ma tra un minimo ed un massimo. Viene poi aumentato il guadagno finche il sistema non entra in uno stato di oscillazione permanente. Tale oscillazione permanente deve essere molto particolare perché per un valore estremamente più piccolo del guadagno si deve smorzare, e per un valore un poco più grande deve restare invariata. Il guadagno viene portato in tal modo al limite di instabilità. Si ricava il periodo dell’oscillazione ed il valore del guadagno. In base a questi due valori ci sono poi delle regole empiriche che forniscono il valore da attribuire ai parametri del regolatore per ottenere una risposta del sistema accettabile. Ovviamente sono valori con alto margine di variabilità, non sono dei valori standard ma solo dei valori orientativi, ed ogni operatore d’impianto ha i suoi valori che mette a punto in funzione dello specifico impianto. Se il regolatore è puramente proporzionale, la filosofia è la seguente: se K* porta il sistema in oscillazione permanente si ci mette in condizione di sicurezza regolando il guadagno ad un valore che è la metà di quello che porterebbe il sistema in oscillazione. E’ una procedura opinabile, ossia si possono cercare valori più appropriati. Se il regolatore ha anche l’azione integrale allora si fissa il valore del guadagno un poco più basso del caso precedente, a 0.45K* ed il tempo dell’azione integrale a 0.8T*. Se infine è presente anche l’azione derivativa si può aumentare un poco il guadagno perché la derivata tende ad annullare l’oscillazione di instabilità. La tabella con tutti i valori consigliati è riportata in figura. Con queste regole vengono spesso messi a punto i parametri del regolatore. Sempre nella slide 42 è riportato un esempio in merito all’utilizzo di tale metodo. Come descritto precedentemente facciamo variare il guadagno del sistema fino a portarlo al limite di stabilità, ottenendo l’oscillazione in figura. A questo punto determiniamo i parametri K* e T* che ci consentono di fissare i parametri del Pid. Sempre nella slide 42 sono riportate le risposte al gradino nel caso che si adoperi un controllore puramente proporzionale, un controllore Pi ed un regolatore Pid. Nel caso di azione proporzionale, abbiamo l’andamento in figura rappresentato in blu. Se aggiungiamo l’azione integrale vediamo che si riesce ad arrivare al valore medio pari ad uno. Se infine aggiungiamo l’azione derivativa arriviamo prima a regime, e la sovraelongazione cresce ma non eccessivamente. Inoltre il tempo di assestamento dopo un disturbo diminuisce. Con queste procedure sono stati messi appunto moltissimi sistemi di regolazione a livello locale. Il grosso difetto di tali procedure è la necessità di portare il sistema in oscillazione permanente. Questa è un operazione che non fa bene ai componenti del sistema, perché è una condizione di prova che sottopone il sistema a degli stress non raccomandabili. Sempre ammesso che tale operazione si possa fare, perché in alcuni sistemi tale operazione non si può fare. Sistemi per cui si può sicuramente fare sono i sistemi elettroacustici. Infatti il più delle volte viene aumentato il guadagno finche non si sente il fischio. A questo punto il sistema è entrato in instabilità, si diminuisce il guadagno finche il fischio non scompare, e si misura la frequenza del fischio. Conoscendo il guadagno e la frequenza del fischio si setta l’azione di correzione. Anche altri sistemi funzionano alla stessa maniera come ad esempio alcuni sistemi elettromeccanici. Quella descritta viene chiamata “prima procedura di predisposizione di Nichols”.

Slide 43

Una altra possibile procedura parte dall’analisi della risposta al gradino del insieme attuatore-sistema. Si prende il sistema da controllare gli si collega l’attuatore, si fornisce una variazione a gradino al sistema cosi realizzato e si rileva la risposta in uscita. Tale risposta, viene ad essere approssimata, solo ed unicamente ai fini di trovare quali sono i valori dei parametri del regolatore, con un ritardo finito ed una sola costante di tempo come si vede nella slide 43. Il ritardo finito serve per approssimare i modi a dinamica secondaria, mentre la costante di tempo deve approssimare la dinamica dominante. Ovviamente la dinamica dominante ha effetto quando è finito l’effetto dei modi a dinamica secondaria. Il problema è di trovare la costante di tempo equivalente della dinamica dominante che ricopia al meglio la parte finale della risposta a gradino. Infatti nella parte iniziale ci troviamo i modi non dominanti. Quindi bisogna fare un fitting della curva partendo dall’istante finale e non dall’istante iniziale. Quando abbiamo determinato la costante di tempo che ci permetta un buon fitting della parte finale della risposta, si determina qual è l’entità del ritardo finito. Si tratta di un procedimento all’inverso perché nella prima parte indicata con T sono rilevanti i modi non dominanti quelli a dinamica più rapida. Se dobbiamo determinare il valore della costante di tempo del sistema a dinamica lenta la identificheremo nella parte finale perché qui siamo certi che i modi a dinamica rapida si sono esauriti. Mediante i valori della costante di tempo, del guadagno finito e l’ausilio della tabella riportata nella slide 43 si possono calcolare i valori per i parametri del Pid. Sempre nella slide 43 è riportato un esempio ottenuto per un regolatore di tipo proporzionale, di tipo Pi e di tipo Pid. Nel grafico a destra si vedono i risultati nei vari casi. E’ inutile fare disquisizioni in merito a quale sistema vada meglio, in generale bisogna provarli sul campo. I numeri riportati nelle tabelle sono ovviamente indicativi. Ognuno ha le sue regole, perché sono regole che vengono adottate in funzione al particolare tipo di impianto. La procedura appena descritta per trovare il ritardo di tempo e la costante di tempo non vale in assoluto, infatti un altro metodo prevede di cercare la pendenza del punto di flesso della risposta al gradino. Infatti la risposta al gradino ha sicuramente un punto di flesso perché parte con una pendenza positiva e finisce con una pendenza negativa. La retta cosi trovata approssima la costante di tempo del sistema. In generale possiamo dire che per alcuni sistemi si può si procedere portandoli in oscillazione e rilevando quali sono i valori caratteristici del guadagno e del periodo in corrispondenza dell’oscillazione, mentre per altri si procede a rilevare la risposta al gradino a catena aperta e a sintetizzare questa risposta con un ritardo finito ed una costante di tempo. Tali valori li determiniamo osservando l’andamento della risposta al gradino secondo procedure che la teoria dice essere quelle descritte e l’esperienza le corregge in parte. Tutte queste procedure le classifichiamo come procedure basate su prove mirate sull’impianto. Non per tutti i sistemi, non per tutti gli impianti è possibile fare queste prove mirate. Ad esempio la prova di portare il sistema in oscillazione permanente non è facilmente eseguibile negli impianti che hanno una dinamica dominante molto lenta. Richiederebbero prove di durata lunghissima durante le quali potrebbero cambiare le condizioni operative. Il secondo metodo non va molto bene per sistemi a dinamica molto veloce, perché si riesce a stimare bene la parte finale della risposta al gradino e male la parte iniziale. In ogni caso quelle viste fin ora sono solo indicazioni di come procedere ove sia consentito fare prove sull’impianto, cosa che in generale non è consentita. Al giorno d’oggi tali metodi sono in disuso, perché esistono delle procedure rese operative nei controllori, sia hardware che software, da programmi già predisposti che fanno l’autotuning dei parametri, ossia che hanno una procedura interna con cui riescono a mettere a punto il regolatore senza bisogno di fare le prove prima descritte ma altri tipi di prove che vedremo in seguito. Descriviamo sempre in quest’ottica, un’altra tecnica di controllo realizzabile con prodotti hardware.

Slide 44

Nella slide 44 è riportato uno schema di controllo che utilizza un regolatore Pi più un ulteriore sezione. Tale sistema di controllo è realizzato con il regolatore Pi il cui canale che da l’integrazione è sempre attivo. Si tratta di un sistema di asservimento perché il sistema è sottoposto a delle variazioni del riferimento. Analizziamone il funzionamento: negli istanti iniziali il contributo che da l’errore all’azione integrale è alto portando l’integratore a caricarsi in un fase in cui sarebbe preferibile che non si caricasse perché nel transitorio l’azione integrale non è necessaria. Tutto questo provoca dei ritardi per ciò che concerne il tempo di assestamento, ossia il tempo in cui la variabile controllata assume il valore desiderato supponendo che l’andamento desiderato sia del tipo a gradino. Il dispositivo aggiuntivo che si vede in figura serve per scaricare l’azione integrale nella fase iniziale ed è detto “circuito antiwindup”. Se prendiamo la grandezza d’ingresso e di uscita dell’attuatore e ne facciamo la differenza, ci accorgiamo che tale differenza è non nulla se l’attuatore è assimilabile ad una saturazione, ossia se lavora nell’ambito della saturazione. Invece tale differenza risulta nulla se lavora al di fuori della saturazione. L’attuatore va in saturazione se il segnale al suo ingresso è troppo elevato e non ci può essere corrispondenza tra il valore del forzamento che teoricamente dovrebbe esser fornito all’impianto e il forzamento che in realtà si riesce a fornire. Quindi se nella fase iniziale l’azione integrale del Pid tende a portare in saturazione l’attuatore, automaticamente s’innesca un altro integratore che provvede a scaricare l’integratore del Pid. In tal modo da una parte abbiamo un integratore che integra l’errore e dall’altra parte un integratore che diminuisce l’integrale dell’errore. Tale azione si chiama azione antiwindup. Il perché tale azione venga chiamata in questo modo lo si capisce se si analizza l’andamento delle variabili nel sistema.

Slide 45

Nella slide 45, vediamo nel grafico a sinistra in verde la risposta del sistema con attuatore supposto senza saturazione, e nel grafico a destra sempre in verde la variabile di forzamento. Nella parte iniziale l’attuatore ha un escursione molto elevata come possiamo vedere nei due grafici dall’andamento riportato in blu. Nel primo grafico raggiunge un picco elevato, mentre nel secondo grafico arriva la saturazione a troncarlo perché nella realtà l’attuatore più di un certo valore di forzamento non può fornire e tale limite è fissato proprio dalla saturazione. L’attuatore resterà in saturazione finche non diminuisce il segnale d’errore. Il circuito antiwindup provvede a fornire un azione atta a diminuire l’entità dell’errore. Quindi mentre nel sistema con attuatore senza saturazione l’integratore ha un effetto più limitato nel tempo, se è presente la saturazione l’integratore continua ad accumulare energia e costringe il sistema ad avere un picco di sovraelongazione della risposta molto più pronunciato che nel caso precedente. Inoltre il tempo di assestamento si allarga, quindi aumenta il transitorio. Gli effetti negativi sono dunque due:

  • Aumenta il valore del picco della sovraelongazione.
  • Aumenta il tempo di assestamento.

Se inseriamo un azione antiwindup, man mano che l’errore si forma viene scaricato integratore del Pid, quindi l’andamento del forzamento rimane costante o diminuisce e di conseguenza non scompare la sovraoscillazione. Anche il tempo di assestamento del sistema diminuisce. Questa operazione antiwindup è stata resa operativa molto bene nei regolatori di tipo pneumatico, dunque ha radici molto lontane nel tempo. Oggi la regolazione antiwindup in generale non ha senso di esistere perché con l’attrattore e la saturazione in serie all’integratore si risolve il problema per altra via. Possiamo sintetizzare le regole di predisposizione dei regolatori nel seguente modo:

  • Predisposizione secondo procedure ben definite, basate su prove specifiche sul sistema da controllare.
  • Regole empiriche per la predisposizione dei parametri.

Da ciò si perviene a :

  • Prove dirette sul sistema da controllare ed in base al risultato di queste prove predisposizione di parametri.
  • Prove dirette sul sistema da controllare con regole empiriche per la predisposizione dei parametri.

Illustriamo un terzo approccio per fare la predisposizione dei parametri, ossia apriamo il capitolo delle prove sul sistema con regole sistematiche per la predisposizione dei parametri. Per sistematiche si intendono delle procedure che hanno delle basi teoriche che giustifichino la correttezza delle stesse. Da quanto detto fin è emersa una cosa molto importante: portare il sistema in oscillazione permanente non è una operazione che faccia bene al sistema ne è realizzabile. Inoltre ha ampi margini di incertezza fatta eccezione per particolari sistemi. Quello che ha più senso fare è una prova a catena aperta dell’attuatore collegato al sistema da controllare, come ad esempio rilevarne la risposta al gradino. Un quesito di fondamentale importanza è come scoprire se la risposta al gradino ha una dinamica secondaria, e in tal caso come trovare il valore dei parametri che caratterizzino la dinamica principale ed una dinamica secondaria equivalente. Specifichiamo che non è interessante trovare l’esatta dinamica secondaria, ma che interesserà sarà solo di dare una descrizione complessiva ed esauriente dei fenomeni. Quindi c’è una dinamica principale con certi parametri ed una dinamica secondaria equivalente con altri parametri. In altre parole stiamo dicendo che il sistema da controllare più l’attuatore può essere esaurientemente descritto da una dinamica principale e da una dinamica secondaria. Tale dinamica secondaria è una dinamica secondaria equivalente, ossia non è la descrizione esatta della dinamica secondaria ma ne è una descrizione equivalente. Con lo studio che ci stiamo apprestando a fare vedremo come ricavare i parametri relativi alla dinamica principale ed alla dinamica secondaria equivalente partendo dall’andamento della risposta a gradino del sistema.

Slide 46

Il metodo che adopereremo è detto metodo degli integrali multipli, o dei momenti. Se abbiamo un sistema caratterizzato da una sola dinamica dominante, una sola costante di tempo, e ne ricaviamo la risposta a gradino, questa ha l’andamento A0 riportato nella slide 46. Se facciamo l’integrale dell’errore, ossia della differenza tra gradino unitario e risposta ottenuta ci accorgiamo che ha area unitaria perché il guadagno del sistema era pari ad uno (infatti se abbiamo un sistema con guadagno K l’integrale dell’area descritta ha un valore pari a K). Prendiamo la curva in grigio e integriamola una seconda volta. Anche in questo caso risulterà che l’area ottenuta per differenza tra la curva dell’integrale ed il gradino è ancora unitaria, e cosi a seguire. Analiticamente lo si può verificare facilmente infatti se il sistema è ad una sola costante di tempo si va ad integrare ogni volta un esponenziale. Se invece il sistema presenta una dinamica secondaria la risposta è del tipo riportato a destra nella slide 46. Notiamo che la tangente alla parte iniziale della risposta ha un valore prossimo allo zero, ed inoltre c’è un flesso perché la curva parte con una pendenza positiva e arriva con una pendenza negativa. Procediamo a calcolare gli integrali come nel caso precedente. Gli integrali successivi calcolati in questo caso non hanno valore unitario. Ecco una procedura molto semplice per scoprire se la risposta al gradino rilevata è una risposta al gradino che nasconde una dinamica secondaria o meno. Oppure se la dinamica secondaria è una dinamica secondaria insignificante o ha un suo rilievo.

Slide 47

Memorizziamo i vari coefficienti ottenuti per integrazioni successive. La funzione di trasferimento con cui vogliamo descrivere il comportamento del sistema ha la struttura riportato nella slide 47, con due poli di cui uno attribuibile alla dinamica dominante e l’altro attribuibile alla dinamica secondaria equivalente. Il nostro problema è di determinare i coefficienti b0, a1, a2. Per il teorema del valore finale ed il teorema della trasformata dell’integrale otteniamo le relazioni riportate nella slide 47. Riusciamo cosi a ricavare b0, a1, a2, ossia il valore dei parametri della funzione di trasferimento. Notiamo che la procedura è basata su integrazioni successive e che l’integrale è il miglior filtro per togliere il rumore. Quindi anche se si parte da un gradino in cui l’andamento è corrotto dal rumore la procedura è comunque robusta e valida.

Slide 48

Ottenuta la procedura per ricavare b0, a1, a2, ne facciamo un esempio. Nella slide 48 è riportata la funzione di trasferimento G(s) di un modello del quinto ordine che vogliamo approssimare con un modello del secondo. Non riportiamo i calcoli per risparmiarci il facchinaggio algebrico, ma riportiamo direttamente l’espressione di G*(s). Analizzando la risposta al gradino ed il diagramma di Nyquist dei due sistemi notiamo che la differenza è quasi inesistente. La risposta al gradino descrive bene la dinamica lenta e male la dinamica veloce, mentre con il diagramma di Nyquist descrive bene la dinamica veloce e male quella lenta. Osservando con cura i due diagrammi di Nyquist notiamo che la differenza è minimale, ed è data soprattutto dalla dinamica molto veloce, quindi l’approssimazione descrive benissimo la dinamica lenta e un poco meno bene la dinamica veloce. Ricordiamo che nel diagramma di Nyquist la dinamica lenta è data dai rami del diagramma che si estendono verso l’infinito mentre la dinamica veloce è data dal centro delle coordinate. Intorno al punto –1 + j0 è riportato il margine di modulo, un elemento fondamentale per valutare le qualità di un sistema. In generale si è abituati a ragionare con il margine di guadagno, ma il margine di modulo è uno strumento migliore: rappresenta l’area del cerchio osculatore il diagramma di Nyquist con centro (-1,0). Se si prende il diametro del cerchio osculatore la curva, ci mettiamo in condizioni più realistiche di quelle che possono essere date dal margine di guadagno. Questo perché non è detto che il diagramma di Nyquist di un sistema sia proprio un insieme di punti, molte volte è una fascia di punti per via delle incertezze insite nei parametri. L’approssimazione che abbiamo fatto di G(s) non modifica il margine di modulo.

Slide 49

A questo punto abbiamo due modalità di predisposizione a secondo che :

  • Dobbiamo realizzare un sistema di asservimento.
  • Dobbiamo realizzare un sistema di inseguimento.

Nel primo caso un criterio di predisposizione è quello che implichi per il sistema controllato la banda passante più ampia possibile cosi come le migliori capacità filtranti possibili, mentre quando analizzeremo i sistemi per l’inseguimento vedremo che le cose cambieranno leggermente. Altra caratteristica desiderata è che la banda passante del sistema controllato sia la più piatta possibile. Con tale locuzione intendiamo dire che la banda passante deve essere la più ampia possibile con la possibilità di effettuare l’attenuazione dei disturbi fuori banda. Il sistema deve avere un attenuazione minima all’interno della banda passante ed un attenuazione massima al di fuori della stessa. Quanto detto si vede bene nel diagramma di Bode riportato nella slide 49. In generale vogliamo che il diagramma di Bode del sistema, in rosso, sia il più possibile coincidente con l’asse corrispondente al modulo a 0 dB. Per procedere nella predisposizione dei parametri del regolatore in funzione del modello approssimato del sistema da controllare conviene comunque adoperare sia il diagramma di Bode che il diagramma di Nyquist. Consideriamo il luogo a –3dB significativo per la banda passante, ed il luogo a 0 dB significativo per il fatto che se il diagramma di Bode è tangente a tale retta allora non ha modulo alla risonanza e di conseguenza la risposta al gradino non presenta sovraelongazione. In generale possiamo leggere le stesse informazioni su entrambi i grafici. Per ciò che concerne la banda passante nel diagramma di Bode la determiniamo come intersezione tra la retta a –3dB ed il diagramma di Bode del sistema da analizzare, mentre nel diagramma di Nyquist la determiniamo come intersezione tra il diagramma della funzione e il luogo a modulo costante 0.707. Ossia nel passaggio dal diagramma di Bode al diagramma di Nyquist il modulo costante a –3dB si trasforma da una retta in una circonferenza di raggio 0.707. Anche la mancanza del modulo alla risonanza si può leggere in entrambi i grafici, come riportato in figura. Infatti nel diagramma di Bode si vede dal fatto che la curva di Bode segue la retta a 0 dB mentre nel diagramma di Nyquist la curva non deve intersecare la retta a parte reale costante pari a –1/2. Le tre specifiche riportate nella slide 49 le ritroviamo quindi in entrambi i grafici nelle zone 1,2,3. Bisogna sempre tenere presente questi grafici perché soprattutto in seguito, dovremo utilizzare tutte le rappresentazioni grafiche per poter prendere le decisioni su come mettere a punto i poli e gli zeri del regolatore.

Slide 50

Studiamo ora la predisposizione basata sul modello con un regolatore molto semplice, di tipo Pi, che rappresenta sempre il punto di partenza per ogni analisi. La funzione di trasferimento del Pi la possiamo scrivere anche come un polo all’origine ed uno zero, come si vede nella slide 50. Il tempo di azione integrale viene scelto in modo tale da avere una compensazione dello zero introdotto dal regolatore Pi con il polo equivalente della dinamica secondaria. Il concetto è che si compensa il polo equivalente della dinamica secondaria con lo zero introdotto dall’azione di controllo proporzionale più integrale. In tal modo abbiamo un criterio di scelta per il primo parametro del regolatore Pi. Il secondo passo è la determinazione del guadagno del regolatore Pi in modo tale da avere la massima banda passante, secondo la formula riportata nella slide. Facciamo un esempio:

Slide 51

Nella slide 51 riportiamo un esempio numerico in cui si vede come abbiamo ottenuto un sistema controllato praticamente senza sovraelongazione. Infatti il diagramma di Bode non ha modulo alla risonanza ed il diagramma di Nyquist non attraversa il luogo a parte reale pari ad –1/2. Questa procedura assimila il sistema controllato ad un filtro di Butterworths, il quale ha la massima attenuazione fuori banda e il diagramma delle fasi non lineare. Presenta quindi una piccola sovraelongazione nella risposta al gradino. Questa strategia non viene adoperata nei sistemi da controllare sovradimensionati, ma viene adoperata nella predisposizione dell’azione di controllo realizzata a livello minimo che è quella del regolatore nei sistemi non sovradimensionati che devono passare da uno stato di quiete ad una condizione di funzionamento, ed in cui bisogna cercare di ottenere il massimo delle prestazioni per ciò che concerne sia il tempo di risposta che la capacità di filtraggio dei disturbi. Quindi siamo saliti di qualità, siamo passati dai sistemi sovradimensionati ai sistemi non sovradimensionati. Supponiamo che il problema non sia di asservimento ma di inseguimento, lo scenario cambia ed il problema va trattato in un altro modo. Affinché un sistema abbia errore nullo per ingresso di tipo a rampa deve avere due poli nell’origine ed uno zero, altrimenti è intrinsecamente instabile. Dei due poli all’origine, solitamente uno lo ha il sistema da controllare ed un altro lo si inserisce nel regolatore. Lo zero difficilmente lo ha il sistema da controllare e lo si deve inserire con il regolatore. Quindi bisogna adoperare almeno un regolatore proporzionale più integrale. Il criterio che si segue per la sua messa a punto è lo stesso del caso precedente solo che in questo caso si deve realizzare un sistema di tipo due e non di tipo uno, perché deve essere un sistema di inseguimento.

Slide 52

Quindi si debbono cercare i valori dei parametri Kp e TI del regolatore Pi in modo che per il sistema rappresentato nella slide 52, il diagramma di Bode sia il più piatto possibile. Per sistemi d’inseguimento non interessa la risposta al gradino, ma interesserà la risposta alla rampa. Il sistema da controllare avrà una risposta al gradino del tipo in figura in cui la presenza del polo nel sistema da controllare fa si che la risposta al gradino sia una rampa. Tale rampa non parte dall’origine ma da una propria dinamica dovuta al polo relativo alla dinamica non dominante. La risposta al gradino del sistema controllato è del tipo in figura, presenta sovraelongazione, ma la deve avere altrimenti non si può realizzare un sistema di tipo due. Il diagramma di Bode nella parte iniziale presenta una pendenza di –40dB/dec perché ci sono due poli, poi c’è lo zero dovuto alla presenza del regolatore Pi e poi ci sarà il secondo polo al finito dovuto a τ. Il diagramma di Bode del sistema controllato ha l’andamento in rosso in figura: presenta un modulo alla risonanza ma lo deve avere perché altrimenti non riusciamo a fare un sistema di tipo due. Il diagramma di Nyquist corrispondente è l’ultimo in figura. Le due regole per la predisposizione del regolatore riportate in figura non sono più empiriche, ma sistematiche e vale la pena di adoperarle quando il sistema da controllare non è sovradimensionato. Una applicazione tipica si ha nel caso del controllo di livello di un serbatoio. Un serbatoio è un integratore, quindi il polo all’origine lo ha implicito. Per riempirlo ci sarà un attuatore etc. e quindi ci sarà una costante di tempo dovuta all’attuatore e alla modalità di riempimento del serbatoio. Per questo sistema non interessa modificare istantaneamente il livello del liquido, ma interesserà far inseguire al livello un profilo desiderato. Quando si presenta un problema di questo genere si è di fronte ad un problema di inseguimento ed è necessario un regolatore Pi.

Slide 53

Un altra possibile soluzione per la messa a punto di un Pid è riportata nella slide 53. Anche questo è un modo per effettuare la predisposizione di un regolatore in base ad un modello che descriva la dinamica dominante ed una dinamica secondaria equivalente. Questo metodo è abbastanza usato in alternativa a quelli più banali, più semplici.

Quando furono introdotti i primi regolatori con l’azione integrale questa veniva chiamato l’automatic reset. Essendo ancora mancante la teoria che spiegava la necessita del polo all’origine per avere errore a regime permanente nullo, l’azione integrale veniva chiamata automatic reset, ossia reset automatico, e dunque rappresentava la possibilità di inseguire con errore nullo il valore desiderato della variabile controllata. Questi modi di dire sono ancora abbastanza comuni nelle persone con poca cultura. Procederemo ora con un ragionamento che farà da collegamento tra il vecchio, ossia il controllo Pid, ed il nuovo rappresentato dalla strategie di controllo evoluto. Bisogna inquadrare tutti gli strumenti di analisi a nostra disposizione per poter poi effettuare questa sintesi. E’ anche importante vedere come fare il collegamento tra questi strumenti in modo tale da poterli utilizzare tutti contemporaneamente, se non altro per la verifica di uno rispetto all’altro.

Slide 54

Nella slide 54 abbiamo lo schema tipico di sistema controllato. Il sistema da controllare è linearizzato intorno al punto di lavoro con un modello approssimato nella dinamica dominante e nella dinamica secondaria. Stiamo parlando di un controllo di tipo continuo che funziona nell’intorno di un punto di lavoro per sistemi a dinamica molto lenta o sistemi sovradimensionati.

Slide 55

Altro argomento molto delicato è rappresentato dai vincoli operativi. Infatti da una parte c’è la soluzione teorica del problema e da un altra parte ci sono i vincoli che un ingegnere deve saper identificare. Tali vincoli condizionano le grandezze che si ritrovano all’interno di uno schema di controllo. Per ciò che concerne la variabile di forzamento, come già detto in precedenza, questa non può andare al di sotto di un valore minimo o al di sopra di un valore massimo. Il fatto che lavoriamo intorno un punto di lavoro, fa si che l’attuatore lavori intorno ad un punto medio ed abbia un escursione intorno a questo valore. La rapidità di variazione non deve essere inferiore ad un certo valore previsto. In generale al posto della costante di tempo, cercheremo sempre di parlare della rapidità di variazione. Passiamo ora alla misura della variabile controllata. Anche questa misura va effettuata in un range, tra un minimo ed un massimo. Bisogna verificare se lo strumento che effettua la misura è lineare nell’intorno del punto di lavoro rispetto al quale la variabile controllata ha l’escursione. Per alcuni strumenti questa specifica è verificata abbastanza bene, mentre per altri no. Per gli strumenti in generale viene indicato il campo di escursione intorno al punto di lavoro per il quale il comportamento è lineare, oppure nella strumentazione più moderna viene messa una correzione per la linearizzazione, la cosiddetta strumentazione smart. Inoltre bisogna tener presente che il dispositivo di misura ha una sua banda passante. Infine si deve tener conto della precisione del sistema, perché un sistema di controllo equipaggiato con uno strumento di misura che ha una precisione del 1% non può fornire una precisione dello 0,5%.

Slide 56

Parliamo ora delle conseguenze dei vincoli operativi appena visti. Avremo delle limitazione dell’entità dell’errore a regime permanente dovuto a:

  • Limitazione del valore del guadagno condizionato dalla dinamica secondaria. La dinamica secondaria blocca il valore del guadagno, perché non si vuole avere ne instabilità, ne tantomeno un comportamento dinamico che non sia adeguato.
  • Limitazioni nella azione dinamica di controllo causate dalla rigidità della struttura del regolatore. Il regolatore ha una dinamica estremamente rigida, perché ha un comportamento dinamico proprio, dovuto alla combinazione lineare di un azione proporzionale, integrale ed eventualmente derivativa. Vedendo le cose nel modo più roseo, abbiamo due zeri ed un polo nell’origine. Ci sono poi dei poli a dinamica molto veloce, ma in ogni caso ha una struttura rigida. Non possiamo pensare di mettere o delle coppie di poli complesse e coniugate o reali e distinte per migliorare il comportamento dinamico del sistema, siamo legati alla rigidità della struttura di correzione Pid.
  • Limitazioni del campo di escursione del valore dei parametri del regolatore. L’esempio di come si realizza un regolatore a controreazione con l’operazionale, è stato fatto anche per far vedere che non si può avere un finecorsa a zero ed un finecorsa all’infinito. Dobbiamo restare sempre dentro un campo di variazione, e nel caso dell’operazionale tale campo era dovuto alle due resistenze di zavorra del trimmer. Per dirla semplicemente se si sceglie il controllo mediante un regolatore Pid in generale potremo mettere al minimo le varie azioni ma di certo non a zero, né possiamo dare un campo di escursione troppo ampio a tali parametri.

Le limitazione della banda passante del sistema controllato saranno dovute:

  • Al valore della costante di tempo della dinamica dominante.
  • Al campo di escursione della variabile di forzamento.
  • Alla rapidità di variazione della variabile di forzamento.
  • Alla validità del valore misurato della variabile controllata.

Slide 57

Nella slide 57 illustriamo i vincoli relativi alla variabile di forzamento ed alla misura della variabile controllata direttamente sullo schema del sistema di controllo.

Slide 58

Passiamo ora a vedere quali sono i vincoli che ci porta il modello, ossia avendo effettuato una modellizzazione approssimata avremo dei vincoli dovuti a questa approssimazione. Se il modello è non parametrico possiamo averlo modellato attraverso la risposta impulsiva, la risposta a gradino, la risposta armonica in Bode o la risposta armonica in Nyquist. Queste ultime due vengono utilizzate entrambe. Se il modello è parametrico, possiamo modellare la dinamica secondaria in vari modi. Un primo modo è con un ritardo finito e la regola di predisposizione del Pid di Nichols partiva proprio da tale considerazione. Un secondo modo è quello con il quale tutta la dinamica secondaria veniva sintetizzata con una sola costante di tempo relativa alla dinamica secondaria equivalente. Il terzo modo è più complicato ed è rappresentato nella slide 58 in blu. E’ la funzione di trasferimento tipica di un albero elastico, ossia se si prende un albero elastico con due molle in mezzo, si trova che il comportamento dinamico è dato da una coppia di poli complessi e coniugati, uno zero ed un polo. Il regolatore Pid funziona molto male quando il sistema ha delle elasticità, fatto salvo il caso che non si penalizzi molto la dinamica.

Slide 59

Procediamo a valutare le prestazioni dei modelli non parametrici con gli strumenti di analisi a nostra disposizione cominciando con la risposta al gradino come si vede nella slide 59. Per il primo modello non parametrico la risposta al gradino è data dalla dinamica dominante e da un ritardo finito, come si vede in figura. Quando ci sono delle costanti di tempo che descrivono la dinamica secondaria lo vediamo dal fatto che nella parte iniziale della risposta al gradino c’è un ritardo, come quello riportato in verde in figura. Nel secondo tratto c’è una salita, ed infine nel terzo tratto c’è un oscillazione nascosta. La stessa cosa la si può rivedere nel diagramma di Nyquist riportato sempre nella slide 59. È da notare che non tracciamo il diagramma di Nyquist della P(jω), ma quello della P(jω)/ jω perché il polo all’origine è un male inevitabile per assicurare la robustezza nella precisione a regime permanente. Non vale la pena di ragionare relativamente alla P(jω), quando già sappiamo che il polo all’origine comunque andrà inserito. Quindi d’ora in poi quando tracceremo il diagramma di Nyquist del sistema di controllare, anche se non riportato esplicitamente, è il diagramma di Nyquist del sistema da controllare con già inserito il polo all’origine, perché il polo all’origine è quel male inevitabile in questo tipo di struttura per assicurare robustezza del comportamento a regime permanente. Possiamo vedere come il ritardo finito rispetto al modello con assenza di ritardo, riportato in nero tratteggiato, fa si che il diagramma di Nyquist circondi il punto zero con un certo numero di evoluzioni. Nel caso che la descrizione della dinamica secondaria sia fatta con due poli i grafici da considerare sono quelli in blu, mentre l’ultimo caso è dato dai grafici in rosso ed è il caso di modello del sistema elastico. La prima e terza descrizione sono entrambe conservative rispetto alla descrizione originale della dinamica dominante. Ossia ci mettono in condizione sfavorevoli per ciò che concerne il margine di stabilità. Rivediamo le stesse cose in Bode, nella parte in bassa frequenza le cose vanno bene, in banda passante certamente va tutto bene. Le cose vanno male con il margine di fase e con la fase perché, come si vede, finche siamo a bassi valori della fase non ci sono problemi (n.b. il grafico parte da –90° perché c’è il polo all’origine), ma già in corrispondenza della frequenza di attraversamento la prima rappresentazione e la più conservativa perché ci mette nelle condizioni peggiori per ciò che concerne il margine di stabilità. In altre parole se vogliamo ottenere migliori prestazioni dobbiamo partire da un modello più affidabile. Ossia se vogliamo ottenere migliori prestazioni attraverso la modalità di controllo dobbiamo partire da un modello che descriva più accuratamente la realtà. Ciò si vede anche dal fatto che se consideriamo il primo modello (in verde), che come diagramma dei moduli nella parte in bassa frequenza praticamente coincide con gli altri, la sorpresa ce la fornisce con il diagramma delle fasi. La slide 59 è anche importante per far capire che quando dobbiamo giudicare una certa realtà ai fini della progettazione della modalità di controllo lo dobbiamo fare avendo una visione su tutti i fronti.

Slide 60

Supponiamo di avere un sistema come quello riportato nella slide 60, ci sono i vincoli operativi, ed un dispositivo di misura lineare istantaneo. Supponiamo che quelli riportati siano i parametri del regolatore e procediamo ad analizzare il sistema.

Slide 61

Anche in questo caso tracciamo il diagramma di Nyquist di G(jω)P(jω)/jω. Le cose vanno bene perché dal diagramma di Nyquist vediamo che il luogo di Nyquist è tangente alla retta a parte reale -1/2, quindi non avremo sovraelongazione. Inoltre abbiamo un bel margine di modulo, quindi ci aspettiamo un buon comportamento dinamico senza sovraelongazione. Se analizziamo la risposta al gradino del sistema ad anello chiuso effettivamente abbiamo poca sovraelongazione. Rivediamo la stessa cosa con il diagramma di Bode: dall’analisi di W(s) si evince che il modulo alla risonanza è quasi assente e questo implica assenza di sovraelongazione. Infine come ultimo controllo, verifichiamo il forzamento. Bisogna verificare se i vincoli sul massimo valore e sulla rapidità sono rispettati, ed in effetti sono verificati. L’attuatore è stato dimensionato abbastanza bene, perché rispetto al valore a regime permanente gli abbiamo dato la possibilità di avere transitori del 300%. Infatti il valore di regime è 1 ed il limite di prestazione è leggermente superiore a 3. Dobbiamo stare sempre attenti al fatto che avere la possibilità di dare dei forzamenti superiore a quelli relativi al valore nominale condiziona la rapidità di risposta.

Slide 62

L’ultima verifica da fare è quella riportata nella slide 62. Questa verifica è molto importante, perché implica l’utilizzo delle tre rappresentazioni, andando a leggere l’una rispetto all’altra quali sono le informazioni che portano. Le informazioni importanti che si ottengono dalla risposta al gradino sono la sovraelongazione, il tempo di risposta ed il guadagno ad anello, ossia l’errore a regime permanente per un ingresso di tipo a rampa, se il sistema è di tipo uno e che è pari all’area in rosso in figura. Se per un sistema di tipo due andiamo a calcolare l’entità dell’area in rosso, ossia la differenza tra il gradino e la risposta al gradino, quest’area vale 0 perché il sistema di tipo due riesce ad inseguire la rampa con errore a regime permanente nullo. In generale gli scenari possibili sono di due tipi:

  • Alto tempo di salita e bassa sovraelongazione.
  • Basso tempo di salita e alta sovraelongazione.

La stessa cosa la si legge sul diagramma di Bode. Come al solito consideriamo G(jω)P(jω)/jω e come si vede dalla relazione in figura l’entità del guadagno per ω=1 ci da l’errore a regime permanente per ingresso a rampa.

Slide 63

Ci sono altre correlazioni da tener presenti, come quella tra il tempo di risposta e la frequenza di attraversamento, o la banda passante. In prima battuta frequenza di attraversamento e banda passante vengono confuse, però e bene tener presente qual è la loro relazione ossia quella presentata nella slide 63. La cosa più importante è che la frequenza di attraversamento o banda passante è correlata al tempo di risposta.

Slide 64

Anche il modulo alla risonanza e la sovraelongazione sono correlati, come si vede nella slide 64. Inoltre il modulo alla risonanza e la sovraelongazione sono collegati al margine di fase. Basso margine di fase significa alta sovraelongazione. La sovraelongazione è meno sensibile al margine di guadagno.

Slide 65

Passiamo ora a parlare di un sistema da controllare non sovradimensionato. Per tale sistema oltre il disturbo prevedibile dobbiamo considerare il disturbo casuale. Il trasduttore deve essere lineare, perché partiamo da uno stato di quiete e ci portiamo alla condizione di funzionamento, quindi non lavoriamo intorno ad un punto di lavoro. Anche l’attuatore sarà di tipo lineare. Per il controllo di questi sistemi possiamo utilizzare un regolatore Pid innovativo come minima complessità della modalità di controllo. Ciò vuol dire aver messo l’azione derivativa in controreazione, e questo è il livello minimo da cui si deve partire per questi sistemi. Se riusciamo a dare una certa forma, o modello, alla dinamica secondaria, possiamo adoperare un controllore a dinamica prefissata. Questa dizione ne nasconde in realtà un’altra, ossia la sintesi effettuata con l’assegnazione dei poli, dunque i poli di W(s) vengono prefissati. In seguito, vedremo come fare questa assegnazione. Quindi se abbiamo un buon modello del sistema da controllare possiamo fare un passo avanti adoperando un controllore a dinamica prefissata. Se invece abbiamo un sistema da controllare a dinamica incerta, bisogna aprire un nuovo capitolo quello dei controllori di tipo robusto. La domanda che bisogna porsi è se possiamo risolvere tutti questi problemi con un Pid innovativo. La risposta è si ma al costo di rinunciare alle prestazioni dinamiche, ossia possiamo risolvere il problema ma penalizzando la risposta dinamica. I due grossi passi che sono stati inquadrati, sono quelli di passare da un Pid innovativo ad una dinamica prefissata (poli di W(s) prefissati) per migliorare le prestazioni dinamiche e se si riesce anche a fare un modello della dinamica incerta, per migliorare ulteriormente le prestazioni, possiamo passare al controllo robusto. In tutti i casi se vogliamo migliorare le prestazioni dobbiamo partire da un modello migliore, più affidabile. La differenza tra controllo robusto e controllo a dinamica prefissata in relazione alla dinamica secondaria è abbastanza semplice: supponiamo di avere un sistema con dinamica secondaria a parametri fissi come ad esempio un sistema elastico costituito da due inerzie ed un albero elastico. L’albero elastico e le due inerzie sono sempre le stesse durante tutta la vita del sistema. A questo punto, con opportuni studi, si ricava il comportamento dinamico del sistema. Siamo dunque in possesso di un modello che descrive il comportamento del sistema in tutte le condizioni operative con il valore dei parametri determinati in maniera affidabile. Il modo più semplice di effettuarne il controllo è di cercare un controllore che migliori le prestazioni dinamiche assegnando i poli della W(s), partendo da un modello affidabile nella struttura e nei parametri. Supponiamo ora la seconda massa non sia più costante ma variabile durante le condizioni operative, come ad esempio l’ascensore di un grattacielo che può essere pieno o vuoto. Il modello che è ancora affidabile ha i parametri non più fissi ma variabili entro certi range. Bisogna assicurare il comportamento corretto del sistema controllato in tutto il range di escursione dei parametri. La modalità di controllo che si occupa di ciò è il controllo robusto. Un altro caso tipico è dato dal controllo di un antenna, un radar di puntamento. Se tale radar è messo in una cupola di plexiglas con l’aria condizionata allora tutti gli attriti sono grossomodo costanti e tutta la potenza dissipata negli attriti è grossomodo costante, perché siamo in un ambiente protetto dalla polvere con l’aria condizionata. Se lo stesso radar lo si pone all’esterno tutti gli attriti saltano. Ossia sono variabili aleatorie funzioni delle caratteristiche dell’ambiente in cui è posto il radar. Il cambiamento degli attriti non cambia in modo tale da sconvolgere il comportamento dinamico del sistema, ma sconvolge la parte relativa alla dinamica secondaria che è strettamente collegata al guadagno, che a sua volta è strettamente collegato alle prestazioni, precisione e rapidità. Si deve quindi trovare una strategia di controllo tale che assicuri un comportamento dinamico buono anche quando sono presenti delle incertezze. Ovviamente il regolatore Pid evoluto si progetta a spanne, mentre le altre due modalità di controllo richiedono la conoscenza di un modello affidabile e non approssimato.

 

Fonte: http://xoomer.virgilio.it/tsc/appunti/pid.doc

Sito web da visitare: http://xoomer.virgilio.it/tsc/

Link Slides relative all'argomento regolatori PID http://xoomer.virgilio.it/tsc/appunti/pid.ppt

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