Convertitori di energia
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Convertitori di energia
1.-Introduzione.
I convertitori di energia elettrica assolvono al compito di trasformare sorgenti di energia continua (DC) in sorgenti di energia alternata (AC) e viceversa. Essi normalmente impiegano interruttori comandati (meccanici o elettronici) che hanno il vantaggio di non assorbire energia dato che, sia nello stato chiuso che in quello aperto, il prodotto della tensione per la corrente è nullo. Poiché l’impiego di interruttori (cioè dispositivi tutto niente) ha per conseguenza la creazione di tensioni ad onda quadra il compito del progettista è quello di studiare delle leggi di commutazione che minimizzino il loro contenuto di armoniche. La presenza di armoniche nelle forme d’onda sintetizzate non è solo inutile ma anche dannosa perché esse sono causa di disturbi elettromagnetici e di perdite di energia per riscaldamento nei materiali conduttori circostanti.
2.-Convertitori DC/AC ad interruttore elettronico.
Un semplice esempio di convertitore a transistori con tensione di uscita ad onda quadra è quella riportato in Fig. 1.
Fig. 1: Inverter a transistori.
Il trasformatore viene impiegato per elevare l’ampiezza della tensione alternata sul carico. Allo scopo di minimizzare le perdite esso deve avere resistenza di avvolgimento la più piccola possibile. Inoltre i flussi dispersi debbono essere resi anch’essi trascurabili onde evitare pericolose sovratensioni sugli interruttori.
Si supponga allora che il transistore Tr2 conduca mentre Tr1 sia interdetto e, a partire dal generico istante t0, si applichino delle tensioni opportune sulle rispettive basi, in modo da capovolgere bruscamente la situazione. Detto allora F il flusso nel ferro del trasformatore, np il numero di spire di ciascuna metà del primario ed ns quello delle spire del secondario, prima della commutazione si ha, trascurando le resistenze e i flussi dispersi:
Prima della commutazione il flusso nel trasformatore va dunque crescendo con legge lineare , mentre corrente e differenza di potenziale ai capi della resistenza rimangono costanti fintantoché, a partire dall'istante t0, causa l'interdizione di Tr2, la corrente nella metà inferiore del primario cessa bruscamente. Subito dopo la commutazione si ha perciò un transitorio le cui modalità variano a seconda che la parte superiore del primario cominci o non cominci subito a condurre corrente. Se infatti all'istante t0 si ha E < np dF/dt il transistor Tr1 risulta polarizzato con tensione negativa e non può condurre corrente. In questo caso il secondario si evolve liberamente con andamento esponenziale tendente a zero e cioè:
in cui t è la costante di tempo legata al carico resistivo e all'induttanza di magnetizzazione secondaria del nucleo del trasformatore. Non appena però al decrescere di F la condizione E < np dF/dt non è più' soddisfatta, il primario riprende a condurre e le leggi di variazione del flusso e delle correnti ritornano ad essere lineari.
Fig. 2: Andamenti periodici del flusso e della corrente nel carico.
Si hanno perciò i diagrammi di Fig. 2 in cui l'andamento esponenziale si raccorda con quello lineare quando si ha la mutua tangenza tra i due.
È importante notare infine che la corrente nella resistenza di carico subisce un brusco salto per compensare l’azzeramento della corrente primaria e mantenere così costante il flusso nel nucleo del trasformatore. Pertanto se il carico comprendesse oltre alla resistenza, una induttanza in serie (ad esempio quella di dispersione del secondario), la brusca variazione di corrente richiesta sul secondario verrebbe impedita dando luogo all'insorgere di sovratensioni di tipo impulsivo con conseguenze catastrofiche sul transistor Tr2 che, commutando dallo stato di conduzione a quello di interdizione, è la causa prima del transitorio descritto.
3.- Convertitori DC/AC di potenza.
Molto spesso è necessario alimentare carichi con forte assorbimento che necessitano di una tensione quasi sinusoidale a frequenza variabile. In tal caso si utilizza il circuito di Fig. 3 che consente in particolare di alimentare un carico trifase (la versione monofase verrà descritta nel seguito):
Fig. 3: Convertitore DC/AC trifase.
Il carico trifase ha infatti il vantaggio di essere alimentato da tensioni sintetizzate con interruttori, riportate in Fig. 4, che, benché risentano ancora della natura tutto-niente degli interruttori con cui sono state generate, si avvicinano abbastanza alla forma sinusoidale desiderata.
Fig. 4: Forme d'onda nel convertitore trifase DC/AC.
Il circuito di Fig. 3 ovvero la sua realizzazione a mezzo di interruttori allo stato solido, data la sua semplicità costruttiva, è molto diffuso nelle applicazioni industriali. Il tipo di interruttori allo stato solido impiegati dipende dalla potenza assorbita dal carico e va dagli SCR, per le alte potenze, ai transistori bipolari o Mos per le potenze più basse. Nel caso si voglia utilizzare i transistori, uno dei problemi più difficili che deve risolvere il progettista consiste nel pilotaggio della base (o del gate) quando l’emettitore (o la sorgente) non è collegato a massa. Fortunatamente se si usano MOS questo problema si risolve facilmente con l’impiego della cosidetta pompa di carica, il cui schema elettrico è riportato in Fig. 5.
Fig. 5: Pompa di carica per il pilotaggio di un MOS fuori massa.
Si tratta in pratica di un condensatore C che viene caricato alla tensione Vz portando il transistore Tr1 allo stato ON. Chiudendo poi il transistor Tr2 (e aprendo Tr1) si applica la Vz al gate del MOS portandolo in conduzione. Il diodo Zener ha lo scopo di limitare la tensione del condensatore al valore Vz strettamente necessario per saturare il MOS mentre il diodo D1 impedisce la scarica del condensatore quando Tr2 è conduttore. Normalmente la carica del condensatore, che si va lentamente esaurendo, viene ripristinata commutando i due transistori Tr1 e Tr2 a frequenza piuttosto elevata. Il transistore Tr3 infine serve a bloccare senza ritardi il MOS quando si desidera che esso non conduca.
4.-La tecnica PWM.
Il problema di ottenere una tensione o più precisamente una corrente di forma prossima a quella sinusoidale sia nel carico trifase che in quello monofase si può affrontare anche con altre tecniche e in particolare con quella a modulazione di lunghezza di impulso PWM (Pulse Width Modulation). Quest'ultima consiste nell'applicare sul carico, sempre utilizzando il convertitore di Fig. 3, oppure la sua versione semplificata mostrata in Fig. 6 per il caso di un carico monofase, una serie di impulsi di durata variabile come è mostrato ad esempio in Fig. 7. Calibrando opportunamente le durate degli impulsi all'interno di ciascun semiperiodo è possibile ottenere una tensione (e quindi una corrente) con un certo numero di armoniche nulle.
Fig. 6: Convertitore monofase.
Fig. 7: Forma d’onda PWM a due livelli (caso a) e a tre livelli (caso b).
Per fissare le idee si supponga di voler annullare le armoniche di ordine 3 e 5 (le armoniche pari sono tutte nulle se la forma d’onda è simmetrica) con la fondamentale eguale a V0. L'espressione generale delle armoniche di tensione nella forma d'onda di Fig. 7-b (caso a tre livelli) è data dalla relazione:
n=1,2,….
dove ai sono gli istanti angolari in cui la forma d'onda commuta.
Utilizzando allora le note formule trigonometriche:
si ottiene il seguente sistema di equazioni:
nelle 3 incognite xi = cosai , i=1,2,3.
Tale sistema essendo di tipo algebrico e non trascendente è abbastanza facile da risolvere per via numerica (esso è inoltre direttamente estensibile al caso generale di un numero qualsiasi di istanti di commutazione).
Una volta calcolati i valori di xi e quindi di ai che lo soddisfano, per vari valori diversi dell’ampiezza V0 della fondamentale, questi ultimi valori possono essere inseriti nella memoria permanente di un microcalcolatore che provvede a comandare gli interruttori Si di Fig. 6. Questa procedura, che attualmente è di gran lunga la più diffusa nella pratica, ha però alcuni punti deboli. Anzitutto all’aumentare del numero di armoniche da eliminare cresce di conseguenza il numero degli angoli di commutazione con conseguente aumento delle perdite negli interruttori allo stato solido utilizzati. Inoltre non sempre l’eliminazione delle armoniche 3, 5 ecc. è sufficiente a garantire un corretto funzionamento del carico. Molto spesso infatti il carico alimentato è di tipo elettromeccanico (motore più parte mobile da spostare) e le sue caratteristiche possono variare in modo imprevedibile durante il normale funzionamento. Per esempio un braccio mobile di un manipolatore che sposta dei pesi può assumere posizioni caratterizzate da frequenze di risonanza meccanica di valore variabile col pericolo che una di esse possa coincidere con una delle armoniche non-eliminate nell’onda PWM. In questo caso la corrente associata all’armonica in questione assume ampiezze molto elevate ed il braccio inizia a vibrare fortemente con conseguenze dannose facilmente prevedibili.
5.- La PWM a minima potenza.
Una tecnica che in teoria dovrebbe consentire di ottenere una forma d’onda di corrente quasi perfettamente sinusoidale è quella nota col termine di controllo a isteresi. Essa consiste nell’imporre una fascia di variazione (isteresi) alla corrente nell’intorno di un andamento sinusoidale di riferimento, come mostrato in fig. 8.
Fig. 8: Controllo a isteresi di corrente.
Non appena la corrente erogata sul carico tende ad uscire dalla fascia di valori permessi vengono commutati gli interruttori (vedi fig. 8). Il principale svantaggio di questa tecnica consiste nel fatto che al restringersi della fascia di oscillazione permessa il numero di commutazioni richieste assume valori molto elevati mettendo in crisi gli interruttori allo stato solido utilizzati. È quindi preferibile in ogni caso impiegare tecniche che facciano uso di un numero fisso e limitato di commutazioni per ogni periodo onde limitare gli stress e le perdite sugli interruttori.
Un approccio che ha dato buoni risultati è quello della minimizzazione di una grandezza che meglio identifichi l’effetto delle armoniche sul carico e precisamente la potenza ad esse associata. Tale minimizzazione va inoltre fatta mantenendo fisso il numero di commutazioni per periodo onde non aggiungere consumi ulteriori legati ai processi di commutazione.
Se si suppone allora di utilizzare interruttori ideali, la tensione continua E viene trasformata dal convertitore di Fig. 6, senza apprezzabile perdita di potenza, nella tensione alternata v(a), riportata in Fig. 7, la quale invia nel carico la potenza media:
Se uno degli angoli di commutazione, ad esempio ai viene variato di Da anche la potenza erogata subisce una variazione di entità:
L’integrale del prodotto Dv(a)i(a) è facile da calcolare dato che, come mostrato in Fig. 9 nel caso in cui si faccia variare a1 , Dv(a) è una funzione formata da impulsi (indicati in colore rosso) di larghezza Da piazzati in corrispondenza degli angoli di commutazione Da sia abbastanza piccola si ha:
dove il termine (-1)i-1 è dovuto al fatto che un incremento angolare Da provoca un incremento dell’area degli impulsi se i è dispari, ovvero un decremento se i è pari.
Fig. 9: Forma d’onda della variazione Dv(a).
Il calcolo del contributo del prodotto Dv(a)i(a) non è altrettanto facile e qui verrà eseguito nel caso semplice di un carico R-L serie. Va però subito precisato che il risultato ottenuto è valido in generale e cioè per qualsiasi tipo di carico purché lineare. Se si considerano allora le variazioni di corrente Di(a) indotte in un carico R-L serie dalla variazione di tensione Dv(a) si ha:
Moltiplicando ambo i membri per i(-a) si ottiene:
Utilizzando l’identità:
si ha:
ossia, tenendo conto della relazione , si ricava:
A questo punto integrando ambo i membri e tenendo conto che sia la v(a) che la Dv(a) sono simmetriche rispetto all’origine si ha (la funzione moltiplicata da wL dà contributo nullo essendo la derivata di una funzione periodica):
da cui segue immediatamente la variazione complessiva di potenza cercata:
Come si vede la variazione di potenza causata da una piccola variazione dell’angolo di commutazione si può stimare semplicemente misurando i valori delle correnti nell’istante di commutazione medesimo. La ricerca dei valori degli angoli di commutazione ai cui corrisponde il valore minimo della potenza erogata si può allora fare per passi successivi, misurando l’ampiezza delle correnti e incrementando o decrementando ai a seconda che il termine (-1)i-1[i(-ai)+i(ai)] sia negativo o positivo.
A questo proposito occorre però ricordare che la potenza da minimizzare non è la P che è quella totale ma solo quella parziale associata alle armoniche, mentre il valore della fondamentale V1 va tenuto costante. Allo scopo di tener conto di quest’ultimo vincolo conviene allora introdurre il seguente Indice di Prestazione:
in cui V1 = 4E/p(sina1 –sina2 +sina3 + …) e V10 sono rispettivamente il valore attuale e quello desiderato della fondamentale mentre b è un fattore numerico da stabilirsi ed è tanto maggiore quanto maggiore è il peso che si vuole assegnare al vincolo V1=V10.
In pratica si procede nel seguente modo. Durante il normale funzionamento del convertitore si valuta, a mezzo di misure di corrente, l’entità della variazione
dell’indice di prestazione in corrispondenza di tutti gli angoli di commutazione e poi si varia nel periodo successivo quell’angolo cui corrisponde il rapporto DIPi/Da di entità più elevata, cioè in definitiva quell’angolo che appare essere il più lontano dal valore ottimale cercato. In questo modo uno alla volta tutti gli angoli di commutazione vengono sospinti verso quell’insieme di valori ottimali che garantiscono il minimo valore di IP, cioè in definitiva il minimo valore della potenza totale, compatibilmente con un valore di fondamentale V1 non troppo discorde da quello desiderato.
6.- Convertitori DC/AC risonanti.
Uno dei problemi principali che affliggono i dispositivi di conversione descritti nei precedenti paragrafi è senza dubbio la dissipazione di calore negli interruttori allo stato solido che oltre a provocare perdite di energia è anche una delle prime cause di guasto. Poiché lo stress si verifica quasi esclusivamente durante la commutazione ci si può chiedere se non sia possibile progettare convertitori in cui la commutazione degli interruttori avvenga esclusivamente in corrispondenza di valori di corrente (o tensione) nulli.
Fig. 10: Sintesi di una forma d’onda a bassa frequenza a mezzo di semisinusoidi.
In linea di principio ciò è possibile nel caso DC/AC se la tensione continua da convertire è preventivamente trasformata in una corrente (o tensione) alternata ad alta frequenza le cui singole semisinusoidi vengano applicate poi al carico aprendo o chiudendo gli interruttori del convertitore negli istanti in cui esse transitano per lo zero. In altre parole si ha la situazione di Fig. 10 in cui vengono riportate per confronto le forme d’onda PWM tradizionali e quelle ottenute a mezzo di elementi semisinusoidali.
In pratica se la frequenza delle semisinusoidi è sufficientemente elevata, la forma d’onda sintetizzata che si ottiene non differisce sostanzialmente da una PWM tradizionale con la differenza fondamentale che in quest’ultimo caso è possibile aggiungere o togliere solo semisinusoidi intere. Vi è perciò una discretizzazione delle durate dei singoli impulsi dell’onda di bassa frequenza sintetizzata che possono perciò assumere solo valori multipli del semiperiodo dell’onda di alta frequenza. Il vantaggio, come già detto, consiste nel fatto che l’aggiunta delle semisinusoidi avviene commutando interruttori in istanti in cui la corrente (o tensione) è appunto nulla. Il problema si può perciò ridurre alla generazione di una corrente (o tensione) sinusoidale ad alta frequenza di ampiezza indipendente dal carico utilizzato. A tale scopo si impiega un circuito risonante posto nel solito ponte ad interruttori, come indicato in Fig. 11.
Fig. 11: Ponte a interruttori che alimenta un circuito risonante serie.
Se la frequenza con cui commutano gli interruttori coincide con la frequenza di risonanza del circuito e il fattore di merito di quest’ultimo è abbastanza elevato, la tensione ad onda quadra applicata fa circolare una corrente pressoché sinusoidale come è mostrato in Fig. 11. Il passaggio per lo zero della corrente avviene perciò nell’istante preciso in cui gli interruttori commutano garantendo così l’assenza di perdite. Una volta generata la sinusoide ad alta frequenza, essa viene instradata nel modo voluto attraverso il carico posto in serie a mezzo di un altro ponte a interruttori, come mostrato in Fig. 12.
Fig. 12: Convertitore risonante serie con carico.
Occorre subito notare che l’inserzione del carico in serie al circuito risonante provoca grossi problemi a quest’ultimo. Questo infatti è il tallone d’Achille dei convertitori risonanti: se il carico non presenta una reattanza sufficientemente bassa il circuito risonante esce di sintonia con conseguenze facilmente immaginabili sulla ampiezza, fase e distorsione dell’onda sinusoidale. Questi ed altri sono i motivi che fin’ora hanno impedito un’ampia diffusione di questi dispositivi.
Ovviamente oltre al circuito di Fig. 12, che impiega un circuito risonante serie per la generazione di una corrente sinusoidale, esiste il caso duale di un circuito risonante parallelo che genera una tensione sinusoidale di alta frequenza. Lo schema è riportato in Fig.13 in cui si nota che al posto del generatore costante di corrente che, per dualità dovrebbe sostituire la batteria E del caso serie, si è utilizzata una batteria con in serie una induttanza di valore elevato.
Fig. 13: Convertitore risonante parallelo.
Anche nel caso del circuito risonante parallelo esiste il grosso problema della dissintonizzazione causata dall’inserzione di un carico la cui reattanza non sia sufficientemente elevata.
7.-Convertitori risonanti AC e DC-link.
I convertitori risonanti descritti nel precedente paragrafo vengono spesso detti ad AC-link perché dalla connessione (link) ad alta frequenza vengono estratti degli impulsi di corrente o tensione la cui forma è quella di una sinusoide tagliata esattamente a metà. Esiste però la possibilità di utilizzare in modo diverso queste forme d’onda e cioè aggiungendo loro una componente continua in modo da avere un impulso elementare di ampiezza più elevata.
Facendo riferimento al caso del convertitore risonante serie, l’aggiunta di una componente continua di corrente I0 si ottiene inserendo in parallelo alla capacità C del circuito risonante una induttanza La, come è mostrato in Fig. 14.
Fig. 14: DC-link series resonant converter.
Se il valore di La è sufficientemente grande e la corrente che la attraversa è nulla, essa non disturba il funzionamento normale del circuito risonante. Si supponga ora di aprire tutti gli interruttori Hi nell’istante di passaggio per lo zero della corrente nella induttanza L in modo da “congelare” il funzionamento del circuito risonante per un breve intervallo di tempo Dt, durante il quale il condensatore C resta praticamente carico mentre la corrente nell’induttanza L rimane nulla. Naturalmente quando si richiudono nuovamente gli interruttori, il circuito riparte dalle condizioni precedenti, come mostrato in Fig. 15.
Fig. 15: Asimmetria nella tensione del condensatore introdotta da una pausa Dt.
Questa procedura ha come risultato di ottenere una forma d’onda di tensione ai capi del condensatore C di valore medio non nullo. Indicando allora con V0 tale valore e con Ra la resistenza dell’induttanza ausiliaria, attraverso di essa circolerà, dopo un certo tempo necessario a raggiungere la situazione di regime, una corrente continua pari a I0=V0/Ra. Quest’ultima viene inviata tutta sul carico sommandosi alle semionde di corrente del circuito risonante.
Naturalmente la presenza della componente I0 altera il regime iniziale, riportato in fig. 15, che diventa quello di fig. 16. In quest’ultimo caso, che rappresenta la situazione di regime corrispondente ad un valore prefissato di Dt, il condensatore si scarica secondo una rampa lineare e la semionda negativa di corrente sparisce del tutto.
Fig. 16: Situazione di regime della tensione e corrente in un DC-link series resonant converter.
Come si può vedere in Fig. 16 la corrente iL che viene inviata sul carico è formata da impulsi sinusoidali traslati verso l’alto. Ovviamente l’entità di questa traslazione può essere variata variando l’intervallo Dt durante il quale il circuito risonante viene abbandonato a se stesso.
Un procedimento analogo (o meglio duale) si usa nel convertitore risonante parallelo: in questo caso si pone un grosso condensatore ausiliario Ca in serie alla induttanza L del circuito risonante. Cortocircuitando il circuito risonante a mezzo degli interruttori Hi si disimmetrizza la corrente nell’induttanza L con la conseguente formazione di impulsi di tensione sinusoidali traslati verso l’alto.
8.-Convertitori AC-DC.
Il convertitore AC/DC si può considerare almeno da un punto di vista puramente concettuale come un dispositivo che effettua l’operazione inversa della trasformazione di energia da continua (DC) ad alternata (AC) descritta nel paragrafo precedente. Sorge quindi il problema di verificare se non sia in pratica possibile utilizzare il convertitore DC/AC e tutte le tecniche per la eliminazione e minimizzazione di armoniche sviluppate per esso, anche per la realizzazione dei convertitori AC/DC. Si consideri infatti la Fig. 17 in cui vengono posti a confronto i convertitori DC/AC e AC/DC.
Fig. 17: Confronto tra convertitori AC/DC e DC/AC.
Come si può vedere mentre dal punto di vista delle tensioni (e correnti) sul lato DC non vi è una differenza sostanziale tra i due dispositivi, sul lato AC compaiono rispettivamente una tensione alternata PWM e una tensione sinusoidale cioè’ due forme d’onda nettamente distinte. Inoltre se si pensasse di sostituire il convertitore AC/DC con il ponte a interrurrori usato nel DC/AC vi sarebbe il problema che il generatore sinusoidale viene cortocircuitato quando la coppia S1-S3 (oppure S2-S4) è in conduzione.
Fortunatamente si può ripristinare una equivalenza di tensioni e correnti anche dal lato AC, salvando contemporaneamente il generatore sinusoidale dal cortocircuito, se si inserisce in serie al generatore sinusoidale stesso una induttanza L, come indicato in Fig. 18.
Fig. 18: Come rendere equivalente un convertitore AC/DC ad un DC/AC.
Quando infatti la coppia di interruttori S1-S3 (oppure S2-S4) è chiusa la tensione è nulla, come nel caso PWM. Quando invece chiude la coppia S1-S4 (oppure S2-S3 ) la caduta ai capi dell’induttanza colma la differenza tra la tensione alternata del generatore e la tensione continua E mantenuta dal condensatore ai capi del carico. In altre parole a monte dell’induttaza appare, pur con qualche piccola ondulazione sovrapposta (dovuta alla scarica del condensatore di filtro), la medesima forma d’onda PWM che si ha nel convertitore DC/AC per cui l’equivalenza è dimostrata. La verifica di tale equivalenza ci permette quindi di affermare che tutte le tecniche di eliminazione e minimizzazione delle armoniche sviluppate per il caso DC/AC sono trasferibili senza alcuna modifica al caso AC/DC.
In Fig. 19, a titolo di esempio, è riportata la forma d’onda della corrente alternata di linea in un convertitore AC/DC in cui il ponte a interruttori è stato fatto funzionare seguendo le tecniche di minimizzazione armonica viste in precedenza. Come si può vedere il ponte a interruttori, pur nei limiti delle 7 commutazioni permesse, favorisce un tracciato di corrente che è molto vicino ad una sinusoide ideale.
Fig. 19: Corrente alternata di linea IL con minime armoniche e 7 angoli di commutazione per quarto di periodo.
L’impiego del ponte a interruttori nel caso AC/DC non è tuttavia consigliabile per motivi di economicità e di pratica fattibilità. Esso si può sostituire con un economico ponte a diodi seguito da un selettore posto in serie con l’induttanza.
Il ponte a diodi fa le medesime funzioni delle coppie di interruttori S1-S4 e S2-S3., mentre il selettore equivale alla chiusura della coppia di interruttori S1-S3 (oppure S2-S4).
Fig. 20: Schema di principio di collegamento tra una sorgente AC e un carico DC.
Omettendo allora per semplicità il ponte raddrizzatore a diodi, che comunque nella struttura realizzativa finale andrà sempre aggiunto, il convertitore AC/DC si riduce al dispositivo descritto in Fig. 20 in cui il generatore in alternata (sorgente AC) con la sua impedenza interna Zi viene collegato ad un carico Z (utilizzatore DC) da un circuito tripolare (racchiuso in una cornice ombreggiata per meglio evidenziarlo) formato da una induttanza L, un condensatore C e un deviatore S. A questo proposito val la pena di ribadire che avendo omesso il ponte raddrizzatore, il circuito di Fig. 20 è valido solo per la semionda positiva del generatore AC. In altre parole il generatore di tensione sinusoidale diventa un generatore di semisinusoidi raddrizzate V*AC.
È allora lecito considerare il circuito tripolare entro cornice ombreggiata come il convertitore AC/DC vero e proprio. Anzi da questo punto di vista non deve destare sorpresa se si generalizza la situazione di Fig. 20, effettuando delle permutazioni nell’ordine in cui il suddetto circuito tripolare collega il generatore AC al carico DC, ottenendo così le altre due possibili configurazioni mostrate in Fig. 21 e 22.
In particolare il circuito in Fig. 20, che si può considerare la connessione base, poiché consente di ottenere tensioni sul carico ben superiori a quella di cresta dell’alternata, viene denominato comunemente convertitore step-up. Invece quello di Fig. 21 in cui l’induttanza funge da volano di corrente in serie al carico ma provoca una caduta di tensione, viene denominato convertitore step-down. In pratica la situazione è duale della precedente in quanto ad essere aumentata non è la tensione ma bensì la corrente in uscita sul carico.
Fig. 21: Seconda possibile configurazione (step-down) di convertitore AC/DC.
È anche evidente che il convertitore step-up è un dispositivo a tensione costante adatto per esempio a regolare la velocità dei motori in continua mentre il convertitore step-down funziona a corrente costante e serve a controllare la coppia motrice.
Fig. 22: Terza possibile configurazione (step-up-down) di convertitore AC/DC.
Il circuito di Fig. 22 che rappresenta la terza ed ultima configurazione possibile di collegamento, ha caratteristiche miste in quanto sia l’induttanza che la capacità agiscono ora sull’ingresso ora sull’uscita a seconda della posizione del deviatore S ed è quindi noto col termine di convertitore step-up-down. Come verrà mostrato nel paragrafo relativo alle realizzazioni circuitali, è possibile accentuarne sia le caratteristiche up che down a seconda della scelta dei valori dei componenti.
9.-Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario.
La legge di commutazione del deviatore S deve avere, per ovvi motivi, una frequenza di ripetizione eguale a quella del generatore sinusoidale. Tuttavia la sua fase rimane entro certi limiti arbitraria consentendo così di ottenere l’importante risultato di una corrente di linea in fase con la tensione. Questo consente di minimizzare le perdite lungo le linee di collegamento dovute a scambio di potenza reattiva.
Indicando infatti con Vx la prima armonica della tensione PWM e con Ix la corrispondente corrente, si ha la situazione di Fig. 23 in cui viene riportato lo schema semplificato e il diagramma vettoriale delle componenti sinusoidali che interessano il convertitore di Fig. 20 (per gli altri due tipi valgono considerazioni analoghe) e viene inoltre mostrato come sia possibile riportare in fase la corrente complessiva di linea IL agendo sia sulla fase che sull’ampiezza di Vx. Risulta allora chiaro che una volta fissato il valore desiderato della tensione continua sul carico l’aggiunta della condizione di fase nulla consente di identificare sia la fase che la ampiezza di Vx.
Fig. 23: Schema semplificato e diagramma di fase del convertitore step-up con rifasamento della corrente di linea IL.
Qui di seguito verranno perciò riportati i dettagli del calcolo relativi al caso del convertitore step-up fermo restando il fatto che negli altri due casi (step-down e misto) si può procedere in modo analogo.
10.- Guadagno di tensione del convertitore step-up.
Facendo riferimento allo schema semplificato di fig. 23 in cui la tensione continua sul carico si suppone costante ed eguale ad E, si indichi con V1cosa la tensione alternata di linea e con Vxcos(a+y) la componente fondamentale della tensione PWM vx supposta sfasata dell’angolo y. L’ampiezza di Vx1 è come noto data dalla relazione:
dove il termine p, denominato parzializzazione è espresso in funzione degli angoli di commutazione dalla relazione:
Ovviamente gli angoli ai vanno scelti oltrechè per ottenere un dato valore di p anche in modo da minimizzare il contenuto armonico della corrente dovuta alla tensione PWM, come discusso nel capitolo relativo ai convertitori DC/AC. La componente complessiva di corrente sinusoidale che fluisce attraverso la linea è data allora dall’espressione:
dove Z è la reattanza della linea di collegamento e della induttanza L e f è l’angolo di fase relativo. Se si sviluppano i coseni, la relazione precedente si può riscrivere nella forma:
in cui la componente in quadratura si annulla se è soddisfatta la condizione:
Quest’ultima viene denominata condizione di fase e come si era già visto esaminando la Fig. 23 può essere soddisfatta sia agendo su y che sulla parzializzazione p.
Si consideri ora il problema del calcolo della tensione continua VDC. Tale tensione è dovuta alla componente media di corrente che raggiunge la sezione DC moltiplicata la componente resistiva RL del carico stesso. La corrente media è data dalla relazione :
La presenza del termine VPWM/E si spiega col fatto che quando la tensione PWM e cioè la VPWM è nulla non entra corrente nel carico mentre la IAC entra nel carico solo quando la tensione PWM è non nulla e cioè si ha VPWM/E = 1. Sostituendo allora la sola componente in fase di IAC (a rigore occorrerebbe tener anche conto delle armoniche che contribuiscono alla formazione della IDC, ma esse si trascurano supponendo di funzionare in una situazione di contenuto armonico minimo) si ha:
ossia dato che l’integrale esprime semplicemente la componente di prima armonica della forma d’onda PWM:
da cui segue immediatamente:
Se a questo punto si ricava il termine 2pE dalla condizione di fase e si sostituisce, si ottiene:
Moltiplicando ambo i membri di quest’ultima egualianza per la condizione di fase si ha:
Mentre dividendo si ha:
Quest’ultima è l’espressione cercata del guadagno G = E/V1 del convertitore. Come si può vedere una volta fissato il guadagno desiderato è possibile ricavare direttamente l’angolo di fase y che poi consente di calcolare la p. In Fig. 24 sono riportati, a titolo di esempio, i grafici relativi alla p e al guadagno al variare di y per una data Z ed RL.
Fig. 24: Andamento del guadagno di tensione G = E/V1 del convertitore e della parzializzazione p al variare di y, con f = 60°.
Come si può vedere l’angolo di fase varia nell’intervallo ymin – (180°-f), dove ymin è l’angolo al di sotto del quale, per soddisfare alla condizione di fase, occorrerebbe impiegare un valore di parzializzazione superiore a 2/pche è il massimo teoricamente ottenibile.
11.-Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.
Nel paragrafo precedente si sono introdotti degli schemi di principio che per essere utilizzati in pratica necessitano essenzialmente dell’inserzione di un ponte raddrizzatore e della sostituzione dell’interruttore S con un dispositivo equivalente allo stato solido. Ovviamente la soluzione di questi due problemi si può ottenere in vari modi per cui qui ci si limita a portare solo qualcuna delle possibili soluzioni. Prima di far questo conviene però osservare che l’inserzione del ponte raddrizzatore crea una netta linea di demarcazione tra la sezione in alternata e quella in continua che ha una conseguenza non trascurabile sul funzionamento di L e C. Normalmente infatti l’induttanza L è inadatta a lavorare in continua perché il suo circuito magnetico tende a saturare perdendo così granparte della sua permeabilità. Analogamente il condensatore C è inadatto a lavorare in alternata perché non essendo elettrolitico (che può funzionare solo con tensione continua) esso assume dimensioni e costi proibitivi. Analogo discorso vale per l’interruttore allo stato solido che essendo normalmente monodirezionale è adatto a funzionare solo nella sezione in corrente continua. In conclusione, anche se come si vedrà non è sempre possibile, il ponte raddrizzatore dovrebbe essere posto in modo da lasciare nel settore AC l’induttanza e in quello DC il condensatore e l’interruttore allo stato solido.
A semplice titolo di esempio di possibili schemi realizzativi viene riportato in Fig. 25 quello relativo al convertitore step-down nella sua forma trifase con interruttori MOS.
Fig. 25: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC trifase di tipo step-down.
In Fig. 26 viene invece mostrato un esempio realizzativo di convertitore step-up-down monofase. Come si può vedere nel convertitore step-up-down di Fig. 26 il condensatore C è stato spezzato in due e cioè C1 e C2. Questa semplice modifica ha lo scopo di permettere un bilanciamento a seconda dei casi delle caratteristiche del convertitore: se ad esempio C1>>C2, prevarrà il comportamento di tipo step-up mentre si avrà invece un comportamento step-down se C1<<C2.
Fig. 26: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC di tipo step-up-down.
Per quel che riguarda il deviatore S esso è stato realizzato a mezzo di un transistor bipolare e di un diodo. Quando il transistore conduce il diodo si blocca e separa il carico in continua dal generatore che invece alimenta l’induttanza. Quando invece il transistore viene bloccato la corrente che scorre nell’induttanza si chiude attraverso il diodo e alimenta il carico in continua. Val la pena infine di notare che questo convertitore ha la curiosa proprietà di applicare la tensione raddrizzata sul carico invertendone la polarità
Fonte: http://www.carloanti.it/fgiberto/appunti/dispense_varie%20di%20tecnologia.zip
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