Corrosione localizzata appunti
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FORME DI CORROSIONE LOCALIZZATA
L'attacco corrosivo localizzato è usualmente molto pericoloso sia per l'estrema velocità con cui esso procede, sia per la difficoltà stessa di monitoraggio del danno subito dal componente.
Le principali forme di corrosione localizzata sono:
- CORROSIONE PER CONTATTO GALVANICO;
- CORROSIONE PER VAIOLATURA ED IN FESSURA;
- CORROSIONE INTERGRANULARE;
- CORROSIONE PER TURBOLENZA, ABRASIONE, CAVITAZIONE;
- CORROSIONE SOTTO SFORZO;
- CORROSIONE-FATICA.
- CORROSIONE PER CONTATTO GALVANICO
Questa tipo di corrosione si verifica quando due o più materiali metallici o comunque dotati di conducibilità elettronica (grafite, ossidi o solfuri conduttori, ecc;) sono in contatto elettrico tra loro. Si intende per corrosione galvanica l'aumento della velocità di danneggiamento, che dipende in buona misura dalla loro distanza nella serie galvanica in quell’ambiente, dal rapporto tra aree anodiche e catodiche nei materiali, dalle caratteristiche di polarizzabilità dei materiai in quell’ambiente. Il metallo più nobile funge da catodo e quello meno nobile da anodo, dissolvendosi.
E' possibile ordinare i metalli secondo il potenziale di corrosione libera (nobiltà pratica in quell’ambiente) che assumono quando sono in contatto con un dato elettrolita (Serie Galvanica). In genere sono più pericolosi gli accoppiamenti tra metalli molto distanti tra loro nella serie galvanica anche se l'entità dell'attacco può dipendere anche in maggior misura dai fattori cinetici che poi intervengono nel processo.
Il processo di corrosione galvanica ha luogo anche quando sulla superficie di un materiale vi sono impurezze di un altro metallo e viene a crearsi una pila cortocircuitata, con passaggio in soluzione del metallo meno nobile (questo accade anche anche tra metalli e ossidi conduttori; il caso ferro/scaglia di magnetite è il più comune). Supponiamo ad es. di avere un'impurezza di Cu su Fe. Allora, essendo ECu++ /Cu = 0,337V e EFe++/Fe = - 0,41V il metallo meno nobile (Fe) manda in soluzione ioni Fe2+ secondo la semireazione: Fe Fe2+ + 2e-.
Gli elettroni migrano verso il materiale più elettropositivo cioé il Cu, dove potrebbero ridursi sia gli stessi Fe2+ che l'O2 dell'aria. La riduzione dell'O2 secondo la semireazione: O2 + 2H2O + 4e 40H- ha un potenziale standard pari a 0,401 V; il potere ossidante è quindi ben maggiore di quello della coppia Fe2+/Feo. Sul catodo, costituito dal Cu vi sarà produzione di ioni ossidrilici OH- con possibile precipitazione di Fe(OH)2 [sale poco solubile Kps = 2x10-15], sottraendo ioni Fe2+ dalla soluzione e quindi favorendo passaggio di nuovi ioni metallici in soluzione.
Si diminuisce il pericolo di c. per contatto galvanico scegliendo combinazioni di metalli di nobiltà simile, evitando alti rapporti Scat./San., interponendo isolanti, o anche usando inibitori di corrosione o anodi sacrificabili.
CORROSIONE PER VAIOLATURA (PITTING) E CORROSIONE IN FESSURA
Per "vaiolatura" o "pitting" s'intende una forma di corrosione localizzata con effetto perforante che colpisce i materiali a comportamento attivo-passivo quali il Fe, Al, Cu , Ti, Ni, Cr e loro leghe (in particolare gli acciai inossidabili) quando il potenziale che essi assumono (per effetto della reazione catodica) non è tale da assicurare la formazione di uno strato continuo e protettivo sulla superficie del materiale. Il pitting si verifica in genere in ambienti a carattere ossidante molto debole, contenenti ioni specifici (ad es. cloruri, perclorati, ecc;) oppure in ambienti ossidanti forti (anche qui favorito per presenza di ioni depassivanti). In tal senso, l'acqua di mare risulta un ambiente particolarmente favorevole a questo tipo di corrosione.
Un pit superficiale procede attraverso uno stadio di innesco e successiva propagazione. L'innesco può verificarsi in corrispondenza dei punti in cui il film passivo è più debole, come per inclusioni superficiali, difetti del materiale, bande di scorrimento affioranti: l'area scoperta diviene anodica e si innesca un processo corrosivo violento, essendo SC/SA estremamente grande.
Al processo di innesco segue quello di propagazione, che ha in genere carattere autostimolante ed è dovuto all’istaurarsi di una coppia galvanica, come rappresentato in Fig. per un metallo esposto ad una soluzione areata di NaCl : la reazione catodica ha luogo su di una vasta area esterna al pit e la formazione di ioni OH- contribuisce a rendere ancor più catodiche le superfici esterne al pit. L'O2 del resto non riesce ad entrare all'interno della cavità sia per la sensibile diminuzione della sua solubilità (conseguente all'aumentata concentrazione della soluzione), sia per impedimenti geometrici
All'interno del pit si ha, per contro, idrolisi dello ione metallico M++ con locale aumento dell'acidità locale M++ + 2H2O = M(OH)2 + 2H+. Infine, per trasporto elettroforetico aumenta anche la concentrazione locale di Cl-, con ulteriore incremento dell'aggressività ambientale nel pit. Partendo da una soluzione neutra con pohe decine di ppm di ioni cloro nella soluzione aggressiva, si può arrivare con questo meccanismo ad avere pH molto acidi all’interno del pit (pH = 2-3) con tenori di cloruri anche di alcune centinaia di ppm.
La c. interstiziale è una forma di c. localizzata ad azione cavernizzante che insorge in corrispondenza di interstizi o altri punti schermati per i quali risulta difficoltoso il ricambio della soluzione tra le zone più interne e la massa della soluzione. L'ossigeno o le altre specie ossidate non riescono a raggiungere le zone interne schermate e quindi a sostenere in loco lo stato di passività. Pertanto, si intuisce che anche la c. interstiziale è a carattere autostimolante: si deternima il funzionamento catodico delle aree esterne liberamente raggiungibili dall'ossigeno ed il funzionamento anodico delle aree più interne più limitate nella superficie e quindi con correnti anodiche di elevata densità. In tal modo, la corrosione interstiziale si verifica più facilmente del pitting in quanto, esistendo già l’interstizio, si salta la fase di innesco.
Per avere un’idea delle resistenze a pitting ed a corrosione interstiziale dei diversi materiali metallici da costruzione, si riportano alcuni dati tratti dalla letteratura tecnica. Si confrontano cioè le temperature critiche di innesco del pitting e della c.interstiziale operando come segue: si impiega una soluzione aggressiva di laboratorio composta da 4% di NaCl + 0,1% Fe2(SO4)3 + 0,01 M HCl, soluzione fortemente ossidante e contenente ioni cloruro come depassivanti, si immergono i campioni per 24 ore nella soluzione variando la temperatura di 5 gradi centigradi per volta e si determinano le temperature critiche di pitting e di c. interstiziale quando sono osservabili attacchi corrosivi con un microscopio ottico a 40 X. I provini per il pitting sono semplici sbarrette del metallo, mentre i provini per la c. interstiziale sono provini sulla cui superficie viene premuto mediante elastico un cilindretto di Teflon al fine di creare un interstizio. Si esamini la tabella seguente.
LEGA |
Temperatura criticadi pittng (°C) |
Temperatura critica di c.interstiziale (°C) |
Hastelloy C-22 |
> 150 |
102 |
Hastelloy C-276 |
150 |
80 |
Hastelloy H |
95 |
55 |
Ferralium 255 |
50 |
35 |
Lega 904L |
45 |
20 |
AISI 317L |
25 |
15 |
AISI 316 |
20 |
< -5 |
Si può osservare che le temperature critiche diinnesco della c. interstiziale sono sempre più basse di quelle di innesco della c. per pitting. Si apprezzi inoltre la forte differenza di resistenza tra un AISI 316 e un Hastelloy tipo C. E’ opportuno sottolineare che questa tabella è utile per un confronto qualitativo tra diversi materiali e che le temperature riportate hanno una stretta attinenza all’ambiente corrosivo impiegato. In altre parole, in acqua di mare, le temperature critiche di innesco pitting per un AISI 316 sono senza dubbio superiori di 20 °C.
CORROSIONE INTERGRANULARE
La c. intergranulare si verifica in corrispondenza dei bordi di grano, senza agire in maniera apprezzabile sulla matrice dei grani stessi. E' un attacco insidioso poiché può penetrare profondamente nel metallo senza che i prodotti di corrosione risultino visibili sulla superficie esterna. Il distacco dei legami intergranulari comporta ovviamente la degradazione delle proprietà tecnologiche del materiale. Nel caso di metalli o leghe spesso intervengono fattori strutturali di disomogeneità quali l'accumulo di impurezze, segregazione o precipitazione di fasi particolari (sensibilizzazione), che possono creare condizioni favorevoli per una dissoluzione selettiva. Alte velocità di penetrazione possono raggiungersi quando si possono formare microelementi galvanici in corto circuito in cui il bordo del grano diviene anodico (SA) ed il corpo del grano catodico (SC) con SC>>SA, per cui le densità di corrente anodiche possono raggiungere valori assai elevati. In questo caso le condizioni elettrochimiche sono del tutto analoghe a quelle di innesco del pitting. Pertanto è necessario che, al di là dei necessarie condizioni favorevoli da un punto di vista metallurgico, l'ambiente sia solo blandamente aggressivo, in modo da assicurare condizioni di dissoluzione selettiva.
La c. intergranulare colpisce sia metalli che leghe. Ad esempio l'alluminio commerciale che, se trattato a 600 °C, si sensibilizza per precipitazione sui bdg di impurezze (Fe,Si) e subisce questo tipo di attacco se in contatto con HCl o alcali. Le leghe Al-Cu (durallumini) si possono sensibilizzare per precipotazione di CuAl2 ai bdg con impoverimento di rame nelle zone di precipitazione che diventano anodiche rispetto al corpo del grano. Anche gli acciai inox austenitici possono sensibilizzarsi in seguito a trattamenti a temperature tra 400-850 °C anche per tempi brevi. In queste condizioni precipitano dei carburi di cromo (M23C6) sui bdg provocando un impoverimento di cromo libero nelle regioni adiacenti, che risultano così più difficilmente passivabile, v. Fig. . Si ricorda che il tenore di Cr libero nell'inox non deve scendere al di sotto del 12 %, se si vuole garantire la formazione di un film compatto e protettivo. La sensibilizzazione degli acciai inox è un fenomeno frequentemente collegato con i processi di saldatura e può essere in genere evitato con l'uso di acciai a basso contenuto di carbonio (ad es. AISI 304L, 316L, L=low carbon) oppure di acciai stabilizzati contenenti in lega piccole quantità di titanio o niobio (AISI 321 al Ti, AISI 347 al Nb), in cui durante un trattamento termico di stabilizzazione si induce la precipitazione omogenea nella struttura di TiC o NbC, sottraendo carbonio dalla matrice ed impedendo la precipitazione di carburi di cromo durante saldatura.
CORROSIONE SOTTO SFORZO (S.C.C.)
La c. sotto sforzo è un tipo di corrosione localizzata che si realizza con la formazione di cricche assai sottili in seguito all'azione combinata di un mezzo corrosivo di blanda aggressività, ma specifico per un dato materiale metallico, e di uno stato di sollecitazione di trazione di entità anche non rilevante. Il fenomeno è particolarmente pericoloso in quanto può dar luogo ad improvvisi cedimenti del materiale, senza che questo sia visibilmente deteriorato. La SCC colpisce una vasta gamma di materiali metallici come gli acciai al carbonio, gli acciai inossidabili, le leghe leggere, leghe di rame e titanio, ecc., sotto l'azione di ambienti di natura alquanto differenziata (alogenuri, nitrati, solfuri, soluzioni caustiche ecc.). Per l'innesco della SCC devono comunque verificarsi le seguenti condizioni:
1 - è necessaria la presenza di tensioni di trazione. Tali tensioni possono derivare oltre che da carichi esterni applicati, anche da stati autotensionali causati da montaggi forzati, dilatazioni termiche o cedimento di vincoli;
2 - 'attacco si produce solo su leghe metalliche e, generalmente, non su metalli puri.
3 - l'attacco si produce solo per specifiche combinazioni ambiente - M.M.
4 - la presenza di alcuni elementi di lega può aumentare la suscettibilità di un metallo o determinarne l'immunità. Ad esempio, la presenza di azoto negli acciai inox aumenta la suscettibilità alla SCC in MgCl2 bollente. La presenza di Si (1,5 %) diminuisce la sensibilità di certi ottoni in ambienti ammoniacali.
La SCC si realizza con formazione di cricche orientate perpendicolarmente alla direzione della tensione meccanica applicata. Queste possono essere inter/trans-granulari, seguendo comunque una o più direzioni principali, con piccole ramificazioni assai caratteristiche.
Sotto l'aspetto fenomenologico l'attacco si sviluppa sempre attraverso un innesco di cricca per pitting, per poi propagarsi all’interno del materiale sotto l'azione combinata delle tensioni di trazione e dell’ambiente corrosivo. Una volta iniziato, il danneggiamento procede all'interno del materiale con un meccanismo complesso (non del tutto chiarito) che comporta stadi susseguenti di dissoluzione elettrochimica all'apice della cricca e di frattura meccanica. L'instaurarsi di coppie galvanicche tra apice della cricca (area anodica) e pareti della stessa (area catodica) e il possibile intervento di fenomeni infragilenti (ad es. in materiali suscettbili all’infragilimento da idrogeno) sul fronte di avanzamento della cricca, possono dar luogo a velocità di avanzamento anche estremamente alte (mm/ora).
I casi più comuni di SCC si riferiscono agli acciai al C in presenza di nitrati (industria dei fertilizzanti), cianuri, solfuri, soluzioni caustiche concentrate (infragilimento caustico). Gli acciai inox sono suscettibili in ambienti contenenti cloruri o solfuri. Il rame e sue leghe possono criccarsi velocemente in presenza di ammoniaca, nitriti, nitrati, SO2, fluoruri ecc..
I metodi di prevenzione della SCC consistono nella scelta di materiali non suscettibili di cracking negli ambienti in cui si impiegano, nell'evitare inquinanti pericolosi, nell'eliminare la presenza di sollecitazioni meccaniche in fase di montaggio o servizio e nell'evitare tensioni di saldatura. Possono rivelarsi utili anche trattamenti di pallinatura e di protezione catodica.
CORROSIONE-FATICA.
Nei materiali metallici sottoposti ad un carico variabile e ripetuto nel tempo possono insorgere delle cricche, dette di fatica, e propagarsi fino a portarli a rottura, anche per un valore del carico massimo applicato molto inferiore al carico statico sopportabile dal componente. Questo meccanismo di danneggiamento è noto come fatica meccanica ed è molto spesso responsabile della rottura dei componenti meccanici sollecitati in tal modo. La rottura per fatica meccanica ha una prima fase di innesco sempre sulla superficie esterna del componente dove, per la presenza di difettosità o fattori geometrici che portano a intensificazione degli sforzi, viene a formarsi una microcricca. Questa si propaga poi all’interno del materiale sotto l’azione delle sollecitazioni cicliche applicate, seguendo un percorso ortogonale all’asse del carico applicato. Man mano che la cricca avanza, aumenta l’effetto di concentrazione degli sforzi all’apice della cricca, fin a giungere alle condizioni critiche di innesco della rottura di schianto. La tipica superficie di frattura per fatica è costituita da una larga parte di sezione macroscopicamente liscia (avanzamento sub-critico), dove ad alto ingrandimento possono osservarsi le così dette ‘linee di spiaggia’, e da una parte finale in genere fibrosa e opaca, corrispondente alla rottura finale di schianto (avanzamento critico).
Questo meccanismo di danneggiamento può essere promosso e accelerato nel caso il componente meccanico si trovi a lavorare in un ambiente corrosivo. In questo caso, la formazione di pit superficiali o comunque corrosioni di tipo localizzato, costituiscono in pratica l’evento iniziale di innesco del danneggiamento. Inoltre, anche la successiva fase di avanzamento della cricca all’interno del materiale può essere sensibilmente accelerata. Si parla in questo caso di corrosione-fatica. Le superfici di frattura appaiono nel tratto di avanzamento subcritico piene di prodotti di corrosione, formatisi nel tempo sulle pareti della cricca.
Se l’ambiente aggressivo è anche conducibile ad un fenomeno di tensocorrosione, questi danneggiamenti possono sommarsi tra di loro e velocizzare notevolmente il procedere delle cricche. In questo caso non è raro osservare diramazioni secondarie ramificate lungo la cricca principale.
Una volta innescato questo tipo di danneggiamento, non è più possibile arrestarlo. Occorre quindi evitare assolutamente che l’ambiente corrosivo riesca a promuovere la formazione di attacchi localizzati che possano favorire una intensificazione degli sforzi e far partire il danneggiamento per fatica. E’ quindi sbagliato andare a cercare materiali metallici più altoresistenziali o anche materiali di pari resistenza ma maggiore duttilità, oppure materiali più nobili che però non garantiscono contro possibile pitting superficiale. In genere, il rimedio più efficace è quello di usare rivestimenti protettivi capaci di protezione passiva e attiva (catodica), che impediscano corrosioni superficiali sul componente metallico. In alcuni casi può essere efficace una protezione per correnti impresse.
CORROSIONE PER TURBOLENZA, ABRASIONE, CAVITAZIONE
Questi casi di corrosione sono correlati al moto relativo dell'ambiente corrosivo contenente particelle solide o bolle di gas trascinate. Il film protettivo superficiale viene danneggiato localmente dall'azione meccanica di abrasione, cui fa seguito un attacco corrosivo accelerato dal forte rapporto SC>>SA (zone adiacenti ancora passive).
TURBOLENZA L'attacco corrosivo si innesca in prossimità di difettosità superficiali; nel procedere del processo, l'attacco si intensifica per incremento successivo della turbolenza stessa.(Ad es. giranti di pompe, palette turbine, agitatori, gomiti, imbocchi ecc.).
ABRASIONE Quando l'ambiente corrosivo in movimento trascina con sé particelle in sospensione (polveri di catalizzatore, sabbia, sali precipitati ecc.),l'azione meccanica esercitata sul materiale metallico può essere incisiva anche per velocità modeste. Tale azione si esalta laddove, per qualsiasi motivo, si innalza la concentrazione delle particelle solide (estradosso di una curva, piede di tubazioni verticali).
CAVITAZIONE In presenza di moto relativo ad alta velocità tra ambiente e materiale (palette di una girante) o di bassa pressione (parte alta di apparecchiature) o in presenza di vibrazioni, la pressione può scendere al di sotto della tensione di vapore del fluido e dar luogo a bolle gassose che, collassando, generano onde d'urto che possono causare fenomeni di fatica e deformazioni permanenti al materiale. Le superfici diventano spugnose a causa dei profondi crateri che si vengono a formare.
I materiali più duri resistono in genere meglio a questi tipi di danneggiamento a patto che la loro durezza non sia ottenuta troppo a scapito dell'omogeneità del materiale. Importante è anche la compattezza e resistenza del film passivante e la sua capacità di cicatrizzarsi; non vanno in genere bene film spessi (Cu, Pb) ma meglio quelli del tipo acciai inox.
CORROSIONE FILIFORME (sotto pittura).
La corrosione filiforme è un particolare tipo di corrosione in fessura. Ha luogo, in prevalenza, al di sotto dei film protettivi, ed è comune nei barattoli, bidoni ecc.. dell’industria alimentare esposti all’umidità atmosferica.
Si produce su acciaio, manganese e alluminio ricoperti con stagno, argento, fosfato ecc. Il danno non è strutturale, ma estetico: si formano tracce rettilinee caratterizzate da una punta attiva (ioni ferrosi) colore rosso/blu e da una coda inattiva (ioni ferrici) rosso/marrone.
Il fattore ambientale più importante è l’umidità dell’atmosfera: il fenomeno ha luogo per umidità relative comprese tra il 60 e il 90 %, l di sopra il danneggiamento ha luogo tramite blistering.
Si è visto che il tipo di ricoprimento non ha molta importanza, se non riguardo alla relativa permeabilità dell’acqua dell’atmosfera. Non c’è influenza della microstruttura, né risulta importante l’attività biologica. Il meccanismo non risulta ben chiaro. Sulla punta, per effetto dell’alta concentrazione di [Fe2+],si ha rifornimento di H2O dall’esterno per osmosi, meccanismo mediante il quale viene sottratta anche acqua dalla coda inattiva (bassa [Fe3+] in soluzione). La concentrazione di O2 all’interfaccia testa coda è alta; la corrosione è localizzata soprattutto sulla testa , dove l’idrolisi degli ioni ferrosi diminuisce il pH. La mancata propagazione laterale della testa e il tipo di interazione tra i filamenti, non è stata compresa.
Per quanto riguarda la prevenzione, è importante impiegare film con bassa permeabilità all’H2O.
CORROSIONE MICROBIOLOGICA
La corrosione biologica non è un particolare tipo di corrosione, ma un danneggiamento del metallo per corrosione, conseguente, direttamente o indirettamente, all’attività di organismi viventi. Questi possono essere macrorganismi, come molluschi e funghi, e in questo caso il processo corrosivo è facilitato dall’azione di schermo (crevice corrosion) oppure microrganismi, in genere batteri solfato-riduttori, ferrobatteri e solfobatteri.
Il termine MIC (Microbiological Induced Corrosion) si riferisce alla corrosione influenzata dalla presenza e dall’attività di microrganimi e/o dai loro metaboliti.Quando una superficie metallica si trova a contatto con acque naturali o industriali (dolci, salmastre o di mare ), con terreni o con qualsiasi altro ambiente biologicamente attivo, viene colonizzata da microrganismi presenti nella fase acquosa, che formano i cosiddetti biofilm ( o feltri biologici ). Questi sono costituiti da colonie di organismi della stessa specie o più spesso di specie diverse con morfologia, colore, architettura, condizioni di sviluppo o di sopravvivenza, e perfino meccanismo di comunicazione ( segnali chimici ) diversi. Queste colonie sono tenute assieme da sostanze, spesso gelatinose, prodotte dai microrganismi stessi, che, oltre a svolgere il compito di far aderire alla superficie metallica i biofilm, modificano localmente la composizione chimica (anzitutto il pH ed il tenore di ossigeno ) e creano microambienti adatti per la proliferazione di altre specie.
I biofilm hanno uno spessore variabile da qualche mm a qualche decina di mm e sono costituiti da due strati: quello più esterno, a contatto con l’acqua, caratterizzato da condizioni aerobiche e quello più interno, aderente al metallo, dove invece l’ossigeno manca. In condizioni favorevoli, si ha il raddoppio della massa microbica in tempi compresi tra 10 e 60 minuti, con aumento esponenziale dell’azione corrosiva e ciò spiega la comparsa talvolta improvvisa dell’effetto corrosivo.
I microrganismi che interessano la corrosione sono generalmente batteri, funghi, alghe e diatomee.
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I BATTERI tendono a vivere e crescere anche in condizioni di temperature relativamente alte, alti pH. Le molecole di carbonio rappresentano un importante nutrimento.
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I FUNGHI possono essere suddivisi in lieviti e muffe. Uno dei più noti problemi dovuto ai funghi è il danno corrosivo ai serbatoi di carburante per aerei. In più, i funghi possono intrappolare altri materiali che portano alla contaminazione ed ai conseguenti problemi di corrosione.
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Le DIATOMEE sono predatori di batteri e di alghe, quindi potenzialmente attenua i problemi di corrosione microbiologica.
Sebbene i batteri possano predominare, muffe, lieviti e protozoi possono anche associarsi ai batteri e, sotto determinate condizioni, possono causare corrosione per conto proprio, o modificarsi drasticamente.
Benchè molti degli effetti dei microbi nel metallo siano associati alla crescita, non è necessariamente così: una volta stabilita la biomassa, questa può cessare di crescere ma continua la sua attività chimica, spesso anche più velocemente, una volta che diminuisce il controllo sulla crescita.
I batteri possono esistere in diversi stati metabolici:
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Stadio di Sviluppo: è lo stadio in cui i batteri respirano, consumano nutrimenti e proliferano;
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Stadio di Riposo: è lo stadio in cui i batteri semplicemente esistono, non si sviluppano a causa di condizioni non favorevoli.
Le famiglie di batteri che causano la corrosione sono moltissime. Per limitarci a quelle che interessano gli acciai al carbonio e gli inossidabili, citiamo tre tipi di batteri:
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Quelli che ossidano il ferro ed il manganese ( Gallionella, Sidercapsa, Speaerotilus);
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Quelli che ossidano il ferro, lo zolfo e i solfuri a solfati ( Thiobacillus thiooxydans, Thiobacillus ferroxidians );
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Quelli che riducono i solfati a solfuri ( Desulfovibrio, Desulfomaculum ).
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Questi ultimi, che sono anaerobici, sono i batteri che causano i danni maggiori. Si trovano praticamente in tutti gli ambienti contenenti solfati anche in piccole quantità e, ovviamente, non contenenti ossigeno.
Si può notare come i batteri coinvolti nei processi di corrosione più importanti sono quelli che hanno metabolismo nel quale giocano un ruolo importante lo zolfo e i suoi composti e così pure quelli connessi con il “ ciclo naturale dello zolfo “.
Esso è meno familiare di quelli rispettivamente dell’O2 e dello N2 , tuttavia riveste un ruolo importante soprattutto per quanto riguarda la corrosione industriale. E’ un ciclo continuo di variazione biologica come è mostrato in figura.
Vediamo adesso alcune possibili classificazionidei microrganismi corrosivi.
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Una prima classificazione si basa sulla suscettibilità all’ossigeno.
AEROBI: necessitano di ossigeno. Possono essere:
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Stretti: producono energia solo tramite la respirazione;
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Tolleranti: l’ossigeno non è indispensabile, ma ne favorisce la crescita;
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Microaerofili: richiedono ossigeno, ma in concentrazioni minori di quella atmosferica.
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ANAEROBI: non necessitano ossigeno. Possono essere:
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Tolleranti: non richiedono ossigeno ma non ne sono nemmeno inibiti;
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Obbligati: devono necessariamente vivere in assenza di ossigeno, questo è per loro nocivo anche a bassissime concentrazioni.
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Un secondo metodo di classificare i microrganismi è basato sulla loro forma: questa è facilmente prevedibile quando i microrganismi vengono coltivati in laboratorio sotto condizioni ben definite, mentre, in ambiente naturale, la loro crescita è influenzata da molteplici variabili.
MODALITA' DI ATTACCO E IDENTIFICAZIONE
Da sempre si sa che i biofilm sono causa di corrosione praticamente di tutti i metalli di tipo industriale ( acciai inossidabili compresi ).
In generale, gli effetti corrosivi dei batteri sui metalli possono essere attribuiti alla rimozione degli elettroni dal metallo e formazione di prodotti di corrosione, attraverso i seguenti meccanismi:
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Azione chimica diretta dei prodotti metabolici ( H2SO4 ), solfuri inorganici e organici, acidi organici );
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Depolarizzazione catodica associata alla crescita di batteri anaerobici;
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Variazione del potenziale dell'ossigeno, della concentrazione dei sali in soluzione, del pH ecc. che concorrono alla formazione di celle elettrochimiche locali;
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Rimozione degli inibitori di corrosione ( per esempio l’ossidazione dei nitriti o delle ammine ) o dei rivestimenti protettivi ( per esempio il bitume nei metalli inerti );
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La presenza di biomassa o di residui di biomassa ( per esempio la formazione di depositi di sali igroscopici nei forni in cui si effettua la ricottura ).
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L’azione si sviluppa con modalita’ “ ad impronta “ :
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Al centro ® maggiore attacco
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All’esterno ® minore attacco
Va puntualizzato che l'identificazione dell'organismo responsabile di questi fenomeni può essere estremamente difficile, poiché spesso ciò dipende dalla determinazione quantitativa del numero di ciascun tipo microbiologico insieme in una mistura complessa attraverso una valutazione delle attività chimiche e fisiche in quel particolare ambiente.
Un numero di test semplificati ha recentemente richiesto la colaborazione tra ingegneri e chimici nelle diagnosi sugli effetti corrosivi, sia di origine biologica che non.
Vediamo brevemente nel dettaglio tali test.
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Analisi microscopica: il risultato dell'esame sul microscopio dipende dalla familiarità con il materiale e dalla esperienza sulla popolazione microbiologica in questione.
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Misure del metabolismo microbiologico: consistono in due semplici test metabolici, molto utili per la valutazione di infezioni da organismi aerobici e anaerobici.
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Red Spot Test ( test della macchia rossa ): consiste nella riduzione di una soluzione incolore di sale di tetrazolio, che si trasforma in formazan ( sostanza insolubile colorata allorquando i microbi sono aerobici ). Tale operazione può essere eseguita in lastre, ampolle o slides. Il test può essere calibrato ad occhio, attraverso una stima sulla estensione dei depositi di formazan rosso e correlandola con metodi di conteggio elaborati. In genere i batteri anaerobici danno risposte rapide ( macchia grande ), mentre muffe e lieviti danno risposte lente ( macchia piccola ).
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E' un test basato sul rilascio enzimatico inerente alla crescita microbiologica e consiste in una analisi approssimata dell'enzima acido fosfatasi.
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Enumerazione diretta, tramite adeguata strumentazione, di specie selezionate.E' generalmente utilizzato per il conteggio dei Thiobacilli. E' un mezzo selettivo e dipende dalla particolare miscela della popolazione di microrganismi. Un altro tipo di selettività può essere descritto in un mezzo dalla aggiunta di adeguati inibitori di crescita ( sali della bile, pennicillina ). La temperatura ed altri parametri fisici possono essere usati per selezionare forzatamente una certa comunità di organismi. L'uso di un mezzo arricchito con bioacido è particolarmente importante per stimare la probabilità che ci siano specie resistenti durante il trattamento in scala industriale. La pratica comune è quella di raccogliere, direttamente in bottiglie sterilizzate, da appropriate zone del sistema. I campioni vengono analizzati il più rapidamente possibile e conservati a 2-4°C al buio. Dopo il test, i campioni vengono sterilizzati in appositi autoclave o vengono immersi in un adeguato disinfettante per tutTa la notte.
Una particolarità essenziale della corrosione anaerobica è il fatto che la si riscontra sulle strutture in ghisa così come su quelle in acciaio. Su questi due materiali la corrosione presenta sintomi caratteristici che permettono una sua agevole identificazione. L'attacco alla ghisa si manifesta con la grafitizzazione del metallo, la cui struttura compatta viene sostituita da una crosta friabile e fragile. Sull’acciaio, l’attacco assume la forma di una corrosione per punti (pitting ), profonda e spesso intensamente localizzata, ciò che può condurre a confonderla con una corrosione galvanica. I prodotti hanno colore nero e contengono il 40% circa di ione ferroso e il 5% di zolfo come solfuro.
Batteri solfato riduttori
Appartengono al genere Desulfovibrio, la cui specie caratteristica è costituita dai Desulfovibrio desulfuricans. Da un punto di vista fisiologico, essi sono batteri strettamente anaerobici, non possono svilupparsi in presenza di ossigeno libero, ma ciò non di meno, sopravvivono ad un contatto abbastanza prolungato con l’aria. Per la maggior parte dei ceppi l’optimum di temperatura per lo sviluppo è compreso tra i 32 ed i 37°C. Intorno a 0°C la loro crescita rallenta notevolmente senza tuttavia arrestarsi. Fondamentale caratteristica del D.desulfuricans è il fatto che tale batterio riduce attivamente i solfati (SO42-) ad solfuri (S2-) e tollera, senza che la sua attività venga ad essere ostacolata, concentrazioni fino a 4000 ppm di idrogeno solforato, sostanza estremamente tossica per la maggior parte degli altri microorganismi.
I batteri solfato riduttori sono abbondanti in natura e probabilmente presenti in ogni luogo ( zone glaciali comprese ). Sono riscontrabili nell’argilla sino ad una profondità di 70 m. Sono presenti anche nelle acque, pure o ad alto tenore salino, soprattutto se è alto il BOD (domanda biologica di ossigeno ).
Il campo delle specie di batteri capaci di fare la solfato riduzione è aumentato moltissimo negli ultimi anni. Utilizzando un ampio range di crescita media e condizioni fisiche idonee, più di dodici nuove specie sono state aggiunte a questo genere, inclusi Desulfosarcina, Desulfobacter, Desulfococcus, ecc. Come suggeriscono i loro nomi, si differenziano nella loro morfologia, ma anche la loro crescita richiede condizioni diverse. Una delle caratteristiche di queste nuove speci è che la loro velocità di crescita è molto minore di quella del Desulfovibrio. In aggiunta a questi batteri, Stetter (1987) isolò la Archaebacterium, capace di crescere e ridurre il solfato da 65°C a 80°C. Si è pensato che questo nuovo gruppo caratteristico si sia fuso con l'eubattere e sia evoluta ad una famiglia distinta, includendo il Methanogens e Halophiles, che possono apparire insieme, associati alla corrosione metallica.
Micrografia al SEM di una colonia di batteri solfato riduttori
Per quanto riguarda il meccanismo di azione si ritiene che i batteri solfato riduttori agiscano come depolarizzatori catodici, utilizzando l’idrogeno atomico catodico (che si ossida ) per ridurre i solfati (S042-) a solfuri (S2-).
Per la corrosione del ferro, si ha il seguente meccanismo:
Reazione catodica:
8 H+ + 8e- ® 8 H (bio)
S042- + 8 H (bio) ® S2- + 4 H2O
Reazione anodica:
4 Fe ® 4 Fe2+ + 8 e-
Prodotti di corrosione:
Fe2+ + S2- ® FeS
3 Fe2+ + 6 OH- ® 3 Fe(OH)2
PROTEZIONE CONTRO LA CORROSIONE MICROBIOLOGICA
I trattamenti contro la corrosione microbiologica comprendono:
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L’uso di sostanze biocide in dosaggio controllato;
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L’uso di rivestimenti a base di polimeri sintetici non biodegradabili e di pitture contenenti sali inibitori ( Cu2+, Cr3+, Zn2+ );
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Trattamenti meccanici. Sono particolarmente indicati per la contaminazione delle pareti interne della struttura. Consistono nell’utilizzo di appositi elementi atti ad asportare meccanicamente i feltri biologici aderenti alla struttura. Generalmente si utilizzano palline di acciaio o raschietti rotanti. E’ tipico degli scambiatori di calore o tubazioni che trattano fluidi contaminati.
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Realizzazione e controllo delle condizioni ambientali che non favoriscono la crescita microbica (ad esempio la rimozione dell'acqua dagli oli lubrificanti, una buona pulizia industriale, cambiamento della temperatura del sistema).
Affinché tali metodi risultino realmente efficaci, è molto importante il controllo del biofouling, che si realizza nel seguente modo:
Controllo del colore delle acque: queste diventano più scure se c’è attivita’ batterica;
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Inserimento di sezioni di by pass nella condotta, seguito da controlli periodici: l’individuazione di perdite di carico indica la presenza di incrostazioni dovute al biofouling ( infatti i fluidi di esercizio sono quasi tutti antiincrostanti );
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Uso di un kit di analisi: si immerge nell’acqua e dopo un po’ di tempo fornisce una analisi grossolana ma indicativa.
L'uso di biocidi è la via generalmente praticata e sulla quale ci soffermiamo brevemente.
I biocidi sono sostanze chimiche che uccidono i microbi o ne impediscono la crescita. Il biocida ideale dovrebbe essere:
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non tossico e sicuro da maneggiare ( non infiammabile, non esplosivo, non irritabile alla pelle ecc. );
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economico;
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non reattivo verso i metalli, il legno e le sostanze organiche presenti;
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non volatile e stabile in soluzione;
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efficace contro un ampio spettro di microbi.
Possono essere di vario tipo:
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Ossidanti: penetrano dentro la membrana cellulare del batterio, arrivano fino al citoplasma dove distruggono l’attivita’ enzimatica del batterio, che muore.
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Acido ipocloroso, Acido ipobromoso
I trattamenti di clorazione possono anche condursi “a target”, cioè bonificando la struttura “ pezzo per pezzo”, mediante:
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Dosi di cloro elevate (shock) all’inizio;
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Dosi minori successivamente;
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Prodotti anticloro alla fine del trattamento.
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Antiossidanti: ce ne sono di svariati tipi:
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Sali di ammonio quaternario: fanno parecchia schiuma, se c’è olio risultano poco efficaci.
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Metilene tiocianato: tossico, particolarmente indicato per Desulfovibrio .
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Sali di rame.
Quelli oggi impiegati non possiedono tutti questi requisiti o peggio ancora non si hanno precise informazioni sulle loro proprietà.
Il cloro è senza dubbio il biocida più usato ed è efficace a concentrazioni estremamente basse, inferiori ad 1 ppm. E’ però volatile, inefficace contro i funghi del legno, reagisce col materiale organico presente e, se le concentrazioni sono troppo elevate, è pericoloso verso il legno ( che viene sfibrato ) e l’acciaio ( nel quale provoca corrosione localizzata ).
Anche i cromati sono frequentemente impiegato, che ha pure azione inibitrice per il metallo.
Negli anni più recenti sono stati introdotti e sempre più usati prodotti organici tossici come i fenoli clorurati, che proprio per la loro pericolosità sono proibiti in molti paesi industriali. Il più usato è il commerciale Panacide (diclorofenolo) la cui concentrazione efficace sarebbe del tutto innocua all’uomo e agli animali. Purtroppo la legislazione sull’uso di queste sostanze è in quasi tutti i paesi piuttosto carente, quando addirittura assente.
Fonte: http://www1.diccism.unipi.it/De_Sanctis_Massimo/Corrosione/Appunti%20di%20corrosione.doc
Sito web da visitare: http://www1.diccism.unipi.it/De_Sanctis_Massimo
Autore del testo: Massimo De Sanctis
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