Fluidi frigorigeni caratteristiche proprietà
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Fluidi frigorigeni caratteristiche proprietà
I fluidi frigorigeni
Le macchine frigorifere funzionano utilizzando vapore saturo. Il fluido usato è in stati fisici sotto la curva limite superiore ed è chiamato REFRIGERANTE.
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Lezione del 06/12/01, ora 14:30-16:30
Sono frigorigeni i fluidi usati negli impianti frigorigeni e a pompa di calore.
I fluidi frigorigeni devono essere innocui per le persone e per l’ambiente; non devono aggredire chimicamente i componenti del ciclo; devono presentare nelle normali condizioni operative, un rapporto non troppo elevato tra le pressioni di condensazione ed evaporazione, per un minore consumo di energia per la compressione; devono avere, infine, alla temperatura di evaporazione, un valore particolarmente elevato di calore latente di cambiamento di fase, contemporaneamente deve essere basso il valore del volume specifico,in modo da diminuire la portata volumetrica per unità di flusso termico asportato.
L’acqua, pur presentando alcune caratteristiche tipiche dei fluidi refrigeranti quali: il fatto che sia ecologica ed abbia un costo esiguo, non è comunque adatta ad essere utilizzata come liquido refrigerante perchè:
- non può scendere a temperature inferiori a 0°C;
- evapora a temperature troppo alte a causa della differenza troppo grande tra ;
- alle basse temperature il suo volume specifico è troppo elevato con pressioni di saturazione alquanto ridotte.
Per questi motivi, sono stati utilizzati come refrigeranti altri fluidi quali l’anidride carbonica, il propano e l’ammoniaca (quest’ultima ancora usata nelle nostre macchine frigorifere), che una temperatura di evaporazione e di solidificazione adatti a tale scopo.
Oggi comunque le sostanze più usate sono l’ammoniaca e i freons.
Ammoniaca (NH): il suo vantaggio è il costo molto conveniente, ma ha dei grossi difetti dal punto di vista igienico-ambientale:
- è irritante per le vie respiratorie,
- può diventare esplosiva se mischiata con ossigeno (O).
L’ammoniaca è molto usata nei grandi impianti. Nei piccoli impianti può essere usata solo se le macchine frigorifere sono esterne alla casa.
In questo tipo di impianto l’ammoniaca viene usata per riscaldare/ raffreddare l’acqua che viene successivamente fatta passare nell’ambiente tramite tubi. Lo svantaggio di questa soluzione è che si ha un grande dispendio di energia, ma non è possibile far passare direttamente l’ammoniaca nei tubi a causa della sua pericolosità.
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Freon: ultimamente per risolvere questo problema si è sostituita l’ammoniaca con la famiglia dei clorofluorocarburi (CFC) commercialmente detti FREON (il più famoso è l’F12) dalla Du Pont. I freon sono componenti organici a cui sono associati atomi di cloro e fluoro.
Il freon non si può considerare sicuro al 100%, ma rispetto all’ammoniaca non brucia, non scoppia e non irrita le vie respiratorie, ma la sua stabilità chimica lo rende indistruttibile e quando viene rilasciato nell’ambiente esso non si disfa, ma rimane tale.
Accumulandosi nell’ambiente, quindi, provoca seri danni.
Le principali fonti di freon nell’ambiente sono:
- le macchine frigorifere difettose,
- le bombolette spray che contengono CFC,
- i frigoriferi per uso domestico quando questi vengono rottamati (quando vengono rottamate le macchine frigorifere industriali il freon viene recuperato e riutilizzato
I principali danni ambientali causate dal freon sono:
- IL BUCO DELL’OZONO,
- L’EFFETTO SERRA.
Il buco dell’ozono
L’ozono (O) è un gas presente nell’atmosfera che ha il compito di ridurre l’intensità delle radiazioni ultraviolette emanate dal sole.
Questa sostanza è composta da tre atomi di ossigeno. Esso si forma quando avviene una collisione tra un atomo di ossigeno ed una molecola di ossigeno; tramite un catalizzatore l’atomo si lega alla molecola con un particolare legame alquanto debole detto “dativo”.
La funzione principale dell’ozono è, come precedentemente detto, quella di assorbire le radiazioni ultraviolette provenienti dal sole; esso funge quindi da filtro protettivo senza il quale non sarebbe possibile la vita sulla terra.
Il freon e in generale tutti i CFC, presenti in quantità sempre più massiccia e preoccupante nell’ambiente fin dagli anni ’70, disfano il legame già fragile dell’ozono, diminuendo la quantità di ozono e, di conseguenza, la sua capacità di filtraggio dei raggi UV. Ne consegue un rischio concreto per la vita sul nostro pianeta.
Nel 1985 si cominciò a prendere atto del gravissimo fenomeno denominato “buco dell’ozono”: alcuni scienziati notarono che al di sopra della calotta antartica lo strato di ozono era diminuito di circa il 40% e questa diradazione delle molecole di O tendeva e tende tutt’oggi ad aumentare.
Dalla metà degli anni ’90, è stata proibita la produzione di CFC; oggi si usano degli altri gas derivati dei CFC, quali gli idroclorofluorocarburi (HCFC) e gli idrofluorocarburi (HFC) che sono meno dannosi dei CFC ma non del tutto innocui.
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Fonte: citazione per uso didattico da http://pcfarina.eng.unipr.it/DispenseArch01/tripicchio139119/tripicchio139119.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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I fluidi frigorigeni:
Le macchine frigorifere funzionano utilizzando vapore saturo. Il fluido utilizzato è in stati fisici sotto la curva limite superiore ed è chiamato refrigerante.
Sono definiti frigorigeni i fluidi utilizzati negli impianti frigoriferi e a pompa di calore.
Un fluido frigorigeno deve avere particolari caratteristiche:
-non deve essere pericoloso per le persone;
-non deve essere dannoso per l’ambiente;
-non deve aggredire chimicamente i componenti del ciclo;
-deve poter mantenere all’interno del suo campo di lavoro, una pressione maggiore di quella atmosferica, al fine di impedire entrate di aria umida nell’impianto;
-occorre che presenti nelle normali condizioni operative, un rapporto non troppo elevato tra le pressioni di condensazione ed evaporazione, per minor consumo di energie per la compressione;
-occorre, infine, che alla temperatura di evaporazione, sia particolarmente elevato il valore del calore latente di cambiamento di fase, mentre allo stesso tempo deve essere basso il valore del volume specifico, per diminuire la portata volumetrica per unità di flusso termico asportato.
Anche l’acqua presenta certe caratteristiche che soddisfano queste condizioni: è infatti assolutamente ecologica e a basso costo, ma purtroppo non consente di scendere a valori inferiori di 0°C. Inoltre il suo volume specifico alle basse temperature è elevato, con pressioni di saturazione piuttosto ridotte. Ciononostante l’acqua si presta a certi compiti, come nelle macchine frigorifere ad assorbimento, utilizzante nel condizionamento ambientale.
In definitiva non si utilizza vapore d’acqua come refrigerante ma altri fluidi. Questo perché a 0°C l’acqua solidifica ed evapora a temperature troppo elevate. Di solito la macchina frigorifera lavora con una differenza tra la temperatura massima e la temperatura minima di massimo 20°C-30°C. Spesso la temperatura minima è qualche grado sotto lo zero.
Oltre all’acqua, nel corso della storia si sono provati altri fluidi “naturali”, tra cui anidride
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carbonica, propano e l’ammoniaca (l’unica utilizzata ancora ai nostri giorni, con le dovute precauzioni che impone, specie nei grandi magazzini frigoriferi).
Con l’avvento dei fluidi alogenati, ottenuti partendo dal metano o dall’etano, per sostituzione, totale o parziale, degli atomi di idrogeno con atomi di cloro e fluoro (dai quali poi prendono il nome di Cloro- Fluoro-Carburi), si è abbandonato l’utilizzo dei prodotti naturali.
I fluidi alogenati, hanno buone caratteristiche:
-non sono tossici;
-non sono infiammabili;
-non sono corrosivi;
-sono caratterizzati da proprietà termodinamiche favorevoli;
-per ogni campo di applicazione a varie temperature, è possibile scegliere tra uno o più
fluidi frigorigeni che possiedono i più adatti requisiti.
Si capisce perciò come i fluidi frigorigeni “naturali” siano stati abbandonati quando la DuPont ha messo sul mercato questi nuovi fluidi specifici, sotto il nome commerciale di “Freons”. Ora la normativa tende a catalogare questi fluidi sintetizzati, contraddistinguendoli con l’iniziale R della parola inglese “Refrigerant”, seguita da un numero con più cifre che ne identifica la composizione chimica.
L’ammoniaca e il freon:
Le sostanze più usate sono l’ammoniaca (NH3) o il Freon (CClF2), sostanze che, a temperature ordinarie, sono liquefatte con pressioni non troppo elevate.
L’ammoniaca è un composto che costa poco, ma ha difetti igienici e ambientali. Risulta essere infatti irritante per le vie respiratorie e se mescolata con piccole quantità di ossigeno diventa esplosiva. Di solito è usata negli edifici che posseggono macchine frigorifere sul tetto. Questo tipo di macchina frigorifera è usata per creare acqua calda e fredda che è fatta scorrere tramite dei tubi nell’ambiente. Il passaggio del calore dall’ammoniaca all’acqua porta a perdite energetiche.
La situazione migliore sarebbe trasportare direttamente l’ammoniaca perché anche in una piccola quantità di fluido è contenuta molta energia. L’ammoniaca è perciò un ottimo fluido, ma la pericolosità ambientale ha portato a cercare delle alternative.
Un’alternativa è il Clorofluorocarburi (CFC) detto anche commercialmente Freon. È un acido che contiene cloro e fluoro. Dimostra una molto maggiore inerzia chimica rispetto all’ammoniaca. Inizialmente i Freon sembravano meglio dell’ammoniaca per la presunta non tossicità. Il problema si è dimostrato essere la stabilità chimica che lo porta ad essere indistruttibile. Perciò nell’ambiente non si distrugge. Quando nell’atmosfera ha cominciato ad essercene troppo si sono visti i danni dovuti anche al fatto che fu utilizzato anche nelle bombolette spray oltre che nelle macchine frigorifere. Le macchine frigorifere, se ben fatte, non dovrebbero permettere che si liberino nell’ambiente. Si sono però poi cominciate a rottamare: nelle grosse macchine si recuperava, mentre nei piccoli frigoriferi si recuperava il metallo e si lasciava disperdere il Freon. I danni principali dovuti al Freon sono il buco dell’ozono e l’effetto serra.
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DANNI DEL FREON:
- BUCO DELL’OZONO,
- EFFETTO SERRA
Il buco dell’ozono:
Un importante componente dell’atmosfera è l’ozono, un gas che differisce dal comune ossigeno che respiriamo, perché,mentre le molecole di questo sono formate ciascuna da due atomi di ossigeno (hanno cioè formula O2), quelle di ozono sono formate ciascuna da tre atomi di ossigeno (hanno cioè formula O3). L’ozono è presente nell’atmosfera in piccolissime quantità, al punto che, se fosse possibile radunarlo tutto sulla superficie terrestre, si otterrebbe uno straterello spesso solo 0,4 cm. Inoltre, la sua distribuzione non è uniforme: nella zona inferiore dell’atmosfera ce n’è meno di una parte su 100 milioni mentre la sua concentrazione è molto maggiore tra i 10 e i 50 km di quota, con un massimo intorno ai 25 km. A quelle quote, per assorbimento di gran parte delle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole, le comuni molecole di ossigeno sono scisse in atomi di ossigeno. L’ozono si forma quando un atomo di ossigeno (O) e una molecola di ossigeno (O2) collidono in presenza di un’altra molecola che funge da catalizzatore, cioè favorisce lo svolgersi della reazione senza essere consumata. Che la maggior parte di ozono sia presente nella fascia di atmosfera compresa tra i 10 e i 50 km di quota è dovuto al fatto che solo lì può instaurarsi un delicato equilibrio: da una parte vi giunge una quantità di radiazioni ultraviolette sufficiente a provocare la formazione di ossigeno atomico, dall’altra la densità dell’aria è ancora abbastanza elevata da permettere le collisioni tra ossigeno atomico e ossigeno molecolare.
La presenza di uno strato di ozono nell’atmosfera è di capitale importanza per l’esistenza della vita sulla Terra. L’ozono infatti assorbe le dannose radiazioni ultraviolette che provengono dal Sole: se mancasse tale filtro capace di bloccare la maggior parte delle radiazioni ultraviolette, impedendo ad esse di raggiungere la superficie terrestre, il nostro pianeta sarebbe inabitabile per la maggior parte delle forme di vita attualmente esistenti. Quindi, qualsiasi fenomeno in grado di ridurre il contenuto in ozono dell’atmosfera potrebbe avere effetti negativi sulle condizioni di vita sulla Terra; si tratta di un problema molto attuale perché un’eventualità del genere non è poi tanto teorica: a partire dall’inizio degli anni ’70 si è andata sempre più manifestando la preoccupazione che, come effetto secondario di certi interventi e attività dell’uomo, si stia realmente riducendo la quantità di ozono contenuto nell’atmosfera.
Si ritiene attualmente che di gran lunga il maggior impatto delle attività umane sullo strato di ozono sia quello derivante dall’impiego di un gruppo di composti chimici sintetici che vanno sotto la denominazione generale di clorofluorocarburi (CFC, più noti sotto il nome commerciale di Freon). I CFC sono usati come propellenti nelle bombolette spray, come composti di partenza nella produzione di certe materie plastiche e come fluidi frigorigeni negli apparecchi di refrigerazione. Dato che si tratta di gas piuttosto inerti (ossia poco reattivi), che non subiscono praticamente alterazioni nella zona inferiore dell’atmosfera, parte di essi riesce a raggiungere lo strato di ozono. Qui, per effetto di alcune radiazioni solari, le molecole dei CFC sono scisse negli atomi che le compongono. A quanto pare, gli atomi di cloro che così si liberano provocherebbero,attraverso una complessa serie di reazioni, la trasformazione di parte dell’ozono in ossigeno molecolare.
Questa spiegazione non è però l’unica, né è attualmente la più seguita. Tra il 1985 e il 1986
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è stata infatti segnalata, con un certo allarme, la presenza di un “buco” nello strato di ozono al di sopra dell’Antartide. Le ricerche appositamente organizzate per studiare il fenomeno non hanno però riscontrato localmente nell’atmosfera l’aumento di cloro previsto nel meccanismo di reazione dei CFC. Inoltre, verso la fine del 1986, il “buco” si stava riducendo di dimensione. Nello stesso periodo, è stata segnalata una diminuzione della temperatura della stratosfera; secondo alcuni ricercatori sarebbe stata proprio questa situazione termica a provocare, in corrispondenza dell’Antartide, la risalita dalla sottostante troposfera d’aria relativamente più calda, povera d’ozono.
In tal caso, le variazioni nella quantità di ozono osservate in questi ultimi anni (in particolare tra il 1957 e il 1973 e tra il 1980 e il 1984) potrebbero essere semplicemente fluttuazioni naturali, destinate a manifestarsi periodicamente. I CFC potrebbero avere unicamente l’effetto di accentuare il fenomeno della ricorrente diminuzione di ozono.
Alcuni ricercatori hanno anche messo in luce la possibilità che l’aumento di temperatura nella troposfera e la diminuzione di temperatura nella stratosfera siano legati a un effetto serra, dovuto a un particolare incremento dell’attività vulcanica globale, ma anche ad attività antropiche.
Non va dimenticato che, secondo i calcoli fatti, a ogni 1% in meno della concentrazione di ozono corrisponde un aumento del 2% della quantità di radiazioni ultraviolette che raggiungono la superficie terrestre. è provato d’altra parte che le radiazioni ultraviolette provocano certi tipi di cancro della pelle; un impoverimento dello strato protettivo di ozono potrebbe pertanto avere serie conseguenze sulla salute dell’uomo, senza contare gli effetti che un aumento delle radiazioni ultraviolette potrebbe avere sugli altri animali e sulle piante.
L’effetto serra:
Considerando l’atmosfera nel suo insieme, nessuno dei gas che la costituiscono assorbe in misura significativa le radiazioni aventi una lunghezza d’onda compresa tra i 0,4 e i 0,7 mm, quelle cioè che corrispondono alla banda del visibile, che comprende una buona parte della radiazione solare incidente. Ciò spiega perché la maggior parte delle radiazioni visibili raggiunge la superficie terrestre e perché si dice che l’atmosfera è trasparente alle radiazioni solari. Pertanto, l’energia solare diretta è assai poco efficace ai fini di un riscaldamento dell’atmosfera terrestre; il grosso dell’energia che questa riceve è una conseguenza dell’irraggiamento ad opera della superficie terrestre, che restituisce così l’energia della radiazione solare da essa assorbita.
Circa il 50% dell’energia solare che investe l’atmosfera raggiunge direttamente o indirettamente (cioè per diffusione) la superficie terrestre e ne viene assorbito. La maggior parte dell’energia assorbita viene nuovamente irradiata verso il cielo. Ma, poiché la Terra ha una temperatura superficiale molto inferiore a quella della superficie del Sole, la radiazione terrestre è costituita da onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda maggiore di quella della radiazione solare. Il grosso della radiazione terrestre presenta lunghezze d’onda che vanno da 1 a 30 mm, che cadono, quindi, all’interno della banda dell’infrarosso. D’altra parte l’atmosfera ha globalmente buone possibilità di assorbimento nei confronti di queste radiazioni; particolarmente efficaci sotto questo aspetto sono il vapore acqueo e l’anidride carbonica. Il vapore acqueo assorbe circa cinque volte più radiazione terrestre di tutti gli altri gas dell’atmosfera messi assieme ed è pertanto la principale causa della maggiore temperatura che si osserva nella troposfera inferiore, dove la sua concentrazione è maggiore.
Pertanto, poiché l’atmosfera è piuttosto trasparente nei confronti della radiazione solare (a
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onde corte) e maggiormente assorbente nei confronti della radiazione terrestre (a onde lunghe), essa viene riscaldata dal basso verso l’alto piuttosto che viceversa. Ciò spiega la graduale diminuzione della temperatura con la quota che si osserva nella troposfera: quanto più è lontana dal radiatore, tanto più fredda risulta l’aria.
Nell’assorbire la radiazione terrestre, i gas dell’atmosfera si riscaldano, ma prima o poi finiscono per irradiare a loro volta l’energia così assorbita. Parte delle radiazioni da loro emesse sono dirette verso l’alto, dove possono venire riassorbite da altre molecole gassose, ma la probabilità che ciò si verifichi diminuisce via via che si sale di quota, per il diminuire della concentrazione di vapore acqueo presente. Il resto si irradia verso il basso e viene riassorbito dalla Terra. Di conseguenza, la superficie terrestre viene continuamente rifornita di calore, oltre che dal Sole, anche dall’atmosfera; senza l’assorbimento e il seguente irraggiamento da parte dei gas dell’atmosfera,la Terra non sarebbe un pianeta abitabile né per l’uomo, né per molte altre forme di vita.
Il fenomeno ora descritto, molto importante, è stato denominato effetto serra, perché un tempo si riteneva che il fenomeno di riscaldamento che si ha nelle serre fosse dovuto a un processo analogo. I gas dell’atmosfera, in particolare il vapore acqueo e l’anidride carbonica, si comportano infatti in modo simile ai vetri di una serra, i quali permettono alle radiazioni solari a onde corte di penetrare all’interno della serra, dove esse vengono assorbite dai corpi presenti; questi a loro volta restituiscono l’energia assorbita,ma sotto forma di radiazioni di lunghezza d’onda maggiore, nei confronti delle quali il vetro è quasi opaco. In tal modo il calore rimane intrappolato nella serra. Ma, a differenza dell’atmosfera, una serra si mantiene calda soprattutto perché, essendo chiusa, impedisce all’aria interna di mescolarsi con l’aria esterna, più fredda. Comunque, anche se non completamente esatta, l’espressione “effetto serra” è rimasta nell’uso.
Vista la notevole capacità di assorbire calore da parte dell’anidride carbonica, qualsiasi cambiamento nella quantità di tale gas presente nell’aria si deve necessariamente riflettere in una modificazione della temperatura nella bassa atmosfera: questa considerazione è alla base della teoria che associa cambiamenti climatici alle variazioni nel contenuto di anidride carbonica dell’atmosfera.
Il rapido sviluppo industriale iniziato nel XIX secolo è stato caratterizzato da un continuo aumento del consumo di combustibili fossili, con la conseguente aggiunta all’atmosfera di grandi quantità di anidride carbonica, un tipico prodotto della combustione. Parte dell’anidride carbonica via via emessa nell’atmosfera si scioglie nelle acque degli oceani e parte viene utilizzata dalle piante, ma circa il 40-50% rimane nell’atmosfera. In base alle stime fatte, dal 1860 al 1985 c’è stato un incremento della quantità di anidride carbonica nell’aria compreso tra il 15 e il 20%.
Nel presupposto che l’uso dei combustibili fossili continui ad aumentare con il ritmo calcolato, si prevede che il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera, che è oggi di circa 340 parti per milione, raddoppierà nella seconda metà di questo secolo. Con un incremento di anidride carbonica di tale entità, l’aumento dell’effetto serra sarà molto più consistente e, pertanto, più facilmente rilevabile di quanto non sia stato finora. Nell’ipotesi di un raddoppio del contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera, i modelli più realistici prevedono un aumento globale della temperatura sulla superficie terrestre compreso tra 1,5 e 4,5°C. Questi stessi modelli fanno prevedere anche che il riscaldamento della parte inferiore dell’atmosfera non sarà uguale dovunque: la variazione termica nelle regioni polari potrà essere due o tre volte superiore alla media globale. Ciò sarebbe dovuto, almeno in parte, alla notevole stabilità della troposfera polare, che ostacola il mescolamento verticale dell’aria e limita, perciò, la quantità di calore che dalla superficie può trasferirsi verso l’alto. Un ulteriore contributo al maggior
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incremento della temperatura nelle regioni polari dovrebbe venire anche dalla prevista riduzione
dell’estensione di superficie marina ghiacciata.
Il bilancio energetico della Terra si sposta a una temperatura più elevata e la Terra si riscalda.
Ciò è già accaduto ciclicamente e quindi è una conseguenza meno preoccupante rispetto al “buco dell’ozono”. Quindi quest’effetto ci preoccupa molto meno perché rientra nella logica del cambiamento che sulla Terra c’è sempre stato.
Fonte: citazione per uso didattico da http://pcfarina.eng.unipr.it/DispenseArch01/campioli138708/campioli138708/campioli138708.doc
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I fluidi frigorigeni e il Regolamento 842/2006 sui refrigeranti ad effetto serra
inserito il: 18.10.2007
tratto da 'L'esperto risponde'
Per quanto concerne i gas fluorurati a causa del loro valore non nullo di GWP, è necessario limitarne per quanto possibile il diffondersi nell’ambiente dovuto a fughe dalle apparecchiature.
Per regolamentare tale utilizzo il 17 maggio 2006, il Parlamento Europeo e il Consiglio adottarono il Regolamento 842/2006 che entrò in forza il 4 luglio 2006 con data di applicazione il 4 luglio 2007 con lo scopo di ridurre emissioni di gas ad effetto serra negli stati membri della EU attraverso contenimento e ricupero controllato, istruzione e certificazione del personale, registrazione della produzione, importazione ed esportazione, etichettatura di certi prodotti ed apparecchiature contenenti quei gas.
L’articolo 1 del Regolamento 842/2006 definisce l’obiettivo del regolamento: cioè contenere, prevenire e quindi ridurre le emissioni di gas fluorurati ad effetto serra contemplati dal protocollo di Kyoto.
Viene fatta un’analisi del Regolamento alla luce delle osservazioni e posizioni assunte nella riunione del 18 dicembre 2006 nell’incontro promosso dalla Commissione Europea con tutte le organizzazioni interessate dal Regolamento 842/2006.
Le organizzazioni presenti, associazioni di aziende che utilizzano gas fluorurati nei loro impianti tipo produttori alimentari, magazzini frigoriferi privati e conto terzi, vennero infatti invitate a produrre le proprie osservazioni su due articoli del Regolamento, il 3 ed il 5, che contemplano i controlli da effettuarsi sull’impianto contenente il fluido fluorurato e la qualificazione del personale addetto alle operazioni di controllo.
L’articolo 3 del Regolamento dispone che gli operatori impegnati nella gestione di un impianto fisso di refrigerazione adottino tutte le misure fattibili sul piano tecnico e che non comportano costi sproporzionati per:
a) prevenire le perdite di tali gas;
b) riparare non appena possibile le perdite rilevate.
Gli impianti frigoriferi che utilizzano gas fluorurati devono essere controllati, per individuare le perdite, da personale certificato.
L’articolo 3 del Regolamento contempla il “Contenimento” del gas fluorinato e stabilisce l’obbligo della ricerca delle perdite, la frequenza della quale dipende dalla capacità dell’installazione.
a) per impianti con più di 3 kg di gas fluorurato ad effetto serra il controllo deve essere effettuato almeno una volta l’anno;
b) per impianti contenenti 30 kg o più di gas fluorurato il controllo deve avvenire almeno due volte l’anno;
c) per impianti con più di 300 kg il controllo deve avvenire una volta ogni tre mesi.
In caso di presenza di un rilevatore di fughe fisso per i casi b) e c) la frequenza può essere dimezzata.
Come viene effettuata la misurazione delle fughe di gas frigorigeno?
Per verificare l’assenza di fughe sono previsti metodi di operazione indiretta e diretta.
Per metodo di misurazione indiretta si intende l’analisi di alcuni parametri del sistema di refrigerazione come un anomalo funzionamento del compressore, una riduzione nella resa frigorifera, la pressione, la temperatura, il livello del liquido e il volume di rabbocco del fluido.
I parametri da prendere in esame per una misurazione indiretta devono essere definiti da personale certificato; le anomalie indicate dai detti parametri possono denunciare la presenza di una supposta fuga di refrigerante. In questo caso la posizione della possibile perdita deve essere confermata da un controllo diretto, utilizzando un rilevatore di perdite mobile al fine di localizzare esattamente dove avviene la perdita e procedere alla riparazione.
Per metodo di misurazione diretta si intende la verifica delle perdite del fluido con apparecchiature che rilevano direttamente il contenuto di fluido frigorifero in aria, e possono essere fisse o mobili.
Per impianti con più di 300 kg di fluido, (praticamente tutti gli impianti frigoriferi conto terzi e alcuni grandi impianti privati che utilizzano gas fluorurati ad effetto serra) è obbligatorio disporre di un sistema fisso di rilevamento delle perdite che deve essere controllato almeno una volta l’anno per accertarne il perfetto funzionamento.
Ove esiste un sistema fisso di rilevamento delle perdite correttamente funzionante la frequenza dei controlli viene dimezzata (ogni sei mesi anziché ogni tre mesi).
L’apparecchiatura fissa di rilevamento deve essere installata in sala macchine, posizionata il più possibile vicino al compressore e deve avere un livello di rilevamento di 100 ppm.
Ogni rilevamento di una perdita segnalato dal sistema fisso di rilevamento deve essere seguito da una prova con un rilevatore mobile per individuare l’esatta posizione della perdita.
Un rilevatore mobile di perdite deve avere una sensibilità di 5 ppm e deve essere utilizzato su quelle parti dove è più probabile il verificarsi di fughe di refrigerante, come valvole, premistoppa e parti mobili.
Il personale addetto a tali controlli deve verificare anche con una attenta osservazione lo stato delle tubazioni per possibili corrosioni o irregolarità. Ogni presunzione di possibili punti di perdita derivante da una osservazione attenta delle parti dell’impianto deve essere seguita da un controllo con un rilevatore mobile.
I dettagli relativi all’attuazione di tali controlli sono attualmente in discussione presso le istituzioni europee.
La tecnologia industriale ha reso disponibili sistemi di rivelazione di fughe molto efficienti, in grado di agevolarne considerevolmente l’individuazione.
Gli operatori responsabili dell’impianto frigorifero, per una quantità di fluido superiore a 3 kg di gas fluorurato ad effetto serra, devono tenere un registro di impianto in cui viene riportata la quantità e il tipo di gas fluorurato installato, le quantità eventualmente aggiunte e quelle recuperate nelle operazioni di manutenzione di riparazione o di smaltimento definitivo.
Deve inoltre essere indicato il nome della società o del tecnico che ha eseguito i controlli sopra richiesti e tenuto la manutenzione o la riparazione nonché le date e i risultati dei controlli effettuati. Tali registri devono essere a disposizione delle autorità competenti.
Nello schema, facilmente interpretabile, è indicata la procedura da seguire passo per passo (step) per il rilevamento (check) diretto di una eventuale perdita (leak) in un punto dell’impianto e conseguente annotazione nel registro di impianto (logbook) di tutte le operazioni eseguite.
nel pdf:
Schema di un ciclo di prova diretta
E per quanto riguarda la formazione e la certificazione del personale?
Più complesso è l’applicazione dell’articolo 5 che regola la formazione e certificazione del personale.
C’è infatti una forte pressione da parte degli installatori affinché le operazioni di controllo e rilevamento delle fughe vengano effettuate dalle aziende di manutenzione esterne e non dal personale all’interno dell’azienda che gestisce l’impianto.
L’articolo 5 del Regolamento prescrive che, sulla base delle informazioni pervenute dagli Stati membri e consultazioni con i settori interessati entro il 4 luglio 2007 devono essere stabiliti quali sono i requisiti minimi e le condizioni per il riconoscimento (da parte degli stati membri della comunità) dei programmi di formazione e certificazione, sia per le società sia per il personale interessato che interviene nell’installazione, assistenza, manutenzione o riparazione delle apparecchiature e dei sistemi di refrigerazione.
Le prove previste all’articolo 3 dovranno essere fatte da personale certificato e questo obbligo entrerà in vigore dal 4 luglio 2008.
Vengono proposte quattro categorie di certificazione che in sede di stesura definitiva degli adempimenti relativi al presente regolamento potranno essere meglio specificate, e che al momento della stesura di queste note sono ancora in discussione (luglio 2007).
Categoria I – II – III - IV ciascuna avente un certo livello di esperienza e idoneità a esercitare determinate funzioni.
Nella tabella 1 sono indicate le conoscenze specifiche che devono competere alle singole categorie.
Nella tabella 2 vengono indicate le attività che gli appartenenti alle singole categorie possono espletare.
Si tratta di una bozza fatta circolare per averne osservazioni, soggetta a ulteriori variazioni. T sta per conoscenza teorica e P per competenza pratica.
Si tratta di operazioni che un frigorista con una buona esperienza pratica necessaria a condurre un impianto frigorifero , previa un corso teorico dovrebbe essere in grado di eseguire.
Sarebbe tuttavia auspicabile , al fine di permettere un interscambio di personale fra i vari Paesi europei, che venisse definita anche a livello dei Contratti nazionali di lavoro degli appartenenti all’industria di produzione del freddo un ben definito profilo della figura di frigorista abilitato ad espletare con competenza le mansioni indicate nella Tabella 1, facendo ad essa riferimento.
Compete agli Stati membri elaborare i programmi di formazione e certificazione ai sensi dell’articolo 5 del Reg. 842/2006 e compete alla Commissione, come indicato nell’articolo 10 par.2/c entro il 4 luglio 2011, pubblicare una valutazione dei programmi di formazione.
In vista di tale valutazione, i singoli programmi proposti dagli Stati membri dovrebbero essere armonizzati.
Fonte: http://www.atecclima.it/pdf/condizionamento/I%20fluidi%20frigorigeni%20e%20il%20Regolamento%20842.docx
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