Catullo Gaio Valerio vita opere biografia
Catullo Gaio Valerio vita opere biografia
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GAIO VALERIO CATULLO
Sirmione, 87? a.C. - Roma, 54? a.C.
LA CRISI DELLA CULTURA NEL I SECOLO
Nel secondo trentennio del I secolo a.C., la vita di Roma giunge a una svolta decisiva.
La società alla fine del II secolo aveva mutato completamente fisionomia sotto la spinta dei grandi rivolgimenti sociali e politici: Roma aveva completato la fase espansionistica, diventando incontrastata dominatrice del Mediterraneo. Cominciava, ora, una fase nuova, di assestamento interno, di rivolgimenti sociali, a risolvere i quali non era più sufficiente il richiamo al "mos maiorum" e ai grandi destini voluti dagli dei: i Gracchi, le guerre sociali, le lotte sanguinose fra Mario e Silla sono tutte testimonianze di un malessere e di una serie di problemi irrisolti, di una situazione esplosiva, a cui non erano più applicabili gli schemi elaborati dalla vecchia cultura.
Di qui il crollo dei valori, la dissacrazione degli ideali ora non più confacenti alle nuove esigenze, la contrapposizione frontale fra la vecchia aristocrazia, la cultura da essa elaborata e le classi subalterne e gli alleati italici, che in quella cultura non si riconoscevano, che in quegli schemi non trovavano alcun ruolo, alcuna identità.
L'intellettuale si trovò, così, di fronte ad una realtà che non sapeva più riconoscere e decifrare con i vecchi strumenti, avvertiva che il ruolo tradizionale assegnatogli non aveva più alcun significato e, per tentativi, cercava direzioni nuove, si rivolgeva ad altri modelli, elaborava esperienze culturali più rispondenti alle mutate condizioni.
Non sentendosi più portavoce privilegiato di una cultura ufficiale, egli si ripiegava nello studio, si dedicava alla raccolta ed all'elaborazione dei dati che riguardavano la lingua, la storia, l'antichità: ebbe, così, inizio quella tradizione erudita che in Varrone Reatino trovò, poi, uno dei suoi massimi esponenti.
Oppure si sforzò, con risultati modesti, di rinnovare generi letterari ormai esausti con l'innesto di materiali nuovi e più freschi, presi dalla tradizione popolare. Fu, ad esempio, il caso dell'Atellana letteraria; o, infine, percorse la via del disimpegno, di una letteratura fine a se stessa, in definitiva dell'otium.
UNA NUOVA DIMENSIONE POETICA
La direzione più nuova e più ricca di sviluppi fu imboccata da un gruppo di giovani intellettuali, da Cicerone definiti poetae novi o newteroi
Questo gruppo di poeti presenta tutte le caratteristiche dell'avanguardia letteraria: l'irrisione verso i tradizionalisti che indulgevano a schemi poetici e morali ritenuti superati, la decisa e provocatoria volontà di rottura, la tensione intellettuale per l'elaborazione di nuovi modelli letterari ed etici, la consapevolezza della portata rivoluzionaria della loro nuova poetica e, insieme, l'orgoglio di far parte di un'elite culturale, di un cenacolo privilegiato che si imponeva come ineliminabile punto di riferimento polemico per tutta la cultura romana del tempo.
I Poetae novi precisarono in diversi manifesti letterari i fondamenti della nuova poetica, che affondava le radici in quella dell'alessandrino Callimaco:
- Fermo rifiuto della poesia tradizionale, esaltatrice delle glorie patrie, e preferenza netta per i temi eruditi, per i soggetti mitologici meno noti oppure per l'epigramma erotico, per il lusus letterario arguto ed elegante;
- Rifiuto del poema interminabile, gonfio di retorica: mega biblion mega kakon
- Ricerca della perfezione stilistica, attraverso un accurato labor limae.
- Ma il punto più importante e vitale della poesia neoterica fu lo studio dei sentimenti, l'introspezione, il gusto per lo scavo nel proprio io, attuati direttamente o attraverso il velo del mito.
Con i neoteroi viene introdotta nella cultura romana la poesia lirica, soggettiva, specchio dei turbamenti e delle angosce, delle paure e delle gioie private del poeta, che fa della sua esperienza lo specchio in cui ciascuno può riconoscersi, il riflesso di una dimensione universale.
Poesia dotta, erudizione, virtuosismo tecnico, lusus letterario e scanzonato e senza secondi fini, ma insieme poesia come rivoluzione dei sentimenti, come scandaglio del cuore: sono due aspetti apparentemente contraddittori, in cui si rispecchia appieno l'inquietudine di una generazione che va alla ricerca di una nuova dimensione della cultura, di una nuova definizione dell'arte e della poesia, capaci di farsi interpreti della loro delusione e della loro ansia di rinnovamento.
LIBER CATULLANIUS
L'unica voce della scuola neoterica per noi è Catullo.
Il suo liber Liber Catulli Veronensis, scoperto nel XIV secolo comprende 116 carmi, suddivisi, secondo criteri metrici e stilistici, in tre sezioni:
- Il primo gruppo è quello delle nugae , 60 carmi in metri vari ( endecasillabi faleci, trimetri giambici, strofe saffiche)
- Il secondo gruppo, carmina docta, sono 8 carmi, molto più lunghi degli altri e più complessi sotto l'aspetto stilistico.
- L'ultimo gruppo, carmi 69 - 116, è costituito da componimenti in distici elegiaci, che hanno la forma di epigrammi brevi, epigrammata, e riprendono nei contenuti gli argomenti del primo gruppo.
CATULLO E LESBIA
Sensibilissimo adoratore dell'arte, amante dello spirito, del nuovo e del bello, violento negli odi e nelle inimicizie, portato a idealizzare l'unica donna veramente amata e a farne la più grande gioia e il più grande dolore della propria vita, straziato da un lutto familiare, egli trovò una perfetta rispondenza a tutto ciò nell'adesione al neoterismo.
Ma Catullo, anche come neoterico, interessa soprattutto nei carmi autobiografici. Se il neoterismo è la capacità di cantare se stessi con tecnica dotta e raffinata, sì, ma con il cuore in mano, qui è veramente grande Catullo, ed è autobiografico anche dove non sembra, cioè in quei carmina docta nei quali egli rivive, attraverso il mito, le passioni della sua vita.
La vita di Catullo è, essenzialmente, il suo amore per Lesbia - Clodia.
Figlio di una nota personalità veronese, che soleva ospitare Cesare, tutte le volte che questi andava o tornava dalla Gallia, e in ottimi rapporti anche con il governatore della Gallia Cisalpina, Q. Cecilio Metello Celere, Catullo si innamorò pazzamente della moglie di quest'ultimo, di un amore da adolescente, totale ed esclusivo, tale da non poter essere corrisposto e neppure capito dall'affascinante donna abituata a primeggiare nel bel mondo, in cui l'amore si riduceva a rapido gioco salottiero.
L'amore di Catullo fu, invece, rabbioso vagheggiamento di un ideale altissimo di donna gentile, sentimento tenero e possessivo che come termine di confronto aveva gli affetti più sacri della vita familiare.
Basta leggere il carme 72, veramente fondamentale per capire il significato che Catullo dava all'amore:
dicebas quondam …pater ut gnatos diligit et generos…
iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus
E' un testo, nella sua brevità, o forse proprio grazie alla sua brevità, di stupenda tensione interna. Troviamo, quasi in un'ideale geometria dello spirito, quando ogni fondale ed ogni occasione esteriore sono stati aboliti e rimane solo l'anima, che non ha necessità se non di vedere in se stessa, alcuni temi profondi della poesia di Catullo: il contrasto fra un passato, quondam, , con le sue illusioni e le sue tenerezze, i suoi giuramenti, il suo fiducioso abbandono, e un presente, nunc, fatto di delusioni, di una contraddizione struggente e perfino assurda, nella sua apparente inesplicabilità. L'Odi et amoè ormai vicinissimo.
Troviamo, e nessuna traduzione riuscirà mai a renderlo, la gamma delle sensazioni d'amore e delle sue manifestazioni:
diligere, l'amore pieno e completo che è anchequello dei padri per i figli, e cioè dedizione , sacrificio, interezza di vita e d'affetto:
uri, l'ardore della passione che subentra nell'animo del poeta quando l'immagine rarefatta e ideale di Lesbia si è dissolta: nunc te cognovi
amare, nel senso più cieco e disperato, come un fato cupo che non si riesce a smaltire o ad annullare;
bene velle, l'affetto, la tenerezza del colloquio, l'adesione profonda.
Vengono, così, profilati due modi diversi di intendere l'amore: esso è per Catullo un aeternum…sanctae fedus amicitiae, per Lesbia solo un gioco divertente ed effimero.
Di qui l'alternarsi nell'animo del poeta di gioie rapide e di delusioni cocenti, di tenerezza e di furore, di invettive e di riconciliazioni, in una ambivalente e contraddittoria tensione dei sentimenti, riassunta nell'emblematico carm 85:
Odi et amo: quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior
E ' un distico divenuto immortale. Com'è possibile amare e odiare nello stesso tempo? Non lo so -dice Catullo- ma è così, ed è un supplizio.
Lesbia deve avere già tradito svergognatamente, ma purtroppo gli è rimasta nel sangue, come un veleno.
La putida moecha del carme 42 è sempre la sua candida diva, la sua lux del carme 68.
Catullo si illude di poter essere ancora felice con quella donna, sopportando ogni tradimento: ma è impossibile. Troppo esclusivo e totale è il suo amore: Catullo decide di rompere per sempre.
Nasce da questo stato d'animo il carme 76, nel quale viene rivissuto, in una sintesi potente, tutto il dramma amoroso di Catullo
Esso mette in luce, in termini angosciosi, l'equivoco che è stato alla base del suo amore per Lesbia: da una parte un sogno vissuto unilateralmente, alla cui base c'era la sancta fides garante di un preciso foedus, c'erano i dicta et facta bene, mentre dall'altra una mens ingrata a cui i sentimenti furono invano credita, per cui miseramente perierunt.
Lesbia è presente nel carme solo indirettamente, è citata solo come ingrata mens e illa; non è oggetto di insulti dettati dalla gelosia né di amare recriminazioni frutto della disillusione: il poeta ha, ormai, preso atto della realtà e dei limiti da essa imposti al suo sogno: non iam illud quaero, contra ut me diligat illa. A farlo soffrire non è più il dispiacere per non essere corrisposto, ma quello, infinitamente più lacerante, di dover abbandonare un sogno. A questo punto, di fronte al frantumarsi di ogni forza nella contemplazione di un bilancio tanto amaro, di fronte ad un'impresa che si presenta difficile, sorge spontanea la preghiera agli dei, calda, profonda, piena di strazio.
In conclusione, questa lirica riassume le condizioni interiori di Catullo, quando si accorse di aver amato un fantasma, un'immagine irreale e letteraria, che invano aveva cercato di proiettare in Clodia: a questo punto il suo sogno crollò, trascinando il porta in una disposizione profonda, in cui lo vediamo dibattersi alla ricerca di un appiglio, di un aiuto. Ma la morte, prematura e inaspettata, non gli darà questa possibilità, gli renderà vano l'aver sofferto tanto.
Ma non è stato vano per la sua poesia e per il personaggio femminile che essa ha creato.
Oggi Clodia è morta, come sono morti tutti i suoi amanti, ma Lesbia è ancora viva e in mezzo a noi. Il suo cantore, che l'ha immortalata, trovando lei, ha trovato se stesso e la sua anima. Fu lei a salvarlo dall'astrattismo di una tecnica alessandrina, erudita e fredda, di cui, pare, aveva dato brillanti saggi, fu lei a farlo uscire dalla sua solitudine libresca, dalle sue speculazioni mitologiche e letterarie. In funzione sua sono poesia e vita: in ogni donna egli rivede la sua Lesbia, la confronta con la sua Lesbia, anche quando ella ormai non gli appartiene più.
Parla male degli amici? Non lo fa per malvagità, ma per amore, per metterli in cattiva luce agli occhi di lei, per eliminare gli eventuali rivali, per demolire i presenti.
Del denaro non sa che farne; la potenza non gli interessa, non gli importa nulla dei grandi uomini politici, se piaccia o no a Cesare, se incontri i suoi favori.
Una sola cosa gli sta a cuore: Lei. Il pensiero di lei lo segue dappertutto; Lesbia è presente anche quando è taciuta.
Nel corpo malato, nel petto che si schianta sotto i colpi della tosse, c'è un'anima e quest'anima è per lei. La scoperta di quest'anima, di questa cosa ignota che è in lui, che gli dà gioia e dolore, sofferenze e voluttà è la grande novità della poesia catulliana, è la sua modernità.
Fonte: http://www.atuttascuola.it/allegati/latino/lezione%20di%20letteratura%20latina%20A/CATULLO.doc
Qualche appunto…
* Scarse e incerte sono le notizie su C., di cui non ci è giunta alcuna biografia antica: i suoi carmi restano la fonte principale per la conoscenza della sua vita, se non proprio per le indicazioni più strettamente biografiche e cronologiche (di cui praticamente sono privi), almeno per ricostruirne e comprenderne, in generale, personalità e stati d'animo.
* Catullo proveniva - come altri neoteroi - dalla Gallia Cisalpina e apparteneva ad una famiglia agiata: suo padre ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione, sulle rive del Lago di Garda (come c'informa Svetonio). Trasferitosi a Roma (intorno al 60) per gli studi, secondo la consuetudine dei giovani di famiglie benestanti, Catullo trovò il luogo adatto dove sviluppare le sue doti di scrittore: trovò, infatti, una Roma nel pieno dei processi di trasformazione (la vecchia repubblica stava vivendo il suo tramonto), accompagnati da un generale disfacimento dei costumi e da un crescente individualismo che caratterizzava le lotte politiche, ma anche le vicende artistico-letterarie. Entrò a far parte dei "neóteroi" o "poetae novi" ed entrò in contatto anche con personaggi di notevole prestigio, come Quinto Ortensio Ortalo, grande uomo politico e oratore, e Cornelio Nepote. Tuttavia, non partecipò mai attivamente alla vita politica, anche se seguì sempre con animo attento o ironico o sdegnato i casi violenti della guerra civile di quegli anni (non mancò di attaccare violentemente Cesare e i suoi favoriti, specialmente il "prefectus fabrum" Mamurra: ma Cesare seppe riconquistarlo…). Di contro, nella capitale, un giovane come lui - esuberante e desideroso di piaceri e di avventure - si lasciò prendere dal movimento, dal lusso, dalla confusione, dalla libertà di costume e di comportamento pubblico e privato, che distingueva la vita della città in quel momento. Tuttavia, la sua anima conservò sempre i segni dell'educazione seria, anzi rigorosa, ricevuta nella sua provincia natale, famosa per l'irreprensibilità morale dei suoi abitanti.
* Catullo è stato definito, a buon diritto, come il poeta della giovinezza e dell'amore, per il suo modo di scrivere e di pensare: il tema principale della sua poesia è Lesbia, la donna che il poeta amò con ogni parte del suo corpo e della sua anima, conosciuta nel 62, forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. Il vero nome della donna era Clodia, come ci rivela Apuleio nel "De magia" (chiamata Lesbia, "la fanciulla di Lesbo", perché il poeta implicitamente la paragona a Saffo, la poetessa e la donna amorosa appunto di Lesbo), identificabile con la sorella del tribuno della plebe (58) P. Clodio Pulcro (agitatore del partito dei "populares" e alleato di Cesare, nonché mortale nemico di Cicerone), e moglie - per interesse - del proconsole per il territorio cisalpino (tra il 62 e il 61) Q. Metello Celere.
* La storia fra il poeta e Lesbia è molto travagliata: Clodia era una donna elegante, raffinata, colta, ma anche libera nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento: nelle poesie di C. abbiamo, così, diversi accenni allo stato d'animo provato per lei, a volte di affetto e amore, a volte di ira per i tradimenti di lei: tutto, fino all'addio finale.
* Catullo era a Roma, quando ebbe la notizia della morte del fratello nella Troade. Tornò a Verona dai suoi e vi stette per alcuni mesi, ma le notizie da Roma gli confermavano i tradimenti di Lesbia (ora legata a M. Celio Rufo, quello stesso che Cicerone difese nella "Pro Caelio", rappresentando Clodia come una mondana d'alto rango, viziosa e corrotta). Il poeta fece così ritorno nella capitale, sia perché non riusciva a star lontano dalla vita romana, sia per l’ormai insostenibile gelosia. Deciso, infine, ad allontanarsi definitivamente da Roma, per dimenticare le sofferenza e riaffermare il proprio patrimonio, il poeta accompagnò, nel 57, il pretore Caio Memmio in Bitinia.Laggiù, in Asia, il giovane C. entrò in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente; fu probabilmente dopo questo viaggio, dopo essersi recato alla tomba del fratello nella Troade per compiangerlo, che compose i suoi poemi più sofisticati, una volta tornato in patria.
* Catullo tornò dal suo viaggio nel 56, e si recò nella villa di Sirmione, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita, consumato fisicamente da un’oscura malattia (mal sottile?) e psichicamente dalla sfortunata esperienza d’amore e dal dolore per la morte del fratello.
* Il "Liber" catulliano consta di 116 di carmi (per un totale di circa 2300 versi), raggruppati in 3 sezioni non in base ad un ordine cronologico, bensì in base al metro ed allo stile, seguendo un criterio di "variatio" e di alternanza fra temi affini, secondo la mentalità e l'usanza tipiche degli editori alessandrini.
http://www.portaledibioetica.it/documenti/001619/autori/catullo.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Gaio Valerio Catullo (Sirmione, Verona, 84? – Roma, 54? a.C.)
Vita.
Biografia incerta. Scarse e incerte sono le notizie su C., di cui non ci è giunta alcuna biografia antica: i suoi carmi restano la fonte principale per la conoscenza della sua vita, se non proprio per le indicazioni più strettamente biografiche e cronologiche (di cui praticamente sono privi), almeno per ricostruirne e comprenderne, in generale, personalità e stati d'animo.
La formazione e l'ingresso nel bel mondo romano. C. proveniva - come altri neoteroi - dalla Gallia Cisalpina (ovvero, dall'Italia settentrionale) e apparteneva ad una famiglia agiata: suo padre ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione, sulle rive del Lago di Garda (come ci informa Svetonio). Trasferitosi a Roma (intorno al 60) per gli studi, secondo la consuetudine dei giovani di famiglie benestanti, C. trovò il luogo adatto dove sviluppare le sue doti di scrittore: trovò, infatti, una Roma nel pieno dei processi di trasformazione (la vecchia repubblica stava vivendo il suo tramonto), accompagnati da un generale disfacimento dei costumi e da un crescente individualismo che caratterizzava le lotte politiche, ma anche le vicende artistico-letterarie. Entrò a far parte dei "neóteroi" o "poetae novi" ed entrò in contatto anche con personaggi di notevole prestigio, come Quinto Ortensio Ortalo, grande uomo politico e oratore, e Cornelio Nepote. Tuttavia, C. non partecipò mai attivamente alla vita politica, anche se seguì sempre con animo attento o ironico o sdegnato i casi violenti della guerra civile di quegli anni (non mancò di attaccare violentemente Cesare e i suoi favoriti, specialmente il "prefectus fabrum" Mamurra: ma Cesare seppe riconquistarlo…). Di contro, nella capitale, un giovane come lui - esuberante e desideroso di piaceri e di avventure - si lasciò prendere dal movimento, dal lusso, dalla confusione, dalla libertà di costume e di comportamento pubblico e privato, che distingueva la vita della città in quel momento. Tuttavia, la sua anima conservò sempre i segni dell'educazione seria, anzi rigorosa, ricevuta nella sua provincia natale, famosa per l'irreprensibilità morale dei suoi abitanti.
L'incontro con Lesbia-Clodia. C. è stato definito, a buon diritto, come il poeta della giovinezza e dell'amore, per il suo modo di scrivere e di pensare: il tema principale della sua poesia è Lesbia, la donna che il poeta amò con ogni parte del suo corpo e della sua anima, conosciuta nel 62, forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. Il vero nome della donna era Clodia, come ci rivela Apuleio nel "De magia" (chiamata Lesbia, "la fanciulla di Lesbo", perché il poeta implicitamente la paragona a Saffo, la poetessa e la donna amorosa appunto di Lesbo), identificabile con la sorella del tribuno della plebe (58) P. Clodio Pulcro (agitatore del partito dei "populares" e alleato di Cesare, nonché mortale nemico di Cicerone), e moglie - per interesse - del proconsole per il territorio cisalpino (tra il 62 e il 61) Q. Metello Celere.
Una storia difficile. La storia fra il poeta e Lesbia è molto travagliata: Clodia era una donna elegante, raffinata, colta, ma anche libera nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento: nelle poesie di C. abbiamo, così, diversi accenni allo stato d'animo provato per lei, a volte di affetto e amore, a volte di ira per i tradimenti di lei: tutto, fino all'addio finale.
Il lutto familiare e la crescente delusione d'amore: il viaggio in Oriente. C. era a Roma, quando ebbe la notizia della morte del fratello nella Troade. Tornò a Verona dai suoi e vi stette per alcuni mesi, ma le notizie da Roma gli confermavano i tradimenti di Lesbia (ora legata a M. Celio Rufo, quello stesso che Cicerone difese nella "Pro Caelio", rappresentando Clodia come una mondana d'alto rango, viziosa e corrotta). Il poeta fece così ritorno nella capitale, sia perché non riusciva a star lontano dalla vita romana, sia per l’ormai insostenibile gelosia. Deciso, infine, ad allontanarsi definitivamente da Roma, per dimenticare le sofferenza e riaffermare il proprio patrimonio, il poeta accompagnò, nel 57, il pretore Caio Memmio in Bitinia, esattamente il dedicatario del "De rerum natura" di Lucrezio. Laggiù, in Asia, il giovane C. entrò in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente; fu probabilmente dopo questo viaggio, dopo essersi recato alla tomba del fratello nella Troade per compiangerlo, che compose i suoi poemi più sofisticati, una volta tornato in patria.
Il ritorno e la morte. C. tornò dal suo viaggio nel 56, e si recò nella villa di Sirmione, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita, consumato fisicamente da un’oscura malattia (mal sottile?) e psichicamente dalla sfortunata esperienza d’amore e dal dolore per la morte del fratello.
Opera.
Il "Liber" catulliano consta di 116 di "carmi" (per un totale di circa 2300 versi), raggruppati in 3 sezioni non in base ad un ordine cronologico, bensì in base al metro ed allo stile, seguendo un criterio di "variatio" e di alternanza fra temi affini, secondo la mentalità e l'usanza tipiche degli editori alessandrini. Abbiamo, così:
- (cc. 1-60) sono brevi carmi polimetri che C. chiama "nugae", o "coserelle", "versi leggeri": ovvero, espressioni di una poesia intesa come "lusus", scritta cioè per "gioco", per passatempo e divertimento, a cui però il poeta stesso consegna la propria profonda e tormentata personalità e augura l'immortalità; i metri più usati sono l'endecasillabo falecio (il più frequente), il trimetro giambico puro, il coliambo, la strofa saffica minore, il priapeo, il tetrametro giambico catalettico, l'asclepiadeo maggiore, il trimetro giambico archilocheo;
- (cc. 61-68) sono definiti "carmina docta", di maggior respiro e complessità, tal che si è portati ad individuarvi un maggiore impegno compositivo [ma, a tal proposito, vd. oltre]. Si tratta di elegie, epilli ed epitalami nei quali cresce il tono esplicitamente letterario, lasciando naturalmente ancora spazio alle caratteristiche catulliane: ovvero, l’epitalamio per le nozze di Manlio Torquato; un altro epitalamio, in esametri, studiata e felice trasposizione moderna di Saffo; l' "Attis", poemetto in versi galliambi, strana evocazione dei riti dedicati alla dea Cibele, un pezzo di bravura callimachea; il celebratissimo carme 64, vasto epillio per le nozze di Péleo e Tétide (con inclusa la storia di Arianna), che è una piccola epopea mitologica sempre alla maniera di Callimaco; la traduzione in esametri della "Chioma di Berenice" di Callimaco, preceduta dalla dedica all’amico Ortalo in distici elegiaci; un’elegia epistolare di gusto alessandrino, che ricorda il tempo felice dell’amore di Lesbia.
- (cc. 69-116) sono carmi brevi e di presa immediata, o "epigrammata" (epigrammi, elegie): i temi sono praticamente gli stessi del I gruppo, ma resi con metro diverso: il distico elegiaco.
Il "liber" è dedicato a C. Nepote [c. 1], ma esso non è certamente il "libellus" della dedica, nel senso che questo doveva comprendere, per esplicita dichiarazione del poeta stesso, solamente le "nugae", e non anche i "carmina docta", come invece noi lo possediamo. L'opera, quale a noi è giunta, è - dunque - con molta verosimiglianza, una raccolta postuma, nella quale accanto ai carmi del "libellus" trovò definitiva sistemazione il corpus - non però integrale - della produzione poetica catulliana: insomma, di quella produzione, esso sarebbe una raccolta antologica.
Considerazioni sull'autore e sull'opera.
Le "nugae" e il difficile rapporto con Lesbia. Il I e il III gruppo costituiscono, come detto, le "nugae", a cui è consegnata tutta la storia dell’amore di C. per Lesbia, "frammentata" in 25 carmi che percorrono trasversalmente i due gruppi [cc. 2, 3, 5, 7, 8, 11, 36, 37, 38, 40, 43, 51, 58, 70, 72, 75, 76, 79, 83, 85, 86, 87, 92, 107, 109]. Le peripezie di questa vera e propria autobiografia d'amore "romanzata", proprio a causa di questa frammentazione e di una disposizione non cronologica delle varie tappe del rapporto, non ci appaiono molto chiare: dovettero esservi giorni (e per lo meno una notte) di felicità, ma anche molte sofferenze, giacché Clodia, checché se ne dica, prestava grande attenzione alla propria reputazione e al suo onore di gran dama, e anche, molto più probabilmente, perché lei e C. non concepivano l'amore nello stesso modo. Egli l'amava con la foga di un uomo giovane, si compiaceva nel fantasticare sull'idea che Clodia fosse per lui "la sua sposa"; a lei, invece, quel nodo nuziale, dal quale la morte di Metello la liberò peraltro piuttosto presto, ripugnava. Clodia, inoltre, era una donna che aspirava al successo e che amava civettare con uno stuolo di giovani al suo fianco: C. era solo uno fra i tanti, mentre avrebbe desiderato essere l'unico, in nome degli illusori diritti che dà l'amore. Quando si avvide che non era più amato, o quando se ne persuase, lo proclamò ad alta voce in versi atroci, dove pretendeva che Lesbia addirittura si prostituisse con chi le capitava. Seguì la separazione, dolorosa per lui e forse non senza noie per lei: "Amo e odio", le scriveva, "tu vuoi sapere perché è così? Non so, ma so che è così, e soffro."
Il disimpegno e la rottura. Dunque, nel rapporto con Lesbia C. programmaticamente (e in piena fedeltà alla poetica neoterica) trasferisce tutto il proprio impegno, sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del "civis" romano (del resto, sebbene vissuto in un'epoca di grandi cambiamenti politici, egli nelle sue composizioni dimostra una grande indifferenza per le situazioni e per gli uomini più in vista, quali ad es. Cesare e Cicerone): tende insomma a ritagliarsi una sorta di "spazio del privato" ("otium"), dove vivere e parlare esclusivamente d'amore.
Orbene, come detto, quel rapporto amoroso - nato essenzialmente come adulterio, come amore libero e basato sull’eros - nel farsi oggetto esclusivo dell’impegno morale del poeta tende però, paradossalmente, a configurarsi nelle aspirazioni dello stesso come un tenace vincolo matrimoniale; o quantomeno come un "foedus", un ibrido originale – se vogliamo – dei due valori cardinali dell’ideologia e dell’ordinamento sociale romano (la "fides" e la "pietas"), trasferiti dal piano pubblico ad un piano più decisamente "privato", e quindi rinnovati nel loro significato.
Tuttavia, l’offesa ripetuta del tradimento (il "foedus violato") produce in C. una dolorosa dissociazione fra la componente meramente sensuale ("amare") e quella profondamente affettiva ("bene velle"), fin allora profondamente ed esistenzialmente intrecciate: resta forte il desiderio sessuale, mentre l'affetto, a fronte delle delusioni e del tormento della gelosia, diminuisce man mano d'intensità.
Gli altri temi. Tuttavia, il "Liber" catulliano non coincide esclusivamente e completamente con la tormentosa storia tra il poeta e Clodia (come invece spesso si pensa): accanto e in mezzo ad essa, quasi a formarne la cornice "di costume e società", si trovano numerosi altri carmi, cui sono consegnati gli altri "temi" che vanno a intarsiare la sfaccettata e complessa esistenza del poeta. La varietà di quei temi impone che se ne rilevino (come del resto è stato fatto anche da critici illustri) almeno i più "importanti" o quantomeno i più caratterizzanti, tal che sia possibile individuare dei veri e propri "cicli" alternativi e integrativi rispetto a quello amoroso: si trovano, così, carmi rivolti contro "vizi privati e pubbliche virtù", ovvero di polemica scopertamente sociale [ad es., contro i mediocri, i truffatori, gl'ipocriti e i moralisti] e letteraria [C. flagella i poeti che seguono le orme del passato, come ad es. Volusio], ma anche larvatamente politica [ad es., l'ironia contro il già detto Mamurra, un fidato di Cesare], in tono volentieri scurrile, satirico e spesso goliardico; carmi dedicati al tema dell'amicizia [per Veranio e per Fabullo, più spontanea; per Calvo e Cinna, più letteraria], un sentimento che C. vive quasi con la stessa intensità con cui vive l'amore (e altrettanto sdegnato e iroso è nei confronti degli amici che lo hanno tradito, ad es. Alfreno Varo); carmi, infine, che esprimono profondi affetti familiari e altissimi vincoli di sangue (alto è il senso della famiglia, in C.; non dimentichiamo, del resto, che il poeta voleva sublimare a livello "familiare" lo stesso sentimento provato per Lesbia): tra questi ultimi, spicca sicuramente il bellissimo c. 101, estremo e commovente saluto sulla tomba dello sfortunato fratello.(cfr. Foscolo “In morte del fratello Giovanni”)
Continuità tra "nugae" e "carmina docta". Il II gruppo di carmi (61-68), invece, come accennato, è quello che più lega C. al movimento neoterico, e quello che più corrisponde alla variante romana del gusto alessandrino.
Ma la critica recente ha sottolineato come la distinzione tra "nugae" e "carmina docta" non implichi in C. l’impiego di un diverso impegno letterario o di una tecnica differente, bensì solo di un diverso livello espressivo: si tratta, insomma, in entrambi i casi, sempre di una lirica dotta e aristocratica (come i fruitori dell’opera), secondo i canoni estetici dei neoteroi, anche laddove l’effetto patetico e certe movenze apparentemente dimesse potrebbero far pensare ad un’espressione, per così dire, "popolare" (è, invece, come più giustamente è stata definita, "ricercata spontaneità").
La lingua. La stessa lingua utilizzata è il risultato di un originale impasto di linguaggio letterario (uso di grecismi ed arcaismi) e "sermo familiaris" (uso di diminutivi, di espressioni prosastiche, proverbiali e "provinciali"), il secondo "filtrato" dal primo, a formare uno strumento agile e vivace, che riesce ad adattarsi ai temi, alle occasioni e ai registri più svariati: dall'affetto all'amore, dall'ironia all'invettiva, dall'intimo al pubblico.
C. primo vero poeta romano dell'amore "soggettivo". L’opera di C., anche se non è ancora quella di un "elegiaco", è comunque l'espressione vivente di un sentimento personale e profondo, che ha già acquistato diritto di cittadinanza nella poesia: egli fa dell'amore (e attraverso questo, della poesia) l'unica ragione di vita, anzi in lui amore poesia e vita veramente coincidono. Per ciò che conserva ancora in sé di tumultuoso, di ricercato e, in qualche modo, di impuro, C. è da mettere fra i predecessori immediati (ma è l'unico di essi ad emergere) piuttosto che fra i poeti augustei, che formeranno in seguito il "classicismo" della poesia (anche "erotica") romana.
La poetica
L’esperienza poetica di Catullo matura nell’ambiente dei poetae novi, che legano strettamente le proprie opere con la cultura ellenistica; trova affermazione la "poesia breve", fatta di pochi versi, ma scritti con stile e profondi di significato.
Questa tendenza è particolarmente evidente in Catullo: la brevitas dei polimetri e degli epigrammata, l’elogio teorico, la lunga elaborazione stilistica, le variazioni espressive e le citazioni allusive sono tutti modelli che prendono spunto dalla cultura greca.
La lirica catulliana non si limita tuttavia ad una semplice imitazione della poesia greca; la personalità del poeta è evidente soprattutto nel soggettivismo che rispecchia le vicende sentimentali.
La componente soggettiva nella poesia latina era già presente nelle satire di Scipione su Lucilio, ma solamente i poetae novi hanno saputo infondere i propri sentimenti, opinioni e giudizi nel testo. Per apprezzare il soggettivismo catulliano bisogna da una parte prendere le distanze dal sentimentalismo a volte eccessivo, dall’altra non bisogna credere che le situazioni narrate siano solamente semplici finzioni letterarie. Il giusto equilibrio tra questi due livelli di interpretazioni assicura sia un effetto immediato sul sentimento del lettore, sia l’innalzamento al livello dell’arte dal filtro della convenzione letteraria e dell’emulazione di modelli ellenici che rende l’opera ad una cerchia ristretta di lettori.
La lingua
La personalità di Catullo è individuabile dopo un’attenta analisi del suo stile e della sua lingua. I suoi sono mezzi espressivi che aderiscono puntualmente alla cosa espressa e alla circostanza storica che ne fa da presupposto. Una forte spontaneità è testimoniata dalle scelte delle sfumature linguistico – espressive: forme d’uso quotidiano nei pensieri più euforici, linguaggio pacato nei discorsi che il poeta fa con se stesso. Abilmente vengono create infinite sfumature stilistiche con l’utilizzo dei mezzi più disparati: uso dei vocaboli, dei composti nuovi, del ritmo, delle assonanze. Uno stile che riveste di intimità raccolta gli episodi occasionali e privi di rilievo affettivo, e che invece diventa colorito da una passione sfrenata quando si entra nella sfera affettiva, specialmente quella erotica. Non sempre è possibile intravedere il proponimento reale che il poeta ha voluto dare ad una particolare forma espressiva: talvolta il pathos può nascondere un’idea sarcastica, un tratto serio può improvvisamente rivelarsi uno scherzo. Con disinvoltura Catullo mescola nelle sue opere vocaboli attinti ora dal frasario plebeo, ora dai circoli culturali più raffinati.
Confrontando la sua lingua con quella di Plauto, vissuto ben due secoli prima, si possono individuare numerose concordanze, come lo stesso fondo linguistico, molto spesso tendente all’arcaico.
Quando si parla del sermo cotidianus di Catullo ci si riferisce all’intenso uso dei diminutivi che egli fa nelle sue opere. Sono caratteristiche stilistiche molto simili a quelle usate nella commedia. A volte i diminutivi non hanno un significato direttamente traducibile, altre volte è invece possibile scorgere un senso ironico, commiserevole o affettuoso.
L’intonazione familiare è resa abilmente dall’uso dei grecismi: non solo modi particolari di dire, usati per adoperare un riferimento dotto a certi modelli letterali greci, ma anche vocaboli prelevati dal frasario greco, usati per riferirsi a cose importate che in latino non possiedono un nome (vestiti femminili, termini nautici, botanici e zoologici). Lo stesso influsso greco è presente anche nella sintassi che spesso segue regole di origine ellenica non presenti nella grammatica latina.
Un ruolo fondamentale svolgono le figure retoriche, frequentissime nelle opere di Catullo, soprattutto le allitterazioni in tutte le sue forme. Queste, insieme alla metrica neoterica sperimentale di derivazione greca, che riesce a rompere la monotonia delle poesie esametriche, conferiscono un ritmo particolarmente scorrevole ed aperto a nuove ed innumerevoli espressioni poetiche.
Catullo e Lesbia
Il primo quesito con cui il lettore si scontra leggendo le liriche di Catullo riguarda la figura di Lesbia. Non si hanno dati certi per sapere se questa persona, tanto amata dal poeta nei suoi componimenti, fosse esistita realmente o non fosse invece una semplice invenzione letteraria.
Il primo dato certo è che "Lesbia" non è il vero nome della donna, ma solamente uno pseudonimo utilizzato dal poeta per alludere alla poetessa greca Saffo, vissuta nell’isola di Lesbo nel VII secolo. Questa scelta ci indica un’informazione importante: Catullo ha voluto descrivere implicitamente una donna docta, raffinata e molto bella, qualità che destano nel poeta intense passionalità erotiche. Il vero nome molto probabilmente è Clodia, e anche se questa tesi ha avuto diversi oppositori sia da parte di studiosi letterali che da storici, oggi può essere considerata vera.
Altro aspetto interessante da analizzare è il procedere della vicenda. Pur non essendoci una stretta coerenza compositiva, quest’ultima segue una certa logica narrativa: prima il momento dell’amore felice e sfrenato (carmi 5, 51); poi la scoperta del tradimento di Lesbia; le successive riconciliazioni, che risvegliano il fervore erotico ma non sono più sostenute dall’affetto profondo, che può nascere solo dalla stima (carme 72); di conseguenza Catullo non crede più alle promesse di Lesbia (carmi 70, 75); la consapevolezza dell’unilateralità del suo amore, che si tramuta in un complesso sentimento di odio – amore che ogni giorno diventa più tormentoso; la volontà di liberarsene (carme 70), pur nella continuità del rapporto (carme 85). Oltre alla relazione tra Catullo e Lesbia, vicenda cardine nella narrazione, è possibile individuare altri dati biografici sulla vita di Clodia, prima fra tutte, la sua avventura con Celio Rufo avvenuta dopo la morte del marito. È una donna affascinante e sicura di sé, molto risoluta ed ambiziosa, senza troppi scrupoli; nel carme 37 Catullo ce la descrive come una donna che ha diversi legami con l’ambiente politico, non ha limiti morali ed ha comportamenti al limite del buon gusto. L’eccessiva violenza verbale del poeta dimostra la sua rassegnazione a vedere la sua amata come una meretrice da strada intorpidita da sfrenata spregiudicatezza.
La stessa configurazione negativa è presente anche in alcuni discorsi di Cicerone in difesa dell’amico Celio Rufo, accusato di aver avvelenato la sua donna Clodia (che quasi sicuramente è Lesbia) per sottrarle i gioielli. Nel suo discorso Lesbia appare come una donna profondamente immorale, colpevole di aver avuto rapporti incestuosi con il fratello, vista più come “amica di tutti piuttosto che nemica di qualcuno… “
(liberamente tratto da Nunzio Castaldi)
Sulla costa meridionale del lago di Garda, all'estremità della penisola di Sirmione, in una splendida posizione panoramica si trovano i resti della villa romana nota da secoli con il nome di "Grotte di Catullo", l'esempio più grandioso di edificio privato di carattere signorile di tutta l'Italia settentrionale. Nel Rinascimento il nome di "grotte" o "caverne" fu usato per strutture internate e crollate, ricoperte di vegetazione, entro le quali si penetrava come in cavità naturali.
La tradizione risalente al XV e XVI secolo ha identificato questo complesso come la villa di famiglia di Catullo, il poeta latino morto nel 54 a.C. In base alla testimonianza dei versi di Catullo è certo che egli avesse a Sirmione una residenza, ma che fosse proprio in questa zona è soltanto possibile. Sirmione apparteneva all'agro veronese ed è nota nel mondo antico anche per essere stata una stazione di sosta (mansio) lungo l'importante via che univa Brescia a Verona. La prima rappresentazione dettagliata dei resti della villa è un rilievo dell'inizio dell'Ottocento.
Ampi scavi furono poi effettuati dal veronese Girolamo Orti Manara, che ne pubblicò i risultati in un'opera ancora oggi fondamentale.
La Soprintendenza ha iniziato nel 1939-40 gli scavi e i restauri e nel 1948 ha acquisito tutta l'area, permettendo la tutela del complesso immerso nel suo ambiente naturale. Indagini recenti hanno consentito di accertare l'esistenza di un precedente edificio al di sotto dei vani del settore meridionale e di confermare che la costruzione attualmente in luce è stata realizzata con un progetto unitario che ne ha definito l'orientamento e la distribuzione degli spazi interni, secondo un preciso criterio di assialità e di simmetria.
La villa, che ha pianta di forma rettangolare (m. 167 x 105), con due avancorpi sui lati brevi, copre un'area complessiva di oltre due ettari. Per superare l'inclinazione del banco roccioso su cui furono appoggiate le fondazioni dell'edificio, vennero creati grandi vani di costruzione, mentre in alcune zone si resero necessarie opere imponenti di taglio della roccia. I resti attualmente conservati si trovano così su livelli diversi: del settore settentrionale ad esempio sono rimaste solo le grandiose costruzioni, mentre nulla è conservato dei vani residenziali, crollati già in antico.
Il piano nobile, corrispondente agli ambienti di abitazione del proprietario, risulta il più danneggiato (la villa è stata per secoli una cava di materiali), mentre meglio conservate sono parti del piano intermedio e le costruzioni, a volte non accessibili in antico. I nomi convenzionali degli ambienti derivano da una tradizione locale consolidata o da interpretazioni e denominazioni date durante vecchi scavi.
La villa era caratterizzata da lunghi porticati aperti verso il lago sui lati occidentale e orientale, direttamente comunicanti sul lato settentrionale con l'ampia terrazza - belvedere situata al centro dell'avancorpo nord (D). Sul lato occidentale, al di sotto del porticato si trovava il cd. "doppio criptoportico", lunga passeggiata coperta. Le parti residenziali dell'edificio erano situate nella parte settentrionale e meridionale, mentre la parte centrale, costituita oggi dal "grande oliveto", corrispondeva a uno spazio aperto (C). Questo è limitato sul lato meridionale da un pavimento in mattoni a spina di pesce che copre una grande cisterna, di quasi 43 metri di lunghezza. L'ampio settore termale, costituito da diversi vani, ricavati probabilmente in un momento successivo alla costruzione dell'edificio, all'inizio del II secolo d.C., era situato nella zona meridionale (84-96).
La costruzione della villa può essere datata ad età augustea (fine I secolo a.C.-inizio I secolo d.C.). Il crollo delle strutture e il conseguente parziale o totale abbandono dell'edificio sono fissati nel IV secolo d.C., periodo cui sono attribuibili diverse tombe a inumazione collocate in una parte della villa ormai distrutta.
Romani indicavano con la parola "terme" i bagni sia privati che pubblici, mentre per noi oggi questa parola si riferisce a stabilimenti che sfruttano sorgenti di acqua calda. Nelle "grotte di Catullo" le terme sono state costruite nella parte meridionale (vedi figura "la ricostruzione” a pag. 6) nel Il secolo dopo Cristo, circa un secolo dopo la costruzione della villa.
II settore termale ha un'estensione di quasi 800 mq e comprende vari ambienti. Purtroppo alcune di queste stanze sono state fortemente danneggiate e quindi oggi è difficile ricostruire la loro esatta funzione. L'ambiente meglio conservato è la cosiddetta "piscina". Si tratta di un grande vano rettangolare che ospitava una vasca. Il pavimento di quest'ultima era rialzato, probabilmente sostenuto da pilastrini (= pilae), e si trovava sopra gli archi presenti lungo le pareti. Dietro alla "piscina" c'era un ambiente dove probabilmente veniva acceso il fuoco (=praefurnium). L'aria calda ed il fumo prodotti entravano in un'intercapedine (= spazio vuoto esistente tra due muri) che circonda la piscina e che doveva arrivare fino al soffitto. Attraverso gli archi quest'aria circolava anche nell'area sotto al pavimento (= ipocausto) e così l'ambiente veniva riscaldato. I costruttori hanno utilizzato molti mattoni nei muri per fare in modo che il calore non si disperdesse tanto facilmente.
Per le sue caratteristiche è probabile che questo ambiente fosse il tepidarium, ossia la stanza dei bagni con la vasca di acqua tiepida. L'ambiente per l'acqua calda (il calidarium) era di dimensioni inferiori ed anziché avere un'unica grande piscina possedeva piccole vasche poste agli angoli della stanza e destinate non a nuotare, ma ad immergere una parte del corpo. Anche il calidarium si trovava vicino al forno di riscaldamento. Infine l'ambiente per l'acqua fredda (il frigidarium) aveva al centro una vasca poco profonda sui cui bordi, decorati a mosaico, le persone potevano sedere.
Nelle terme delle "grotte di Catullo" sono presenti anche altri ambienti, oltre a quelli descritti, la cui funzione non è però chiara. Per la decorazione di alcune pareti sono stati impiegati, stucchi ritrovati durante gli scavi. Nelle vasche non veniva utilizzata l'acqua del lago a causa del notevole dislivello che la separa dall'edificio. Per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico sono state costruite nella zona termale tre cisterne in cui veniva raccolta l'acqua piovana. Due di queste cisterne si trovano alle spalle della "piscina", mentre la terza, un tempo mal interpretata come il "bagno" di Catullo è posta vicino all'ingresso della villa. L'acqua veniva estratta dalla cisterna e convogliata verso le terme attraverso tubi di piombo, le cosiddette fistule, che per i Romani erano le tipiche condutture per l'acqua.
Nelle terme pubbliche, che erano più complesse di quelle private, oltre alle stanze con le vasche vi erano spogliatoi, palestre, spazi aperti (come giardini e cortili), sale per conferenze e letture, latrine e ambienti destinati alla cura del corpo.
I Romani quindi frequentavano le terme alla ricerca non solo di benessere fisico, ma anche di momenti d'incontro.
L’esperienza poetica di Catullo matura nell’ambiente dei poetae novi, un gruppo di amici – scrittori legati dall’omogeneità della classe sociale di appartenenza. Si trattava di persone materialmente agiate, provenienti in maggioranza dalla regione cisalpina. I cosiddetti poeti neoterici non sono dei professionisti, non ambiscono ad un’affermazione sociale ed hanno come strumento creativo l’otium. Il disimpegno nasce da una forte esigenza di novità e di ridare vita ad una letteratura che con il passare del tempo si era progressivamente inaridita. Il periodo in cui accade questo è da collocare approssimativamente tra la morte di Silla (78 a.C.) e l’assassinio di Cesare (44 a.C.); la società, dilaniata dalle guerre civili, si stava avviando verso un inesorabile processo di disgregazione. È un periodo in cui vengono a mancare le basi comportamentali che fino ad allora avevano sostenuto la civiltà. La reazione degli intellettuali era duplice: da una parte c’era la volontà ciceroniana di fondere il concetto di humanitas (che appartiene alla sfera privata) con il valore tradizionale della virtus (che invece connota il vir al servizio della res publica), dall’altra i poeti hanno preferito isolarsi dalla realtà politica dedicandosi all’introspezione e all’indagine sul proprio sentire interiore.
Quello dei neoteroi (o "poetae novi") è un gruppo di poeti, quasi tutti provenienti dalla Gallia Cisalpina, che operò a Roma nel I sec. a.C.
Vennero così definiti polemicamente da Cicerone, nel senso di "quelli alla moda", con allusione al loro gusto ellenizzante e aristocratico, e al loro atteggiamento di innovatori d’ispirazione alessandrina (riflesso della situazione politica – conquiste di Roma in oriente – e della lezione epicurea). "Lepos", "venustas" e "urbanitas" sono dunque le loro parole-chiave, armonizzate in un rapporto ch’è al contempo etico ed estetico.
Legati da reciproca amicizia, liberi e spregiudicati nella vita privata, i n. avevano in comune il culto della letteratura e l’esigenza di esprimersi con spontaneità e insieme estrema consapevolezza d’arte: contrapponevano, cioè, alla letteratura usata solo per fini etico-politici, l'otium letterario individuale: il piacere di scrivere diventa lo scopo e il fine della vita.
Insomma, proclamavano una poesia affermatrice dell’individualismo, che avvertiva i problemi inquietanti della crisi repubblicana e che, se pur si schierava con spirito di fronda contro i nuovi dittatori (Cesare), avversava paritempo – in letteratura – il tradizionalismo (per quanto illuminato – di un Cicerone.
Dichiararono, così, guerra ai lunghi poemi epici di imitazione enniana, privilegiando gli epilli, i "carmina docta" (brevi componimenti di argomento poco noto a imitazione di Callimaco e di Euforione), la diretta confessione lirica e le divagazioni leggere ("nugae") sempre nel più meticoloso rispetto della tecnica metrica.
Cercarono l’ispirazione preferita nel tema amoroso Tra gli altri – oltre che ovviamente Catullo – vanno ricordati almeno:
Levio (che, in verità, è più un prenoterico), autore di una vasta raccolta di "Erotopaegnia" (ossia, "scherzi d’amore"), di cui restano frammenti. In essa, trattava, con toni sentimentali e romanzeschi, ma smitizzando il materiale della tradizione epico-tragica, gli amori di personaggi del mito o di eroi troiani. Poeta colto, introdusse in Roma il genere alessandrino dell’elegia narrativa, influendo – coi suoi arditi neologismi, con pittoreschi impasti di lingua colta e colloquiale, coi diminutivi affettivi – la generazione neoterica.
Varrone Atacino, che iniziò con un poema sulla campagna di Cesare contro Ariovisto ("Bellum Sequanicum") e con "Satire" di tipo luciliano, e si fece poi divulgatore della poesia alessandrina rielaborando in latino le "Argonautiche" di Apollonio Rodio, componendo poesie d’amore, una "Chorographia", d’argomento geografico, e un calendario agricolo in versi ("Ephemeris").
Licinio Calvo, oratore di tendenza attica, scrisse anche, oltre ad epigrammi di invettiva politica, epitalami e altri componimenti di soggetto amoroso, nonché un epillio ("Io").
Elvio Cinna, la cui fama è legata soprattutto all’epillio "Zmyrna", sull’amore incestuoso di Mirra per il padre, caratterizzato dalla "brevitas" dello stile, dalla densità della dottrina e dalla mostra di conoscenza della psicologia amorosa.
Furio Bibaculo, di cui restano 2 epigrammi su Valerio Catone, suo maestro, e si sa di altri contro Augusto. Alcuni critici lo identificano con un Furio Alpino, autore di 2 poemi perduti: "Pragmatica Belli Gallici", di carattere storico, e "Aethiopis", di carattere mitologico.
Il disimpegno
Il popolo romano ha sempre dato una grande importanza ai piaceri mondani. Sono numerose le testimonianze scritte di diverse attività ricreative, che molto spesso fungevano anche da fulcro per l’intera società, poiché offrivano l’occasione di stare insieme e sviluppare contatti. Il calendario romano è frequentemente intervallato da festività pubbliche che con il passare dei secoli si sono fatte sempre più numerose. In occasione di queste venivano organizzati spettacoli pubblici di vario genere, dai combattimenti dei gladiatori agli spettacoli teatrali, quasi sempre a carico dello Stato.
Parlando di intrattenimento, inevitabilmente si è portati a pensare al Colosseo, da molti considerato uno dei simboli della civiltà romana. Nell’enorme anfiteatro non si svolgevano solamente i celebri combattimenti fra gli schiavi - gladiatori; più spesso si assisteva a combattimenti di uomini (professionisti o condannati a morte) contro animali, di animali contro animali o di semplici esibizioni assolutamente incruenti.
I gladiatori erano suddivisi in diverse categorie, a seconda dell’armamento e dell’esperienza; il reziario combatteva con la rete ed il tridente, il mirmillone era protetto con un’armatura ornata con disegni di pesci (la murma), i sanniti erano armati con spada e scudo rettangolare; i traci, invece, avevano una corta scimitarra ed uno scudo rotondo… Nelle città di provincia raramente si giungeva all’uccisione dell’avversario, visto che l’addestramento dei gladiatori richiedeva molto tempo e denaro. A Roma invece non si badava a spese, e, infatti, solo in casi eccezionali il pubblico intercedeva a favore del combattente sconfitto. Talvolta entrambi i combattenti erano destinati a morire perché condannati: in questo caso lo stremato vincitore era brutalmente ucciso da un gladiatore professionista.
Meno pericolose ma altrettanto entusiasmanti erano le corse di carri che si svolgevano nel circo. La più celebre era quella fatta nel Circo Massimo a Roma; consisteva in sette giri in senso antiorario nel corso dei quali tutto era permesso, spintoni compresi. Cavalli ed aurighi venivano divisi in squadre contraddistinte da colori che nel corso degli anni assunsero il significato di un vero e proprio partito. Come oggi, gli "sportivi" di allora erano molto pagati e quasi idolatrati dal pubblico, che nelle manifestazioni si scatenava in un tifo sfrenato. Altre gare sportive importanti erano le competizioni ginniche, fatte in maniera molto simile a quella dei greci.
Ma il relax per un romano non era fatto di solo spettacolo. Un ruolo importantissimo assumevano le cosiddette terme, luoghi pubblici utilizzati come bagni, saune e luoghi dove socializzare. L’ingresso costava pochissimo o era gratuito. I turni iniziavano dal primo pomeriggio fino a sera, e vi partecipavano membri di entrambi i sessi. Normalmente si seguivano percorsi guidati: si entrava dall’ingresso dentro lo spogliatoio; dopo si entrava nella palestra scoperta, dentro la quale si facevano esercizi fisici e si ungevano i corpi con oli particolari; in seguito si entrava in una serie di stanze, le laconicum, dove si sudava abbondantemente, per entrare poi in una grande vasca circolare piena di acqua calda, il caldarium. Infine si accedeva in un grande locale non riscaldato, il frigidarium. In alcune terme, tra caldarium e frigidarium, c’è il tiepidarium, dove si facevano bagni con acqua tiepida. L’ultima tappa era composta dal natatio, una sorta di piscina scoperta. Il sottopavimento era occupato da una serie di locali di servizio, dalle caldaie e dalle cisterne dove l’acqua veniva riscaldata.
Attorno all’edificio delle terme erano presenti tavole calde, biblioteche, sale per conferenze e per spettacoli; ecco dunque scoprire la vera funzione delle terme, che oltre ad essere una sorta di bagno pubblico per tutti i cittadini che non possedevano acqua corrente in casa, rappresentava il cuore pulsante della società, dove era possibile incontrarsi, discutere, concludere affari
Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20III_MATERIALI/MATERIALI_LATINO/AUTORI/08_Catullo_Sirmione.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Catullo Gaio Valerio vita opere biografia
GAIO VALERIO CATULLO
CRONOLOGIA CATULLIANA
87 data di nascita di Catullo secondo la testimonianza di Gerolamo
84 data di nascita di Catullo secondo la ricostruzione dei filologi
57 anno di partenza per la Bitinia, al seguito di Gaio Memmio, propretore di quella pro-
vincia
56 anno di ritorno dalla Bitinia (cfr. carm. 10, 28, 46)
58 data di morte di Catullo secondo la testimonianza di Gerolamo, a trent’anni di vita
54 data di morte secondo la ricostruzione dei filologi (Catullo conosce il secondo conso-
lato di Pompeo, carm. 113, che è del 55 a.C., e le imprese di Cesare in Gallia e Breta-
gna, cfr. carm. 11, 29 e 45, che sono degli anni 55-54 a.C.)
DATI SICURI SULLA VITA DI CATULLO
- il nome, Gaio Valerio
- l’origine, cfr. carm. 67.34 (Verona o dintorni: Verona è colonia con pieno diritto di cittadinanza dall’89 a.C.)
- famiglia agiata (Suet. Iul.73.4)
- una villa a Sirmione (carm. 31)
- un lungo soggiorno a Roma; una casa sulla strada per Tivoli (carm. 44)
- morte di un fratello, in Troade (carm. 101)
- un viaggio in Bitinia, nella cohors amicorum di Gaio Memmio (57-56 a.C.)
CICLI POETICI RICONOSCIBILI NEL LIBER DI CATULLO
- gli amori:
- ciclo per Lesbia
- ciclo per Giovenzio (carm. 15, 16, 21, 23, 24, 26, 48, 81, 99, 103, 106)
- gli amici/nemici
- ciclo per Aufilena (carm. 69, 71, 82, 100, 110, 111)
- ciclo per Gellio (carm. 74, 80, 88, 89, 90, 91, 116)
- cicli minori (Ipsitilla, Calvo, Furio e Aurelio, Veranio e Fabullo, Celio Rufo, Egnazio, Mamurra e Ameanaecc.)
c) il ciclo bitinico
- i carmina docta (carm. 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68)
AMICI, CORRISPONDENTI E COMMITTENTI CATULLIANI
- politici
Cesare, Mamurra, Nonio, Vatinio
- nobili illustri
Manlio Torquato, Gaio Memmio, Asinio Marrucino
- letterati
Cornelio Nepote
- oratori
Ortensio Ortalo, Cicerone, Celio Rufo
- poeti
Elvio Cinna, Licinio Calvo, Cornificio, Cecilio, Volusio.
STORIA E CULTURA ROMANE
100 Nascita di Cesare
100-90 Predominio di Mario, sei volte console
98 Nascita di Lucrezio
90 Guerra sociale (Roma contro gli Italici)
88 Silla pone fine alla guerra sociale e marcia su Roma; Mario è costretto alla fuga
88-87 Prime proscrizioni sillane: fra le vittime, il poeta e oratore Lutazio Catulo
87 Spedizione di Silla in Oriente, contro Mitridate; Cinna, viene eletto console
86 Mario console per la settima volta; stragi mariane. Morte di Mario
84 Cinna viene ucciso durante tafferugli in piazza
Primi trattati retorici: la Rhetorica ad Herennium e il De inventione di Cicerone
Probabile data di nascita di Catullo
83 Ritorno di Silla dall’Oriente; nuove proscrizioni sillane
81 Debutto oratorio di Cicerone (Pro Quinctio); Silla assume la dittatura
79 Silla depone la dittatura e si ritira a vita privata
78 Morte di Silla; ribellione di Sertorio, un ex luogotenente di Mario, in Spagna
77-75 Campagna di Pompeo, già luogotenente di Silla, contro Sertorio
74 Spedizione di Lucullo contro Mitridate, re del Ponto
73-71 Rivolta dei gladiatori di Capua, capeggiati da Spartaco. Alla fine, Pompeo scon-
figge Spartaco, subentrando a Crasso nella direzione della guerra
70 Consolato di Pompeo e Crasso; nascita di Virgilio
68 Cesare è questore
67 Grazie a una legge speciale, Pompeo è incaricato della guerra contro i pirati
66-64 Pompeo subentra a Lucullo nel comando della guerra contro Mitridate
65 Nascita di Orazio
63 Cicerone è console. La “congiura” di Catilina. Nascita di Ottaviano
62 Ritorno trionfale di Pompeo dall’Oriente; Cesare è pretore
61 Probabile data dell’incontro di Catullo con Lesbia
60 Primo triumvirato fra Pompeo, Cesare e Crasso: i tre uomini più in vista della
città si spartiscono una serie di cariche in un accordo privato
59 Cesare è console; nascita di Tito Livio
58 Cesare è proconsole in Gallia; inizia la conquista della Gallia transalpina A Roma
spadroneggiano Clodio (spalleggiato da Cesare) e Milone (spalleggiato da Pom-
peo). Cicerone è mandato in esilio, in virtù di una legge retroattiva che punisce il
mancato appello al popolo dei Catilinari giustiziati nel 63
57 Ritorno di Cicerone dall’esilio. Catullo parte per la Bitinia
56 A Lucca, i triumviri si ripartiscono le cariche per i prossimi cinque anni. Cesare
prolunga il suo comando militare in Gallia, onde terminarne la conquista
55 Pompeo e Crasso sono consoli per la seconda volta; probabile data di morte di
Lucrezio, il cui De Rerum Natura viene fatto circolare postumo
54 Cesare in Gran Bretagna; Crasso va in Oriente, a combattere i Parti: morirà l’anno
dopo nella battaglia di Carre, mettendo così fine al primo triumvirato. A Roma
spadroneggeranno le squadre armate di Clodio e quelle di Milone, dando origine a
tumulti che preludono al più aperto scontro fra Cesare e Pompeo.
Probabile data di morte di Catullo, il cui Liber viene presumibilmente assemblato
postumo.
Fonte: http://armida.unimi.it/bitstream/2170/766/1/dati+storici+su+Catullo.doc
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