Valutazione dei rischi
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Valutazione dei rischi
PREMESSA:
Salute (art. 2 D.Lgs. 81/08) |
Stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità |
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI
In base al d.lgs. 626/94 e alla C.M.L. 102/1995, con alcuni riferimenti al d.lgs. 81/2008
La valutazione dei rischi presenti nella attività lavorativa costituisce, l’adempimento iniziale e principale cui il datore di lavoro deve far fronte per predisporre tutti gli interventi più adeguati in materia di sicurezza e di igiene del lavoro. La valutazione deve concludersi con la stesura di un documento contenente l’insieme dei dati relativi alla individuazione dei rischi ed alla organizzazione della sicurezza nel luogo di lavoro. Il Ministero del Lavoro (con la circolare 102 del 1995) ha indicato i criteri generali per la redazione del documento di valutazione dei rischi i cui contenuti dovranno essere:
- Indicazione della tipologia della attività lavorativa, dei cicli lavorativi, delle singole mansioni, dei luoghi e dei posti di lavoro.
- Indicazione delle figure tecniche, professionali e non, che hanno concorso alla sua elaborazione (responsabile del servizio Prevenzione e Protezione, medico competente, consulenti od esperti in specifiche branche, lavoratori ecc.).
- Indicazione dei criteri adottati per la valutazione (elencazione dei rischi riscontrati; elencazione dei lavoratori esposti; riferimenti a standard legislativi o norme tecniche; indicazione dei dati relativi a valutazioni ambientali su particolari esposizioni a rischio (rumore, microclima, illuminamento, concentrazione di agenti chimici ecc.).
Tutto ciò che può produrre danno per la salute. I fattori di rischio presenti sul lavoro possono essere di vario tipo, di cui alcuni misurabili con strumenti: rumore, inquinanti chimici, polveri, ecc.. Altri, individuabili per mezzo della "osservazione" e della discussione tra i lavoratori stessi e con i tecnici della prevenzione, sono: cattiva organizzazione del lavoro, fatica fisica, ritmi di lavoro, ecc.. |
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Frasi di rischio |
Indicano i rischi a cui può essere sottoposto il lavoratore in presenza o durante l'uso di sostanze pericolose (tossico, irritante, corrosivo, comburente, infiammabile, nocivo). Tra le frasi di rischio che si possono trovare in etichetta vi può essere, ad esempio, l'R40=possibilità di effetti irreversibili, l'R45=può provocare il cancro, ecc.. |
- Indicazione delle misure di prevenzione più idonee in relazione a prescrizioni di legge, direttive amministrative, norme di buona tecnica, ecc. con particolare riguardo a: interventi per la riduzione dei rischi ai limiti tecnicamente raggiungibili; informazione e formazione dei lavoratori esposti; fornitura di eventuali D.P.I.; sorveglianza sanitaria degli esposti.
Indagini sanitarie |
Indagini che permettono di conoscere lo stato di salute dei lavoratori. Possono consistere in visite mediche, analisi del sangue e delle urine esami strumentali (es. radiografie, elettrocardiogramma, ecc.): la legge impone che i lavoratori esposti a rischio siano periodicamente controllati con visite mediche e con altri accertamenti sanitari. |
- Indicazione dei programmi di attuazione delle misure di prevenzione e protezione con specifico riferimento a: programma di controllo periodico delle misure di prevenzione richieste; programma di riesame delle misure adottate per l’eventuale adeguamento al progresso tecnico; revisione periodica della valutazione dei rischi.
Prevenzione (art. 2 D.Lgs. 81/08) |
Il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno; |
- Elencazione di tutti i documenti, relazioni e perizie tecniche effettuate: schede tecniche di sicurezza di eventuali composti chimici utilizzati, rumore ecc.; certificazioni relative ad atti autorizzativi, omologazione di impianti, deroghe concesse dall’organo di vigilanza o da altra struttura preposta. Si segnalano a questo proposito i criteri di massima per la elaborazione del documento di valutazione dei rischi secondo le linee guida elencate, in particolare, dall’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) e da enti regionali operanti nel settore della sicurezza del lavoro. A proposito di questa essenziale funzione preventiva la dottrina ha espresso una perplessità relativa alla circostanza che il d.lgs. 626/94 avrebbe lasciato uno spazio bianco destinato ad essere riempito da un privato (il datore di lavoro) il quale raramente, se non mai, sarebbe in grado di riempire, “vuoi perché non sono disponibili sul mercato, in numero sufficiente, esperti provvisti delle necessarie competenze, vuoi perché nella scelta tra due opzioni possibili – quella che tende a minimizzare il rischio economico dell’imprenditore privato e quella che tende a minimizzare il rischio degli sociale degli utenti – il privato sarà ineluttabilmente indotto a scegliere la prima”. Insomma, in estrema sintesi, si solleva la difficoltà del privato, nell’adempiere a questo delicato compito, che non dovrebbe essere lasciato solo. La valutazione del rischio, lungi dall’essere accollata al privato, dovrebbe gravare su chi è preposto a stabilire norme e leggi. In questa direzione il modello statunitense (di incaricare della delicata opera di individuare gli standard di valutazione del rischio direttamente agenzie pubbliche) dovrebbe essere ripreso anche nel nostro Paese. A questa osservazione si è replicato affermando che “la valutazione dei rischi è un elemento fondamentale del sistema prevenzionale e non può che essere devoluta a chi ha la responsabilità dell’impresa o dell’ufficio pubblico, proprio per la conoscenza che può e deve avere dell’ambiente di lavoro, dei metodi produttivi, delle macchine e dei prodotti impiegati e proprio perché ha la responsabilità della organizzazione del lavoro. È comunque un istituto imposto da una direttiva fondamentale, applicata in tutti i Paesi d’Europa. Si può convenire sul fatto che non è giusto lasciare solo il datore di lavoro in questa valutazione, senza dargli l’ausilio di conoscenze, di linee-giuda soprattutto dalle Regioni ed anche da altri organismi a livello europeo. Non c’è dubbio che si sarebbe potuto fare di più, a livello nazionale, ma questo è un problema di organizzazione pubblica, in ausilio ai doveri e alle responsabilità dei privati. I quali non possono trincerarsi dietro la loro (apparente) solitudine, visto che nessuno pretende nulla di più dell’esigibile e di ciò che può essere oggetto di diffusa informazione e conoscenza. D’altronde, l’art. 2087 c.c. non diceva e non dice nulla di molto diverso; dopo le prime incertezze, si è radicata e diffusa l’opinione che il legislatore non chiede “troppo” al datore di lavoro quando gli impone di adottare tutte le misure necessarie e non solo quelle già previste dalla normativa. Non si chiede all’imprenditore di fare esperimenti nella galleria del vento dei politecnici o in laboratori pubblici, ma si pretende che si tenga informato sulle comuni acquisizioni tecniche e scientifiche, alle quali può accedere con facilità anche con l’ausilio di esperti e consulenti, ovviamente in proporzione delle dimensioni delle potenzialità delle imprese.
Fonte: http://www.bassilo.it/documents/SSIAS/LA%20VALUTAZIONE%20DEI%20RISCHI%20seconda%20lezione.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Valutazione dei rischi tipo file : doc
Procedure e linee guida per una corretta esecuzione della valutazione dei rischi
1. ORIENTAMENTI GENERALI
La valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro e la predisposizione dei conseguenti documenti è uno degli elementi di più grande rilevanza del D.Lgs 81/08. Essa rappresenta, infatti, l'asse portante della nuova filosofia in materia di tutela della salute dei lavoratori che vede nel datore di lavoro il protagonista attivo della funzione prevenzionale; essa costituisce, inoltre, il perno intorno al quale deve ruotare l'organizzazione aziendale della prevenzione. E' quindi necessario che quanto previsto dagli art. 28 e segg. del provvedimento trovi adeguata ed estesa applicazione a tutte le realtà imprenditoriali così da poter prevenire, eliminare o ridurre i fattori di rischio connessi con l’esercizio dell’attività.
1.1 Campo di applicazione
Il D.Lgs 81/08 allarga di fatto il campo di applicazione in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori ad imprese ed enti, anche della PA (Pubblica Amministrazione), finora coinvolti in minore misura in tali attività.
Per alcuni settori, tuttavia, l’applicazione delle norme deve essere modulata in funzione delle particolari esigenze degli specifici servizi. I settori per i quali sono previste peculiari modalità di applicazione della norma sono stati ampliati comprendendo, oltre alle Forze armate e di Polizia e ai servizi di Protezione civile, anche le strutture giudiziarie, penitenziarie, quelle destinate per attività istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le università, gli istituti di istruzione universitaria, gli istituti di istruzione e di educazione di ogni ordine e grado, le rappresentanze diplomatiche e consolari ed i mezzi di trasporto marittimi ed aerei.
Appare, pertanto, utile ricordare che tutti i settori di attività, privati e pubblici, e tutte le tipologie di rischio ed, in particolare, a i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché i soggetti ad essi equiparati, sono soggetti all'obbligo di valutare i rischi connessi con l'attività esercita.
Più in dettaglio, nell’ipotesi di prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, fatto salvo l’obbligo a carico del somministratore di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene assunto.
Nell’ipotesi di distacco del lavoratore (articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato.
Nei confronti dei lavoratori a progetto (articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) e dei collaboratori coordinati e continuativi (articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile), le disposizioni del decreto si applicano ove la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, mentre nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio (articolo 70 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), il decreto e tutte le altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute si applicano con esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.
Relativamente ai lavoratori a domicilio (legge 18 dicembre 1973, n. 877) trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 36 e 37 del decreto in seguito commentate. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate.
A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70 e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII del decreto (Attrezzature munite di videoterminale), indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo IX (Sostanze pericolose). I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza è previsto che il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti abbiano accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Il datore di lavoro deve poi garantire l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali.
1.2 Significato della valutazione
La valutazione dei rischi lavorativi di cui al D.Lgs 81/08 si iscrive nel più ampio e complessivo utilizzo a livello internazionale del metodo del "risk assessment", che coinvolge anche molti aspetti relativi ai costi ambientali del progresso e dell'uso delle risorse naturali.
L'orientamento comunitario, in generale, è quello di fondare le iniziative legislative e la definizione delle priorità dell'intervento su un'analisi partecipata e strutturata in merito alla "accettabilità" sociale dei rischi e alla valutazione dei costi e dei benefici che la loro riduzione comporta per la comunità.
Di per sè il "risk assessment" non porta automaticamente al "risk management", cioè alla risoluzione o al contenimento dei problemi evidenziati, ma ha il vantaggio di portarli alla luce e farne oggetto di valutazione sociale, di studio, di programmi articolati.
Questo è il contesto culturale da cui il D.Lgs 81/08 trae origine e che va armonizzato con il vigente assetto normativo che mantiene la sua validità.
Infatti nessuna facoltà d'arbitrio è concessa al datore di lavoro in merito all'applicazione o meno delle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che devono essere comunque rispettate, per cui l'obiettivo della valutazione non può essere la scelta di quali tra i vincoli normativi previsti siano i più opportuni o convenienti da adottare.
L'applicazione dell'art. 28 fornisce anche uno strumento per avviare una riorganizzazione razionale e pianificata della produzione nei suoi diversi componenti (macchine, procedure, spazi, organizzazione, ...) al fine di raggiungere l'obiettivo di una sostanziale riduzione e/o del controllo dei fattori di rischio presenti, nel rispetto della legislazione nazionale e delle norme di buona tecnica prodotte da organismi accreditati (UNI-EN, CEI, etc...).
La necessità che nell'impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti, gestione del personale, manutenzione, etc.), e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare "lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure generali di tutela indicate nell'art. 15. Tra queste, infatti, viene indicata la programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonchè l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro.
La valutazione del rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione della funzione e del sistema prevenzionale aziendale.
L'esame sistematico dei problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell'attività lavorativa non dovrà trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia, arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, ...), come chiaramente indicato negli orientamenti CEE.
Non va persa di vista la natura di processo partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta l'informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che l'organizzazione del lavoro "formale" subisce, all'atto della sua concreta messa in pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione.
Non va infatti dimenticato, per esempio, che gli studi del fenomeno infortunistico che utilizzano un approccio solo "deterministico", mirato ad identificare cause di infortunio solo in errori umani o in inconvenienti tecnici o in deficienze strutturali, presentano limiti importanti ed insolubili se non affrontano anche le interconnessioni con il tessuto organizzativo della produzione. A quanto sopra detto rimanda peraltro, in modo esplicito, anche lo stesso art. 15 del D.Lgs 81/08.
Il processo di partecipazione dei lavoratori attraverso le loro rappresentanze è dunque dovuto per legge, oltre che fortemente auspicabile.
1.3 La soggettività nel valutare
Per tutti i problemi di prevenzione non riconducibili ad un confronto con uno standard normativo o tecnico di riferimento, la valutazione dei rischi comporta inevitabilmente un contributo della soggettività del/dei valutatore/i nell'attribuire loro maggiore o minore rilevanza e, di conseguenza, un equivalente valore nella programmazione degli interventi.
In particolare possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo soggetto, fanno parte di una certa "cultura d'impresa", là dove un'abituale sottostima del rischio ha alimentato l'abitudine a considerare "normali" procedure, attrezzature, metodi, del tutto inadeguati.
In quelle situazioni si rende necessario uno sforzo rilevante, da parte del datore di lavoro, in termini di comunicazione e di formazione corretta sui rischi lavorativi, perchè la presa di coscienza dell'esistenza di un rischio non rappresenti un evento episodico, non condiviso e, come tale, non generatore di cambiamenti significativi.
A mitigare la soggettività del valutatore possono contribuire l'uso razionale di misure di igiene industriale, nonché la raccolta della sintomatologia eventualmente accusata dai lavoratori. Inoltre l’accurata consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e la raccolta critica dei giudizi soggettivi dei lavoratori rappresenta un momento decisivo per la integrazione delle conoscenze di quegli aspetti di rischio che sfuggono o sono sottovalutati dal management.
Il datore di lavoro e/o il valutatore utilizzeranno documentazione tecnica e scientifica in materia potendosi rivolgere anche ai Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl o ai centri di documentazione regionale.
1.4 Valutazione semplificata e primi approcci alla valutazione
Per incentivare la massima estensione dell'attività di valutazione da parte dei datori di lavoro si favorirà, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni e rischi modesti, la semplificazione delle procedure di valutazione, che dovranno essere tese a raccogliere le informazioni sufficienti, dati e notizie all’uopo pertinenti e rilevanti.
A tal fine sarà utile, nelle indicazioni da fornire alle imprese, chiarire che per "valutazione del rischio" è da intendersi principalmente l'individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell'entità dell'esposizione.
A tale proposito si potrà suggerire l'utilizzazione in prima istanza, ove possibile e adeguata, di metodi e criteri di valutazione approssimata del rischio in grado di distinguere chiaramente condizioni francamente accettabili da situazioni francamente non accettabili. Tali metodi possono consistere anche in valutazioni di tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure analitiche.
Non è necessario, salvo casi particolari da individuare, che la "valutazione del rischio" comprenda stime probabilistiche di accadimento di guasti o di eventi accidentali così come, invece, previsto dalla normativa vigente per le imprese a rischio di incidente rilevante.
Di grande utilità per l'utenza, accanto al modello di documento di valutazione proposto per le piccole e medie imprese proposto nel Capitolo 3, sarà l'avvalersi di linee guida di valutazione con riferimento al settore e al comparto produttivo tenuto conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi.
Da quanto sopra emerge l'indicazione che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 28 appare essere "l'individuazione delle misure preventive e di protezione" definite o programmate, per la cui realizzazione dovranno essere scelti tempi e metodi congrui con la valutazione di gravità del rischio.
E' opportuno, a questo proposito, che vengano individuate scale qualitative circa l'urgenza dei provvedimenti da assumere, formulate anche in base ad eventuali programmi di sviluppo aziendali. Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell'intervento tecnico risolutivo.
Le fasi procedurali possono essere quelle proposte nel documento presente nel Capitolo 3, ma a tal proposito va precisato che non sempre è possibile fare a priori una stima significativa della gravità degli effetti derivanti da un'esposizione e della probabilità che tali effetti si manifestino.
In tali casi è preferibile affidarsi ad uno studio approfondito della specifica situazione lavorativa e procedere secondo una logica squisitamente prevenzionistica.
1.5 Quando iniziare il processo di valutazione
La valutazione dei rischi e la stesura dei conseguenti atti documentali in conformità con le indicazioni contenute nel D.Lgs 81/08 è un processo che risulta operativo dal primo gennaio 2009. In altri termini, il tempo decorrente dal 15 maggio 2008 (data di entrata in vigore del D.Lgs 81/08) al 1^ Gennaio 2009 (data dalla quale si intendono operative le norme concernenti la valutazione dei rischi) andava inteso come la disponibilità, per i datori di lavoro, per attivare e portare a compimento il processo di valutazione e di eventuale programmazione dei relativi interventi di prevenzione.
Poiché la valutazione dei rischi complessivi presenti in una azienda e la stesura dei conseguenti programmi di prevenzione è, per lo più, un atto tecnico tutt'altro che semplice, diviene naturale suggerire ai datori di lavoro di reperire al più presto quelle competenze tecnico-professionali che li mettano in grado di assolvere adeguatamente al proprio compito, al di là della formalizzazione degli incarichi .
Per quel che riguarda la figura del medico competente, esso potrà essere formalmente incaricato (con documentazione scritta) sin da subito in tutti quei casi in cui la normativa vigente prevede un obbligo già definito a priori di sottoporre i dipendenti ad accertamenti sanitari periodici. Nel caso, invece, in cui la necessità e l'obbligo di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria sia condizionato dalla preventiva valutazione dell'esistenza del rischio, come ad esempio nel caso della movimentazione manuale di carichi, dell'esposizione a cancerogeni e ad agenti biologici, la nomina del medico competente potrà essere effettuata successivamente una volta conclusa la fase di valutazione.
1.6 Chi concorre alla valutazione
L'obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro.
E' evidente tuttavia che dal punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà allo scopo avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali, peraltro in larga misura indicate dallo stesso D.Lga 81/08.
In primo luogo è opportuno prevedere che al processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l'intera "linea" aziendale rappresentata dai dirigenti e dai preposti; gli stessi sono infatti, al contempo, depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo.
Alla valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di prevenzione e protezione nonchè, ove previsto, il medico competente: essi forniscono il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili all'inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee per il loro contenimento.
La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove adeguatamente formato, è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa tecnica, e dall'altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d'altronde stabilito in diversi punti del decreto legislativo.
Infine, al processo di valutazione e gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, devono anche fornire informazioni relative a criteri, ambiti e limiti per l'utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e strumenti di lavoro. La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi.
2. PROCEDURE ED INDICAZIONI PER UNA CORRETTA ESECUZIONE DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI
2.1 Obiettivi della valutazione dei rischi
L’obiettivo della valutazione dei rischi consiste nel consentire al datore di lavoro di prendere i provvedimenti che sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Questi provvedimenti comprendono:
- prevenzione dei rischi professionali
- informazione dei lavoratori
- formazione professionale dei lavoratori
- organizzazione e mezzi destinati a porre in atto i provvedimenti necessari
- L’art. 15 del D.Lgs 81/08 elenca, in successione logica e concatenata, i provvedimenti che devono essere assunti dal datore di lavoro quali “misure di tutela“ per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tra le misure indicate, la valutazione dei rischi è il primo atto previsto, dal quale derivano tutte le ulteriori misure, alla cui programmazione ed attuazione la valutazione stessa è finalizzata.
2.2 Criteri generali
- Il D.Lgs 81/08 si riferisce in alcuni articoli alla valutazione dei rischi, in altri alla valutazione dei pericoli, in altri alla valutazione dell’esposizione, pur facendo in ogni caso riferimento alla valutazione dei rischi disposta all’art. 28 del decreto medesimio.
- Sembra pertanto di poter desumere la volontà del legislatore ad interpretare il “mandato” al valutatore con una certa flessibilità, in ragione del tipo di pericolo preso in considerazione e della complessità che l’analisi del problema di prevenzione implica.
- Sembra potersi ritenere apprezzabile l’orientamento di quanti suggeriscono di indirizzare le imprese verso la semplificazione delle procedure di valutazione, mirando principalmente all’individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l’identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti al rischio, non comprendendo stime probabilistiche di accadimento, salvo casi particolari da individuare.
- Per la concreta attuazione di quanto disposto dal Decreto Legislativo in merito alla valutazione dei rischi, tenuto conto dell'orientamento della stessa a fini di programmazione di interventi di prevenzione, possono essere sinteticamente proposti i seguenti criteri (successivamente ripresi ed approfonditi):
- a) Attuazione di una fase preliminare
- procedere all’identificazione dei centri/fonti di pericolo sulla base dell’analisi del processo produttivo e dell’organizzazione del lavoro, nonchè di tutta la documentazione e le informazioni disponibili ed utili.
- b) Orientamenti operativi
- se nella conduzione della valutazione viene individuato un pericolo per la salute o la sicurezza, la cui esistenza appare certa e fonte di possibile danno ai lavoratori, che sia riferibile o meno ad una mancata messa in atto di quanto previsto dalla normativa esistente, le misure di tutela eventualmente individuabili possono opportunamente essere attuate o programmate senza acquisire ulteriori elementi valutativi, se non quelli strettamente necessari alla definizione della priorità da assumersi per gli interventi stessi;
- se un possibile pericolo, connesso all'attività lavorativa in esame, è stato in precedenza valutato con esito favorevole (rischio assente o molto limitato) ovvero il pericolo stesso è stato ridotto o eliminato con l'adozione di opportune misure (può essere il caso della valutazione dell'esposizione dei lavoratori a piombo, amianto e rumore), la valutazione dei rischi può limitarsi ad una presa d’atto di tali risultanze, previa verifica della loro attualità;
- al contrario, là dove l'esistenza di un pericolo risulti dubbia, o incerta la definizione delle possibili conseguenze, o complessa l'individuazione delle appropriate misure di prevenzione, appare opportuno condurre una valutazione dei rischi che si articoli in un percorso logico e procedurale più completo ed approfondito.
2.3 Fasi preliminari
- Al fine di una sua corretta collocazione temporale e maggiore rappresentatività delle reali condizioni di lavoro, la valutazione va fatta precedere da un'attenta ricognizione circa le caratteristiche dell'attività lavorativa (produzione di beni o di servizi, di serie o per campagne, produzione conto terzi etc. e relativa variabilità delle lavorazioni in relazione al variare della produzione...) con particolare riferimento all'esistenza di attività di servizio alla produzione (pulizia, manutenzione...) od occasionali (guasti, riattivazione di impianti...); non dovrà essere trascurata la considerazione di prestazioni eventualmente erogate dai lavoratori all'esterno dell'abituale luogo di lavoro (montaggi, riparazioni...) come pure la possibilità di presenza sul luogo di lavoro di dipendenti di altre aziende o di utenti.
- Dovrà essere scelta la sequenza logica che il valutatore riterrà più opportuno adottare nell'analisi dei pericoli e dei rischi:
- sequenza ordinata delle lavorazioni nel ciclo produttivo
- compiti assegnati ai lavoratori
- ambienti di lavoro
- aggregati in base al linguaggio aziendale ("reparti", “linee”, “uffici”...), avendo unicamente cura di:
- esplicitare la scelta fatta
- attenersi ad essa in modo coerente.
Un'ulteriore fase preliminare da non trascurarsi è l’acquisizione e l’organizzazione di tutte le informazioni e le conoscenze già disponibili su elementi utili a connotare i fattori di rischio e/o gli eventuali danni riferibili al lavoro.
A titolo esemplificativo, in tabella 1 viene proposta una lista di informazioni o fonti informative possibilmente presenti in azienda:
Tabella 1
Informazioni o fonti informative
• layout dei reparti |
• numero di addetti ripartito per reparti e per mansioni con breve descrizione delle operazioni svolte |
• denunce di impianti e verifiche periodiche |
• registro delle manutenzioni ordinarie e straordinarie |
• schede di sicurezza di sostanze/prodotti/apparecchiature/impianti in uso |
• schede tecniche e manuali operativi di macchine e impianti |
• risultati di precedenti indagini condotte sulla sicurezza e sull'igiene del lavoro inclusi verbali di prescrizione degli organi di vigilanza |
• risultati di eventuali misurazioni di igiene industriale |
• risultati collettivi anonimi di controlli sanitari periodici |
• denunce INAIL su casi di malattie professionali |
• dati sugli infortuni (dall’apposito registro) e incidenti avvenuti |
• atti autorizzativi |
• procedure di lavoro scritte, ordini di servizio |
• elenco e caratteristiche dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori |
• modalità pratiche di distribuzione/ricambio dei dispositivi di protezione individuale |
• conoscenze ed esperienze dei lavoratori e dei preposti |
2.4 Metodologia
Tabella 2
Fasi per la conduzione della valutazione e la redazione del documento
• identificazione dei fattori di rischio |
• identificazione dei lavoratori esposti |
• stima dell'entità delle esposizioni |
• stima della gravità degli effetti che ne possono derivare |
• stima della probabilità che tali effetti si manifestino |
• verifica della disponibilità di misure tecniche, organizzative, procedurali, per eliminare o ridurre l'esposizione e/o il numero di esposti |
• verifica dell'applicabilità di tali misure |
• definizione di un piano per la messa in atto delle misure individuate |
• verifica dell'idoneità delle misure in atto |
• redazione del documento |
• definizione di tempi e modi per la verifica e/o l’aggiornamento della valutazione |
2.4.1 Identificazione dei fattori di rischio
La valutazione deve riguardare i rischi derivanti dall’attività lavorativa e che risultino ragionevolmente prevedibili: vanno quindi conciliate le contrapposte esigenze di “esaustività” della valutazione e della identificazione dei principali problemi di prevenzione, peculiari della specifica attività produttiva, su cui concentrare l’analisi.
In una prima fase pare ragionevole che il datore di lavoro programmi (indicando tale programma nel documento, ove previsto) una successiva fase di valutazione dei rischi che ad un primo esame appaiono meno prevedibili e comunque tali da provocare lievi conseguenze.
Gli orientamenti comunitari indicano a tale proposito l’utilità di operare il seguente procedimento:
“valutazione complessiva per separare i rischi in due categorie: quelli ben noti per i quali si identificano prontamente le misure di controllo...e rischi per i quali è necessario un esame più attento e dettagliato. Questa fase può comportarne altre se si deve applicare un sistema più sofisticato di valutazione dei rischi a situazioni effettivamente complesse.”
L’identificazione dei fattori di rischio sarà guidata dalle conoscenze disponibili su norme di legge e standard tecnici, dai dati desunti dall’esperienza e dalle informazioni raccolte, dai contributi apportati da quanti, a diverso titolo, concorrono all’effettuazione della stessa valutazione: Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, medico competente, altre figure che possono essere utilmente consultate nel merito (lavoratori, preposti, dirigenti...).
Questo procedimento consentirà di identificare i pericoli non soltanto in base ai principi generalmente noti, ma anche all’esistenza di fattori di rischio peculiari delle condizioni in cui ha luogo l’attività lavorativa.
Si avrà cura di controllare l’influenza che su tale identificazione può esercitare la percezione soggettiva del rischio, che talvolta può portare a sottostimare o sovrastimare un pericolo sulla base dell’abitudine al rischio o dell’eccessiva fiducia concessa alle impressioni sensoriali.
Per una lista orientativa dei fattori di rischio che possono essere presi in considerazione si riporta al successivo paragrafo 2.7, fermo restando che tale elenco di situazioni e di attività lavorative possibili, come chiaramente indicato dai suoi compilatori, ha carattere non esaustivo.
Va sottolineato che laddove esistano posti di lavoro e/o lavorazioni omogenee nella stessa unità produttiva o in unità produttive del medesimo comparto è possibile definire in modo unitario un elenco orientativo dei fattori di rischio da considerare fermo restando che per ogni contesto considerato andranno verificate le eventuali differenze significative, le quali peraltro possono condurre all’attivazione di conseguenti diversificate e specifiche misure di tutela.
Eventuali scelte di questo tipo dovranno essere indicate nel documento tra i criteri adottati nella conduzione della valutazione.
L’art. 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, prevede, inoltre, che la valutazione dei rischi coinvolga tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli collegati riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli derivanti dallo stress lavoro-correlato.
Relativamente a quest’ultimo profilo, la valutazione del rischio richiede l’adozione degli stessi principi e processi basilari di altri pericoli presenti sul luogo di lavoro: identificare le fonti di stress, decidere quali azioni è necessario intraprendere, comunicare i risultati della valutazione e revisionarli a intervalli appropriati.
Il primo aspetto da porre in luce è che l’art. 28 non fa riferimento ai rischi psicosociali, ma al ben diverso fenomeno dello stress lavoro correlato; la valutazione va quindi condotta – per espressa previsione di legge - secondo i contenuti dell’ Accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
Oggetto di valutazione quindi non sono né i rischi psicosociali in generale, né il mobbing, né la violenza sul lavoro, né il disturbo post traumatico da stress.
E' opportuno ricordare che il mobbing si sostanzia in una azione aggressiva
cosciente e volontaria, protratta nel tempo, finalizzata a mettere uno o più
lavoratori in una condizione di forte disagio col fine dell'espulsione dal
contesto lavorativo (licenziamento o trasferimento) o della sottomissione
(frustrarne cioè la capacità personale di contrattare, di difendere i propri
diritti, di far valere le proprie ragioni).
A differenza dello stress, che si sostanzia in una risposta dell’ individuo in termini di adattamento a sollecitazioni provenienti dal contesto lavorativo o extralavorativo, il mobbing presuppone comportamenti volontariamente lesivi della dignità umana, che trovano già gli strumenti di reazione nell’ordinamento, in sede disciplinare, civile e penale.
La violenza nel posto di lavoro afferisce invece a comportamenti illeciti,
sanzionati sotto i profili penale, civile e disciplinare, che nulla hanno a
che vedere con la reazione individuale a sollecitazioni presenti nel
contesto lavorativo o extralavorativo.
Così delimitato l'ambito d'interesse, l'approccio iniziale alla valutazione
dello stress lavoro correlato deve essere di tipo oggettivo: infatti benché potenzialmente lo stress possa riguardare ogni luogo di lavoro ed ogni lavoratore,
indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda, dal settore di attività o dalla tipologia del contratto o del rapporto di lavoro, ciò non significa che tutti i luoghi di lavoro e tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati.
Innanzitutto, quindi, occorre verificare - anche attraverso l'organigramma o
il funzionigramma aziendale - la presenza di gruppi omogenei di lavoratori
che, svolgendo mansioni o compiti particolari (es. perché ripetitivi,
monotoni, particolarmente rischiosi), potrebbero essere esposti al rischio
stress.
Se questa fase dovesse dare (ad esempio, per le ridottissime dimensioni della
azienda) risultato negativo, la valutazione potrebbe concludersi con l'
impegno a monitorare eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione
del medico competente.
Se l'organizzazione aziendale consente di individuare gruppi omogenei di
lavoratori potenzialmente esposti a rischio stress, occorrerebbe valutare l'
esistenza, nell'organizzazione aziendale o nell'ambiente di lavoro, di
indicatori oggettivi di stress.
Ad esempio, tra i segnali che possono denotare la presenza del problema, possono rientrare:
- alto tasso di assenteismo
- elevata rotazione del personale
- frequenti conflitti interpersonali
- lamentele da parte delle persone
- infortuni
- richieste di cambio mansione/settore
- disfunzioni o episodi di interruzione/rallentamento dei flussi comunicativi
Se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo. La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. È consigliabile, nel caso in cui l’azienda non disponga al suo interno di competenze sufficienti, ricorrere a competenze esterne in conformità alle leggi europee e nazionali, ai contratti collettivi e alle prassi. I problemi individuati possono essere affrontati nel quadro del processo di valutazione di tutti rischi, programmando una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress individuato. Si possono introdurre misure di gestione e di comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro. A tali interventi devono affiancarsi iniziative formative e informative che introducano una maggiore conoscenza dello stress, delle sue possibili cause e dei rimedi. In particolare, lo stress legato all'attività lavorativa può essere prevenuto o neutralizzato riorganizzando l'attività professionale, migliorando il sostegno sociale e prevedendo una ricompensa adeguata agli sforzi compiuti dai lavoratori. Occorre, inoltre, adeguare le condizioni di lavoro alle capacità, alle esigenze e alle ragionevoli aspettative dei lavoratori. Le azioni poste in essere devono andare a incidere sull’organizzazione del lavoro, con riguardo ai seguenti elementi:
Orario di lavoro |
Va organizzato in modo da evitare conflitti con esigenze e responsabilità extralavorative. Gli orari dei turni a rotazione devono essere stabili e prevedibili, con rotazione in avanti (mattino-pomeriggionotte). |
Partecipazione e controllo |
Occorre consentire ai lavoratori di partecipare alle decisioni o alle misure che hanno ripercussioni sul loro lavoro. |
Quantità di lavoro assegnato |
Gli incarichi affidati devono essere compatibili con le capacità e le risorse del lavoratore e consentire la possibilità di recupero dopo l'esecuzione di compiti particolarmente impegnativi sul piano fisico o mentale. |
Contenuto delle mansioni |
Le mansioni vanno stabilite in modo che il lavoro risulti dotato di significato, stimolante, compiuto e fornisca l'opportunità di esercitare le proprie competenze. |
Ruoli |
I ruoli e le responsabilità di lavoro vanno definiti con chiarezza. |
Ambiente sociale |
Bisogna offrire la possibilità di interazione sociale, ivi inclusi sostegno emotivo e sociale fra i collaboratori. |
Prospettive future |
È necessario evitare ambiguità per quanto riguarda la sicurezza del posto di lavoro e le prospettive di sviluppo professionale; bisogna, inoltre, promuovere la formazione permanente e la capacità di inserimento professionale. |
Una volta definite, le misure anti-stress devono essere riesaminate regolarmente per valutarne l’efficacia e stabilire se utilizzano in modo ottimale le risorse disponibili e se sono ancora appropriate o necessarie.
2.4.2 Identificazione dei lavoratori esposti
In relazione alle situazioni pericolose messe in luce dalla prima fase della valutazione, si evidenzierà il numero dei lavoratori che è possibilmente esposto ai fattori di rischio, individualmente o come gruppo omogeneo.
E’ opportuno che i lavoratori esposti siano identificati nominalmente, sia in funzione della eventuale segnalazione al medico competente per gli adempimenti in merito alla sorveglianza sanitaria, sia per la programmazione dei successivi interventi di informazione/formazione.
L’identificazione dei lavoratori esposti non potrà prescindere dalla rilevazione delle effettive modalità di lavoro; a tale fine si richiama l’esigenza di avvalersi di modalità partecipative nella raccolta delle informazioni in merito.
A questo proposito giova ricordare che l’utilizzo di check list, se pur di utilità al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, non può essere considerato come l’unico mezzo per la valutazione. Le check list, infatti:
- essendo “universali” possono rivelarsi talora eccessivamente dettagliate e talaltra generiche a seconda del comparto produttivo dell'azienda;
- se elaborate in altre nazioni non presentano utili richiami alla legislazione italiana;
- non sostituiscono la conoscenza e le informazioni pregiate di cui dispongono i lavoratori sulle specifiche condizioni di rischio.
2.4.3 Stima dell’entità delle esposizioni ai pericoli
- Una prima stima dell’entità delle esposizioni (misura semiquantitativa) implica una valutazione della frequenza e della durata delle operazioni/ lavorazioni che comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
- Si verificherà, in talune situazioni, la necessità o l’opportunità di procedere ad una stima più precisa delle esposizioni ai pericoli, tramite misure di igiene industriale o a criteri di valutazione più specifici e dettagliati nei casi in cui vi sia esposizione ad agenti chimico-fisici e/o qualora si siano verificati (o si possano prevedere) infortuni/incidenti gravi.
- Tale fase di approfondimento, per analogia con quanto detto al punto precedente, può peraltro essere programmata per un tempo immediatamente successivo alla prima valutazione e alla prima adozione delle misure di prevenzione e di protezione individuate.
- Va sottolineato che l’art. 15 non fa riferimento esplicito, per l’effettuazione della valutazione, ad una valutazione dell’esposizione.
- Al contrario, la quantificazione dell’esposizione è esplicitamente citata a proposito di agenti cancerogeni, con particolare riferimento, però, alla verifica di efficacia delle misure adottate.
- A misure di igiene industriale sembra riferirsi anche l’art. 25, là dove prevede che il medico competente riceva i “risultati” del controllo dell’esposizione dei lavoratori, senza peraltro precisare quando ciò sia previsto.
- In prima approssimazione si può affermare che il ricorso a misure di igiene industriale o comunque a criteri più specifici ed approfonditi di valutazione dell’esposizione trova un suo opportuno campo di applicazione quantomeno nei casi indicati nella seguente tabella.
Tabella 3
- Indicazione di casi in cui è opportuno il ricorso a misure di igiene industriale o a criteri di valutazione più specifici
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- Inoltre valutazioni igienistico-ambientali, eventualmente corredate da misurazioni, sono raccomandate ogni qualvolta vengano modificate sostanzialmente linee di produzione in modo tale da poter prevedere una variazione dell’esposizione dei lavoratori a fattori di rischio chimico-fisici, al fine di progettare contestualmente le più idonee misure di prevenzione.
- Di seguito si riportano i criteri d’analisi del processo produttivo ai fini della valutazione dei rischi chimico-fisici.
- a. Indagine preliminare
- materie prime, intermedi, prodotti finiti, rifiuti
- fasi del processo, compreso il trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi
- schemi di flusso
- mansioni, esposizione a inquinanti
- individuazione dei gruppi di lavoratori omogeneamente esposti
- protezioni attive e passive
- esposizioni conseguenti a trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi
- b. Identificazione dei fattori di rischio e ipotesi di priorità nella loro quantificazione
- c. Valutazione delle modalità e dei punti di generazione e propagazione degli inquinanti
- d. Strategia di campionamento e analisi degli inquinanti
- e. Misura dell’efficienza e dell’efficacia dei sistemi di abbattimento
- f. Valutazione complessiva dei risultati ambientali
- g. Interazione con i risultati della sorveglianza sanitaria dei lavoratori
2.4.4 Stima della gravità e della probabilità degli effetti
- Vanno considerate le dimensioni possibili del danno derivante da un determinato rischio, in termini di una gamma di conseguenze quali:
- lesioni e/o disturbi lievi (rapidamente reversibili)
- lesioni o disturbi di modesta entità
- lesioni o patologie gravi
- incidente mortale
- stimando nel contempo la probabilità di accadimento di danni (lesioni, disturbi, patologie); il livello di probabilità può essere espresso con giudizi di gravità in scala crescente.
- Può essere utile adottare semplici stimatori del rischio complessivo, che tengano contemporaneamente conto di probabilità e gravità degli effetti dannosi; l’adozione di simili criteri di classificazione può risultare utile al fine della programmazione degli interventi, seguendo una scala di priorità.
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- L’incidente con rischio di conseguenze mortali, anche se improbabile, va considerato come priorità nella programmazione delle misure di prevenzione.
- N.B. Dev’essere preso in considerazione il danno più grave che può essere associato al rischio in esame; a tale fine non può essere utilizzato il solo dato statistico aziendale che mostra un basso numero di incidenti e/o patologie ovvero una loro modesta gravità: di per sé tale dato non autorizza ad adottare misure di sicurezza meno restrittive. Di contro particolarmente utile sarà la valorizzazione dell’informazione su tipologie di infortuni che si ripetono con dinamica analoga e di segnalazioni di disturbi riscontrati in gruppi omogenei di lavoratori. Va peraltro ricordato che nell'igiene del lavoro questa metodologia valutativa presenta molte difficoltà applicative, in quanto non sempre è agevole attribuire valori significativi ai due parametri di riferimento: "probabilità di accadimento" e "gravità degli effetti". In tali casi, quindi, è consigliabile adottare le misure più cautelative.
2.4.5 Programmazione o messa in atto delle misure di prevenzione
- L’individuazione delle misure di prevenzione e protezione rispetterà quanto indicato all’art. 15 del D.Lgs 81/08 (Misure generali di tutela) ed in particolare farà riferimento ai principi gerarchici della prevenzione dei rischi in esso indicati:
- evitare i rischi
- utilizzare al minimo gli agenti nocivi
- sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o lo è meno
- combattere i rischi alla fonte
- applicare provvedimenti collettivi di protezione piuttosto che individuali
- limitare al minimo il numero di lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio
- adeguarsi al progresso tecnico
- cercare di garantire un miglioramento del livello di protezione
- integrare le misure di prevenzione/protezione con quelle tecniche e organizzative dell’azienda.
- In merito alla programmazione degli interventi, le conclusioni desunte dall'identificazione dei fattori di rischio e dei lavoratori esposti, dell’entità dell’esposizione, della probabilità con cui possono verificarsi effetti dannosi e dell’entità delle possibili conseguenze, orienteranno le azioni conseguenti alla valutazione stessa.
- Un esempio di tale processo decisionale è riportato nella tabella seguente.
- Tabella 4
- Azioni conseguenti alle conclusioni possibili riguardo ai rischi
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- La valutazione delle misure di prevenzione e protezione non dovrà trascurare la verifica di idoneità e di efficacia di quelle già in essere e, progressivamente, di quelle via via adottate.
- Il piano di attuazione dovrà contemplare i tempi previsti per la realizzazione degli interventi, la verifica della loro effettiva messa in atto, la verifica della loro efficacia, la revisione periodica in merito ad eventuali variazioni intercorse nel ciclo produttivo o nell’organizzazione del lavoro che possano compromettere o impedire la validità delle azioni intraprese.
2.5 Contenuti del documento sulla valutazione dei rischi
- Il documento relativo alla valutazione dei rischi, obbligatorio per le sole aziende con oltre 10 occupati, è elaborato con il contributo delle diverse componenti presenti in azienda e riporta quanto è stato intrapreso o viene programmato in tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dovrà pertanto essere leggibile, sia per linguaggio che per esplicitazione delle tappe del percorso fatto. Secondo le indicazioni del legislatore, conterrà:
- i criteri adottati:
- in questa voce possono essere comprese indicazioni circa l’individuazione delle aree/posizioni di lavoro, dei compiti/mansioni dei lavoratori, di macchine/impianti/lavorazioni etc. oggetto della valutazione; standard di riferimento adottati; modalità con le quali è stata ottenuta la collaborazione degli esperti e la consultazione del rappresentante per la sicurezza; criteri seguiti per l’assunzione delle decisioni..., etc.
- le conclusioni della valutazione:
- è opportuno elencare i fattori di rischio presi in considerazione, per i quali la valutazione concluda circa l’assenza di rischio o comunque per la non necessità di prevedere ulteriori misure di prevenzione;
- per gli altri rischi, invece, saranno riportati gli elementi utili a stimare gravità e probabilità delle possibili conseguenze, nonchè l’identificazione dei lavoratori esposti e, se disponibili, i relativi livelli di esposizione;
- l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione definite in conseguenza della valutazione, nonchè delle attrezzature di protezione utilizzate;
- il programma di attuazione di ulteriori misure previste per migliorare nel tempo i livelli di sicurezza.
- Da notare, tuttavia, che per alcuni casi specifici sono previsti per legge adempimenti particolari o in fase di valutazione, o in fase di stesura del documento.
- Il documento di valutazione dei rischi ovvero l’autocertificazione deve essere tenuto a disposizione in azienda per la consultazione anche da parte dell'organo di vigilanza.
- Qualora l’imprenditore si avvalga della facoltà ex art. 34 per svolgere direttamente i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dovrà inviare all’organo di vigilanza competente per territorio una dichiarazione che attesti di aver effettuato la valutazione dei rischi, di aver redatto il conseguente documento previsto dall’art. 28, comma 2, ovvero l’autocertificazione di cui all’art. 29, comma 5.
- L’art. 29, comma 5 esonera le aziende che occupano fino a 10 addetti dall’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi, sostituendolo con l’obbligo di autocertificare l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati.
- Va sottolineato con estrema chiarezza che il disposto normativo non attenua minimamente l’obbligo per il datore di lavoro di procedere alla valutazione dei rischi (né, tantomeno, attenua gli obblighi preventivi), ma costituisce semplicemente un alleggerimento degli obblighi documentali e burocratici.
- E’ peraltro evidente che, una volta effettuata la valutazione, il datore di lavoro dovrà comunque procedere, per motivi aziendali ed organizzativi, alla stesura scritta di una sintesi conclusiva del percorso valutativo e delle misure adottate e da adottare. Quindi, in realtà, il documento di valutazione, anche se informale, ad uso interno, non giuridicamente dovuto, sarà sempre redatto.
- Per quanto poi attiene ai contenuti dell’autocertificazione, il testo della legge si presta a due diverse letture:
- una molto riduttiva e restrittiva, che in pratica consisterebbe nella pura e semplice dichiarazione di aver effettuato la valutazione dei rischi e di aver adempiuto agli obblighi conseguenti;
- una più estensiva e corretta, che individua nella autocertificazione una vera e propria sintesi (se pur molto sommaria) dei rischi valutati, delle misure adottate e di quelle previste per ulteriori miglioramenti.
Non spetta a queste linee guida sciogliere questo dubbio interpretativo, anche se a nostro avviso la seconda lettura del termine è maggiormente condivisibile.
2.6 la data certa
Tra le novità di rilievo contemplate dall’art. 28 del Dlgs. 81/2008 vi è quella di apporre sul documento di valutazione dei rischi la data certa.
Nell’anno 2000 il Garante per la protezione dei dati personali con il Provvedimento del 5/12/2000 - Misure minime di sicurezza fornì alcuni chiarimenti sulla data certa dell'atto previsto dall'art. 1 della L. 325/2000. In proposito, per quanto di competenza, il Garante osservava che tale requisito si collega con la comune disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, con quanto previsto dagli artt., 2073 e 2704 2705 del codice civile, i quali recano un'elencazione non esaustiva degli strumenti per attribuire data certa ai documenti, consentendo di provare tale data anche in riferimento a ogni "fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento"
La legge n. 325/2000 presuppone quindi che il documento in questione sia collegabile ad un fatto oggettivo attribuibile al soggetto che lo invoca, ma sottratto alla sua esclusiva sfera di disponibilità.
In questa prospettiva, senza pretesa di indicare in modo esauriente tutti i possibili strumenti idonei ad assegnare al documento una data certa, il Garante richiama l'attenzione dei titolari del trattamento sulle seguenti possibilità che appaiono utilmente utilizzabili:
- ricorso alla c.d. "autoprestazione" presso uffici postali prevista dall'art. 8 del d.lg. 22 luglio 1999, n. 261, con apposizione del timbro direttamente sul documento avente corpo unico, anziché sull'involucro che lo contiene ;
- in particolare per le amministrazioni pubbliche, adozione di un atto deliberativo di cui sia certa la data in base alla disciplina della formazione, numerazione e pubblicazione dell'atto;
- apposizione della c.d. marca temporale sui documenti informatici (art. 15, comma 2, legge 15 marzo 1997, n. 59; d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513; artt. 52 ss. d.P.C.M. 8 febbraio 1999). Il sistema della marca temporale basa la propria modalità di certificazione della marca temporale su un procedimento informatico regolamentato dalla legge italiana, che permette di datare in modo certo ed opponibile a terzi un oggetto digitale (file). La Data Certa è un servizio di certificazione temporale apposto, per es. tramite il servizio INFOCAMERE della Camera di Commercio che permette di datare in modo certo ed opponibile a terzi qualunque tipo di documento. Tra i profili probatori del documento informatico assume un'importanza fondamentale l'attribuzione della cosiddetta 'data certa' e cioè la prova della formazione del documento in un certo arco temporale o, comunque, della sua esistenza anteriormente ad un dato evento (art. 2704 codice civile). Nel tradizionale sistema di documentazione cartacea, l'attribuzione della data certa (efficace nei confronti dei terzi e non solo tra le parti) deriva principalmente dal riscontro di un'attestazione fatta da un soggetto terzo ed imparziale depositario di pubbliche funzioni. (autentica comunale). La marca temporale (digital time stamp) attesta infatti l'esistenza di un documento informatico (o meglio di un file informatico) ad una determinata data ed ora ('validazione temporale'). L'apposizione di una marca temporale produce l'effetto giuridico di attribuire 'ad uno o più documenti informatici una data ed un orario opponibili ai terzi' (art. 8 comma 1, e art 22, comma 1, lettera g, d.p.r. n. 445/2000) e, dunque, non solo efficaci tra le parti. La veridicità ed esattezza di una marca temporale, come per i certificati delle chiavi pubbliche si presume fino a prova contraria.
- Ricorso alla posta elettronica certificata. La posta elettronica certificata è il servizio di posta elettronica che fornisce al mittente la prova legale dell'invio e della consegna di documenti informatici. La posta elettronica certificata (PEC) è la trasmissione telematica di comunicazioni con ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna e avviene ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta e ha valore legale. La data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e alle relative regole tecniche. Nei casi di invio o ricezione di messaggi verso caselle di posta elettronica tradizionale, il sistema non può eseguire tutti i passi previsti dal circuito della posta certificata e non esplica tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente. Per tale ragione la trasmissione dei messaggi non ha gli stessi effetti legali di validità e opponibilità.
- apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile; formazione di un atto pubblico;
- registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico.
Fonte:
citazione per uso didattico da http://www.confcommerciopescara.it/Cgi-Bin/images/LINEEGUIDASICUREZZALAVORO.doc
Sito web da visitare: http://www.confcommerciopescara.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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