Voltaire vs Rousseau

 


 

Voltaire vs Rousseau

 

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Voltaire vs Rousseau

 

ROUSSEAU - VOLTAIRE

"Ho ricevuto il vostro nuovo libro contro la razza umana, e ve ne ringrazio. Non fu mai impiegata tanta intelligenza allo scopo di definirci tutti stupidi. Vien voglia, leggendo il vostro libro, di camminare a quattro zampe. Ma avendo perduto questa abitudine da più di sessant'anni, sento purtroppo l'impossibilità di riprenderla. Né posso mettermi alla ricerca dei selvaggi del Canada, perché le malattie a cui sono condannato rendono necessario per me un medico europeo, perché in quelle ragioni c'é la guerra, perché il nostro esempio ha reso quei selvaggi cattivi quasi quanto noi". 

Così nel 1755, Voltaire scriveva a Rousseau ("il pazzo pericoloso", così lo chiamava) per ringraziarlo dell'invio di una copia del saggio Discorso sull'ineguaglianza

"Vi odio perché così avete voluto, ma vi odio come un uomo ancora più degno d'essere amato, se voi lo aveste voluto. Di tutti i sentimenti di cui il mio cuore era pieno nei vostri riguardi, rimangono solo l'ammirazione innegabile per il vostro ingegno e l'amore per i vostri scritti. Se non c'é nulla in voi che io posso onorare oltre il vostro talento, non é colpa mia". 

Così nel 1760, Rousseau scriveva a Voltaire ("quel portavoce di empietà, quel bell'ingegno e quell'anima vile", così lo definiva), durante la polemica sulla moralità delle rappresentazioni teatrali. 

Le polemiche e gli scambi di invettive tra monsieur François Marie Arouet detto Voltaire (1694-1778) e monsieur Jean Jacques Rousseau (1712-1778), le due più significative figure della Francia del XVIII secolo, hanno fatto la delizia dei saloni letterari dell'Europa intera. Erano senza dubbio due personalità non fatte per essere attratte l'una dall'altra. Ancor oggi, a due secoli dalla loro morte, chi ama profondamente Voltaire non può amare Rousseau, e, inversamente, chi adora il "dio" Rousseau non può aver molta simpatia per l' "uomo" Voltaire, anche se sulla seconda possibilità non ho nessuna esperienza personale. La vita e le opere di Rousseau e Voltaire, così come le diatribe che li divisero per più di 50 anni, sono state analizzate in numerose opere. Rousseau ha lasciato una lunga biografia (Les confessions) in cui racconta la sua vita e i suoi burrascosi rapporti con Voltaire. Non so con quanto rispetto per la verità, perché scrisse Les confessions allo scopo preciso di mostrare "la trasparenza della sua anima" in un momento in cui lo si accusa di non aver seguito nella sua vita i precetti che propinava agli altri.


Per esempio, si accusava l'autore de La nouvelle Héloïse e dell'Émile d'aver abbandonato all'ospizio dei trovatelli i cinque figli avuti con Thérèse Le Vasseur. Anche Voltaire lasciò delle memorie (Mémoires pour servir à la vie de M. de Voltaire, écrits par lui-même) in cui descrive i suoi rapporti burrascosi e complessi con Federico II di Prussia. Anche lui scrisse le Mémoires per difendersi e vendicarsi di Federico di Prussia. È interessante ricordare che nelle sue memorie Voltaire introduce il concetto di "sincerità successive" (sincérités successives), ovvero verità successive, per definire il comportamento di un individuo che dice una cosa e ne fa più tardi un'altra, una persona insomma che con il tempo modifica la sua verità. Strano concetto, ma forse non troppo, per un pensatore che si opponeva all'innatismo cartesiano.

 La vita e la morte di Rousseau e Voltaire presentano dunque delle singolari analogie e la morte li unì per sempre, cosa che la vita non era riuscita a realizzare. Analogie, sia ben chiaro, che in nessuno modo possono essere viste come un tentativo di riconciliare dopo due secoli due personalità e due visioni del mondo nettamente diverse se non contrarie. Rousseau e Voltaire nacquero in differenti paesi ed ebbero diverse origini culturali, ma tutt'e due partirono giovani alla conquista di Parigi in cerca di gloria, onori e denaro: Rousseau quale musicista, Voltaire quale poeta. Era la Parigi del reggente duca d'Orléans e più tardi di Luigi XV, di Madame de Pompadour e della corte di Versailles; un giovane artista brillante e arguto, anche se non di origine aristocratica (Rousseau era di modeste origini), aveva la possibilità di essere introdotto a corte e ottenere i favori dei nobili e dello stesso re.

Ambedue raggiunsero notorietà e fama, anche se non ricchezza nel caso di Rousseau, ma per ragioni completamente diverse da quelle sperate.


Vi fu una folgorazione essenziale nella loro vita che determinò il loro futuro destino lungo un percorso completamente inopinato. Rousseau, l'inventore della sensibilità e dell'uomo naturale (sentimenti naturali non corrotti dall'educazione e dalle istituzione; religione naturale e non rivelata), e della volontà generale più importante della volontà individuale (volontà generale che rende possibile l'identificazione di un capo col destino di un popolo al di sopra di ogni volontà democratica: Robespierre, Mussolini e Hitler), nacque a Ginevra e fu elevato in un ambiente calvinista. Si convertì giovanetto al cristianesimo, più verosimilmente per convenienza che per convinzione, per riconvertirsi poi al calvinismo a 44-45 anni.
 Ebbe un'educazione sommaria e discontinua: era un mediocre musicista capace di suonare diversi strumenti e vivacchiava dando lezioni di musica ai buoni figli della borghesia. Lavorò, anche se per breve tempo, come impiegato all'ufficio del catasto della Savoia. La ragione che lo spinse a salire a Parigi é che aveva inventato un nuovo sistema di notazione numerica della musica, metodo che a suo giudizio avrebbe rivoluzionato la storia della musica rendendolo famoso. Ma l'Accademia delle scienze di Parigi giudicò il nuovo sistema interessante ma privo di ogni utilità pratica e Rousseau campò copiando spartiti di musica (con il classico sistema del pentagramma) e componendo musica di circostanza per cerimonie e feste. Compose anche un'opera, Le Muses galantes, che fu rappresentata senza ottenere il successo sperato, anche se gli procurò l'ammirazione di Richelieu.


Fu Richelieu che propose a Rousseau di ristrutturare un'opera musicale del celebre Rameau, La fête de Ramire, che doveva essere rappresentata a corte. Il problema era che il libretto era stato scritto dal famoso e bisbetico Voltaire. Il povero Rousseau, su consiglio dello stesso Richelieu, scrisse a Voltaire per domandare il suo consenso. Era la prima lettera che Rousseau indirizzava al futuro "portavoce di empietà" e il tono é completamente diverso dalle successive: "Monsieur Voltaire, sono 15 anni che lavoro per rendermi degno della vostra attenzione...". Voltaire dette il consenso e l'opera riveduta da Rousseau fu rappresentata a corte in presenza del Louis XV. 

Voltaire non si fece vedere e Rousseau ne fu profondamente deluso: il grande e beneamato Voltaire non sembrava interessarsi a lui. Malgrado i relativi successi (la sua opera Le Devin du village sarà rappresentata a Fontainebleau in presenza del re e della regina) e le amicizie importanti che si era fatto (Diderot, Grimm e il maresciallo di Luxembourg), Rousseau era insoddisfatto e disilluso: non voleva essere un musicista come tanti altri, era venuto a Parigi per rivoluzionare la musica o rivoluzionare qual cos'altro. Il lampo di genio avvenne nel 1749 (Rousseau ha 37 anni) quando l'Accademia di Digione indisse un concorso sul tema: "Hanno le scienze e le arti conferito dei benefici all'umanità?". Rousseau racconta che ebbe la rivelazione in un afoso pomeriggio della calda estate del 1749: in pochi minuti divenne un altro uomo e vide un nuovo universo. "Mi recavo a Vincennes per visitare Diderot che era stato imprigionato per aver scritto la Lettre sur les aveugles.....due leghe di cammino (pressappoco 8 chilometri) ....non avevo il denaro necessario per pagarmi una carrozza....camminando lessi l'annuncio dell'Accademia sul Mercure de France e tutto mi fu chiaro".

Aveva repentinamente compreso (forse a causa del caldo afoso o di una digestione difficile!) quello che doveva fare nella vita. Non più musicista, ma filosofo, pedagogo, teorico di politica, necessariamente avversario accanito di Voltaire suo idolo fino a poco primo. É proprio il fatto di diversificarsi dagli enciclopedisti e da Voltaire che lo rese famoso. Se lo fece per convinzione o, almeno all'inizio, per convenienza, nessuno lo potrà mai dire con certezza. Secondo un'altra versione, più verosimile e conforme all'ipotesi della convenienza (almeno iniziale), Rousseau fu interessato dalla proposizione dell'Accademia di Digione e cominciò a scrivere sostenendo la tesi dell'importanza dell'arte (non era lui stesso un artista musicista? Non aveva lui stesso scritto opere musicali e collaborato all'organizzazione di spettacoli musicali?). Ma un amico a cui Rousseau lesse il testo commentò che la sua dissertazione mancava d'originalità e che tutti i partecipanti avrebbero sostenuto la stessa tesi con più o meno i medesimi argomenti. Per vincere ci voleva qualcosa di più originale, capace di sorprendere i membri dell'Accademia per l'audacia della tesi, forse opporsi all'arte stessa (non era lui stesso nato in una famiglia calvinista, anche se più tardi si era convertito al cristianesimo? Non erano i calvinisti contrari agli spettacoli teatrali?). 

E questo fu il primo lampo di genio. Per la prima volta, Rousseau ebbe la percezione (se non la rivelazione) di poter essere originale, come l'avrebbe voluto essere nel campo dell'arte musicale con la notazione numerica degli spartiti musicali.


Sostenne la tesi contro l'arte corruttrice dei costumi, vinse il premio e divenne in breve tempo celebre in tutta Parigi. Fu il secondo e decisivo lampo di genio. Dal quel momento, Rousseau, confortato da questo suo primo successo intellettuale e mondano, passerà tutta la sua vita a sviluppare la sua idea iniziale, la preminenza del sentimento non contaminato dall'arte e dalla ragione (ragione cara agli enciclopedisti), applicandola alla pedagogia, alla sociologia, alla religione, alla politica e così via. "Là si trova quel tetro energumeno/ quel nemico della natura umana", verseggerà Voltaire. 

VOLTAIRE, l'autore de Le lettres philosophiques, Éléments de la philosophie de Newton, Siècle de Louis XIV, Essai sur les moeurs, Candide, La princesse de Babylone, Dictionnaire philosophique, L'affair Calas, Traité sur la tolerance e altro, nacque a Parigi ed ebbe un'eccellente educazione al più che famoso liceo Louis-le-Grand e poi alla facoltà di legge. Era profondamente cartesiano come tutti i giovani intellettuali dell'epoca. Voltaire, o meglio François Marie Arouet, non volle divenire avvocato o notaio come avrebbe voluto la sua famiglia, voleva conquistare Parigi e la corte del periodo della reggenza con i suoi versi e le sue tragedie. Voleva essere il grande tragediografo del XVIII secolo, il Sofocle dell'era moderna. 
Adottò un nuovo nome, Voltaire in sostituzione di Arouet, pubblicò alcuni poemi scandalosi che gli procurarono i primi fastidi ma anche notorietà, e letteralmente sfornò una serie di tragedie che furono rappresentate con un certo successo.
Uomo arguto e geniale, acquistò notorietà sia nel mondo letterario che mondano, il che non gli impedì di essere esiliato per un anno (il suo primo esilio) per aver scritto dei versi sugli amori tra il reggente Philippe d'Orléans e sua figlia la duchessa de Berry.

  "Quei versi non sono miei, - si discolperà -  sono troppo brutti. Mi si può accusare di tutto ma non di essere un cattivo poeta". Tornato a Parigi, riprese la sua vita mondana e divenne amico dei grandi nobili della società parigina; tanto che a soli 31 anni ottenne un vitalizio dalla regina. Ma la sua fama di scrittore non sarebbe certo sopravvissuta al suo tempo. Chi oggi legge tragedie come Oedipe, Artémire, Marianne, Brutus, Mahomet, Irene eccetera? La folgorazione per Voltaire avvenne nel 1726 (aveva 32 anni) e fu dolorosa, fisicamente dolorosa. Voltaire incontrò un giorno nel camerino di Adrienne Lecouvreur, la grande attrice dell'epoca, il cavaliere de Rohan, un giovane appartenente a una delle più nobili famiglie di Francia. Portava un gran nome ma era un giovane goffo e arrogante. In quell'occasione si rivolse a Voltaire con aria disdegnosa: "Arouet? Voltaire? Ma infine, avete voi un nome?". L'arguto Voltaire raccolse la sfida e rispose: "Mi chiamo Voltaire, un nome nuovo che ho già reso illustre. Voi portate un nome famoso e lo disonorate".

 Il cavaliere de Rohan non volle battersi in duello con un volgare poeta. Qualche giorno più tardi, mentre Voltaire era a cena dal duca di Sully, lo fece chiamare in strada e lo fece bastonare dai suoi lacchè. "Non bastonate troppo sulla testa" disse il Rohan osservando la scena dall'interno della sua carrozza, "potrebbe uscirne qualcosa di buono". Qualche giorno più tardi, il reggente, il duca d'Orléans, fece mettere Voltaire in prigione alla Bastiglia per proteggere l'illustre e potente famiglia Rohan da possibili vendette.

Per Voltaire fu un trauma sia fisico e morale: i suoi potenti amici lo avevano tradito, quegli stessi amici che tanto ammirava e per cui aveva tanto lavorato per esser degno della loro considerazione. Si era creduto un grande tra i grandi e non era che un poeta bastonato, in prigione come un volgare delinquente. Dopo qualche tempo il reggente lo fece scarcerare e l'obbligò a lasciare in poche ore la Francia. Fu trasportato a Calais e imbarcato per l'Inghilterra. Seconda svolta essenziale per il futuro di Voltaire: Parigi e la sua amata patria lo ricusavano, avrebbe amato l'Inghilterra, sua nuova patria d'adozione con tutta la forza della sua volontà ("Inghilterra, isola della Ragione"). 

La benamata società parigina diventerà molti anni più tardi in Candide una combutta di uomini ignoranti e maldicenti, insipidi e malvagi. Se il duca d'Orléans e il cavaliere di Rohan avessero potuto prevedere le conseguenze dei loro atti: un innocuo poeta divenuto filosofo sovversivo; la Francia invasa dalle idee sediziose di cui era piena l'Inghilterra, e questo grazie alla promozione del mancato notaio Arouet; l'effetto considerevole che queste avrebbero avuto sul decorso degli eventi francesi!

Ma non tutti i poeti bastonati sono dei Voltaire! Fu così che l'intellettuale cartesiano, il modesto poeta, il mancato Sofocle dell'era moderna, imparò in poche settimane l'inglese, venne a conoscenza della filosofia empiristica di LOCKE  ("la conoscenza deriva dall'esperienza, non ci sono idee o principi innati come sostenuto da Platone, dagli scolastici e dallo stesso Cartesio" ), si appassionò al lavoro di NEWTON che morì nel 1727 (Voltaire volle essere presente al suo funerale), fu presentato al re Giorgio I e al primo ministro Walpole, divenne amico di Swift (l'autore de I Viaggi di Gulliver), dello scrittore POPE, del commediografo Congreve, del fisico Gay, del filosofo Berkeley e molti altri. Ma anche se affascinato dall'empirismo e dal liberalismo inglese, trovò il tempo d'investire con profitto il suo denaro dai banchieri londinesi Medina e d'Acosta.

Liberalismo e profitto non sono antitetici. L'Inghilterra era a quel tempo una terra di libertà politica e intellettuale. Aveva fatto la sua rivoluzione contro tutto ciò che ancora c'era di medioevale, non solo nel campo della politica ma anche in quello della religione e della filosofia. Si era completamente liberata da tutto quello che si opponeva al progresso scientifico e che limitava la libertà sia religiosa che politica degli individui. 
Non più dogma e pregiudizi, non più arresti arbitrari e sottomissione dei giudici alla volontà del re (il che senza dubbio entusiasmò Voltaire). 

Gli inglesi non credevano più al monarca unto da Dio, avevano instaurato una monarchia parlamentare e ne erano fieri. Voltaire dirà che gli inglesi avevano "inventato un governo che aveva conservato quello che della monarchia era utile, e quello che della repubblica era necessario"
L'anno e mezzo passati a Londra cambiarono radicalmente Voltaire che decise di farsi promotore in Francia delle nuove idee. Inizia la compilazione delle Lettres anglaises, che pubblicherà con il titolo di Lettres philosophiques, (opera chiave del secolo illuministico, proibita al momento della pubblicazione perché "scandalosa, contraria alla religione, al buon costume e al rispetto dei potenti"), traduce in francese le opere di Newton, in breve, promuove le "idee inglesi". Voltaire dirà che Newton aveva sollevato il cattivo velo che per secoli aveva coperto la natura, l'aveva mostrata nuda e gli uomini ne erano diventati amorosi.

Anche se conserverà per tutta la vita la passione per il teatro (come scrittore e organizzatore di spettacoli), non farà più la corte ai potenti, ma prenderà le parti de "l'humanité" contro il "misantrope sublime": contro l'ingiustizia, la violenza, il fanatismo, i dogma, l'intolleranza religiosa e politica, e la somaraggine. Ed é questa la ragione per cui é considerato una figura preminente e rivoluzionaria della cultura francese ed europea, anche se, a differenza di Rousseau, non ha inventato nulla, sia nel campo della gnoseologia e dell'ontologia che in quello della pedagogia, della religione e della politica . 

D'altra parte, il suo messaggio resta quanto mai d'attualità alla fine del XX secolo e tutto lascia prevedere che lo sarà ancora nel secolo XXI. Molte altre sono le analogie fra Rousseau e Voltaire. Entrambi furono degli eterni perseguitati, costretti tutta la loro vita a fuggire, fuggire da Parigi, da Ginevra, da Berna, da Berlino e poi ancora da Parigi e così via. Entrambi perseguitati per le loro idee sia dai cattolici che dai protestanti, sia dalle monarchie assolute che dai governi borghesi. Tutt'e due furono aiutati da Federico il Grande, re di Prussia, libero pensatore, protettore degli artisti e artista lui stesso (Voltaire dovette molte volte correggere gli scritti di Federico, almeno fino alla sua fuga da Berlino. Si era scontrato anche con il re di Prussia!). 

Furono anche degli eterni malati immaginari, sempre in fin di vita: dei sopravvissuti, dei superstiti anche se Rousseau morì a 66 anni e Voltaire a 84. Rousseau a 50 anni cominciò a soffrire di qualcosa di reale, una mania di persecuzione che col passare degli anni si aggraverà sempre più per divenire vera follia alla fine della sua vita. Non litiga più solamente con i suoi nemici, ma anche con i suoi più cari e devoti amici: è convinto che tutti complottino contro di lui, dai gesuiti ai suoi amici Hume e Davenport che l'aveva accolto e aiutato durante il suo esilio in Inghilterra, da Grim a Diderot e d'Holbach. Tutti lo spiavano, persino il suo cane, perché "l'animale gli era troppo affezionato e c'era là sotto un mistero nascosto". 

Alla morte di Louis XV (1774) dirà: "C'erano in Francia due uomini ugualmente odiati: io e il re. Non ne resta che uno, e vedrete che erediterò tutto l'odio che i Francesi portavano al loro monarca. Vedete bene in che grave situazione mi trovo". Aveva paura che i suoi amici distruggessero la sua autobiografia (Les confessions) che desiderava fosse pubblicata dopo la sua morte in modo da rispondere alle accuse di cui era oggetto. Ne fece tre copie e le dette indipendentemente a tre persone che giurarono in nome di Dio di non distruggerle. Ma Rousseau non era ancora rassicurato, ne fece un'altra copia che lasciò sull'altare maggiore della chiesa di Notre Dame di Parigi. Il tutto accompagnato da una lettera: "Dio di giustizia e di verità, protettore degli oppressi, vi rimetto questo manoscritto compilato da un essere diffamato, oltraggiato, deriso, tradito da un'intera generazione..... Provvidenza eterna, la mia sola speranza é in te".

Penserà anche al suicidio e la sua morte resta ancor oggi misteriosa. Voltaire invece fu ossessionato da lassativi e clisteri, il che non é poi tanto inusitato per un uomo del XVIII secolo. Funzionò tutta la sua vita a un regime di almeno 10 purghe e 15 clisteri al mese. Pur non credendo a medici e medicine, provò tutti i rimedi in voga: la baume tranquille (balsamo tranquillo) del frate Aignan, la baume de Varenger, l'eau de Rabel, le acque di Plombière e di Forges, e sopra tutto le pillole fabbricate a Berlino dal cocchiere di un certo signor Stahl, pillole che gli procurava il buon Federico II. 

Nelle relazioni epistolari che per tutta la sua esistenza mantenne con i grandi d'Europa (re e imperatrici comprese) non mancava di raccontare i suoi malanni (le sue coliche) e domandare consigli: politica, filosofia e clisteri andavano per lui di pari passo. "Ho ricevuto dall'Inghilterra un apparecchio perfezionato per fare clisteri, un vero gioiello, un capolavoro dell'arte, scrisse un giorno. Potete nasconderlo in tasca e fare il vostro clistere dovunque vi troviate". Anche amore e coliche andavano di pari passo: "...la natura mi ha dato un cuore pieno di affetto ma si é scordata di darmi uno stomaco. Non posso digerire ma posso amarvi..."; "..sarò felice di avere finalmente la possibilità di incontrarvi (incontro galante), e questo malgrado la colica di cui soffro. Vi amo e vi amerò più che la mia vita stessa..". Aveva fatto anche adattare una delle sue carrozze in modo da poter soddisfare durante i viaggi il suo bisogno di clisteri. 

Nel 1758 Voltaire acquistò la proprietà di Ferney al confine tra Francia e Svizzera, pronto a fuggire in Francia o Svizzera secondo le necessità del momento. La sua villa sarà per vent'anni la meta dei pellegrinaggi di re, ambasciatori, filosofi e uomini di lettere venuti per intrattenersi con il recluso di Ferney. Ma sarà spesso Madame Denis a intrattenere i visitatori, Voltaire sofferente, apparirà alla fine della serata pallido, avvolto in una delle sue famose vesti da camera, affaticato dai malanni o dai troppi clisteri.

"Sono sofferente di almeno quattro malattie mortali", dirà un giorno a uno dei suoi visitatori che da più di due giorni attendeva per incontrarlo e avere l'onore di rivolgerli la parola. "Siete arrivato al momento giusto per assistere alla mia agonia, e alla mia morte se resterete ancora qualche giorno". "Ho interrotto momentaneamente la mia agonia per avere il piacere di venire a casa vostra a salutarvi", dirà un altro giorno a monsieur d'Agental. Ma malgrado gli acciacchi non gli mancò mai l'energia per polemizzare con gli eruditi del secolo e reagire con il dovuto vigore contro il fanatismo e l'intolleranza (il processo e la condanna di Calas, la faccenda Sirvene, la decapitazione del cavaliere de La Barre e l'affare del pastore Rochette). 

La vita sentimentale di Rousseau e Voltaire meriterebbe una lunga analisi, un lungo discorso che sarà fatto in altra sede. Nessuno dei due provò mai veri sentimenti d'amore e passione, né il sesso ebbe mai un posto importante nella loro vita. Rousseau che fu sempre convinto dell'inferiorità naturale della donna ("prive completamente di talento", "non sanno né sentire né descrivere il vero amore", "i loro scritti sono freddi e graziosi come loro stesse") cominciò la sua carriera, come lui stesso racconta, nel letto di Madame de Warens, una giovane vedova savoiarda di religione cattolica che lo accolse quando aveva 16 anni (la mia maman, la chiamava Rousseau che era rimasto orfano di madre nel suo primo anno di vita).

Rimase con maman per più di dieci anni e continuò a chiamarla maman anche quando entrò nel suo letto, che peraltro divise con il fattore della leggiadra vedova. "Quando il fattore morì, maman fu tutta per me e così i vestiti del fattore", racconta il moralista Rousseau che peraltro non spiega quello che più gli fece piacere, i bei vestiti o il letto tutto per lui. Secondo la sua autobiografia, le donne gli correvano dietro e furono la causa di non pochi problemi (ma questo é quello che lui stesso racconta alla fine della sua vita). 
Salito a Parigi, entrò nel letto di Thérèse Le Vasseur, una donna brutta e ignorante a detta dei suoi contemporanei, che sbrigava le faccende domestiche nella misera pensione in cui viveva. Fu legato a Thérèse per tutta la sua vita e la sposò 23 anni dopo il loro primo incontro. Mai Rousseau riuscì ad insegnarle a leggere e scrivere, o i nomi dei mesi e dei giorni della settimana, mai Thérèse imparò a leggere le ore sull'orologio o contare i soldi. "Una donna stupida ma con buone idee nei momenti difficili, per cui non ho mai provato il minimo sentimento d'amore", racconta Rousseau. Questo non gli impedì di fare con Thérèse 5 figli che il pedagogo Rousseau lasciò tutti all'orfanotrofio il giorno stesso della loro nascita ("non sarei stato un buon padre", si scusa) o di cercare inutilmente di sedurre la bella Madame d'Houdetot che l'aveva accolto con Thérèse nella sua proprietà. 
Forse ammirava in Thérèse la donna naturale non corrotta dal concetto di tempo e denaro, o dalla lettura di libri (come quelli che lui stesso scriveva?). Il fatto é che Rousseau impose la presenza di Thérèse ai suoi amici letterati, anche se lei preferiva le libagioni e la compagnia dei giovani garzoni di stalla. "Mi rendo ben conto che Thérèse non é fatta per vivere con me, ma é capace di preparare un brodo eccellente quando sono malato", scriverà Rousseau, e malato lo era frequentemente.

"Quella infernale ed ignobile strega / segue dappertutto quel macaco ambulante / come la civetta é unita al gatto schiamazzante / .../ nei loro piaceri godono repentinamente / del diletto di nuocere al genere umano", versificava Voltaire che aveva peraltro l'abitudine di negare d'essere l'autore delle pasquinate contro Rousseau o altri, anche se passò la sua vita a scrivere pasquinate. 

La vita sentimentale di Voltaire non fu meno singolare di quella di Rousseau. É stato detto che la marchesa de Rupelmonde fu per Voltaire la madre-amante, la marchesa de Châtelet la sorella-amante e Madame Denis la figlia-amante. Il che starebbe a significare che mai ebbe una vera amante. Il fatto é che mai la passione lo distolse dalle sue occupazioni o ebbe il sopravvento sull'amicizia. Quando a 21 anni scopre il suo amico Génonville nel letto della sua giovane compagna Suzanne de Livry, preferisce l'amicizia di Génonville al fascino di Suzanne. Quando a 54 anni scopre la sua cara Émilie (la marchesa Émilie de Châtelet) in colloquio più che intimo con il suo amico il marchese de Saint-Lambert (che era l'amante di Madame d'Houdetot per cui spasimava Rousseau... il mondo é piccolo), strepita e minaccia, ma si riconcilia la sera stessa con tutt'e due: ha bisogno sia d'Émilie che di Saint-Lambert. 
E quando qualche mese più tardi, Émilie scopre di essere incinta, Voltaire e Saint-Lambert di comune accordo organizzano un incontro romantico tra Émilie e il marchese de Châtelet (Émilie era sposata!) al fine di far credere all'ingenuo marito di essere il padre della prole in arrivo.

Purtroppo, Émilie morì 6 giorni dopo aver dato alla luce una bambina. Morì in presenza dei "tre compari": Voltaire, Saint-Lambert e il marchese de Châtelet. In articulo mortis, l'allampanata marchesa de Châtelet dovette compiacersi per aver suscitato la simultanea passione di tre uomini che ora al suo capezzale avevano differenti convinzioni sulla paternità della bambina. Voltaire mai perdonò a Saint-Lambert di essere la causa della gravidanza e in conseguenza della morte della sua égérie. Benché già infatuato della giovane e più che opulenta nipote Marie Louise ("ho avuto una primavera folle, un'estate tempestosa e un autunno languido, voi sola potrete addolcire l'inverno della mia vita"; "dò mille baci ai vostri seni tondi e al vostro posteriore conturbante" le scriveva), si mostrò in pubblico inconsolabile: "Saint-Lambert me l'ha ammazzata".

Voltaire era nondimeno un uomo di teatro e non poté resistere alla tentazione di raccontare per il teatro le piccanti avventure sentimentali e la morte della marchesa Émilie de Châtelet, opera teatrale che mai fece rappresentare nel timore di essere riconosciuto quale protagonista della vicenda. Non possiamo che rammaricarci per essere stati privati di una tale tragi-commedia che, conoscendo la valentia di Voltaire, doveva essere assai saporosa. Madame de Châtelet aveva 27 anni quando incontrò Voltaire (39 anni) appena tornato dal suo viaggio nell'isola della ragione, tutto eccitato per le nuove idee inglesi. "Era una donna grande, magra, priva di fianchi, dal seno minuscolo, dalle lunghe braccia, dalle grosse gambe, dai piedi enormi e dalla pelle simile a una grattugia per formaggio": questa la descrizione delle conoscenti, ma forse esageravano, un po' invidiose della sua relazione con l'illustre Voltaire. Nonostante tutto, Émilie de Châtelet era una delle più intelligenti donne della società parigina, interessata alla matematica, alla filosofia e alla chimica.

Visse con Voltaire fin quando ella morì 15 anni più tardi. Voltaire aveva bisogno di un ritiro tranquillo e lo trovò nel castello di Émilie a Cirey, aveva bisogno di una persona intelligente e colta che l'aiutasse nella sua opera, e Émilie fu più che un aiuto, fu la sua égérie. MADAME DENIS, di 18 anni più giovane di Voltaire, mai prese il posto lasciato da Émilie. Ma forse Voltaire a quell'epoca della sua vita non aveva più bisogno di una égérie, ma di una donna che si occupasse della sua nuova dimora, che potesse intrattenere i suoi amici e recitare nelle rappresentazioni teatrali che organizzerà alle Delices e più tardi a Ferney. 

Nata Marie Louise Mignot, Madame Denis era la figlia di Margherite Arouet Mignot, sorella di Voltaire. Aveva sposato a 26 anni monsieur Denis ed alla morte di questo, Voltaire, che aveva 56 anni, divenne il tutore e l'amante della giovane nipote. Sarà la sua compagna per 28 anni, fino alla sua morte nel 1778. Voltaire fu sempre convinto che Madame Denis fosse una donna arguta e spiritosa mentre gli amici la trovavano insipida, chiacchierona e maldicente (Federico II non volle che Madame Denis accompagnasse Voltaire a Berlino). Voltaire la credeva un'attrice di gran talento (superiore alle grandi attrici parigine), gli amici la trovavano brutta, grassa e mediocre. Madame Denis era chiaramente obesa e doveva contrastare con l'aspetto fisico di suo zio che era francamente pelle e ossa (una coppia ben assortita!).

Ma le avventure di Rousseau e Voltaire non terminarono con la loro morte (entrambi morirono nel 1778 a pochi mesi di distanza), non fecero che cominciare. E non parlo della storia delle loro idee ma della storia dei loro corpi, dei loro cadaveri. Gli ultimi quattro mesi della vita di Voltaire furono un'apoteosi, quale mai monsieur Arouet avrebbe potuto sperare. A 83 anni, ottenne finalmente l'autorizzazione di tornare a Parigi dopo 28 anni d'esilio (Turgot, l'amico dei liberali era divenuto ministro del nuovo sovrano Louis XVI). Il viaggio intrapreso nel febbraio 1778 fu un trionfo popolare: fu acclamato lasciando Fernay come a Bourg, a Digione e alle porte di Parigi. 
Prese dimora nel palazzo del marchese de la Villette, su la riva sinistra della Senna (lungosenna che porta oggi il nome di quai Voltaire), dove tutta Parigi venne a rendergli omaggio, aspettando ore e ore per essere ammesso alla sua presenza. Solo la corte lo ignorò. Il 30 maggio, Voltaire fu ricevuto all'Accademia di Francia che aveva in quel tempo la sua sede al Louvre. I membri dell'accademia vennero in corteo ad accoglierlo sul portone e gli offrirono all'unanimità la poltrone di presidente; i membri appartenenti al clero erano assenti, Voltaire era nondimeno il nemico della Chiesa. D'Alambert fece un discorso d'elogio per il genio di Boileau, Racine e Voltaire. 
La sera dello stesso giorno assistette alla Comédie Française alla rappresentazione della sua ultima tragedia, Irene. Una sua statua posta al centro del palcoscenico fu incoronata d'alloro e alla fine dello spettacolo Voltaire fu portato in trionfo dalla folla fino al palazzo de Villette. Una settimana più tardi, fu ricevuto come franc-masson dalla loggia delle Nove sorelle. Ma le condizioni di salute di Voltaire si deteriorarono sensibilmente: fu diagnosticato un cancro della prostata. Voltaire temeva di essere gettato nella fossa comune senza funerali, come era avvenuto all'attrice Adrienne Lecouvreur. L'abate Gauthier consultato domandò una dichiarazione scritta della sua fede cristiana, Voltaire replicò che non era venuto a Parigi per confessarsi.

Molte sono le versioni sugli ultimi giorni di Voltaire. Si dice che l'abate Gauthier gli abbia domandato: "Riconoscete voi la divinità di Gesù Cristo?". "Gesù Cristo? Gesù Cristo? Ma lasciatemi morire in pace", rispose il malato. Al che l'abate concluse: "Vedete bene che ha perduto la ragione". Ma Voltaire si sollevò sul letto per dire: "Sono un uomo morto!". Si dice anche che rispose all'abate Gauthier: "Gesù Cristo? Che in nome di dio non mi si parli di quell'uomo là. Lasciatemi piuttosto morire tranquillo". 

Più tardi, gli ambienti cattolici affermeranno che l'empio Voltaire ebbe un'agonia terribile e che vide il diavolo che veniva a prenderlo. "Più grande temperamento che gran genio / senza legge, senza morale e senza virtù / é morto come é vissuto / coperto di gloria e d'infamia", Pasquinò (forse) Rousseau.

 La morte di Voltaire, avvenuta il 30 maggio 1778 alle 10 di sera, fu tenuta segreta. Mentre la folla l'acclamava ancora davanti al palazzo de Villette e reclamava la sua apparizione al balcone, il suo cadavere veniva trasportato a tutta velocità verso Troys, una cittadina della Champagne a 160 chilometri a sud est di Parigi: per evitare lo scandalo della fossa comune, i suoi amici avevano deciso di far uscire da Parigi un cadavere "vivente". Fecero praticare in segreto un'autopsia da 3 medici, nella stanza stessa dove Voltaire era morto.

Il dottor Mithourt prese il cervello come parcella per il suo disturbo. Lo fece bollire e se lo portò a casa. Il marchese de Villette che era il padrone di casa prese il cuore che fece rinchiudere in un flacone d'argento ("il suo cuore é qui, il suo spirito é ovunque", farà scrivere sul flacone). Il cadavere fu poi imbottito, ricucito e rivestito con una lussuosa veste appartenente a Madame Denise; il cranio richiuso alla meglio e avvolto da un turbante. Il cadavere fu poi legato in posizione seduta sui cuscini di una carrozza tirata da 6 cavalli. Bisognava far presto, Voltaire era morto da due giorni e faceva caldo, cominciava ad appestare l'aria. Ai fianchi di Voltaire due servitori più meravigliati che altro: era ben morto o fingeva come d'abitudine? 

Alle porte di Parigi la carrozza fu fermata dai gendarmi che riconoscendo Voltaire lo salutarono, chiesero notizie ma rispose loro il silenzio... forse monsieur Voltaire sonnecchiava, pensarono i militari. Poi la corsa folle nella notte fino all'abbazia di Seillière, di cui era abate Vincent Mignot, nipote di Voltaire e fratello di Madame Denise. All'arrivo i servitori furono trovati privi di sensi: non avevano resistito alla paura, al caldo e al terribile odore che emanava il cadavere. Voltaire fu sepolto nella chiesa del convento ed ebbe un funerale sontuoso: tutti i membri della curia vollero celebrare una messa cantata in sua memoria. 

A Parigi gli rifiutarono una messa bassa, a Troys ebbe sei messe cantate! Rousseau, che aveva asserito di non poter vivere in tranquillità fintantoché Voltaire ("l'Arlecchino della filosofia") fosse in vita, morì improvvisamente e in condizioni misteriose a 66 anni, 33 giorni dopo la scomparsa di Voltaire (il 2 luglio 1778). Morì a Ermenonville, a una quarantina di chilometri a nord est di Parigi, dove si era ritirato nella proprietà del marchese de Girardin. Fu sepolto due giorni dopo, in privato e alle 11 di sera, nell'isola dei pioppi al centro del lago del parco d'Ermenonville.

Ma la storia di Francia seguiva il suo corso e così le avventure dei celebri cadaveri. Il 3 aprile 1791, la Costituente decise di sconsacrare la chiesa di Sainte Geneviève, eretta per volere di Louis XV, e di trasformarla in un tempio della Fama (Pantheon) che potesse accogliere le spoglie degli uomini illustri dell'era della libertà. Ad esservi accolte per prime saranno le spoglie di Mirabeau.

 Il 30 maggio 1891, esattamente 4 anni dopo la giornata trionfale di Voltaire all'Accademia di Francia e alla Comédie Française, l'Assemblea decise l'inumazione nel Pantheon della salma di Voltaire. Il trasporto fu effettuato l'11 luglio e fu per il filosofo la seconda apoteosi. La salma fu ricevuta alle porte di Parigi dal sindaco Bailly e attraversò la città in gran pompa: quasi 500 mila persone assistettero alla sfilata. In testa la cavalleria e poi il lungo corteo inquadrato dalla guardia nazionale con le spoglie di Voltaire su un carro tirato da 12 cavalli grigi (al disopra della bara una statua del filosofo). Il corteo sostò al Palais Royale, alla Comédie Française, all'Accademia di Francia e al palazzo de Villette. Partito a mezzogiorno da piazza della Bastiglia, il corteo arrivò al Pantheon a notte inoltrata (fu un funerale degno di un re!). Tre anni più tardi, nel 1794, la Convenzione decise il trasporto al Pantheon delle spoglie di Marat e di Rousseau. L'11 ottobre, la salma di Rousseau, accompagnata da una folla entusiasta, fu trasportata da Ermenonville a Parigi e inumata nel Pantheon proprio a fianco di quella di Voltaire.

I due nemici che durante la vita si erano incontrati una sola volta, erano destinati a restare per sempre insieme, e scambiarsi per l'eternità le loro pasquinate. Purtroppo non ci é permesso sapere quello che si dissero, ed é un vero peccato, sia per gli ammiratori di Voltaire che per quelli di Rousseau. Nel 1804, Napoleone Bonaparte si proclamò imperatore di Francia e riconsacrò il Pantheon che fu così reso al culto cattolico.

I due compari ricominciarono a dar fastidio ai benpensanti che cominciarono a protestare: "L'urna di Rousseau e di Voltaire vengano cacciate dal tempio di Dio". Ma Napoleone, da buon corso, fece finta di non capire: aveva ben altri problemi per la testa.
 Le cose si fecero più serie nel 1814 al ritorno dei Borboni: i royalistes erano furiosi: "Gli empi e gli anticristo hanno il loro posto nella fossa comune". Voltaire credeva forse in Dio ma era irreligioso, Rousseau credeva in Dio, ma pur essendo religioso criticava sia la religione cristiana che quella calvinista (malgrado i suoi numerosi atti di fede e le sue ritrattazioni).
 I benpensanti non attesero la decisione di Louis XVIII. Nel mese di maggio 1814, un gruppo di ultrà mise a segno il colpo di mano. Entrarono di notte nel Pantheon e in segreto asportarono dal sepolcro di marmo i resti di Rousseau e Voltaire che depositarono in uno stesso sacco. Il sacco fu trasportato con una carrozza al lungosenna di Bercy in un terreno privo di abitazioni, di proprietà dell'amministrazione di Parigi. Alle due del mattino il contenuto del sacco fu svuotato in una buca che fu poi riempita di calce viva. 

Fossa comune in terra non consacrata, il trattamento riservato alle spoglie degli empi. Sul quel terreno fu costruito più tardi il Mercato del vino (Les halles au vin) e negli anni 70 del nostro secolo, quando il mercato del vino fu trasferito nei sobborghi di Parigi, la facoltà di scienze di Jussieu. Una facoltà di scienze costruita sui resti dell'empirista Voltaire, il traduttore di Newton... la cosa non può essere che positiva sia per i professori che per gli studenti! Il fatto rimase segreto per molti anni, le tombe erano state lasciate praticamente intatte, ma il figlio di uno dei congiurati fornì tutti i dettagli del colpo di mano. Nel 1822, Stanislas Gérardin interrogò alla Camera il ministro degli Interni de Corbières per sapere se le tombe di Voltaire e Rousseau che si trovavano nella chiesa di Sainte Geneviève contenevano veramente le spoglie dei due uomini. Il ministro rispose in maniera affermativa e il deputato fu soddisfatto. 

Passò il regno di Louis XVII, di Charles X, di Louis Philippe e la repubblica del 1848. Nel 1852, Napoleone III divenne l'imperatore dei francesi. La chiesa di Sainte Geneviève ridiventò un tempio laico e vi furono sepolti i resti di Victor Hugo. Voltaire e Rousseau avrebbero potuto finalmente riposare in pace nelle loro tombe dove, tuttavia, non c'era più quanto rimaneva dei loro corpi. Ma la storia non é finita. Nel 1864, gli eredi del marchese de Villette offrono allo stato il cuore di Voltaire, e Napoleone III pensò bene di far mettere l'urna contenente il cuore nella tomba di Voltaire. Si aperse la tomba e la si trovò vuota: le voci che correvano da cinquant'anni erano purtroppo vere. Resta poi da vedere se Voltaire avrebbe preferito riposare al Pantheon in una tomba in marmo o a fianco di una colonna di cemento armato che sostiene la facoltà di scienze. 

Per terminare vorrei ricordare (la verità non é necessariamente conforme alla realtà) che nel 1878, esattamente un secolo dopo la morte dei nostri eroi e ai tempi della terza repubblica francese, una commissione presieduta dal senatore Hamel fu incaricata dal governo di indagare sulla presunta scomparsa dei cadaveri di Rousseau e Voltaire. Dopo le opportune indagini e visita delle tombe, la commissione concluse che le suddette tombe contenevano gli scheletri di Rousseau e Voltaire e rassicurò i visitatori del Pantheon: il Tempio della Fama accoglieva le spoglie degli uomini illustri dell'era della libertà, Rousseau e Voltaire inclusi.

 

Fonte: http://magikbox.altervista.org/sito/archivio/Voltaire_vs_Rousseau.doc

Autori: R.Nieddu-P.Sanna

 

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