Letteratura e società nell'età dei Flavi

 

 

 

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Letteratura e società nell'età dei Flavi

LETTERATURA E SOCIETÀ NELL’ETÀ DEI FLAVI

(69-96 d.C.)

Il  regno di Nerone, che aveva suscitato tante speranze, si era concluso nella catastrofe. Contro 1’ultimo dei Giulio-Claudi si era infine coalizzato un insieme di forze diverse: 1’aristocrazia senatoria, i ceti emergenti attenti alla tutela degli interessi economici, i provinciali, i comandanti militari; le legioni, fedeli ai propri comandanti. Lo sconvolgimento fu terribile, e 1’unità dell’impero vacillò paurosamente: nel giro di un anno si succedettero quattro diversi imperatori (Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano), ciascuno dei quali fece uccidere il suo predecessore.  Si ripiombò, dopo un secolo, nella guerra civile. Infranto 1’equilibrio del principato augusteo, si vide nel modo più chiaro che la fonte primaria del potere imperiale era ormai nelle legioni: 1’avallo del senato era necessario per conferire a un imperatore la legittimazione costituzionale, ma il senato non era in grado di imporre un proprio candidato.

 

Esaurimento della cultura senatoria

La strage di tanti cittadini eminenti operata da Nerone portò a un generale esaurimento di quell’ambiente aristocratico che era stato il nerbo della produzione culturale del suo tempo. Il senato di Vespasiano è profondamente mutato da quello neroniano: ha base sociale diversa (italici e provinciali) e diversa mentalità (ritiene ormai improponibile il ritorno all’antica res publica), per cui è sostanzialmente disponibile a collaborare con il potere, purché questo dimostri efficienza e serietà nell’amministrazione dello stato, dopo i disastri neroniani.
Questa società che cerca di ridarsi una base organizzativa e un solido assetto funzionale tende naturalmente a mettere da parte le provocatorie audacie della letteratura neroniana, e a ritornare alle forme consacrate come «classiche» della grande letteratura augustea.  E tendenze «neoclassiche» mostrano anche 1’architettura e la scultura promosse dal regime per dare a Roma un aspetto monumentale che richiamasse gli splendori augustei. Ma intanto la prima e più vistosa conseguenza del nuovo quadro politico e sociale sulla attività culturale è un nuovo brusco esaurimento delta produzione letteraria di alta qualità: dopo la morte di Seneca, Lucano e Petronio nei 25 anni che portano fino alla pubblicazione delle opere di Valerio Flacco, di Stazio, di Quintiliano, i soli scritti letterari latini importanti che risultino pubblicati sono i lavori eruditi di Plinio e gli epigrammi di Marziale.

 

La politica culturale di Vespasiano

Vespasiano si tenne, per personale attitudine e per opportunità politica, lontanissimo dal modello neroniano nei rapporti con la cultura: non praticava egli stesso la letteratura, non si circondava di letterati. AI modello di principe-artista proposto da Nerone egli contrappose un modello severo di principe, soldato e supremo responsabile dell’organizzazione politica e amministrativa dell’impero.
 Vespasiano si preoccupò d’altra parte di aspetti importanti della vita intellettuale, comprendendo che essa aveva ormai un posto organico nella compagine della società: di lui si ricordano fondazioni di biblioteche, premi generosi dati a poeti e artisti, e soprattutto privilegi per gli insegnanti e 1’istituzione di posti stipendiati dallo stato per professori di retorica latina e greca. Questo non significava uno sforzo sistematico di organizzazione pubblica dell’insegnamento, ma era comunque significativo di una nuova volontà di portare su un piano istituzionale il rapporto tra governo dello stato e mondo della cultura. Un rapporto che continuava a non essere facile: se con queste iniziative pratiche di sostegno alla cultura Vespasiano si guadagnò molti consensi verso il suo governo, egli si trovò però in tensione con gli eredi più determinati dell’opposizione stoico-senatoria a Nerone.
Già nel 71 Vespasiano aveva decretato un bando contro i filosofi (che probabilmente non aveva però carattere generalizzato, ma riguardava solo alcuni elementi più radicali), e sotto il suo regno fu esiliato e poi costretto alla morte lo stoico Elvidio Prisco, genero di Trasea Peto ed egli stesso indomabile erede della opposizione senatoria a Nerone. Furono comunque aboliti i processi per lesa maestà.
Se permangono diffidenze e tensioni tra potere e intellettuali, più caratteristici di questa età sono i casi di leale collaborazione: i più vistosi sono quelli di Plinio il Vecchio e Quitiliano.

 

La politica culturale di Domiziano: ritorno  alla  cultura-spettacolo

Pare che Domiziano non avesse autentici interessi per la cultura: tale era il giudizio di Svetonio. D’altra parte, impegnato a consolidare il potere, incentivò una produzione letteraria che celebrasse i fasti del regno o che comunque per la grandiosità dell’impegno artistico e delle forme potesse essere motivo di vanto per il regno. Di qui un rilancio della letteratura d’apparato, esibita in occasioni di grande risonanza spettacolare, quali i quadriennali giochi capitolini. La poesia torna così ad assumere ruoli e spazi cortigiani che le erano stati propri ai tempi di Nerone, e la produzione letteraria, stimolata da questi incentivi, e contemporaneamente sostenuta dalla continuazione della politica di Vespasiano a favore dell’organizzazione culturale di base (biblioteche, insegnamento), ha un notevole incremento.

Come già sotto Nerone, anche il mecenatismo privato sembra avere una ripresa, sulla scia di quello imperiale, che l’alta società esibisce come un dovere.  E, come vediamo soprattutto da Marziale, si tratta di un mecenatismo a volte misero, che offre per lo più agli scrittori solo 1’opportunità di vantaggi economici occasionali, senza dare mai la prospettiva di una vita serena, priva dell’assillo di preoccupazioni economiche.  Questa condizione ideale resta un mito che solo Mecenate aveva saputo realizzare per i suoi poeti.

 

La repressione della libertà individuale

Se gli anni di Domiziano danno comunque spazio a una notevole ripresa della produzione letteraria, sono vissuti dagli intellettuali come estremamente costrittivi di ogni possibilità di libera espressione. Si vedono perciò costretti all’alternativa tra un sofferto silenzio e la deliberata messa in gioco della propria vita.  Questo risveglia la reazione di una parte del senato, pur ormai innovato e in qualche misura «addomesticato», e risveglia un’opposizione intellettuale all’imperatore, ispirata ancora allo stoicismo. Personaggi che erano stati legati a Trasea Peto si assumono a loro volta il compito di affermare la dignità del senato di fronte al nuovo Nerone.
Secondo Tacito, 1’intera generazione che ha vissuto la sua maturità nel quindicennio domizianeo, nel quale Roma ha conosciuto il punto estremo del servaggio, ha dovuto trascorrere la parte migliore e più attiva della sua vita nel silenzio coatto. Tacito, Plinio il Giovane, Giovenale e altri autori attenderanno la morte di Domiziano, nel 96, per cominciare a scrivere e a far conoscere le loro opere.
La produzione poetica e oratoria è di carattere espressamente panegiristico: celebra sempre il grado più alto, la assoluta perfezione in campo militare, civile, morale; Domiziano è celebrato con  enfasi da Valerio Flacco, Silio Italico, Stazio ed è proclamato da Quintiliano il più grande di tutti. Gli viene riconosciuta senza remore una natura divina. Anche questa letteratura confermava il giudizio di Tacito che si era toccato il punto estremo del servaggio.  Ma il processo era iniziato già in età augustea e non si era mai arrestato: Domiziano aveva consolidato anche su questo piano l’apparato del potere monarchico, destinato storicamente a continuare.

 

Fonte: http://www.liceoxxv.it/didattica1/didattica/materiali%20per%20gli%20studenti/Et%C3%A0%20dei%20Flavi.doc

Sito web da visitare: http://www.liceoxxv.it

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