Positivismo Verga riassunto
Positivismo Verga riassunto
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Positivismo Verga riassunto
SGHERRI
I MALAVOGLIA : il senso del progresso nella prefazione, i valori del capitolo 1, il finale problematico.
Nella prefazione ai Malavoglia Verga espone la sua concezione del progresso, ponendo in risalto coloro che vengono sopraffatti dalla fiumana del progresso: i vinti. Questo perché Verga stesso risulta un vinto in quanto le sue opere, le opere di un intellettuale, soggiacciono alle leggi di mercato. Rispetto a Zola ha il termine comune della descrizione realistica, ma si distacca da questi poiché non si ha volontà di denuncia sociale inoltre si ha l’aspirazione all’eclissi dell’autore per rappresentare il mondo così com’è. Lo studio di cui si vuole far garante Verga è relativo ai vinti di ciascuna classe sociale, nella prefazione infatti dice “Questo è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini del benessere” .L’attenzione viene quindi rivolta da parte di Verga sul prezzo da pagare per il progresso, il cui motore nell’ambizione a voler stare meglio, ambizione che varia a seconda delle classi sociali in quanto può avere finalità materiali o di altra natura. Nel primo capitolo dei Malavoglia si ha un residuo di autenticità di valori, visti come primitivi, totalmente assenti nella società utilitaristica, arrivista, borghese in cui il germe della modernità risiedente nella volontà di voler star meglio al fine di migliorare la propria condizione sociale. I valori espressi in questo capitolo sono sotto la forma del proverbio, il primo che si trova è riferito all’elemento positivo della famiglia come valore di base in cui si ha ricerca di totale coesione “Padron ‘Ntoni soleva dire, mostrando il pugno chiuso, un pugno che sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro. Diceva pure – Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve fare da dito grosso e il dito piccolo deve fare da dito piccolo”. Dai proverbi emerge la struttura della famiglia ormai solida in cui risiede la forza dei Malavoglia. Vengono inoltre posti in evidenza i “motti degli antichi” ben noti a Padron ‘Ntoni, che costituiscono un nucleo di valori permanenti quali:“Perché il motto degli antichi mai mentì – Senza pilota la barca non cammina – Per far da papa bisogna saper far da sagrestano oppure Fa il mestiere che sai che se non arricchisci camperai”. Contravvenendo a quest’ultimo precetto sarà proprio Padron ‘Ntoni a condurre la famiglia verso una graduale disfatta, in quanto nella volontà di questo di diventare commerciante al fine di operare un avanzamento di classe sociale della famiglia viene contaminato dalla mentalità del progresso e così cede il baluardo, il centro nevralgico della struttura familiare che verrà così condotta al degrado. Nell’ultimo capitolo dei Malavoglia viene presentato un finale problematico poiché alla riconquista della casa del Nespolo viene controbattuto l’abbandono del paese da parte di ‘Ntoni. In virtù di questo finale vengono date diverse interpretazioni la prima è quella offerta da Luigi Russo secondo cui si coglie una particolare religione della famiglia e del lavoro, si ha quindi un finale positivo. Nella seconda interpretazione individuata da Barbari Squarotti si ha finale negativo perché ormai si ha passaggio ad un nuovo mondo, che costituisce un passaggio irrecuperabile infatti la casa viene riconquistata, ma la famiglia è ormai dispersa; Padron ‘Ntoni perde la sua validità poiché muore in una casa di riposo senza più forze, mentre ‘Ntoni si sente limitato nella realtà del paese in cui non si può realizzare. Ultima interpretazione è quella del Luperini secondo cui la bramosia dell’avere ha preso il soppravvento per cui si ha opposizione fra il mondo arcaico che vive in un tempo ciclico e ripetitivo in contrasto con la figura di ‘Ntoni che con questo mondo ha ormai chiuso giungendo inevitabilmente ad una condizione di isolamento ed esilio per aver valicato i limiti del mondo arcaico, ottenendone in cambio solitudine che è la conseguenza del progresso in quella specifica realtà. Il tentativo di mutare la propria condizione è come un tradimento che si paga con la perdita dell’innocenza; il ritorno al passato e agli antichi valori ideali non è più possibile per cui ‘Ntoni è assimilabile al mare che come lui non ha paese.
PALLADINO
ANALISI SOCIOLIGICA E VARIANTISTICA DI ‘ROSSO MALPELO’
Dal punto di vista sociologico la realtà che Verga analizza in “Rosso Malpelo” è la società borghese del meridione, afflitto dai problemi del brigantaggio e dell’arretratezza rispetto al Nord dopo l’Unità d’Italia.
In questa novella si nota come, intorno al 1880, l’autore sia influenzato dalle idee di alcuni esponenti del gruppo della Destra Storica. Nella rappresentazione infatti Verga attinge informazioni da due famose inchieste sul meridione: “Lettere meridionali” nel 1875 di Pasquale Villari, il quale attribuisce la colpa dell’arretratezza del Sud all’incapacità delle istituzioni politiche e “La Sicilia nel 1876 “ ad opera di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, docenti all’Università di Pisa e direttori della rivista “L’illustrazione italiana”, alla quale Verga aveva collaborato durante il suo soggiorno fiorentino, i quali denunciano inoltre la corruzione della classe dominante, lo sfruttamento dei “carusi” e identificano il problema fondamentale del meridione nella struttura latifondista dell’economia.
Temi propri della cosiddetta “Questione Meridionale” che si trovano in Rosso Malpelo, ma che già erano stati affrontati dalle suddette inchieste sono: la denuncia della classe dominante, l’ambientazione della novella in una cava di sabbia che ricorda il capitolo “Il lavoro dei fanciulli nelle zolfare siciliane” scritto da Franchetti e Sonnino ed infine la denuncia dello sfruttamento dei bambini e ragazzi dagli 8 ai 18 anni con orari di lavoro insopportabili ed ingiuste retribuzioni per il lavoro nelle cave.
Un altro elemento che lega il Verga alla fazione della Destra Storica è la seconda pubblicazione di Rosso Malpelo, su una rivista vicina a questo schieramento politico.
La novella viene prima pubblicata nell’agosto del 1878 in quattro puntate sul quotidiano romano”Fanfulla ”; a febbraio del 1880 sempre sul romano “Patto di fratellanza”, rivista curata da una Società Operaie di Mutuo Soccorso vicina alla Destra Storica e diffusa presso gli ambienti operai; a fine 1880 è inserita nella raccolta “Vita dei campi” ed infine è ripubblicata nel 1897.
L’edizione del 1880 rende chiaro come Verga in questo periodo si trovi vicino alle posizioni della Destra Storica, ma soprattutto rivolga la sua opera ad un pubblico di operai e borghesi. Questo tentativo dello scrittore siciliano sarà però un fallimento poiché di Rosso Malpelo saranno acquistate pochissime copie.
Nella novella del 1878-80 lo spirito moderato-riformista di Verga emerge dalla descrizione critica dell’ingegnere che è più colpito e interessato a seguire gli sviluppi della rappresentazione teatrale della morte di Ofelia, un personaggio dell’Amleto, rispetto a quella di Mastro Misciu, morto per guadagnare soldi lavorando a cottimo nella cava. La critica nei confronti della borghesia rappresentata dalla figura dell’ingegnere si fa aspra, tramite la tempistica dell’azione; passano infatti sei ore dal momento in cui apprende della disgrazia di Mastro Misciu a quando poi giunge alla cava.
Nell’edizione del 1897 invece la posizione del Verga subisce una variazione e con essa alcune parti della novella. Lo scrittore catanese non vede più un lieve riscatto per i vinti dalla società e la sua visione muta in un cupo pessimismo.
Il cambiamento si nota nella descrizione dell’ingegnere e nel comportamento tenuto da Rosso Malpelo dopo la morte del padre.
Nel primo passo la critica si fa meno aspra, infatti il tempo che impiega a raggiungere la cava è dimezzato e la scena è curata meno nei dettagli, dando in questo modo meno importanza al comportamento vergognoso dell’ingegnere.
Nel secondo si passa da un uso di toni compassionevoli e patetici proprio dell’edizione del 1878-80 a toni distaccati e generali in quella del 1897 che fanno apparire come normale scena di vita quotidiana la vicenda del ragazzo.
CALVARUSO
Il tema del TRENO e del PROGRESSO
Emilio Praga:
“La strada ferrata”
E' un'intellettuale appartenente alla Scapigliatura per questo una delle tematiche più interessanti da lui affrontate è quella del progresso in quanto questo è vissuto da tale gruppo di artisti in maniera ambivalente. Il progresso ed il positivismo, benché siano osteggiati dagli scapigliati, sono infatti il sostrato culturale su cui essi operano e grazie al quale si sviluppa la loro immaginazione, sono la fonte della loro ispirazione. Gli scapigliati, dunque, non sono intellettuali che negano il progresso: lo vivono in prima persona, anche se in maniera lacerante e dicotomica.
E questo scaturisce evidente nel testo di Praga “La strada ferrata”. Il progresso, nel testo, è simboleggiato dal treno che è descritto a sua volta come un uragano, quindi come una forza prorompente e impetuosa. Praga si sofferma poi nella descrizione delle sensazioni, dei punti di vista e dei pensieri che la povera gente di campagna ha nei confronti di questo stesso progresso-dalla descrizione di queste persone scaturisce inoltre la delusione scapigliata verso lo Stato unitario che non è stato in grado di migliorare le loro condizioni di vita arrivando addirittura a peggiorarle (“Che diran gli infelici cui preme la tremenda miseria del pane?E cui nulla concede il diman, nella vita, che affanni e sudor?”)-Questa povera gente,dunque, da una parte vive il progresso con ammirazione e stupore in quanto la forza del treno è pensabile solo come risultato di grande ingegno e ricchezza (“Veh!Coll'ora si fabbrica l'ale!Veh, se i ricchi le sanno pensar!); ma dall'altra questa se ne sente violentata perchè esso è sentito come qualcosa di innaturale in quanto porta l'inquinamento e la distruzione della natura. Ciò scaturisce in Praga attraverso l'effetto del fumo del treno sulla campagna e sul raccolto (“Sì,che è fumo,e ai vigneti fatale:la campagna di un soffio letale può colpir tutta vasta quant'è”). Il poeta non assume però un atteggiamento di derisione sprezzante verso queste manifestazioni di ignoranza: lui vuole infatti investirsi di una funzione pedagogica verso i contadini spiegando loro che il treno:
- Rappresenta il progresso
- Affratella le genti (“Questo fischio fugace gira il mondo e affratella a le genti”)
- Porta la pace (“Esso è l'arca novella di pace,che i futuri destini rinserra, non più stragi di popoli in guerra”)
- E' la liberazione dalla schiavitù del lavoro (“Non più schiavi di avaro lavor”)
Il messaggio di progresso del poeta contiene inoltre un'utopia interclassista in quanto ricchi e poveri si daranno la mano nell'innalzare l'edificio del progresso ( “Cultore e artigiano stesa ai ricchi la nobile mani insiem l'almo edificio alzeran”). Praga ritiene importantissima questa missione di propaganda alle plebi contadine perchè avrà tra i suoi effetti quello di portare all'emancipazione della “madri indifese” che saranno protette dalla legge.
Ma a questo punto emerge l'ambivalenza del poeta di fronte al progresso e all'industria perchè propagandarli è un obolo che egli deve pagare, un dovere che deve compiere in nome di un ideale
progressista astrattamente professato e in obbedienza ai miti correnti della sua età:l'inno alla società moderna è l'unico mezzo perchè il poeta non ne sia lasciato ai margini e non sia cancellato dal progresso in quanto negli anni successivi l'Unità d'Italia gli intellettuali hanno perso il loro ruolo primario di uomini impegnati in politica come lo erano nel periodo Risorgimentale. Il positivismo ed il progresso hanno infatti creato nuovi valori, quelli delle leggi di mercato e del denaro così che anche l'opera d'arte è diventata un oggetto da commercializzare e che si sviluppa in linea alle leggi della domanda e dell'offerta. Quindi il poeta non è più il vate della società, l'intellettuale portatore di valori e di ideali, ma un uomo per il quale la scrittura è diventata un lavoro da dover fare per vivere. Nel testo si legge infatti: “Ma poi pagato l'obolo”.
Il poeta dentro di sé risulta quindi lacerato perchè il suo cuore è altrove rispetto al progresso: affiora irresistibilmente la nostalgia delle bellezze naturali e artistiche del passato che la macchina sta distruggendo. E' scomparsa la figura dell'intellettuale umanista perchè non c'è più posto nella realtà per il bello disinteressato in quanto l'unico valore è l'economicità e la produttività. Il mondo moderno è solo bruttezza e squallore e ciò significa negare la vita stessa perchè il progresso distrugge anche tradizioni e costumi livellando indifferenziatamente tutti gli uomini. La bruttezza e lo squallore non sono rappresentati solo però come simbolo di realismo, ma anche per polemizzare contro il mondo borghese perbenista che predilige i canoni accademici di equilibrio e bellezza. I letterati scapigliati al fondo hanno quindi paura del progresso perche sentono che esso nega la loro stessa esistenza, se ne ritraggono inorriditi,fuggendo verso il passato,sede di valori che sono divenuti impossibili, e verso la natura incontaminata. Scomparsa la bellezza è scomparsa la poesia e quindi a questi poeti non resta che cantare la “fisica applicata”, cioè adattarsi al prosaico utilitarismo dominante. Questo è il motivo per cui nel testo il poeta si scusa con la Musa: lui non può più fare poesia aulica come si legge in “O musa mia perdonami se ti ho cosrtetta a far da moralista....La mission sacrosanta o musa è questa...Musa!E noi pingerem carta bollata e cantrem la fisica applicata” .
La contraddizione lacerante dei poeti scapigliati è data quindi da una parte dall'adesione forzata ai miti ufficiali della società presente, e dall'altra dal rifugio nei miti passatisti. E questo emerge nel testo anche sul piano metrico: la parte celebrativa e propagandistica del progresso è infatti in decasillabi-verso caro alla poesia civile del Romanticismo-; la parte in cui si esprime l'ambivalenza verso il presente e la nostalgia verso il passato è invece in un metro bizzarro e irregolare, più personale.
Giusue Carducci:
” Inno a Satana” e “Alla stazione in una mattina d'Autunno”
Affonda le proprie radici nella crisi storica dell'Italia postunitaria a cui lui reagisce però, anzi che con la drammatizzazione scapigliata o con il realismo verista, con il tentativo di colmare questo vuoto di valori, erigendosi a poeta-vate della società. Lui si è assunto il ruolo del restauratore ufficiale della cultura classicista, del rifondatore delle perdute tradizioni patrie, richiamandosi al patrimonio risorgimentale e dando alimento alle nostalgie di grandezza dell'Italia. Cantando il passato mitico e luminoso che rende orgogliosi gli Italiani della loro origine, Carducci cerca cioè di stimolarli a più degne e grandi imprese. Per questo lui si definisce l'alfiere dei classici.
Ma nonostante questo anche in lui il tema del progresso appare presentato in maniera ambivalente come emerge chiaramente dal confronto tra “Inno a Satana” e “Alla stazione in una mattina d'Autunno”.
Il primo dei due brani appartiene alla fase giovanile della produzione del Carducci, fase interessata da un indirizzo giacobino e anticlericale. Nel testo Satana non rappresenta una nuova divinità ma il progresso e questo perchè qui Carducci analizza questo tema a partire dalla definizione che la Chiesa ufficiale ne dava in quegli anni. Con il Sillabo del 1864, infatti, Papa Pio IX aveva condannato ogni aspetto della modernità come prodotto di Satana. Così Carducci, fortemente anticlericale nei suoi anni giovanili, adotta questa definizione ma rovesciandone polemicamente il significato. E qui dunque il poeta celebra Satana assunto in positivo come simbolo delle gioie terrene, delle bellezze naturali e artistiche, della libertà di pensiero, della ribellione ad ogni forma di dogma e dispotismo, del progresso della scienza. Si legge infatti nel testo: “Satana, re del convito”, “gitta i tuoi vincoli,uman pensier, Satana ha vinto”, “Passa benefico di loco in loco”. Questa concezione è contrapposta da Carducci a quella del Cristianesimo che negava la libertà, il progresso,mortificava la ragione con il dogmatismo e la gioia di vivere con l'ascesi. Nel testo il poeta mostra dunque come Satana trionfasse nel mondo pagano, come sia stato scacciato dal cristianesimo, tenuto in vita dagli eretici ed ora come abbia con il progresso di nuovo trionfato. Ed il trionfo del progresso è simboleggiato nel testo dalla locomotiva, motivo molto caro alla retorica del tempo (“L'irrefrenabile carro). Il progresso in questa fase della vita del poeta è visto quindi come qualcosa di decisamente positivo e ciò risulta ancora più evidente analizzando la grammatica cromatica del testo. Motivo fondamentale della poetica carducciana, infatti, è quello del contrasto tra luce e buio,tra calore e gelo, opposizioni che rappresentano la dicotomia tra vita e morte. La vita, sentita pienamente dal poeta, è identificata con il sole,invece la morte , affrontata energicamente, con il buio. Così il fatto che nel teso analizzato il treno sia accompagnato da aggettivi e sintagmi connessi a colori caldi e luminosi dimostra ancor più la visione positiva che il tale momento il Carducci aveva del progresso. Si legge infatti:”Corrusco e fumido come i vulcani..L'infrenabile carro del fuoco”.
In “Alla stazione in una mattina d'Autunno”, invece, la prospettiva è totalmente cambiata. L'opera è del 1876 e il Carducci ora è diventato gradualmente filomonarchico, filoclericale e crispino. Adesso il poeta non esalta più la modernità in tutti i suoi elementi positivi, ma bensì ne presenta l'altra faccia, quella dell'alienazione dell'individuo nella società borghese, della perdita d'identità dell'uomo moderno che si muove come un'automa tra macchine e ingranaggi, le persone sono come larve prive di personalità come fossero anime traghettate da un moderno Caronte (“Questa ravvolta e tacita gente? A che ignoti dolori e tormenti di speme lontana”, “I vigili com'ombre”). Il progresso rimane anche in questo testo simboleggiato dal treno (“Fischia la vaporiera da presso”, “Carri”, “Convoglio”,ecc) ma cambia la connotazione della simbologia: il treno è qui simbolo della modernità ma nei suoi aspetti negativi. Il treno è anche qui poi rappresentato come un mostro, ma invece di essere come nel testo precedente un “bello e orribile mostro..la forza vindice..” cioè un mostro ma in quanto potenza benefica,qui risulta essere un mostro che “sbuffa,crolla,ansa”, “un empio mostro”. Ora la modernità ha ucciso la bellezza, tutto è stato ridotto a banalità, il treno è diventato un simbolo inquietante perchè la modernità è arrivata tanto rapidamente da distruggere i valori tradizionali. E questo prende forza dal fatto che le figure sono presentate come pallide e quindi risultino spiritualizzate e collocate così in una dimensione di oltretomba, in una dimensione spettrale che si fonde con quella dell'Inferno dantesco che il testo recupera (“bianca faccia”, “candida fronte”, “pallor roseo”). Il fatto che nel testo il progresso sia visto negativamente prende poi forza dalla grammatica cromatica in quanto al treno sono accostati aggettivi e sintagmi scuri,bui (“La luce nel fango”-quindi la luce dei fanali si annulla nel fango-, “plumbeo il cielo”, “i carri foschi”., “nero convoglio”, “fioca lanterna, lugubre rintocco”, “immane pe'l buio”,”scompar nella tenebra”, “per tutto nel mondo è novembre”) mentre i toni chiare luminosi sono relegati al momento del ricordo,delle gioie passate e ormai perdute (“La bianca faccia”, “pallor roseo”, “fremea l'estate”, “giovine sole di giugno”, “baciar luminoso”, “sole”).
Dal confronto tra i due testi, soprattutto grazie al motivo della grammatica cromatica,e dalla lettura di “San Martino”, emerge così che la vera indole del Carducci non sia quella di essere l'alfiere dei classici, ma bensì quella Romantica. Il poeta sente romanticamente l'urgere di oscure inquietudini e angosce, che si incentrano intorno alla sua ossessione della morte, e per scacciarla evoca, come in una sorta di esorcismo, immagini solari, ma il tentativo risulta vano e l'angoscia della morte trionfa. Quindi l'ispirazione classica risulta essere solo un tentativo vano di esorcizzare il suo dissidio interiore ed è possibile supporre che tale classicismo sia presente in lui forse solo perchè era un professore universitario.
Verga
e il progresso
Esponente del Verismo italiano, non nega l'esistenza del progresso nella società ma non ha verso di esso la fiducia dei Naturalisti francesi, né la fede nella possibilità di un miglioramento della società dovute nei francesi all'adesione alla corrente filosofica del Positivismo. Come scaturisce evidente nelle “Prefazione ai Malavoglia”, il Verga non critica l'idea di progresso in sé che, anzi, condivide e considera come un cammino fatale e necessario, riconoscendo che nella società l'uomo è teso alla ricerca del meglio, dalle elementari esigenze di “ricerca del benessere” fino “alle più elevate ambizioni” in un “movimento incessante” che porta alla “conquista del progresso”. Il Verga ritiene che il progresso, visto da lontano e lento e inesorabile, sia un'ottima cosa; però lui non ne condivide l'ottimismo che gli si è costruito intorno: lui ne dà per contro un giudizio polemico e negativo in quanto ne analizza il lato oscuro, cioè quello che riguarda i suoi danni e le sue vittime. Il poeta costata che la ricerca del benessere ha rivoluzionato ogni ordine di valori lungo tutta la scala sociale. Neppure la campagna ne è rimasta esente: il suo patrimonio di saggezza arcaica e di valori ideali è stato messo irrimediabilmente in crisi dai nuovi imperativi del guadagno, della roba, del potere ed è così scaturita una convivenza feroce fondata sulla sopraffazione, su gerarchie determinate dal potere del denaro, norma a cui sottostanno anche gli affetti.
I protagonisti delle novelle delle raccolte “Vita dei campi” e “I Malavoglia” risultano così essere eroi rimasti ancorati agli antichi valori, ormai isolati nel contesto sociale e destinati alla sconfitta. I protagonisti delle opere del Verga risultano dunque essere i Vinti della società, cioè tutti coloro che il progresso ha sconfitto, a qualsiasi livello sociale. E di questa volontà è emblema la raccolta, mai terminata, de “ Il ciclo dei vinti”. Questa volontà, del resto, è l'inevitabile motivo che il poeta può cantare in quanto è egli stesso un vinto,in quanto le leggi di mercato hanno fatto si che le opere d'arte venissero mercificate e che l'intellettuale perdesse il suo ruolo di primo piano nelle società in quanto non più poeta-vate portatore di ideali. Quelle che il Verga rappresenta sono quindi le conseguenze negative del progresso, che risultano essere l'avidità, l'egoismo, le passioni meschine, una lotta spietata in cui i deboli soccombono. Ciò emerge fortemente nella novella “La roba” dove la smania di ricchezza e di potere del protagonista lo portano ad una sconfitta sul piano umano data dall'aridità interiore, dalla perdita di umanità, dall'impossibilità di vivere autentici rapporti personali e affetti sinceri.
Alla base di queste idee del Verga è necessario ricordare:
- Il materialismo naturalista dell'accademia catanese da lui frequentata per tutta la vita
- Gli studi del francese Bernard relativi al metodo sperimentale, la cui applicazione successivamente i naturalisti avevano allargato a tutti gli aspetti della società
- Il determinismo sociale di Taine che riteneva che il comportamento umano dipendesse necessariamente della compenetrazione tra tre fattori: ambiente, razza, momento storico. Bernard e Taine hanno portato così al materialismo sociale
- Le teorie evoluzionistiche di Darwin che hanno portato al darwinismo sociale causa in Verga del fatalismo e della rassegnazione: la selezione naturale è inesorabile e permette la sopravvivenza dei solo elementi più forti. Tale pensiero si radicalizza poi nella convinzione che le leggi di natura siano come le leggi della società e quindi ad esempio le tasse non diventano una colpa di chi le mette ma una sventura come se ci fosse stato un temporale. Per questo il poeta ha la convinzione che le rivoluzioni non possano avvenire, siano una mistificazione e siano inutili: in natura, infatti, non ci sono rivoluzioni.
- Ma il pessimismo del Verga scaturisce, oltre che dal Darwinismo sociale, anche dall'influenza che la corrente filosofica del Positivismo ha avuto sul poeta. I Positivisti, infatti, da una parte hanno sì un elemento ottimistico dato dalla fiducia nella scienza che avrebbe avviato un'evoluzione della specie più rapida e incisiva, quindi più adatta a far sì che l'uomo si adattasse meglio all'ambiente. Però gli stessi prospettavano anche un periodo in cui la forza avrebbe dominato sul diritto, la legge del più forte avrebbe dominato sulle leggi civili. Quindi , come si legge in De Sanctis, quando i positivisti esortavano ad essere realisti intendevano dire che era necessario imparare a vivere in un'epoca in cui la forza prevale sul diritto. E Verga è convinto che i positivisti abbiano ragione, quindi che sia necessario diventare integralmente pessimisti: il suo sforzo è quello di cancellare ogni traccia romantica dentro di sé e per far questo è necessario eliminare ogni traccia di ottimismo e criticare ogni ideologia, anche quella positivista.
Il pensiero del poeta relativamente al progresso risulta essere quindi legato strettamente al suo pessimismo.
BENVENUTI
Le correnti filosofiche e culturali
La cultura europea del secolo Ottocento è dominata dalla corrente filosofica del Positivismo, nata in Francia già nella prima metà del secolo ,che si contraddistingue per l’esaltazione del positivo( ovvero tutto ciò che è reale,effettivo; in opposizione al metafisico e astratto) e la celebrazione della scienza. Le idee-guida del Positivismo mantengono il primato politico e culturale della borghesia, classe sociale consapevole di essere la protagonista in un processo storico dettato dall’interazione tra scienza e lavoro umano. Tra i maggiori esponenti della corrente, emerge la figura del filosofo Auguste Compte che considera la scienza come guida della storia e della civiltà. L’ idea fondante del suo sistema consiste nel prendere atto dei successi della scienza e nell’assumerla a modello per qualsiasi altra conoscenza. Egli afferma che non c’è altra ragione valida, se non quella della scienza.
I capisaldi del Positivismo sono:
1) la fiducia incondizionata nella scienza, vista come unica possibile conoscenza esatta nel mondo;
2) l’efficacia del metodo sperimentale, applicabile non solo ai fenomeni naturali, ma anche ai fatti storici,sociali e psicologici,perché permette di studiare razionalmente i rapporti di causa-effetto che li determinano per poi giungere alla formulazione di leggi e meccanismi e quindi spiegarne i risultati che ne conseguono;
3) la fede nel progresso economico e sociale.
Nell’ottica positivista, la vita interiore e spirituale dell’uomo risponde ad un principio deterministico ovvero le stesse attività spirituali dell’uomo sono determinate da fattori fisici esterni, sono il prodotto necessario di forze materiali, secondo un rapporto meccanicistico di causa-effetto. Il più importante esponente è Hyppolite Taine. Egli afferma che il comportamento dell’uomo è determinato da tre fattori: il milieu ovvero l’ambiente in cui agisce; la race ovvero la razza a cui appartiene e infine il moment ovvero il momento storico in cui vive. Le teorie di Taine troveranno applicazione in campo letterario nell’opera dei naturalisti francesi,che ne derivano che lo scrittore debba comportarsi nei confronti dei suoi personaggi e della loro psicologia come uno scienziato,rigorosamente obiettivo e imparziale nell’osservare e descrivere un fenomeno naturale.
A rinforzare l’ideologia di Taine vi è quella della teoria dell’evoluzione prima intrapresa da Lamarck e dopo da Darwin.
Il darwinismo rappresenta una svolta epocale,perché liquida l’immagine statica della natura e suscita una riflessione profonda sulla posizione dell’uomo nel mondo. Risulta scandaloso perché:
1) ridimensiona l’intervento divino nella creazione e individua come leggi della natura la lotta per la vita e la selezione naturale;
2)indica che l’uomo deriva da esseri inferiori e ha antenati comuni con le scimmie.
NICCOLAI
ROSSO MALPELO: tecniche narrative: impersonalità, narratore popolare, meccanismo della regressione, stile mimetico-parlato, discorso indiretto libero
Tecnica dell’impersonalità
Con Verga viene superata la funzione guida dello scrittore all’interno della società , adesso il suo compito è quello di osservare disincantatamene le cose come sono per poterle ritrarle in maniera oggettiva. È come se l’autore si nascondesse dietro le quinte in modo che tutto risulti impersonale e pienamente autonomo dalla sua persona. Nella prefazione de “L’amante di Gramigna” Verga spiega l’utilizzo dell’impersonalità dell’opera: egli infatti dice che adottando questa tecnica tutto sarà così perfetto e realistico che l’opera sembrerà “fatta da sé” , come se fosse nata spontaneamente dalla natura.
Narratore popolare
Prima del Verga le principali tipologie narrative erano state quelle del narratore interno soggettivo, dove il narratore coincide con un personaggio della vicenda, e quella del narratore onnisciente (come nei promessi sposi) in cui il narratore è come un Dio che ha creato l’ambiente della narrazione ed è il regista che guida il lettore.
Verga invece preferisce la figura del narratore popolare il quale appartiene al solito piano sociale dei personaggi descritti e ne condivide le credenze e i pensieri.
Anche la lingua cambia in quanto assume la connotazione locale, con toni e costrutti ripresi dal parlato.
Secondo Verga questa tipologia è quella che rende meglio l’illusione del reale, poiché è come se i personaggi si raccontassero da sé senza passare dall’intervento del narratore, e di conseguenza sta al lettore individuare la morale.
Nella novella di Rosso Malpelo possiamo notare le caratteristiche del narratore popolare nella presentazione del protagonista in cui la voce narrante ha gli stessi pregiudizi e la stessa credenza popolare che accosta ai capelli rossi un carattere malvagio. Queste caratteristiche si possono riscontrare anche quando Malpelo mostra i suoi sentimenti nei confronti del padre e di Ranocchio, i quali vengono visti come un raffinamento di malvagità; oppure si possono individuare anche nel fatto che non viene mai nominato il vero nome del protagonista.
Meccanismo della regressione
Per regressione si intende il ritorno a stati d’animo risalenti a un periodo meno maturo della propria vita.
In Rosso Malpelo questo meccanismo lo si può riscontrare nel finale, quando il protagonista entra dentro la grotta della miniera e non ne fa più ritorno.
Questa regressione simboleggia il ritorno all’utero materno. Infatti la miniera era per Rosso Malpelo una sorta di madre in quanto ci aveva passato la maggior parte della sua vita, in più aveva questo sentimento nei confronti della miniera anche perché i rapporti con la sua vera madre non erano dei migliori.
Ma la regressione la si può riscontrare anche ne “L’amante di Gramigna”, poiché nell’impersonalità l’autore si estranea dalla narrazione e sparisce, affidando il ruolo di raccontare la vicenda a una voce interna, quella del narratore popolare. Così facendo l’autore regredisce dal mondo che lui stesso va a rappresentare
Stile mimetico-parlato
Utilizzando il narratore popolare, l’autore è costretto a lasciare alle spalle la lingua letteraria per favorire uno stile più realistico che imiti quello parlato nell’ambiente descritto.
Un esempio è quello che spesso, all’inizio di un nuovo capoverso, si riprendono parole che sono state usate per concludere il capoverso precedente.
Inoltre il vocabolario utilizzato dal narratore è quello proprio del popolo ed adotta esclamazioni enfatiche, o modi di dire proverbiali derivati dalla propria esperienza.
Discorso indiretto libero
Il discorso indiretto libero, già utilizzato da Flaubert e Manzoni, è un elemento caratterizzato dallo stile di Verga. Questo artificio letterario è una via di mezzo tra il discorso diretto e quello indiretto , consiste nella parafrasi di un discorso fatto da un protagonista in terza persona, rimanendo fedele alle espressioni usate dal protagonista stesso. Un esempio in Rosso Malpelo può essere : “gliela dessero a lui sul capo la zappa”. L’ indiretto libero crea un ambiguità tra ciò che dice il narratore e ciò che pensa il personaggio descritto. Dunque questo movimenta il racconto e lo arricchisce.
Nella novella presa in considerazione l’indiretto libero viene usato per illustrar il punto di vista di Malpelo nel racconto, il quale esprime i suoi sentimenti e i suoi sogni( come quando parla dei lavori che avrebbe preferito fare). Ma anche i commenti di disprezzo dei minatori nei confronti di mastro Misciu sono espressi con questa forma.
MIGLIACCI
DIVISIONE IN SEQUENZE ROSSO MALPELO
1° Sequenza (Descrizione fisiognomica): A causa della capigliatura rossa, simbolo popolare di cattiveria e maliziosità, viene chiamato col nomignolo Malpelo. Presentato come un monello, così isolato da diventare quasi selvatico come un’animale (“un can rognoso”)è costantemente picchiato (“lo accarezzavano coi piedi”) e sfruttato (“si lasciava caricare meglio dell’asino grigio”). Conserva il posto nella cava di rena rossa perché il padre era morto sul lavoro.
2°Sequenza(Morte del padre) :Il padre di Malpelo, detto Misciu Bestia perché svolgeva i lavori peggiori (“l’asino da basto”), aveva preso a cottimo un lavoro pericoloso nella cava (“un magro affare”)e svolgendolo una grande quantità di rena era crollata e l’aveva sommerso. Chiamato l’ingegnere che dirigeva i lavori (che si trovava a teatro) e arrivati sul posto, i minatori avevano constatato che ci sarebbero volute settimane per sgombrare la zona e se ne andarono(“l’ingegnere se ne tornò a veder seppellire Ofelia”). Alcuni si accorsero di Malpelo che scavava nella terra a mani nude (“le unghie gli si erano strappate”) stravolto,tanto che “dovettero tirarlo via a viva forza”.
3°Sequenza(Atteggiamento dopo la morte) :Dopo la morte del padre Malpelo ritorna alla cava accompagnato dalla madre, più triste (“non mangiava quasi”) e più cattivo (“pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo”), non soltanto con l’asino grigio (“sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo”),ma anche nei confronti degli altri ragazzi (“era addirittura crudele”).
4°Sequenza(Rapporto con Ranocchio) :Stringe un legame ambiguo con un nuovo ragazzo, soprannominato Ranocchio per il suo arrancare (“sembrava ballasse la tarantella”) dopo caduta che, fratturandogli il femore,gli aveva impedito di continuare a fare il manovale. Malpelo gli trasmette insegnamenti di vita attraverso proverbi (“L’asino va picchiato perché non può picchiar lui”) e con un comportamento duro (“lo tormentava in cento modi”). Malpelo nella cava viene picchiato e vive in condizioni disumane (“colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro”).
5°Sequenza(Rapporto con i familiari):Ritorna a casa solo il sabato sera per portare la paga,sporco e malmesso;la sorella,spaventata dall’impatto che può avere sul suo fidanzato lo scaccia e la madre si trova sempre da una vicina. La domenica non va a messa,ma evita gli altri ragazzi (“le beffe e le sassate non gli piacevano”) e vaga per gli orti da solo. L’ambiente della cava è quello che più gli si adatta (“sembrava fatto apposta per quel mestiere”).
6°Sequenza(Volontà di Malpelo) :Per Malpelo la cava è un “intricato labirinto di gallerie”.Fin da bambino aveva conosciuto “quel buco nero” grazie al padre e proprio perché quello era il mestiere del genitore,anche lui era nato per quel lavoro. In realtà avrebbe voluto “fare il manovale e lavorare cantando sui ponti”,oppure il carrettiere o il contadino “che passa la vita fra i campi,in mezzo al verde”.
7°Sequenza(Ritrovamento del corpo del padre) :Viene ritrovata una scarpa di Mastro Misciu e il ragazzo con “la paura di veder comparire anche il piede nudo del babbo” va a lavorare in un altro punto della galleria. Qualche giorno dopo viene rinvenuta la salma e i minatori scoprono che l’uomo “aveva le mani lacerate e le unghie rotte”,segno che non era morto subito. Il cadavere viene tolto dalla cava (“al modo istesso che lo sbarazzava dalla rena caduta”)e i vestiti adattati dalla madre a Malpelo.
8°Sequenza(Rapporto con gli oggetti del padre) :Malpelo instaura un rapporto particolare con gli oggetti del padre: liscia i calzoni di fustagno “dolci e lisci come le mani del babbo”; tiene le scarpe lucidate appese a un chiodo. Utilizza la zappa e il piccone,”quantunque fossero troppo pesanti per l’età sua” e non vuole venderli.
9°Sequenza(Morte dell’asino grigio):Muore l’asino grigio e Malpelo porta Ranocchio a vedere il cadavere nella sciara dove era stato buttato; l’asino non soffre più anche se i cani ne spolpano le carni e “se ne ride dei colpi”dei minatori. Per il ragazzo “se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”.
10°Sequenza(Confronto con Ranocchio):Malpelo si confronta con Ranocchio;il primo,in quanto minatore, preferisce il buio e critica la paura del secondo per i pipistrelli,legata al lavoro all’aperto di manovale.Inoltre si scontrano la visione religiosa di Ranocchio(“lassù c’era il paradiso,dove vanno a stare i morti”) e quella atea di Malpelo.
11°Sequenza(Morte di Ranocchio): Ranocchio si ammala;Malpelo “rubò dei soldi dalla paga per comperargli del vino e della minestra” e lo aiuta nei momenti in cui sputa sangue e è colto dalla febbre. Al momento che il ragazzo non viene più a lavorare lo va a trovare ed è stupito della disperazione della madre per un figlio che “da due mesi non guadagnava nemmeno quel che si mangiava”. Muore Ranocchio.
12°Sequenza(Episodio dell’evaso): Arriva nella cava un evaso che incuriosisce Malpelo e che dopo poco tempo “dichiarò chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa” ,preferendo ritornare in prigione. Un minatore prevede per Malpelo che nella cava “ci lascerai le ossa”.
13°Sequenza(Scomparsa di Malpelo): Viene deciso di esplorare un passaggio che avrebbe velocizzato il lavoro,ma la cui perlustrazione era pericolosa,tanto che “nessun padre di famiglia voleva avventurarvisi”. Malpelo si offre volontario,rimasto solo dopo i matrimoni della madre e della sorella e il loro trasferimento in altre città(“ s’ei non aveva riguardo alcuno,gli altri non ne avevano certamente per lui”). Perciò “prese gli arnesi di suo padre…e se ne andò:né più si seppe nulla di lui”. Malpelo diventerà una leggenda della cava.
ROCCHI
INTERPRETAZIONE SIMBOLICO PSICANALITICA DI ROSSO MALPELO
L’interpretazione simbolico-psicanalitica di Rosso Malpelo si articola in vari punti fondamentali, primo fra tutti il comportamento di Malpelo che subisce un’evidente evoluzione nel corso della novella. Inizialmente il protagonista è vittima di un forte straniamento rispetto al resto della collettività, rilevato dalla figura del narratore popolare che appunto esprime il punto di vista della comunità nel raccontare la vicenda. In seguito si riconosce il coinvolgimento diretto del protagonista i cui pensieri sono espressi con il discorso diretto (“Anche con me fanno così!..ei non faceva così!") che diventa un mezzo fondamentale per comprendere l’evolversi del pensiero di Malpelo. Questo parte dall’affermazione dell’ideologia materialistica, che prevede la concezione della vita ridotta a lotta per la sopravvivenza (riscontrabile nel comportamento di Malpelo nei confronti di Ranocchio; il primo cerca di educarlo alla sopravvivenza attraverso la aggressività) e che giustifica l’uso della violenza, che è percepita, oltre che necessaria per la sopravvivenza, efficiente come metodo per farsi rispettare (“se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi: così gli alti ne avranno conto, e ne avrai tanti di meno addosso”). Man mano che il rapporto con Ranocchio si rafforza, Malpelo sembra diventare sempre più consapevole della sua condizione e si volge sempre di più a figura d’intellettuale fino a sviluppare una chiara concezione della morte, percepita come unica alternativa dell’uomo nei confronti della sofferenza della vita (“ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”). La filosofia di Malpelo raggiunge l’apice alla fine della novella, quando egli approda a una visione atea e antireligiosa della vita (Malpelo contraddice la convinzione di Ranocchio dell’esistenza del paradiso). E’ da sottolineare che l’evoluzione del protagonista è causata in primis dalla volontà di razionalizzare la sua esclusione affettiva e sociale. Il rapporto con il padre è un altro punto fondamentale di quest’interpretazione e anch’esso subisce una trasformazione; il legame tra i due è ottimo fino alla morte del padre che accresce in Malpelo senso di colpa giacché lui, contrariamente a mastro Misciu, riesce a salvarsi. Il senso di colpa viene digerito in seguito con la rielaborazione del lutto riscontrabile nel rapporto feticista del ragazzo con gli oggetti del padre (“Malpelo se li lisciava sulle gambe quei calzoni di fustagno…se ci avesse lavorato cento e poi cento anni”); la rielaborazione porta all’identificazione del primo con quest’ultimo, un’identificazione non priva di contraddizione. Difatti i due discostano da un punto di vista ideologico: Malpelo non sopporta la sottomissione del padre nei confronti dei superiori e ciò si riscontra nel suo interesse ad educare Ranocchio affinché possa, seppur attraverso la violenza, imporsi sugli altri, cosa che Mastro Misciu non aveva intrapreso con lui. Si evidenzia quindi un rapporto d’identificazione ma al contempo di distacco tra di due personaggi. Se il rapporto col padre risulta essere quello più evidente nella novella, non meno importanti sono i rapporti di Malpelo con altri personaggi, fra cui quello con la madre, con la sorella e con Ranocchio, che sono stati analizzati da Carlo Muscetta; egli evidenzia come Malpelo creda nella cattiveria della madre visto la sua mancanza d’affetto (l’unico gesto affettuoso della madre è legato all’interesse per il denaro) verso cui nutre delusione ma
anche senso di colpa che cerca di combattere dandole il proprio salario. Con la sorella c’è invece rapporto di amore-odio combattuto tra la rivalità per l’affetto dei genitori e lo spiazzamento di fronte al suo interesse per lui che lo portano a sentirsi ancor più solo
quando lei si sposa. Soprattutto nel rapporto con Ranocchio si identifica una sorta di
masochismo morale caratteristico del protagonista; egli sembra incapace di non provare
altro che odio verso di sé e questa volontà di sofferenza si trasforma in orgoglio che lo porta ad accettare il ruolo di cattivo che gli viene affibbiato visto che non è in grado di provare altro che abiezione e sofferenza per la propria persona. Digerisce il rapporto con la madre come fosse conseguenza di una propria scelta, e tramuta in disprezzo per la madre di Ranocchio l’invidia che in realtà prova per il rapporto che c’è tra i due. Ma alla morte di Ranocchio qualcosa si spezza, perché il ragazzo era l’unico su cui aveva riversato quel poco d’amore che era capace di provare (oltre che per gli oggetti del padre) e ciò, aggravato dalla piena coscienza di Malpelo sia della sua inferiorità sociale (dopo il dialogo con l’evaso), sia dell’impossibilità di cambiare la propria condizione, secondo Muscetta, lo porta ad accettare il lavoro, che termina con la sua scomparsa, come volontà di autodistruzione. Sul finale della novella ci sono varie interpretazioni: la prima considera la scelta di accettare la missione come sconfitta (morte come unica alternativa alla sofferenza della vita), la seconda sottolinea l’eroismo della scelta che ha come conseguenza la denuncia e la ribellione nei confronti della propria condizione, l’ultima ipotizza il proposito di rientrare nell’utero materno, in una situazione di vita pre-natale. Altro punto dell’interpretazione simbolico-psicanalitica è il meccanismo dell’antifrasi, traslazione retorica del “Verneinung” Freudiano. Questo consiste nella “negazione”, che Freud interpreta come una forma di rimozione la quale provvede a eliminare l’emergere di una verità inconscia che la razionalità sente il bisogno di negare. La verità sta quindi in ciò che viene negato in modo risoluto. In Rosso Malpelo l’antifrasi è molto presente e porta a percepire il personaggio di Malpelo come un personaggio buono, seppur l’autore sembra volerlo passare per una figura del tutto negativa (“Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vedersi davanti”, “Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso e selvatico”). La verità che il Verga voleva reprimere è stata da molti percepita in una sorta di masochismo dell’autore, al contempo impaurito dal personaggio di Malpelo, poiché consapevole della sua portata rivoluzionaria da un punto di vista sociale (vicina al nascente socialismo da cui Verga si distaccava), ma anche attratto dallo stesso, che raffigura lo spirito romantico della sua età giovanile. Ultimo punto fondamentale di questa interpretazione è il rapporto tra colori e personaggi; i colori principali sono il rosso, il grigio e il nero. Naturalmente il rosso rappresenta il personaggio di Malpelo e soprattutto la trasgressione e la passione che lo caratterizzano, il nero raffigura l’oscurità delle gallerie della cava, (nero come anti-morte); infine il grigio, il non colore per eccellenza rappresentativo del nulla, che distingue l’asino (“il Grigio”) e anche gli occhi di Malpelo quasi a significare la medesima condizione di entrambi, alla fine, ossia un’inesistenza sia fisica che spirituale.
BALINZO
Quadro storico-economico dell’Europa e dell’Italia nel secondo ‘800
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta dell'Ottocento l'Europa fu coinvolta dalla seconda rivoluzione industriale, causata soprattutto dalle nuove scoperte tecnologiche, e fu quindi protagonista di un periodo di sviluppo economico. Tuttavia a partire dagli anni settanta il mercato non riuscì ad assorbire le enormi produzioni delle industrie provocando una sovrapproduzione che portò alla crisi delle aziende. La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dallo sviluppo dei settori meccanico e siderurgico. L'imprenditore fu sostituito da società che fornivano i grandi capitali necessari allo sviluppo industriale. Crebbe il ruolo strategico delle banche in quanto erano in grado di procurare enormi investimenti per lo sviluppo delle imprese. Inoltre la seconda rivoluzione industriale portò l'Europa ad una nuova organizzazione del lavoro facendo nascere la produzione a catena,dove il singolo lavoratore eseguiva le minime operazioni sempre uguali per molte ore. In questo modo aumentarono le produttività delle industrie, ma al tempo si provocò l'alienazione dei lavoratori. Lo sviluppo industriale dell'Europa scaturì innanzitutto dallo sviluppo tecnologico che rendeva possibile l'utilizzo di nuove materie prime, in particolare l'acciaio, e inoltre consentiva lo sfruttamento di energia elettrica e del petrolio. Tuttavia la ripresa economica fu anche prodotta dall'espansione coloniale intrapresa dai paesi europei, gli Stati Uniti e il Giappone tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento con lo scopo di ampliare il mercato e di acquisire materie prime necessarie alle industrie a basso costo.
L'industrializzazione e l'affermarsi del sistema capitalistico causarono la nascita di conflitti tra borghesia e proletariato. I lavoratori erano costretti a condurre un'esistenza ai limiti dell'indigenza e progressivamente divennero coscienti di poter assumere una condizione autonoma nella gestione dei contrasti politici e sociali. I proletari quindi iniziarono a coalizzarsi in associazioni sindacali o partitiche nel tentativo di opporsi ad un potere politico ed economico visto come un nemico.
Nel secondo Ottocento in Europa si modificano gli equilibri politici: L'Inghilterra, sotto il comando della regina Vittoria dal 1837 al 1901 rafforzò la sua potenza economica e politica diventando lo stato più potente del mondo; La Germania, unita sotto la guida del cancelliere Bismarck nel 1871, diventç la potenza egemonica dell'Europa continentale. L'Italia, ottenuta l'unità nel 1861, dovette affrontare gravi problemi connessi all'organizzazione di un territorio che per secoli fu caratterizzato dalla frammentazione e dall'arretratezza economica. In particolare si fece evidente il divario tra il Nord, più avanzato economicamente e avviato in un processo di industrializzazione, e il Sud, ancora esclusivamente agricolo. L'Italia sul piano economico era uno stato prevalentemente agricolo, infatti le industrie erano ancora poco sviluppate e concentrate al nord Italia, e tuttavia la stessa agricoltura mostrava segni di arretratezza. Inoltre le infrastrutture erano inadeguate: le reti ferroviarie, le strade, le strutture sanitarie e le scuole erano carenti in tutta l'Italia, ma in particolare tali strutture erano più insufficienti al Sud rispetto che al Nord. L'80% della popolazione italiana era analfabeta e sia a Nord che a Sud gli italiani erano esposti a malattie e denutrizione. L'introduzione del servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini maschi aggravò le condizioni del Meridione in quanto le famiglie venivano private dei giovani indispensabili nel lavoro dei campi. Il malcontento della grave situazione italiana sfociò nel sud con il fenomeno del brigantaggio con risultati negativi in quanto invece della risoluzione dei problemi si accentuò la divisione tra Nord e Sud. Nel 1876 la sinistra storica, sostituendo la destra, attuò un programma più audace, in quanto l'istruzione elementare divenne obbligatoria con la legge Coppino, il diritto di voto fu ampliato a tutti i cittadini maschi alfabeti e dotati del reddito minimo stabilito dalla legge.
MARIOTTI
ROSSO MALPELO Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in misere condizioni in una
cava di rena catanese con il padre e viene descritto sin dal principio come un “monellaccio”, un
“brutto ceffo, torvo, ringhioso e selvatico” dato che aveva i capelli rossi e gli occhi (occhiacci)
grigi. In realtà non aveva cattive intenzioni ma si era immedesimato nella figura di cattivo ragazzo e
si comportava di conseguenza: malgrado la giovane età lavorava come gli adulti senza lamentarsi
per le percosse subite e a modo suo traeva le sue personali leggi della vita. La morte del padre
Misciu, anch’egli gran lavoratore e unica persona che realmente voleva bene al ragazzo, provoca un
incupimento di Malpelo verso le altre persone e un’ossessione verso gli oggetti che aveva ereditato
(i calzoni, la camicia e le scarpe) fino ad arrivare a una sorta di identificazione nella vita di suo
padre. Alla cava era arrivato un altro ragazzo soprannominato Ranocchio, molto più debole di lui
che cercava di spronare anche con le percosse e di inserirlo al meglio nella realtà della cava che non
lasciava spazio alle persone troppo deboli. Gli insegnamenti di Malpelo riflettono la sua visione
della vita dove il più forte domina sul più debole e non vi è possibilità di progresso dato che tutto
confluisce sempre nella morte. Nella cava era morto un asino grigio che era stato gettato in un
burrone lasciandone i resti in pasto ai cani. A Malpelo piaceva osservare nelle notti senza luna la
campagna dove i canti delle civette lo avvicinavano col pensiero ai morti sepolti sotto la rena
(l’asino, il padre e tanti altri) e da questo traeva i suoi pensieri. La salute di Ranocchio peggiorò
velocemente e lo portò in poco tempo alla morte nonostante i tentativi generosi di Malpelo che gli
aveva comprato con la sua paga il vino e le minestre calde per aiutarlo a sopportare meglio la
febbre. Malpelo non aveva più famiglia (il padre era morto, la madre risposata e la sorella, sposata
anch’essa, non lo faceva nemmeno entrare in casa) e quindi accettava di esplorare i sotterranei della
cava dove vi era maggior pericolo: morì così sepolto chissà dove sottoterra insieme agli attrezzi per
il lavoro che erano appartenuti al padre.
LA ROBA Mazzarò era il proprietario di un enorme latifondo che si estendeva nelle piane
siciliane a perdita d’occhio: fisicamente era un uomo piccolo, dalla pancia grassa ma dal grande
ingegno. Era stato infatti un contadino e aveva accumulato tanta ricchezza con il continuo lavoro,
senza mai spendere in vizi e senza mai avere una donna. Per tutta la sua vita aveva lavorato, non
aveva dormito la notte, e non si era mai fermato un attimo perchè la sua logica era quella
dell’arricchimento. Non era istruito e non sapeva nemmeno leggere ma era riuscito ad accumulare
tanta ricchezza anche con l’astuzia del comprare e vendere terre a proprio vantaggio e a discapito
degli altri. Mazzarò non era interessato al denaro ma solamente ai beni materiali perchè voleva
accumularne più del re per incrementare il proprio potere e salire quindi nella scala sociale. Con il
passare degli anni, sopraggiungendo la vecchiaia, si rendeva conto che la sua “roba” doveva
lasciarla sulla terra ma non voleva ammetterlo e per questo si agitava come un pazzo.
LIBERTA’ Nelle strade di Bronte in Sicilia un sabato alla notizia dell’acquistata libertà dal
dominio Borbonico grazie all’impresa di Garibaldi le masse contadine e popolari si erano riversate
in piazza uccidendo, per la foga delle nuove sperate conquiste sociali e per il protrarsi delle
ingiustizie subite da parte dei galantuomini ma comunque irrazionalmente, tutti i potenti del paese
compresi le loro mogli e i bambini. La folla agisce infatti per la sete di vendetta uccidendo baroni,
preti, ricchi, poliziotti, guardiaboschi, notai. La domenica seguente i carnefici si ritrovarono sulla
piazza della chiesa rendendosi conto di non essere autonomi dai galantuomini di cui avevano fatto
strage perchè non potevano fare niente senza gli ordini dei padroni e nemmeno potevano andare a
messa perchè avevano ucciso tutti i preti. Tutti si vedevano tra loro come possibili nemici che si
dovevano contendere con la forza le terre che secondo loro dovevano essere ridistribuite a seguito
della liberazione. Ma invece venne a fare giustizia il generale Bixio che dapprima uccise le prime
cinque persone che gli capitarono; gli altri accusati vennero sottoposti per tre anni a processi e il
resto fece ritorno al paese per lavorare le terre dei galantuomini: erano necessari infatti sia i
galantuomini che governassero, sia i contadini che lavorassero le terre altrui per mandare avanti la
società.
I MALAVOGLIA I Malavoglia sono una famiglia di pescatori di Aci-Trezza che vivono nella
casa del Nespolo grazie alla rendita che gli porta l’attività di pesca con la barca Provvidenza. Il
nipote di padron ‘Ntoni, figlio di Bastianazzo, il “giovane” ‘Ntoni parte per il servizio militare
lasciando la famiglia in grave difficoltà dato che mancava la sua forza lavoro e l’annata di pesca
scarsa causava problemi finanziari anche perchè la figlia Mena necessitava di una dote per sposarsi.
Padron ‘N decide quindi di comprare a credito un carico di lupini per rivenderli in un porto vicino
ma durante una tempesta muore B e la barca affonda. La casa viene quindi pignorata per saldare il
debito, muoiono il secondogenito Luca nella battaglia di Lissa e la madre Maruzza ed affonda
nuovamente la barca Provvidenza che era stata riparata. Tornato ‘N dal servizio di leva, ormai
abituatosi alla vita di città, non vuole più faticare per lavorare e finisce in un giro di contrabbando;
in seguito viene processato e incarcerato per una coltellata inferta alla guardia doganale sia per
motivi legati allo stesso contrabbando ma anche perchè la guardia aveva mostrato interesse nei
confronti della sorella minore di ‘N, Lia la quale di li a poco finirà in case di malaffare in città e
della quale si perderanno le tracce. L’altra sorella Mena non si può più sposare a causa la crisi
finanziaria che coinvolge la famiglia. Il vecchio Padron ‘N muore e da lui il nipote Alessi eredita il
valore del mestiere di pescatore e grazie a questo riuscirà a ricomprare la casa del nespolo, simbolo
della famiglia ormai disgregata. Il ritorno di ‘Ntoni dalla prigione segna definitivamente il suo
allontanamento dalla famiglia e dalla realtà di miseria siciliana dalla quale fugge senza farvi ritorno.
GERI
Vari filoni del romanzo dell’800 – Dickens
Il romanzo rappresenta nel secondo 800 il genere letterario dominante. Il suo trionfo mostra due ragioni. La prima è di tipo letterario: il romanzo costituisce l’unico genere letterario in grado di rappresentare in modo oggettivo e scientifico la realtà, secondo le esigenze del Naturalismo e del Verismo. Inoltre vi è anche una ragione di natura sociale: il rapporto tra il romanzo e il pubblico, tra l’autore e il lettore, è particolarmente stretto. Il romanzo diviene infatti specchio realistico della società e la borghesia,attraverso un’autoanalisi individuale e collettiva, si nutre dei suoi stessi squallori, delle sue stesse paure e contraddizioni. Mostrando la vita di tutti i giorni, il romanzo svela la crisi dell’istituzione matrimoniale sia nella piccola borghesia che nell’alta società come in Madame Bovary di Flaubert o in Anna Karenina di Tolstoj.
Dostoevskij esplora le inquietudini e i tormenti della classe borghese che si trova stretta tra le rivendicazioni del Quarto stato e la noia della vita familiare. La borghesia è posta infatti di fronte agli esiti dell’industrializzazione. Questa, se da un lato ha portato comfort e vita lussuosa, dall’altro ha condotto il popolo, gli operai delle industrie o delle miniere di carbone, a far sentire sempre di più la propria voce, attraverso scioperi e rivendicazioni sociali che indicano condizioni di vita disumane, di miseria e di dolore come appaiono dalle pagine di Dickens e di Zola.
La rappresentazione del mondo dei poveri, dei così detti “Miserabili”, costituisce quindi uno dei grandi temi della letteratura europea di questo periodo. Precedentemente la loro rappresentazione era sempre stata di tipo comico-umoristico; già nel 700 con Daniel Defoe viene data voce agli umili, ma tale tipo di letteratura, seppur molto più realista, costituisce un genere di intrattenimento o di consumo. Con Balzac e la sua Commedia Umana si raggiunge un perfetto ritratto realistico della società francese e con Dickens viene data una rappresentazione in modo critico della società inglese. Nasce infatti il romanzo sociale, un misto tra la cronaca giornalistica,il melodramma,l’analisi e la denuncia. Della società, descritta con tono sarcastico, sono evidenziate le aspre contraddizioni e i problemi di miseria delle realtà subalterne, rispetto alla prosperità dell’aristocrazia. La realtà urbana di Londra,il centro della rivoluzione industriale, e di Parigi,capitale del divertimento, fanno da sfondo alla narrativa di questo periodo; sono studiate come veri e propri microcosmi e sono esplorate in tutti i loro aspetti : gerghi e accenti sono registrati a seconda dei quartieri della città e del livello sociale e sono caratterizzate le diverse categorie sociali e professionali.
In Tempi difficili Dickens descrive la città industriale di Coketown : la “civiltà dei fatti” ha ormai cancellato qualsiasi aspetto naturale, ogni cosa è sostituita da macchine che producono solamente fumo e cenere. Persino i colori sono artificiali : il rosso dei mattoni, il nero del canale e il fiume violaceo. Si assiste ad una vera e propria massificazione e perdita di identità : “c’erano tante strade larghe,tutte uguali tra loro e tante strade strette ancora più uguali fra loro; ci abitavano persone altrettanto uguali fra loro..”. A tutto ciò si contrappongono gli “agi del vivere”, “la raffinatezza e la grazia del vivere” dell’altra parte della società : quella dell’alta borghesia.
In questo contesto anche la morte assume un ruolo del tutto nuovo : viene calata nel quotidiano mettendone in mostra la fenomenologia in modo quanto più razionale possibile. Dickens con atteggiamento di paternalismo mette in luce la “cattiva morte” dei poveri e degli orfani, facendo assumere alla fine della vita umana una fisionomia sociale e di denuncia delle ingiustizie di classe. Nella seconda fase della narrativa dell’autore ,successiva ad un ottimismo dei primi romanzi (basti pensare ad Oliver Twist,dove un trovatello che vive nella malavita riesce a superare le peggiori vicissitudini), si fa più violenta la satira della borghesia. Dickens polemica contro l’avidità,il capitalismo e ritiene che la classe borghese non possa assumere un ruolo positivo all’interno della società : i veri valori si trovano negli ambienti dei diseredati.
BARSOTTINI
IL PROBLEMA DELLA LINGUA IN ITALIA AL 1861
- Nel periodo che va dagli inizi del XIX secolo alla conquista dell’Unità d’Italia (1861) il problema di identificare una lingua come eleggibile a idioma nazionale si fece particolarmente pressante; ciò avvenne in quanto la questione linguistica, legata a doppio filo con le problematiche socio-politiche di un territorio, si allacciava alle tensioni del periodo. Furono ,questi, anni di grande fermento; nei decenni iniziali del Secolo mossero i primi passi le aspirazioni unitarie figlie del clima patriottico covato in seno al Romanticismo. L’esigenza di individuare una lingua nazionale fu alimentata sempre più dallo scenario politico che mutava anche repentinamente passando dai moti degli anni ’20-’21 a quelli del ’48-’49, fino ad approdare alla Seconda guerra d’indipendenza prima e all’Unità poi. La lingua è un elemento che marca fortemente la cultura e l’identità di un popolo e la ricerca di una lingua comune fu per gli intellettuali di inizio Ottocento anche la ricerca di una legittimazione culturale alle aspirazioni unitarie ed indipendentiste. La riflessione sulla lingua italiana, che ebbe inizio con Dante, giunse, carica di tutti i suoi problemi, al XIX secolo attraverso il Rinascimento e l’Illuminismo. La situazione politica della penisola, divisa per secoli, l’analfabetismo dilagante ed il particolarismo municipalistico avevano impedito la formazione di una lingua nazionale di uso comune.
- Tullio De Mauro analizza nella sua “Storia linguistica dell’Italia unita” la situazione linguistica della penisola così come si presentava nel 1861. L’analfabetismo faceva registrare un tasso complessivo dell’80% circa; per quanto riguarda il restante 20% e d’obbligo tenere presente come in Italia non si sia distinto, in fase di censimento, fra semianalfabeti ed alfabeti che dal 1951. Ciò significa che nella suddetta percentuale di alfabeti furono annoverati anche coloro i quali erano in grado soltanto di disegnare la propria firma. Si restringe così il numero degli “alfabeti a pieno titolo” cioè di coloro i quali avrebbero potuto entrare concretamente in contatto con la lingua italiana scritta, unica possibilità di contatto con l’Italiano in generale, vista l’assenza dell’uso orale. Per riuscire a comprendere quanti fra questi potenziali possessori della lingua vi fossero realmente entrarti in contatto, De Mauro analizza quale tipo di preparazione potesse offrire in questa prospettiva la sola istruzione elementare. Ne risulta che nelle scuole preunitarie, spesso osteggiate dai governi, i dialetti locali fossero usati come lingua dell’istruzione elementare dato che l’italiano era sconosciuto ai maestri o veniva mal parlato e corredato di storpiature dialettali. La situazione, nonostante i progressi dei primissimi anni postunitari, continuò a presentarsi come generalmente disastrosa nell’inchiesta condotta da Carlo Matteucci negli anni 1864-1865. L’istruzione elementare non garantiva, quindi, alcun contatto duraturo con la lingua nazionale la cui conoscenza era riservata a coloro i quali procedevano oltre con gli studi. Nel 1862-1863 l’istruzione post-elementare era impartita al 9 per mille circa della popolazione fra gli 11 ed i 18 anni. Questo dato non basta ad essere proiettato sull’intera popolazione per due motivi: la percentuale degli adulti del 1862-63 che avessero frequentato nei decenni anteriori la scuola post-elementare era sicuramente molto inferiore, ed inoltre la percentuale del 9 per mille tiene di conto degli iscritti e non dei frequentanti (il dato quindi non da informazione alcuna sul profitto e sul grado di apprendimento della lingua da parte degli studenti). Con criteri molto larghi si può arrivare a stimare che la percentuale della popolazione che avesse appreso l’Italiano (fuori da Roma e dalla Toscana) fosse circa l’8 per mille, vale a dire 160.000 persone su 20 milioni. La Toscana e Roma costituirono un caso particolare nel panorama nazionale vista la vicinanza fonologica, morfologica e lessicale dei dialetti locali alla lingua comune. Roma costituiva, rispetto all’arretrato sistema scolastico pontificio, un’isola in cui l’istruzione di base era particolarmente diffusa ed efficiente. Si può concludere che in queste zone la percentuale (e quindi il numero) degli alfabeti coincidesse interamente con quella di quanti fossero venuti in contatto duraturo con la lingua comune, si trattava di circa 400.000 toscani e 70.000 romani. Negli anni attorno al 1861 gli italofoni erano, quindi, poco più di 600.000 su una popolazione totale di più di 25 milioni di abitanti, circa il 2,5%.
- La lingua letteraria presentava invece un buon grado di uniformità grazie alla codificazione del fiorentino trecentesco dovuta all’influenza dei tre grandi scrittori toscani del secolo (Dante, Petrarca e Boccaccio) e a chi dopo di loro ne aveva seguito le orme (da Ariosto a Tasso, dal Bembo all’abate Cesari). Nei primi anni dell’Ottocento si sviluppò la coscienza che l’aspirazione all’unità politica del Paese richiedeva la fioritura di una letteratura nazionale moderna e che ciò aveva come condizione lo sviluppo di una lingua nazionale moderna duttile e comunicativa, in grado di raggiungere un vasto pubblico. Le proposte erano essenzialmente tre: il purismo, il classicismo ed il fiorentinismo. Puoti e Cesari furono i maggiori esponenti del Purismo di inizio Ottocento, sostennero la necessità di filtrare e selezionare la lingua in modo che rispondesse ad un unico modello: quello trecentesco. Innovativa era ,però, l’intenzione di aprire la lingua anche all’uso che nel XIV secolo ne facevano le classi inferiori, non solo quindi l’idioma delle “Tre Corone” ma quello dell’intera società in cui i tre grandi scrittori si erano formati e da cui avevano attinto per le proprie opere. Questo era un punto che distanziava alquanto i puristi dai classicisti i quali sostenevano l’origine strettamente letteraria della lingua cui attingere. Fra i maggiori sostenitori del classicismo vi fu il poeta Vincenzo Monti il quale propose una lingua che non fosse “della sola Toscana” ma che attingesse ad un fondo linguistico comune a tutta la penisola, elemento da ricercarsi negli scrittori moderni (Alfieri e Parini in primis) e non nei trecentisti. Originale della proposta montiana era l’apertura ai neologismi ed ai modernismi nonché ai termini stranieri. A fianco di Monti vi era Pietro Giordani , amico di Leopardi, che proponeva come fonte “i migliori ed i più colti scrittori d’ogni tempo”. Giordani guardava ai dialetti come a strumenti della comunicazione quotidiana orale che sarebbero stati soppiantati ,col tempo, dalla lingua nazionale comune. Il modello che risultò storicamente vincente fu,invece, quello del fiorentino contemporaneo parlato dalle persone colte proposto, dopo un lungo travaglio linguistico, da Alessandro Manzoni e che si impose soprattutto grazie allo straordinario successo editoriale de “I Promessi Sposi” (dopo la “risciacquatura dei panni in Arno” l’edizione del 1840-1842 era stata stesa proprio nell’idioma fiorentino). Il motivo che spinse lo scrittore milanese a questa scelta era la pragmaticità di una lingua viva equidistate dalle parlate meridionali e da quelle settentrionali. Si trattava di una soluzione fortemente innovativa che era indipendente dalla retorica letteraria e che nel contempo non soggiaceva alle spinte dialettali. Il fiorentinismo manzoniano si propose quale modello dominante anche se non mancarono voci discordanti come quella di Giacomo Leopardi e , negli anni successivi all’Unità, di Grazaidio Ascoli.
CAGNACCI
ANALISI DEL “PRELUDIO” DI EMILIO PRAGA
Il testo “Preludio” di Emilio Praga fa parte della seconda raccolta poetica di questo artista “Penombre” pubblicata nel 1864. Come è facilmente intuibile dal titolo l’opera apre la raccolta. Chiari sono i riferimenti a “I fiori del male” di Baudelaire (verso 17, contrapposizione tra cielo e loto, e l’ideale che annega nel fangoversi 18-19-20) opera dalla quale l’autore è rimasto molto colpito. Il “Preludio” è un’opera tipicamente scapigliata che già nella sua composizione definisce la loro poetica, esprimendo tutto il disagio e la sofferenza percepiti dagli scapigliati, che sono convinti di dover seguire la strada del piacere, del non lecito, del perverso e della bestemmia; ma nonostante ciò, che è la cosa che salta più all’occhio, si riesce anche a percepire la vena malinconica ed elegiaca tipica di Praga. L’opera si apre con un netto riferimento agli scapigliati (vv. 1 “Noi figli dei padri ammalati”) quasi a voler dare un biglietto da visita al lettore delle persone che rappresenta; e al secondo verso utilizza una metafora, paragonando lui e gli scapigliati a degli aquilotti che non sanno volare e rimangono combattuti perciò tra il desiderio del volo e la paura di cadere, suggerendo in questo modo la dicotomia che si crea negli scapigliati. Al quarto verso il poeta inizia a introdurre uno dei temi principali in questo testo (“sull’agonia di un nume”) e cioè l’inutilità della religione, o della politica, che non aiuta l’uomo ma anzi rimane incurante davanti a tutti i suoi problemi, protraendo questa inappagante attesa di un patriarca per tutta la seconda e la terza strofa attraverso riferimenti biblici quali : vv. 5 “l’arca”, vv. 6 “l’idol…umano”, vv.7 “dal vertice” (intendendo il monte Sinai), vv. 11-12 “ l’esausta vergine bianca s’abbranca ai lembi del sudario”; facendoci così capire che non c’è più tempo per la poesia relgiosa. Al verso 13 si ha un attacco accanito nei confronti del Manzoni (“Casto poeta”) poiché dedito a quella poesia religiosa così inutile che deve venire superata. Per fare poesia deve essere scelta un’altra strada perché “Cristo è rimorto” (verso 16) e perciò non c’è più speranza che torni di nuovo a salvarci. Al verso 17 si riferisce al lettore definendolo “Nemico lettore” riprendendo in primo luogo il maledettismo tipico della letteratura scapigliata e il contrasto tra gli scapigliati e la nuova classe borghese priva di valori e di ideali; in secondo luogo “I fiori del male” di Baudelaire nel quale l’autore definisce i propri lettori ipocriti. A questo punto ( dopo aver aggiunto delle apposizioni alla “Noja” cantata dal poeta) Praga inserisce una nuova visione della religione, una religione fondata sull’“empio” e sugli “amori dei sette peccati” (i sette peccati capitali); Praga professa questa nuova religione sospinto dal bisogno di “ ebbrezze di bagni d’azzurro” e per vedere “l’ideale che annega nel fango”. Ma nelle due ultime quartine l’invettiva si smorza, il “Nemico lettore” si trasforma in “fratello”, i toni si addolciscono, la prima persona plurale utilizzata all’inizio diventa prima persona singolare, e Praga si lascia andare scoprendo la sua vena malinconica, inserendo cioè la sua personale dichiarazione di poetica, il bisogno di raccontare il vero, per quanto brutto esso possa essere per quanto possa essere una “misera canzone”, e lascia anche trasparire la sua malinconia “se qualche volta piango”. In questo modo dopo un iniziale grido di rabbia e di insulto l’autore si spezza in un pianto, in un “sussurro” autocommiseratorio. Anche le sfere semantiche che si ritrovano in tutto il testo indicano una situazione di debolezza ( “affamati”, “agonia”, “esausta”, “sussurro”, “piango”) mascherata da un fortissimo maledettismo che sviluppa tutta la sua forza nel verso 15. La poesia può poi anche essere divisa in una sorta di pars destruens e pars construens: alla prima parte infatti in cui viene utilizzato per ben tre volte l’avverbio “invano” (versi 8-9-11) si contrappone la pars construens che si sviluppa nelle ultime quattro strofe in cui il verbo propositivo “canto” viene ripetuto sei volte (versi 17-21-22-25-31-32). Questo testo quindi nonostante sia uno dei manifesti della letteratura scapigliata, ha in sé la forza malinconica ed elegiaca propria di Praga.
MAURINI
Lavoro svolto per casa durante le vacanze natalizie 2009
Per inquadrare il testo:
- Il personaggio di Mazzarò acquisisce fin dall’inizio una connotazione fiabesca. All’inizio del brano viene presentato nell’ottica del viandante come una gigantesca entità che coincide con l’intera vastità delle sue terre, con gli animali che le abitano e perfino con il sole (“Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”). Queste immagini di personaggio mitico conferiscono così al protagonista, che fisicamente non è altro che un “omiciattolo”, una statura titanica, una potenza che rappresentata dalle terre sembra non avere fine, un’energia illimitata come quella del sole stesso che è stata impiegata nell’accumulo della roba.
Una volta presentato come uomo, Mazzarò assume l’aspetto non di un semplice proprietario terriero “borghese”, ma di eroe, di un superuomo che da bracciante raggiunge e supera il livello sociale del barone per cui lavorava. Vengono infatti messe al centro dell’opera le virtù eroiche del protagonista: l’intelligenza, l’energia infaticabile, la capacità di sacrificare tutto alla roba, per cui Mazzarò appare quasi un santo martire dell’accumulo capitalistico. E come santo si differenzia dagli eroi delle altre novelle verghiane, poiché la dedizione alla roba l’ha portato alla rinuncia dell’amore e della compagnia dei familiari. Proprio la scelta di non avere famiglia per dedicarsi anima e corpo all’accumulo di proprietà costituisce un enorme divario per esempio con la famiglia dei Malavoglia, stroncata dalla logica borghese che porta i vari membri a dover tentare di rimediare una situazione ormai irrimediabile.
3. Il barone che inizialmente era stato il padrone di Mazzarò è il rappresentante della classe dei proprietari terrieri che nel sud Italia verghiano ancora costituivano la classe dominante, dei latifondisti che da secoli governavano il meridione. Mazzarò è invece rappresentante della nuova società borghese, il self-made man che con l’astuzia e la logica dell’accumulo si “arrampica sulla piramide gerarchica”, per superare il proprio padrone ed arrivare quasi alla potenza del re. Il barone dunque, che con regolarità e senza preoccupazione controllava i propri dipendenti ad ore stabilite, ha permesso a Mazzarò di accumulare segretamente una sempre crescente quantità di roba raccolta saggiamente, con astuzia e con molto sacrificio.
Per questo possiamo affermare che la novella La Roba rappresenta la “sconfitta storica dell’aristocrazia feudale di fronte alla borghesia in ascesa” (A.Cannella).
Per analizzare il testo:
- Il narratore in La Roba non è fin dall’inizio quello popolare, consueto nella narrativa verista di Verga, ma durante lo svolgimento della novella esso si moltiplica in diverse figure. Si può notare che nella parte iniziale il punto di vista narrativo è quello di un ipoetico viandante “che andava lungo il Biviere di Lentini”, che quindi non conosce i territori che si ritrova a percorrere casualmente fino a sera, i quali appaiono infinitamente vasti, proprietà di una misteriosa figura eccezionale, quasi di un eroe. Il narratore è dunque di livello superiore a quello popolare, non si lascia coinvolgere dalla vicenda, ma si limita a descrivere ciò che si trova di fronte, utilizzando anche un lessico più raffinato e privo di espressioni dialettali.
Il protagonista viene poi presentato non dal viandante, ma dal lettighiere come “un omiciattolo che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo”; improvvisamente fa la sua comparsa il narratore popolare che ci presenta, con un’efficace descrizione, il personaggio di Mazzarò attraverso il discorso indiretto libero. Il narratore popolare appartiene allo stesso mondo di Mazzarò ed i loro punti di vista coincidono perfettamente: lo descrive lasciando trasparire molta ammirazione per questo uomo, che dal nulla si è trasformato nel maggior proprietario terriero della zona (“infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba”, “tutti si rammentavano di avergli dato calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza, e gli parlavano col berretto in mano” ).
- Mazzarò, presentato dal lettighiere come “omiciattolo”, appare agli occhi del viandante come di una grandezza e maestosità epica, arrivando in tono quasi fiabesco a coincidere con i possedimenti stessi; si dice infatti che “Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”. Anche la descrizione delle stesse ricchezze viene accompagnata da un’amplificazione favolosa: una fattoria pare grande quanto un paese, i magazzini sembrano chiese e di galline ce ne sono a stormi: “E cammina e cammina, passando per una vigna che non finiva più” , ”Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l'erba non spuntava mai, e la raccolta durava fino a marzo”.
- Mazzarò era un povero bracciante maltrattato come gli altri, che a prezzo di immani sacrifici e grazie alla sua intelligenza ed astuzia è diventato un grande proprietario terriero. “Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule”. Ma non soltanto col duro lavoro e con le rinunce Mazzarò è arrivato a possedere tutta la sua roba. Egli ha infatti derubato ed ingannato il suo vecchio proprietario, il barone, che ingenuamente controllava il lavoro dei suoi braccianti ad ore prestabilite, cosicché nel resto del tempo il nostro “arrampicatore sociale” potesse accumulare piccole ricchezze a poco a poco.
Una volta entrato in possesso delle proprietà del barone però, la logica dell’arricchimento lo porta ad avere sempre di più, fino a voler avere quasi infantilmente più possedimenti del re; per raggiungere tale scopo, se per esempio “ il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava a non cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma per costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca”.
Neanche i soldi interessavano all’uomo, poiché essi non erano roba, dunque appena ne accumulava una certa somma li spendeva per incrementare i suoi possedimenti.
Nei confronti dei debitori che mandavano le donne a supplicarlo di “non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l'asinello, che non avevano da mangiare” non aveva pietà, rispondendo che egli stesso mangiava soltanto pane e cipolla nonostante tutti i suoi averi. Ed effettivamente era così: fino alla sua morte ha vissuto in miseria, portando stracci e mangiando pane e cipolla in fretta, per tornare di nuovo a lavorare e ad accumulare sempre più roba.
- Nonostante la vastità dei possedimenti, al momento della morte Mazzarò si rende conto che l’accumulo di tutta la sua roba è stato vano, poiché non potrà portarla con se una volta defunto. La novella dunque si conclude nel piccolo spazio recintato del cortile, dove corre come impazzito ad uccidere il pollame per far sì che almeno gli animali non vadano ad altri e simbolicamente lo seguano nella morte. In questo modo Verga crea una dicotomia fra lo spazio che ha caratterizzato tutta la novella, quello sconfinato delle terre che sembrano appartenere ad un eroe mitico, e quello finale, limitato al solo cortile. L’autore vuole in questo modo porre l’attenzione alle conseguenze che la logica di Mazzarò, che rappresenta la logica della modernità, porta ad avere, in particolar modo l’isolamento. Gli spazi in suo possesso difatti appaiono sterminati, illimitati, ma in definitiva egli è un uomo solo, senza affetti né successori, il cui unico spazio che lo rappresenta al momento della morte non è altro che il piccolo cortile che lo circonda, al di fuori del quale nessuno piangerà la sua scomparsa.
- La lingua del racconto assume il tradizionale andamento sintattico popolare, colorato di espressioni tipiche del parlato e dialettali. Fanno da esempio parole come: “eccellenze”, “minchione”, “sudicia”, o intere frasi come: “pareva un re”, “ricco come un maiale”.
La sintassi però in questo brano si allontana da quella che caratterizza gli altri delle Novelle Rusticane; non è difatti semplicistica e nervosa, scabra e convulsa, bensì più studiata e pacificante, volta a sembrare ariosa e distesa. Nella parte iniziale del brano infatti, oltre alla lingua che utilizza un registro più elevato legato alla narrazione del viandante, la sintassi è ricca di coordinate, legate da numerose “e” e dalla ripetizione per otto volte del sintagma “di Mazzarò”, aggiunte di frase in frase in modo pacato e scandito.
L’incipit inserito in questi due primi capoversi “cammina cammina” contribuisce, assieme alle immagini fiabesche sopra citate e alla sintassi distesa e dilatata, a dare alla novella un tono lirico, quasi evocativo.
IVANOVA
VERGA -Dalla scapigliatura al verismo: le opere
Il modello principale su cui si basa la formazione preverista di Verga sono i romanzi francesi ad egli contemporanei,che incentrano la sua attenzione sui temi di storie d’amore e di passione,che non trovano una realizzazione nella realtà,ma provocano solamente tormento,da cui nascono le opere giovanili:”Una peccatrice”(1866),”Storia di una capinera”(1871),ad essi si affiancano l’influenza della letteratura scapigliata e delle narrativa campagnola risorgimentale.Le quali infliggono una svolta sa stilistica che ideologica nella sua produzione letteraria. Dalla prima eredita l’aspra polemica contro i disvalori,il perbenismo e l’ipocrisia tipici della società borghese ,che hanno portato alla svalutazione degli ideali,dei sentimenti e dell’arte,tale atteggiamento si riscontra nella prefazione di “Eva ”(1873).Attraverso la seconda invece,il poeta volge lo sguardo alla classe rurale di umili contadini,servendosi di immagini di vita campestre e descrizioni idilliche,ne rappresenta la ricchezza di valori umani,pur sottolineando la mancanza di benessere materiale,cercando in tal modo di coinvolgere la classe superiore di lettori a cui era apertamente indirizzata,invitandola ad ammirare tale semplicità ed autenticità dei valori e soccorrere i bisognosi attraverso la carità.Da tale convinzione nasce nel 1874 “Nedda”,un “bozzetto siciliano”,che riscuote un inaspettato successo nei salotti siciliani,procurando gran fama al suo autore,ricca di precise descrizioni e riferimenti geografici di Catania e provincia,la quale sofferma lo sguardo sulla semplice vita contadina.Da qui si ha l’incipit per una dettagliata e completa indagine contemporanea della società italiana che comprenda i suoi vari strati,facendone un quadro completo,basato su cinque romanzi previsti ,raccolti in “Ciclo dei vinti”,che riprendono la storia della degradazione di un‘umile famiglia siciliana,che tentando di migliorare la propria condizione economica,affidandosi al progresso,vede la sua totale sconfitta sociale- “I Malavoglia”(1881),l’ascesa economica di un muratore,che pur avendo raggiunto un benessere economico si trova a contatto con la solitudine “Mastro-don Gesualdo (1889),la classe aristocratica rappresentata da “Duchessa di Leyra”.il mondo della politica con “L’onorevole Scipioni “ ed infine l’intellettuale con “L’uomo di lusso”, si vede il completamento soltanto dei primi due romanzi.Nonostante la vasta rappresentazione di personaggi appartenenti a classi sociali diverse con abitudini di vita diverse,questi sono uniti dal solito destino,quello di apparire dei vinti a seguito di determinate vicende,vedendo la propria sconfitta sociale nel corso del racconto. La raccolta “Vita dei Campi”(1880),incentrata sulla vita delle rappresentanze più basse della società,gli umili si sofferma su un mondo vivamente attaccato ai valori,ma in cui tuttavia si presenza un desiderio di miglioramento e risalita nella scala sociale,brama di trarre profitto economico grazie al progresso,abbandonando le condizioni di vita primitive,come viene esplicitamente specificato nel racconto il quale funge da prefazione all’intera raccolta,“Fantasticheria”. La prima edizione pubblicata tra il 1878 ed il 1881 essa comprende otto racconti :“Cavalleria rusticana“,”La lupa”,”L’amante di Gramigna”,”Pentolaccia”,”Guerra di Santi”,”Jeli il pastore”,”Rosso Malpelo”,vi è una successiva del 1881 nella quale viene aggiunta “Il come,il quando ed il perchè” ed una terza del 1897 con l’aggiunta di “Nedda”. Questa raccolta si presenta come uno stadio iniziale dell’inchiesta soliale verista successivamente condotta da Verga,partendo dallo strato più basso della società contemporanea che è l’unico a conservare i valori antichi ed a presentarsi con una certa naturalezza,improntato però verso la sconfitta.destinato a perire in un mondo delineato dalla svalutazione totale degli ideali.Il gradino successivo è rappresentato dalle “Novelle rusticane”,pubblicate nel 1883,le quali vedono ugualmente come protagonisti i contadini catanesi, con una visione però mutata in quanto nella loro quotidianità al posto dei valori ripetutamente presentati ed ammirati nella raccolta precedente è subentrato il desiderio di ricchezza economica.Tale classe è ora caratterizzata dall’aggressività,dalla graduale disumanizzazione,causate dalla legge della sopravvivenza del più forte,dall’egoismo volto soltanto al profitto personale,dall’ingiustizia, insediatesi al suo interno.Segue la raccolta “Per le vie” (1883),che ripropone i temi delle “Novelle rusticane”,ambientati però in un contesto urbano,ricco di personaggi milanesi destinati alla miseria.Nel 1884 si ha la pubblicazione de “Drammi intimi” un’inchiesta conoscitiva sui diversi gradini della scale sociale.
CASALINI
Di Giosuè Carducci (1835-1907) sono state viste varie prospettive durante la storia italiana. Durante il fascismo viene visto come un grande nazionalista, mentre nel dopoguerra viene considerata e messa in risalto la sua parte intima, malinconica, inquieta, la parte che lo ha aperto di più alle suggestioni francesi: così, viene considerato un poeta minore fino al 2007, quando, in occasione del centenario della morte, vengono fatte varie conferenze e manifestazioni nel tentativo di rivalutarlo.
Carducci si inserisce nel periodo della scapigliatura quasi come un alfiere dei classici, avente un impeto che lo porta a voler cambiare le sorti dell’Italia e voler combattere contro monarchia, borghesia e chiesa: dunque, la sua posizione sembrerebbe antitetica rispetto alla scapigliatura. In realtà, leggendo più attentamente la sua opera, ci si può rendere conto di quanto essa sia all’interno della scapigliatura: in primo luogo, questa ribellione è simbolo di un disagio nei confronti della realtà, ed in secondo luogo questa ribellione viene espressa attraverso un amore per la classicità, che diventa anche il recupero di situazioni medievali ormai irrecuperabili ed irraggiungibili, tentando così una sorta di fuga dal presente, che è visto come negativo. Questo amore per la classicità è testimoniato da testo “Il comune rustico”, dove il poeta racconta di una riunione di un villaggio dopo la messa per prendere delle importanti decisioni, discusse da tutto il popolo con forte partecipazione alla vita politica e spiccati senso del dovere, dedizione, amor di patria e coraggio: ecco quindi che il medioevo rappresentato da Carducci non è l’età tenebrosa cara al Romanticismo, ma un’età luminosa e tranquilla (come suggerito dalla descrizione del paesaggio, quasi sospeso in un sogno).
Inizialmente, dunque, Carducci si pone come uno scrittore fortemente anticlericale e giacobino, antimonarchico: questo è testimoniato dalla sua più grande opera giovanile, l’Inno a Satana. Questa opera, pubblicata nel 1865, arriva un anno dopo la pubblicazione del Sillabo di Pio IX, nel quale la modernità e l’antidogmatismo erano condannati come prodotto di Satana. Carducci, allora, rovescia questa definizione e, celebrando la modernità (rappresentata dalla figura del treno), inneggia al Satana tanto allontanato dai benpensanti e dai clericali. Satana viene ad essere il rappresentante della modernità: nell’inno a Satana c’è la rivalutazione della forza della ragione, la valutazione piena del progresso, la rivalutazione delle gioie della vita, la gioia del convito, il rifiuto della superstizione. È da notare come in questo punto di partenza, a rappresentare le ideologie di forte libertà proprie del primo Carducci, vi sia una forma fortemente classicheggiante: il poeta utilizza un lessico aulico, sintassi latineggiante e vi sono molti riferimenti dotti ed eruditi.
Successivamente, in Carducci si realizza un’involuzione per quanto riguarda l’ideologia, contemporaneamente ad un’evoluzione nella forma. Il poeta, infatti, in anni più maturi, tenderà a convergere con la mentalità del suo tempo, divenendo filo monarchico e lasciando da parte le condanne verso la chiesa, fonte d’ispirazione principale dell’Inno a Satana, che infatti sarà oggetto di un giudizio molto severo da parte del proprio stesso autore (che lo definirà una “chitarronata”). Per quanto riguarda invece la forma ed il modo di scrivere, Carducci sarà il protagonista ed il fautore di una grandissima innovazione: nella sua opera “Odi barbare”, Carducci riprende la metrica latina, basata su brevi e lunghe e non sul numero di sillabe, e cerca di portare i ritmi della poesia latina all’interno del verso italiano, che acquista un ritmo del tutto nuovo ed innovativo rispetto al passato: sono versi “barbari”, stranieri alle altre composizioni in italiano. Il risultato è quello di rompere la cantabilità di una parte della poesia italiana: saltano molte rime, viene ricomposta la struttura della frase e c’è molta attenzione per il lessico. Dunque, l’ideologia ha un’involuzione nel senso che il poeta passa da idee di libertà ed antidogmatismo ad idee conformiste e monarchiche; l’evoluzione della forma, invece, sta nel fatto che, dal punto di partenza del classicismo più conforme, Carducci inventa una nuova forma, cioè quella delle Odi barbare. Il poeta, in ogni caso, per tutta la sua carriera, si ritiene classicista ma in fondo è romantico per alcuni aspetti: innanzitutto, in ordine cronologico, per la ribellione alla società (vedere l’Inno a Satana), ma anche, e forse di più a livello quantitativo, per l’introspezione, la malinconia e l’ossessione per la morte, che lo accompagneranno durante tutte le sue opere, come nel “Comune Rustico”, dove insieme alla serenità del paesaggio c’è l’idea dei montanari che andranno a combattere e moriranno, in “Ballata dolorosa”, che si apre e si chiude con la “pallida faccia velata di nero”, che rappresenta Lidia morta, in “Traversando la Maremma Toscana”, pervaso da una forte malinconia, ed in “Alla stazione in un mattino d’autunno”, dove appare anche la visione negativa del treno, in perfetta antiteticità con l’Inno a Satana, a testimoniare l’evoluzione/involuzione che ha avuto luogo.
ROSINI
Rosso Malpelo: formazione culturale catanese e darwinismo sociale, Verga: il positivismo e il progresso (fotocopia)
In Verga si possono veder radicate due culture diverse, quella catanese e quella francese che si rifa al Positivismo di Zola.
Quella catanese si basava su un materialismo locale e fu fondata a Catania, alla fine del Settecento da Gioeni che aveva fondato un'accademia materialistica basata sullo studio delle scienze. Questo aspetto della cultura di Verga emerge dal racconto Rosso Malpelo innanzitutto perché l'autore ambienta le vicende nella Sicilia a lui contemporanea caratterizzata dalla vita di estrema povertà se non proprio miseria dei carusi, i lavoratori nelle miniere. Il materialismo ereditato da tale cultura si può vedere dalla visione stessa che l'autore ha nei confronti di tali persone che chiama "vinti" ovvero "vinti dalla fiumana del progresso".
Verga descrive la realtà di povertà e sfruttamento delle classi disagiate in Sicilia alla fine del diciannovesimo secolo, realtà che conosceva ma che emergeva anche dalle inchieste del Regno d'Italia da poco formatosi (1861).
Non vede però per queste persone una via d'uscita o un modo per cambiare la propria vita perché non possono sottrarsi dal proprio destino come lo stesso Rosso Malpelo che sarà destinato a morire nella cova proprio come il padre.
Questo determinismo è accompagnato dalla dottrina del darwinismo sociale sviluppatasi nella seconda metà dell'Ottocento.
Darwin nella sua teoria della selezione naturale sosteneva che dato che il numero degli organismi che nasce è superiore a quello che può vivere, esiste tra i vari individui una continua lotta per poter sopravvivere; in questa lotta prevalgono coloro che sono più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano. Questa concezione trasportata in ambito letterario nella Seconda metà dell'Ottocento, vedeva la società umana regolata dalle stesse leggi del mondo naturale e animale e quindi dominata anch'essa dalla lotta per la vita che assicura la sopravvivenza e il dominio al più forte. Queste teorie sono la manifestazione della crisi che la società borghese sta attraversando nel periodo: viene meno la sicurezza in un futuro in pace, di un equilibrio senza conflitti ma di benessere e giustizia.
La rappresentazione della società in Verga rientra in questo ambito del darwinismo sociale. Per l'autore la società a tutti i suoi livelli è dominata da un severo antagonismo tra individui, gruppi e classi: le leggi che la regolano sono la sopraffazione del più forte sul più debole e l'interesse individuale.
Il padre di Malpelo non rispecchia la legge del più forte perché non capace di superare le sue condizioni e le sue debolezze muore da vinto.
Nonostante questo l'atteggiamento che Malpelo ha nei confronti di Ranocchio non coincide con tale concezione perché gli insegna ciò che il padre non era stato capace di fare come una sorta di critica perché è il primo che non è riuscito a rispettare la legge del "più forte che prevale sul più debole".
Verga aderendo anche al Positivismo ammetteva in linea teorica, come i positivisti, che la "fiumana del progresso fosse positiva". Questa continua evoluzione della società porta sempre a un miglioramento durante il quale però alcune specie spariscono, i deboli vengono sempre più esclusi e anche i vinti non hanno che davanti la morte, ma questo ciclo è ciò che permette alla società di organizzarsi sempre meglio e migliorarsi.
Verga non nega mai il ruolo positivo del progresso benché sia lento e inesorabile ma nelle sue novelle vuole vedere e analizzare il rovescio ovvero che il progresso va avanti attraverso una terribile selezione naturale vedendo gli intellettuali come vinti, i deboli che cadono e le sue vittime. Rosso Malpelo, suo padre e ranocchio sono l'emblema dei vinti, delle vittime del progresso che a differenza degli altri positivisti Verga vuole prendere in considerazione per analizzare l'altra faccia e evidenziare quanto questo percorso sia doloroso.
MEINI
Analisi della novella:"Libertà" (da Novelle n/stfcane.Giovanni Verga)
Durante la spedizione dei Mille, in Sicilia si verifìcarono molteplici insurrezioni popolari soprattutto nelle zone arretrate dell'interno .Le rivolte erano animate da esigenze sociali e da conflitti di classe che non rientravano nel programma politico della guerra garibaldina,volta unicamente alla sconfitta dei Bortone per completare l'unificazione deiritalia.il movimento contadino fu inizialmente assecondato fin quando il suo apporto risultò utile al successo della spedizione;venne poi represso con fermezza .L'episodio più sanguinoso della repressione delle rivolte contadine fu " l'eccidio di Brente", che ebbe luogo dal 2 al 5 agosto 1860.Brente era un centro agricolo a ottocento metri di altitudine alle pendici dell' Etna,a circa cinquanta chilometri da Catania.La repressione venne ordinata da Garibaldi su richiesta del console inglese.sollecitato dagli amministratori del feudo e condotta da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi.il processo ai responsabili dell'eccidio ebbe luogo alla Corte d'Assise di Catania e la sentenza si chiuse con la condanna all'ergastolo di 37 popolani di Bronte.
Concetto della "libertà" dei contadini di Brpnte
Verga in questa novella sottolinea uno dei motivi della rivolta: la sottomissione della popolazione all'aristocrazia del paese .Infatti leggendo la novella si nota l'espressione iniziale della folla in rivolta "Viva la Libertà!", e il successivo assedio degli edifici più importanti del paese dove i "galantuomini" esercitano il loro potere.il Municipio, la Chiesa e il circolo dove i benestanti del paese si riuniscono. Quindi si capisce fin da subito che il concetto di libertà della folla è quello della liberà dalla sottomissione dei "galantuomini".Questo in particolare si nota dalle accuse che la folla rivolge ad alcuni personaggi.infatti essa si rivolge al prete con l'espressione:"ci hai succhiato l'anima!",al ricco epulone con"grasso del sangue del povero!",allo sbirro con"hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente!",al guardaboschi con"hai venduto la tua carne e la carne del prossimo".Infine questo concetto è confermato dall'espressione'Viva la libertà!"che la folla pronuncia prima di sfondare il portone del palazzo della baronessa.
Realtà storica e riproduzione artistica
Nella novella Verga altera, solo parzialmenteja verità dei fatti, poiché non intende compiere una ricostruzione storica dei tragici eventi .bensì fornire una vivida ed efficace rappresentazione artistica di questi .Infatti il racconto privilegia scene di forte impatto visivo.si sofferma su dettagli eloquenti come l'immagine iniziale "Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori",oppure come rimmagine"Come il mare in tempesta .La folla spumeggiava e ondeggiava [...]:un mare di berrette bianche;le scuri e le falci che luccicavano'Y'E il sangue che fumava ed ubriacava.[...]tutto rosso di sangue! ".
Atteggiamento di Verga nei confronti del generale Bixio
L'autore non cita mai il nome di Nino Bixio,luogotenente di Garibaldi,lo indica solo come:"il generale.quello che faceva tremare la gente",aggiungendo alla qualifica la sua fama popolare nera, infatti le donne strillavano e si strappavano i capelli alla notizia del suo arrivo.
Divisione in sequenze
TsequenzarLa folla insorse e assediò il Municipio.la Chiesa e le abitazioni dei"gentiluomini"che tentarono di barricarsi in casa.
2°sequenza:ll giorno dopo la sanguinosa rivolta,la folla si riunì in piazza per la messa della domenica a cui non poteva rinunciare nonostante intomo a loro ci fosse sangue e corpi rosicchiati dai cani. Gli insorti iniziarono a discutere su come dividere le terre ,i campi e i boschi ma anche tra loro c'era"chi voleva mangiare per due".
3°sequenza:ll terzo giorno dilagò la notizia che sarebbe arrivato il generale (Nino Bixio) a far giustizia. Ma nessuno dei superstiti si mosse e le donne strillavano e si stappavano i capelli .II generale "che faceva tremare la gente",il giorno dopo prima dell'alba ordinò che fossero fucilati cinque o sei insorti, i primi che capitavano. 4°sequenza:Arrivarono i giudici che iniziarono gli interrogatori dei superstiti.
Il processo durò tre anni durante il quale gli insorti furono rinchiusi in prigione.
La durata della narrazione varia nelle diverse sequenze .11 tempo della narrazione è più lungo nella prima e nella quarta sequenza rispetto alla seconda e alla terza .Questo sì spiega facendo riferimento all'intento dell'autore il quale punta alla riproduzione artistica dei fatti più che alla descrizione storica.Per questo nel testo ci sono l'incalzante succederei di inquadrature drammatiche che quindi rallentano il tempo della narrazione .Questo elemento si nota soprattutto nella prima sequenza in cui per esempio l'autore descrive l'assalto al palazzo della baronessa.
Ambientazione della novella
Gli eventi si svolgono a Bronte.un tipico paesino agricolo con le sue "stradicciuole" ,in cui vi è la piazza principale dove la folla si riuniscono la domenica per la messa,il" casino dei ga!antuomini"(il circolo dell' aristocrazia paesana),le ricche abitazioni dei benestanti,!! Municipio,la Chiesa,!! convento.ed in fine "quei boschi e quei campi".
Il punto di vista del narratore
M racconto è filtrato con l'occhio del narratore popolare.che interpreta le vicende con il suo metro di giudizio,con la sua sensibilità(partando di alcuni episodi piuttosto che di altri come per esempio l'assalto al palazzo della baronessa) e le narra con il suo linguaggio
colorito(Sciorinarono[...],avrebbero potuto satollarsi,la mandra,...).Non dice il nome del paese;non chiarisce l'identità anagrafìca dei protagonisti,distinti solo con i loro nomi propri o soprannomi(don Antonio.don Paolo.Nino Bestia...) .oppure con il ruolo che rivestono nella comunità(il notaio.il prete, I a baronessa.il taglialegna.il carbonaio...).Non ci si interroga sulle cause della rivolta,chiamata"carnevale furibondo",un' ubriacatura di sangue.che emergono in modo indiretto dalle parole con cui i contadini accompagnano.come sentenze di morte.l'uccisione dei "galantuomini".
Protagonisti della novellali! popolo
II popolo viene descritto come "mare in tempesta'V'Ia folla spumeggiava e ondeggiava ","un mare di berrette bianche'Y'il torrente".AIcuni personaggi popolari sono delineati in modo più articolato:la strega "coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie;il guardaboschi che ha venduto la sua carne e la carne del prossimo;"la gnà Lucia.il peccato mortale".
Descrizione di alcuni "galantuomini"
Di alcuni galantuomini sono presenti alcuni tratti caratterizzanti:
il prete del diavolo che ha succhiato le anime;il"ricco epulone,grasso del sangue del pò vero"; lo sbirro
che ha fatto giustizia solo per chi non aveva niente;il figlio del notaio biondo come l'oro;"le carni della
baronessa.ìe carni fatte di pernici e di vino buono";i! figlio della baronessa "ancora colle carni
bianche".
Tecniche narrative tipiche della poetica di Verga
Una delle tecniche narrative utilizzate da Verga è "l'anonimo narratore popolare" che tiene le fila del racconto,e che non rispecchia le opinioni o i sentimenti dell'autore.nel rispetto della tecnica dell' "impersonalità"(tipica dì Verga),ma condivide sensibilità e cultura dei personaggi oggetto della narrazione e dell'ambiente in cui essi vivonoicome ad esempio il modo di esprimersi e la lingua(riguardo ad essa vedi il punto di vista del narratore).Un'altra tecnica utilizzata è quella dello straniamente attraverso cui gli interrogatori,!! carcere,!! processo sono presentati con gli occhi di uno spettatore incolto che assiste per la prima volta a riti di cui non capisce il significato .Non ci si occupa dei contenuti del dibattito processuale, m a se ne descrivono i protagonisti nei loro atteggiamenti esteri ori, con lo sguardo dissacrante dei compaesani accorsi dal villaggio:gli imputati "stipati nella capponaia",! giudici sonnecchianti.gli avvocati scalmanati,!! "capo"dei giurati che paria "colla mano sulla pancia".Si può parlare di montaggio cinematografico a proposito delle scene deH'eccidio.per l'incalzante succedersi di inquadrature drammatiche(per esempio nell'assalto al palazzo della baronessa).
GUIDUCCI
Poetica naturalista
II naturalismo nasce in Francia nella seconda metà dell'ottocento e dura circa un trentennio. Come data d'inizio di tale corrente letteraria viene assunta la pubblicazione del romanzo Germinie Lacerteux dei fratelli de Goncourt (1865) mentre come data di fine l'inchiesta L'evolution litteraire di Jules Huret (1891).
fl contesto culturale nel quale si afferma il naturalismo è quello del positivismo, quindi fiducia nella scienza e nella ragione umana. Una notevole influenza sulla poetica del naturalismo venne esercitata del filosofo positivista Hyppolite Taine, dal biologo Charles Darwin e dal fisiologo francese Claude Bernard. Taine aveva elaborato una teoria deterministica per la quale sono tre i fattori condizionanti del comportamento umano: l'ambiente, la razza e il momento storico. Secondo Taine quindi lo scrittore deve analizzare i comportamenti dei propri personaggi come uno scienziato in modo rigoroso e imparziale, osservando e descrivendoli come fenomeni naturali regolati da un meccanicismo razionale di causa-effetto. Darwin invece da il suo contributo alla poetica naturalistica con le sue teorie evoluzionistiche che introducono i concetti di lotta per la sopravvivenza, ereditarietà dei caratteri e selezione naturale applicate al comportamento degli animali ma che gli scrittori naturalisti applicheranno anche a quello dell'uomo. Bernard infine aveva applicato il metodo sperimentale alle scienze mediche nella sua celebre opera Introduction a l'elude de la medicine experimental del 1863, proprio come faranno i naturalisti che applicheranno il metodo sperimentale non alla natura ma al susseguirsi dei fenomeni sociali.
Tra i maggiori esponenti del naturalismo vi sono i fratelli de Goncourt, e l'introduzione alla loro opera maggiore, Germinie Lacerteux (la storia è quella di una serva malata d'isteria con il resoconto della sua progressiva degradazione fisica e morale), è considerata il primo manifesto della corrente. Il testo contiene alcuni punti essenziali della poetica naturalistica. Innanzitutto gli autori presentono la loro opera come un fatto di cronaca reale e scrupolosamente documentato (parlano infatti di un "romanzo vero" in opposizione a quelli "falsi" che il pubblico del tempo era abituato a leggere) e che ha per protagoniste per la prima volta le classi inferiori. Infine viene qui istituito per la prima volta il nesso tra arte (la narrazione romanzesca) e scienza (lo studio di un caso clinico) fondamentale nella poetica naturalistica.
Il caposcuola indiscusso di tale corrente è pero Emile Zola (1840-1902). Costui trova le principali fonti d'ispirazione per la sua poetica in Bernard, per il metodo sperimentale applicato alla medicina, e in Taine, per il determinismo scientifico applicato alla psicologia dell'uomo. La sua opera più impegnativa è il ciclo di venti romanzi I Rugon-Macquart, nei quali analizza i componenti di una famiglia, i Rougon appunto, nei loro rapporti con la società per più generazioni successive , documentando scientificamente la trasmissione di una patologia e l'evoluzione di ogni individuo a contatto con ambienti diversi. Nel 1880 invece Zola scrive Le roman experimental una dichiarazione di
poetica che può essere considerato a tutti gli effetti il manifesto del naturalismo. I punti principali contenuti nel libro sono:
• Riproduzione fedele e oggettiva della realtà, rifiutando così la letteratura romantica;
• Narratore impersonale;
• Rappresentazione di ciò che è vero e non di ciò che è bello;
• Rivendicazione del carattere di moralità di tutto ciò che è vero, è quindi morale rappresentare anche gli aspetti più crudeli della realtà;
• Utilizzo del metodo sperimentale nella narrazione
• Primato del romanzo in quanto l'unico genere in grado di seguire un metodo scientifico;
Poetica verista
II verismo prende forma nell'Italia postunitaria sotto la diretta influenza del clima del positivismo, della totale fiducia nella scienza e della poetica del Naturalismo francese. In particolare si sviluppa a Milano, la città più feconda sul piano culturale, dove si ritrovano intellettuali di regioni diverse. I maggiori esponenti di tale corrente sono Giovanni Verga, Luigi Capuana, Madide Serao e Federico de Roberto,
Elemento comune a tutti questi autori è una fede di rappresentare la realtà così com'è. Nel particolare la realtà è quella delle regioni del sud Italia, arretrate dal punto di vista socio-economico e per molti versi terre ancora sconosciute. I veristi si propongono così di analizzare e capire le condizioni degli strati sociali disagiati. Si va per esempio dai pescatori siciliani de I malavoglia (1861) di Verga al "II ventre di Napoli" (1887) di Matilde Serao. Sullo sfondo di questa difficile situazione di arretratezza e divisione sociale, si capisce il tono polemico e di denuncia amara tipico degli scrittori veristi. Alle invenzioni della fantasia si sostituisce così la testimonianza del documento naturale e umano che si presenta come riflessione ed indagine puntuale di figure e ambienti.
Forte, come già detto, è il rapporto tra il Naturalismo francese e i veristi italiani dal quale infatti riprendono l'imparzialità della narrazione e l'impegno di ritrarre oggettivamente la realtà. Molte sono però anche le differenze. Mentre in Zola si faceva soltanto una fotografìa della realtà, nel Verismo è presente una regressione dell'autore a livello della realtà rappresentata cioè i personaggi esprimono le loro opinioni su ciò con cui vengono a contatto. Viene ripresa l'impostazione scientifica di Zola ma in maniera meno rigorosa e rifiutando l'applicazione meccanica dei principi biologici e fisiologici alla letteratura. Infine l'idea di progresso e l'impegno politico dell'intellettuale tipici del Naturalismo sono estranei agli autori veristi.
FANTACCI
LA SCAPIGLIATURA
Con il termine scapigliatura, si definisce una corrente letteraria fiorita tra il 1860 e il 1880 composta da un gruppo di scrittori lombardi o, in genere, settentrionali, che ebbero a Milano il loro luogo d'incontro. I membri di questo movimento avevano una comune avversione al tardo romanticismo del Prati e dell'Aleardi e volevano fare oggetto della poesia il vero, sia quello della natura e della società, sia quello dei sentimenti. Essi non riuscirono ad elaborare una nuova poetica ben definita, ma vollero essere scrittori di avanguardia, ribelli alla letteratura ufficiale e alla retorica patriottica. La loro maggior critica fu mossa contro la realizzazione incompleta e mediocre del nuovo stato, con il conseguente crollo degli ideali che avevano animato il risorgimento. Il nome del movimento deriva da un romanzo di detto Arrighi( La scapigliatura e il 6 febbraio), che ripesca un vocabolo dell'italiano cinquecentesco( dove scapigliatura sta per vita dissoluta). Gli artisti scapigliati furono maggiormente influenzati dalla letteratura francese, e in particolare dal romanzo di Henry Murger, Scenes de la vie de bohème, in cui si sviluppa il mito romantico dell'artista povero ed emarginato, in aperto conflitto con la società contemporanea. La ricerca di un'arte nuova si confonde così con la scelta di una vita estrema che spesso coincide con il rifiuto di un lavoro regolare, con la miseria, la frequentazione autodistruttiva di alcol e droghe. Il clima culturale in cui si sviluppa la scapigliatura è quello dominato, anche in Italia, dal Positivismo. La cultura positivista, basata sul dato di fatto e caratterizzata da una fiducia illimitata nel progresso e nelle possibilità della scienza, rappresenta tutto ciò che gli scapigliati, con le loro delusioni e la loro esaltazione dell'irrazionale, contrastano. Nonostante questo contrasto all'interno dei testi scapigliati troviamo temi legati alla scienza e al progresso, non solo come idoli polemici, ma anche come poli dinamici e creativi; infatti la figura dello scienziato e del medico compare con frequenza nelle opere scapigliate, così come appare il treno, simbolo per eccellenza del progresso. Il positivismo e il progresso sono così presenti come repertorio di luoghi, personaggi e situazioni. La letteratura scapigliata, può quindi essere inserita all'interno dell'età del realismo, anche se essi elaborano una nuova visione del "vero", il quale viene inteso nella sua accezione malata, macabra, deformata. "Vero" diventa l'orrendo, il brutto, il patologico; si canta la follia, la morte, la decadenza fisica, la malattia.
Vari filoni del romanzo dell'800 (con riferimento ai temi presenti nei brani letti) - Flaubert e Zola.
È importante cogliere a partire da balzac (precedente a Flaubert ) il tentavico di descrivere la società nelle sue articolazione sociali;l'uomo non solo viene descritto con grande attenzione ,in modo verosimile.ma cè una vera e propria caratteristica dell'individuo che è sempre importante ,cioè la sua caratterizzazione sociale,(come se non esistesse un individuo se non all'interno di una porzione sociale , o dicendolo in termini marxiani ,una classe. Quindi le classi vengono considerate quasi una specie di aree zoologiche ,una sorta di organismi con delle leggi di comportamento proprie. Siamo quindi ancora in una fase pre-naturalistica ma tutte queste esperienze sono collegate ed andranno ad intersecarsi.
In Flaubert si ha un duplice elemento : da una parte una dicotomia tra un romanticismo( il desiderio di ideali ),al quale rimane molto legato ed uno sguardo alla società borghese, sui personaggi borghesi che disattendono questa sete di idealità, al punto che lo sguardo diventa corrosivo alla società borghese che è fatta di eroi vuoti e senza ideali .Cè quindi tanto più forte la critica alla società borghese .quanto più cè stato inizialmente questo desiderio di idealità ..Cè un altro elemento presente in flaubert che ci fa capire come siamo alle soglie del naturalismo; la narrativa dell'impersonalità . un ulteriore aspetto è quello della ripresa del metodo sperimentale ,l'assunzione del positivismo dell'individuazione di meccanismi di causa ed effetto nello studio dei comportamenti umani. Questo lo possiamo trovare nel brano morte di Madame Bovary perché con una precisione implacabile Flaubert descrive gli effetti del veleno per topi. in flaubert cè anche la ricerca della levigatezza formale; d'altra parte in presenza di questi due filoni (simbolismo e prenaturalismo) cè anche il parlazianesimo , un movimento che tende alla compostezza tipicamente classica. Oltre alle altre esperienze degli autori si devono ricordare anche le idee provenienti da Charles Darwin: la lotta per la vita, l'ereditarietà dei caratteri, la selezione naturale producono un orizzonte di Darwinismo biologico che conduce ad una sorta di Darwinismo sociale (che sarà poi presente nel Verga), cioè la sopravvivenza del più forte, senza alcun progresso sociale. Al di là di questo, c'erano già esperienze letterarie che preparano il naturalismo Balzac, con l'individuo come prodotto della società, e Flaubert .Dunque, oltre alla visione positivista ed alle riflessioni di Darwin, da un punto di vista letterario ci sono le influenze di Balzac e Flaubert. Così, si arriva a Zola, che diventa il principale teorico del naturalismo, in cui possiamo trovare un rifiuto della letteratura romantica e la valorizzazione di una riproduzione più oggettiva della relatà, un metodo di narrazione impersonale (tipica nella letteratura del Verga),l'impostazione scientifica della narrazione .
Non c'è quindi da meravigliarsi se nell'autore più naturalista che esiste, ovvero Zola, che fa nei romanzi una sorta di documentario e di denuncia sociale della società, e dove il personaggio viene spiegato alla luce delle leggi che comandano il comportamento umano, nello stesso tempo ci sia anche un'insopprimibile carica simbolica (come si vede nel crollo del Voreux, che è visto come un'enorme bestia che inghiottisce le persone).
BICCI
Da questa visione del vero, non si salva neanche il concetto dell'amore, il quale per la prima volta è accostato al concetto della morte. Infatti la figura femminile per gli scapigliati è quella di una donna bruttissima, tisica e isterica; l'amore viene così a coincidere con una morbosa e malsana attrazione autodistruttiva nei confronti di morte e malattia. Anche questo tipo di pensare l'amore deriva dalla letteratura straniera ed in particolare dai racconti d'orrore dello statunitense Edgar Aliai) Poe, e da Les fleurs du mal di Baudelaire. La morte, così, non ha più il compito di ricordare, tragicamente o malinconicamente, il lato effimero della vita terrena rappresentato dall'amore e dalla bellezza, ma diventa un compiaciuto insistere sul cadavere, avviato alla putrefazione o sottoposto ai ferri dell'autopsia. Sull'operato degli scapigliati ha pesato a lungo il giudizio che ne diede Carducci, il quale accusava loro di non saper scrivere, di esser malati di Romanticismo e di avere troppi debiti nei confronti della letteratura francese. La letteratura scapigliata non ha solo aspetti negativi, in quanto essi sono stati i primi in Italia a segnalare il disagio dell'artista nella società moderna, il suo essere privo di utruolo, condannato all'emarginazione, espulso e schiacciato dai nuovi meccanismi di produzione capitalistica. Inoltre l'esperienza scapigliata ha il merito non indifferente di aprire alla cultura europea: in un'Italia culturalmente attardata e malata di provincialismo, sono gli scapigliati i primi ad aprire e a introdurre i grandi autori stranieri.
Fonte: http://www.liceoxxvaprile.it/docenti/materiali-docenti/prof-caturegli/vecchi-materiali/iv-b/risposte%20ripasso%20positivismo%20-%20VERGA.doc
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