Appunti di letteratura italiana
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Appunti di letteratura italiana
Il testo “Historie de ma vie” fu scritto da Casanova nel 1790 e pubblicato un paio d’anni dopo nel 1792, scompare per poi essere pubblicato da un suo erede; per i parigini il testo non funzionava per una cosa: C. non compariva bene come un libertino, in realtà era un conservatore -> va a far visita a Voltaire presso il suo castello a Ferney, (libro II cap 26) qui parlano di politica, la posizione di V. era molto radicale nella sua ideologia (viveva dei soldi degli schiavi), Casanova condividerebbe le idee di Voltaire sulla religione (come inganno e impostura), C gli chiede “cosa faremo noi privilegiati se la lingua e la cultura saranno di tutti?” La globalizzazione nuocerà alla cultura? Voltaire gli risponde che non importa, dice che diventeremo democratici istruiti per necessità.
Nell’edizione del 700 della Forgue i francesi modificano il linguaggio, è un francese che assomiglia un po’ all’italiano, è un francesaccio, e lo normalizzano tramutandolo in un francese perfetto ed elegante, modificando anche l’assetto politico del testo, tutti i luoghi dove Casanova compare conservatore li tolgono.
Nel 1963 esce l’edizione Brockhaus Wiesbaden (con Piero Chiara per la Mondadori) che ripristina il testo con tutti i suoi barbarismi, in seguito esce l’ultima edizione dei Meridiani.
Libertinage érudit ->si fonda sul materialismo e sul razionalismo, prima metà del 1600 (es. Cyrano de Bergerac libertino che si trasforma in poeta e va sulla luna, Pier Gassendì che nel 1644 scrive
“5 obiezioni a Cartesio” replica le 5 obiezioni alla meditazioni cartesiane -> contesto di rifiuto e conflitto delle metafisiche classiche, La Mettrie autore del celebre “Uomo Macchina” 1748).
Tra il 1644 e il 1748, un secolo in cui cresce un pensiero critico -> temi del libertinismo:
- Riflessioni sulla materia e sullo spirito -> che cosa sono io uomo? Di che cosa sono fatto?;
- riflessioni sul corpo umano, tant’è che La Mettrie nel suo “uomo macchina” dice che l’uomo è una macchina in grado di desiderare, una macchina desiderante; riflessioni sulle possibilità materiali per pervenire al godimento -> l’ultimo estremo fine dell’uomo;
- ricerca della felicità e del piacere -> “parvenir a la plasir” che è il fine ultimo dell’uomo;
- immortalità dell’anima (aneddoto sulla morte di La Mettrie a Postdam che muore mangiando il patè e dice “La farsa è finita” -> Si racconta che La Mettrie per mostrare la sua robusta costituzione e la sua ingordigia divorò una gran quantità di paté. Come risultato ebbe un attacco di febbre, cominciò a delirare e morì.);
- libertà di pensiero come uscita dai pregiudizi, dalle idee ricevute, dalle metafisiche classiche, opposizione al dogmatismo e decostruzione del pensiero dato (Kant, illuminismo -> uscita dallo stato di minorità dell’uomo) -> i libri proibiti che stanno nelle cantine della Biblioteca Nazionale di Parigi, sono i libri della rivoluzione e venivano censurati, vengono pubblicati ad Amsterdam e raggiungono Parigi, (Dalton scrive su questo argomento “Forbidden Bestsellers” -> paradosso il censore reale francese è un romanziere libertino che si autocensura)
- concetto di bene pubblico che per la prima volta viene coniugato alla felicità personale, ciò che è nocivo al bene pubblico (dogmatismo, potere ecc) è nocivo alla felicità personale.
Libertino: persona che ha in sé una “pars destruens” = parte che distrugge, un aspetto oppositivo molto forte, intende distruggere i dogmi e le verità rivelate, in nome di una realtà filosofica, per dedicarsi alla ricerca del vero, presupposto imprescindibile per il raggiungimento della felicità.
All'inizio non si basava sull'accezione carnale e sessuale del movimento, ma sull'affermazione dell'autonomia morale dell'uomo a dispetto dell'autorità religiosa, sulla critica del dogmatismo, sull'utilizzo della ragione, della scienza e della realtà come punti di riferimento e sulla libertà di espressione. Si tratta di un pensiero critico non pacifico ed è in opposizione alla tradizione e alle metafisiche, ne fa una sorta di rivoluzionario, non esiste un libertino in pace armonizzato con le idee correnti e con il potere corrente. Ideologicamente è un democratico (politicamente) e un materialista (filosoficamente).
Un libertino rischiava di mettersi contro le istituzioni ecclesiastiche che detenevano il potere temporale oltre che ideologico, perché egli va contro la religione cristiana contro il tomismo di Aristotele.
Non esiste un libertino che non metta in discussione idee che nuocerebbero all’individuo e al perseguimento della felicità individuale e del bene pubblico -> coniugano questi due beni per la prima volta.
Ma come si può fare questa guerra senza essere messi al rogo??
Libertini furono nel 600 filosofi, letterati, magistrati, uomini politici che agendo in segreto o in ristretti circoli aristocratici, con pubblicazioni anonime e clandestine cercarono d'influenzare il potere politico rimanendo nascosti alla pubblica opinione.
Conducono questa battaglia senza finire al rogo attraverso il concetto di diplomazia che consiste nel discutere intimamente, all’interno dei propri palazzi, ma non pubblicamente dove il proprio pensiero dev’essere nascosto (-> intus ut libet, foris ut moris est-> è il motto di questa doppia morale libertina, usata spesso non solo nel senso politico prima citato, ma anche per evitare persecuzioni dell’autorità politica o religiosa. La verità non può essere divulgata, al contrario va nascosta alla «populace», che, dominata dall’irra- zionalità, deve essere tenuta a freno con paure ultraterrene. I libertini quindi in politica sono spesso conservatori e sostenitori delle monarchie; nella loro vita privata professano teorie filosofiche che sono condannate e perseguitate poiché costituiscono una critica totale e feroce della morale cristiana; nella vita pubblica si adeguano alla morale corrente.
Il principe stesso è invitato a fare pubblica professione di fede, ma nella reale azione di governo non deve ispirarsi ali valori cristiani, che non sono adatti alla complessità dell’azione politica e sociale), -> il pensiero libertario diventa un pensiero aristocratico, perché circola solo tra pochi intellettuali, tra un élite di pochi illuminati e le masse non vi hanno alcun accesso, i libertini camuffavano le nozioni perché non potevano dire troppe cose (es. Voltaire parla di religione islamica ma in realtà sta parlando di quella cristiana, è un attacco ad essa ma non viene esposto alla massa).
Michel de Montaigne dice -> “nel tuo animo e nei tuoi scritti di la tua verità ma nascondila alla folla”, si trattava di un pensiero aristocratico per pochi illuminati, era un pensiero rivolto a chi poteva capire, e la folla non era in grado di comprendere tale pensiero. Il libertino è un democratico dal punto di vista politico e un materialista da un punto di vista filosofico.
Padri fondatori del pensiero libertario:
Tommaso Campanella: grande utopista, domenicano italiano, di Stilo (Calabria) grande rivoluzionario scrive “La città del sole” nel 1602, l’ha scritta in carcere a Napoli.
Tema: descrizione di una città ideale che si basa sul raggiungimento del bene comune -> negazione della proprietà privata, non deve esistere nella città utopica della città del sole, anche le donne dovevano essere in comune, la generazione di figli è regolata per il bene pubblico, messa a disposizione della collettività -> va contro l’idea di famiglia e di gruppo di potere.
Si rifà a Platone, è basata su una religione naturale che si oppone a una religione culturale, a una religione cristiana; questa città utopica sarà ricordata da Cyrano nel suo scritto “Stati e imperi sulla luna” che immagina di fare un viaggio sulla luna, su un’altra civiltà possibile, virtuosa e utopica.
Giulio Cesare Vanini: Era un domenicano sdomenicanato, getta il saio e viene bruciato dai preti di Tolosa per un libro che non aveva sconfessato -> “Amphitheatrum” 1615 -> ridefinizione di concetto di natura -> “cosa sono queste cose che ho davanti? Terra, cielo animali ecc… e Dio dove sta? Fuori dalla natura? Sta nei cieli?” vuole dimostrare l'esistenza di Dio, definirne l'essenza, descriverne la provvidenza.
Filosofia della natura seicentesca -> ma non è che sta anche nelle foglie di un albero? La natura non è una cornice che Dio mi ha messo davanti farmela spassare un po’? dice che Dio sta all’esterno della natura, nel cielo e nei cuori dei credenti, la natura è Dio stesso, Dio è il mondo. L’anima dell’uomo non è immortale ma finisce nella natura (anticipazione del pensiero di Spinoza)
La religione è la religione naturale che nasce insieme alla natura, c’è una propensione alla religione, ma questa non è cristianesimo, non è una religione fornita da un libro.
Scrive anche “Dei mirabili arcani della natura regina e dea dei mortali” 1616, viene pubblicato a Parigi, parla dei miracoli; la religione ci dice che «Dio agisce sugli esseri sublunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento», ma i presunti fenomeni sovrannaturali sono per Vanini soprattutto la fantasia umana, capace di modificare l'apparenza della realtà esterna -> (“Trattato dei 3 impostori” i fondatori delle religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti sono interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, quindi il potere usa i miracoli per mantenere il potere).
Secondo Vanini i miracoli sono:
a) la natura stessa, una sua manifestazione del tutto plausibile, quindi gli eventi miracolosi fanno parte del sistema stesso della natura;
b) trucchi utilizzati dal potere costituito per influenzare e impressionare le masse (aneddoto del re scozzese che fa comparire dei fantasmi nelle stanze dei suoi cavalieri per suggerire loro l’entrata in battaglia contro i Pitti).
Il miracolo se è vero (fenomeno soprannaturale) fa parte della natura (perché un evento assurdo non potrebbe far parte della natura?), altrimenti è un falso di cui si serve il potere, bisogna smascherare il falso. Quindi i miracoli esistono come modificazioni plausibili nel sistema della natura, dove non è questo il caso sono delle truffe.
Vanini come Campanella, è estimatore della religione naturale, che si trova in ogni uomo dalla sua nascita e che non dev’essere rivelata da un libro.
Michel de Montaigne: è lo scopritore di una nuova tecnica del discorso che è l’opposto del trattato (in cui un postulato dogmatico viene dimostrato con esempi), e che è “Essais” = tentativo/esperimento, una serie di saggi del 1580, li scrive con un'abile tecnica retorica che intendeva attrarre e coinvolgere il lettore. L'obiettivo dichiarato di Montaigne è quello di descrivere l'uomo, e specialmente se stesso, con completa franchezza: "Sono io l'oggetto del mio pensiero". Qualunque sia l'argomento trattato, l'obiettivo è la conoscenza di sé, la valutazione della propria capacità di giudizio, l'approfondimento delle proprie inclinazioni.
Propone di restituire all’uomo la sua instabilità -> perché la sua centralità nel mondo non è stabile, questa situazione che noi siamo abituati a ritenere stabile non è vera, non esiste stabilità nel mio mondo. Questi saggi smontano una serie di dogmi, M. combatte l’idea dogmatica di una centralità dell’uomo attraverso le religioni -> per quale motivo noi siamo cristiani? Discorso che parte dalla religione storica chiedendosi perché siamo cristiani: risponde che questo è frutto del caso che ci ha fatti nascere in questa determinata area geografica, la casualità precede la scelta, noi siamo cristiani per caso, infatti M dice che le leggi, i costumi e le religioni delle diverse culture umane, per quanto diverse, potevano essere egualmente valide. Se la fede è del tutto casuale, il concetto stesso di fede è destrutturato (M dice “quando un uomo nasce è spogliato dalla grazia divina e quindi molto lontano dalla volta celeste”).
M dice: “consideriamo per un attimo l’uomo solo, questo uomo solo è molto lontano dalla luna, noi siamo nel cielo sublunare, sotto la volta celeste e non sappiamo nulla, quindi restituire all’uomo la sua realtà è una mossa che fa coincidere verità e incertezza” -> la verità scoperta da M è l’instabilità -> io non posso conoscere in modo certo; è un pensiero critico, ovviamente esclude la verità rivelata dal Vangelo, senza quello ci rendiamo conto della nostra instabilità.
Es. M si chiede: “io ho un gatto, chi mi dice che io conosco i moti interni di quel gatto? Sono sicuro che li abbia? Il punto di vista del gatto su di me io non l’ho conosco, chi mi dice che io non capisca il gatto più di quanto lui capisca me? Quando io gioco con la mia gatta chi sa se è lei che passa il suo tempo con me o io che passo il mio tempo con lei?”; guardando la sua gatta si chiede se essa non possieda un proprio punto di vista sul suo padrone e se esista la possibilità che il linguaggio animale non sia più complesso di quello umano -> sono pensieri che rendono l’uomo instabile perché comprende che non c’è nulla che egli possa conoscere completamente, Il gatto di M rende il suo padrone instabile ma vero, si rende conto di essere privo di una conoscenza certa. Io arrivo a questa coscienza che mi rende ancora più incerto -> se comprendo ciò sono un essere autocosciente -> sapere di non sapere.
M scrive in maniera dolce, simatica educata ma non perde di durezza, dice le cose in maniera pulita, c’è una durezza distruttiva, anche lui combatte il suo falso, costituito da giudizio e dogma più le passioni, tutto ciò rende l’uomo infelice l’uomo che procede verso le sue metafisiche, che non si fa domande sul suo gatto è infelice.
Noi abbiamo pagato caro questo raziocinio, M suggerisce di minimizzare le passioni, rendere le passioni conversazioni, in quanto l’uomo dogmatico e passionale è infelice. (libro II cap 12).
M si rifà all’età dell’oro di cui parla Platone nella sua Repubblica, di questo accordo tra gli uomini autocoscienti e animali incoscienti -> l’uomo che cerca di capire guardando i suoi fratelli animali, che mi rende felice e un po’ più sapiente.
Secondo M ogni verità conosciuta dagli uomini in modo dogmatico è essenzialmente non vera, occorre, al contrario, assumersi la propria instabilità, la verità da dove parto e la mia instabilità.
La mia autocoscienza può essere tradita “dall’immaginazione” -> es. quando viaggio oltre il cielo per immaginare gli angeli, come fa la metafisica; e dalle “passioni” -> es. la guerra, che creano dogmi che io devo combattere per raggiungere la felicità.
Tema dell’incompiutezza compare anche in Casanova (e in generale nel pensiero settecentesco): libro II cap 17: C. è a Madrid ed è molto amico di un pittore olandese di paesaggi Mengs, con lui parla di temi legati all’arte, in questo studio Mengs sta dipingendo una tela con la Maddalena, lui la sta compiendo, ogni volta che C si reca da lui gli chiede quando l’avrà finita, e il pittore gli risponde sempre domani, domani ecc.. C si spazientisce e alla fine Mengs afferma che “nulla è compiuto, che tutto ciò che è opera dell’uomo è incompiuta e, per questo, vera” i due si abbracciano e C si commuove su quest’idea di incompiutezza, tutto è incompiuto, niente può compiersi in questa vita, dalle mani dell’uomo non può uscire un opera compiuta.
Spinoza: seconda metà del 600, è alla base di tutto il pensiero settecentesco, scrive “L’etica ordine geometrico demostrata” scrive negli anni 60 del 600, viene pubblicato nel 1677 quando lui è morto.
Parte terza dell’etica “origine e natura degli affetti” capolavoro che percorre due secoli e che influenzerà la filosofia della natura fino a Leopardi.
Primo argomento: la natura, ciò che abbiamo davanti, ciò che ci circonda, io penso alla natura come una cosa che io sto costruendo (un’opera umana) una casa per es. io sto costruendo una casa con un fine, il fine coincide con il finire questa casa, ho finito sta casa e ora ci vado ad abitare, io penso a questa casa come a una casa che sarà perfetta quando sarà finita, quando avrà raggiunto il suo fine. La natura è il contrario di questa costruzione, essa non è costruita secondo le regole del fine, perché la regola del criterio di perfezione fa capo a un mio criterio di perfezione che non ha nulla a che fare con la natura, perché essa ha la sua legge in se stessa e non risponde né a un sistema divino né a criteri come la finalità. Quindi la natura non dev’essere concepita attraverso le regole della costruzione e del divenire.
Es. terremoto di Lisbona -> la catastrofe naturale è casuale, fa parte di una regola che non conosco, non c’è un senso nel terremoto ma fa parte di regole che io non conosco, “la natura non ha fine e non ha un fine”. La catastrofe e il miracolo fanno parte della natura, hanno lo stesso senso di un panorama o dell’ordine.
Un secolo e mezzo dopo Voltaire come si comporta di fronte a questo terremoto? Dice sarcasticamente che “questo è uno dei migliori mondi possibili” (critica sarcastica verso Dio che rende possibile la perdita di molte vite) ovviamente intende il contrario. Voltaire dice che se questo terremoto c’è, è perché qualcuno ha autorizzato a farlo, c’è una protesta sarcastica che in Spinoza non c’è. Per V è una catastrofe che delude l’attesa umana, quindi alza la sua protesta ironica e dice “che fare se non coltivare il proprio orto fin quando c’è” (coltiva il tuo orto, lavora, agisci).
Quindi secondo S la natura è qualcosa che ha la sua legge in se stessa, ciò che sembra imperfetto della natura allo sguardo dell’uomo (es. terremoto) o una catastrofe naturale interna al sistema della natura, è perfettamente naturale, invece per quanto riguarda i miracoli a partire da Spinoza e a finire con Voltaire i miracoli non esistono oppure la natura è miracolo. Regole della natura che contengono armonia, catastrofi e miracoli.
S dice che l’uomo fa parte della natura ma relativamente, perché io ho autocoscienza cosa che non ha una pianta per es. Quindi che cosa fa l’uomo di fronte a questo problema?
L’uomo non può essere giudicato se no per facente parte di questo sistema, la cui potenza umana è inferiore alla potenza della natura, dunque limitata dalla potenza della natura. L’uomo è parte di un tutto ed il tutto è più potente della parte, questo limite che ci mette in condizione di inferiorità coincide con la sua mortalità -> l’uomo è mortale in quanto è naturale (Von Baldassar, teologo del 900, dirà che non si concepisce la vita senza la morte)
Questo limite che è la sua mortalità è la sua identità, la sua pena e la sua funzione; è impossibile pensare alla vita se non ci fosse la morte, se non ci fosse questo limite.
L’uomo senza questo limite (che è però la sua forza, la sua vita) necessariamente esisterebbe per sempre. Ma allora se questo sistema della natura è vero, “che cos’è l’immortalità dell’anima?”,
questa idea di Humanitas ha una riflessione importante a livello sociale: principio di socievolezza -> l’identità umana è un’identità di relazioni, io sono perché gli altri mi permettono di essere.
Non è possibile pensare a quell’uomo se non in relazione a un suo simile -> io non sarei niente se non ci foste voi a farmi essere, acquisisco così un’identità (Spinoza dice: “all’uomo niente è più utile dell’uomo; gli uomini non possono desiderare niente di più efficace nella proprio conservazione del fatto che tutti desiderino per sé il bene comune”).
Desidera il bene comune, pubblico; questa concezione sociale dell’humanitas fa si che il bene pubblico sia la conciliazione della mia felicità. Il bene degli altri conviene al bene mio, il bene pubblico è l’unica condizione del bene individuale. Essere utili gli uni agli altri cercando il proprio utile. Pars destruens ( = la parte che distrugge) nei confronti di chi disprezza l’umanità, cioè il teologo, il frate, l’eremita, l’associale e il barbaro (che parla una lingua non umana);
Orazio dice di seguire la propria indole (non il proprio dio), Orazio viene spesso citato da Casanova e generalmente nel 700.
Libro II cap 30, interpretazione di Casanova su Petrarca.
Libro di Casanova 1792: Scrive una prefazione (scritta alla fine), dove sono contenute un po’ tutte le sue idee, è una giustificazione della sua fede monoteista, tace agli altri quello che ha dentro. Difende la sua fede monoteista ma allo stesso tempo ne prende le distanze, non può prenderle da Dio perché c’era il papa e quindi prende le distanze dagli stoici.
Comincia a non credere al destino degli stoici, mette in rapporto l’aldilà del cielo e delle lune con l’immaginazione naturale, il destino è concepire il tragitto umano da un punto A ad un punto B provvisto di un senso. La realizzazione di questo destino è ciò che non interessa a C, dice che non sa dove va a finire, dice che è una chimera dell’immaginazione, difende il principio di libertà di un sistema narrativo libero, che non segue le linee del destino. In questo libro non ci sono chimere ma vite. -> questione che determina il principio di libertà e autodeterminazione del sistema narrativo: come narrare i fatti autobiografici? Da dove partire con la narrazione? Quanto essere fedeli alla realtà? Casanova elimina il racconto della sua infanzia, affermando di essere stato fino agli 8 anni privo di pensiero critico ( diverso da Alfieri che invece dedica spazio alla sua infanzia come luogo di elementi di spiegazione della sua vita possibile) -> l’histoire non comincia e non finisce, termina nel mezzo della sua vita, quando è collaboratore dei dogi veneziani.
Libertino -> antimetafisico contro gli stoici, all’inizio della vita di C “sono stato felice di sviarmi” -> pensiero materialista libertino, nega di aver compiuto un destino già scritto e l’idea secondo cui il romanziere sia il depositario del destino nei suoi personaggi -> non può esserlo quando racconta di se stesso. C era materialista ma non democratico.
Nella prefazione anche c inizia a parlare di Dio (tutti i libertini partono da lì), affronta il grande problema dello spirito, è un problema assillante per un materialista, è quasi senza soluzione, lui fatica a trovarla, anche se le metafisiche forniscono la soluzione.
C si professa cristiano e rispettoso monoteista -> utilizzando questa politica della dissimulazione tipica del pensiero libertino -> questa rivoluzione si fa in se stessi, in questa piccola cerchia.
Il pensiero libertino è democratico ma alla fine è aristocratico, perché viene nascosto alle masse, non è concepito per il popolo come invece lo era l’encyclopedie -> che consegnava alle masse le recenti acquisizioni e le scoperte della filosofia. C non ci sta, non vuole diffondere il pensiero alla massa, C in realtà non è uno scrittore, un filosofo, un teologo, è cmq un tuttologo ma non del tutto padrone di qualche scienza , lo è solo di questa filosofia della vita.
La prima parola che troviamo in C è lo stoicismo (tutto il materialismo passa per questa protesta allo stoicismo) in particolare sulla forza del destino che altro non è, per C, una chimera dell’immaginazione.
C difende il principio di libertà di un sistema narrativo “come racconto ciò che mi è accaduto?” “come dire la verità? Qual è la verità originale?”, C dice che ci racconta il vero, ciò che gli è accaduto gli è accaduto senza una destinazione.
Nei libertini l’infanzia non conta nulla, perché in quel periodo della vita non c’è ragione, non c’è un io critico nei confronti del mondo (in Alfieri invece ci sono molte narrazioni sulla sua infanzia, si fa una prepsicanalisi), C invece, dice che la sua narrazione non può cominciare da dove è nato, perché lui non sa niente, non esisteva -> è un trucco per non cominciare ( non parte con “io sono nato …..” , ma con “io sono andato …..”).
La vita di C non si conclude, si conclude piuttosto nel momento in cui gli avvenimenti accadono e precipitano, la conclude nel mezzo dell’azione, quando diventa una spia della Serenissima, diventa una spia, ma lui questa cosa non la dice.
Anche dal punto di vista formale, non accetta l’idea di inizio e fine del destino -> chimera….quindi non esiste neanche nella trascrizione narrativa della sua autobiografia.
Esperimento di C -> ci consegna una narrazione che non inizia e non finisce, è come se ce ne consegnasse solo un pezzo, la mia vita deve avere un senso per essere raccontata; dice che non sa dove sta andando, non conosce il passo successivo a quello che sta compiendo, lo sviamento -> non percorre un’unica strada, sfugge anche alla regola dei memoriali che ricercano il senso di sé (cosa che invece fa Alfieri), C è più fedele al pensiero materialista.
Altri memoriali del 700:
Carlo Gozzi “Memorie inutili” edite nel 1797 -> è un’attenta ricostruzione della sua vita, rettifica quello che nella vita gli è andato storto, Gozzi non dice la verità, si dimostra come un sentimentale, lui trucca le carte della sua biografia settecentesca. ( C invece non ha problemi a mostrare il suo lato ignobile quando raggira una marchesa, mentre non dice che barava a carte, lo ritine più ignobile di raggirare una marchesa).
Lorenzo da Ponte scrive le sue “Memorie” che pubblica a New York nel 1827, si immagina una cultura italiana all’estero, anche qui c’è un’idea di destino, c’è un inizio e una fine, come anche in Gozzi, entrambi raccontano la loro vita ma raccontando solo ciò che gli andava bene, vanno verso un fine, anche se il truccare le carte è pensare di se che non abbiamo un destino.
Nella vita di C manca l’autore, colui che conosce il senso degli eventi, l’autore di un romanzo conosce la vita che lui vuole mettere in scena, di cui conosce la chiave, in C manca questo autore -> che coincide con il personaggio, entrambi non sanno dove vanno.
Inizio in Casanova, afferma che il maggior piacere della sua vita è stato lo “sviamento”, nega decisamente di aver compiuto un destino già scritto e l’idea secondo cui il romanziere è depositario del destino dei suoi personaggi -> non può esserlo quando racconta di se stesso.
Concetto di Sviamento -> concetto importante del romanzo più innovativo di tutto il 700, quello di Laurence Sterne “Viaggio sentimentale attraverso l’Italia e la Francia” 1768 (ma anche “Tristan Shandy”), verrà tradotto nel 1807 da Foscolo. È la storia di Yorick, pseudonimo di Sterne, del suo peregrinare tra paesaggi maestosi e sublimi, in una sorta di libro di viaggio, era un parroco divertente il cui motto era “camminando ci penserò” -> pensare legato nel caso dei passi di cui non si conosce il successivo, è legato nei miei passi pieni di ostacoli.
“Tanto moto, tanta gioia” -> motto dell’idea illuminista -> importanza del movimento per giungere alla conoscenza e alla felicità; è solo uscendo dal mondo, mettendomi a disposizione, che io provo felicità, non siamo niente se non ci muoviamo, se non ci perdiamo nel labirinto della vita, “se non c’è un bivio, in un racconto cosa devo raccontare?” importanza del viaggio che è tutto, il viaggio in sé è conoscitivo -> condizione essenziale per la definizione del proprio carattere (nel 700 l’educazione di un figlio si basava sul “Gran Tour” -> viaggio all’estero, di cui l’Italia è rimasta il luogo del viaggio, si partiva da Torino poi per Venezia e Firenze), questo altro mondo era fondamentale per la conoscenza di sé. Come mezzo per inserirmi nella varietà.
L’idea di Varietà è uno dei pilastri fondativi del pensiero di C, ed è un concetto importante anche in Locke “Saggio sull’intelletto umano” 1690, dice che se non ci fosse la varietà non ci sarebbe questo appetito di conoscenza, se non ci perdessimo in questa varietà non conosceremmo nulla -> varietà è l0incremento della conoscenza.
Hume, 1739 nega che l’IO stesso sia uno, che sia fisso e stabile, lui stesso è una delle condizioni della varietà del mondo, l’io non è uno, non è stabile ma mobile ( è una serie di persone che stanno in noi); Hume dice “ noi non siamo altro che fasci e collezioni di differenti percezioni che si susseguono con un inconcepibile rapidità di un perpetuo flusso e movimento secondo un’infinita capacità di comportamenti”.
In generale il 700 rivendica la mobilitazione intellettuale e fisica, trasmettendola anche ai romanzi, in cui si fa strada il romanzo di formazione, il cui protagonista è solitamente un orfano.
Problema del personaggio autobiografico:
Come si fa a raccontare qualcosa di se stessi? Vi sono due tecniche autobiografiche:
La prima fa capo a Sant’Agostino -> “il mio cuore è inquieto” per questo parlo di me, se fosse quieto non sentirei il bisogno di scrivere; con la proprio scrittura si vuole venire a capo di se stessi, Agostino parte da una confusione, l’atto autobiografico è l’atto di interpretazione di sé.
C si comporta esattamente al contrario, il dato che chiamiamo vita mi sfugge -> quando? Quando stiamo invecchiando, scrivere è un antidoto a una certa perdita di vita.
O io non sono soddisfatto di me come dice Agostino, oppure voglio riprendere questo valore che noi chiamiamo vita, che noi non sappiamo riprendere se non con la scrittura autobiografica.
C scriveva un po’ come d’Annunzio, su dei cartigli, pezzi di carta lunghi dove appuntava quello che gli capitava durante la giornata, e sapeva che prima o poi avrebbe aperto il baule per riscrivere la sua vita.
Rivendicazione di mobilità filosofica; si ritorna al concetto di sviare -> modo di conoscere, in C diventa una concezione letteraria, è un po’ il contrario del romanzo di formazione -> costruire se stesso, viaggiando conosco, più faccio esperienza più mio costituisco come io, questa concezione di costruire un io, di crescita individuale non c’è in C.
C non ha destino, vuole perdere centralità il più possibile, non è alla ricerca di un io, vuole confondersi sulla superfice delle cose. Il narratore occidentale sa cosa sta raccontando, ci fornisce il senso, C è come se fosse il narratore con la n minuscola, che non fornisce nessun senso, lui non sa nulla e non ci può dare nessuna verità, è come se ci dicesse che il suo non è un romanzo, ma una cronaca, non è che la trascrizione di un dato confuso -> autobiografia, vi racconto ciò che mi è accaduto (Lukács György nel suo “Teorie del romanzo” dice che il personaggio è il ricercatore di senso, è quello che sta andando nel mondo per ricercare quella meta) C non ha a che fare con questi dati etici della narrazione, il suo è un perdersi, si devia dalla strada maestra -> divertissment = divertimento, ma anche cambio di direzione, perdita di orientamento, che è anche un criterio conoscitivo, perché è solo perdendomi che io conosco.
I° capitolo di C, dice che il “lettore non avrà uno scopo, lasciarmi portare dove mi spingeva il vento, mi è sempre piaciuto sviarmi e ho sempre vissuto nell’errore e vivevo con l’unico conforto di essere consapevole che mi ci trovavo”.
Erranza -> criterio conoscitivo, è solo perdendomi, ammettendo l’errore, che io conosco (conduce alla verità, come per Cristoforo Colombo).
Non prevede un inizio ne una fine, non c’è una direzione in C, si rende disponibile al movimento in sé; non si prevede il termine del viaggio, perché è continuamente differito, la casa non c’è (quella dove si vivrà felici e contenti) passare da un amore all’altro è una forza e un limite, con questo sistema la vita non si ferma mai, quando sta per annoiarsi con l’altra compagna, lui cambia amore.
Questi amori consecutivi sono volgari, non è possibile essere costantemente passionali vitali se l’esperienza viene costantemente ripetuta, ripetere questa esperienza è di cattivo gusto.
In C non esiste il termine del viaggio, non esiste la casa e non c’è neanche il denaro, non si può scrivere un romanzo senza parlare di soldi, il denaro è una componente costante del romanzo settecentesco, può diventare anche una meta (rottura decisiva tra il romanzo e l’epica, perché se l’eroe epico compie il proprio destino e raggiunge una totalità, lo scopo del protagonista del romanzo è mettersi in gioco con il reale, mettere in crisi la propria identità -> Lukas “teorie del romanzo”.
In C il denaro torna, lui è anche un truffaldino, uno scroccone, crea a Versailles il gioco dell’lotto, il denaro non è un fondamento della narrazione, l’Histoire non punta all’edificazione di se stesso e del proprio benessere.
Negazione delle certezze dell’uomo umanistico è il carattere principale del romanzo moderno, come dimostra Diderot in:
“Jaques Le Fataliste”, 1778: Jaques si interroga continuamente sul destino, e sulla possibilità di conoscere il suo contenuto, ma questo destino non si compie mai: lui e il suo padrone vengono guidati dalla volontà dei cavalli, che non obbediscono, e si perdono continuamente senza conoscere la loro direzione (Diderot non accetta il concetto di fatalità).
“Questo non è un racconto”: non è un racconto perché manca la morale (novellistica cinquecentesca) e perché si tratta di due apologhi che si negano a vicenda: il primo afferma che gli uomini siano buoni e le donne malvagie, il secondo sostiene il contrario -> la verità non esiste.
In un capitolo, Jaques ascolta il racconto di un’ostessa sull’inganno perpetrato da una donna a suo marito e questa storia è senza morale, lei si limita a narrare fedelmente i fatti e non li integra con aspetti non veri -> realtà è anche deludente (il romanzo pone la questione della realtà e del realismo.
Alfieri “Vita”: ricostruisce l’immagine di sé stesso ponendosi come modello di uomo e di intellettuale a cui gli altri devono aspirare, riedifica se stesso e la sua vita come un’opera d’arte, costruisce se stesso come un personaggio che realizza la sua epoca (tramite il personaggio il lettore scopre qualcosa di più di una determinata epoca). Nelle prime righe di Alfieri “di nobili parenti….”ci dice che sta costruendo un uomo nobile, agiato e onesto -> è una descrizione nobile, è come se Alfieri ci dicesse che lui non è nato dalla corrente, è lui che trascina la vita non è la vita che determina me ma sono io che determino chi sono. Lui è certo che la sua operazione intellettuale avrà successo, con tutte le sue forze cerca di spiemontizzarsi e di trasferirsi a Firenze per diventare tragediografo. Rifiuta il concetto di “sviamento” di Casanova e di Jaques le Fataliste e presenta la sua vita come una precisa successione di passi verso il compimento di un destino che è lo sviluppo di un pensiero critico nei confronti della realtà, suddivide l’opera in epoche, divide la sua vita in epoche, era stata a suo tempo formulata da Aristotele -> scelta filosofica, lui non sta solo raccontando la sua vita, ma sta edificando se stesso, vuol far riflettere sulle sue esperienze -> diverso da Casanova che rifiuta il concetto di autoedificazione e di formazione, anche la struttura narrativa dell’Histoire è improntata sul principio di sviamento, Gozzi dome Alfieri scrive di se stesso presentandosi come un modello e un eroe dei sentimenti, compie una sorta di autoapologia = Da Ponte.
Sviluppi successivi al 700:
questione della volontà e della determinazione del proprio destino vengono affrontate da Manzoni, che offre con la “Monaca di Monza” un ritratto della volontà mancata diversa dal personaggio di Jiavert Valjean è un personaggio immaginario protagonista del romanzo
“I Miserabili“ dello scrittore francese Victor Hugo; la monaca è eroe della volontà e del riscatto del proprio destino di miseria, in contrapposizione a Javert, che afferma che i ladri saranno ladri per sempre.
Su modello di Alfieri, Ippolito Nievo scrive “Memorie di un italiano”, in cui costruisce se stesso in maniera esemplare;
Nel 900 Svevo, ricostruisce i personaggi che sono il dramma della volontà mancata; D’Annunzio ritrae, tramite Andrea Sperelli (“Il piacere”) la parodia del libertino, bloccato da quella tradizione e fissato nell’immagine del libertino, negazione paradossale della mobilità e del dinamismo; con Gadda “La cognizione del dolore” 1963, crolla il concetto di autoedificazione e di “luogo elettivo”, perché la casa diventa luogo di tormenti.
Oggi: la forma-saggio e la forma-romanzo confluiscono nel romanzo ibrido, di cui Elsa Morante è esponente -> accompagna la narrazione romanzata alla sintesi di fatti di cronaca romana.
Lo stesso concetto di sviarsi ha dei presupposti teorici che vediamo in alcuni autori:
Uno dei più letti da C è il canonico Pier Gassendì -> scrive l’operomnia 1726 stampata a Firenze, l’edizione di cui dobbiamo tener conto è quella del 1644 “Obiezioni a Cartesio” -> l’idea fondamentale di G è che dobbiamo seguire la natura, la religione naturale e non quella rivelata, essere naturali, G ci dice che seguire la natura è lo scopo della vita umana (“sequere deum” -> Orazio, seguir e il proprio piacere, “l’amor sui, l’amor di sé”, motto di Casanova).
È un canonico e per questo scrive temendo il concetto di “foris ut moris …”
G dice di seguire il proprio istinto, di fidarsi dei dati della natura, dice che è la natura che ci da queste indicazioni, è probabile che seguendo la natura io sia felice, se noi siamo arrendevoli di fronte a quello che abbiamo di fronte, di ciò che ci fa vedere la natura, siamo felici, se seguo l’intuizione e la natura non posso sbagliarmi, perché ottengo ciò che è preferibile per me.
G dice “io vivo giorno per giorno non accettando nulla che oltrepassi i limiti della probabilità”, Cartesio gli dice che lui è un uomo tutto di carne e non concepisce lo spirito.
G nega la profondità dei metafisici -> Agostino “devo trovare il dentro del mio dentro”.
Casanova fa propri questi concetti che confluiscono nell’histoire e nel suo motto “sequere deum”, seguire l’amore di sé.
Dibattito con Cartesio: il botta e risposta tra Gassendì e Cartesio si colloca nel più ampio dibattito sulla natura di spirito e materia e sul tipo di relazione esistente tra questi due elementi:
Cartesio: afferma una visione dualistica in cui lo spirito (Rex estensa -> materia Res Cogitans -> spirito) è separato dalla materia -> porta l’esempio dello specchio a sostegno delle sue teorie affermando: “ non è l’occhio che vede lo specchio, ma lo spirito che lui solo riconosce lo specchio” -> per riconoscermi allo specchio ho bisogno di un “tertium” di un terzo, cioè lo spirito, senza cui non ci sarebbe il meccanismo sottile del riconoscimento di me a me stesso, tanto che se un animale si specchio non si riconosce e non ha reazioni.
Gassendì: polemizza e riprende l’esempio dello specchio, “come l’occhio per vedere se stesso ha bisogno dello specchio che gli restituisca la forma, così lo spirito si rivela in occasione solo di eventi sensibili” -> è vero, specchiarmi mi permette di riconoscermi e mi riporta a tutto me stesso, ma come potrei farlo in natura se non ci fosse lo specchio? Che è materia, è evento sensibile? -> lo spirito esiste come qualità della materia e si mette in atto solo dentro di essa, non è indipendente, ma soggetto all’ordine materiale.
Secondo la filosofia libertina, io posso conoscere solo ciò che posso toccare o sentire; non posso conoscere in astratto, anche in campo amoroso “come posso innamorarmi senza un’immagine?”, la facoltà di pensare e di immaginare devono andare di pari passo.
Cartesio risponde a Gassendì nelle “risposte alle 5 obiezioni” rimproverandogli di essere a tal punto vincolato ai sensi da negare la possibilità di concepire senza immaginare, se hai bisogno di immagini per pensare sei un uomo tutto di carne.
Gassendì ribatte sottolineando che se Cartesio può pensare e produrre le sue obiezioni, è grazie al suo corpo, alla sua voce e alla sua penna, cioè alla materia (su questo argomento prenderà una posizione radicale La Mettrie che arriverà a negare l’esistenza dello spirito -> pensiero nella seconda parte del 700 si involgarisce sostenendo che vivere senza piaceri sia peccato e pone l’accento sul godimento meramente sessuale).
Il tema della noia e la critica di Pascal
Il libertinismo si pone anche come guerra contro la noia(grande tema del 700), svuotamento dalla curiosità e impossibilità di beneficiare del moto e della gioia che da esso deriva (Voltaire: la noia è vuoto, il vuoto è stupidità). Annoiarsi produce pensieri di morte e questo impedisce il pensiero stesso -> alla noia bisogna contrapporre il divertissment, cioè la deviazione dell’anima dal pensiero della morte e della mortalità -> non pensare alla morte vuol dire non pensare, il pensiero della morte mi blocca il mio ragionamento (Pascal).
Le opere d’arte non devono annoiare lo spettatore.
Leopardi afferma che i contadini non si annoiano mai perché la zappa è la loro strategia contro la noia -> chi non ha un mestiere deve cercarsi una propria “zappa”.
Critica di Pascal: è un forte oppositore al libertinismo e parte dai principali temi dei libertini per muovere delle forti critiche, contenute nei suoi “Pensieri” -> analizza il tema della noia e della necessità di “variety” reinterpretandolo come sintomo del peggiore dei mali: il non sapersene stare fermi in una stanza, che dimostra che il libertino è legato, vincolato dall’impossibilità di rimanere fermo; Pascal parla della “cameretta”, immagine tipicamente associata a Petrarca, che la definisce come un luogo che posso riempire di senso (pregando Dio) o svuotare di senso (non pensando) -> tipica iconografia dell’intellettuale medievale inginocchiato e in preghiera;
secondo Pascal ogni piccola e insignificante distrazione basterebbe al libertino per provare piacere (es. una palla da biliardo) -> Montaigne sostiene che il piacere della caccia non sia né l’uccisione né il possesso della preda, ma l’istante che precede il colpo di fucile, l’attimo in cui si prende la mira.
Libertini: materialismo, democrazia, antistoicismo
Il materialismo libertino è la messa in discussione delle metafisiche (es. platonismo).
La democrazia libertina è strettamente legata al materialismo e si basa sull’idea secondo cui ogni spiritualismo è un sistema di potere e ogni religione rivelata è lo strumento per garantire la sottomissione del popolo ai suoi capi, che agiscono fingendo di dialogare direttamente con Dio e questo li rende ingiudicabili.
Anche i romanzi licenziosi contribuiscono a smascherare i pregiudizi, i vizi del potere, la corruzione degli uomini di chiesa ( es “Il sofà”, “I gioielli indiscreti” di Diderot, o il marchese De Sade).
François de la Mothe le Vayer: prima metà del 600, grande studioso comparatista (comparatismo è grande novità di inizio secolo), si dedica allo studio comparato delle culture per uscire dal relativismo e per produrre un pensiero critico; è anche importante fautore del pensiero scientifico che riporta la scienza all’osservazione diretta dei dati (concetto che giungerà fino a Bayle, autore di un trattato sulla stella cometa).
Nel 1630 scrive: “Dialogo sulla divinità” dove polemizza contro l’idea di provvidenza, cioè di un disegno interno alla materia che riguarda la mia esperienza e che la determini -> solo il caso è padrone di tutto, come mostra l’esperienza di Giove, che deve sottomettersi al volere del Fato quando perde suo figlio; il mondo è materia che produce effetti casuali, a volte piacevoli (ciò che i cattolici chiamano “provvidenza”) e a volte negativi (ciò che sarebbe il castigo) -> Leopardi: “se vi benefico o vi danneggio, io non lo so”.
Nemmeno il miracolo è un’esperienza metafisica, ma piuttosto è una disponibilità interna della natura -> la natura si organizza e agisce a propria discrezione, tutto è miracoloso dentro ciò che accade, non grazie ad un contributo esterno -> Locke a questo proposito crea un paradosso: se un naufrago dovesse trovare, su un’isola deserta, un orologio in un cespuglio, sarebbe autorizzato a credere che si tratti di un miracolo? Potrebbe ipotizzare la presenza di un altro uomo prima di lui? No, dovrebbe capire che l’orologio potrebbe essere lì dall’inizio dei tempi, per volere della natura. Coloro che capiscono che il mondo è una struttura che si autodefinisce, sono gli uomini di potere, che si appropriano della verità e invece di insegnarla agli altri, la usano per trarne vantaggi, mentendo sul loro rapporto con Dio, in realtà inesistente, scrive “i mandarini cinesi (parla di mandarini cinesi perchè non può parlare del papa) non credono a nulla; Dio per loro è la natura, l’unica vita per loro è quella terrena, l’unico inferno è la prigione” affermare di parlare con dio è il segreto del potere.
Gabriel Naudé: amico di Le Vayer e di Gassendì, come Le Vayer esprime un aspetto ideologico-politico del libertinismo e si sofferma anche sulla concezione della storia; scrive nel 1630 “Considerazioni politiche” dove afferma che il timore di Dio è stato inventato per raggirare il popolo che è instupidito dalla religione e tende naturalmente verso ciò che è falso;
il sistema di potere si basa sulla somma di forza+pregiudizio a cui i libertini contrappongono tolleranza+verità.
Naudè cita autori antichi a sostegno della sua tesi:
Seneca: sostiene che nel momento in cui una folla ti approva, hai la dimostrazione di aver detto il falso (il falso è la via più breve al potere);
Macchiavelli, ne “Il principe” dice che la condizione della forza e il timore di Dio sono necessaria chi vuole stabilire una nuova religione (si intende una religione politica);
Naudè porta degli esempi che mostrano il concetto di “forza + pregiudizio” tra cui:
Savonarola, mente sostenendo di parlare con Dio;
Alessandro Magno, che mente attribuendo a sé stesso il merito di aver inventato un unguento in grado di guarire le ferite dei soldati, affermando che la ricetta gli sia stata donata da Dio -> il suo rapporto con Dio lo legittima a uccidere e a depredare;
Naudè scrive anche riguardo ai miracoli e alla storia, affermando che: “religione e miracoli sono sempre alla testa di una lunga sequenza di barbarie” -> è una teoria ripresa da Tito Livio.
Naudè va oltre la polemica e sostiene che i fatti sovrannaturali stanno all’origine della storia.
Lo smascheramento del potere, su cui si fonda la democrazia libertina, ha il suo culmine nel “Trattato dei tre impostori” -> Mosè, Gesù e Maometto -> uomini ambiziosi scritto anonimo di forte denuncia, molto conosciuto nel 700.
Sono i 3 impostori che fingono di rappresentare la divinità sulla terra, ma in realtà sono figure ambiziose di potere.
Mosè: discendete di un mago che finge un’investitura divina e si serve dei miracoli come conferma pretestuosa di questa investitura.
Cristo: è impostore perché attira alla speranza, storia di una vita dopo la vita (sec Leopardi l’illusione è un bene) -> la speranza è una menzogna e si basa su un concetto secondo cui la vita terrena è nulla in confronto a quella celeste (Agostino “morire significa entrare nella vita, nascere significa entrare nella morte”) -> presunzione di autorevolezza fondata su un presunto dialogo con Dio.
Maometto: “legislatore protetto dalle armi” (diverso da Cristo) è l’ultimo dei profeti e perfeziona l’impostura dicendosi profeta di tutti i popoli e portatore della vera legge di Dio, corrotta da ebrei e cristiani -> è quindi due volte impostore come predecessore e nei confronti dei suoi predecessori.
Il trattato affronta il tema della proiezione : l’uomo si proietta un proprio dio perché teme che oltre alla sua esistenza non ci sia più nulla ; proietta anche perché ama molto la narrazione e l’invenzione -> obiezione contro questo punto, dice che la proiezione non è legata necessariamente all’inesistenza.
Questo saggio che circola nel 700 clandestinamente ha come tema principale la paura e l’ignoranza che hanno creato la religione, ci si chiede perché si ha paura che il limite della propria esistenza porti al nulla, la religione è una nostra proiezione, il dio di cui sto parlando me lo sto costruendo, quindi si crea Dio per paura. Riflette su cosa ha generato la religione (religo = legame = legame sacro tra uomini e dio fatto rinunciando alla ragione -> Kant: risveglio dal sonno dogmatico -> perché ci siamo addormentati? Per paura! “questa paura chimerica di potenze invisibili è la fonte delle religioni”. Altro motivo è la passione per la narrazione.
La visione tradizionale della religione presuppone l’esistenza di un dio fatto per l’uomo e viceversa, ovvero la provvidenza (diverso concetto di decentramento libertino) -> secondo il trattato invece, la natura non si propone niente è tutto a disposizione di tutto senza un fine.
Tema materia/spirito: lo spirito non è altro che materia ed è di uguale natura; si dissolve alla morte dell’uomo come quella delle bestie (es. gatta di Montaigne) -> ciò che i teologi spacciano sulla vita dopo la morte è falso.
Filosofi come Voltaire si chiedono cosa rimanga, dopo la decostruzione effettuata dal trattato, del divino? Rimane una “sostanza eterna infinita” che si differenzia dal concetto di “architetto del mondo” in quanto può mettersi sullo sfondo senza mettersi in atto.
Cmq per i libertini le religioni sono opere dell’uomo nate per motivi sociali. La speranza in questo trattato viene vista come una menzogna.
Dopo questa decostruzione e distruzione della credenza, cosa rimane del divino? cosa mi rimane una volta che ho polverizzato la superstizione nella storia? Una sostanza eterna infinita.
Che cos’è lo spirito? La risposta è radicale, lo spirito è materia, è certo che quest’anima che è di uguale natura in tutti gli animali si dissolva alla morte dell’uomo come quella delle bestie, è solo una chimera dell’uomo. La mia anima svanisce come quella delle bestie, quindi anche gli animali hanno un’anima.
Perché mi proietto questo dio? Ho bisogno di questo per la mia felicità? Questa paura di potenze invisibili è la fonte delle religioni.
Uno dei gravi errori dell’umanismo è il pensare che io sia fatto per Dio e che Dio faccia qualcosa per me, cioè pensare che il paesaggio sia una cornice, utile per la mia sopravvivenza, non posso pensare che il mare sia stato creato da Dio per far si che io vada in America per esempio.
Ciò che noi abbiamo a disposizione non è stato concepito per essere usato da me.
Ragioni per cui creiamo la religione:
Paura chimerica di forze sovrannaturali che non esistono;
Passione narrativa, noi creiamo dio perché abbiamo delle paure e perché abbiamo passione per il racconto, per il destino che non ci riguarda -> crea il bisogno di dio del narratore dei destini.
Se il destino non c’è è inutile fare una narrazione costruendomi un destino -> quindi non faccio un romanzo.
Charles de Saint-Évremond: era un ricco duca, sapiente, epicureo e libertino, scrive “Lettere sui piaceri” 1657, è una sorta di studio, di manifesto sul principio di piacere, ma non fa un’analisi della considerazione di sé come sede di piaceri e dolori, si interroga sulla compagnia, sulla solitudine e sul piacere sessuale e sulla sua assenza; è uno studio radicale sull’essere umano come suscettibile di piacere, il suo discorso si pone su posizioni più radicali di Gassendì ed è in totale polemica con la concezione del piacere di Epicuro.
Che cosa sono i piaceri? La fonte principale utilizzata da Evremont è Epicuro, radicalizza il pensiero epicureo -> per Epicuro “il piacere è l’indolenza e l’eccesso del piacere porta danno all’uomo togliendogli il piacere stesso”, è il non cercare troppo il piacere perché provoca sventure, mi toglie il piacere e non mi permette di cercarlo, per Epicuro il piacere non esiste se non costituito da un freno, da un limite, in Evremont diventa “ricerca di piacere autentico fine di ogni nostra azione” -> è il solo fine dell’uomo. Si tratta di un uomo sensibile (concetto di sensibilità è tipicamente libertino.
Nelle prime pagine di Casanova troviamo una spiegazione analoga a questo conseguimento del piacere, qualsiasi forma di azione messa in opera è piacere, tutto è piacere, ci sono una serie di azioni in Casanova che conseguono al piacere.
Casanova prefazione pag 36 “Il temperamento sanguigno mi ha reso molto sensibile ai richiami della voluttà, sempre lieto e impaziente di passare da un piacere all’altro, e ingegnandomi di inventarne qualcuno (…) Coltivare i piaceri dei sensi è stata per tutta la vita la mia principale occupazione; non ne ho mai avuta una più importante” -> piacere-allegria-impazienza -> è il contrario della prudenza che Epicuro ci proponeva. La prefazione è importante perché già ci anticipa che cosa accadrà nelle 4mila pagine. Anche Casanova esprime concetti contrari a Epicuro -> il piacere va creato e ricercato attraverso la socievolezza e il divertissment (es. dei Piombi, anche mentre è in carcere cerca modi per costruirsi una socievolezza, chiedendo libri da leggere e stringendo amicizia con un altro galeotto)
L’uomo è pieno di tristezza, è strutturalmente infelice perché ha un orizzonte incomprensibile, basta dargli una stecca da biliardo e attirarlo in qualche divertissment ed è felice, basta dargli un fucile e una preda, basta un attimo per rendere l’uomo felice.
Il concetto si socievolezza è molto legato a quello di bene pubblico molto caro a Saint Evr, ma in generale a tutto il 700 “felici loro che senza nuocere a nessuno sanno procurarsi piacere” -> Casanova -> danneggiare l’altro impedisce il mio piacere, il mio soddisfacimento dipende da quello del mio vicino.
Dibattito fra Pascal e S. Evr:
La riflessione di S. E è mescolata a una nota malinconica, perché comprende che tutto il suo edifico mentale si basa su una fondamentale indisponibilità della felicità; la condizione umana è quindi triste, perché parte da uno stato di infelicità -> quindi è da ricercare continuamente ed è con il divertissment che è possibile essere condotti a una felicità possibile -> S.E non nasconde che l’Io sia infelice, che esita un abisso di se stesso -> “non vorrei affatto avere un commercio troppo lungo e complesso con me stesso”, un non so che che rende gli uomini infelici. Questa condizione è però da evitare e, per cercare la felicità, è necessario riflettere poco sulla vita e “uscire spesso da me -> la felicità è un elemnto esterno all’uomo, dipende da altro e coincide con gli accidenti della vita.
In “Lettere sui piaceri” la sua posizione è decisamente sensista, secondo cui il piacere è qualcosa di esterno all’uomo, ma reale e concreto, che si percepisce tramite i sensi. A questo proposito scrive “i voluttuosi ricevono un’impressione sui sensi che arriva fino all’anima” -> come si coniuga il concetto di anima con quello di piacere? Aggiunge: “non dico quell’anima meramente intelligente, dico un’anima più mescolata con il corpo, che entra in tutte le cose sensibili” (Gassendì -> l’anima non è distinguibile dal corpo, ne è una condizione e viceversa) -> dunque per S.E un corpo in sé non è nulla, ma grazie al piacere io riporto l’anima all’interno del mio corpo -> anima e corpo corrono in sé in una sorta di mescolamento.
La concezione di Pascal parte dalla stessa premessa dell’esistenza di un abisso dell’Io (“com’è vuoto il cuore dell’uomo”) ma mentre E ci riflette affermativamente, Pascal lo fa negativamente.
La sua riflessione, infatti, in maniera opposta, vuole ricondurci al vuoto di noi, su cui dobbiamo soffermarci. Dobbiamo convivere con il nostro abisso e conoscerlo, pensando soprattutto alla morte, perché non pensare alla morte significa non pensare affatto -> diverso per Ev, il pensiero della morte è assolutamente da evitare, in quanto è inutile e costituisce il blocco del pensiero stesso; la fissità della contemplazione della morte è legittima, ma non del tutto naturale, in quanto contraria alla pratica della vita (concetto della “malinconia del dover morire” contro cui si batte anche Casanova attraverso la sua struttura narrativa).
Pascal attinge da una tradizione che contempla ad es Petrarca (a sua volta influenzato da Agostino), che nel Secretum parla di “contentus mundi” per indicare il disprezzo del mondo necessario a raggiungere la verità -> contemplazione della corruzione del mondo trova espressione dell’iconografia del teschio sulla scrivania, come energia dell’atto spirituale e del pensiero.
Pascal afferma che la felicità provocata dal piacere è una felicità falsa -> pensiero numero 227 riprendendo una concezione cartesiana scrive che “le passioni turbano i sensi e ne falsano le percezioni” -> dunque le percezioni sono falsate dal piacere, che non solo non attiva l’anima, ma la inganna: mentre provo piacere vivo una condizione falsa perché vengo ridotto ad un essere che sta provando piacere, non sono nient’altro. Nell’interiorità è invece perseguibile un ordine che connota l’uomo in quanto capacità prettamente umana, mentre il piacere porta al disordine (vedi “La carriera libertina” di Hogarth) -> diversa concezione libertina del disordine, che è vitalità, mentre per Pascal il piacere è esagerato e quindi falso, è una facoltà ingannatrice perché mi porta all’infuori di me.
Pascal come Evremont sa che nella distrazione c’è una verità che è in grado di rendermi felice, Pascal si accanisce contro questo divertissment, l’obiezione di Pascal è che questo piacere-distrazione non sia vera felicità, perché viene da fuori, sì ci sono dei frammenti di verità, perché ci fa dimenticare, ma non è vero autentico perché viene dall’esterno, da fuori di me; non è vera felicità ed è dunque dipendente da altro, non è dominabile da me, perché per es il fucile potrebbe non funzionare, ho perché la signorina ha mal di testa, perché non dipende da me questa felicità.
Secondo Casanova è necessario combattere l’idea della morte e della solitudine attraverso il piacere mio e degli altri, che non è una perversione, ma è un senso di civiltà -> aneddoto del periodo di malattia trascorso presso un prete su un’isola istriana; nonostante la malattia, C trova piacere nella vista della governante, che è quindi lo strumento che egli usa per uscire dalla malinconia in cui la malattia lo trascina.
Julien Offray de la Mettrie: libertino radicale ed estremista, usa toni molto provocatori.
Scrive nel 1750 “Il Bene Supremo”-> trattato antistoico, antiepicureo che Casanova ha letto, il bene supremo è il piacere, il godimento, smentendo l’indirizzo cristiano suggerito dal titolo; dipinge un ritratto degli stoici, verso cui scaglia la sua polemica, definendoli coloro che: “vivono tranquilli, senza desideri, non ricercano il piacere, non hanno ambizioni, conservano la ricchezza senza farne uso e poi la perdono senza rimpianti”(il concetto di “perdere senza rimpianti” è di stampo cristiano e viene ripreso in Manzoni, quando fra Cristoforo spiega a Renzo e Lucia che il lasciarsi è implico del trovarsi).
Nella sua polemica contro gli stoici La Mettrie scrive una sorta di manifesto dei libertini, affermando: “noi saremo antistoici, allegri, dolci, compiacenti, non disporremo di ciò che ci governa (non produrremmo metafisiche) e non comanderemo alle nostre sensazioni” -> negazione del concetto cristiano di liberazione delle passioni, perché seguirle ci porterà alla felicità. Il piacere è un istante, un segmento di vita molto breve, se la sensazione è corta è piacere, se la sensazione è permanente (di questo piacere) si ha la felicità. La felicità è fatta della sostanza del piacere, è un po’ di più, più stabile e permanente.
Per La Mettrie la felicità non è autoregolamentazione dei piaceri come diceva Epicuro e gli stoici, ma è la somma di tutti i piaceri di cui è fatta la felicità.
Sostiene che se la sensazione è breve, allora è piacere; se la sensazione è lunga e duratura, è felicità. Felicità e piacere sono quindi della stessa materia; devo però trovare il modo di prolungare il mio piacere continuando a procurarmi piacere (diverso da Epicuro che sostiene la necessità di autoregolamentare il piacere per evitare il male), per LM non esistono né calcoli né equilibri, il piacere deve essere sempre al massimo.
Per i libertini, in particolare per Lm e SE, il piacere è socievolezza (-> concetto ribadito da Cioran, critico rumeno, che afferma “il voluttuoso è misericordioso” -> chi si dedica al piacere è più inserito nel tessuto sociale e comprende meglio la necessità altrui); per LM il piacere è salubrità e umanità (mentre per la morale cristiana il piacere rende bestiali) perché più sono felice, più sono disponibile agli altri, mentre l’infelicità mi rende meno umano.
Se io sono felice, sono buono, attento, disponibile, se io non lo sono sono un po’ meno umano (il piacere per i libertini è umanità), divento più bestiale allontanandomi dall’orizzonte del piacere, divento meno disponibile con il prossimo, meno socievole ecc..
Secondo il Marchese De Sade, che pure adotta una filosofia della natura vicinia ai materialisti, la lettura è opposta: in “Philosophie de La Boudoir” del 1795, esorta i francesi a rovesciare il sistema (diverso da Casanova), perché il sangue versato degli uomini non vale nulla (diverso da Manzoni); la natura è infatti disattenta e distruttiva e attraverso il piacere io procedo in accordo con essa: il piacere è infatti estremo e distruttivo, quindi non è necessario stupirsi di fronte ai delitti o ai danni delle calamità naturali (diverso da Voltaire); nella natura è insito l’osceno e il perverso, per questo il vizio è superiore alla virtù -> ne consegue una visione del piacere che non è collaborazione, ma egoismo; i piaceri sono naturali in quanto distruttivi, con il mio piacere procedo pari passo con la natura che distrugge, il piacere è radicale egoismo -> coincide con la sofferenza altrui, è un principio di distruzione che coincide con la natura che ci sta facendo a pezzi (la natura non è conciliabile con la ragione).
La Mettrie propone una teoria del piacere in “L’arte di godere” del 1751, che sotto molti punti di vista costituisce un’eccezione nel sistema libertino. In quest’opera celebra il massimo piacere, l’amore, ma lo fa all’interno del vincolo matrimoniale; è quindi la celebrazione del piacere carnale all’interno dell’unione sancita.
All’interno della coppia sposata esiste comunque la variety, che sta nell’articolazione dei piaceri e nella loro rielaborazione giorno dopo giorno. Racconta le gioie di una coppia, il celebrare la sensualità di un vincolo matrimoniale è una variante del pensiero libertino -> che vede il vincolo del matrimonio noioso, monotono, la variante libertina racconta il vincolo coniugale in termini carnali, che va contro il principio di varietà dell’esperienza amorosa -> contraddizione -> la variazione sta nell’articolazione di questi piaceri che di giorno in giorno vengono inventati.
La coppia è descritta al centro di una natura molto distante dalla concezione tipicamente libertina, in quanto buona e idilliaca ( -> in generale in tutto il 700 la rappresentazione del paesaggio è del tutto trascurabile perché la natura lascia indifferenti). In Casanova nell’ ”Icosameron” (romanzo utopistico) la bellezza della natura non esiste. Gli autori si soffermano piuttosto sulla descrizione delle opere costruite dall’uomo -> es Goldoni in “Vita” descrive Parigi e la Reggia di Versailles, Algarotti descrive solo celebrazioni ed eventi politici.
LM costituisce un eccezione rispetto a questo tema, perché, in “Art de Jouir” pone gli amanti all’interno di una natura bucolica, ma anzi coadiuva la felicità dei due amanti e rispecchia l’innocenza del piacere stesso, perché più provo piacere, più sono innocente (tradizione latina della ricerca dell’luogo perfetto, utopico, spesso rappresentato dall’isola di Citera -> Virgilio “Bucoliche”).
Il tema dell’innocenza è teorizzato anche da Rousseau, ma con una sfumatura utopica, ossessiva e contraddittoria -> il piacere ha delle ombre -> diverso per LM che afferma che il piacere è privo dell’idea di colpa e quindi in aperta opposizione rispetto al cristianesimo, che pone la colpa al centro delle meditazioni -> la sperimentazione è innocente (concetto molto presente in Casanova).
In quest’opera LM suggerisce 3 prescrizioni necessarie al raggiungimento della felicità:
1: la solitudine bucolica intorno agli amanti;
2: l’uomo non deve accontentarsi di piccoli piaceri, perché il piacere è un dato assoluto che comanda la sua intera esistenza, l’uomo diventa più uomo se si inabissa nell’esperienza materiale (-> “si sa che Venere può essere fisica senza perdere nulla della sua grazia”);
3: concetto di “compositio loci”, ovvero la necessità di scegliere il luogo adatto al godimento del piacere e fare in modo che questo si realizzi dove ho immaginato, perché il caso è ostacolo del piacere (-> de Sade descrive a lungo le stanze); LM afferma che il voluttuoso sa scegliere con cura i suoi convitati perché siano sensuali e predisposti al piacere, così da creare una società festevole.
Il tema della compositio loci e della natura come alternativa alla felicità si ritrovano nell’opera di Bernardin de Saint-Pierre “Paolo e Virginia” del 1787, trama: Paolo e Virginia naufragano su un’isola deserta e vivono qui felici, in armonia, amandosi. Ad un certo punto giunge all’isola un bastimento per riportarli alla civiltà, ma Virginia si rifiuta di lasciare la felicità della sua vita sull’isola. Paolo, invece, salpa per poter rientrare a Parigi a sistemare alcuni conti. Virginia rimane in attesa di Paolo, che in effetti prova a tornare sull’isola; una tempesta, però, affonda la sua nave prima che raggiunga l’isola. L’opera rappresenta la progettualità di un luogo che va oltre la natura, che è un luogo mentale e perfetto. La realizzazione di questo luogo presuppone una distanza dalla civiltà, il cui richiamo è funesto -> una volta toccato quel luogo, tornare indietro significa morire.
Il tema della ricerca del luogo perfetto come aspirazione ad una felicità totale è tipicamente settecentesco, anche se non libertino -> il libertino è un viaggiatore cosmopolita che aspira a un sogno di civilizzazione e non è legato ad un luogo preciso. Per Casanova la natura non è ne bella né brutta, non è emozionante; la felicità è il risultato di un’elaborazione di dati nel contesto della civilizzazione.
Scrive anche “L’uomo macchina” testo pubblicato ad Amsterdam, 1748; in cui sostiene che il corpo umano è lo strumento per giungere al piacere, finchè non provo il massimo del piacere non sto godendo. Il discorso di La Mattrie parte dall’obiezione a Cartesio riguardo alla filosofia della natura, dal funzionamento dei corpi viventi. Infatti se per Cartesio c’è una netta divisone tra Rex estensa (natura) e rex cogitans (io nella natura; quindi l’uomo è un essere pensante che in quanto tale si differenzia dagli animali e da tutto l’universo)per Lm tutto è cogitante.
L’uomo è qualitativamente come l’animale o il vegetale -> il corpo è solo corpo, non c’è un’anima; tra uomo, animale e vegetale c’è una differenza quantitativa, gli atomi che si dispongono in un modo e nell’altro, ivece Cartesio distingue se stesso da quella cosa che ha davanti -> la natura, l’universo. Per Le Mettrie esiste solo la res extensa , la materia , mentre la res cogitans é solo una manifestazione della materia; corpo e anima , entrambi materiali ( res extensa ), sono quindi per La Mettrie strettamente interdipendenti.
Concetto di Immaginazione: tutto ciò che l’uomo è e produce è immaginazione, perché esso pensa per immagini, tutte le funzioni dell’anima si riducono alla sua immaginazione; è una forma del toccare e del sentire, è l’estensione del mio sentire. Per Cartesio invece c’è distinzione tra immaginazione e concezione, che serve ad es. per concepire il chialogano: un triangolo con 100 lati, non si riesce a immaginarlo, bisogna prima concepirlo. Per LM anche quando concepisco immaginando, sto usando la materia, perché il mio pensiero per immagini è materia. L’immaginazione permette di orientarsi nella realtà e di capire che:
a) le idee innate non esistono;
b) l’anima non esiste;
c) l’infinito è inconoscibile e l’uomo non ha gli strumenti per conoscerlo; è quindi inutile perdersi nell’infinito e nella continua ricerca delle origini, ma invece è necessario accettare la finitezza dell’essere umano -> il senso dell’esistenza dell’essere umano sta nella sua finitezza; il materialismo vuole il bene altrui, da raggiungere non facendo agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi (citazione vangelica, ma decontestualizzata) come ordinano le leggi della natura.
In che senso Casanova è materialista? tratta questo problema nella “preface”, dove afferma “so di esser vissuto perché ho sentito; quando non esisterò più smetterò di sentire” la materia è tutto e coincide con l’esistenza stessa; parallelamente però l’atteggiamento di C è quello di qualcuno che vorrebbe in fondo essere smentito, come si intuisce in “Sogno di un quarto d’ora, Dio e Io” (dialoghetto recuperato a Dux), in cui scrive: “credo alla spiritualità e mi abbandono a questa affascinante credenza” -> è una credenza, una fiaba che fa parte di una visione della religione come orizzonte mitico di fiducia -> interroga Dio e gli chiede di spiegargli la natura dello spirito -> vorrebbe crederci, vorrebbe in fondo che la fede sostituisse la sua ragione di filosofo pratico.
Bernard Le Bovier De Fontanelle: accademico, teorizza molto sul bene pubblico.
Scrive “Du Bonheur” = solidarietà (scritto però negli anni 90 del 600) in cui teorizza una teoria sulla felicità, è più realista e mediata rispetto a LM e Cartesio e Epicuro.
La felicità è distinta dal piacere, perché è una condizione riservata solo ai pochi; è uno stato, quindi, non una condizione continua. Il piacere è raggiungibile da chiunque, mentre la felicità è frutto di un discorso, di un ragionamento (cmq raggiungibile da qualunque tipo di persona), raggiungibile solo provando piacere e compiendo il mio dovere -> la felicità è una mediazione tra questi due fattori e corrisponde al sintagma “ essere in sé stesso”. Inoltre è un’idea di felicità.
Lacunosa e realista perché ammette e accetta che tra un piacere e l’altro ci sia un intervallo di languore, un periodo di vuoto e di noia che non è piacevole, ma di cui dobbiamo tener conto -> diverso da Casanova e LM che guardano a questo intervallo come fosse uno scandalo.
La felicità deve quindi tener conto dell’infelicità ed è soprattutto non una condizione interna (diverso dagli stoici) ma frutto del caso congiunto ad una parte di attività umana.
Il piacere, che è cmq fondamentale per la felicità, è uno stato temporaneo e molto intenso che si può solo sfiorare e che si deve cmq vivere con una cautela che mi permetta di essere me stesso anche nei momenti di vuoto.
Problema libertino della riconsiderazione del testo sacro: prima fonte -> “Dizionario filosofico” Voltaire dice che la sacralità del mondo è un velo che copre la verità (lo dice anche Leopardi, è volteriano nel ritenere il teso biblico un mito).
Casanova a Dux scrive 300 pagine per smentire la Bibbia, conclude che Dio non è l’autore di nessun libro, che gli uomini sono i soli autori dei propri libri.
Voci del Dizionario filosofico:
Libertà di pensiero: esercizio intellettuale, lemma che si costituisce intorno all’affermazione ”se l’uomo pensasse con la propria testa, si creerebbe in caos” ( se l’uomo pensasse più liberamente tutte le religioni rilevate sarebbero perdute) invece secondo Voltaire si creerebbe l’ordine, perché il libero pensiero permette di smascherare gli inganni e non di crearli -> battaglia del pensiero materialista contro il principio di autorità (diverso da Casanova dal punto di vista politico, perché è un conservatore e sostiene che il privilegio sia fondamentale per mantenere l’ordine e i valori estetici. Mentre Voltaire è radicale, pensa che una rivoluzione debba avvenire, Casanova invece la teme come la morte, per lui il libero pensatore è l’aristocratico, in rapporto al concetto di libertà di pensiero, C lo applica a sé, ma concependolo diritto esclusivo di pochi, non estende questo principio in modo democratico, per questo è un aristocratico del pensiero, nega che tutti siano liberi di pensare, lui gioca e beffa di colui che è incatenato dalla religione, lui è un conservatore, ha solo uno spicchio di libertinaggio, legato ai comportamenti sentimentali. -> es episodio in cui C fa la cabala (pratica magica) per abbindolare e “plagiare” il suo protettore e patrono, il senatore Bragadin, che casca nell’imbroglio; C fa riflette su come sia semplice ingannare le persone -> cmq C smaschera sempre i suoi inganni -> diverso da Da Ponte.
Lusso: pietra miliare del pensiero libertino, grande argomento di discussione nel 700, anche per Alfieri e Casanova. Voltaire riflette su questo concetto in 3 passaggi:
1) il lusso si fonda sull’ingiustizia e sul sopruso, che però non vengono condannati -> es. le città e i monumenti sono manifestazioni di un lusso che si è costruito al prezzo di molti morti; gli antichi Romani stessi, costruirono il loro impero sul furto, sull’oppressione. L’ingiustizia e il sopruso, quindi, producono paradossalmente bellezza, ma mentre il lusso viene ampiamente criticato, soprattutto dai moralisti (gesuiti), nessuno critica ciò che vi sta dietro, “nessuno condanna il sopruso, ma molti condannano il lusso, come i moralisti” -> Voltaire vuole distinguersi producendo una riflessione su ciò che genera lusso, senza stigmatizzare il lusso stesso, che di per sé non è un male.
2) il lusso, generato dal sopruso, produce gentilezza e buone maniere, arte e civilizzazione, ovvero i fondamenti stessi dell’occidente. Secondo V il lusso ha la stessa finalità di un’amante: evitare la noia e uscire da me, è cmq un bene perché mi permette di non annoiarmi.
3) prendendo in considerazione l’alternativa opposta al lusso, ovvero la giustizia e l’equità per tutti, cosa verrebbe prodotto? “Sparta invece di Atene”, ovvero la forza anziché la filosofia; Sparta rappresenta un modello reale, ma da evitare perché priva di crescita intellettuale.
Secondo V gli uomini hanno bisogno di lusso e comodità e quindi si pone a una posizione vicina al conservatorismo in quanto non vuole che il sopruso venga del tutto eliminato, questo cmq non potrebbe accadere mai, perché l’uomo continuerà a produrre bello e iniquità.
Filosofo: il filosofo è un perseguitato, in quanto dice la verità, smaschera gli inganni, anche ermeneuticamente, ovvero tramite l’analisi critica dei testi scritti ( -> V fa un interpretazione della Bibbia, contrariamente a ciò che auspica la chiesa); V si chiede inoltre a cosa sia servita la filosofia e risponde “a distruggere in Inghilterra il furore religioso che mandò Carlo I sul patibolo” -> dunque non solo il filosofo distrugge il furore delle persecuzioni, ma riesce a cambiare il corso della storia.
Sensazione: concetto di derivazione inglese, in particolare trattato da Locke e Hume.
Condillac subisce la loro influenza e scrive “Trattato delle tre sensazioni” in cui afferma che le idee non sono altro che perfezionamenti delle sensazioni -> il pensiero, le idee, le riflessioni nascono tutte dalle sensazioni e non sono che un perfezionamento del sentire. Noi siamo nulla senza sensazioni. Condillac riporta l’esempio della statua di marmo che diventa umana grazie alle sensazioni, fino ad arrivare allo sviluppo del linguaggio, estremo perfezionamento del sentire.
Bellezza: V parte dalle teorie espresse da Montesquieu in “Saggio sul gusto” in cui afferma che la bellezza è relativa. V adotta questa visione e prende ad es il rospo, il sui modello di bellezza è la rana, che però non è di certo il modello di bellezza per l’uomo. Parla inoltre della bellezza ritratta da Bouchet, che non coincide con il modello di bellezza inglese. Come può il modello di bellezza inglese essere così lontano da quello francese? Perché la sensibilità è differente; ciò che però hanno in comune è che il modello di bellezza platonico, to kalon ( -> archetipo di bello in sé, il bello per essere bello deve produrre in noi ammirazione e piacere -> due sentimenti che generano bellezza) non ha più presa. Dunque nulla è bello in quanto proporzionato o perfetto, ma in quanto “significa”. Nel modello di Bouchet ad es. le donne sono lontane dal modello di proporzione greca, perché hanno il naso all’insù -> questo dettaglio rappresenta una deviazione dal canone greco di perfezione, è un’inquietudine che emoziona, che significa e che per queste ragioni è bello.
Nulla è bello in quanto proporzionato in se, ma diventa bello quando significa, è bellezza in quanto significa per noi. Voltaire poi tronca il discorso quando vede che sta diventando abbondante, raggiunge questa perfezione della forma.
Casanova teorizza sul concetto di artificio: si trova a Versailles, vede le donne di corte che si truccano le guance in maniera vistosa, rendendo palese che il rossore non sia naturale -> Casanova dice “non si vuole che sembri naturale” -> l’artificio esibito crea fascinazione è come un segnale che crea distinzione, un tono aristocratico, un tono sbadato -> c’è qualcosa di estremamente elegante in questa sbadataggine -> il bello non è naturale, dove c’è artificio c’è bellezza, ne consegue che a noi piace ciò che è artificioso non ciò che è naturale.
Il concetto di bellezza di C si sposa poi con il concetto di intelligenza -> la cultura abbinata al bello: “non concepisco donne belle e stupide” -> perché l’intelletto è una condizione del bello. -> es. in C questo modello è rappresentato da Giustiniana Wynne scrittrice, amica di Casanova “Mise alle grazie del corpo quelle più seducenti della cultura”.
Es episodio dei bagni di Berna: ci sono questi bagni, Casanova viene servito da una serva, lei è bellissima ma totalmente inespressiva e insignificante, a lui non suscita alcuna attrazione, perché “non possiede nessuna delle civetterie che fanno innamorare” -> ciò che è vero e naturale non ci piace, ci piace ciò che è artificioso. C si rifà al concetto di bellezza di Voltaire To kalon.
Bellezza identificata in artificio e in significazione.
Altro es. è quello di Losanna in cui C incontra una bambina molto bella e riflette sulla bellezza:
“la bellezza perfetta non esiste” dice C contemplando questo irresistibile viso femminile “ciò che mi attira mi sembra bello (è l’attrazione che è il bello, che non ha a che fare con le regole della proporzione) è una cosa che ti attrae e ti distrae, ma è veramente bello? Questo non lo posso dire…” -> non esiste una bellezza perfetta, ma una bellezza relativa a chi la guarda; ciò che mi attare è bello, ma è bello per me. C afferma che nel viso risieda la bellezza, ad incantarmi e a farmi innamorare è una superficialità, che però deriva da una profondità e da un abisso che mi mette in moto il pensiero (inscindibilità materia e spirito). Il concetto di ragazzina o bambina che incarna la donna pericolosa diventa poi un topos letterario che si traduce nella femme fatale del decadentismo e in Nabokov nel 900.
ALLE ORIGINI DEL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO: Il romanzo Picaresco
Nasce in contesto spagnolo, ma arriva fino alla tradizione italiana (Renzo Tramaglino di Manzoni).
Si identifica generalmente una narrazione apparentemente autobiografica, fatta in prima persona e in cui il fittizio protagonista descrive le proprie avventure dalla nascita alla maturità.
L’eroe è una persona di bassa estrazione sociale, generalmente un orfano nato da genitori ignoti e abbandonato a se stesso in un mondo ostile. Il termine “picaro” potrebbe indicare originariamente un abitante della Piccardia, un piccardo, oppure un “picher” che nell’etimo fiammingo è un personaggio di bassa condizione sociale, un mendicante, che si muove nel mondo mosso dalla necessità di sopravvivere. Abbiamo detto che generalmente è un orfano che è costretto ad uscire da una “casa” che non esiste; quindi il picaro non va in cerca di avventure, che non desidera, ma le trova inevitabilmente ( Vedi Tramaglino, Manzoni lo definisce un buon massaio, ma lo getta sulla strada). È caratterizzato da una curiosità imposta dalla sua condizione.
È per necessità un ingannatore, per sopravvivere è costretto a compiere azioni riprovevoli, come rubare, prostituirsi, uccidere; lavora per diversi padroni e attraversa diverse classi sociali; è anche però ricco di umanità, di esperienza del dolore e di dignità, poiché non ha lacci che lo tengono legato a qualcosa o a qualcuno, nulla che lo blocchi nella sua dignità. Diventa quindi una sorta di filosofo della vita (Vedi Jaques Le Fataliste, afferma che l’ubriachezza sia l’unica forma di conoscenza concessa dall’uomo).
Genere che nasce nel 1554 con “Lazarillo de Tormes” anonimo, seguito poi da “Guzman di Alfarache” di Mateo Alemán. I romanzi successivi saranno poi sempre innervati da elementi picareschi ( vedi Barry Lindon).
Lazarillo De Tormes: è un romanzo anonimo spagnolo di cui non si conosce con certezza la data di composizione. Il romanzo è scritto in prima persona: è il protagonista che parla, narrando le proprie avventure in modo quasi cronachistico, senza commenti o riflessioni d'ordine morale.
I genitori di Lazarillo sono un ladro e una prostituta/lavandaia, che lo partorisce mentre lava i panni nel fiume Tormes -> metafora, il bambino nasce nell’acqua, nella corrente, viene trascinato, come verrà trascinato per tutta la sua vita ( = Casanova ha una madre ballerina, disinteressata assente) Lazarillo, e così il picano in generale, non ha una casa, non ha identità (= casanova).
È una narrazione primitiva, che ricorda lo scorrere di un fiume appunto, e in cui è assente l’incrocio di punti di vista, perché la prospettiva è unicamente quella di Lazarillo (= Casanova; in Manzoni, ad esempio, il punto di vista di diversi personaggi si intreccia come nel caso di Don Abbondio). Inoltre il picaro vive nel presente, che è il momento decisivo, perciò è assente nel romanzo picaresco la memoria, così come l’elemento psicologico e la ridiscussione degli eventi, perché la vita è solo un crocevia di incontri e separazioni casuali. Non si pone nemmeno la barriera della morte, perché Lazarillo ha quasi già conosciuto la morte nel momento in cui è nato; manca anche l’ostacolo, perché tutto nella sua vita è un ostacolo. È del tutto assente il percorso di formazione del personaggio.
Alcuni casi di influenza del romanzo picaresco:
a) “Jaques Le Fataliste” -> Diderot attua alcune digressioni picaresche, come quella concettuale dell’episodio in cui J e il padrone vengono condotti dai cavalli alla forca e quando J si chiede se questo significa qualcosa, il padrone risponde di no, non ha un senso, è un evento casuale.
Un altro tipo di digressione attuata da Diderot è quella di inserire, all’interno di una struttura narrativa senza inizio e senza fine, dei brevi romanzi tradizionali, che lo contraddicono. È il caso del racconto dell’ostessa sul tema del matrimonio: la donna si inserisce in una discussione tra J e il padrone, in merito al senso del matrimonio. Il padrone fa una premessa: il matrimonio è senza senso, perché non ha senso giurare eterna fedeltà, perché gli uomini non hanno niente di più che il loro mondo naturale, dunque come può essere un giuramento più solido del cielo che lo contiene? L’ostessa raccontando la sua storia nega questa premessa -> contenuto: un marchese e la sua donna vivono insieme, finchè lei si rende conto che la passione di lui sta scemando. Decide quindi di tendergli un tranello: è lei a confessare a lui che non prova più la stessa passione e lui, in accordo, acconsente a separarsi da lei serenamente. Lei gli presenta a questo punto una bella ragazza dalle sembianze angeliche, guidata da una madre amorevole e virtuosa. In realtà la giovane è una prostituta e la madre la sua mezzana e sono travestite da beghine su richiesta della marchesa. il marchese si innamora della ragazza ma, poiché si tratta ai suoi occhi di una piccola borghese, le offre solo lo status di amante. Lei rifiuta, lui si appassiona e la prende in matrimonio. Dopo le nozze la marchesa rivela il suo inganno e lui, infuriato, quasi uccide la ragazza. Questa, realmente innamorata, si sottomette alla furia del marito, il quale comprende che l’amore è reciproco e decide di vivere felicemente con lei.
In Casanova ci sono storie che contraddicono la struttura, come quella di Hariette e della Charpillon, ma in generale nell’Histoire nulla è definitivo, né il successo né il fallimento; esiste solo, come ha detto il critico George Poulet, “un istante fatale che si rinnova”.
b) “Storia di Gil Blas di Santillana” di Alain-René Lesage, 1725.
Come nel Lazarillo, il protagonista parte da Oviedo e vive molte avventure che lo portano ad oscillare sulla scala sociale. Le avventure di Gil Blas, narrate in prima persona, servono da pretesto all'autore per comporre un quadro pittoresco e minuzioso della società francese del tempo (anche se lo sfondo è la Spagna). Ogni volta che socialmente “ricade” tutto ricomincia e strutturalmente parte un nuovo romanzo ( Smollett che nel 1748 scrive il romanzo di influenza picaresca “Roderick Random”, parla del suo protagonista come di una palla da tennis colpita dalla fortuna) -> movimento continuo e spersonalizzazione del personaggio, diverso dal romanzo dell’800, che è stasi e ritratto -> vedi Anna Karenina, vedi Mastro Don Gesualdo di Verga.
c) “Tom Jones” di Fielding, 1749: Il protagonista della vicenda è Tom Jones, un trovatello accolto e allevato da un ricco e magnanimo gentiluomo di campagna, Mr Allworthy. Circondato da persone viscide e disoneste, Tom viene messo in cattiva luce agli occhi del suo stesso benefattore ed è costretto a scappare da casa quando si rende conto che il suo amore per Sophia, figlia del vicino di casa Squire Western, è contrastato da quest'ultimo che non vuole concedere la mano di sua figlia a un trovatello. Rifugiatosi a Londra, Tom finisce in prigione per aver ferito un uomo e, pur essendo un ragazzo onesto e generoso non riesce a resistere ai vizi e alle tentazioni che gli si presentano e tradisce così più volte la sua amata Sophia. Le diverse trame ordite a danno di Tom verranno però rivelate e il romanzo si conclude con il ritorno a casa di Tom Jones. Allworthy riabbraccia Tom dopo aver scoperto che è in realtà suo nipote, nominandolo suo erede mentre il padre di Sophia acconsentirà al matrimonio.
L’aspetto più rilevante del personaggio è la carnalità, la fisicità, la materia (presente anche in Don Chisciotte, in cui però è una fisicità più simbolica); Tom è invece totale deprivazione di spirito, è un personaggio intriso di una gioia materiale priva di senso di colpa e quindi è famelico di vita -> tema dell’appetito è tipico del 700; Casanova ha una fame di vita che soddisfa temporaneamente grazie alle donne, ma che non può sparire; Virginia Woolf si occupa molto dell’identità fisica dei suoi personaggi; nel 900 il tema dell’appetito e della fame è quasi decorativo, come dimostra Thomas Mann in “I Buddenbrook”, in cui viene descritto un banchetto che funge da ornamento intorno al discorso.
c) “Il contadino arrivato” di Mirabeau: il protagonista è un arrampicatore sociale, uomo di bassa estrazione sociale che raggiunge gli ambienti più alti.
La letteratura erotica: Ha origine nel 1678 con la pubblicazione di “La principessa di Cleves”, dove la protagonista, sposata e fedele, ma innamorata del duca di Nemours, analizza ciò che potrebbe realizzarsi se non ci fosse l’ostacolo del matrimonio, ma che non accadrà. Compie un discorso tra sé e sé su ciò che potenzialmente potrebbe avere e che, sia che accada o che non accada, contiene l’agire stesso della vita -> concetto fondamentale per il successivo libertinismo. Le opere di letteratura erotica più importanti sono citate in “Forbidden Bestseller” di Dalton e si trovano cmq all’interno di altri romanzi libertini (es Sade nomina Therese Philosophe).
“Thérèse Philosophe” 1748 (stesso anno dell’”uomo macchina”), l’autore è anonimo, può essere stato scritto dal Marchese d’Argens o Diderot. Costituisce il culmine della letteratura erotica. Si trova nominato in Casanova nell’episodio della monaca di Murano, e da De Sade che lo definisce il miglior libro presente nella biblioteca di Juliette).
Come in molti classici della «tradizione pornografica», la narrazione di Thérèse consiste in una sequela di amplessi, ma in questo caso raccordati fra loro da dialoghi di argomento metafisico, che permettono ai partner di tirare il fiato e rimettersi in forze prima di rituffarsi nei loro piaceri, binomio tipico dello spirito libertino del Settecento, in cui Sesso e Metafisica andavano di pari passo.
La trama: ispirandosi a un clamoroso fatto di cronaca realmente accaduto alcuni anni addietro, nel 1731, quando una ragazza di Tolone denunciò un padre gesuita di averla corrotta -> è inizialmente presentato come un fatto di cronaca, un caso giornalistico, ma si trasforma poi in un racconto filosofico.
L’anonimo autore narra di un padre gesuita(gesuiti temibili per gli illuministi), Dirrag, direttore di un istituto femminile di penitenza, che corrompe una fanciulla pia e innocente, figlia di un agiato commerciante di provincia; Dirrag istruisce la giovane Teresa sessualmente e filosoficamente, fino a giungere alla completa emancipazione di lei. L’opera è scritta come un diario che lei stessa scrive al suo amante. Quando la ragazza rimane incinta a seguito dei frequenti «rapimenti mistici», per dirla con Thérèse, il religioso la induce all’aborto.
Al processo, nonostante l’indignazione generale, Girard viene assolto e Caterina condannata per diffamazione.
È un trattato erotico antimetafisico in forma di dialogo religioso. Il marchese De Sade dice che in questo trattato sono accostate felicemente empietà (irreligiosità) e sessualità.
A questa vicenda il supposto Diderot o marchese d’Argens attinge per attaccare in maniera feroce il clero, la sua ipocrisia e la religione, tracciando un quadro senza veli della società e della Chiesa sotto il regno di Luigi XV: la protagonista, la filosofa Thérèse, compare come voce narrante che viene a renderci una descrizione quanto mai viva delle «avventure» più o meno mirabolanti e «sconvenienti» delle quali essa è sempre la segreta e attenta testimone, pronta a trarne sagge conclusioni «per amore della verità e del bene pubblico».
In questo caso, la lussuria non è più diverissment, ma un atto rivoluzionario. Il tema dell’uomo di chiesa lussurioso è un topos tipicamente medievale, presente in Chaucer e in Boccaccio.
Interpretazione: non si tratta di un’opera di denuncia sociale, come potrebbe essere “La Monaca” di Diderot, soprattutto perché l’autore si trova d’accordo con le azioni di padre Dirrag, che, attraverso il suo agire, ha permesso a Therese di scoprire la sua libertà intellettuale. L’elemento anticlericale è cmq evidente, sia nel nome del protagonista, che rimanda a Santa Teresa d’Avila, sia nel ritratto del gesuita (ossessione del 700 contro i gesuiti, sia da parte dei libertini, sia dai giansenisti, critici per via dell’ipocrisia professata da questi che affermano che nessun peccato è troppo grave per non essere perdonato -> la figura del gesuita è tipicamente compromissoria.
In questo fatto di cronaca viene colpita l’ipocrisia del gesuita -> si collega all’idea gesuita che tutto sommato non esiste un peccato che così grande che il padre non perdoni, i gesuiti si nascondono dietro un’arte del compromesso.
La professione di fede di padre Dirrag è un materialismo puro che al pari di La Mettrie, nega l’esistenza dello spirito. È un materialismo che , come gran parte del 700, attinge dal “De Rerum Natura” -> “Sulla natura delle cose” di Tito Lucrezio Caro, riproponendo la sua visione della realtà come insieme di particelle che determina la volontà agendo sui sensi. L’uomo è quindi una macchina che produce piacere -> qui emerge cmq il limite dell’illuminismo, teorizzato ad es. da Adorno, in quanto secondo la teoria del Therese, se ogni uomo provasse piaceri estremi, il mondo esploderebbe; le teorie materialiste quindi escludono la massa e si rivolgono ai pochi lettori in grado di comprenderle.
Robert Darnton dice che è a partire dal 700 clandestino che si costruisce il 700 vero e proprio.
In Casanova, nel bel mezzo dell’avventura iniziatica con la bella monaca di Murano e l’ambasciatore di Francia nella Serenissima, che lo trasformerà da colto playboy della Venezia benestante nel celebre intellettuale-avventuriero libertino e cosmopolita, Casanova curiosando tra i libri nel salotto della sua amante, provvisto di trattati filosofici contro la religione e di argomento erotico, afferma che queste opere sono: “Libri seducenti, il cui stile incendiario spinge il lettore a cercare la realtà, la sola capace di spegnere il fuoco che sente circolargli nelle vene”.
Abbiamo detto che si tratta di un fatto di cronaca, quindi non si tratta né di invenzione né di romanzo, passa da cronaca a racconto filosofico, come? Viene scritto sotto forma di diario, sono io che dico che è successo questo, scrive in prima persona al suo amante, ci racconta e riflette, fonde piani narrativi diversi -> empietà, sessualità e filosofia.
In qualche modo la cronaca cade, la denuncia di per sé diventa racconto filosofico, produce il senso rivoluzionario del libro stesso. La fanciulla pia e devota diventa libertina e intelligente -> questo diventare intelligente è la sfida di questo libro. Si libera dalla credenza e dal pregiudizio, l’estasi mistica provata da Teresa è simile a quella di Santa Teresa.
La fonte più influente di Teresa è Lucrezio, per quanto riguarda la filosofia sul materialismo -> l’uomo è una macchina che produce piacere che qui viene messo in pratica dai due amanti (materialismo di La Mattrie).
Il linguaggio di Teresa non è volgare, si rivolge non alla massa di lettori, ma si rivolge ai lettori colti, che sono in grado di capirlo -> ( si rifà sempre a quel principio libertino esposto da Montagne del -> “nascondi la tua anima alla folla”). Questi pensieri libertini antimetafisici non vanno perduti, e di fronte alle masse la religione dev’essere difesa (conclusione di Voltare, Diderot e Casanova) perché la religione serve in qualche modo per garantire l’ordine e il bene pubblico.
Teresa attacca sul piano teorico la religione ma lo difende dal punto di vista pratico; la verità anticristiana dev’essere nascosta perché se le masse conoscessero questo vangelo il mondo cadrebbe in un caos assoluto; le religioni sono tutte false ma necessarie, noi dobbiamo liberarcene (noi libertini) ma non le masse. Perché si parla di piacere, non più di famiglia, figli, del focolaio domestico ecc… il problema è che il principio di piacere va tenuto nascosto alle masse.
Teresa divenuta libertina e intelligente è finalmente emancipata e può fare ciò che vuole, il nuovo amante è un conte, a cui lei appunto sta scrivendo questo lungo diario, con questo conte lei ci va a convivere, ma dettando lei le regole della convivenza; è rivoluzionaria in quanto stabilisce queste regole, vuole emanciparsi anche dalle regole del servizio.
Come mi emancipo da questa legge naturale? Andando contro la natura, rifiutando le conseguenze che la natura ha stabilito per lei, non vuole figli, rifiuta il ruolo di moglie e madre, è una libertina. Rifiutando le regole della convivenza giunge alla parità assoluta.
A questo livello di amicizia con le donne Casanova ci arriva? -> punta all’indebolimento dell’identità sessuale, che non è più qualcosa di opprimente.
Storia dell’amor platonico: -> costituisce lo scheletro della nostra narratologia occidentale (l'amore per le doti intellettuali e spirituali di una persona, senza considerarne la fisicità).
È considerato chimerico, funziona solo se è corrisposto, non esiste un amore non corrisposto, per i libertini non c’è amore se non c’è un corpo che funzioni.
Diderot sostiene nelle suo “Epistolario” (lettere scritte come se fosse u diario quotidiano) che l’amore sentimentale è una condizione dell’amore sessuale; crede nell’eternità della materia , ci saranno pezzi di anima mia che si uniranno a pezzi di anima degli altri.
Crébillon Fils “La notte e il momento”: Cidalise, una nobildonna francese, colta intelligente e aristocratica, ospita nel proprio castello un gruppo d'amici. Fra questi è Clitandre, un bellissimo giovane libertino, filosofo intellettuale; Clitandre vuole Cidalise. Le si presenta una sera in camera da letto coperto di una semplice vestaglia di taffetas incurante delle proteste della signora e intreccia con la dama una discussione verbale quanto mai allusiva, le chiede amichevolmente di entrare nel suo letto (situazione tipicamente settecentesca paradossale -> concetto libertino dell’amicizia tra i due sessi) Si parla dell'amore e del libertinaggio, degli amanti e delle amanti -> collaborazione libertina, tiene con lei questa conversazione, le spiega perché potrebbe esserci qualcosa fra loro (glielo spiega nel suo letto -> è un paradosso).
La signora difende la propria libertà di scelta e il proprio rifiuto. Tutto il dialogo libertino tende alla dimostrazione dell’assunto libertino -> non esiste un amore che non sia corrisposto, non esiste un amore che sia individuale, non c’è un amore platonico, nel momento che lei cede, cade tutto il mondo delle idee. Clitandre attraverso il potere seduttivo della parola riuscirà a farla arrivare al momento della congiunzione amorosa -> pone l’accento sulla filosofia dell’amore libertino -> è il piacere l’unico elemento costitutivo degli incontri amorosi “così come ci si prende senza amore, ci si separa senza odio”; e all’amore si ricorre solo come puro accordo sociale per ottenere ciò di cui si ha bisogno.
Questo dialoghetto è anche divertente, è un topos tipico di questo momento culturale -> stile Reggenza ( = dove la leggerezza è l’obiettivo, riveste una notevole importanza nella storia del mobile francese in quanto rappresenta il passaggio dalla severità dello stile Luigi XIV alla fantasiosa eleganza decorativa dello stile Luigi XV). È una storiella fatta di niente, non c’è una scena madre, non c’è un morto, un pianto, c’è solo leggerezza e autoironia -> elementi fondamentali.
I nemici di questo stile Reggenza sono la lentezza, la serietà, la tristezza, la tematizzazione del dolore, la malinconia, che impediscono la realizzazione di un discorso e di uno stile.
Questa seduzione che diventa conversazione passa anche in Casanova.
Restif de la Bretonne “Sara” : 1783 è un romanzo autobiografico, mette al centro la sua vita, la sua esperienza diretta, è lo scrittore che racconta (narratore-autore).
Trama: un uomo di 45 anni è alle prese con un amore folle, si innamora perdutamente di Sara la giovanissima figlia della locataria del signor Nicolas.
Sara, al contrario dell’illuminata Thérèse usa la seduzione come solo modo di relazione fra gli uomini e le donne. Il fine di Sara non può amare gli uomini, il suo fine è restituire gli uomini alla coscienza del loro nulla di seduttori, fascinatori sensuali, e riconsegnarli al vuoto ridicolo dell’aspirazione sentimentale, restituire all’uomo la coscienza del suo nulla di seduttore, alla sua fragilità sentimentale, il libertino ritorna fragile sentimentalmente, rende il libertino consapevole del nulla del suo potere. Il comportamento di Sara è simmetrico al comportamento del Don Giovanni -> che mette in scena la seduzione come conflittualità, dimentica il bene comune a vantaggio della costruzione intellettuale che vede l’uno contro l’altra, riconsegna la donna al suo orizzonte di materialità -> la donna è materia.
Sara è il tipo di donna (in letteratura) che tradisce le parti, che viene meno ai patti dell’uguaglianza tra uomo e donna -> è la donna fatale, la donna nemica (mito letterario della “donna terribile” che ha un enorme fortuna letteraria dal 700 fino al decadentismo) è la donna terribile che porta alla perdita di se stesso; l’obiettivo di lei è analogo all’obiettivo dell’uomo seduttore nel racconto di Sara c’è la rappresentazione della terribilità femminile.
Nicolas è vittima di questo trucco, non è vero che questa donna è quella che dice di essere, l’inganno continua e la fragilità e l’intelligenza di Sara emoziona il nostro libertino, che vede nei tratti del volto di lei, nella sua gesticolazione, è una cosa che lo commuove, lui non sa cosa gli sta capitando, può essere qualcosa che sta al di là del principio del piacere puro, da qui ha inizio la caduta del personaggio nella trappola della sentimentalità.
C’è un paradosso -> un libertino che si innamora di una prostituita che gli si nega.
Sara poi viene sorpresa con un altro, neanche la verità serve a sciogliere il suo incubo, Sara è smascherata ma permane come desiderio e follia in Nicolas, lui è disperato , vede ciò che vede ma non riconosce quello che vede -> vive scisso fra due figure: una prostituta e una fanciulla immacolata.
Altro topos in questa narrazione: l’avidità di denaro, la madre di Sara detiene e gestisce il denaro della figlia.
Nicolas viene proprio truffato dal duetto madre-figlia, quando se ne accorge non vuole crederci, non arretra di fronte ai soldi che gli sono stati depredati, di fronte all’umiliazione, perché l’impressione che la fanciulla gli ha fatto all’inizio non è eliminabile, Nicolas ritorna alla visione originaria della fanciulla. Questa donna diventa un incubo perché è una donna mentale -> è dentro alla sua testa, ha una visione ossessiva della donna. Questa regressione rappresenta un’inquietudine, una perdita di equilibrio.
Come ne esce?? Il racconto cmq si deve concludere: Nicolas vede in fondo al viale la madre e Sara a braccetto con un abatino. L’uscita dal dolore sfocia nel comico -> la visione del terzetto quasi borghese è una visione comica che sfocia nella risata acida -> gli restituisce stabilità, identità, Nicolas capisce finalmente chi è, la visione comica gli restituisce il principio di realtà. È l’ironia che lo libera.
Episodio della Charpillon: Sara è il modello che Casanova utilizza per la Charpillon, anche qui si tratta di una narrazione della caduta del libertino, di un se stesso che non si riconosce più, della perdita di sé per amore, per l’inganno subito dal seduttore (in questo caso la donna), anche in Casanova c’è la descrizione della terribilità del femminile.
La vicenda della Ch sfiora quasi la tragedia; nell’inizio dell’episodio la Ch annuncia la distruzione psicologica del protagonista, fa in pratica un pronostico di ciò che verrà e introduce la terribilità della scena.. Lei dice “la farei innamorare di me, poi le farei soffrire tutte le pene dell’inferno. Oh, che spasso!”.
Accanto al prologo c’è un interessante ritratto della Ch (coincidente con la teoria del bello relativo di Montesquieu e Leopardi -> bellezza fisica che ambisce alla bellezza spirituale) -> il suo viso aveva una nobiltà che recava impressa una grande delicatezza dei sentimenti -> si innamora di un bellissimo falso, lui si attiene all’unico vero che ha davanti, al suo corpo; la menzogna è la delicatezza dei sentimenti, la Ch è tutto meno che delicata (spesso la bellezza simula dei sentimenti con cui non ha nulla a che fare).
La bellezza di questa donna è ingannevole, è una bellezza tipicamente settecentesca ha a che fare con una significazione ( ha un non so che che mi piace) dall’altra parte è una bellezza predecadente (anticipa il decadentismo di D’Annunzio) -> ci sono figure che assumono un’impressione di terribilità: le donne seduttrici bellissime, dittatrici sentimentali.
Casanova, che è un libertino imbevuto di materialismo filosofico, fa un’analisi di questa situazione, lui sa bene che la Ch gli ha proposto una sfida, sa che sul suo viso c’è qualcosa di spirituale che è falso. Ma sa anche qual è la cura (anche se non la mette in pratica), secondo Casanova è il corpo -> prima cura, ovvero “mi dissi che presto, non appena l’avessi avuta, avrei smesso di trovare meravigliosa anche lei” , pensa al corpo di una donna come a un rimedio (contro il male della passione) e non come a una fonte di piacere. Il corpo guarirà questa fissazione spirituale. La Ch distruggerà la sensualità di Casanova.
Anche la Ch chiede denari a Casanova, nonostante il disgusto iniziale finisce con il darglieli, si fa persuadere dal lei quando le dice che non avrebbe ottenuto qualcosa da lei né con il denaro né con la forza, e che si sarebbe data a lui spontaneamente non appena lui fosse diventato mansueto come un agnellino. La Ch che a parole si offre, di fatto si nega.
Casanova giunge quasi ad ucciderla, ( lui è già dentro a un ossessione che lo rende sconosciuto a se stesso), la percuote con violenza e perde stima di se stesso, si sente indegno di vivere, meritevole solo di disprezzo “se un uomo non riesce a liberarsi del disprezzo di sé finisce con l’uccidersi”.
Seconda cura -> non vederla più “Capii che se non avessi evitato ogni occasione di incontrare la Ch, sarei stato davvero un uomo perduto”.
Quando la Ch si ammala, o finge di ammalarsi, Casanova sembra esser giunto alla perdizione, e decide di uccidersi buttandosi nel Tamigi, ma viene salvato da un certo Edgar, e in una calda sala del Cannon, Casanova riflette “l’uomo e padrone delle sue scelte fino a un certo punto”.
Casanova vede la Ch che credeva morta (la madre le aveva detto che era morta), la vede al braccio di un signore, vede il contrario di quello che dovrebbe vedere, dopo un’ora terribile in cui Casanova si sente quasi morire, in qualche modo si salva, guarisce non con l’ironia di Restif, ma per un puro eccesso del male-Charpillon, Casanova ristabilisce i confini di se stesso, torna materia, e per giungere a ciò ha dovuto quasi morire per questo dolore d’amore, questo eccesso di male lo salva, è come se ammettesse che quell’amore ingannevole è malattia e solo andando in fondo, quasi morendo di questa malattia posso guarire. Casanova non impazzisce, non muore, le donne tornano a essere sue amiche e angeli, il fiume riprende a scorrere.
Metodologie di indagine autobiografica:
Maria Zambrano identifica il dato autobiografico come una “confessione”, chi racconta se stesso ha bisogno di confessarsi. L’atto autobiografico è un atto conoscitivo -> confesso me stesso per essere perdonato e per conoscere meglio me stesso -> risponde all’esigenza che ha la vita di esprimersi. Confessione -> rivelazione della vita.
La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca. Bisogna trovare il punto di contatto tra la vita e la verità.
La confessione nasce quando Verità e Vita non vanno più d'accordo. Alla sua origine sta una lotta con sé e l'aver commesso delle colpe. Ma non occorre essere sinceri, raccontarle apertamente: "Perché l'importante non è che siamo visti, ma che ci offriamo alla vista, uscire dall'isolamento e comunicare”. La confessione, intesa come possibilità di ricostruire la propria identità attraverso il raccontarsi a un interlocutore privilegiato. Non è pensabile parlare di se stessi senza confessarsi; l’atto di confessarsi è un’attività filosofica, cercare un senso della vita che è esterno alla vita stessa.
Questa idea di confessare me stesso parte da un’articolazione filosofica che ritiene che nel nostro pensiero occidentale tra vita e verità non ci sia alcun rapporto, da una parte vivo, dall’altra sto chiuso nella cameretta e cerco il senso delle cose. Ambito filosofico di tipo platonico, Maria ricorda che l’amore platonico era l’intermediario tra la vita e la verità.
Teoria della ricerca felice -> nella filosofia verità e vita stanno insieme felicemente, Maria ritiene che nella filosofia occidentale, a partire da Cartesio in poi, i filosofi postcartesio sono nemici della verità, perché la filosofia moderna ha cercato di trasformare la verità. La filosofia dal 600 in poi si dedica alla disperazione della verità.
Maria dice che la verità è un bene sociale, ma non ha nulla a che fare con la ricerca filosofica che riguarda la vita “una qualsiasi contadino medievale sapeva di più di un qualsiasi filosofo cartesiano o postcartesiano” .
Come fare in modo che la vita e verità si intendano??
nel momento in cui prendo la penna, in quel momento la vita si riappropria della verità -> scrivendo la propria vita. Con l’autobiografia la vita si riappropria della tua vita interpretandola.
Con l’autobiografia voglio esprimere una sorta di totalità di me stesso in quanto me stesso nella mia vita. “la confessione è il linguaggio di qualcuno che non ha annullato la sua condizione di soggetto” -> è un atto in cui il soggetto si rivela a se stesso, e la confessione di sé si rivela in un momento di pena, dove il sé è debole. (Casanova c’entra poco con questa teoria autobiografica, lui non è confuso quando scrive la propria vita, è vecchio, sta per morire e non c’è altro da dire).
La confessione avviene nel meno di vita non nel più di vita.
Il punto è quello di conseguire una verità su di sé, “ricrea, senza trascenderlo, il suo essere”; si cerca il senso di essere quando non ce l’abbiamo, l’atto autob coincide con la più profonda disperazione e con un bisogno di uscire da questa disperazione, “quando il peso dell’esistenza minaccia di toglierci la parola” -> in quel momento io parlo (paradosso dialettico di Maria), nasce quindi nella disperazione, e allo stesso tempo nella speranza, è per uscire dalla confusione che io scrivo. C’è qualcosa nella vita che ci sta schiacciando, ha bisogno che il senso della vita gli si riveli.
I testi di riferimento di Maria sono le “Confessioni di Giobbe e di Agostino”.
Agostino parla di se stesso come disperso tra le creature, è un libertino a suo modo, che poi capisce che il libertinage dell’epoca coincide con la “dispersione” nelle creature, “se io conseguo il piacere disperdo me stesso tra le creature”, e questa dispersione coincide con il non ritrovarsi più.
Agostino -> uomo disperso tra le creature vuole ritrovarsi confessandosi.
La Zambrano nella sua teoria autob parte da una constatazione -> della mancanza della filosofia contemporanea -> che ricerca la sincerità e non la verità (secondo Maria Spinoza nel quarto libro dell’ Etica, dedica la dovuta attenzione al collasso della vita).
La sincerità è argomentativa, non spiega il passaggio dell’uomo sulla terra.
Wilhelm Dilthey “Per la fondazione delle scienze dello spirito” capitolo “Vivere e conoscere”:
Secondo D la vita non contiene la filosofia, tutto il mondo dello spirito si conosce a partire da una singolarità psicologica mobile -> l’Io, in cui si connettono diverse forze -> pensiero, volontà e sentimento.
La vita è una struttura enigmatica che ci conduce da un impulso a un movimento, in noi c’è un motore vita, è il desiderio di vita che sta dentro di noi; nessuno può capire perché la vita si costituisca in un flusso ritmato.
La vita non è analizzabile e definibile, ma si può seguire l’intonazione e l’eccitata melodia del vivente; noi possiamo solo descrivere la vita -> questo è per D l’atto biografico, non un’indagine del senso della vita ma dei tratti della vita, il senso del mondo non è rintracciabile, la vita però è indagabile ma non possiamo conoscere al di là della vita.
Es. su scena di Casanova dove balla con una bambola meccanica (un automa, un robot -> invenzione settecentesca). Roland Bart dice che il film di Fellini è brutto, gli piace solo questa scena: nella vita c’è qualcosa di profondo, questo uomo che noi siamo è anche calore, quell’impulso al movimento è il nostro essere umani -> questa è vita -> un profondo di noi stessi , profondo in quanto struttura, è un meccanismo. Noi siamo profondo caldo e in questo profondo caldo c’è anche qualcosa di gelido che è mero meccanismo, che va da un impulso a un movimento. Fellini traduce questo ragionamento in una bambola meccanica che balla con Casanova, sono due persone strette in un calore (quello del ballo) ma qualcosa sfugge, che è proprio questo meccanismo. In fondo c’è una bambola meccanica in noi che ci induce a stringerci all’altro, queste due persone sono definite dalla loro umanità ma anche da qualcosa che sfugge. Il volto della bambola che è fisso traduce questo qualcosa che sfugge. Non sono io che decido di andare a un movimento ma c’è qualcosa che mi conduce, noi siamo governati da un principio che umano non è. In Casanova , quando lui perde il ritmo lo ritrova sempre; es Casanova è a Grenoble con dei borghesi nobili di provincia con i quali un po’ si annoia (finge ovviamente di non annoiarsi), qui il ritmo non c’è, la noia sua diventa la noia collettiva, cosa fa? Inventa un aneddoto per ritrovare il ritmo (la noia è disanimarsi) tutti sono lì ad ascoltare e lui torna vivo, attraverso l’invenzione restituisce vita a sé ma anche agli altri. Secondo es. si trova in Svizzera, in una famosa abazia, visita l’abate di questa abazia, Casanova viene tentato dalla vocazione lui dice “forse non ho capito niente” pensa che in quella vita monastica ci sia più vita che nella sua, dice “mi faccio monaco”. Poi va nella stanza della locanda e guarda dalla finestra una carrozza, dalla quale esce una ragazza, osserva gli occhi di lei che fissano i suoi, poi rapito da questo sguardo apre la porta, la vede, lei fa un sussulto e poi ride -> la risata restituisce a Casanova il ritmo della vita.
Altro es. di ricostruzione di questa struttura che va da un impulso a un movimento, come musica e come ritmo: “Filò” di Andrea Zanzotto, Fellini gli commissiona due versi che contribuiranno a due momenti incantati del suo Casanova, Recitativo veneziano e Cantilena londinese, prime due parti del libretto Filò. Il Casanova di F è parzialmente sceneggiato da Zanzotto, F riprende alcune interpretazioni di Z, sono versi, canzoncine in veneziano.
C’è un verso che allude a questo “fluido fiume” che è la “vita” stessa sulla quale si fonderebbe l’elemento casanoviano, l’elemento acqua che in qualche modo stabilirebbe la nozione fondamentale di C nell’intelligenza critica messa in scena di F, che non segnale solo l’elemento terra, solido, dal quale trarre l’aspirazione autobiografica, ma l’elemento cuore, fluido -> il film inizia con la vista della laguna veneta che Z chiama “lacuna” -> sta a indicare qualcosa che segnala la nostra mancanza d’essere in un pieno d’essere e nello stesso tempo è l’elemento dal quale proveniamo, c’è questa cosa che continua a muoversi che noi chiamiamo “vita”. Tutto è immerso in questo liquido -> metafora che F rappr. Con la luna che si inabissa nella laguna.
La fine del film conferma questa regola del fluido, utilizza la stessa scena che apre il film -> cioè questa laguna immobile con la luna che sfiora le acque e si chiude con l’ennesima laguna però completamente ghiacciata in una sera invernale, sulla quale danzano i personaggi incontrati nel film -> sta a indicare che c’è qualcosa che si chiude per sempre in una vita che per certi aspetti è stata ritenuta infinita, questo flusso che purtroppo malinconicamente si ghiaccia si riconfigura in terreno solido e in terreno duro, è una danza di spettri, di uomini che sono stati uomini, “di ciò che fu”, è una danza muta, non c’è musica, non c’è più ritmo, tutto si ghiaccia, tutto finisce (conclusione di F che non è piaciuta a Bart).
Patto autobiografico: l' atto secondo il quale l' autore di un'autobiografia si rivolge a il lettore direttamente, e s' impegna a raccontare solo la verità parlando della propria vita (vedi cap Ficara sul dire la verità); è necessario che ci sia una coincidenza tra l’autore Casanova e il personaggio Casanova. Il patto autobiografico è difficile da mantenere. Per es. come ci dice la Zambrano, nell’Agostino che ci dice “adesso vi racconterò la mia vita”, non è esattamente l’Agostino che viene trascritto nelle sue confessioni perché l’Agostino trascritto è ciò che Agostino vorrebbe -> è il processo di una vita migliore, precisa, dettagliata, contenente significato.
Michelle Foucault:
F teorizza sul problema della rappres in letteratura, della sessualità. Dopo la grande censura della letter umanistica, che ha chiuso e sospeso questa rappr, che c’era nel mondo greco e latino (nella poesia erotico latina -> Catullo, Properzio, Ovidio ecc), nel settecento si riapre prepotentemente. Perché a un certo punto si ritiene di poter raccontare la sessualità? F affronta il tema nel capitolo del suo libro “La volontà di sapere” 1976, primo capitolo “L’incitamento al discorso”: scrive una breve storia di questo percorso storico culturale, che rende necessario che l’esperienza si trasformi in discorso, in particolare che l’esperienza sessuale (quella cosa che non si dice) si trasformi in discorso. C’è qualcosa che deriva dalla nostra esperienza che deve diventare discorso.
F parte dal 5 e 600, in quest’epoca c’è una fissazione su questo problema, che F analizza e riassume in questo capitolo. Nel 5 e 600 ci sono i Gesuiti -> nel 1598 il gesuitismo si stabilisce a partire da una riflessione teologico autobiografica di Ignazio di Loyola che si chiama” Racconto di un pellegrino”.
Questo problema del dire la sessualità è presente nel genere letterario “confessione” -> lo troviamo anche in Agostino, quando inizialmente confessa i propri peccati sessuali e quando chiede al signore di allontanarlo da essi ma con quella magnifica clausola “ma non subito” -> perché bisogna prima conoscere quella cosa da cui mi devo distaccare. Questo problema entra in maniera penitenziale in Agostino come anche in Petrarca dove nel “Secretum” dice che nella sua vita si è perso ad arricciarsi i capelli e a badare al suo abbigliamento -> c’è un autoflagellazione.
Nel genere confessione si tende quindi a non parlare di questa cosa, ma, dice F, allo stesso tempo dal pinto di vista etico la chiesa suggerisce di parlarne -> paradosso, la chiesa dovrebbe fare esattamente il contrario, mentre l’incitamento al discorso è proprio questo -> parliamone e trasformiamo questa esperienza del “non detto o non dicibile” in discorso.
Il problema di dire la sessualità compare anche in un “non libertino per definizione” come Rousseau (che detesta il libertinismo), parlando della sua amata Madame de Warens, sembra spaventato da questa cosa, ma intanto ci gira sempre intorno.
La confessione non è solo Petrarca, Agostino ecc… ma è anche “l’atto confessionale” come sacramento; F mette in relazione questo genere lett con la pratica confessionale che tra 5 e 600 ha una grandissima esplosione. Uno degli obiettivi della confessione/sacramento è il confessare il proprio peccato carnale, che non fa che crescere tra 5 e 600 -> la Controriforma accellera il ritmo della confessione annuale in tutti i paesi cattolici (prima non c’era).
La pratica confessionale invita a essere precisi, a costruire un discorso a partire da questo buio che è il mio peccato -> questo buio io non so neanche che cosa io esattamente, questo peccato che ho commesso, c’è un’inquietudine che in qualche modo devo organizzare in discorso.
Cosa si dice? Pensieri, desideri, immagini, piaceri -> tutto questo è “dilettazione morosa” -> derettazio morosa, detta dai gesuiti, stare con il pensiero in un’immagine colpevole, costruire nel mio pensiero il luogo dove io pecco, le circostanza e i dettagli del mio peccato -> essa costituisce peccato mortale.
Nel seicento, quindi, la sessualità dev’essere nominata con prudenza -> dice F “i suoi aspetti, le sue correlazioni, i suoi effetti devono essere seguiti fino nelle loro ramificazioni più sottili” -> per confessare la sessualità io devo descriverla. Se io descrivo il mio peccato sto facendo proprio quello che non devo fare, finisco cioè nella dilettazione morosa, perché descrivo una cosa che dev’essere immediatamente rimossa (per i gesuiti).
Si crea il precetto di dire e di dire a se stessi, di trasformare quest’esperienza cupa della sessualità in un’esperienza dicibile e traducibile in discorso.
F dice “tutto questo si chiama perversione” -> che è peggio della sessualità, è una cosa che non ha più a che fare con l’elemento vita, fluido, humanitas ecc.. diventa una contemplazione del peccato stesso con una serie di dilettazioni.
Questa perversione non c’è in Casanova, lui non ripete, non si riascolta ecc… ma semplicemente trasferisce ciò che ha vissuto da là a qui, alla pagina, perché bisogna scrivere due volte la suggestione della vita. I pranzi, i banchetti, le conversazioni, gli incontri, i viaggi ecc.. il tutto viene trasferito da là a qui -> non è un incitamento al discorso, non è trasvalutazione dell’esperienza in parole, è trasferimento dell’esperienza da un punto della vita all’altro. Non è un atto penitenziale ( il fine di trasferire i propri peccati in discorso è proprio quello di fare penitenza).
Il gesto autobiografico è un mezzo per liberare la sessualità, non c’è maliziosità in Casanova, è tutto messo in superficie, è privo di ambiguità, dal punto di vista critico è già tutto detto ed esibito.
Nel 700 non soltanto ci si confessa, ma ci si confessa privatamente e individualmente, in maniera articolata e discorsiva i propri peccati, F dice “cercare di rendere il proprio desiderio, tutto il proprio desiderio, discorso” -> questo è l’obiettivo della confessione.
Quando avviene la confessione-perversione? Quando c’è uno slittamento dal piano della realtà al piano del discorso -> se il peccato non viene articolato metaforicamente non c’è il peccato.
Il materiale discorsivo dei grandi predicatori seicenteschi è uguale al materiale discorsivo dei peccatori -> della letteratura libertina del 700 -> da Alfonso Maria de’ Liguori a De Sade.
Sade mette in scena il desiderio nel momento stesso in cui diventa discorso e così fa anche Liguori anche quando il discorso si sottopone alla penitenza e alla preghiera. Direzione della preghiera e della penitenza in Liguori e descrizione in sé e della celebrazione libertina in de Sade -> è un’identica trasformazione dal piano della realtà al piano del discorso.
Roland Barthes scrive “Sade, Fourier, Layola” -> uno scrittore maledetto, un filosofo utopista sessuale dell’800 e un santo gesuita.
Nel suo discorso è interessante l’equivalenza Sade-Loyola che ripercorre il discorso di F.
Che somiglianza c’è tra i due? La troviamo nella procedura della “compositio loci”-> composizione di un luogo -> è la precondizione per la penitenza in Loyola, e per Sade è la condizione del soffocamento del piacere libertino, non basta avere la donna compiacente, bisogna avere un’immagine disponibile per comporre il luogo dei propri piaceri, è innanzitutto mentale che poi si trasferisce nel piano della realtà. S e I ragionano allo stesso modo secondo Barthes; per capire come salvarti, che cos’è il purgatorio devi comporti nella tua testa il luogo del purgatorio, attraverso una serie di riferimenti che si possono trarre dalla scrittura, dai moralisti, dall’esperienza comune, serve la visibilità dell’luogo.
Se nel 600 il problema era quello di dire la sessualità, nel 700 il problema è contrario: come un discorso donfado sulla ragione può parlare di questa sessualità da un punto di vista razionale? Come può il discorso acchiappare più realtà possibili? Non si tratta più di incitamento al discorso ma di incitamento alla realtà. Come può la ragione parlare di quella cosa? Cosa si può dire di essa? -> questo è l’obiettivo che si pone il 700.
Diderot ne parla come satira politica per es. -> parla della sessualità reindirizzandola razionalmente a un obiettivo sociale, ne parla poi come illusione di una tesi filosofica.
La sessualità diventa una piccola rivoluzione -> l’amore platonico non esiste, per dimostrare questo scrivo di sesso .
Tutto l’illusionismo parla della sessualità come di una cosa che non va condannata ma non va neanche tollerata -> dev’essere “amministrata” -> questo è l’atteggiamento razionalistico illuministico tipico nei confronti della sessualità.
La sessualità va inserita nei sistemi della pubblica utilità -> dev’essere utile e adeguatamente gestita. Per l’illuminismo la sessualità è il piano della socievolezza -> rimanda alla concezione libertina della collaborazione sessuale -> fine della contrapposizione maschio-femmina, della lotta tra i due sessi -> questa collaborazione è uno dei fondamenti del razionalismo illuminista.
Dobbiamo trasferire il concetto di pubblica utilità all’esperienza individuale e all’esperienza sessuale.
VITA DI ALFIERI
Fu scritta da A nel 1790 e pubblicata postuma nel 1804. Secondo la più illustri critica alfieriana la vita sarebbe stata composta a partire da un modello -> dalle “Le confessioni” di Rousseau, è una confessione in termini russoiani -> parla di sincerità senza però quell’ostentazione retorica della verità e della sincerità di R. Non c’è solo questo modello, ma la vita di A è anche un ritratto plutarchiano di libero scrittore; da una parte la confessione di A è classicità di un profilo classico e dall’altro è l’inquieto R, è come se inquietudine e forma siano entrambe presenti nel testo di A.
Possiamo dire, seguendo Giacomo De Benedetti nella sua “Vocazione di Vittorio Alfieri” che la vita di A è anche la descrizione di una vocazione -> come io divento io? Divento io scrivendo di me stesso , raccontando come ho cercato di diventare io, l’io è niente fin tanto che non diventa qualcosa a partire da un’attività umana culturale e intellettuale com’è quella della storiografia e della letteratura, l’io non è niente se non diventa pagine, scrittura -> questo è assolutamente un concetto moderno.
in questa vita c’è una costrizione, una dedizione e un’autodisciplina a far diventare io e il proprio io nella quale A mette tutto se stesso.
De Benedetti dice che questa vita, oltre che a essere un ritratto plutarchiano è proprio la descrizione di questa vocazione, già adoperata in alcuni trattati di A come il “Trattato del principe e delle lettere” del 1789.
Introduzione: A parte da un tema molto dibattuto e presente nel 700 razionalista ed epicureo
-> “L’Amor Sui” -> tema già trattato nel libertinage erudit con La Mettrie, Naudè, Saint Evremont, Voltaire ecc); è uno dei problemi più canonici della letteratura classica ed è il terreno sul quale si edifica anche nel 700, e soprattutto nella vita di A, ogni costruzione etica successiva. In questo A è assolutamente illuminista e razionalista, non è protoromantico, nel senso che per lui l’ amor sui coincide con il bene pubblico o la pubblica utilità (concepita dai grandi illuministi francesi) -> ultimo Voltaire -> coltiva il tuo orto, star bene con l’ipotesi che questo mio bene possa far del bene agli altri. Io devo dedicarmi agli altri ma non posso farlo se sono privo dell’amore di me.
Se parlo di me amo me stesso due volte perché descrivo a me stesso e all’amico con cui sto parlando.
L’amor sui è la prima parola che troviamo nell’introduzione di A: “ Il parlare, e molto di più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amore di sé stesso”.
L’amor sui è la verità fondamentale che occorre riconoscere all’inizio del racconto stesso, io devo sapere che mi amo, e devo far sapere al mio lettore che questa materia che gli sto proponendo è il frutto dell’amore di me per me. Questa verità è il principio della sua stessa autobiografia.
Io ricordo e trasferisco sulla pagina tutto ciò che mi è accaduto, non perché sarà utile per conoscere gli usi e costumi della mia epoca (lo è per Gozzi), ma per l’unico motivo che è l’amore di me stesso, se non ci fosse questo non scriverei nulla.
La vita di A e quella di C sono diverse ma hanno un dato comune -> il principio di piacere, di felicità e di amor sui.
“Il parlare, e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso. Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto credute da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero. Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliardo d'ogni altra, l'amore di me medesimo...Quel dono cioè, che la natura in maggiore o in minor dose concede agli uomini tutti; ed in soverchia dose agli scrittori, principalissimamente poi ai poeti, od a quelli che tali si tengono. Ed è questo dono una preziosissima cosa; poiché da esso ogni alto operare dell’uomo proviene, allor quando all’amor di sé stesso congiunge una ragionata cognizione dei propri suoi mezzi, ed un illuminato trasporto pel vero ed bello, che non son se non uno.
Senza proemizzare dunque più a lungo sui generali, io passo ad assegnare le ragioni per cui questo mio amor di me stesso mi trasse a ciò fare: e accennerò quindi il modo con cui mi propongo di eseguir questo assunto”.
A dice che l’amor di se è un dono della natura, è ciò che rende unite le cose, se non c’è questo amore non c’è niente. Dall’amor sui nasce ogni altra forma di amore e di affezione -> l’amore per gli altri, per il bello, per il vero e per il buono.
Qualsiasi forma di altruismo, di trasporto concettuale nasce da questa visione sensistica del mondo. L’amor sui è il fondamento non solo del bene pubblico ma anche dell’estetica, dell’arte -> l’amor per l’arte nasce dall’amore di sé.
La concezione di Amor sui di A è assolutamente originale rispetto ai suoi contemporanei; l’amor sui è anche una cosa che mi tiene connesso son il vivente, perché c’è questa forza d’amore che non è un amore spirituale, altruista o egoistico, ma è “strutturale” -> fa parte del vivente, questo vivente che si ama prevede che ogni altra forza d’amore nasca da lì, amare se stesso prevede amare il bello, il vero e il buono -> è quindi una conseguenza dell’amor sui che però non avviene in maniera automatica.
L’amor sui dato “in soverchia dose ai poeti dalla natura…” è il più alto grado di conoscenza e di comunicazione che sia dato all’uomo -> è per un eccesso di amore di sé che l’uomo produce e percepisce il bello, non da una donazione di se stessi. Il più alto amor di sé coincide con il più alto livello di comunicazione e di conoscenza del mondo dal punto di vista artistico.
Ma questo amor sui in A viene reso drammatico e inquieto, c’è un’inquietudine dell’amor di sé -> tutto procede da questo io che ama se stesso ma in maniera drammatica -> questo è lo scatto in più che fa A rispetto all’amor di se concepito nel mondo classico greco e latino -> è anche una novità radicale rispetto alla morale altruistica cristiana ma anche rispetto alla concezione fatalista pagana dell’amor sui.
Altro tema presente in A è quello della “sincerità”: (tutti i biografi dicono di dire la verità), secondo A è possibile giungere alla verità di noi stessi mediante una tecnica psicologica che non si conosceva prima di A, il “DISAPPASIONAMENTO” -> disappassionarsi di sé è il contrario dell’appassionarsi ovviamente, questo termine descrive uno degli atteggiamenti estetici e poetici di A nei confronti dell’Humanitas di cui in qualche modo deve venire a capo. Come posso venire a capo di questo vero che c’è dentro me stesso? Attraverso la sincerità, ottenibile tramite il disappassionamento di me a me stesso. Quindi se non c’è amor di sé non scrivo nulla ma se esso non viene realizzato nel disappassionamento di se stessi , questa riga che sto scrivendo non ha nulla a che fare con l’esperienza artistica, non ha nulla a che fare con il raggiungimento del bello.
Cit. “Affinchè questa mia vita venga dunque tenuta per meno cattiva e alquanto più vera, e non meno imparziale di qualunque altra, verrebbe scritta da altri dopo di me; io, che assai più largo mantenitore che non promettitore fui sempre, m'impegno qui con me stesso, e con chi vorrà leggermi, di disappassionarmi per quanto all'uomo sia dato; e mi vi impegno, perché esaminatomi e conosciutomi bene, ho ritrovato, o mi pare, essere in me di alcun poco maggiore la somma del bene a quella del male. Onde, se io non avrò forse il coraggio o l'indiscrezione di dir di me tutto il vero, non avrò certamente la viltà di dir cosa che vera non sia.”
In A è costante questa riflessione della vita e dell’amore di sé che deve diventare linguaggio;
-> “La virtù sconosciuta” 1786 di A -> è un’operetta in forma di dialogo; L’autore immagina che compaia dinanzi a lui l’ombra di Francesco Gori, suo amico carissimo da poco scomparso. Vittorio, dialoga con l'amico scomparso, sul tema della memoria e della gloria: Gori, buon conversatore e uomo esemplare, è morto senza lasciar nulla di scritto; è Gloria la sua? Esiste virtù che possa essere sconosciuta? Cosa poteva essere ciò che non è esistito? cosa avrebbe concluso? (dal punto di vista artistico, non esistenziale). È una meditazione sull’arte che non nasce (A si domanda), sull’inconclusione dell’arte, sull’inconclusione di ogni gesto estetico.
1) Cit. A che parla F “Nato nel più puro grembo della tosca favella, auree parole non ti poteano mancar mai; pieno, ridondante di forti, veraci, e sublimi pensieri, avresti senza avvedertene l'ottimo tuo naturale stile perfettissimo ridotto scrivendo; e da libro nessuno non lo avendo imparato, uscito sarebbe dal tuo robusto capo col getto della originalità da imitazione nessuna contaminato”.
-> A si lamenta del fatto che l’amico è morto, si lamenta dell’inconclusione dell’opera.
2) cit. F che parla a A -> riguardo quello che A potrebbe conseguire in un opera e che lui non può conseguire per via della morte stessa.
La prima cit di A che parla a F riguarda l’inconpiuto di F mentre la seconda, F che parla ad A è relativa al possibile di A.
cit. ““libero e sublime sfogo nelle sole tue carte concedi alla splendida e soverchia tua bile; sottilmente, e con discrezione negli scritti adoprata, ella è codesta bile il più incalzante maestro d'ogni alto insegnamento: ma fra gli uomini viventi raffrenarla si debbe” .
A parla di bile -> intesa come il motore della forma; è una forza nervosa che ci conduce all’opera; “ella è codesta bile il più incalzante maestro d'ogni alto insegnamento” -> è il miglior maestro che noi possiamo avere dal punto di vista dello scrivere, se ci manca questo entusiasmo, se pur frenato dalla malinconia, noi non conseguiamo nessuna attività; “splendida bile” -> splendido slancio che ci conduce alla forma; questa bile è il variante di quel flusso al movimento di Diltay; “incalzante maestro” -> è come un maestro di stile; quella forma è l’unico obiettivo di una vita, questa vita non è niente in sé, deve diventare qualcosa seguendo l’insegnamento dell’incalzante maestro. È una cosa liquida, che allude al fluido fiume di Joice, sta in noi in maniera mobile, liquida che A appunto chiama bile mentre Petrarca chiama lacrime.
Segreto della vita: dev’essere trasferito dal contenitore vita al contenitore opera, l’opera sarà tanto più viva quanto più vita ci trasporterò dentro; in A non è così! Bisogna toglierla alla vita stessa, bisogna farla diventare qualcos’altro, questo è il percorso che definisce il percorso autobiografico in A. il segreto della vita va ricondotto con discrezione a una forma definitiva classica -> restaura un modello di grandezza che si deve realizzare mediante una disciplina -> è esattamente il modo attraverso cui la vita si trasforma e si svela in opera ->importante pensiero classico, non protoromantico, l’idea di concludere la nostra vita in una forma chiusa è un pensiero classico.
Petrarca è presente nei sonetti di A, ma anche nella vita; il segreto della propria vita è il secretum di cui parla P stesso -> il segreto ha a che fare con un’inquietudine profonda i noi stessi, è per definizione sfuggente alla forma, bisogna sforzare questa mobilità, trattenerla, darle una forma, farla rispendere in uno stile conchiuso. Neanche P conclude, se non riusciamo a chiudere questa forma, ci dice lo stesso P, rimarrà qualcosa di aperto. Questo secretum è l’incalzante maestro.
Diltay studia A e scrive “Vittorio Alfieri, parla di A come un’eccezione del proprio sistema autobiografico, si rende conto che A non segue il proprio ritmo vitale, l’intonazione di quell’eccitata melodia dalla vita all’opera, ma anzi “definisce le sue proprie leggi eterne” la sua propria architettura formale i suoi propri obblighi stilistici.
Chi è dunque stilisticamente A, come fa a stabilire le leggi eterne? Come avviene il passaggio dalla vita all’opera?
Cit. “Non riuscivano veramente grandi tra gli uomini che quei pochissimi che avevano lasciata alcuna cosa stabile fatta da loro “ -> cosa stabile che si connette con questa vita e che è il significato stesso della grandezza, se non c’è questa vita non ci sarà mai un’opera chiusa.
Questa vita (intesa come da Diltay da un impulso a un movimento) per A in sé è l’instabile da cui io devo uscire e da cui devo trarre una forma stabile.
L’autobiografia per Alfieri: dev’essere prima opera letteraria e poi confessione, è un’ipotesi di opera chiusa.
Stile: “... quanto poi allo stile, io penso di lasciar fare alla penna, e di pochissimo lasciarlo scostarsi da quella triviale e spontanea naturalezza, con cui ho scritto questa opera, dettata dal cuore e non dall'ingegno; e che sola può convenire a così umile tema” -> c’è una contraddizione apparente; dice che segue delle leggi stilistiche e poi dice di lasciar fare alla penna, dice che è il cuore il maggior protagonista, mentre ci dice anche che è la bile, la malinconia e l’incalzante maestro che porta alla forma, e poi dice che ha composto l’opera con naturalezza, dice di voler scrivere secondo il dettame del cuore, del soggetto dell’Io, e non di quel disappasionamento di cui parlava prima, e qui è come se ci riportasse nell’intimo del suo cuore, nella sua introduzione ci lascia la sua ambizione -> ovvero scrivere l’opera d’arte che contenga quella naturalezza del vivente.
Ma questa contraddizione segue anch’essa una regola -> voglio seguire il cuore perché l’arte deve mettere in scena la naturalezza del vivente.
Questo genere letterario dell’autobiografia non è ancora ben definito all’epoca di A, la sua si trova tra questa prescrizione classica del disappasionamento e dall’altra parte dai dettami del cuore.
“lasciar fare alla penna” sarà vero? No, è una recitazione, coincide con quello che poi accade, è una spontaneità raggiunta mediante l’artificio.
Qual è l’altro protagonista oltre a se stesso in A? La “natura” (nel 700 è stata rimossa, la rappresentaz dello spazio-natura non interessa nella poesia e nell’autobiografia settecentesca, ciò che interessava erano le persone, gli incontri, le conversazione ecc..), qui in A lo spazio-tempo si riprende la scena, A cambia le carte, lui ha la stessa mobilità e motività dei suoi compagni di avventure settecentesche, anche lui è continuamente mobile, lui viaggia da una parte all’altra, ma lo fa sempre infelicemente -> per cui alla regola settecentesca del “tanto moto, tanta gioia”, in A rimane per quanto riguarda il moto, ma non per la gioia; il moto conferma quella radicale inquietudine dell’Io che è la regola più grande dell’autorappresentazione di A, che fa di tutto per disappasionarsi, ma per dis bisogna appassionarsi, e ovviamente c’è una passione nell’io di Alfieri.
Ma la vocazione al moto è una specie di condanna in A, di curiosità, di fronte alla quale, non ci sarà mai una risposta definitiva -> atteggiamento dialogico nei confronti di questo personaggio muto. La natura è un personaggio eterno che non finisce mai di rispondere (in Foscolo è un atteggiamento drammatico), in A è tutt’altro, è stridente, per nulla retorico.
Per Leopardi il tema della natura viene discusso teoricamente: dice che “è necessario che noi ci adattiamo alla natura e non che la natura si adatti a noi”-> questa idea prevede che il paesaggio muto contenga una “rivelazione” -> tema della rivelazione del paesaggio -> diventerà tipico nel 900 fino a D’Annunzio e Joice.
Già in Manzoni, questo soggetto-paesaggio-natura è stabilito come una sorte di possibile fonte linguistico emotivo patetico nel razionalista Manzoni, se ci sono dei luoghi nei “Promessi Sposi” al di là della descrizione plastica del mondo, tuttavia c’è una descrizione più emotiva del mondo, in cui il mondo, la natura, le cose corrispondono o rispondono a questa esigenza, non pone domande alla natura (anche perché la struttura mentale cristiano- aristotelica di Manzoni gli vieta di porre domande a un mondo che è apparente, che è una pura decorazione).
Es. episodio capitolo quarto, quando Fra Cristoforo torna dal convento: come attraversa quel luogo? Cit. “Il sole non era ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov'era aspettato. E' Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, (descrizione plastica) abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo.
Il cielo era tutto sereno ( -> siamo ancora in questa costruzione già più interpretante di questo plastico paesaggio, come dirà Alfieri riferendosi a Valencia -> “paesaggio che si pone di fronte a me in maniera elastica”) di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendìi, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ogni figura d'uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano. Passavano zitti accanto al padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non avesser nulla a sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli facevano un inchino di ringraziamento, per l'elemosina che avevan ricevuta, o che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore, d'andar a sentire qualche sciagura” -> qui c’è un gioco da maestro tra questa impossibilità dolce di un paesaggio dispiegato di fronte a se che in fondo non vuol dire nulla, non significa se non la sua dolcezza, se non la sua disponibilità a una forma perfettamente conchiusa e disponibile ma “turbata”.
“La fanciulla scarna” o “la vaccherella magra stecchita” -> sono paesaggio, non sono dei personaggi che parlano, sono una parte inquieta del paesaggio.
C’è qualcosa che rende instabile questo paesaggio, “l’instabilità”.
Manzoni, come tutti i grandi scrittori, ci da l’impressione che la letteratura sia un fatto di precisione, è difficile essere più precisi nell’aggettivazione, nei sostantivi, nella sintassi quanto lo è Manzoni. È quello che manca nella letteratura contemporanea, bisogna ricordarsi che la precisione è la qualità della letteratura.
Es. capitolo 36, la fine delle sciagure… Renzo e Cristoforo si salutano, poi finalmente si lasciano dice Renzo “- Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo? - Lassù, spero - dice Cristoforo. ( -> questo principio speranza non è esattamente congruente con i principi cristiani, avrebbe dovuto dire lassù, maggior ragione essendo un uomo di chiesa). E con queste parole, si staccò da Renzo; il quale, stato lì a guardarlo fin che non l'ebbe perso di vista, prese in fretta verso la porta, dando a destra e a sinistra l'ultime occhiate di compassione a quel luogo di dolori. C'era un movimento straordinario, un correr di monatti, un trasportar di roba, un accomodar le tende delle baracche, uno strascicarsi di convalescenti a queste e ai portici, per ripararsi dalla burrasca imminente”. Quattro righe in cui questo paesaggio si dispone a una radicale trasformazione storica, spaziale-emotiva, c’è qualcosa che sta finendo e il paesaggio c’è lo dice, come qualcuno che ci sta informando che qualcosa sta drammaticamente cambiando in meglio (perché è finita la peste).
È cmq una mutazione drammatica che nessun uomo ci può dire se non i cieli -> “questo cielo di Lombardia così bello, quant’è bello” -> non è bello, è drammatico, è un cielo romantico, c’è una trasformazione drammatica che volge gli eventi verso un fine lieto.
Vediamo che Manzoni utilizza questa concezione già fortemente alfieriana di uno spazio che non si pone più come cornice della scena ma come elemento dialogico, come risposta.
Secondo uno dei teorici del paesaggio più illustri del 900, Joachim Ritter dice “paesaggio è natura che si rivela esteticamente a chi lo osserva e contempla con sentimento: né i campi dinanzi alla città né il torrente come “confine”, “strada mercantile” sono, quanto tali, “paesaggio”.
Lo diventano solo quando l’uomo si rivolge a essi senza uno scopo pratico, intuendoli e godendoli liberamente per essere nella natura in quanto uomo” la natura diventa paesaggio nel momento in cui la guardo –> è così per Alfieri.
Es. secondo i teorici del paesaggio (come Joachim Ritter e Georg Simmel), se io guardo un fiume come può essere il Po, pieno di liquami, io posso guardarlo esteticamente, perché il mio sguardo può trasformare la natura corrotta e quasi ansimante in paesaggio. Operazione di interpretazione
-> in A diventa operazione di poesia che predispone il fatto che la natura abbia in sé questa capacità, questo di più di espressione che è il paesaggio.
Questa cosa ha a che fare con uno dei dati evolutivi più sorprendenti della storia della letteratura novecentesca. Per es. per D’Annunzio e Joice, la natura o si trasforma in “visione” oppure non è niente. Secondo questi primi romantici, la natura può parlare a noi, si può stabilire una relazione tra me e ciò che vedo, ciò che vedo non è semplicemente una “Veduta”, come faceva il Canaletto, -> posizione dello spazio a partire dal mio sguardo; la “Visione” è la prospettiva di chi guarda che viene scompensata dell’oggetto che sto guardando, c’è una perdita di centro; è una cosa che prende un po’ di me in quello che sto vedendo, scompensa discentra rispetto al mio punto di vista, io vengo un po’ inghiottito nella cosa che sto rappresentando, il mio piedistallo di artista è un po’ vacillante.
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