Linguistica

 


 

Linguistica

 

I riassunti, le citazioni e i testi contenuti in questa pagina sono utilizzati per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche e vengono forniti gratuitamente agli utenti.

 

ANTROPOLOGIA DELLA SCRITTURA

 

CAPITOLO 1 Tipi di scrittura

Per quel che riguarda le scritture ideografiche si ha un esempio storico, ossia l’”alfabeto” Maya di Diego De Landa.

I conquistatori spagnoli hanno depredato queste culture, ma bisogna dire che esse erano molto arretrate, avevano conoscenze approfondite in campo architettonico e astronomico. I Maya in particolare avevano molto sviluppato queste conoscenze, avevano anche sviluppato una scrittura, definita scrittura Maya, ma è più corretto dire che questa deriva dalla scrittura degli Olmechi, popolo precedente. All’arrivo degli spagnoli l’impero più potente era quello degli Aztechi, avevano una lingua differente dai Maya che ormai erano diventati una popolazione secondaria occupando la penisola dello Yucatan conservando molte nozioni della civiltà da cui discendevano pur essendo sottomessi agli Aztechi, avevano conservato dei codici, fogli piegati a fisarmonica, che erano tutti scritti con la loro tipica scrittura ideografica. Gli spagnoli pensano che siano a livello morale ed etico molto arretrati visto che praticavano ancora sacrifici umani di massa. Per questo De Landa pensò che essi praticavano culti demoniaci e che la loro scrittura fosse un codice dato loro dal diavolo, quindi ordinò di ammucchiare e bruciare questi codici. In un secondo momento, dopo aver sottoposto ad un esame più approfondito questa civiltà si dovette ricredere, fece riunire i superstiti della civiltà e fece loro riscrivere questo alfabeto. La scrittura Maya era composta da centinaia di segni diversi e non aveva un alfabeto, De Landa non fece altro che interrogare uno dei vecchi saggi del popolo Maya domandando di scrivere l’alfabeto Maya. La scrittura Maya non era un alfabeto, lui ha chiesto di scrivere “l’alfabeto” perché era l’unica forma i scrittura che conosceva, non considerava ancora la scrittura ideografica.
Ancora oggi ci sono studiosi convinti che in scritture come il cinese, ogni segno rappresenta una parola, il fatto che De Landa chiese di vedere per iscritto l’alfabeto, fa capire che esiste un abisso tra il sistema di scrittura ideografica e alfabetica. Il discendente Maya non ha fatto altro che trascrivere dei segni il cui suono somigliava ai suoni suggeriti da De Landa. Oggi si è scoperto che i segni trascritti sono corretti. Oltre a questi segni la scrittura Maya includeva però altre centinaia di segni.
Una prima differenza tra scrittura ideografica e scrittura sillabica è il numero di segni, la prima usano centinaia di segni, la seconda un centinaio circa. La scrittura ideografica è quella scrittura in cui gli ideogrammi sono una parte fondamentale del repertorio grafematico, l’ideogramma è l’elemento essenziale del funzionamento della scrittura.

Il geroglifico è stato decifrato ad inizio 800 grazie alla stele di Rosetta. Nel 1600 un Attanasius Kircher riuscì, secondo lui, a decifrare i geroglifici. I suoi lavori però sono errati. Il suo ragionamento era che il geroglifico doveva essere una scrittura ideografica, ma non sapeva cosa significasse, ritenne che ogni segno rappresentasse una parola, questo ha compromesso il suo studio. Questo errore è stato commesso per due motivi, non aveva coscienza di come funzionasse la scrittura ideografica e, secondo, perché aveva una fonte precedente a lui che lo trasse in inganno.

 

Il remo spesso veniva usato come ideogramma per indicare “parola”, la canna di papiro in fiore è la j, l’ascia indica la parola dio, ma spesso questa non doveva essere letta, serviva solo per capire il significato dei segni precedenti, è un determinativo. In questo caso per capire che, ad esempio, un occhio, indicava Osiride.
Kircher faceva riferimento a Orapollo.
Alle soglie del Medioevo, nessuno sapeva più scrivere in geroglifico, uno degli ultimi conservatori fu Orapollo che con antri seguaci si ritirò in una delle ultime cataratte, conservando scrittura e culti.
In “Geroglifica” scrisse tutte le nozioni di cui era a conoscenza, non conosceva più le regole di associazione degli elementi, conosceva solo i significati di alcuni elementi, non era più in grado di dire il perché e il modo in cui si usavano all’interno dei testi il geroglifico. Conosce solo gli ideogrammi, non conosce i fonogrammi, descrive quindi solo i segni ideografici. Questo testo arrivato a Kircher, ha influenzato pesantemente la sua linea di pensiero, quindi era convinto che tutti i segni erano segni parola proprio perché nel suo testo, Orapollo, riportava solo segni parola.
Alcuni segni venivano utilizzati per indicare suoni o parole per omofonia, ad esempio Oca per indicare figlio, Orapollo aggiungeva che questo animale era quello che più ama i figli che in caso di pericolo si offre per salvare i figli, cerca quindi di trovare una connessione logica, tralasciando il semplice motivo dell’omofonia. Semplice, ma esatto. Orapollo non sa inoltre che i segni cambiano il loro significato a seconda del contesto, per esempio Osiride viene indicato da un occhio, ma lo stesso occhio può indicare, se accompagnato da un trattino, semplicemente un occhio, a seconda del contesto.

 

Un caso di decifrazione celebre è stato quello della stele di Rosetta scoperta nel 1799. Champollion consegna la sua lettera relativa alla decifrazione è il 1822, la decifrazione sarà completata l’anno dopo, 24 anni dopo la scoperta della stele. La stele è un testo diviso in 3 sezioni: in quella in alto è riportato un testo in geroglifico egiziano, risalente all’epoca dei tolomei; la parte più in basso è scritta in greco; al centro si ha la scrittura demotica. Questa scrittura è un’evoluzione del geroglifico, successivo allo ieratico, una semplificazione dei tratti del geroglifico. Il demotico è uno sviluppo, quindi, di tipo stilistico, per praticità che aumenta a discapito dell’iconismo.
Nella stele i testi sono sicuramente uno traduzione dell’altro, un documento triscritto, ma bilingue perché le prime due sono le stesse, solo una evoluzione dell’altra. Una parte superiore della stele è andata persa, Champollion è riuscito a ricostruire quanto era scritto grazie al demotico. Nonostante questo non si era riusciti a superare le convinzioni erroneamente date dagli studi di Kircher e Orapollo. Per questo in tutti gli studi c’era la convinzione che ad ogni segno corrispondeva una parola, questo fu la causa della del lungo periodo tra la scoperta della stele di Rosetta e la sua decifrazione.
Nella stele furono spesso usati i nomi di Cleopatra e Tolomeo, sulla base dell’unica scrittura ideografica presente all’epoca, il cinese, e dei cartigli, in cui erano riportati questi nomi, si scoprì che questa scrittura era una scrittura ideografica-fonetica. In più si scoprì che questa scrittura non era di tipo recente, come alcuni pensavano, ma si è sempre avvalsa di simboli fonetici, fino dall’epoca di Tutmose e Ramesse.

 

Tutte le scritture ideografiche hanno i determinativi, anch’essi segni parola, che servono per superare delle ambiguità e capire il significato corretto, è un logogrammi utilizzato per precisare i fonogrammi che precedono, per la polinfuzionalità dei segni delle scritture ideografiche. In base a questa regola, un segno può essere ideogramma, fonogramma e determinativo a seconda dei casi.

scritture fonetiche: sono la prevalenza, tranne nel caso del cinese e del giapponese che sono ideografiche. Si hanno al loro interno delle sottodistinzioni: scritture fonetiche sillabiche e scritture fonetiche alfabetiche. All’interno delle scritture alfabetiche si ha la distinzione tra scritture alfabetiche consonantiche e le scritture alfabetiche in senso proprio.

Scritturaà sistemi che sono subordinati a una lingua, che contengono cioè segni riconducibili alla fonetica della lingua codificata.

Pittogrammaà disegni complessi che fissano il contenuto del messaggio senza riferirsi alla sua forma linguistica, a un enunciato parlato. Si può solo commentare o parafrasare ma non leggere

CAPITOLO 2 Origine e diffusione della scrittura

Jared Diamond ha messo a fuoco alcuni concetti fondamentali che hanno influito e influiscono direttamente sulla storia della cultura umana:

  • la conoscenza è potereàla scrittura è fonte di potere nelle società moderne, perché rende possibile trasmettere conoscenze meglio, più rapidamente e più lontano
  • le informazioni tecniche,scientifiche e militari possono essere facilmente trasmesse e/o conservate grazie a  un sistema di scrittura efficiente.

La diffusione presenta due diverse modalità:

  • quella dell’adattamento o copia del modello
  • quella della diffusione o copia dell’idea di base

L’invenzione autonoma della scrittura richiede la presenza di determinati prerequisiti che determinano l’utilità o meno della scrittura per quella società e la possibilità della società medesima di mantenere un gruppo di scribi:

L’invenzione autonoma della scrittura è certamente:

  • dei Sumeri prima del 3000 a.C
  • degli indiani del Mesoamerica prima del 600 a.C.

a questi si possono aggiungere:

  • gli Egizi attorno al 3000 a.C.
  • i Cinesi prima del 1300 a.C.

 SCRITTURA SUMERICA
Le più antiche tavolette sono registrazioni contabili di consegne o assegnazioni di bestiame, generi alimentari o tessuti.
Il tipo di scrittura utilizzato viene detto protocuneiforme, viene utilizzato per le primarie esigenze di supporto mnemonico di carattere annotativi, vi è dunque uno sviluppo di un sistema numerico scritto, rilevabile attraverso un elevato impiego di logogrammi usati per indicare il tipo di merce.

I ritrovamenti si possono dividere in 2 categorie:

  • pittografia per oggettià il messaggio inviato dagli sciiti a Dario e riferito da Erodono ( consistente di “un uccello, un topo, un rana e 5 frecce”)
  • scrittura per oggettià di cui fanno parte le bullae numeriche (tavolette) e i quipus degli inca ( cordicelle annodate, servivano per la contabilità e ogni colore aveva un significato e usavano il sistema decimale)

Il passaggio dalla fase protoscritturale alla scrittura vera e propria si ha quando si applica per la prima volta l’idea di impiegare il segno raffigurante schematicamente un determinato oggetto per rappresentare il suono della parola numerica riferito a tale oggetto ( ES à utilizzata con il significato di vita perché entrambe nella pronuncia numerica hanno un suono equivalente il TI).

I segni della scrittura numerica arcaica sono chiamati pittogrammi perché sono veri e propri disegni che riproducono oggetti o esseri ai quali si riferiscono, tuttavia nella maggior parte dei casi l’oggetto raffigurato è irriconoscibile ( triangolo pubico = donna, pene = fecondare, stella =Dio, un cerchio tagiato dalla croce =pecora).

Il passaggio dalla scrittura iconica protocuneiforme alla scrittura cuneiforme fu determinato da esigenze di semplificazione del tracciato per un motivo pratico che fu la sostituzione dell’attrezzo impiegato per scrivere sull’argilla.
Nella scrittura cuneiforme numerica è ben sviluppata la terza categoria di segni tipica delle scritture ideografiche i determinativi, cioè dei logogrammi che servivano ad indicare la categoria di appartenenza di certi altri logogrammi o fonogrammi. I determinativi venivano preposti ai logogrammi o fonogrammi, per eliminare eventuali ambiguità e facilitare la comprensione e la lettura (id=fiumeà id reno). Esistevano 4 determinativi che venivano messi posposti ai logorammi o fonogrammi ( hu=uccello; ki=terra, paese; ha=pesce;sar=legume).
Uno stesso segno della scrittura cuneiforme poteva essere polifunzionale ( a seconda dei contesti poteva servire come: logogramma, fonogramma o determinativo) e/o polifonico (poteva essere letto in diversi modi)

SCRITTURA ACCADICA

Gli Accadi adottarono la scrittura cuneiforme sumerica, svilupparono maggiormente il fonetismo, perché la lingua accadica doveva essere codificata per iscritto.
L’accadico era una lingua di tipo flessivo, che dal punto di vista tipologico differiva molto dal sumerico. La scrittura cuneiforme venne impiegata per lingue molto diverse fra lor:

  • l’accadico (si divide in 2 rami, assiro e babilonese)
  • ittito
  • neoelamitico
  • urrico

La scrittura accadica manteneva un’ampia percentuale di logogrammi (nella lingua sumerica le parole erano formate da monosillabi), che portarono alla formazione di un sistema di fonogrammi sillabici, cioè di sillabogrammi.

Nel secondo millennio nella tipologia semitica orientale continuano le fasi successive della lingua accadica, sul piano linguistico si ha una distinzione tra assiro e babilonese, estremamente simili tra loro, lingue codificate da scrittura e comprensibili reciprocamente. A occidente si ha un panorama variegato, nel secondo millennio esistono due tipi linguistici, uno conservativo, il cananico, e uno più innovativo, l’amorreo. Per oriente si intende l’odierno Iraq, mentre per occidente si intende la regione tra la Turchia orientale, dalla Siria settentrionale all’Arabia Saudita.
Portatori di innovazioni nelle lingue semitiche sono i fenomeni di sedentarizzazione di popolazioni seminomadi, il passaggio dal nomadismo all’urbanizzazione passa per il seminomadismo che consente la formazione di codici linguistici. Quando i seminomadi assumono l’egemonie si ha un cambio linguistico con una varietà linguistica innovativa. Il cananaico è la lingua delle città, l’amorreo è quello dei seminomadi. La più grande attestazione è l’archivio di Ugarit che nell’ultima età del bronzo, prima delle invasioni dei popoli del mare, ha avuto egemonia sul mediterraneo oientale

SCRITTURA EGIZIANA

La scrittura egiziana compare verso il 3000 a.C. poco dopo quella sumerica e dato che sono stati provati dei contatti diretti tra le due civiltà non è escluso che l’invenzione dei geroglifici sia frutto di una copia di idea, infatti fin dall’inizio la scrittura egiziana appare come un sistema abbastanza sviluppato, nonostante l’uso ancora primitivo e limitato di fonogrammi, avendo problemi nello scrivere nomi propri di persona; tuttavia in base alla forma dei segni si può sostenere che il sistema di scrittura egiziana sia ex novo.
Il geroglifico appartiene ad un gruppo di lingue, le camitiche, strettamente imparentate con le semitiche, da qui il termine camito-semitiche. Queste lingue hanno una grammatica particolare, invece di essere basata sulla flessione delle parole e sulla derivazione tramite suffissi, non hanno una parte fissa che comprende consonanti e vocali, ma una parte fissa contenente solo consonati, ad esempio lo scheletro consonantico KTB arabo che significa scrivere: da esso deriva Kitabu (libro), Katibu (scriba), Kataba (egli scrisse),… basta cambiare le vocali all’interno che il significato cambia, lo scheletro consonate è invariato. Nelle lingue semitiche le vocali sono solo tre, a i u, la ricostruzione è più facile. La grammatica dell’egiziano è simile a quella dell’arabo, non solo nella flessione, ma anche nella derivazione. Questo procedimento di scrittura è definito procedimento ad interfissi, perché le vocali vengono poste all’interno dello scheletro formando parole diverse. Gli egiziani quando inventarono la loro scrittura, trascrissero solo le consonanti, per questo non si sa più con certezza questa lingua. L’unica cosa che si può trascrivere la lingua sono le consonanti, quando una scrittura viene trascritta in alfabeto latino, si parla di traslitterazione, ogni scrittura ha segni di traslitterazione particolare. Per esempio la D trascrive la [dз], g, l’affricata dentale sonora. La convenzione è mettere sempre la vocale “e” per leggere l’egiziano, a parte alcuni casi.
La serie di segni monoconsonantici egiziani (24) con molta probabilità costituisce un anello nella trafila degli alfabeti consonantici semitici, per esempio l’alfabeto ungaritico spiega come la continuazione di un antico alfabeto lineare viene modificato per adattarlo alla scrittura cuneiforme. La differenza tra alfabeto ungaritico e alfabeto fenicio è di natura formale:

  • i segni fenici hanno uno stile lineare
  • i segni di Ungarit hanno uno stile cuneiforme

A Ugarit molto probabilmente nasce l’alfabeto, alcuni segni della scrittura cuneiforme si specializzano a rendere in maniera più o meno univoca i fonemi consonantici. La scrittura alfabetica diventa molto economica anche perché nelle lingue semitiche la struttura fondamentale è consonantica. La scrittura cuneiforme non aveva ancora sperato la consonante.
Il tipo cananaico comprende oltre al fenicio anche l’ebraico biblico che coesiste a occidente con l’aramaico, continuazione in qualche modo dell’amorreo, l’aramaico appare all’inizio del primo millennio, semplifica la scrittura, la privatizza, diventando la lingua ufficiale affianco alla lingua assiro-babilonese prima dell’impero neo-assiro e neo-babilonese di Ciro. In questo momento l’aramaico affianco il nuovo superstrato, diventando la scrittura internazionale per comunicare con le varie parti dell’impero. Nel primo millennio appaiono le prime attestazioni di una nuova lingua semitica, delle città stato del punto di arrivo della rotta delle indie, una lingua molto simile all’arabo, di quelle popolazioni che finiranno in Etiopia, il cui antecedente è la lingua liturgica della chiesa copta d’Etiopia, la lingua GEEZ. Solo nel primo secolo dopo Cristo abbiamo le prime testimonianze dell’arabo.
L’arabo ha continuato ad essere parlato, suddiviso in varietà regionali, per consentire una comunicazione pan-araba i mezzi di comunicazione hanno messo a punto una lingua comune che si rifà alla lingua del corano, utilizza quanto di comune alle diverse lingue arabe, ma di fatto è una lingua nuova.

I documenti più antichi svolgono una funzione propagandistica per esempio la paletta di Narmer sembra spiegare la celebrazione dell’avvenuta unificazione dei due paesi sotto lo stesso re Narmer.

La paletta di Narmer è uno dei documenti più antichi in geroglifico egiziano, 60 cm di grandezza. Essa riporta simboli particolari: ha un’importanza storica fondamentale sia per la storia in senso stretto che per la storia della scrittura. Riporta illustrate delle scene particolari: momenti di dominio, risale alla prima dinastia, al 3100 ca a.C.
Sul lato c’è un personaggio stante, reca dei segni particolari quale la coda, la corona, ha una mazza sollevata e una mano poggiata sulla testa di un soggetto inginocchiato. La mazza serve da martello rispetto al piolo sulla testa del personaggio inginocchiato. Narmer è il personaggio in piedi, è un re, il primo re dell’alto e del basso Egitto: prima della prima dinastia l’Egitto era diviso, alto Egitto (sud) e basso Egitto (nord). Alto perché con montagne, basso perché pianeggiante, la zona del delta.
Manetone era uno storico del 300 a.C., dell’ultima dinastia, la 31°, racconta la storia degli antichi re dell’Egitto, da un elenco di re con la rispettiva durata di regno. Questo suo elenco ha delle corrispondenze con la pergamena custodita al museo egizio di Torino. La divisione in dinastia la introduce Manetone, la divisione in 30 non è però corretta, probabilmente ci sono state famiglie sdoppiata, ma per convenzione viene accettata. All’inizio dell’Egitto le fonti pongono lo stesso re: Menes, primo re che ha unificato i due regni. Questo fatto è avvenuto sicuramente, le fonti lo attestano, ma la tavoletta di Narmer riporta eventi che si riferiscono all’unificazione, il problema è che il nome è un altro, Narmer appunto. I re dell’Egitto avevano però diversi nomi, uno di nascita, uno assunto al momento dell’incoronazione e altri durante il regno. Il nome assunto con l’incoronazione aveva un significato preciso, spesso in riferimento alla divinità da cui credevano di discendere. Il nome Narmer è scritto nel cartiglio sopra il disegno, il serek, che rinchiude uno dei nomi del faraone, scritto con due segni, lo scalpello e il pesce gatto, appunto Nar-mer. questo significa che già nel 1300 a.C. si aveva già la scrittura con fonogrammi, inventati fin dal principio per scrivere i nomi propri.
Il prigioniero inginocchiato ha il nome, non all’interno di un serek, Wash (arpione+vasca), più indietro è rappresentato un personaggio con i sandali del re e con una brocca d’acqua. Questo particolare e gli attributi del re dimostrano che già in epoche remote si aveva un protocollo per venerare il re. Il personaggio con i sandali e la brocca riporta anch’egli il nome. Al di sotto sono rappresentati altri due sconfitti con il geroglifico indicante o il loro nome o il nome della città che governavano. Altro punto importante è il fatto che non è presente un testo che descriva il fatto rappresentato, ma è stata usata una pittografia, una pre-scrittura, molto simbolica, che rappresenta un falco poggiato su dei giunchi che emergono da un basamento, che rappresenta il delta, emerge, inoltre, una testa barbuta arpionata dal falco con un uncino: il personaggio rappresentato dal falco ha sottomesso il nemico che si nascondeva nella paludi del nord, quindi la conquista del sud ai danni del nord. Il segno del giunco, in geroglifici successivi indica il numero mille, in questo caso, ipoteticamente, indica il numero di prigionieri fatti, 6000 (6 giunchi). Nei geroglifici successivi il falco serve per rappresentare il faraone, incarnazione di Orus, quindi si può ipotizzare che questo falco rappresenta il faraone del sud. La certezza che sia il sud a conquistare il nord, oltre che dalla storia, è data dalla corona indossata dal personaggio stante che appartiene ai re del sud.
La seconda faccia è divisa in tre sottili, quello centrale, pittografico, rappresenta due leoni con un collo prolungato che formano un cerchio, un oggetto usato per pestare qualche sostanza sacra. Il disegno rappresenta due leoni che si guardano affrontandosi a simboleggiare lo scontro nord-sud. In basso è presente un’altra pittografia che rappresenta un toro, titolo del re che simboleggia la virilità e la forza, che a cornate abbatte le mura di una città. Sotto i piedi del toro viene calpestato il nemico. Questa pittografia ribadisce la lotta.
In alto c’è una scena chiara che rappresenta il re con la corona rossa dell’alto Egitto, il re è lo stesso, il serek lo dimostra, dietro è ancora presente il funzionario con i sandali e la brocca. Davanti è raffigurato un altro personaggio con un nome, ma non il nome personale, ma quello del titolo, ossia visir. Il re è il più alto, il visir ha una certa altezza, e il soggetto alle spalle del re anche. Più avanti rispetto al visir, sono presenti dei personaggi con degli stendardi che rappresentano le province principali del regno, più piccoli del re, del visir e del funzionario. In alto sono presenti segni non ancora spiegati. Nell’ultima parte il re passa in rassegna i principi sconfitti decapitati, con la testa tra i piedi, il re è ancora raffigurato con il nome e il copricapo del nord. La raffigurazione ha elementi di scrittura, per scrivere i nomi, ed è descritta con pittografie altamente simboliche. Nelle epoche successive il faraone porterà entrambe le corone, del nord e del sud, innestante una dentro l’altra. Il titolo del faraone sarà anche signore delle tue terre a sottolineare la divisione storica. Altro titolo importante era “colui che appartiene al giunco e all’ape”, simboli totem del nord e del sud. Questa tavoletta mostra il fatto che la scrittura in Egitto era nata per motivi propagandistici, non economici come invece accadde a Creta.

La mazza di Narmer, in avorio, presenta un disegno tutto attorno, con il re con la corona del regno conquistato seduto sotto un’edicola, protetto della divinità avvoltoio. Dietro di lui c’è il visir e il “maggiordomo”, al di sotto i due portatori dei ventagli. Ciò che interessa è il fatto che sotto il re, che ha davanti a se tre capi con le braccia legate dietro la schiena, sono presenti una serie di simboli che rappresentano l’elenco del bottino fatto. Il sistema di numerazione egiziano è molto elementare, un sistema addizionale, il nostro è posizionale. La scomodità del sistema è il fatto che bisogna ripetere i simboli per giungere al numero desiderato. Avevano però simboli per scrivere cifre molto alte, ad esempio l’indice per 10.000, il giunco fiorito per 1.000. Sotto il re c’è un elenco di oggetti con la numerazione: sono stati depredati 400.000 bovini, 1.420.000 caprini, 120.000 prigionieri, la mazza risale all’epoca di Narmer, è una sorta di lista contabile. Questo dimostra che la scrittura può essere nata sia per propaganda, ma anche per contabilità-economia, ma mancano le prove per stabilire per quale priorità sia stata inventata.

CAPITOLO 3 Scrittura ideografica

Scrittura ideografica= scrittura connotata dall’impiego di logogrammi, ossia di segni che non rappresentano suoni ma intere parole.

Nelle scritture numeriche ed egiziane oltre a logogrammi e fonogrammi troviamo i determinativi, che hanno un valore visivo e non vanno letti, inoltre a seconda del tipo di scrittura vanno posti prima o dopo la parola, infatti nella scrittura sumerica vengono posti prima, mentre ella scrittura egiziana vengono messi dopo.

CAPITOLO 4 Scrittura fonetica

Con scrittura fonetica designamo quei sistemi in cui la trascrizione di un enunciato avviene esclusivamente tramite fonogrammi e i logogrammi anno un impiego marginale e limitato a contesti particolari.

Le scritture fonetiche si distinguono in 2 sottogruppi fondamentali:

  • scritture alfabetiche  che si distinguono in: scritture alfabetiche in senso stretto e scritture alfabetiche consonantiche, che sono dirette discendenti dei più antichi alfabeti semitici.
  • scritture sillabiche che sono il risultato dell’estensione massima del principio del fonetismo, prima della scoperta delle consonanti come entità fonetiche autonome

CAPITOLO 6 Da leggere e da capire

La lingua funziona come uno strumento per la formazione e la trasmissione di messaggi, vi sono varie operazioni:

  • operazioni di codifica (operazione di assegnazione di un espressione ad un contenuto) da parte dell’emittente
  • operazione di decodifica (consiste nell’identificare o ricavare il contenuto dall’espressione) da parte del ricevente

la decodifica consiste nell’interpretazione dei messaggi; l’interpretazione di un testo scritto comporta una duplice decodifica che risulta evidente nel caso si debba affrontare dei testi redatti in una scrittura e/o in una lingua sconosciuta.
L’atto interpretativo di un testo interpretativo è dunque possibile e non presenta alcuna difficoltà quando l’interprete conosce sia il codice scrittura sia il codice lingua; quando queste conoscenze vengono a mancare sorgono grosse difficoltà che si possono classificare su tre livelli principali:

  • scrittura a nota e lingua ignota, concerne il caso in cui la documentazione sia scritta in un codice conosciuto ma la lingua soggiacente, estinta, sia poco o per niente comprensibile, dunque si “legge”ma non si capisce.
  • Scrittura ignota e lingua nota comporta la presenza di un codice scrittorio ignoto perché “dimenticato” mentre si conosce come dato certo o altissimamente probabile qual è la lingua soggiacente. Questa situazione non si verifica molto frequentemente, perché conoscendo il codice lingua soggiacente con un adeguato studio del materiale è sempre possibile giungere alla decifrazione. Nel caso della scrittura Maya questa condizione (scrittura ignota e lingua nota) può rappresentare anche il punto di partenza, la lentezza del processo di decifrazione è dovuta alla complessità del sistema, che comporta anche l’impiego di molte varianti di uno stesso segno nonché di elaborate composizioni e legature.
  • Scrittura e lingua ignote (disco di Festo).

Uno dei documenti più enigmatici è il disco di Festo, importante per il tipo di riflessioni che porta con se.Il disco di Festo è un disco di argilla, trovato nel 1908 a Creta, cotto intenzionalmente, non come per le tavolette la cui cottura è stata a causa dell’incendio che bruciò il palazzoNel 1908 a Festo scava una squadra di archeologi italiana, su concessione greco-turca, per questo è stato usato un maggiore criterio rispetto a Schlieman e Evans, ma una minore ricostruzione.Il disco è stato ritrovato in uno strato del 1700 a.C., ma non si è certi del periodo della sua realizzazione. Il disco è come un antecedente dell’invenzione della stampa di Guthemberg nel 1470, è stato trovato insieme ad una tavoletta di argilla che riporta generi alimentari e le rispettive quantità. Il palazzo di Festo è stato bruciato due volte, nel 1700 a causa di un terremoto e successivamente per le invasioni dei greci. Sono stati fatti diversi tentativi di decifrazione, da una storia religiosa ad un documento burocratico, tutte versioni diverse, ma in realtà possono essere radunati in gruppi: un primo gruppo traduce il testo come se fosse una scrittura ideografica in cui ad ogni segno corrisponde una parola, oggi si sa che questo gruppo ha dato una versione errata visto che scritture di questo tipo non esistono e mai sono esistite. Oggi sappiamo che l’ordine di lettura è dall’esterno all’interno in maniera circolare, ancora oggi c’è però che pensa che si debba partire dell’interno verso l’esterno. Ad appoggiare l’ipotesi che questa è una scrittura di tipo fonetico e non sillabario, è il fatto che il numero dei segni è troppo esiguo perché ciascuno abbia un significato diverso.Un altro gruppo vedeva questo disco come un sistema fonetico, un codice scrittorio, tra cui Gordon: lui ha paragonato alcuni segni del disco di Festo con dei segni della lineare A per il contesto in cui era stato trovato il disco. Oltre ai segni scritti, ci sono altri tre segni importanti: uno che separa i gruppi, identificabili come parole, altro segno importante è il primo che indica l’inizio del testo, ultimo è la linea, scritta a mano, posta alla fine dei vari gruppi con vari significati. Altre osservazioni sono il fatto che vari gruppi presentano delle somiglianze strane, per esempio c’è un gruppo che ricorre in varie parole, potrebbe quindi essere una base lessicale.

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/linguistica/ANTROPOLOGIA%20DELLA%20SCRITTURA%20fabio.doc

 

FONDAMENTI DI TIPOLOGIA LINGUISTICA – Nicola Grandi

 

  • La tipologia linguistica: nozioni introduttive
    • Ambito di studio, metodo di indagine e obiettivi
      • L’oggetto della tipologia linguistica e la definizione di “tipo”

 

La tipologia linguistica si occupa della variazione interlinguistica classificando le lingue storico/naturali in base ad affinità strutturali sistematiche.
Le lingue vengono ripartite in gruppi ® tipi linguistici (modelli di descrizione delle lingue)
La scelta delle proprietà su cui si fondano i tipi deve consentire di operare previsioni attendibili sulla struttura delle lingue indagate.
Altro parametro è relativo all’ordine dei costituenti delle strutture sintattiche (verbo, soggetto etc)

      • Indagine tipologica: metodi e obiettivi

 

Primo passo è quello di individuare i parametri pertinenti del sistema lingua (potenzialità predittiva), e stabilire quanti e quali tipi possano essere ricondotte a lingue storico/naturali.
Secondo passo cogliere la ratio profonda del fenomeno e abbandonare il livello descrittivo e spostarsi sul livello predicativo e predittivo. La ratio profonda deve tenere presente la funzione cui la lingua deve assolvere, cioè consentire alle comunità di comunicare

      • La costruzione del campione

 

È impensabile procedere alla comparazione di tutte le lingue del mondo, quindi per tracciare un quadro esauriente è necessario selezionare un campione altamente rappresentativo che dovrebbe essere immune da:

  • Distorsioni genetiche, rappresentare in egual misura le famiglie linguistiche
  • Distorsioni areali, le lingue possono sviluppare tratti comuni in virtù dei contatti tra i parlanti
  • Distorsioni tipologiche, non deve essere sbilanciato a favore di alcune tipologie
  • Distorsioni legate alla consistenza numerica delle comunità parlanti. Oggi sono parlate + 6000 lingue e circa 100 sono parlata da + dell’80% della popolazione. Il campione deve riprodurre al suo interno qs rapporti numerici
    • Tipologia e sintassi

 

Il lessico è escluso dal dominio della tipologia perché è il componete della lingua + vulnerabile
Il livello fonetico/fonologico è + impermeabile alle influenze provenienti dall’esterno
Morfologia e sintassi occupano una posizione intermedia perché da un lato hanno inclinazioni assolutamente specifiche e dall’altro rivelano gli effetti di tendenze linguistiche generali; in qs senso sono da sempre considerate un ottimo banco di prova per la tipologia linguistica.

      • L’ordine dei costituenti

 

un parametro è rappresentato dall’ordine in cui gli elementi della frase vengono disposti.

POSIZIONE DEL SOGGETTO

La frase può essere segmentata in tre costituenti:

  • Soggetto
  • Verbo
  • Oggetto 

La loro disposizione all’interno della frase è, per la maggioranza delle lingue del mondo, è in prevalenza di due tipi: SOV per il 45% e SVO per il 42% e solo il 10%  VSO. Per la totalità coprono il 97% della variazione interlinguistica su scala mondiale. La ragione di qs uniformità (S prima di O) è che di norma il soggetto dà via all’azione espressa dal verbo e quindi gli assegna una preminenza rispetto all’oggetto. In fase di comunicazione qs chiarisce di chi o di che cosa si intende parlare.

ORDINE NATURALE E ORDINE MARCATO

L’ungherese dà ampia libertà si costituenti che possono mutare posizione senza pregiudicare la grammaticalità della frase, e ciò che indica tale qs discrepanza è la marcatura dei costituenti.
Dati 2 costrutti uno si definisce marcato rispetto all’altro se in esso compare un elemento in + detto MARCA, elemento assente nell’altro costrutto (es p e b ®b è marcata perché si contraddistingue dal tratto sonoro di p). La struttura sintattica naturale è quella in cui si intende trasmettere esclusivamente l’info che deriva dalla somma dei significati parziali degli stessi costituenti. È la struttura prevalente.

TESTA E MODIFICATORI

Per ciò che riguarda la posizione del soggetto si è visto che la quasi totalità delle lingue adotta la medesima strategia (il 97% antepone il S all’O), quindi un’analisi basata solo si qs parametro sarebbe destinata all’insuccesso……….. poniamo invece attenzione agli altri costituenti: V e O.
I principali parametri in correlazione con la loro posizione sono la presenza di preposizioni e posposizioni
Testa a sinistra

  • VO ® preposizioni, nome genitivo, nome aggettivo etc ®  tailandese

Sintagma verbale ®  VO, il verbo precede il suo complemento ® è alla testa
Sintagma nominale ®  nome genitivo ® testa  - precede i propri complementi
Sintagma adiposizionale ®  proposizioni ® alla SX dei complementi
Testa a destra

  • OV ® posposizioni, genitivo nome, aggettivo nome etc ®  turco

Sintagma verbale ®  OV, la testa segue i modificatori
Sintagma nominale ® genitivo nome
Sintagma adiposizionale ®  posposizioni
La Branching Direction Theory prevede però che i una lingua storico-naturale vi è una tendenza a collocare i costrutti di natura sintattica sempre prima o sempre dopo la testa. Entrambe le ipotesi quindi ricorrono a fattori interni per spiegare correlazioni tipologiche in ambito sintattico, spiegazione che può essere ricondotta alla tendenza all’economia che porta ogni lingua ad avere la maggior efficacia comunicativa riducendo al minimo la dotazione formale.

    • tipologia e morfologia

 

la tipologia morfologica presuppone l’azione di 2 parametri:
-     indice di sintesi ® nr di morfemi individuabili in unaparola

  • indice di fusione ® segmentabilità della parola stessa, difficoltà di individuare i morfemi

la combinazione dei due indici permette di individuare 4 tipi di riferimento

  • tipo isolante

indice di sintesi ha valore minimo, ogni parola tende ad essere morfemica ed esprime un solo significato, quindi esistono solo confini tra parole ® CINESE MANDARINO

  • tipo polisintetico

indice di sintesi ha valore massimo, nr elevato di morfemi, in una sola parola info che richiederebbero una frase ® ESCHIMESE, SIBERIANO

  • tipo agglutinante

indice di fusione con valori minimi, parlola con + morfemi, corrispondenza tra livello di forma e contenuto

  • tipo fusivo

indice di fusione con valori massimi, i confini tra morfemi perdono visibilità, la loro segmentazione ostica e non c’è corrispondenza tra livello di forma e contenuto
le lingue indoeuropee hanno qs tipo di carattere
indice di sintesi ha valori medio-bassi: la possibilità di far convergere + unità semantiche su un singolo morfema consente di ridurre il nr complessivo di morfemi all’interno della parola.

1.3.2. marcatura della dipendenza sulla testa VS sul modificatore

Una seconda classificazione concerne la strategie morfologiche che le lingue adottano per codificare le relazioni di dipendenza. Può essere espressa mediante dispositivi di natura sintattica (ordine costituenti) o con il ricorso ad afissi  (strumenti di natura morfololgica) che riguarda le lingue che marcano la relazione di dipendenza sulla testa. Si possono prevedere 3 tipi di riferimento:

  • marcatura sulla testa ® tipico delle lingue che collocano il V inizio frase dichiarativa
  • marcatura sulla dipendenza
  • sia sulla testa che sulla dipendenza

1.4 tipologia e fonologia

Il TONO è una proprietà che caratterizza i suoni sonori, cioè i suoni che prevedono, nella loro articolazione, la vibrazione delle corde vocali, tanto più elevata è la frequenza con cui vibrano le corde vocali, tanto più alto è il tono del suono prodotto; ha valore distintivo per circa la metà delle lingue parlate oggi, è possibile cioè che due parole, con significato diverso, siano uguali in tutto a eccezione del tono.
Lingue di questo tipo vengono definite lingue a toni o lingue tonali (il cinese mandarino distingue il significato delle parole a seconda del tono)
L’unità a cui deve essere associato il tono e la funzione cui il tono deve assolvere si possono identificare in base a diversi parametri:

  1. la distinzione più frequente è quella tra toni associati a vocali
  2. meno usata quella tra toni associati a sillabe

Alla funzione dei toni, la prima e più importante suddivisione è tra i toni che distinguono morfemi lessicali e quelli che distinguono invece morfemi con valore più specificatamente grammaticale.

1.5 tipologia e lessico

Quando le unità della fonologia paiono assolutamente refrattarie ad assecondare condizionamenti extrasistemici, tanto il lessico appare vulnerabile rispetto a perturbazioni provenienti dall’esterno.
BERLIN E KAY hanno individuato undici colori che sembrano essere riconosciuti ed indicati allo stesso modo dai parlanti di oltre 100 lingue incluse nel campione. Queste undici classi cromatiche paiono disporsi in una gerarchia organizzata in modo rigidamente implicazionale:

  • vertice bianco/nero (se due parole)
  • rosso (se una terza)
  • giallo/verde (se quinta/sesta)
  • blu etc………
  • marrone
  • porpora/rosa- arancio/grigio

è impossibile che una lingua abbia i termini per il blu senza avere il giallo e verde……..

1.6 non esistono tipi puri

Le lingue storico-naturali si caratterizzano come tipologicamente miste.
L’inglese esibisce un ricco campionario di incongruenze e di contraddizioni tipologiche, si configura come una lingua VO. Nel sintagma nominale l’aggettivo precede sempre il nome (the black dog) in aperta contrapposizione con il principio soggiacente al tipo VO.
A quale tipo morfologico appartiene l’inglese?
Viene spesso ascritto al tipo isolante, ogni parola è morfema e invariabile. Il plurale dei nomi e il comparativo degli aggettivi vengono realizzati con strategie di natura agglutinante.
Sono fusive le forme pronominali di terza persona singolare,alternanza vocalica introflessivo.
Quindi è di tipo isolante, ma con una componente agglutinante non trascurabile; una quantità non indifferente di elementi fusivi e qualche forma introflessivi.
Ed è una condizione estrema e sotto molti aspetti eccezionale.

1.7 classificazione tipologica e genetica delle lingue

Quali sono i rapporti tra la classificazione tipologica e la classificazione genetica delle lingue, o più in generale tra la linguistica e la linguistica storico-comparativa?
Vi sono alcuni importanti punti di contatto tra questi due settori della linguistica:

  1. essi ricorrono di norma al medesimo procedimento di analisi quello comparativo, in questo senso il contributo maggiore è quello fornito dalla linguistica storica che ha affinato il metodo rendendolo ormai uno strumento di estrema efficacia.
  2. la tipologia non può prescindere dall’apporto della linguistica storico-comparativa ha una rilevanza teorica maggiore, per sancire l’esistenza di una tendenza tipologica più o meno generale, è necessario escludere che questi tratti siano la conseguenza di una comune filiazione genetica. La tipologia può supportare la classificazione genetica delle lingue e quindi la linguistica storico-comparativa per tre motivi:
    1. la tipologia può suggerire alla linguistica storico-comparativa una sorta di “gerarchia di pertinenza” di tratti linguistici nei processi di legami di parentela.
    2. La tipologia può contribuire ad avvalorare o smentire le ipotesi ricostruttive formulate dalla linguistica storico-comparativa.
    3. La classificazione tipologica può sostenere: la classificazione genetica in aree geolinguistiche particolarmente intricate e l’assenza di un’adeguata documentazione scritta; sono le affinità di natura tipologica a dare l’input alle ipotesi ricostruttive della linguistica storico-comparativa.

1.8 il ruolo della tipologia in una teoria del linguaggio

La tipologia può classificare tanto le lingue storico-naturali quanto singoli elementi delle lingue storico-naturali. Nel primo caso le singole lingue vengono classificate in virtù di proprietà strutturali condivise, nel secondo caso, viene proposta una classificazione tipologica di particolari strategie formali. In entrambi i casi rimane imprescindibile il metodo comparativo, non ha senso realizzare un’indagine tipologica basata su una sola lingua. Ciò non significa che non sia possibile tracciare un ritratto tipologico di una singola lingua.
La tipologia linguistica non può e non vuole essere una teoria generale del linguaggio, ma una tipologia del linguaggio ambisce a capire come funzioni il linguaggio inteso come capacità cognitiva e come esso si realizzi nelle lingue storico-naturali.
La tipologia si propone di individuare schemi e strutture ricorrenti a livello interlinguistico, esplicitando i principi che ne giustifichino le correlazioni.
Per trovare la spiegazione di fatti linguistici, la tipologia svolge uno sguardo sovente all’esterno del singolo sistema , tendono a privilegiare condizionamenti intrasistemici.
In chiave tipologica è naturale attendersi che ogni segmento del sistema lingua obbedisca a un proprio principio organizzativo.

Per riassumere:

  • La tipologia linguistica si occupa essenzialmente della variazione interlinguistica sul piano sincronico, con l’obiettivo primario di rendere espliciti i limiti di quest’ultima.
  • Lo strumento d’indagine privilegiato della tipologia linguistica è rappresentato dai tipi linguistici, insiemi di proprietà strutturali reciprocamente indipendenti, ma correlate in virtù dell’azione di un unico principio organizzativo soggiacente.
  • I tipo sono modelli di descrizione linguistica, cioè entità astratte, non oggetti linguistici esistenti nella concreta realtà linguistica. Le lingue storico-naturali, fatte salve pochissime eccezioni, tendono dunque a essere tipologicamente miste.
  • Gli universali linguistici

 

Gli UNIVERSALI LINGUISTICI indicano proprietà o correlazioni di proprietà che si suppone contraddistinguano ogni lingua storico-naturale del presente come del passato.
La tipologia e la ricerca sugli universali paiono perseguire obiettivi diametralmente opposti, la prima si occupa della variazione interlinguistica; la seconda studia ciò che è comune a tutte le lingue.
I punti di contatto tra le due discipline sono molteplici, entrambe si collocano a livello sincronico; hanno un carattere descrittivo e non normativo né esplicativo; fotografano uno stato di cose : osservano che una specifica proprietà occorre in tutte le lingue storico-naturali; né gli universali né le correlazioni tipologiche hanno in sé la ragione della propria esistenza.
La tipologia e la ricerca sugli universali ricorrono ai medesimi fattori, interni o esterni, per spiegare le generalizzazioni proposte. Gli universali individuano ciò che è tipologicamente irrilevante, delimitano e circoscrivono il campo di indagine della tipologia stessa.
Non tutti gli universali hanno la medesima rilevanza per la tipologia, distinguere tra universali assoluti e implicazionali, sono questi ultimi a interagire più fruttuosamente con la tipologia.

2.1 Gli universali assoluti

Gli universali assoluti sanciscono la presenza (o l’assenza) di una particolare proprietà  in ogni lingua storico-naturale, senza fare riferimento ad alcun altro parametro e senza stabilire correlazioni fra tratti differenti, l’esempio cui tutte le lingue  hanno vocali orali.
Gli universali assoluti non lasciano alcuno spazio alla variabilità, la rilevanza di questi universali sta nel fatto che stabilendo dei requisiti imprescindibili per ogni lingua forniscono informazioni sulla natura profonda del linguaggio umano.
Nell’interazione comunicativa l’uomo impiega principalmente la memoria a breve termine, che rende problematico il recupero di informazioni legate a strutture sintattiche molto complesse.

2.2 Gli universali implicazionali

Gli  universali implicazionali pongono in relazione due (o più) proprietà , vincolando la presenza di una di esse alla presenza dell’altra.
Ponendo in relazione due proprietà distinte e teoricamente indipendenti, un universale implicazionale lascia alle lingue un buon margine di reciproca differenziazione e offre parametri affidabili e attendibili per lo studio della variabilità interlinguistica.
Gli universali imlicazionali rappresentano un valido supporto per la tipologia linguistica: essi stabiliscono i limiti estremi della variazione interlinguistica, indicando i terreni sui quali le lingue non possono avventurarsi, la tipologia proietta queste generalizzazioni sulla realtà concreta.

2.3 Come spiegare gli universali?

A livello intuitivo gli universali indicano una serie di requisiti che ogni lingua storico-naturale deve soddisfare, e paiono proiettare sulla concreta realtà linguistica proprietà essenziali del linguaggio.
Gli universali in base alle loro specifiche caratteristiche  e al livello della lingua cui fanno riferimento, possano obbedire a fattori di natura diversa.
Se il fine ultimo di ogni lingua storico-naturale è la comunicazione, gli universali possono essere concepiti come strategie comunicative così efficaci da essere condivise da tutte le lingue storico-naturali.

2.3.1 Economia, iconicità e motivazione comunicativa

Esistono vari principi in grado di giustificare la presenza o l’assenza di particolari strutture linguistiche:

  1. l’economia può essere definita come la tendenza a snellire il più possibile l’apparato formale di un sistema linguistico, pur preservando intatte le sue potenzialità comunicative. L’economia si manifesta a vari livelli: nel contenimento entro limiti compatibili per la memoria umana dell’inventario delle unità di base della lingua e nella limitazione di strutture ridondanti.
  2. con iconicità si intende la tendenza a riprodurre le sequenze di base a cui viene organizzata l’informazione da trasmettere. Il piano dell’espressione mira a fotografare con una certa fedeltà la scansione dell’informazione che avviene a livello mentale.
  3. la motivazione comunicativa , se la lingua ha come traguardo essenziale la comunicazione, è logico attenersi che essa faccia convergere tutte le proprie risorse su questo obiettivo. E proprio questa motivazione comunicativa offre una spiegazione dell’universale secondo cui tutte le lingue hanno categorie pronominali implicanti, almeno tre persone (prima,seconda e terza persona)e due numeri (singolare e plurale).

2.3.2 L’universale 38: la marcatura del soggetto nei sistemi di caso

L’universale in questione afferma che in presenza di un sistema di casi, l’unico caso che può essere espresso mediante un affisso zero è quello che include tra le sue funzioni quella di soggetto del verbo intransitivo.
Il sistema nominativo accusativo è quello con cui un parlante occidentale ha la maggior dimestichezza.

2.4 Universali e tendenze

Anni ’60 JOSEPH H. GREENBERG l’allargamento del campione di lingue ha fatto affiorare una copiosa messe di eccezioni e di controesempi a molte generalizzazioni ipotizzate.
Tutto ciò ha obbligato a rivedere i cardini della disciplina e rimettere in discussione lo statuto stesso degli universali.
La distinzione tra universali e tendenze universali: i primi indicano quelle proprietà, correlazioni o strutture linguistiche che, senza alcuna eccezione, ricorrono in ogni lingua sorico-naturale. Le seconde designano le proprietà, le correlazioni o le strutture linguistiche che sono attestate in una porzione statisticamente rilevante delle lingue storico-naturali.
Il valore delle tendenze, intese come descrizioni di situazioni statificamente significative, sta nel fatto che esse dimostrano inequivocabilmente che la distribuzione dei tratti linguistici e delle correlazioni tra essi non è casuale, ma obbedisce a una ratio rigorosa.

Per riassumere

  • proprietà condivise dalla totalità delle lingue del mondo ( gli universali linguistici) o almeno da una porzione statisticamente significativa di esse (le tendenze universali). Rispetto alla tipologia, gli universali hanno una rilevanza maggiore di quella degli universali assoluti.
  • Spiegazione convincente da trovare per le tendenze universali e per gli universali per i fenomeni o processi linguistici osservati. I fattori che paiono più influenti in questo senso sono l’economia, l’iconicità e la motivazione comunicativa.

3 La tipologia e il contatto interlinguistico

 

Ogni lingua è intrisa si elementi alloglotti in buona parte delle proprie componenti. L’interferenza interlinguistica può manifestarsi a più livelli:
-attraverso semplici prestiti lessicali, mediante l’assimilazione di regole morfologiche
-con l’adozione di costrutti più complessi a livello microsintattico.
L’interferenza è uno di quei fenomeni in cui può essere ricondotto il fatto che non esistono nella concreta realtà delle lingue storico-naturali, tipi puri.

    • La tipologia areale e la nozione di area linguistica

 

Le lingue storico-naturali rappresentano una fonte estremamente preziosa per la ricostruzione delle intricate vicende storiche delle singole comunità umane e dei territori da esse abitate. Se il popolamento di una regione si è concretizzato mediante una fitta relazione di scambi tra i diversi gruppi umani, le abitudini linguistiche possono serbare tracce di qs contatti. Si possono ricavare testimonianze preziose per far luce sulle vicende passate delle comunità umane.
L’insieme dei tratti linguistici che si sono imposti in una data regione geografica a seguito di una profonda contaminazione interlinguistica costituisce un “tipo areale”. Vi è stata una spinta propulsiva degli eventi storico-sociali che hanno innescato i processi di convergenza.
Per poter asserire che le somiglianze hanno una motivazione di natura areale è indispensabile escludere che esse siano dovute a tendenze tipologiche generali o a familiarità genetica.
Due implicazioni metodologiche:

  1. per poter individuare eventuali tracce di contatto areale è indispensabile operare una comparazione più ampia tra le situazioni osservate nell’area in esame e le tendenze tipologiche prevalenti nelle lingue del mondo.

Le regioni geografiche in cui tipi areali si concretizzano maggiormente, cioè le regioni in cui le lingue sviluppano tratti comuni per il fatto di essere fisicamente contigue, vengono definite aree linguistiche.
Un’area linguistica deve caratterizzarsi per la presenza di più lingue parlate nel medesimo contesto geografico, ma non immediatamente imparentate e di tratti linguistici da esse condivisi.

3.1.2. Storia e linguistica

un’area linguistica per poter essere tale deve aver assistito a movimenti di popoli di vaste proporzioni e alla conseguente creazione di aree bilingui o plurilingui.
L’implicazione teorica più rilevante, del rapporto tra storia e linguistica nella verifica delle ipotesi di diffusione areale di tratti linguistici consiste nell’ineludibile necessità di attribuire un ruolo preminente alla storia. Non si può prevedere la formazione di un’area linguistica  contro l’evidenza della storia, al contrario è del tutto plausibile che l’evidenza storica non si trasformi in evidenza linguistica. Un’area linguistica deve essere prima di tutto un’area culturale-storica.

3.2 Alcune aree linguistiche
3.2.1 I Balcani

Il primo esempio di contesto areale, teatro di intricati fenomeni di convergenza interlinguistica, sono i Balcani. Di fatto sono divenuti il primo LIMES naturale tra Oriente e Occidente, due mondi non solo opposti ma spesso contrapposti.
Presentano una stratificazione etnica certamente senza pari in Europa, conseguenza di una serie di ondate migratorie, che hanno più volte stravolto l’assetto complessivo della regione. L’area Balcanica è il territorio europeo in cui si concentra il maggior numero di lingue appartenenti a gruppi linguistici diversi: oltre al neogreco e all’albanese, due lingue isolate, va notata la presenza di lingue slave meridionali, di una lingua romanza, di una lingua altaica e di una lingua uralica.
I tratti essenziali del tipo areale balcanico sono:

  • sistema vocalico neogrecoà articolato su 5 fonemi vocalici (/i/, /u/, /e/, /o/, /a/).
  • Sincretismo tra i casi genitivo e dativo à la tendenza prevalente è quella a far confluire nel genitivo le funzioni precedentemente esercitate dal dativo.
  • Formazione di un futuro perifrastico à verosimilmente come effetto di attrazione del greco bizantino e medievale.
  • Formazione dei numeri da 11 a 19 à che prevede una matrice “numero + preposizione su+ 10”.
  • Perdita dell’infinito à sostituito da preposizioni finite di natura finale, consecutiva o dichiarativa (finse che dormiva, finse di dormire).
  • Preposizione dell’articolo definito à tra le lingue balcaniche la collocazione postnominale dell’articolo definito riguarda il bulgaro, il macedone, l’albanese e il rumeno dove l’articolo postposto  consente di preservare la distinzione tra un caso nominativo-accusativo e un caso genitivo-dativo.

3.2.2 L’Europa centro occidentale (l’area di Carlo Magno)

In Europa si registra la presenza di oltre 100 lingue diverse, non tutte immediatamente imparentate, ma caratterizzate da una serie di tratti comuni e condivisi.
Alcuni tratti che paiono caratterizzare in modo quasi esclusivo alcune lingue d’Europa e il cui insieme è noto come standard average european (SAE) alcuni di questi tratti sono:

  • somiglianze lessicali à che di fatto si articolano su due livelli distinti:
    • presenza di un comune lessico di matrice greca e/o latina
    • presenza di comuni strategie nelle formazione delle parole
  • ordine dei costituenti maggiori della frase indipendente, assertiva relativamente rigida e di tipo SVO
  • presenza di preposizioni e di genitivi postnominali
  • uso di “avere ed essere” come ausiliari à nella formazione di alcuni tempi verbali complessi
  • presenza simultanea di articoli definiti e indefiniti
  • carattere no pro-dropà le lingue pro-drop, altrimenti dette a soggetto nullo tollerano l’omissione del pronome personale in posizione di soggetto nella frase dichiarativa, senza che ciò pregiudichi la grammaticalità e la conseguente piena comprensibilità della struttura linguistica prodotta. Nelle lingue non pro-drop la mancata espressione del soggetto produce stringhe del tutto agrammaticali e quindi incomprensibili (inglese e francese) le lingue romanze sono pro-drop.
  • agente e soggetto possono divergereà il ruolo semantico di “agente” viene assegnato all’argomento che designa l’autore dell’azione, il costituente a cui è attribuito il ruolo semantico di agente corrisponde al soggetto grammaticale della frase
  • la forma passiva consente l’espressione dell’agente
  • accordo delle forme finite del verbo con il soggettoà nella maggior parte delle lingue europee il verbo nelle sue forme finite concorda solo con il soggetto
  • paradigmi di caso fortemente semplificati e di tipo nominativo-accusativo à la tendenza piuttosto marcata, che emerge da una disamina della morfologia flessiva nominale delle lingue europee è quella che porta ad una progressiva riduzione delle terminazioni del caso.

La combinazione dei 10 tratti rappresenta la combinazione centrale del nucleo del SAE.
Tedesco/francese/nederlandese à la quasi totalità dei tratti si realizza
Basco/turcoà solo un numero esiguo dei tratti si realizza
Italiano/inglese/lingue slave/neogreco/albanese/lingue baltiche, celtiche e malteseà i tratti 1,3,4,5,7,8,9 trovano una piena realizzazione.
Le lingue che realizzano il maggior numero di tratti del SAE si collocano nella regione Renana. UN’AREA LINGUISTICA NON COPRE UNO SPAZIO OMOGENEO

 

3.3 Due sogni infranti: il Mediterraneo e il Baltico

Vi sono nel mondo vari contesti regionali in cui i sistemi linguistici non hanno intrapreso alcuna marcia di progressivo avvicinamento ad un tipo strutturale parzialmente unitario.
NE IL MEDITERRANEO NE IL BALTICO POSSONO ESSERE CONSIDERATI AREE LINGUISTICHE.
Nel mediterraneo e nel baltico emergono delle costellazioni di microprocessi di convergenza ma mancano tratti condivisi globalmente. E per sancire l’esistenza di un’area linguistica quest’ultima condizione pare imprescindibile.

Per riassumere

  • le condizioni necessarie alla formazione di un’area linguistica sono: la presenza in una  stessa regione di più lingue non strettamente imparentate, la condivisione, da parte di queste lingue, di tratti tipologicamente significativi, contatti prolungati e sistematici tra le diverse comunità di parlanti
  • queste condizioni sono si necessarie, ma non sufficienti. Si è visto infatti che in alcuni casi il loro soddisfacimento non si traduce effettivamente nella formazione di un’area linguistica.
  1. La tipologia e il mutamento linguistico

4.1 Il paradigma dinamico

la tipologia linguistica costituisce un procedimento di classificazione delle lingue che si colloca su un piano sincronico, tuttavia i possibili punti di contatto con la linguistica storico-comparativa sono molti.
La storia ci pone davanti agli occhi sia mutamenti marginali e quasi irrilevanti nell’equilibrio complessivo della lingua, sia trasformazioni radicali e dall’impatto devastante, nelle quali non sono solo singoli segmenti del sistema a mutare, ma è l’intero sistema ad essere coinvolto o addirittura sconvolto dal cambiamento. Nessuna configurazione tipologica può essere considerata come un’acquisizione definitiva, ma in continua trasformazione (DINAMICIZZAZIONE DELLA TIPOLOGIA)

4.2 Tipi stabili e tipi frequenti

Vi sono tipi diffusissimi e altri assolutamente rari, tipi apparentemente duraturi e altri particolarmente vulnerabili, tipi diffusi in modo uniforme e altri che caratterizzano solo lingue concentrate in regioni limitate.
I tipi linguistici non hanno la medesima probabilità di occorrenza e quest’ultima dipende solo in parte dalla loro coerenza interna. I fattori in grado di influenzare la distribuzione dei tipi linguistici sono due, indipendenti l’uno dall’altro:

  • la stabilitàà si intende la probabilità che un determinato tipo venga abbandonato o mantenuto. I tipi stabili di norma, esibiscono una diffusione omogenea all’interno delle famiglie linguistiche.
  • la frequenzaà corrisponde alla probabilità che un determinato tipo venga assunto dalle lingue storico-naturali. I tipi frequenti mostrano una diffusione più uniforme in termini areali.

La combinazione dei due criteri consente di giustificare la diffusione di tutti i tipi linguistici secondo lo schema seguente:

  • tipi stabili e frequenti: diffusi geneticamente
  • tipi stabili e infrequenti: diffusi in singole famiglie linguistiche, ma non geograficamente.
  • Tipi instabili e frequenti: diffusi geograficamente e sporadico nelle varie famiglie linguistiche
  • Tipi instabili e infrequenti: piuttosto rari sia nelle famigli linguistiche che geograficamente

 

4.2.1 Tendenze tipologiche e areali nel mutamento linguistico

L’azione dei criteri di stabilità e frequenza nella diffusione dei tipi linguistici e la loro efficacia nel prevedere le strategie coinvolte nel mutamento linguistico possono essere esemplificate in modo piuttosto chiaro analizzando la distribuzione sincronica e il percorso evolutivo dei diminutivi e degli accrescitivi.
Latino à trasmissione dei propri diminutivi alle lingue romanze
Greco anticoà trasmissione dei propri diminutivi al neogreco
Slavo comuneà alle moderne lingue slave
Protogermanicoà alle moderne lingue slave
I diminutivi trasmessi fanno parte dell’eredità del protoindoeuropeo, mentre gli accrescitivi sono una strategia linguistica molto recente e più vulnerabile.
Diminutivià fenomeno contraddistinto da un alto grado sia di stabilità che di frequenza.
Accrescitivià fenomeno instabile ma frequente.
I diminutivi stabili e frequenti si svilupparono diacronicamente secondo una matrice tipologica piuttosto generale e interlinguisticamente diffusa. Gli accrescitivi piuttosto frequenti ma instabili ricorrono a cliche diversi e ben connotati in senso areale.
In sostanza in questo caso non è la parentela tra le lingue coinvolte, ma l’interferenza con i sistemi geograficamente adiacenti ad indirizzare il processo evolutivo.

4.3 I tipi devianti: quando la diacronia spiega la sincronia

Se ci avvaliamo di un approccio in grado di conciliare le dimensioni sincronica e diacronica le lingue della fisionomia problematica non devono necessariamente essere relegate ai margini, ma trovano una loro ragion d’essere e una piena legittimazione come espressione della sintomatologia di un più o meno complesso di mutamento in atto.
Esempio il latino, come lingua morta, se operassimo su un livello puramente sincronico no potremmo fare altro che certificare la natura incoerente del latino pompeiano. Se però aprissimo una finestra sulla diacronia il quadro complessivo ci apparirebbe in una luce diversa, il latino classico e le lingue romanze.
Il latino pompeiano collocandosi in una posizione intermedia rispetto questi due estremi, rivela, che la transazione tipologica che ha accompagnato la formazione dei primi volgari romanzi era già avviata nel primo secolo d.c.

4.4 Universali e implicazionali e mutamento linguistico

Il rapporto interlinguisticamente difforme tra diminutivi e accrescitivi è stato schematizzato nell’universale implicazione accrescitivi    diminutivi : in sostanza, se una lingua dispone di un procedimento morfologico per realizzare gli accrescitivi, allora dispone necessariamente di un procedimento morfologico per realizzare i diminutivi, ma non viceversa.

4.5 Si può prevedere la direzione del mutamento linguistico?

Rimane innegabile l’esistenza di mutamenti più naturali di altri e, una volta individuate le premesse tipologiche pertinenti, dovrebbe essere possibile stabilire almeno le direzioni precluse al cambiamento in atto. Ma, poste queste premesse, niente garantisce che il mutamento giunga in effetti al suo compimento.
Edward Sapir ha definito “DERIVA” la lenta trasformazione della lingua. Il termine rende bene l’idea di un movimento libero e incontrollato. La storia delle lingue è in parte governata da agenti esterni, cioè dai successi e dagli insuccessi delle comunità umane, che possono intervenire in qualunque momento sulla deriva della lingua imponendole deviazioni di percorso, arrestandone l’azione o dirottandola verso mete inizialmente impreviste.

Per riassumere

  • la tipologia dinamica studia il mutamento linguistico nell’ambito del complesso slittamento tipologico che coinvolge ogni lingua nel corso della propria storia.
  • Le caratteristiche dei mutamenti tipologici sono in parte desunte dal valore che viene attribuito agli indici di stabilità e frequenza.
  • Gli universali implicazionali possono fungere da efficaci strumenti di previsione circa le fasi del mutamento.

5.  Ai margini della tipologia

    • Tipologia e dialetti

La lingua cambia nello SPAZIO, la differenza + evidente è quella che viene comunemente definita “accento”. Qs variazione nello spazio è indicata come “variazione dialettale”.
Quanto devono essere distanti 2 sistemi per essere definiti due lingue diverse piuttosto che due dialetti della stessa lingua?
IL DIALETTO corrisponde all’uso linguistico di una comunità geograficamente ristretta facente parte a sua volta di una realtà sociale e politica + ampia; deve essere geneticamente imparentato alla lingua di cui è considerato una variante.

    • Tipologia e variazione sociolinguistica

 

Conoscere e parlare una lingua vuole dire anche essere in grado di adeguare la propria produzione linguistica alle diverse situazioni comunicative. Quindi la lingua è un sistema che varia nel tempo- variazione diacronica -  e nello spazio - variazione diatopica - in base alla situazione comunicativa - variazione diafasica -, alla caratterizzazione sociale dei parlanti - variazione diastratica - e al mezzo utilizzato per la comunicazione –scritto vs parlato variazione diamesica -.
Le grammatiche fotografano in genere una sola varietà della lingua, quella che si è solito definire standard che include consuetudini linguistiche fortemente orientate alla scrittura; ne consegue che trascurano usi non standard delle lingue che invece caratterizzano le comunità linguistiche reali. SI TENDE INSOMMA AD ASTRARRE LA INGUA DAL CONTESTO DA CUI TRAE LINFA VITALE.

    • Tipologia e acquisizione
      • Gli universali implicazionali e l’apprendimento linguistico

 

Le interlingue sono le produzioni linguistiche di un apprendente, di chi sta studiando una lingua straniera. Vi sono fasi ricorrenti e talvolta universali.

      • La tipologia morfologica e le interlingue

Per riassumere

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/linguistica/FONDAMENTI%20DI%20TIPOLOGIA%20LINGUISTICA%20fabio.doc

 

 


 

Linguistica

LE LINGUE E IL LINGUAGGIO
G. Graffi, S. Scalise

CAPITOLO I
CHE COS’E’ IL LINGUAGGIO?

1. Linguistica, linguaggio e linguaggi
Tutti i tipi di linguaggi sono dei sistemi di comunicazione, servono cioè a trasmettere un’informazione da un emittente ad un destinatario. Quindi tutti i linguaggi sono uguali nella loro funzione (comunicazione) ma possono essere diversi nella loro struttura. La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano.

2. Caratteristiche proprie del linguaggio umano
Le caratteristiche del linguaggio sono:
 Discretezza: il linguaggio umano è un tipo di linguaggio discreto mentre gli altri tipi di linguaggi sono detti continui; questo significa che gli elementi del linguaggio umano si distinguono gli uni dagli altri per l’esistenza di limiti ben definiti, mentre nei tipi continui il segnale viene specializzato (modificazione del ritmo, orientamento...). Una delle caratteristiche del linguaggio umano è di poter formare un numero altissimo di segni (significante/significato) tramite un numero limitato di elementi (fonemi) che non hanno significato ma la capacità di distinguere significati.

  • Ricorsività: mentre la comunicazione animale è caratterizzata da un numero finito di segni, nella comunicazione umana si creano parole sempre nuove. Il numero delle frasi possibili in qualunque linguaggio naturale è infinito: si può sempre costruire una frase nuova aggiungendo alla frase data un’altra frase semplice. Sembra che solo gli esseri umani siano in grado di acquisire un sistema di comunicazione caratterizzato dalla caratteristica della ricorsività.
  • Competenza: senso intuitivo di buona o cattiva formazione ossia grammaticalità o agrammaticalità delle espressioni di una determinata lingua.

 Dipendenza dalla struttura: le relazioni tra parole non sono determinate dalla loro successione ma esse sono dipendenti dalla struttura.

3. Il linguaggio e le lingue
Con il termine “linguaggiosi intende la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare un sistema di comunicazione dotato delle tre caratteristiche sopra elencate. Con il termine “lingua” si intende la specifica forma che il sistema di comunicazione assume nelle varie comunità. Parliamo di linguaggio al singolare perché questa capacità è propria della specie umana, e di lingua tanto al singolare che al plurale perché tante sono le lingue del mondo. Esistono elementi comuni a tutte le lingue e si chiamano universali linguistici; una caratteristica che invece caratterizza le diverse lingue è l’ordine delle parole, in italiano SVO.

CAPITOLO II
CHE COS’E’ UNA LINGUA?

Intro

Una lingua è un sistema articolato su più livelli: è un sistema di sistemi.

1. Parlato e scritto
Una lingua è sia scritta che parlata, ma la linguistica privilegia la lingua come espressione orale per diversi motivi:
   esistono lingue che sono solo lingue parlate e non scritte;
   un bambino quando impara una lingua, impara prima a parlare e poi a scrivere;
   le lingue cambiano nel corso del tempo, ma ciò che cambia è la lingua parlata e solo in ritardo quella scritta.
2. Astratto e concreto
Ogni atto linguistico è un fatto a sé ed irripetibile e si divide su due livelli, uno astratto e uno concreto:
   Livello astratto: ciò che conta è l’opposizione dei diversi elementi che distinguono le parole (mano/meno).
   Livello concreto: dipende da come in quel momento sono atteggiati gli organi della fonazione, cioè ripetendo per quattro volte la parola mano la pronuncia sarà sempre diversa.

 

2.1 Langue e parole
Saussure pose una serie di distinzioni indispensabile per la definizione di lingua: sincronia e diacronia, rapporti associativi e rapporti sintagmatici, significante e significato, langue e parole.
La parole è un’esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale: producendo dei suoni concreti si produce un atto di parole. La langue invece è la lingua della collettività, sociale e astratta. La lingua esiste nella collettività, preesiste agli individui, ed è necessaria perché gli atti di parole siano intelligibili, ma anche gli atti di parole sono necessari perché la lingua si “stabilisca” e perché funzioni.

2.2 Codice e messaggio
Jakobson fece invece una distinzione tra codice e messaggio: il codice è un insieme di potenzialità ed è astratto; il messaggio invece viene costruito sulla base delle unità fornite dal codice ed è un atto concreto.

2.3 Competenza ed esecuzione
Una terza distinzione tra livello astratto e concreto è stata fatta da Chomsky tra competenza ed esecuzione: la competenza è tutto ciò che un individuo sa della propria lingua; l’esecuzione è tutto ciò che l’individuo fa.

                                   Saussure        Jakobson        Chomsky

Livello astratto           langue             codice              competenza
Livello concreto          parole              messaggio       esecuzione

3. Conoscenze linguistiche di un parlante
Esistono quattro competenze linguistiche:

  • Competenza fonologica. Un parlante conosce i suoni della sua lingua e sa come si combinano, ad esempio sa che se una parola comincia con tre consonanti la prima è una “s”.
  • Competenza morfologica. Riguarda la conoscenza delle parole, ad esempio che di norma in italiano le parole finiscono con una vocale. Un parlante conosce le parole della sua lingua e le sa distinguere da parole di lingue straniere, sa formare parole complesse a partire da quelle semplici.
  • Competenza sintattica. I parlanti conoscono le regole della sintassi, cioè sanno che possono formare vari tipi di frasi.
  • Competenza semantica. I parlanti di una lingua sanno riconoscere il significato delle parole e delle frasi e sanno istituire molti tipi di relazioni semantiche tra parole, come ad esempio rapporti di sinonimia e antonimia; inoltre riescono a disambiguare frasi potenzialmente ambigue.

3.1 La grammatica dei parlanti
Tutti i tipi di competenze elencati nei paragrafi precedenti fanno parte della grammatica dei parlanti; esistono dei dati linguistici primari che sono quelli dai quali il bambino costruisce una grammatica.

4. Una lingua non realizza tutte le possibilità
Una lingua è un codice ed è costituita sostanzialmente da due livelli: le unità di base e le regole che combinano tali unità. Le lingue del mondo non sfruttano mai tutte le possibilità né a livello di unità né a livello di regole. Ad esempio, in italiano non esiste una distinzione tra dita delle mani e dei piedi mentre in inglese sì (fingers/toes), ma l’inglese non ha il suono “gn” di “gnomo”.

5. Sintagmatico e paradigmatico
In un atto linguistico i suoni vengono disposti in una sequenza lineare cioè uno dopo l’altro; in questa operazione succede che i suoni si influenzino l’un l’altro. Esistono rapporti sintagmatici che si stabiliscono tra elementi in presentia, ovvero co-presenti: ad esempio amico/amici: la prima parola ha un suono velare mentre la seconda un suono palatale. Esistono poi dei rapporti paradigmatici che si stabiliscono tra suoni che possono comparire in un certo contesto, sono rapporti in absentia, cioè la presenza di un determinato suono esclude tutti gli altri: ad esempio si consideri la parola “stolto”: tra la “s” e la “o” compare la lettera “t”, la sua posizione è il suo contesto; tra la “s” e la “o” possono comparire altri elementi “c”, “g”, “p”, “b”, “d”; scegliendo una combinazione si escludono le altre.
   stolto               “sto”
   sdoganare       “sdo”
   scorta  “sco”
   sgombro          “sgo”
   sporta “spo”
   sbobinare       “sbo”

Rapporti sintagmatici e paradigmatici non esistono solo tra suoni ma anche tra espressioni. Nell’espressione <Questo mio amico.>, esiste una relazione sintagmatica tra la “o” di “questo”, di “mio” e di “amico”; nelle espressioni <Questo amico.> e <Quel amico.> esiste una relazione paradigmatica tra “questo”e “quel”.

6. Sincronia e diacronia
Nel corso del tempo le lingue possono andare incontro a dei cambiamenti. Lo studio di un cambiamento linguistico è detto “diacronico”, è lo studio di un fenomeno nel tempo. Un fenomeno “sincronico” è un rapporto tra elementi simultanei con l’esclusione dell’elemento tempo.

7. Il segno linguistico
Una parola è un segno, un segno è un’unione tra significante (rappresentazione sonora) e significato (rappresentazione mentale). Il segno ha varie proprietà tra cui:
   Distintività: ogni segno si distingue da un altro (notte/botte).
   Linearità: il segno si estende nel tempo se è orale e nello spazio se è scritto.
   Arbitrarietà: non esistono regole che associano al significante il significato, esistono delle eccezioni che riguardano le forme onomatopeiche.
I segni possono essere linguistici o no: la disciplina che studia i segni linguistici è la linguistica, quella che studia i segni in generale è la semiologia o semiotica.

8. Le funzioni della lingua
Secondo Jakobson le componenti necessarie per un atto linguistico sono sei:

  • parlante;
  • referente (ciò di cui si parla, ciò cui l’atto linguistico rimanda, realtà extralinguistica);
  • messaggio;
  • canale (attraverso cui passa la comunicazione);
  • codice;
  • ascoltatore.

A ciascuna di queste componenti Jakobson associa una funzione linguistica:

  • funzione emotiva: si realizza quando il parlante esprime stati d’animo;
  • funzione referenziale: è informativa, neutra;
  • funzione poetica: si realizza quando il messaggio inviato fa si che l’ascoltatore ritorni sul messaggio stesso per apprezzarne il modo in cui è formulato;
  • funzione fatica: quando si vuole controllare se il canale è aperto è funziona regolarmente;
  • funzione metalinguistica: quando il codice viene usato per parlare del codice stesso;
  • funzione conativa: si realizza sotto forma di comando o di esortazione rivolti all’ascoltatore perché modifichi il suo comportamento.

9. Lingue e dialetti
Un parlante denuncia sempre la sua provenienza: si dice che esistono italiani regionali che corrispondono approssimativamente alle tre principali aree geografiche dell’Italia.
1^ divisione:
   italiano standard;
   italiano regionale;
   italiano locale.

Attraverso l’italiano regionale passano all’italiano molte forme “locali”, ogni lingua è stratificata.
2^ divisione:
   italiano scritto (forma più austera della lingua);
   italiano parlato formale;
   italiano parlato informale;
   italiano regionale;
   dialetto di koinè (regione dialettale);
   dialetto del capoluogo di provincia;
   dialetto locale.

Dato che anche il dialetto è costituito da suoni, parole, frasi e significati, la differenza tra questo e una lingua non è linguistica, ma semmai socio-culturale.

10. Pregiudizi linguistici
1- idea che vi siano lingue primitive à evolutesi poi in lingue complesse à impossibile perché tutte le lingue hanno sistemi fonologici, morfologici e sintattici complessi.
2- lingue per eccellenza logiche à non esistono lingue logiche e lingue illogiche, tutte le lingue hanno una loro logica interna.
3- distinzione lingua/dialetto à la lingua sarebbe un sistema più evoluto dei dialetti à ma ogni dialetto ha sistemi fonologici e sintattici complessi esattamente come quello di ogni altra lingua.
4- certe lingue sono belle altre brutte à sono giudizi soggettivi non ci sono parametri oggettivi per definire se una lingua è bella o brutta.
5- lingue facili o difficili.

CAPITOLO III


LE LINGUE DEL MONDO

 

Intro

La Linguasphere è un’organizzazione dedita allo studio delle lingue del mondo, che propone una classificazione che conta 10 ordini di grandezza che vanno da 9 (più di un miliardo di parlanti) a 0 (lingue estinte). Questa classificazione pecca però di imprecisione: molte lingue pur essendo diverse sono considerate la stessa lingua, perché i parlanti si comprendono a vicenda. Il numero dei parlanti si basa fondamentalmente sul numero dei cittadini di una nazione.

Da un punto di vista linguistico esistono tre modalità di classificazione:

  • Genealogica: due lingue fanno parte della stessa famiglia genealogica quando derivano dalla stessa lingua originaria. La famiglia genealogica è l’unità massima, le unità inferiori sono dette gruppi.
  • Tipologica: si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni.
  • Areale: lingue che hanno sviluppato caratteristiche strutturali comuni perché appartengono alla stessa area geografica. Le lingue in questione formano una lega linguistica

1. Classificazione genealogica: le famiglie linguistiche
Due lingue sono genealogicamente parenti quando derivano dalla stessa lingua originaria o lingua madre. Famiglie linguistiche:
   Indoeuropea: Europa. Latino, greco.
   Afro-asiatica (camito-semitica): Africa settentrionale, Medio Oriente e parte dell’Africa orientale. Egiziano antico, arabo e ebraico.
   Uralica: Europa orientale e Asia centrale e settentrionale. Finlandese, estone e ungherese.
   Sino-tibetana: Asia occidentale. Cinese mandarino, tibetano e lolo-birmano.
   Nigerkordofaniana: nazioni africane poste al Sud del Sahara. Swahili.
   Altaica: Asia centrale. Mongolo, turco.
   Dravidica: India meridionale. Tamil, brahui.
   Austro-asiatica: Asia meridionale. Khmer e vietnamita.
   Austronesiana. Oceania. Giavanese, hawaiiano.

Esistono anche delle lingue che sono isolate, cioè di cui non si può dimostrare la parentela con altre lingue: in Europa il basco, in Asia il giapponese e il coreano.

2. La famiglia linguistica indoeuropea
Nei primi decenni dell’Ottocento vi fu la scoperta che un’antica lingua dell’India, il sanscrito, ed alcune lingue europee, latino e greco, erano genealogicamente apparentate tra loro. Per identificare questa famiglia nel 1830 venne coniato il termine “Indoeuropeo” (asieuropeo, indogermanico); la famiglia indoeuropea si divide nei seguenti gruppi e sottogruppi:
   Indo-iranco: diviso nei sottogruppi indiano e iranico; il sottogruppo iranico a sua volta si divide in lingue iraniche occidentali e orientali.
   Tocario: formato da lingue estinte.
   Anatolico ittita, lingue diffuse nel 1-2° millennio a. c..
   Armeno: rappresentato dalla sola lingua armena.
   Albanese rappresentato dalla sola lingua albanese.
   Slavo: diviso in tre sottogruppi: slavo orientale (russo, bielorusso, ucraino), lo slavo occidentale (polacco, ceco, slovacco) slavo meridionale (bulgaro, macedone, serbo-croato, sloveno).
   Baltico: comprende lituano e lettone.
   Ellenico: rappresentato dalla sola lingua greca.
   Italico: si divide nei sottogruppi italico orientale (lingue dell’Italia antica come osco, umbro, sannita) e occidentale. Quest’ultimo sottogruppo comprende il latino che ha dato origine alle lingue neolatine e romanze: portoghese, spagnolo, francese, italiano e romeno. Lingue a livello regionale: gallico, catalano, ladino e provenzale.
   Germanico: si divide in tre sottogruppi: orientale (gotico), settentrionale (svedese, danese, norvegese, islandese) e occidentale che si divide in due rami: anglo-frisone e neerlando-tedesco.
   Celtico: si divide nei sottogruppi gaelico (irlandese e gaelico di Scozia) e britannico (gallese, cornico e bretone).

3. Classificazione tipologica
Due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni e possono essere classificate in due modi: per tipologia morfologica o per tipologia sintattica.

3.1 Tipologia morfologica
I tipi morfologici tradizionalmente riconosciuti sono i seguenti:
   Isolante: è caratterizzato dalla mancanza totale di morfologia: nei nomi non vi è distinzione per caso, numero, genere... Per indicare le varie relazioni tra le parole, una lingua isolante fa uso in modo cruciale dell’ordine delle parole stesse e di alcune particelle.
   Agglutinante: ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate. Es. lonely + ness =lonelyness
   Flessivo: tutte le relazioni che devono essere indicate sono contenute in un solo suffisso; un’altra caratteristica delle lingue flessive è la flessione interna che consiste nel poter indicare le diverse funzioni grammaticali mediante la variazione della vocale radicale della parola. Le lingue flessive si dividono in analitiche (si possono realizzare relazioni grammaticali mediante più parole) e sintetiche (le relazioni grammaticali sono espresse in un’unica parola).
   Polisintetico (o incorporante): una sola parola può esprimere tutte le relazioni che in italiano si esprimerebbero con una frase. Es horseriding

3.2 Tipologia sintattica
La tipologia sintattica si basa sull’osservazione che esistono delle correlazioni sistematiche, in tutte le lingue, tra l’ordine delle parole in una frase e in altre combinazioni sintattiche, e per questo viene anche chiamata tipologia dell’ordine delle parole. Le combinazioni sintattiche più analizzate sono:

  • la presenza in una data lingua di preposizioni (Pr) oppure di posposizioni (Po);
  • la posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all’oggetto (O);
  • l’ordine dell’aggettivo (A) rispetto al nome (N);
  • l’ordine del complemento di specificazione o genitivo (G).

In generale queste correlazioni sistematiche possono essere riassunte come segue:

  1. VSO/Pr/NG/NA
  2. SVO/Pr/NG/NA
  3. SOV/Po/GN/AN
  4. SOV/Po/GN/NA

Queste formule sono chiamate “universali implicazioni”.

4. Sistemi di scrittura
I primi sistemi di scrittura sono del tipo cosiddetto “ideografico” o per meglio dire “logografico”. Un tipo di scrittura ideografico è utilizzato tuttora in diverse lingue tra le quali il cinese. Gli altri tipi di scrittura sono il tipo sillabico e il tipo alfabetico.
   Tipo ideografico: ogni simbolo (ideogramma) corrisponde ad un concetto. L’utilizzazione fonetica del simbolo determinò l passaggio da un sistema di scrittura ideografico ad un sistema sillabico.
   Tipo sillabico: in questi sistemi determinati segni passarono ad indicare determinati gruppi di suoni. L’adozione di un sistema sillabico riduce il numero dei simboli rispetto al sistema ideografico.
   Tipo alfabetico: si basano sul principio che ad ogni suono corrisponde un segno, restringendo ancora di più il numero dei simboli.

 

CAPITOLO IV


I SUONI DELLE LINGUE: FONETICA E FONOLOGIA

1. Fonetica
La disciplina che studia la produzione dei suoni è la fonetica articolatoria, vi è poi la fonetica acustica che si occupa della natura fisica del suono e sulla sua propagazione, infine esiste una fonetica uditiva che studia gli aspetti della ricezione del suono da parte dell’ascoltatore.

1.1 L’apparato fonatorio
Un suono è prodotto normalmente dall’aria che viene emessa dai polmoni, sale lungo la trachea, attraversa la laringe, sede delle corde vocali e dopo aver superato la faringe, l’aria giunge alla cavità orale e fuoriesce dalla bocca. La cavità nasale può essere esclusa tramite l’innalzamento del velo palatino distinguendo tra suoni orali e nasali.

Apparato fonatorio

 

 


1.2 Classificazione dei suoni
Per la classificazione di un suono sono necessari tre parametri:

  • Modo di articolazione: riguarda i vari assetti che gli organi assumono nella produzione del suono.
  • Punto di articolazione: è costituito dal punto dell’apparato vocale in cui viene modificato il suono.
  • Sonorità: e data dalle vibrazioni delle corde vocali: se vibrano si otterrà un suono sonoro altrimenti un suono sordo.

 

 


1.3 Classi di suoni
I suoni possono essere classificati in tre maggiori categorie: consonanti, vocali e semiconsonanti. Per produrre una consonante l’aria o viene momentaneamente bloccata o deve attraversare una fessura molto stretta, possono essere sorde o sonore. Nella produzione di una vocale l’aria che fuoriesce non incontra ostacoli. Le semiconsonanti condividono sia proprietà delle vocali che delle consonanti. Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali sono sonoranti, tutti i suoni che non sono sonoranti sono ostruenti.

 

2. I suoni dell’italiano
Pà occlusiva,bilabiale, sorda        àPane, taPPo, stoP
Bà occlusiva, bilabiale, sonora    àBene, aBBastanza
Tà occlusiva, dentale,sorda        à Tana, oTTo, alT
Dà occlusiva, dentale, sonora     à Dente, aDorare
Kà occlusiva, velare, sorda            àCaro, Che, aCCanto
Gà occlusiva, velare, sonora       à Gara, Ghiro, alGHe
Mà nasale, bilabiale (sonora)       àMano, aMare, uhM
    à nasale, labiodentale (sonora) à aNfora, iNvidia, iNverno
Nà nasale, alveolare (sonora)      à Naso, laNa, daNNo
ànasale, palatale (sonora)        àGnocco, oGNi
ànasale, velare (sonora)          à aNcora, aNguria
Làlaterale, alveolare (sonora)     àLana, paLLa
àlaterale, palatale (sonora)     à aGLio, eGLi
Ràpolivibrante, alveolare (sonora) àRana, caRRO, peR
Fàfricativa, labiodentale sorda     àFame, aFa
Vàfricativa, labiodentale sonora   à Vento, aVViso, VoV
Sà fricativa, alveolare sorda        à Sano, caSSa,
Zà fricativa, alveolare, sonora     àSmodato, caSa
àfricativa, palato-alveolare sorda    àScemo, aSCesa, slaSH
àfricativa, palato-alveolare sonora   àgaraGe, abat-Jour
TSàaffricata,alveolare, sorda             àstaZione, paZZo
DZàaffricata, alveolare, sonora         àZero, aZZimato
àaffricata,palato-alveolare sorda   àCenare, aCido, aCCento
àaffricata,palato-alveolare sonora  àGente, aGire, aGGiornare
Jàsemiconsonante palatale sonora      à Ieri, pIede
Wà semiconsonante, velare, (sonora)   àUovo, dUomo

2.1 Consonanti dell’italiano
Esistono vari tipi di consonanti:
  Occlusive: occlusione momentanea dell’aria cui fa seguito un esplosione [p, b,t, d, k, g].
   Fricative: l’aria passa attraverso una fessura stretta producendo una frizione, si possono prolungare nel tempo [f, v, s, z, ].
   Affricate: suoni che iniziano con un’articolazione di tipo occlusivo e terminano con un’articolazione di tipo fricativo [ts, dz, t, dз].
   Nasali: il velo palatino si posiziona in modo da lasciar passare l’aria attraverso la cavità nasale [m, n, ŋ].
   Laterali: per produrre il suono la lingua si posiziona contro i denti e l’aria fuoriesce lateralmente [l].
   Vibranti: i suoni vengono prodotti mediante la vibrazione dell’ugola o dell’apice della lingua [r].
   Approssimanti: gli organi articolatori vengono approssimati senza mai toccarsi [j, w].

L’italiano utilizza sette punti di articolazione:

  • Bilabiali: chiusura di entrambe le labbra.
  • Labiodentali: l’aria esce da una fessura che si crea appoggiando gli incisivi superiori al labbro inferiore.
  • Dentali: la parte anteriore della lingua tocca la parte interna degli incisivi.
  • Alveolari: la lamina della lingua tocca o si avvicina agli alveoli.
  • Palato-alveolari: la lamina della lingua si avvicina agli alveoli ed ha il corpo arcuato.
  • Palatali o anteriori: la lingua si avvicina al palato.
  • Velari o posteriori: la lingua tocca il velo palatino.

2.2 Vocali dell’italiano
Se la lingua assume una posizione alta si produrranno suoni come [i] o [u], se assume una posizione bassa suoni come [a]. Se la lingua è in posizione avanzata si produrrà una [i] o una [o], se è in posizione arretrata [u] o [o]. Se le labbra sono arrotondate si produrranno vocali come [u] o [o], se non sono arrotondate vocali come [i] o [e]. es.
-i alta anteriore non arrotondata à Italiano , vIno, solI
-e medio-alta anteriore non arrotondata àEroico, saporE
-   medio-bassa anteriore non arrotondataà Elle, lacchE’
-a bassa centrale non arrotondata à Amo, sAno
-    medio bassa posteriore arrotondata àOtto, perO’ ,botte (percosse)
-o medio alta posteriore arrotondata àObesità,amicO , botte vino
-u alta posteriore arrotondataàUnico, lUna

2.3 Combinazioni di suoni
Le consonanti possono combinarsi insieme formando dei nessi consonantici. Le combinazioni di consonanti non sono libere ma soggette a restrizioni; vi è inoltre una differenza tra le combinazioni possibili in posizione iniziale e quelle in posizione interna. Le combinazioni di vocali in una medesima sillaba danno luogo a dittonghi, che possono essere ascendenti (approssimante seguita da vocale accentata) o discendenti (vocale accentata seguita da un approssimante). Esistono anche dei trittonghi. La combinazione di due vocali appartenenti a due sillabe diverse da luogo ad uno iato.

3.suoni e grafia
Un sistema è coerente quando ad un suono corrisponde un segno e viceversa. In italiano si incontrano le seguenti incoerenze del sistema grafico:
-due simboli diversi per un suono solo : Cuore, Quando [K]
-due suoni diversi scritti con lo stesso simbolo : Sera, roSa [s] [z]
-due simboli per un solo suono e tre simboli per un solo suono : maGHe   [g]   SCIocco [           ]

4. Trascrizione fonetica
I suoni possono essere semplici o geminati. Il simbolo per l’accento [‘] si colloca prima della sillaba accentata.
A partire dai simboli IPA si può trascrivere qsi enunciato di qsi lingua.

4.1 Confini
Il morfema è l’unità più piccola dotata di significato, quindi parole come “veloce-mente“ o “bar-ista“sono composte da due morfemi. Il confine di sillaba viene normalmente rappresentato da un punto (.)es. ve.lo.ce.men.te, il confine di morfema con il simbolo (+)es. veloce+mente, mentre il confine di parola con il simbolo (#)#velocemente#.

5. Fonetica e fonologia
La fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni (la sua unità è il fono) mentre la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni (la sua unità è il fonema). Nella linguistica innanzitutto si cerca di scoprire:
   quali sono i fonemi di una data lingua; si ricorre alla nozione di distribuzione e di coppie minime
   come i suoni si combinano insieme; vengono descritte dalle regole fonologiche
   come i suoni si modificano in combinazione; vengono descritte dalle regole fonologiche

5.1 Il contesto
Ogni suono ha una sua distribuzione, ovvero contesti o posizioni in cui può comparire, è la posizione della parola.

5.2 Foni o fonemi
I “foni” sono suoni/rumori del linguaggio articolato e hanno valore linguistico quando sono distintivi, cioè contribuiscono a differenziare dei significati. Le “coppie minime” sono coppie di parole che si differenziano solo per un suono nella stessa posizione. Due foni che hanno valore distintivo sono detti “fonemi”.
Un fonema è un segmento fonico che ha:
   una funzione distintiva;
   non può essere scomposto in una successione di segmenti che abbiano valore distintivo;
   è definito solo da caratteri che abbiano valore distintivo.

Il fonema è l’unità che si colloca a livello astratto, e dunque a livello di langue; i foni invece si collocano a livello concreto e dunque di parole.

5.3 Le regole di Trubeckoj

 

Trubeckoj enunciò tre regole per stabilire se due foni hanno valore distintivo o meno:

  • Quando due suoni ricorrono nella stessa posizione e non possono essere scambiati fra loro senza che si modifichi il significato delle parole, sono realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi;es varo, faro
  • quando due suoni della stessa lingua si trovano nelle medesime posizioni e possono essere scambiati senza modificare il significato delle parole, sono varianti fonetiche facoltative di un unico fonema; es renna-Renna – VALORE INDIVIDUALE
  • quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, sono due varianti combinatorie dello stesso fonema. Es. naso [nazo], ancora [a  kora] – VALORE COMBINATORIO

La linguistica statunitense usa invece le nozioni di:
  Distribuzione contrastiva: quando due foni possono comparire nello stesso contesto e si ottengono così due significati diversi, allora i due foni sono in distribuzione contrastiva e sono realizzazioni di due fonemi diversi;
   Distribuzione complementare: quando due foni non possono ricorrere nello stesso contesto si tratta di “allofoni” dello stesso fonema.
Si può fare inventario dei fonemi in una lingua, in italiano sono circa 30.

5.4 allofoni
sono la variante di un fonema

5.5 varianti libere
Se due suoni foneticamente simili si possono trovare nello stesso contesto ci sono due possibilità: o sono fonemi diversi (cambia il significato) o sono varianti libere (il significato non cambia).

7.1 parentesi
serve a unificare fatti formalmente diversi tra loro
quelle tonde indicano la facoltività

8 fenomeni fonologici e tipi di regole
una regola fonologica è un meccanismo che connette una rappresentazione fonologica ad una rappresentazione fonetica  ed opera una serie di cambiamenti,

9. La sillaba
è il mattone minimo dell’enunciato, l’unità di combinazione di fonemi funzionanti come unità pronunciabile
In italiano la sillaba minima è costituita da una vocale, il nucleo sillabico. Il nucleo può essere preceduto da un attacco o seguito da una coda; nucleo più coda costituiscono la rima. L’aplologia è la cancellazione della sillaba finale di parola in composizione.

11. Fatti soprasegmentali
La fonologia basata sui segmenti è detta “segmentale”; esistono però fenomeni che non possono essere attribuiti ad un segmento e che sono detti “soprasegmentali”:
   Lunghezza: riguarda la durata temporale dei suoni e può avere caratteristiche distintive o meno. Es. pena/penna
   Accento: è una proprietà delle sillabe e non dei singoli segmenti. Una sillaba tonica è realizzata con maggiore intensità rispetto ad una sillaba atona; solo nelle lingue ad accento non fisso questo può avere valore distintivo. Es. ‘ancora/an’kora
   Intonazione: esistono dei picchi e degli avvallamenti che producono un effetto percettivo di tipo melodico che prende il nome di “intonazione”. Le dichiarative hanno una curva melodica con andamento finale discendente, mentre le interrogative hanno una andamento finale ascendente.

CAPITOLO V


LA STRUTTURA DELLE PAROLE: MORFOLOGIA

 

Intro

Lo studio delle parole e delle varie forme che possono assumere è la morfologia. Le parole possono essere semplici o complesse; le parole complesse possono essere derivate, cioè prefissate o suffissate, o composte. Sia le parole semplici che complesse possono essere flesse per genere, numero...

1. La nozione di parola
Le parole sono unità della lingua e non sempre ciò che conta come parola in una lingua vale anche per le altre. Si possono distinguere varie accezioni di parola: la parola fonologica non coincide con quella morfologica o sintattica. Un criterio operativo abbastanza efficace è di considerare parola quelle unità che non possono essere interrotte, o meglio al cui interno non si può inserire altro materiale linguistico.

1.1 Tema, radice e forma
Si consideri il verbo “amare”; la forma “amare” è la forma di citazione che troviamo sui dizionari, anche detta lemma; è la forma di rappresentazione di tutte le forme flesse che il verbo può avere. La forma di citazione è la forma del verbo all’infinito. La forma di citazione del nome è il maschile/femminile al singolare; la forma di citazione dell’aggettivo è sempre il maschile singolare. In un testo compaiono forme flesse; il processo che porta dalle forme flesse ai lemmi è la lemmatizzazione. Per quel che riguarda il verbo bisogna distinguere tra tema e radice: togliendo la desinenza flessiva al verbo “amare” si otterrà “ama” che è il tema; il tema può essere analizzato come una radice “am” più una vocale tematica.

2. Classi di parole
Le parole di un lingua sono raggruppate in “categorie lessicali” che sono: nome, verbo, pronome, articolo, aggettivo, preposizione, avverbio, congiunzione e interiezione. Le classi di nomi che assumono forme diverse sono dette “variabili”, mentre le altre sono dette “invariabili”. Un’altra distinzione è quella tra parole “aperte” e “chiuse”: alle prime si possono aggiungere sempre nuovi membri, le altre sono formate da un numero finito di membri. Le categorie lessicali cui le parole appartengono limitano le combinazioni possibili delle parole.

3. Morfema
Un morfema è la più piccola parte della lingua dotata di significato; è un segno linguistico costituito da significante e significato. I morfemi si dividono in lessicali e grammaticali: i primi hanno significato che non dipende dal contrasto mentre i secondi ricevono significato dal contesto in cui si trovano. Ad esempio la parola “libri” si divide in “libr” (morfema lessicale) e “i” (morfema grammaticale). Un morfema può essere così piccolo da essere costituito da un solo fonema.
I morfemi possono essere liberi o legati: sono liberi quando possono ricorrere da soli in una frase e sono legati quando per poter esistere in una frase bisogna aggiungere altre unità. Le parole composte da un solo morfema sono “monomorfemiche”, quelle composte da due morfemi sono “bimorfemiche”. Il termine morfema designa un’unità astratta che è rappresentata a livello concreto dall’allomorfo. Ad esempio in inglese il plurale viene indicato con la “s” di cui si possono avere tre realizzazioni [s], [z] e [׀z]: queste tre rappresentazioni del morfema sono i suoi allomorfi. Es. rock [S] toy [z] dish [iz]

4. Flessione, derivazione e composizione
Le parole semplici possono subire diversi processi di modificazione:
   Flessione: aggiunge alla parola di base informazioni riguardanti genere, numero, caso...
   Derivazione: aggiunta di una forma legata (affisso) ad una forma libera e può avvenire per prefissazione, suffissazione e infissazione.
   Composizione: forma parole nuove a partire da due esistenti.

5. Morfologia come processo
Un verbo può nascere come tale o divenirlo attraverso diversi processi. La composizione e la derivazione si distinguono perché il primo processo unisce due forme libere mentre il secondo una forma libera e una complessa. Prefissazione e suffissazione in quanto il prima non cambia la categoria lessicale mentre la seconda sì.

Esistono altri processi di modificazione delle parole:
   Conversione: cambiamento di categoria senza che vi sia aggiunta manifesta di affissi.
   Raddoppiamento: raddoppiamento di un segmento parziale.
   Parasintesi: base più prefisso e suffisso senza che la sequenza prefisso/base sia una parola dell’italiano e altrettanto non lo sia base/suffisso. Es a-bottone-are

6. Allomorfia e suppletivismo
L’allomorfia è il livello concreto dei morfemi. Si parla di suppletivismo quando in una serie omogenea si trovano radicali diversi che intrattengono evidenti rapporti semantici ma non altrettanto evidenti rapporti formali. Ad esempio vado/andiamo, acqua/idrico... Il suppletivismo può essere sia “forte” che “debole”: è forte quando vi è alternanza dell’intera radice, è debole quando tra i membri della coppia vi è una base comune.

7. Parole semplici e parole complesse
Le parole semplici sono date e costituiscono il lessico del parlante, esempio ieri,  mentre quelle complesse sono formate tramite regole morfologiche esempio capostazione = capo+ stazione.

8. Parole suffissate
Postino = posta+ ino
Giornalaio= giornale+ aio

9. parole prefissate
Disabile= dis+abile
Retrobottega= retro+ bottega

10. Morfologia e significato
La formazione delle parole consta di una parte formale e una parte semantica. Ad esempio:
vino+aio = vinaio (persona che vende vino);
giornale+aio= giornalaio (persona che vende giornali).

La parte fissa “aio” è la parte fissa di significato, mentre quella variabile corrisponde al nome di base. La semantica di una parola è composizionale (o trasparente), cioè si ottiene dal significato degli elementi componenti. Il suffisso “-bile” fornisce un significato passivo. Quando una parola permane a lungo nel lessico può acquistare significati idiomatici, ovvero non desumibili dagli elementi che la costituiscono.

11. Composti dell’italiano
Si consideri un composto come “camposanto”, la struttura è rappresentabile come [[campo]N+[santo]A]N. Il composto ha la stessa categoria lessicale di uno dei suoi composti. Diremo che “campo” è la testa del composto e che la “categoria N” del composto deriva dalla testa. Identificare la testa del composto è importante perché è da questa che derivano al composto una serie di qualità; è dalla testa che derivano al composto a) le informazioni categoriali, b) i tratti sintattico-semantici e c) il genere. Un composto è una parola non interrompibile, all’interno della quale non possono essere inseriti altri elementi. Esistono vari tipi di composti:
   composti neoclassici: formati da due forme legate di origine greca o latina e da una forma libera o una legata, ad esempio “antropo+fago”, “dieta+logo”;
   composti incorporati: sono formati da un sintagma costituito da un verbo seguito da un SNO, ad esempio “horseride”;
   composti sintagmatici: sono più di origine sintattica che morfologica;
   composti reduplicati: formati dalla stessa parola ripetuta; hanno in genere un significato intensivo;
   composti troncati: formati per troncamento del primo costituente o di entrambi.

 

CAPITOLO VI
LESSICO E LESSICOLOGIA

Intro

Esistono almeno due accezioni di lessico: uno è il lessico mentale dei parlanti e l’altro prende la forma del dizionario. Le parole di una lingua sono memorizzate, mentre le frasi sono costruite tramite regole, ma non sono memorizzate.

1. Lessico mentale
Con “lessico mentale” si intende non solo la conoscenza delle parole, ma anche le conoscenze relative al funzionamento delle parole e dei rapporti tra le parole. Questo significa che ogni parlante è in grado di estrarre dal proprio lessico mentale delle liste di parole con certe caratteristiche. I parlanti sanno anche come tradurre i suoni di una parola nella grafia del proprio alfabeto. Per quanto riguarda l’accesso al lessico si suppone che alle parole si acceda tramite i primi suoni delle parole stesse.

2. Dizionari
Un dizionario si pone a livello della langue nel senso che è l’insieme delle parole usate da tutta una comunità linguistica; nei dizionari vi è anche molta diacronia, cioè vi si conservano parole che appartengono al passato. Un dizionario è costituito da lemmi e non da forme flesse. La differenza tra dizionario e enciclopedia è che il primo è una lista di parole che contiene informazioni sulla natura e sull’uso delle parole, mentre la seconda contiene informazione su tutto lo scibile umano.

2.2 Lessicalizzazioni
Sono esempi di lessicalizzazioni “tagliare la corda”, “nontiscordardimé”, il cui significato non è desumibile dalla somma dei significati delle parti. Si ha lessicalizzazione quando un gruppo di parole si trasforma in un’unita lessicale che si comporta come una parola sola. Esiste poi un processo di grammaticalizzazione per cui un’unità perde il suo significato lessicale per assumerne uno grammaticale, come ad esempio il suffisso “–mente”.

3. Stratificazione del lessico
Il lessico di ogni lingua è stratificato; lo strato [+nativo] è quello centrale, quello [-nativo] definisce gli strati periferici che spesso riflettono le vicende storiche. Lo strato [-nativo] dell’italiano è costituito da prestiti e calchi. Sia prestiti che calchi riguardano interferenze tra sistemi linguistici diversi. Si parla di calco quando vi è una riproduzione che sia di struttura morfologica, sintattica o semantica (ad esempio “skyscraper”=”grattacielo”); se la riproduzione è più centrata sul significante si parla di prestito. I prestiti possono essere “adattati” (parole entrate a far parte della lingua italiana) o “non adattati” (forma estranea alle regole fonologiche dell’italiano).

4. Dizionari specialistici
I dizionari sono:

  • Monolingui
  • Bilingui
  • Plurilingui
  • Etimologici
  • Sinonimi e contrari
  • Neologismi
  • Elettronici
  • Inversi
  • Di frequenza e concordanze

4.1 Dizionari elettronici
Permettono una serie di funzioni importanti:

  • Ricerca di lemmi
  • Ricerca di più lemmi con certe caratteristiche comuni
  • Caratteri speciali
  • Operatori logici
  • Possibilità di creare dizionari personalizzati
  • Sillabazione dei lemmi
  • Ottenere le forme flesse con l’indicazione degli ausiliari per i verbi
  • Trovare sinonimi e contrari
  • Arrivare ad un lemma a partire da una forma flessa
  • Ascoltare la pronuncia delle parole
  •  

 

CAPITOLO VII
LE COMBINAZIONI DELLE PAROLE: SINTASSI

1. La valenza
I verbi, così come gli elementi chimici, hanno bisogno di essere accompagnati da un determinato numero di altri elementi, affinché la frase risulti ben formata. Esiste quindi una valenza verbale. Gli elementi richiesti obbligatoriamente da un verbo sono detti argomenti.

 

 Tipologie della valenza dei verbi:
   verbi avalenti: non sono accompagnati da nessun argomento. Ad esempio piovere;
   verbi monovalenti: un solo argomento, sono verbi intransitivi. Ad esempio correre, parlare, arrivare...;
   verbi bivalenti: due argomenti, sono verbi transitivi. Ad esempio catturare, piantare, lanciare...;
   verbi trivalenti: tre argomenti, sono i verbi “di dire” o “di dare”. Ad esempio <Il professore ha detto ai ragazzi di fare silenzio.>.

All’interno di una frase esistono inoltre degli elementi facoltativi detti circostanziali.

2. I gruppi di parole
Un gruppo di parole è detto “sintagma”. Esistono dei criteri che ci permettono di individuare gruppi di parole:
   Movimento: le parole che fanno parte di uno stesso gruppo si muovono insieme.
   Enunciabilità in isolamento: le parole che fanno parte dello stesso gruppo possono essere pronunciate da sole.
   Coordinabilità: le parole che fanno parte dello stesso gruppo possono essere unite ad un altro gruppo.

La parola intorno alla quale è costruito un gruppo di parole è chiamata “testa” del gruppo di parole, gli altri elementi del gruppo sono detti “modificatori”; a seconda del tipo di parola otterremo diversi gruppi di parole:
   Sintagmi preposizionali: testa=preposizione;
   Sintagmi nominali: testa=nome;
   Sintagmi verbali: testa=verbo;
   Sintagmi aggettivali: testa=aggettivo.

Una rappresentazione della struttura dei sintagmi è costituita di diagrammi ad albero (indicatori sintagmatici), tramite lo “schema X-barra”, oppure tramite parentesi. I sintagmi sono i costituenti della frase mentre le parole sono i costituenti ultimi della sintassi. I sintagmi più semplici sono quelli costituiti dalla sola testa che è l’unico elemento la cui presenza è necessaria.

3. Le frasi
3.1 Frasi e gruppi di parole
Una frase è un gruppo di parole che esprime un senso compiuto, ma è anche vero che una sola parola può esprimere senso compiuto: se grido: <Gianni!> questa sola parola è sufficiente ad esprimere senso compiuto, cioè a richiamare l’attenzione di Gianni. Esiste una differenza essenziale tra i gruppi di parole chiamate “frasi” e gli altri gruppi di parole, cioè che le frasi sono composte di soggetto e predicato (con struttura predicativa). Il rapporto soggetto/predicato è di “dipendenza reciproca”, ossia l’uno dei due elementi esiste solo perché esiste l’altro. Con il termine “proposizione” si intende un frase con struttura predicativa di senso compiuto o meno. Esistono tre tipi di entità che possono essere chiamati frasi:

  • proposizioni di senso compiuto;
  • espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole (struttura non predicativa);
  • proposizioni senza senso compiuto.

3.2 Tipi di frasi
Una prima distinzione è quella tra frase semplice e complessa; la frase semplice non contiene altre frasi mentre quella complessa è formata da più frasi. Il rapporto tra le frasi che costituiscono una frase complessa può essere di coordinazione o di subordinazione: frasi semplici sono coordinate quando sono sullo stesso piano, sono subordinate quando non sono sullo stesso piano e in questo caso avremo frasi principali o dipendenti.
Modalità delle frasi:
   Dichiarative.
   Interrogative, che si dividono in “sì\no” e “wh-” (di specificazione).
   Imperative.
   Esclamative.

Dal punto di vista della polarità le frasi si distinguono in affermative e negative esempio (Gianni è partito/ Gianni non è partito); dal punto di vista della diatesi si distinguono frasi attive da frasi passive (Gianni ama maria/ maria è amata da Gianni), il punto di vista della segmentazione oppone frasi segmentate a quelle non segmentate (questo libro, non lo avevo mai letto /non avevo mai letto questo libro).

4. Soggetto e predicato
A livello sintattico si definisce “soggetto” l’argomento che ha la stessa persona e lo stesso numero del verbo; a livello semantico il “soggetto” è colui che compie l’azione, a livello della comunicazione il “soggetto” è ciò di cui si parla. E’ meglio però limitarsi ad usare i termini “soggetto” e “predicato” per riferirsi alle nozioni di livello sintattico. A livello semantico si parlerà di “agente” e “azione”, mentre a livello della comunicazione si parlerà di “tema” per indicare il “soggetto” e di “rema” per indicare il “predicato”.

5. Categorie flessionali
Le desinenze delle parti del discorso variabili esprimono le diverse categorie flessionali: ad esempio il genere, il numero, il caso, il tempo, la persona e il modo. Se due parole hanno le stesse categorie flessionali si parla di “accordo”; se invece una parola ha una data categoria flessionale perché le è assegnata da un’altra parola con categorie flessionali diverse si parla di “reggenza”.

5.1 Genere, numero e persona
In italiano esistono due generi, il maschile e il femminile; gli elementi del sintagma devono accordarsi con il genere del nome testa del sintagma nominale, questo non succede ad esempio in inglese in quanto l’aggettivo è invariabile. Per quanto riguarda il numero, l’italiano oppone l’indicazione di un solo oggetto a quella di più oggetti appartenenti alla stessa classe, quindi singolare e plurale. In lingue come il greco o il sanscrito esistono tre numeri grammaticali: il singolare, il plurale e il duale; altre lingue hanno un’espressione anche per il triale. Come il genere, anche il numero manifesta il fenomeno dell’accordo: se la testa del sintagma nominale è singolare devono esserlo anche gli altri elementi del sintagma. Le persone grammaticali sono tre: prima persona (colui che parla), seconda persona (a chi ci si rivolge) e terza persona (quella che non entra nel dialogo).

5.2 Caso
Il “caso” indica la relazione che un dato elemento nominale ha con le altre parole della frase, in cui si trova. In italiano, le relazioni tra verbo e argomenti sono espresse mediante 1) l’ordine delle parole e 2) l’uso di un morfema grammaticale libero. In latino la diversa relazione degli argomenti con il verbo è espressa dalla loro desinenza: nominativo, accusativo, dativo, genitivo, vocativo e ablativo.

5.3 Tempo e modo
Una frase come <Gianni è partito.> contiene un’espressione di tempo. La frase può essere enunciata in un determinato momento, il momento dell’enunciazione, mentre il tempo indicato nella frase è detto momento dell’evento. In determinate frasi viene indicato anche un momento di riferimento diverso dal momento dell’enunciazione e del momento dell’evento (ad esempio <Gianni parte.>. Per operare invece altre distinzioni all’interno del sistema dei tempi dell’italiano si ricorre alla categoria dell’aspetto: questa categoria ci permette di distinguere fra i tempi del passato cioè l’imperfetto, il passato prossimo e il passato remoto. Il termine “imperfetto” rimanda a qualcosa di non finito, si parla quindi di aspetto imperfettivo; passato prossimo e remoto sono esempi di aspetto perfettivo, cioè compiuto. Il passato prossimo descrive un evento passato i cui effetti sussistono ancora nel presente; il passato remoto descrive un evento che non ha più alcun rapporto con il presente.

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/linguistica/LE_LINGUE_E_IL_LINGUAGGIO%20fabio.doc

 

Linguistica
                                                                                                                          Lezione del 07/03/2005
Nel 1916 venne pubblicato il “Corso di linguistica generale”, risultato degli appunti delle lezioni di Saussure, che fu il momento in cui la linguistica si affermò come scienza autonoma vera e propria.
La dicotomia lingua scritta e lingua parlata ha due tipi di accezioni:
si può parlare di lingua parlata in opposizione alla lingua scritta sulla base della valenza sociolinguistica che comporta che per parlato si intende la lingua di uso comune, meno ricercata e meno attenta al rispetto delle regolarità grammaticali e lessicali standard e che è per sua stessa natura ricca di elementi normalmente assenti nello scritto (come esclamazioni, tono e inflessione di voce), mentre la lingua scritta, sempre dal punto di vista sociologico, è più ricercata soprattutto nel rispetto delle regolarità grammaticali e lessicali standard. Nello scritto per esprimere le idee si ha un modo diverso rispetto al parlato.
Un altro punto di vista per esaminare parlato e scritto intende il parlato come codice lingua in tutti i suoi aspetti, lo scritto è il codice scrittura, l’insieme delle regole con le quali l’enunciato, il flusso inarrestabile del parlato, viene trasposto su un supporto stabile per essere riusato o riletto.
Riassumendo la differenza tra scritto e parlato ha due accezioni, la prima che guarda a scritto e parlato come due varietà della lingua studiandone le differenze, l’altra accezione vede il parlato come lingua in generale e come scritto i sistemi di scrittura, i segni impiegati per scrivere.
Linguistica può essere vista come lo studio scientifico delle lingue.
Si parla di linguistica generale per intendere lo studio delle lingue dal punto di vista delle loro caratteristiche costitutive prese in un momento preciso, ossia nel loro aspetto sincronico.
Altro ramo della linguistica importante è quello della linguistica storica che studia lo sviluppo diacronico delle lingue, lo sviluppo attraverso il tempo.
Con linguistica si intende la scienza che studia lingue e che ricomprende dentro di se sia l’aspetto diacronico che sincronico.
Altro ramo importante è quello della tipologia linguistica, che studia le lingue in base a caratteristiche della loro struttura e verifica i caratteri comuni che comportano altre caratteristiche associate, catalogando così una sorta di parentela linguistica in base a degli universali linguistici al di la della parentela effettiva. Ad esempio inglese e tedesco sono imparentate poiché discendono dal protogermanico, altre lingue sono quelle slave che sono legate per il protoslavo, russo, serbo, sloveno, bulgaro (…) che hanno la caratteristica di avere un alfabeto in comune quale il cirillico.
Meno noto è che queste lingue madri da cui discendono le lingue moderne, sono imparentate a loro volta per il fatto di discendere dall’indoeuropeo comprendente anche lingue indiane derivanti dal sanscrito. Con l’andare del tempo le lingue si sono talmente differenziate che non sono più reciprocamente comprensibili, per l’effetto del mutamento linguistico che agisce incessantemente su tutte le lingue, sia sui significanti che sui significati: il mutamento dei significati è comprensibile per lo sviluppo scientifico-tecnologico che necessita di nuovi termini o il recupero di parole già esistenti con un nuovo significato per indicare nuovi concetti o fenomeni.
Saussure ricorre al recupero di termini già esistenti con nuovi significati per introdurre la dicotomia langue e parole per indicare un nuovo concetto.
Altro esempio è quello della parola fonema, un neologismo, per definire il nuovo concetto elaborato dalla scienza linugisitca.
Le lingue mutano anche nei significanti in modo più o meno vistoso, l’inglese ha subito mutamenti dei significanti molto radicali. Ad esempio la “r uvulare”, che è un fonema, in francese è stata inserita quando in classi sociali alte come carattere distintivo superiore che ha raggiunto nel corso del tempo l’intera lingua parlata francese. La “r uvulare” non crea ambiguità e per questo non ha sostituitola “r” originaria diventandone solo variante libera.
La sociolinguisitca studia come gli strati sociali influiscono sulla forma con cui si articola l’enunciato a seconda delle situazioni.
Il latino in Italia ha avuto moltissimi discendenti con una varietà di parlati locali, ma anche con grossi agglomerati quale ad esempio in dialetto toscano scelto poi per italiano perché era meno corrotto rispetto al latino originario. A partire dal latino si sono avuti moltissimi cambiamenti a livello di significante.
Il mutamento linguistico avviene con velocità diverse:
ad esempio in inglese la parola mouse ha il plurale in mice, nell’inglese medioevale si aveva mus (con la u lunga) al singolare, mentre al plurale mis (con la i allungata), nel 1500 si aveva mous e meis, quindi alla fine del ‘600 si è arrivati a mouse e mice. I motivi di questi mutamenti sono molteplici, per esempio una causa poteva essere la classe dominante che adottava una certa pronuncia per differenziarsi, oppure la nuova generazione tende a differenziarsi dalla precedente con nuovi metodi di pronuncia (…). Un motivo chiaro per questi cambiamenti non è stato ancora trovato.
Le lingue possono essere raggruppate su base genealogica, ossia la parentela, si parla in questo caso di classificazione genealogica delle lingue. Altro tipo di raggruppamento è la classificazione tipologica, ossia a seconda del tipo grammaticale a cui appartengono, ci sono analogie di comportamento tra grammatiche di lingue molto diverse non imparentate tra loro, i cosiddetti universali linguistici.
Creta è stata il luogo in cui lo sviluppo della scrittura ha avuto una storia eccezionale, probabilmente il nostro alfabeto moderno ha avuto una tappa fondamentale a qui, Creta è un punto di riferimento importante, mediatrice culturale tra oriente e occidente, culla di popoli che hanno sviluppato scrittura particolari sull’isola e successivamente ha influenzato la civiltà greca. Uno dei documenti più enigmatici è il disco di Festo, importante per il tipo di riflessioni che porta con se.
L’invenzione della scrittura è fondamentale per la nascita della linguistica, la riflessione sulle lingue non avrebbe potuto nascere e progredire senza la scrittura, tanto meno svilupparsi uno studio scientifico. La scrittura alfabetica ha permesso di raggiungere la segmentazione più piccola dell’enunciato, il fonema, rappresentato da un segno grafico.
Quando si parla di alfabeto latino, non significa che la lingua con cui esso viene trascritto sia il latino, un testo italiano è scritto in italiano, ma il sistema di scrittura è quello latino, con cui si scrivono diversi tipi di lingue. L’italiano è l’ultimo sviluppo del latino che era una fase di una lingua che si stava evolvendo cristallizzata all’epoca di Giglio Cesare, Cicerone (…). Questa lingua è stata cristallizzata all’interno della pubblica amministrazione romana il che le ha permesso di diffondersi nel bacino mediterraneo, successivamente è diventata la lingua ufficiale della chiesa, la struttura che si è sostituita all’impero romano al momento del suo crollo nel 476 d.C. quando l’ultimo imperatore dell’impero romano d’occidente viene destituito.
L’impero d’oriente sopravvive fino al 1476 quando i turchi riescono a conquistare anche Bisanzio imponendo la loro lingua come superstrato, non imparentato con la lingua indoeuropea, ma con quella mongola.
In Italia scendono gli Ostrogoti che rimangono per un periodo limitato visto che i Bizantini attorno all’anno 540 riprendono il controllo dell’Italia. Nel 578 i longobardi invadono e occupano l’Italia portando con se una lingua somigliante al gotico che ha influenzato l’italiano, ad esempio il termine guerra deriva dal longobardo.
I longobardi costituirono la classe dominante per diversi secoli fino all’800, la lingua dominante in questo periodo non fu il longobardo, ma il latino influenzato in parte dal longobardo.
Negli atti giuridici si aveva la distinzione tra longobardi e romani, i romani erano gli abitanti dell’Italia prima dell’arrivo dei longobardi.
All’interno dell’Italia c’era il nucleo dello stato della chiesa molto importante dal punto di vista linguistico perché assicurava al latino la preminenza.
Le zone non conquistate vennero definite romania, attuale Romagna, occupata dai Bizantini.
Il medioevo segna la decadenza della lingua latina che porta alla sua frammentazione a seconda delle zone. Gli eventi storici influiscono molto, quindi, sui mutamenti linguistici sia a livello dell’espressione che del contenuto.
I musulmani portando una cultura che ritenevano superiore, si sovrapponevano alla cultura precedente cancellandola, quindi l’arabo non ha subito le stesse influenze ad esempio dell’Italiano.
In Italia, a differenza di altre nazioni invase, i nobili tendevano a rinnegare il loro albero genealogico, qualora esso li ricollegava alle popolazioni di invasori, sostenendo di discendere invece dai romani, questo ha permesso al tuscanico, ad esempio, di preservarsi dalla corruzione dal latino originale.
Spesso la linguistica è stata legata alla politica, ad esempio in Albania Oxa ha voluto legare gli albanesi ai Pelasgi, quando in realtà non lo sono, infatti essi discendevano da popolazioni indoeuropee. I Pelasgi erano una popolazione raccontata nei miti greci come una popolazione che dominava la maggior parte dell’Europa. Nel tentare di realizzare il suo progetto Oxa ha allontanato dalle università tutti coloro che sostenevano la verità, chiamando invece coloro, come Mayani, che sostenevano le idee di Oxa.
Un mutamento da s ad h è molto frequente, molto più raro il contrario, la linguistica opera su dati statisticamente certi, quando il dato statistico aumenta si raggiunge la qualità della certezza, per stabilire i legami di parentela.
Nella comparazione linguistica non importa la somiglianza poiché le lingue possono adottare prestiti, ma anche perché possono avvenire mutamenti dei significanti radicali che traggono in inganno nell’indagine linguistica. Utile è invece l’esame del lessico fondamentale: per esempio i numeri, che risalgono ad una tradizione antichissima, possono rivelare somiglianze tra lingue importanti. Interessa che ci siano delle corrispondenze sistematiche, il che significa che se in una lingua una c corrisponde ad una q più volte questo significa che esse discendono da un suono comune per il mutamento diacronico.
Esistono fenomeni linguistici come l’assimilazione per cui i suoni della parole che vicino ad altri suoni assumono un’altra forma: in-abile im-possibile (invece di in-possibile), tutte queste mutazioni sono state catalogate in modo da poter essere riconosciute e studiate. Le mutazioni sono dovute alla semplice vicinanza di suoni, non ad altri motivi, si chiama mutamento articolatorio.
Lo studio dell’indoeuropeo ha portato alla creazione delle linguistica.
Nel 1952 Michael Ventris ha decifrato la scrittura lineare b risalente al 1300 a.C. (ca.), scoperta nel 1900 da Evans che scoprì anche la lineare a, ma la più diffusa era la lineare b. Si è scoperto che la lineare b era una forma di scrittura che trascriveva il greco, in questa forma era ancora presente la q, diventata t nel greco moderno, questa è la dimostrazione delle teorie in base al quale nel greco doveva esserci la q poiché lingua indoeuropea.
Tra scrittura e lingua c’è una differenza sostanziale, la scrittura può essere sempre letta, ma per essere compresa è necessaria la conoscenza della lingua.

                                                                                                                          Lezione del 14/03/2005
Si hanno due distinzioni in linguistica: per linguistica generale si intende sia la linguistica in generale, sia una parete della linguistica poiché studia le strutture fondamentali comuni a tutte le lingue; la linguistica sincronica, studia una fase della lingua in un determinato momento e applica i criteri generali comuni ricavati dalle singole lingue. La lingua è un fenomeno strettamente connesso alla mente, è il modo in cui la mente si manifesta all’esterno. Per questo la lingua ha strutture comuni, gli universali, la mente umana è uguale per tutti. Queste concezioni generali vengono applicate allo studio delle singole lingue, sono la facoltà che ha l’uomo u creare un codice complesso di comunicazione, ossia il linguaggio.
La linguistica storica studia lo sviluppo della lingua nel tempo.
La linguistica nacque sulla base degli studi di linguistica storica ha importanza fondativa, la linguistica nacque sulla base degli studi di europei, in particolare tedeschi, sulla comparazione delle lingue indoeuropee per risalire ad una protolingua. Questi studi hanno portato alla legge fonetica e all’introduzione del metodo scientifico esatto nello studio delle lingue che da sempre è stato ambito delle scienze umanistiche.
L’esistenza di una letteratura conosciuta permette la stabilità di una lingua che impedisce ala formazione di varianti, rallentando o evitando il mutamento linguistico.
Saussure ha per primo applicato le regole delle scienze esatte alle studio delle lingue, sia morte che vive.
Oggi si fa una distinzione tra lingua e dialetto in base alle convenzioni politco-sociali: una lingua ha una letteratura politica e un popolo che la appoggia. In realtà i dialetti sono lingue vere e proprie solo non hanno la tradizione scritta e vengono usati solo in determinati situazioni contingenti.
La linguistica storica è importante anche perché il mutamento linguistico agisce sempre sulle lingue più o meno lento, siccome la linguistica storica studia questo mutamento essa ha in conseguenza un’importanza fondamentale poiché da la prospettiva temporale necessaria per capire elementi, che derivano dal mutamento, altrimenti incomprensibili.
Le forme plurali si formano sulla base della legge dell’analogia, la legge del quarto proporzionale, es. loda:lodano=egli:x si usa il suffisso dei verbi per declinare i pronomi. In passato il plurale di egli era elleno, il –no derivava dal suffisso di –no del verbo al plurale, oggi questa forma è scomparsa proprio per la mutazione linguistica. Oggi al posto di eglino o elleno si usa loro o essi, loro però è anche un pronome possessivo. In italiano si ha il meccanismo di accordo in base al cui una si ha una sequenza di parole che si legano e che sono da usare insieme. La linguistica storica è importante per dare una spiegazione a certi fenomeni che avvengono all’interno di una lingua, altrimenti inspiegabili.
All’interno della linguistica esistono altri rami che studiano altri settori, uno di questi è la linguistica applicata che studia le tecniche con cui gli universali linguistici possono rendersi utili ad un’applicazione concreta, uno di questi è la glottodidattica che studia le tecniche di apprendimento per facilitare insegnamento e apprendimento. Sempre all’interno della linguistica applicata si ha la linguistica computazionale che studia l’interazione tra linguistica e informatica.
Altri rami importanti è quello della sociolinguistica, quello dell’interlinguistica, che studia le interferenze che ci sono tra le varie lingue e quello della tipologia linguistica che studia le lingue sulla base delle caratteristiche comuni sulla base della loro struttura: una lingua x che ha una certa caratteristica strutturale, automaticamente ci si deve aspettare che ne abbia altre, caratteristiche comuni.
La sociolinguistica studia il fatto che la lingua presente delle frastagliature, delle parti che si diversificano: si hanno assi lungo i quali sono rappresentate le diversificazioni possibili, l’asse diafasico, l’asse diastratico e l’asse diamesico.

La sociolinguistica studia la lingua nelle sue diverse varietà che ha all’interno della società dei parlanti, queste varietà dipendono da diversi fattori, i fattori diafasico, diastratico, diamesico, a cui si aggiunge il diatopico.
Il fattore diatopico è il fattore della varietà linguistica a seconda dei luoghi, la variazione attraverso i luoghi, studia le varietà locali.
Il diafasico studia le diverse varietà a seconda delle situazioni.
Il diastratico studia le varietà a seconda dello strato sociale.
Il diamesico indica le varietà linguistiche a seconda del mezzo tramite cui si trasmette il messaggio linguistico, ossia parlato, scritto,…
Quindi la stessa lingua ha al suo interno molte variazioni e differenze in base al luogo di provenienza, in base al contesto in cui si parla, dello strato sociale e in ultimo del mezzo con cui si comunica. Oggi la differenza per strato sociale è meno evidente rispetto alle epoche passate.
In Italia c’è una situazione di diglossia ossia i parlanti usano due lingue, ma una è inferiore all’altra (i dialetti). Questo porta a interferenze tra le lingue a livello dei suoni e delle parole. A livello delle parole, si hanno interferenze a livello sintattico, ad esempio “a me mi piace” che nell’italiano standard non è corretto, ma esso deriva dal dialetto in cui questa forma ridondante esiste. Altra interferenza si ha a livello dei suoni, nel dialetto lombardo esistono più vocali dell’italiano che vanno a influenzare le pronunce, per questo si riconosce la provenienza di una persona es “situassione”, la z italiana, suono affricato, è stata sostituita dal suono più simile, la sibilante, fricativa alveolare s. Questa situazione di interferenza si verifica soprattutto nei casi in cui l’italiano è una lingua appresa, ossia prima si è imparato il dialetto e poi l’italiano.
Nell’asse diamesico si passa da un polo scritto-scritto a parlato-parlato (parlato a braccio). Se una persona scrive per parlare, si useranno strutture diverse da quando si opera nel polo scritto-scritto, poiché nel parlato si devono fare ripetizioni per permettere una comprensione precisa, che nello scritto non sono necessarie, nello scritto si può rileggere.
La sociolinguistica è importante poiché spiega molti fenomeni altrimenti inspiegabili se la lingua fosse concepita come monolite.
La lingua è il primo aspetto della mente, la linguistica potrebbe essere quindi considerata come subordinata alla psicologia. La linguistica ha grande importanza nello studio dei suoni, delle grammatiche, quindi studia i rapporti tra lingua e mente, la lingua come calco della mente. In realtà questi codici sono il prodotto dell’interazione tra un fenomeno naturale e un fenomeno storico, le lingue vengono prodotte da un processo che si sviluppa nella mente in funzione di una situazione storica-sociale-tecnologica, la lingua permette di comunicare in una determinata dimensione. Quindi si studia come interagiscono due ordini di fenomeni interni ed esterni all’essere umano, altro fattore che rende importante la linguistica e la rende autonoma dalla psicologia.
Data chiave, oltre al 1916, è il 1957 quando venne pubblicato il libro “Strutture sintattiche” di Chomski che lavora va come studioso all’istituto di tecnologie del Massachussets, che divenne importante nello studio linguistico dopo che vi si trasferì Jacobson di cui fu allievo Chomski. Saussure fondò lo strutturalismo, Chomski andò oltre fondando una nuova corrente scientifica di studio, il generativismo che si base su un’analisi della lingua altamente matematizzante che alle volte risulta eccessivo. Egli pose in evidenza il fatto che alla base del linguaggio c’è una struttura profonda che sarebbe uguale per tutte le lingue e per ciò era inevitabile che la lingua si formasse e sviluppasse in questo modo.
La linguistica è una scienza umana con metodi esatti che ha per oggetto le lingue e il linguaggio, in quanto facoltà di associare l’ordine dell’espressione all’ordine del contenuto.
Non viene studiato solo il linguaggio umano, ma anche quello animale, poiché anche in esso c’è un’associazione tra ordine e contenuto: ad esempio il linguaggio delle api che in base alle vibrazione dell’addome e dall’ampiezza del cerchio compiuto, indicano l’ampiezza e la distanza da un giacimento di cibo. Questo linguaggio, però, non ha la capacità di esprimere concetti astratti, ma ben più importante non ha la libertà dagli stimoli, non si può comunicare qualcosa che riguarda un momento passato o futuro, ma solo all’esigenza, uno stimolo, del presente. Il linguaggio umano invece ha libertà dagli stimoli, è discreto, il linguaggio delle api non è discreto, non si ha una netta differenza tra un segno ed un’altra, l’ampiezza del cerchio e il numero delle vibrazioni è di interpretazione soggettiva, si può confondere. Il linguaggio umano ha invece un limite in base al quale le percezioni sono ben distinti. Altra distinzione è il carattere della ricorsività per cui una regola può essere applicata più volte al risultato della sua applicazione: ad un nome si può applicare una frase relativa “Luigi che ha bevuto la camomilla dorme” alla frase relativa “che ha bevuto la camomilla”, può essere applicata un’altra relativa “Luigi che ha bevuta la camomilla che gli ha dato la mamma dorme” e così via, teoricamente all’infinito. La ricorsività non esiste nel linguaggio animale. La ricorsività è connesso con la dipendenza dalla struttura, la frase principale può essere divisa da diverse frasi relative, la capacità di riconoscere la struttura a cui applicare le relativa si chiama dipendenza dalla struttura, nel linguaggio animale questa caratteristica non si ha.
Lo studio scientifico della lingua e del linguaggio si articola su diversi livelli a seconda di come si seziona l’elemento linguistico. Saussure ha introdotto il concetto di segno linguistico, distinto in significante e significato. Per Saussure era più importante quel che sta nel cervello (l’idea), rispetto a quel che viene pronunciato: per spiegare questo ha introdotto l’antinomia langue e parole, la langue è il livello astratto, le convenzioni osservate da tutti e che fanno funzionare il codice all’interno di una comunità di parlanti, per codificare e decodificare il codice, mentre la parole è il livello concreto, la messa in pratica delle regole astratte. Questa dicotomia è stata tenuta in italiano senza essere tradotta per poter mantenere il significato poiché traducendo in italiano parole con parola si avrebbe commesso un errore visto che parola in francese si dice mot.
Quella caratteristica che ci permette di distinguere uno dall’altro i suoni della lingua, appartiene alla langue, ad es. vero-velo anche riconoscere quei significanti che non hanno significato es. vepo.
Nel cervello è presente un elenco di caratteristiche che ci permette di riconoscere un elemento fonetico molto diverso da un altro e associarli come uguali: ad es. incapace (n alveolare) e indivisibile (n dentale), le n sono diverse sia dal punto di vista fonico che articolatorio, ma noi le percepiamo come uguali. Questa caratteristiche varia da lingua a lingua, poiché suoni che in italiano hanno uguale valore come la n dell’esempio sopra citato, in altre lingue hanno carattere distintivo e quindi valore differente per distinguere i significanti: un esempio è l’inglese dove sing e sin possono essere pronunciate in maniera analoga, ma in inglese standard le due n sono da pronunciare in maniera differente.
Saussure riteneva che sia significante che significato stanno nella mente, poiché abbiamo l’idea di quel che vogliamo dire, ossia il significato, e il modo per dirlo, ossia il significante.
Bari e pari sono due parole diverse, la differenza tra b e p sta nel fatto che la p è una consonante occlusiva bilabiale sorda, mentre la b è una consonante occlusiva bilabiale sonora, il sonoro è dato dalla vibrazione delle corde vocali, stessa differenza si ha per t e d e per c e g.
I suoni posso essere pronunciati in maniera sempre più simile, fino all’ambiguità, ma il cervello sarà sempre in grado di distinguere i suoni per la discretezza. Nel caso in cui il soggetto emittente abbia dei difetti di pronuncia tale da scambiare i suoni ad es. gari ragazzi, il cervello riesce a decifrare il significato per il contesto, se si prende la parola singola si possono avere difficoltà. I fonemi presenti nel nostro cervello, la parte più piccola in cui può essere diviso un significante con valore distintivo, permetto appunto di distinguere i significanti. Ci sono fonemi che non sono rappresentati da un’unica lettera alfabetica, ad esempio un fonema come  ∫ sarà rappresentato da due grafemi, sc, quindi la corrispondenza tra scrittura e pronuncia non è sempre uguale, in italiano la differenza è minima, in altre lingue, come l’inglese è molto più evidente, poiché si ha uno scollamento tra scritto e parlato, per questo i linguisti hanno ideato l’alfabeto fonetico internazione API o IPA, che serve per scrivere i suoni delle lingue in modo scientifico, prescindendo dalle grafie che sono risultato di un adattamento di una scrittura precedente ad una nuova lingua che varia nel tempo. In italiano c’è un fonema /n/ che ammette tanti variabili, può essere articolata come [n] vera e propria consonante nasale-alveolare (la lingua va contro gli alveoli), come [ŋ] consonante nasale-velare (il dorso della lingua si sposta verso il velo palatino), oppure come [η] consonante nasale labiodentale (i denti si poggiano sul labbro inferiore, la lingua non si solleva). Per il primo caso è l’esempio di naso o indivisibile, per il secondo l’esempio è anche o incapace, mentre per il terzo anfora o infido.
In altre lingue questi tre suoni distinguono tre suoni diversi, essi diventano fonemi, in italiano invece sono foni, varianti del fonema n, il cui usa dipende da un contesto, dalla posizione occupata nella parola.
Tutti i foni raggruppati come varianti di uno stesso fonema si chiamano allofoni, sono i suoni concreti realizzati a livello di parole. Il fonema è il suono astratto, il fono è il suono concreto che per questo può avere delle varianti che saranno catalogate sotto uno stesso fonema. Nella lingua le distinzioni si fanno non con valore positivo, ma oppositivo, in pratica non si definisce cosa è una n, ma cosa non è.
Dal punto di vista linguistico la lingua si può analizzare su diversi livelli: fonetico (più basso), fonologico, morfologico, lessicale, semantico, testuale, sintattico,…
Il livello fonetico studia i suoni emessi dalla voce umana.
Il livello fonologico studia i suoni per funzione nelle singole lingue.
Il livello morfologico studia i morfemi e le combinazioni.
Il livello lessicale studia le parole.
Il livello semantico studia i significati dei segni linguistici.
Il livello sintattico studia le combinazioni delle parole.
Il livello testuale studia le combinazioni per comporre un testo.
Al momento della pronuncia dei suoni delle consonanti si distinguono due concetti: il punto di articolazione è il punto in cui gli organi articolatori si avvicinano maggiormente a partire dalla punta delle labbra fino alla gola (glottidali), mentre il modo di articolazione è il modo in cui gli organi articolatori si dispongono per la pronuncia.

                                                                                                                          Lezione del 21/03/2005
All’interno delle scritture fonetiche ci sono quelle alfabetiche, tra cui si distinguono quelle in senso proprio e quelle consonantiche, e quelle sillabiche.
Il codice lingua è l’unico codice che ha anche funzione metalinguistica, è l’unico che può essere impiegato per parlare di altri codici. La lingua è il codice concreto con cui una comunità di parlanti comunica, il linguaggio è la facoltà di associare un ordine dell’espressione ad un ordine di contenuto al fine di manifestare quest’ultimo, il contenuto è il concetto mentale, l’espressione sono le azioni a cui si associano questi contenuti (suoni, segni, movimenti,…). Sono conformi quei codici che hanno corrispondenza biunivoca tra significante e significato, ad un solo significato corrisponde uno e uno solo significato, la lingua italiana non è conforme, spesso si incontra omofonia, stessa espressione fonica, ma contenuto diverso, tra parole, la sinonimia, invece, si ha quando due segni linguistici hanno espressione diversa è contenuto simile. L’omonimia si ha quando l’uguaglianza a livello di significato va oltre l’espressione fonica e comprende anche quella grafica, si scrive e si pronuncia allo stesso modo (es piano), in italiano si hanno spesso omonimi che sono anche omonimi, nelle altre lingue, ad esempio in inglese questa situazione non si ha.
Ci sono casi in cui possono esserci omografi che non sono omofoni, è l’esempio di botte e bòtte.
Riconoscere dove cade l’accento non è semplice, si può adottare la regola dei latini secondo cui si deve ipotizzare di dire ad alta voce la parola, la lettera detta più a lungo è quella accentata.
Il linguaggio verbale umano si distingue da quello animale per la maggiore capacità di linguaggio, è caratterizzato da discretezza (il linguaggio animale è continuo), è l’unico a essere doppiamente articolato, è caratterizzato dalla ricorsività. Per ricorsività si intende che un enunciato qualsiasi prodotto da una qualsiasi regola, è passibile dell’applicazione della stessa (es nome più frase relativa a cui si può aggiungere altre frasi relative). Altra differenza è la dipendenza dalla struttura, legata alla ricorsività, per cui si intende che si percepisce la sequenza dei suoni e anche il loro legame, grazie a questo si può stabilire quale sia la frase principale anche se essa è divisa da una serie di frasi relative.
La doppia articolazione è stata scoperta da Martinet che ha elaborato il modo classico di classificare i morfemi della lingua, ma ha anche detto che si prende un qualunque enunciato come il “cane abbaia”, questo deve essere articolato, ossia segmentare dal punto di vista linguistico (in fonetica significa pronunciare dei suoni) per riconoscere i componenti base: si possono fare due tipi di articolazione, la prima consiste nel fare tagli in pezzi in modo che ognuno di essi abbia ancora associare un significato, quindi il/can/e/abba/i/a. Il non può essere diviso ulteriormente perché la “L” non ha nessun significato in italiano, cane invece può essere spezzato perché può essere confrontato con il suo plurale o femminile, una parte resta invariata, essa porta il significato ed è “can”, la “e” indica invece il genere e il numero. Per quel che riguarda abbaia si fa sempre un confronto e allo stesso modo si stabilisce la divisione. Ogni elemento della prima articolazione si chiama morfema, è la più piccola parte dotata ancora di significato in cui si può dividere l’enunciato.
La seconda articolazione consiste nello spezzettare ancora di più l’enunciato, si ha quindi i/l/c/a/n/e/a/bb/a/i/a, le unità di seconda articolazione si chiamano fonemi. Ogni lingua è basata su un numero limitato di fonemi, i suoni della lingua. Potrebbe sembrare che ogni fonema corrisponde ad una lettera, ma non è così, ad esempio la parola scienza si divide in sci/e/n/z/a poiché sci è un singolo fonema. Il fonema può essere definito come l’elemento minimo che ha ancora valore distintivo a livello di significante, per esempio cane (c/a/n/e) si distingue da pane (p/a/n/e) solo per la prima consonante, questo tipo di confronto con parole del tutto simili, differenti solo per un unico suono, permette di individuare i fonemi, ed è la prova di commutazione, quel più piccolo pezzo è un fonema proprio perché ha valore distintivo, distingue un significante da un altro, in questo caso l’opposizione p e c permette di distinguere le due parole.
Carattere comune a tutti i suoni è il passaggio dell’aria, emissione della stessa.
Lo schema dei segni per trascrivere la voce umana, i fonemi, consiste nella rappresentazione grafica che riproduce per certi aspetti la posizione degli organi di fonazione all’atto della pronuncia. È fondato su due coordinate, sull’asse orizzontale sono indicati i punti di articolazione, su quello verticale i modi di articolazione: i punti di articolazione sono i punti dove gli organi fonatori si avvicinano maggiormente all’atto della pronuncia, i modi di articolazione sono invece i modi in cui si dispone l’organo fonatorio. I punti di articolazione sono disposti a partire dalla punta delle labbra fino in fondo alla glottide: si hanno i bilabiali, labiodentali, dentali, post-alveolari,…
Per quel che riguarda i modi di articolazione si hanno diversi modi:
un primo modo è quello delle occlusive, suoni che per essere prodotti prevedono il trattenimento dell’aria, ad esempio la p si produce senza vibrazione delle corde vocali, è un’occlusiva, l’aria viene bloccata fino ad una sorta di esplosione, per questo le occlusive si chiamano anche esplosive. In italiano sono molto usate, quando si ha una coppia di occlusive la prima è sorda, la seconda è sonora (vibrano le corde vocali), nel caso della p è una consonate occlusiva bilabiale sorda, la b è uguale alla p solo che è sonora. La d e la t sono occlusive dentali sorda nel caso della d, sonora nel caso della t.
Le occlusive retroflesse sono caratterizzate dal fatto che la punta della lingua è rivolta all’indietro, esse sono presenti in alcuni dialetti del sud.
Le occlusive palatali, anch’esse non presenti in italiano, sono occlusive in cui l’occlusione si ha a livello del palato.
Le occlusive velari, presenti in italiano, presentano una prima differenza a livello di scrittura, la c di casa si scrive K, per scrivere che (ch/e) Ke, lo stesso per la g, alghe verrà scritto come alge (a/l/gh/e).
Le occlusive glottidali, rare in italiano, consistono in una sorta di colpo all’inizio della parola, ad esempio attenzione.
Un secondo modo è quello delle nasali, rispetto alle occlusive comportano l’abbassamento del velo palatino così che possa funzionare la cassa di risonanza nasale, ad esempio n e m sono i più conosciuti, ad esempio naso o mano. Il passaggio dell’aria avviene anche attraverso la cavità nasale, non solo orale. In caso di raffreddore si ha difficoltà nella pronuncia di questi fonemi che vengono pronunciati come occlusive sonore, per esempio invece di m si pronuncia b e di n si pronuncia d. Le nasali sono contigue, sempre sonore, non hanno la caratteristica dell’esplosività, possono essere prolungate, la m è una consonante nasale bilabiale (stesso punto di articolazione della b, ma diverso modo), la n è consonante nasale dentale (stesso punto di articolazione della d, ma un diverso modo).
Digrafi e trigrafi sono gruppi di segni per scrivere un singolo suono, un esempio è la gn, nasale palatale, di gnomo, nell’alfabeto fonetico internazionale si scrive come una n con allungata la parte anteriore. Anche nel caso delle nasali esistono le retroflesse che non esistono in italiano, ma in lingue come il sanscrito.
In italiano sono pertinenti anche le nasali labiodentali e la nasale velare, esse, in italiano, non sono dei fonemi, ma delle varianti che dipendono dal contesto, sono allofoni, per esempio in anche, incapace, la n [ŋ] viene pronunciata senza il sollevamento della punta della lingua, essa ricorre sempre quando c’è una n che compare davanti ad una consonante occlusiva velare (gh o ch).
Ad esempio incapace sarà scritto in alfabeto fonetico come [ίŋkàpat∫e], infelice come [ίηfelit∫e], mentre inabile [inabile].
In italiano le uniche vibranti che interessa è la consonante vibrante alveolare o dentale, ossia la r, la caratteristica delle vibranti è la vibrazione ripetuta, sono sempre sonore, possono essere prodotte a lungo.
Le due categorie più importanti delle consonanti sono le occlusive e le fricative, questo perché alcuni elementi che in italiano sono consonanti come la m e la n, in atre lingue sono vocali.
In italiano non esistono fricative bilabiali, ma in spagnolo si, come ad esempio la [β] che è una fricativa bilabiale sorda pronunciata in parole come vita, dove in spagnolo la v diventa “b”, la [β]. In italiano questo suono non esiste e viene considerata come v.
Nelle fricative non c’è uno stop come nelle occlusive, ma l’aria incontra un ostacolo tale che provoca una frizione, l’aria passa sempre, il passaggio è molto stretto e per questo provoca frizione, da questo la definizione di fricative. In italiano il suono più simile è la v, con l’unica differenza che invece di appoggiare le labbra una sull’altra, appoggiamo i denti sul labbro inferiore provocando la frizione. I punti in cui si avvicinano di più gli organi articolatori sono o le labbra o il labio-dente, da qui il termine fricative labio-dentali e fricative bilabiali. F e V sono uno stesso suono l’unica differenza è che la v è sonora mentre la f no.
Le fricative dentali sono chiamate anche interdentali, sono caratterizzate dal fatto che la lingua sta tra i due denti, in italiano non esistono, in inglese sì, per fenomeni di fonologia contrattiva, quando un suono non esiste in una lingua, il ricevente lo associa al più simile presente nella sua lingua, per questo thing sarà associato fing, la f è la più simile alla fricativa dentale th inglese. Anche in questo caso si distingue in sonore e sorde.
Due fricative che esistono in italiano sono la “s” e la “sz”, la differenza tra s e “sz” sta nel fatto che la s fa vibrare le corde vocali, mentre la “sz” no.
In italiano esiste una norma che dice che tutte le volte che la s compare scempia tra due vocali si pronuncia “sz” (casa, televisione,…), dal punto di vista diatopico questo criterio non viene percepito e la “sz” viene pronunciata sempre come “s”, andando così a costituire un marcante di competenza. “S” e “sz” potrebbero essere chiamate anche fricative alveolari dentali.
Altri due suoni presenti in italiano sono la “sc” e la “sg” una coppia di cui il primo membro è pertinente il secondo no, il primo caso è per esempio scimmia [‘∫im:јa], la [∫] è una fricativa post-alveolare, i due punti significa che la m è doppia. In italiano la “sg” non esiste, mentre in francese si è rappresentato come [з].
Esistono poi le fricative retroflesse, palatali e velari, ma in italiano non sono usate.
Le fricative laterali sono rappresentate con una linea continua al di sopra.
Altra categoria sono le approssimanti e le approssimanti lateriali, le lateriali sono rappresentata della l, consonante laterale dentale o alveolare, a seconda di dove si pone la lingua, il termine laterale deriva dal fatto che la lingua va a costituire un ostacolo al centro e l’aria passa ai lati. L’altra laterale è la laterale palatale [λ], presente in coniglio e aglio [aλ:io] i due punti vengono messi poiché quando la laterale palatale è interna è sempre doppia.
Infinite ci sono le approssimanti, la frizione è minore delle fricative, l’apertura è maggiore, due sono quelle più importanti, l’approssimante bilabiale, o velare, [w] e l’approssimante palatale [j], codificati non molto bene in italiano, mentre in inglese sì, per esempio in will e wish poiché è stata percepita una differenza tra la u e la w. In italiano si può trovare questa situazione in uomo, dove la u di uomo è “scivolante” e sarà rappresentata come [w], stesso caso in iena dove la i sarà rappresentata come [j]. Questi suoni sono stati chiamati semivocali o semiconsonanti per differenziarli.
Altro gruppo sono le affricate, tra cui le più comuni sono [ts], [dz], [t∫]
e [dз], digrafi che rappresentano un solo suono. La loro caratteristica è quella di essere composta da una parte occlusiva (l’attacco) e da una parte fricativa (la coda). Ad esempio zio si scrive [dzio] (non vibrano le corde vocali) o [tsio] (vibrano le corde vocali), agio [‘adзo], raggio [rad:зo] e razzo [rad:zo], quindi le doppie vengono rappresentato con i due punti tra il digrafo.
La grafia incide sulla lingua, sul piano fonologico, un esempio si ha in scritture in cui quello che si scrive non è esattamente come quello che si dice, un esempio è efficienza che sarebbe da pronunciare senza la i, ma c’è chi pronuncia anche la i, il che è marca diastratica e diatopica, il valore della forma scritta va a prevalere su quella parlata. Un altro caso è quello dei prestiti dove i suoni vengono pronunciati come quelli più simili a loro presenti in italiano.
In italiano esistono sette vocali, la dimostrazione sta ad esempio nelle parole come botte e bòtte che mostra l’esistenza di due o, lo stesso dicasi per la e però nell’italiano del nord si può dire che questa differenza è sparita. L’italiano del nord sta diventando l’italiano standard, sta prevalendo su quello dell’italia centrale, esso presenta sei vocali. La vocale centrale è la a perché il dorso della lingua è in mezzo e più in basso possibile, invece per pronunciare la “e” e la “o” il dorso della lingua si deve innalzare più in avanti verso il palato duro nel caso, ramo anteriore delle vocali palatali, oppure verso il dietro nel caso delle velari, ramo posteriore. Il punto in cui la lingua si avvicina di più al palato è quello corrispondente alla lettera i, quello in cui si avvicina di più al velo è la o.
Esistono altre vocali, presenti in altre lingue, si hanno un ramo anteriore, un ramo posteriore e un ramo centrale, la a viene posta appartenente al ramo anteriore, ci sono le vocali aperte, medioaperte o mediobasse, mediochiuse, chiuse, alte e medioalte. Dallo schema che ne deriva esistono due coppie di suoni, la prima rappresenta la variante non labializzata o non arrotondata, la seconda la variante labializzata o arrotondata, la i è un suono che si pronuncia ponendo la lingua con il dorso in avanti spinto verso il palato duro, senza arrotondare le labbra, arrotondandole invece si produce un suono usato in francese, uguale per quel che riguarda la posizione della lingua alla i, ma diverso per le labbra che fanno modificare il suono emesso.
Le vocali posteriori in italiano sono i regola tutte arrotondate, quelle anteriori invece non arrotondate.

                                                                                                                          Lezione del 04/04/2005
Nello studio dei codici, il codice secondario è quel codice il cui contenuto è espressione di un altro codice. La scrittura alfabetica è un codice composto da elementi e regole, per la scrittura gli elementi sono segni grafici, le regole sono diverse da quelle grammaticali, sono le regole ortografiche, quindi si ha il repertorio dei grafemi.
Le sillabe accentate aperte, che non finiscono per consonante, sono lunghe, ossia pronunciate allungandole. Normalmente in italiano la lunghezza delle vocali non è pertinente, in altre lingue invece si.
La trascrizione tra parentesi [ ] è una trascrizione fonetica, quella tra parentesi / / è fonologica o fonematica, trascrive i fonemi, gli elementi fonici strettamente pertinenti. Può capitare che le due trascrizioni sono uguali, ma si hanno casi in cui è diversa, per esempio [‘aŋke] e /’anke/, l’apostrofo è l’accento che si segna prima della sillaba su cui cade. Le due “n” sono diverse in scrittura, nella scrittura fonetica si ha la trascrizione della nasale velare, ma essa in italiano non è pertinente, rappresenta, cioè, solo un allofono della “n”, quindi nella trascrizione fonologica essa sarà rappresentata solo con una /n/ poiché non è pertinente. La “n” fonema è normalmente rappresentata da una n, davanti a ch e gh è rappresentato dal segno della nasale-velare. Queste differenze dipendono dal contesto, ossia dalla posizione della n, in questo caso.
Dal punto di vista del parlato si ha una distinzione in espressione, indicata con le parentesi [ ], e contenuto indicato con “ “. Nello scritto, codice secondario, si ha una distinzione tra espressione, che è rappresentata con le < > in cui è posta la parola come è da scrivere, e un contenuto che rappresenta il suono, ossia come è da leggere, per questo il codice scrittura è definito secondario perché ha come contenuto l’epsressione di un altro codice. Ogni linea della scrittura è qualcosa che sta per qualcosa d’altro, ossia il suono.
Esistono scritture in cui l’aderenza tra scritto e parlato è minore rispetto all’italiano, ma lo schema concettuale è analogo, con l’accortezza di intenderlo riferito ad ogni parola presa singolarmente.
Si hanno varie classificazioni di sistemi di scrittura che derivano da una riflessione su di essi nel corso dei secoli, si possono classificare tutti i sistemi in due gruppi:
1)scritture ideografiche: la loro struttura è sempre la stessa
2)scritture fonetiche: sono la prevalenza, tranne nel caso del cinese e del giapponese che sono ideografiche. Si hanno al loro interno delle sottodistinzioni: scritture fonetiche sillabiche e scritture fonetiche alfabetiche. All’interno delle scritture alfabetiche si ha la distinzione tra scritture alfabetiche consonantiche e le scritture alfabetiche in senso proprio.
Le scritture alfabetiche in senso proprio si basano su un alfabeto che in linea di principio permette di individuare numerosi collegamenti tra grafemi, chiamate lettere che in linea di principio corrispondono spesso ad un fonema, e fonemi. L’ordine tra grafemi e fonemi è strutturato in modo tale che tra loro vi sia una quasi aderenza, ci sono però scritture alfabetiche progredite nel tempo che hanno incontrato uno scollamento tra il repertorio grafematico e il repertorio fonematico. Quando si usano due grafemi per scrivere un fonema si parla di digrafo, trigrafo nel caso in cui vengano usati tre grafemi. Esempio è la parola scienza, dove “sci” è indicato con il simbolo ∫ consonante fricativa palatale.
Le scritture alfabetiche consonantiche sono trascrizioni di sole consonanti, sono le scritture delle lingue semitiche.
Le scritture sillabiche sono oggi quasi scomparse, sostituite da alfabetiche. L’eccezione è rappresentata dall’India in cui si usa la scrittura devanagarica. Ogni grafema rappresenta una sillaba. Non c’è quindi una corrispondenza netta tra ordine del repertorio grafematico e fonematico perché si trascrivono sillabe, inoltre queste scritture sono meno economiche perché prendendo solo le sillabe aperte, si arriva ad un’ottantina di elementi a cui bisogna aggiungere segni per sillabe differenti. Questo sistema di scrittura, quindi, si presta alla scrittura di lingue che hanno vocali aperte, in maggioranza.
Il repertorio fondamentale dei grafemi è costituito in assoluto è costituito da segni che trascrivono un suono, sono i fonogrammi, grafemi che trascrivono un suono, sia esso un fonema, una sillaba o un’unità superiore.
Quello che accomuna, quindi, le scritture fonetiche è il fatto di avere il loro repertorio grafematico fondamentale rappresentato da fonogrammi, l’insieme dei loro segni di scrittura è un segno suono.
Ad esempio in ebraico le vocali vengono poste da chi legge, la morfologia della lingua permette di riempire questi vuoti, stesso discorso per l’arabo.
La lineare B serviva a trascrivere il greco parlato tra il 1200-1400 a.C. sull’isola di Creta e sul continente greco, ossia il dialetto miceneo, la consonate finale presente in alcuni termini, veniva omessa e messa al momento della pronuncia dal parlante, ad esempio il nome Alessandra in lineare B veniva scritto Alecasandara, proprio perché è una scrittura sillabica, è un caso di ipodifferenziazione grafica, ossia il sistema scrittorio non ha elementi per rappresentare tutti i suoni, è una lingua “deficiente”. Le scritture sillabiche hanno bisogno di espedienti per trascrivere sillabe complesse, si hanno due tipi di espedienti:
1)l’omissione grafica, si omette di scrivere il suono, caso di pater in cui non si scriveva la r finale
2)vocale quiescente, il caso di Alecasandara, dove in dara, la prima a non si pronuncia, è una vocale quiescente.
Queste lingue per essere lette prevedono una conoscenza della lingua, prima si impara la lingua, poi sarà possibile leggere la scrittura. Gli espedienti però complicano molto il sillabario.
Ci fu un tempo in cui le scritture ideografiche erano le prevalenti
Per quel che riguarda le scritture ideografiche si ha un esempio storico, ossia l’”alfabeto” Maya di Diego Demanda.
Dopo la scoperta dell’America, le popolazioni locali sono entrate in contatto con le popolazioni europee più evolute. I conquistatori spagnoli hanno depredato queste culture, ma bisogna dire che esse erano molto arretrate, avevano conoscenze approfondite in campo architettonico e astronomico. I Maya in particolare avevano molto sviluppato queste conoscenze, avevano anche sviluppato una scrittura, definita scrittura Maya, ma è più corretto dire che questa deriva dalla scrittura degli Olmechi, popolo precedente. All’arrivo degli spagnoli l’impero più potente era quello degli Aztechi, avevano una lingua differente dai Maya che ormai erano diventati una popolazione secondaria occupando la penisola dello Yucatan conservando molte nozioni della civiltà da cui discendevano pur essendo sottomessi agli Aztechi, avevano conservato dei codici, fogli piegati a fisarmonica, che erano tutti scritti con la loro tipica scrittura ideografica. Gli spagnoli pensano che siano a livello morale ed etico molto arretrati visto che praticavano ancora sacrifici umani di massa. Per questo De Landa pensò che essi praticavano culti demoniaci e che la loro scrittura fosse un codice dato loro dal diavolo, quindi ordinò di ammucchiare e bruciare questi codici. In un secondo momento, dopo aver sottoposto ad un esame più approfondito questa civiltà si dovette ricredere, fece riunire i superstiti della civiltà e fece loro riscrivere questo alfabeto. La scrittura Maya era composta da centinaia di segni diversi e non aveva un alfabeto, De Landa non fece altro che interrogare uno dei vecchi saggi del popolo Maya domandando di scrivere l’alfabeto Maya. La scrittura Maya non era un alfabeto, lui ha chiesto di scrivere “l’alfabeto” perché era l’unica forma i scrittura che conosceva, non considerava ancora la scrittura ideografica.
Ancora oggi ci sono studiosi convinti che in scritture come il cinese, ogni segno rappresenta una parola, il fatto che De Landa chiese di vedere per iscritto l’alfabeto, fa capire che esiste un abisso tra il sistema di scrittura ideografica e alfabetica. Il discendente Maya non ha fatto altro che trascrivere dei segni il cui suono somigliava ai suoni suggeriti da De Landa. Oggi si è scoperto che i segni trascritti sono corretti. Oltre a questi segni la scrittura Maya includeva però altre centinaia di segni.
Una prima differenza tra scrittura ideografica e scrittura sillabica è il numero di segni, la prima usano centinaia di segni, la seconda un centinaio circa. La scrittura ideografica è quella scrittura in cui gli ideogrammi sono una parte fondamentale del repertorio grafematico, l’ideogramma è l’elemento essenziale del funzionamento della scrittura.
I fonogrammi non sono l’elemento unico di questo sistema, ma un elemento aggiuntivo. Più precisamente l’ideogramma è il segno parola, un segno che corrisponde ad una parola.
Il logogramma, sinonimo dell’ideogramma, è un grafema indicante una sequenza fonica della lingua indicante un’intera parola, nel nostro sistema $+3 sono ideogrammi o logogrammi. Nel nostro sistema possono esserci degli ideogrammi, ma essi non sono parte fondamentale del repertorio fondamentale dei grafemi, che siano qualcosa in più è dimostrato che essi possono essere sostituiti dalla scrittura alfabetica.
La scrittura egizia ha la caratteristica dell’iconicità, il grafema è così accurato che si può ancora riconoscere l’oggetto che raffigura. Tutte le scritture naturali sono nate da gruppi di segni che raffiguravano degli oggetti, per esempio la A deriva dalla raffigura della testa di un toro.
La scrittura iconica è molto decorativa, la scrittura egiziana vedeva la scrittura strettamente collegata al suono, conoscere il nome di una certa divinità e pronunciarlo in un certo modo significava dominarla. La scrittura geroglifica è così accurata che spesso, a causa della superstizione, coloro che avevano realizzato il disegno, raffiguravano l’animale o attraversato da un pugnale o diviso a metà per evitare che esso prendesse vita e assalisse il disegnatore. I segni erano pericolosi in quanto alle formule che rappresentavano.
Il disegno più diffuso era il serpente, raffigurava la parola dire, il geroglifico egiziano inoltre è la prima forma di scrittura consonantica, è una lingua appartenente al gruppo camito-semitico o afro-asiatico. Le lingue semitiche sono le lingue come l’ebraico, l’aramaico, l’arabo, l’etiopico, che vengono trascritte con alfabeti sillabari diversi, i popoli sono strettamente imparentati, infatti la somiglianza tra le parole è molto stretta. Il geroglifico appartiene ad un gruppo di lingue, le camitiche, strettamente imparentate con le semitiche, da qui il termine camito-semitiche. Queste lingue hanno una grammatica particolare, invece di essere basata sulla flessione delle parole e sulla derivazione tramite suffissi, non hanno una parte fissa che comprende consonanti e vocali, ma una parte fissa contenente solo consonati, ad esempio lo scheletro consonantico KTB arabo che significa scrivere: da esso deriva Kitabu (libro), Katibu (scriba), Kataba (egli scrisse),… basta cambiare le vocali all’interno che il significato cambia, lo scheletro consonate è invariato. Nelle lingue semitiche le vocali sono solo tre, a i u, la ricostruzione è più facile. La grammatica dell’egiziano è simile a quella dell’arabo, non solo nella flessione, ma anche nella derivazione. Questo procedimento di scrittura è definito procedimento ad interfissi, perché le vocali vengono poste all’interno dello scheletro formando parole diverse. Gli egiziani quando inventarono la loro scrittura, trascrissero solo le consonanti, per questo non si sa più con certezza questa lingua. L’unica cosa che si può trascrivere la lingua sono le consonanti, quando una scrittura viene trascritta in alfabeto latino, si parla di traslitterazione, ogni scrittura ha segni di traslitterazione particolare. Per esempio la D trascrive la [dз], g, l’affricata dentale sonora. La convenzione è mettere sempre la vocale “e” per leggere l’egiziano, a parte alcuni casi.
Il geroglifico è stato decifrato ad inizio 800 grazie alla stele di Rosetta. Nel 1600 un Attanasius Kircher riuscì, secondo lui, a decifrare i geroglifici. I suoi lavori però sono errati. Il suo ragionamento era che il geroglifico doveva essere una scrittura ideografica, ma non sapeva cosa significasse, ritenne che ogni segno rappresentasse una parola, questo ha compromesso il suo studio. Questo errore è stato commesso per due motivi, non aveva coscienza di come funzionasse la scrittura ideografica e, secondo, perché aveva una fonte precedente a lui che lo trasse in inganno.
Nel ‘700 alcuni dimostrarono che questa decifrazione era errata. Nessun segno, tranne pochi, è un segno parola, sono segni suoni, i fonogrammi possono essere di tre tipi:
1)monoconsonantici, una solo consonante
2)biconsonantici, due consonanti
3)triconsonantici, tre consonanti
Il remo spesso veniva usato come ideogramma per indicare “parola”, la canna di papiro in fiore è la j, l’ascia indica la parola dio, ma spesso questa non doveva essere letta, serviva solo per capire il significato dei segni precedenti, è un determinativo. In questo caso per capire che, ad esempio, un occhio, indicava Osiride. Tutte le scritture ideografiche hanno i determinativi, anch’essi segni parola, che servono per superare delle ambiguità e capire il significato corretto, è un logogrammi utilizzato per precisare i fonogrammi che precedono.
Kircher faceva riferimento a Orapollo.
Con Alessandro Magno in Egitto, si inizia a scrivere in greco, nel 300 a.C. circa. In Egitto i regnanti praticavano matrimoni endogamici stretti, la gente comune non poteva sposare i propri fratelli o le proprie sorelle, i regnanti invece avevano l’obbligo di farlo per conservare la specie.
Con l’editto di Teodosio tutti coloro che non erano cristiani erano perseguitati e anche uccisi.
Alle soglie del Medioevo, nessuno sapeva più scrivere in geroglifico, uno degli ultimi conservatori fu Orapollo che con antri seguaci si ritirò in una delle ultime cataratte, conservando scrittura e culti.
In “Geroglifica” scrisse tutte le nozioni di cui era a conoscenza, non conosceva più le regole di associazione degli elementi, conosceva solo i significati di alcuni elementi, non era più in grado di dire il perché e il modo in cui si usavano all’interno dei testi il geroglifico. Conosce solo gli ideogrammi, non conosce i fonogrammi, descrive quindi solo i segni ideografici. Questo testo arrivato a Kircher, ha influenzato pesantemente la sua linea di pensiero, quindi era convinto che tutti i segni erano segni parola proprio perché nel suo testo, Orapollo, riportava solo segni parola.
Alcuni segni venivano utilizzati per indicare suoni o parole per omofonia, ad esempio Oca per indicare figlio, Orapollo aggiungeva che questo animale era quello che più ama i figli che in caso di pericolo si offre per salvare i figli, cerca quindi di trovare una connessione logica, tralasciando il semplice motivo dell’omofonia. Semplice, ma esatto. Orapollo non sa inoltre che i segni cambiano il loro significato a seconda del contesto, per esempio Osiride viene indicato da un occhio, ma lo stesso occhio può indicare, se accompagnato da un trattino, semplicemente un occhio, a seconda del contesto, per la polinfuzionalità dei segni delle scritture ideografiche. In base a questa regola, un segno può essere ideogramma, fonogramma e determinativo a seconda dei casi.
Altra caratteristica delle scritture ideografiche è la polifonia, i segni possono avere due letture differenti.

                                                                                                                            Lezione del 11/4/2005
Per quanto concerne le singole lingue naturale, esse vengono apprese durante l’infanzia come lingua madre, successivamente l’apprendimento di altre lingue, che avverrà in un secondo momento, andranno a costituire le lingue seconde.
L’opposizione tra due fonemi come “a” e “e” ci permette di distinguere moltissime parole: manto e mento, lana e lene, sola e Sole,… Dal punto di vista astratto si ha l’opposizione tra “a”, vocale centrale medio bassa, e “e”, vocale anteriore medio alta, in concreto, sia la a che la e sono pronunciate in maniera sempre diversa, fatto rilevabile con i sonogrammi che illustrano la pronuncia concreta di sequenze foniche. La “a” ha tantissime variazioni concrete che dipendono dalla pronuncia, stesso discorso per la “e”. La a viene pronunciata tenendo il dorso della lingua e al centro, per la e in avanti e in alto, ma queste non sono posizioni fisse, si ha una certa area in cui si verifica la pronuncia della “a” o della “e”.
Le diverse pronunce non vengono percepite come differenti dal nostro orecchio poiché la percezione avviene sulla base di schemi mentali, i fonemi, che quindi sono in realtà nel cervello e non nel timpano, come si potrebbe invece pensare. In altre parole avviene una selezione per cui suoni diversi vengono percepiti come uguali poiché rispondono ai caratteri e agli intervalli imposti dagli schemi mentali.
I linguisti hanno elaborato differenti dicotomie per lo studio delle lingue:
● Saussure ha evidenziato l’importanza della differenza tra astratto e concreto, sincronico e diacronico, sintagmatico e paradigmatico. Sincronico significa studiare la lingua in un determinato momento, diacronico invece significa studiare la lingua nell’evolversi nel tempo. Questo significa che una regola grammaticale valida oggi, un tempo non esisteva, ma è stata introdotta nel tempo, cosa rilevabile solo con lo studio diacronico.
La differenza tra sintagmatico e paradigmatico consiste nel fatto che gli elementi della lingua possono essere in rapporto di tipo paradigmatico o sintagmatico il che significa un articolo viene posto davanti ad un certo sostantivo per il rapporto sintagmatico (il sarà posto davanti ad un sostantivo di genere maschile e singolare), un rapporto logico e grammaticale. I rapporti paradigmatici sono i rapporti che gli elementi hanno con parole alla loro stessa classe lessicale, un esempio sono i verbi, nel senso che un verbo può essere sostituito ad un altro perché verbo, prestando attenzione al senso della frase. Stesso discorso per i nomi, gli aggettivi,…
Per quel che riguarda l’astratto e il concreto, Saussure disse per primo che ogni lingua poteva essere studiata sotto questi due piani. Con lo strutturalismo introdusse la dicotomia langue, in riferimento all’astratto,e parole, in riferimento al concreto. La langue è la lingua come insieme di conoscenze che appartengono a tutta la società, le regole che ci permettono di codificare e decodificare messaggi. La parole è la realizzazione concreta di un messaggio tramite l’uso di queste regole. L’atto di parole ha tantissime variazioni a livello di pronuncia, in astratto invece le variazioni non esistono, cosa che permette di raggruppare le differenti pronunce, le varianti dette allofoni, di uno stesso suono in uno stesso fonema. Le coppie minime sono due elementi linguistici uguali in tutto tranne che per un unico suono che le distingue, il fonema, quindi le coppie minime permettono di distinguere e riconoscere i fonemi.
● Jacobson ha introdotto la dicotomia codice e messaggio, il codice è l’insieme delle regole e degli elementi per produrre della significazione intenzionale, per codificare e decodificare correttamente. A livello astratto la lingua può essere considerata come codice semiotico, a livello concreto come applicazione di questo codice per produrre il messaggio.
● Chomski introduce la competenza e l’esecuzione. A livello astratto si ha competenza a livello concreto l’esecuzione. La competenza è strettamente individuale, non collettiva come la langue, Chomski sostiene che le regole grammaticali e lessicali che associano gli elementi stanno nella competenza dei singoli parlanti, che opera su diversi livelli. La competenza è a livello fonetico e fonologico, a livello morfologico, a livello sintattico e a livello semantico. La competenza a livello fonologico permette di conoscere quali sono le sequenze di fonemi ammesse in una determinata lingua. La competenza morfologica indica i morfemi e le loro regole di associazione. A livello sintattico sono poste le regole che permettono di associare le parole per generare una frase che abbia significato. Una larga parte di competenza è comune, ma esistono particolari differenze, l’importanza non è stabilire la quantità di competenza comune, ma sta nel fatto che esistono delle differenze a volte sostanziali, come per esempio i caratteri dialettali che influiscono sulla lingua che non tutti comprendono. L’esecuzione non si distingue molto dalla parole, è individuale e ha la variabilità dei fonemi, cosa individuata anche da Saussure.
Anche nel caso dei grafemi si ha la stessa variabilità che si incontra nella pronuncia, il livello concreto è il grafo, l’astratto è il grafema. Anche in questo caso i segni devono mantenere dei caratteri distintivi per essere differenziati dagli altri e quindi non essere confusi, devono conservare cioè i tratti pertinenti.

Antropologia della scrittura
L’isola di Creta è un luogo di eccezionale importanza per la scrittura, è il punto dell’Europa in cui si sono sviluppati diversi sistemi di scrittura, anche concorrenti tra loro. L’isola è stata al centro del commercio tra Europa e Asia minore, ha subito quindi l’influenza delle diverse culture con le loro scritture. Creta riuscì a sviluppare un impero commerciale, controllava tutte le vie di comunicazione più importanti.
Gli impulsi per la creazione della scrittura fu di carattere economico-contabile e di carattere propagandistico.
Mentre in tutto il resto dell’Europa non si scriveva, a Creta e in Grecia si svilupparono tre sistemi di scrittura: il geroglifico cretese, il sistema lineare a e il sistema lineare b.
La filosofia Greca è stato il pilastro della cultura occidentale per molto tempo e ancora oggi se ne risente l’influenza, basta pensare alla medicina, la ricerca scientifica serviva solo per avvalorare una propria ipotesi, questo ha rallentato il progresso scientifico.
Il metodo sperimentale era ostacolato dalla linea di pensiero conservativa greca, proprio per questo diversi famosi studiosi, quale ad esempio Galileo, incontrarono molta difficoltà ad affermare le proprie teorie differenti a quelle degli studiosi greci affermati.
La mitologia greca fa spesso riferimento a Creta, basti pensare che Zeus veniva fatto nascere e crescere a Creta.
A Creta era vissuta una civiltà di grandissima importanza, la civiltà minoica che aveva preceduto i greci elaborando tantissime delle concezioni che vennero acquisite dalla cultura greca. Le meraviglie di questa civiltà vennero dimenticate, solo dall’inizio del ‘900 venne fatte scoperte che testimoniano l’esistenza di questa cultura: Arthur Evans, archeologo inglese, ha condotto ricerche importanti a Creta sulla scia delle scoperte di Scliemann che scoprì la città di Troia sulla base degli studi su Omero, in Turchia. Scliemann dimostrò che i racconti avevano un fondamento storico. Evans scava a Creta sulla base dei racconti mitologici greci, nella zona dove doveva trovarsi il palazzo di Cnosso. Scopre non solo il palazzo, ma anche la scrittura, diverso dall’alfabeto greco, sconosciuto prima di allora. Evans aveva trovato le “pietre del latte”, ciondoli d’avorio, che sembravano aiutassero le donne ad allattare, in realtà erano sigilli, molto usati. Evans capì che sull’isola vennero usate tre scritture che, in ordine di tempo, chiamò geroglifico cretese, con un forte carattere iconico, usato tra il 2100 a.C. al 1450 a.C., lineare a, caratterizzata dall’uso di linee e usata dal 1850 a.C. fino al 1350 a.C., e lineare b, usata dal 1400 a.C. al 1200 a.C. Evans non riuscì a decifrare queste scritture.
Per quanto riguarda il tipo di scrittura, la lineare a e b sono dei sillabari, ogni segno corrisponde ad una sillaba. Evans fece una scopertà più importante di quelle di Scliemann, scoprì delle scritture, centinaia di tavolette di argilla cotte nell’incendio che distrusse il palazzo di Cnosso. Erano tavolette usate per l’archivio del palazzo, essiccate al Sole, a fine anno venivano registrate su rotoli di papiro e quindi riutilizzate. Le tavolette riportano quindi informazioni molto vicine alla fine della civiltà. Alcune di queste riportano annotazioni sul fatto che i cretesi temevano che la loro fine fosse vicina. Evans non riuscendo a decifrare la scrittura tenne nascoste le tavolette. Dopo la sua morte, vennero rese pubbliche e dopo sette anni, 1952, venne decifrata la scrittura lineare b da Ventris, architetto inglese. Ventris era addetto alla decodifica dei messaggi cifrati tedeschi durante la guerra, vista questa sua capacità riuscì a svolgere studi che lo portarono a decifrare la lineare b che aveva più testi. Dopo aver decifrato la scrittura chiamò un linguista che lo aiutò a dimostrare l’esattezza della decifrazione.
Evans era convinto che la civiltà minoica aveva scritto nei tre modi di scritture da lui individuati, affermando quindi che erano pregreche. Ventris invece dimostrò che la lineare b era stata usata anche in parallelo al greco.
A Pilo è stato trovato un altro palazzo che aveva stanze come erano state descritte nell’Iliade, anch’esso con le tavolette.
Queste scoperte dimostrano le ipotesi fatte dai linguisti su quel che doveva essere il greco in antichità.
La lineare b non è altro che l’adattamento della lineare a, per trascrivere il greco, realizzato dai greci che invasero Creta, oggi grazie alla decifrazione della lineare b si è riusciti a decifrare la lineare a. Nel 1450 i greci invasero Creta e soppiantarono la lineare a con la b.
Il geroglifico cretese è un tipo di scrittura diverso dalla lineare a e b, ha alcuni segni simili alla lineare, nel palazzo di Mallia vennero usate insieme il geroglifico e la lineare a. Nel 1700 a.C. avvenne un fatto molto importante quale un terremoto che distrusse tutti palazzi, nei resti del palazzo di Festo è stato trovato il disco di Festo, altra forma di scrittura diverso dalle tre esaminate, stampato con caratteri mobili.

                                                                                                                          Lezione del 18/04/2005
Per classificare le lingue si hanno tre criteri:

  • Genealogico, corrisponde a trovare delle parentele genetiche tra lingue, ossia si stabilisce che una tradizione linguistica discende da una precedente dalla quale sono tratte altre lingue naturali. Ad esempio le lingue indoeuropee, le semitiche,… oggi le lingue che discendono da lingue comuni, non sono più comprensibili reciprocamente, nonostante questo sono imparentate strettamente. Il latino da cui derivano le lingue, non è lo stesso che si studia nei licei, è una lingua più bassa, il latino del popolo, il latino studiato è una lingua usata dall’alto ceto. Tracce di questa varietà di latino basso possono essere rintracciate ad esempio nei bagni come è successo a Pompei. Nel mutamento linguistico i pronomi sono quelli più conservativi perché sono le parole più usate nel discorso. Con la caduta dell’impero romano si è prodotta una maggiore frammentazione per barriere naturali o istituzionali, il che portò ad una nascita di tante lingue diverse, tutte discendenti dal latino. Il latino si era riuscito a sovrapporre alle lingue delle regioni conquistate dai romani. Gli unici punti in cui il latino non è riuscito a sovrapporsi sono state le isole britanniche e l’Irlanda in cui i romani arrivarono tardi o non arrivarono per niente. Quando c’è una lingua superiore si parla di superstrato linguistico, in riferimento alla lingua che si impone, e substrato, in riferimento alla lingua precedente. Il latino ha assorbito spesso una larga parte del substrato nel lessico in particolare. Altra zona indenne al latino è la regione greca per il suo prestigio culturale acquisito nel tempo, il greco era diventato un superstrato era una lingua franca, paragonabile all’inglese moderno. Con l’arrivo delle popolazioni germaniche, il latino venne cancellato nelle zone conquistate.

Sono state così tante le differenziazioni nel corso del tempo che non è più possibile risalire ad una lingua comune di inizio. Ad esempio il Basco è ciò che resta di una famiglia linguistica ormai ora scomparsa. Il primo documento scritto è il numerico, esso non può essere imparentato con l’indoeuropeo ma presenta elementi di questa lingua, probabilmente ne ha subito l’influenza. Forse la lingua di origine è una di quelle che sono state cancellate dai superstrati successivi. Si è avuto un periodo nella preistoria in cui, fino a circa 200.000 anni fa, in cui il linguaggio era più lento rispetto al nostro, l’impennata della civiltà si è avuta quando è aumentata la velocità di fonazione. Oggi è stato notato che persone che hanno difficoltà di fonazione, simili a quelle degli uomini primitivi, cantando superano queste difficoltà. Per questo si pensa che le prime lingue avevano un forte accento musicale. Il cinese oggi ha questo accento musicale, quindi probabilmente è una lingua molto antica. In italiano si hanno le intonazioni, una sorta di accento melodico che cade sull’intera frase distinguendo una domanda da un’affermazione e da una esclamazione. Nei graffiti primitivi più antichi sono posti sotto una figura una serie di puntini paralleli, secondo gli studiosi della musicalità essi indicano il ritmo per decifrare quanto scritto.

  • Tipologico, le lingue possono essere classificate sulla base delle caratteristiche comuni che ha la loro struttura grammaticale. Ad esempio una lingua può mettere il nome prima o dopo l’aggettivo, in italiano di regola l’aggettivo si mette dopo il nome, in inglese il contrario. Questa caratteristica riguarda la competenza sintattica. Certe lingue possono avere dal punto di vista sintattico una costruzione soggetto-ogetto-verbo, altre soggetto-verbo-oggetto, come nel caso dell’italiano, in latino si ha il primo caso. Arabo ed egiziano hanno la costruzione verbo-soggetto-oggetto.

Gli studiosi della tipologia hanno appurato che le lingue che hanno la costruzione s-v-o hanno prevalentemente preposizioni, nelle lingue con costruzione s-o-v erano più frequenti le postposizioni. In latino si hanno delle eccezioni, sono presenti delle preposizioni. Le lingue parenti dal punto di vista genealogiche possono essere diverse dal punto di vista tipologico, come nel caso di italiano e latino che sono parenti genialogicamente, ma diverse tipologicamente, l’italiano è s-v-o, il latino s-o-v.
In base a sudi recenti, si è scoperto che l’introduzione delle proposizioni in latino è avvenuta in epoca recente. In italiano si hanno parole come meco e teco che derivano per prestito dotto dal latino secum e mecum, nei pronomi sono sopravvissute le postposizioni. La tipologia deve tener conto dello sviluppo diacronico della lingua.

  • Areale, importante soprattutto per il concetto di lega linguistica, esistono lingue non imparentate, senza caratteri tipologici simili, ma hanno tratti comuni perché vivono in un insieme culturale coerente strettamente connesso. Un esempio sono cinese e giapponese, condividono una gran parte del lessico e delle strutture morfologico-sintattiche.

Il concetto di lega linguistica significa uno stretto scambio interculturale che si protrae per secoli o millenni.

La grammatica è l’insieme di tutte le competenze, secondo la teoria di Chomsky, il linguista deve cercare di dare una descrizione accurata di queste grammatiche.
In linguistica l’asterisco indica la forma agrammaticale, non riconoscibile in un determinato codice per la linguistica sincronica, per la linguistica diacronica indica la forma ricostruita, non attestata, ma quasi certamente esistita. La competenza semantica permette di identificare i significati delle parole, la competenza morfologica ci permette di identificare i morfemi.
Le regole fonomantiche regolano la collocazione dei suoni e fanno parte della competenza fonologica.
Per quel che riguarda l’arbitrarietà, essa si estende su vari livelli, un segno è arbitrariamente associato al suo significante, a questo livello si hanno le eccezioni delle onomatopee come ad esempio mucca. Un altro livello di arbitrarietà è quello tra segno linguistico o suo referente, più attenuata in quanto il significato è calzato sopra il referente, però si forma una categoria di libro che prescinde dal singolo libro.
Altro livello di arbitrarietà è quello tra forma e sostanza del significato e forma e sostanza del significante: il significante ha come sostanza l’insieme di tutti i suoni che la voce umana può emettere, la forma è la selezione dei suoni della singola lingua. Il rapporto che c’è tra forma e sostanza è arbitrario.
La sostanza del significato è tutto il pensabile, all’interno di questo vengono fatte delle “caselle” che selezionano i concetti adottati dalla lingua, ossia la forma. La selezione è arbitraria.

La caratteristica comune ha tutti i suoni è il passaggio dell’aria, il modo per classificare le vocali è basato sulla posizione della lingua, in particolare come si posiziona il dorso della stessa. La lingua forma una sorta di trapezio capovolto: la “i” è una vocale anteriore chiusa, il dorso della lingua è spostato in avanti e vicino al palato, per questo viene definita anche palatale. Per pronunciare la “e” il dorso sarà sempre in avanti, ma più in basso, quindi sarà definita anteriore semichiusa. Per pronunciare la “è” si forma una cassa di risonanza diversa che permette di percepire il suono come diverso, una vocale anteriore tra medioaperta e aperta.
La “a”è da considerare una vocale centrale.
Nello schema è presente la “e muta”, rappresentata come una e all’incontrario, è la e del francese parle.
Le vocali posteriori hanno la caratteristica di essere pronunciate arrotondate, le labbra vengono arrotondate, esistono comunque varianti non arrotondate: la variante non arrotondata della “u” è presente in giapponese, ad esempio “fuji”, allo stesso modo la “o” (vocale posteriore mediobassa o medioaperta arrotondata) non arrotondata è la vocale che compare in termini come “cut”.
Un caso di decifrazione celebre è stato quello della stele di Rosetta scoperta nel 1799. Champollion consegna la sua lettera relativa alla decifrazione è il 1822, la decifrazione sarà completata l’anno dopo, 24 anni dopo la scoperta della stele. La stele è un testo diviso in 3 sezioni: in quella in alto è riportato un testo in geroglifico egiziano, risalente all’epoca dei tolomei; la parte più in basso è scritta in greco; al centro si ha la scrittura demotica. Questa scrittura è un’evoluzione del geroglifico, successivo allo ieratico, una semplificazione dei tratti del geroglifico. Il demotico è uno sviluppo, quindi, di tipo stilistico, per praticità che aumenta a discapito dell’iconismo.
Nella stele i testi sono sicuramente uno traduzione dell’altro, un documento triscritto, ma bilingue perché le prime due sono le stesse, solo una evoluzione dell’altra. Una parte superiore della stele è andata persa, Champollion è riuscito a ricostruire quanto era scritto grazie al demotico. Nonostante questo non si era riusciti a superare le convinzioni erroneamente date dagli studi di Kircher e Orapollo. Per questo in tutti gli studi c’era la convinzione che ad ogni segno corrispondeva una parola, questo fu la causa della del lungo periodo tra la scoperta della stela di Rosetta e la sua decifrazione.
Nella stele furono spesso usati i nomi di Cleopatra e Tolomeo, sulla base dell’unica scrittura ideografica presente all’epoca, il cinese, e dei cartigli, in cui erano riportati questi nomi, si scoprì che questa scrittura era una scrittura ideografica-fonetica. In più si scoprì che questa scrittura non era di tipo recente, come alcuni pensavano, ma si è sempre avvalsa di simboli fonetici, fino dall’epoca di Tutmose e Ramesse.
I segni della Val Camonica, usata dai Camuni, non possono essere considerati una scrittura, sono tutti dei pittogrammi, fanno parte di pittografie, sono una forma di prescrittura, non c’è associazione tra fonetica e scrittura. Il pittogramma permette solo commenti, non una lettura univoca, non c’è collegamento stretto tra la sequenza delle parole e quanto è scritto. La pittografia può dar luogo a interpretazioni l’una l’opposto dell’altra.
Altro esempio è la petizione inviata da alcune tribù indiane ad un congresso degli Stati Uniti per il diritto di pesa su alcuni laghi: sono presenti simboli totemici delle sette tribù coinvolti, collegati con il cuore e il cervello per ottenere il diritto di pesca su un lago riportato nel disegno. La petizione può essere compresa perché è stata commentata da chi l’ha realizzata. Ha però un elevato tasso di ambiguità che può essere sciolta da chi ha composto la pittografia altrimenti incomprensibile. Nonostante la traduzione resterà sempre ambigua per il fatto che non ha un collegamento univoco tra significato e significante.

 

                                                                                                                            Lezione del 2/05/2005
Il sistema dell’italiano standard prevede sette vocali per lo sdoppiamento delle vocali medie, anteriori e posteriori: al nord l’opposizione tra “e” e “è”, vocale anteriore medio-alta o medio-bassa, oppure semichiusa e semiaperta, è poco produttivo, basta guardare l’esempio di parole come pesca (il frutto) e la pesca (intesa come lo sport), dove la e viene pronunciata allo stesso modo. È rimasta vitale la differenza tra “o” e “ò” in parole come botte e bòtte.
In ogni lingua esistono nessi consonantici diversi, con restrizioni diverse, in italiano un nesso come “ptf”non esiste, mentre esistono nessi come “per” o “rp”.
I dittonghi sono composti da vocale più una approssimante, come ad esempio “uo” in uovo, quando l’approssimante compare prima della vocale si parla di dittongo ascendente, discendente nel caso contrario: ad esempio nella parola “fai”, ai è un’unica sillaba, la i è una approssimante, una semivocale.
L’italiano è una grafia abbastanza coerente, ma presenta casi eccezionali come il caso della “c” e della “q” per scrivere lo steso suono: cuore e quadro. Si ha in italiano grafemi che a volte corrispondono a due o più fonemi, o due grafemi per indicare uno stesso suono: il primo caso è quello della “n”, che corrisponde a tre suoni, varianti dello stesso fonema, il secondo caso è quello appena descritto della “c” e della “q”. Ci sono fonemi, affricati, composti dall’attacco occlusivo e dall’esplosione fricativa, nell’alfabeto fonetico internazionale sono scritti con due segni come ad esempio la “g” di Giorgio viene scritta come “dg”.
Il confine di parola è espresso da un cancelletto (#), il confine di sillaba da un punto, il confine di sillaba è diverso dal confine di morfema, rappresentato con il più (+).
Le unità di studio della fonetica si chiamano suoni o foni, la fonologia i foni, per questo un sinonimo di fonologia è fonematica.
Un fonema può essere decritto in base alle sue caratteristiche fisiche, modo e punto di articolazione.
Un fonema può ricorrere in determinati contesti, si parla di distribuzione, ossia l’insieme dei contesti in cui ricorre in una determinata lingua.
Le coppie minime sono coppie di parole uguali in tutto tranne che in un elemento, questo elemento è un fonema, suono minimo della lingua, con capacità distintiva, distingue due significanti diversi con un significato, ad esempio tale e pale. Uno stesso fonema può avere delle varianti che però non interessano, ossia non sono pertinenti, non verranno percepiti come diversi, essi sono varianti combinatoria, mentre si parla di variante individuale nel caso di “r” e “r uvulare” rappresentata nell’alfabeto fonetico internazionale come /R/.
Si chiama allofono la variante di un fonema, quando un fonema ha diverse varianti esse saranno allofoni, la variante individuale non è da definire come allofono, ma solo le varianti combinatorie: le tre varianti della n sono allofoni, la R non è un allofono della r, ma solo una variante individuale.
Trubeckoj, principe russo, fu tra i fondatori, con Jacobson, della scuola di Praga, erede di Saussure perché porta a sviluppo di alcune sue regole ponendo alcuni concetti che saranno base della linguistica successiva. Trubackoj elaborò delle regole per identificare le varianti individuali, le varianti combinatori e i fonemi:

  • identifica il fonema, esempio varo-faro
  • identifica la variante individuale, esempio rema-Rema
  • identifica la variante combinatoria

Antropologia della scrittura
Le scritture sillabiche hanno grafemi che trascrivono delle sillabe invece che dei fonemi. La sillaba è una unità fonica minima che un parlante, che non abbia conoscenze linguistiche, riesce a individuare come mattone base della sequenza fonica. È spontaneo dividere una sequenza in sillabe, anche se poi è difficile dare i confini di queste sillabe, al contrario non è spontaneo la segmentazione in fonemi. La separazione delle consonanti è altrettanto difficile, è un’acquisizione recente nella storia della linguistica, prima, nelle fasi più remote della scrittura, si ha la divisione sillabica.
L’unica eccezione è il geroglifico egiziano che riporta le consonanti. L’egiziano aveva una grammatica simile all’arabo, questo fece si che per inventare una loro scrittura, identificarono le consonanti, poiché si potevano avere parole con sole consonanti, ad esempio il segno per il pane corrispondeva ad una sola “t”.
Tutte le altre volte che è stata inventata una lingua, è stato creato un sillabario, un esempio è Creta: la civiltà cretese ha sviluppato una cultura complessa, l’isola si trovò ad essere nel mezzo di traffici commerciali importantissimi quali quelli che dalla fenicia verso l’occidente. In cambio di manufatti, i commercianti davano materiali preziosi. Altra importante direttiva era quella che partiva dall’Egitto verso occidente. Creta, essendo un’isola, sviluppò una forte flotta, controllò le direttive commerciali da cui trasse ingenti guadagni. Le due città fondamentali sono Cnosso, a nord, e Festo, a sud, furono probabilmente in contrasto in certi periodi.
Su quest’isola c’è stata una concentrazione di risorse tale, tra 1800 e 1500 a.C., che si creò la necessità di ricorrere ad un sistema di scrittura. Il motivo per cui si ricorre ad un sistema di scrittura sono due: economico contabile e propagandistico.
La paletta di Narmer è uno dei documenti più antichi in geroglifico egiziano, 60 cm di grandezza. Essa riporta simboli particolari: ha un’importanza storica fondamentale sia per la storia in senso stretto che per la storia della scrittura. Riporta illustrate delle scene particolari: momenti di dominio, risale alla prima dinastia, al 3100 ca a.C.
Sul lato c’è un personaggio stante, reca dei segni particolari quale la coda, la corona, ha una mazza sollevata e una mano poggiata sulla testa di un soggetto inginocchiato. La mazza serve da martello rispetto al piolo sulla testa del personaggio inginocchiato. Narmer è il personaggio in piedi, è un re, il primo re dell’alto e del basso Egitto: prima della prima dinastia l’Egitto era diviso, alto Egitto (sud) e basso Egitto (nord). Alto perché con montagne, basso perché pianeggiante, la zona del delta.
Manetone era uno storico del 300 a.C., dell’ultima dinastia, la 31°, racconta la storia degli antichi re dell’Egitto, da un elenco di re con la rispettiva durata di regno. Questo suo elenco ha delle corrispondenze con la pergamena custodita al museo egizio di Torino. La divisione in dinastia la introduce Manetone, la divisione in 30 non è però corretta, probabilmente ci sono state famiglie sdoppiata, ma per convenzione viene accettata. All’inizio dell’Egitto le fonti pongono lo stesso re: Menes, primo re che ha unificato i due regni. Questo fatto è avvenuto sicuramente, le fonti lo attestano, ma la tavoletta di Narmer riporta eventi che si riferiscono all’unificazione, il problema è che il nome è un altro, Narmer appunto. I re dell’Egitto avevano però diversi nomi, uno di nascita, uno assunto al momento dell’incoronazione e altri durante il regno. Il nome assunto con l’incoronazione aveva un significato preciso, spesso in riferimento alla divinità da cui credevano di discendere. Il nome Narmer è scritto nel cartiglio sopra il disegno, il serek, che rinchiude uno dei nomi del faraone, scritto con due segni, lo scalpello e il pesce gatto, appunto Nar-mer. questo significa che già nel 1300 a.C. si aveva già la scrittura con fonogrammi, inventati fin dal principio per scrivere i nomi propri.
Il prigioniero inginocchiato ha il nome, non all’interno di un serek, Wash (arpione+vasca), più indietro è rappresentato un personaggio con i sandali del re e con una brocca d’acqua. Questo particolare e gli attributi del re dimostrano che già in epoche remote si aveva un protocollo per venerare il re. Il personaggio con i sandali e la brocca riporta anch’egli il nome. Al di sotto sono rappresentati altri due sconfitti con il geroglifico indicante o il loro nome o il nome della città che governavano. Altro punto importante è il fatto che non è presente un testo che descriva il fatto rappresentato, ma è stata usata una pittografia, una pre-scrittura, molto simbolica, che rappresenta un falco poggiato su dei giunchi che emergono da un basamento, che rappresenta il delta, emerge, inoltre, una testa barbuta arpionata dal falco con un uncino: il personaggio rappresentato dal falco ha sottomesso il nemico che si nascondeva nella paludi del nord, quindi la conquista del sud ai danni del nord. Il segno del giunco, in geroglifici successivi indica il numero mille, in questo caso, ipoteticamente, indica il numero di prigionieri fatti, 6000 (6 giunchi). Nei geroglifici successivi il falco serve per rappresentare il faraone, incarnazione di Orus, quindi si può ipotizzare che questo falco rappresenta il faraone del sud. La certezza che sia il sud a conquistare il nord, oltre che dalla storia, è data dalla corona indossata dal personaggio stante che appartiene ai re del sud.
La seconda faccia è divisa in tre sottili, quello centrale, pittografico, rappresenta due leoni con un collo prolungato che formano un cerchio, un oggetto usato per pestare qualche sostanza sacra. Il disegno rappresenta due leoni che si guardano affrontandosi a simboleggiare lo scontro nord-sud. In basso è presente un’altra pittografia che rappresenta un toro, titolo del re che simboleggia la virilità e la forza, che a cornate abbatte le mura di una città. Sotto i piedi del toro viene calpestato il nemico. Questa pittografia ribadisce la lotta.
In alto c’è una scena chiara che rappresenta il re con la corona rossa dell’alto Egitto, il re è lo stesso, il serek lo dimostra, dietro è ancora presente il funzionario con i sandali e la brocca. Davanti è raffigurato un altro personaggio con un nome, ma non il nome personale, ma quello del titolo, ossia visir. Il re è il più alto, il visir ha una certa altezza, e il soggetto alle spalle del re anche. Più avanti rispetto al visir, sono presenti dei personaggi con degli stendardi che rappresentano le province principali del regno, più piccoli del re, del visir e del funzionario. In alto sono presenti segni non ancora spiegati. Nell’ultima parte il re passa in rassegna i principi sconfitti decapitati, con la testa tra i piedi, il re è ancora raffigurato con il nome e il copricapo del nord. La raffigurazione ha elementi di scrittura, per scrivere i nomi, ed è descritta con pittografie altamente simboliche. Nelle epoche successive il faraone porterà entrambe le corone, del nord e del sud, innestante una dentro l’altra. Il titolo del faraone sarà anche signore delle tue terre a sottolineare la divisione storica. Altro titolo importante era “colui che appartiene al giunco e all’ape”, simboli totem del nord e del sud. Questa tavoletta mostra il fatto che la scrittura in Egitto era nata per motivi propagandistici, non economici come invece accadde a Creta.
La mazza di Narmer, in avorio, presenta un disegno tutto attorno, con il re con la corona del regno conquistato seduto sotto un’edicola, protetto della divinità avvoltoio. Dietro di lui c’è il visir e il “maggiordomo”, al di sotto i due portatori dei ventagli. Ciò che interessa è il fatto che sotto il re, che ha davanti a se tre capi con le braccia legate dietro la schiena, sono presenti una serie di simboli che rappresentano l’elenco del bottino fatto. Il sistema di numerazione egiziano è molto elementare, un sistema addizionale, il nostro è posizionale. La scomodità del sistema è il fatto che bisogna ripetere i simboli per giungere al numero desiderato. Avevano però simboli per scrivere cifre molto alte, ad esempio l’indice per 10.000, il giunco fiorito per 1.000. Sotto il re c’è un elenco di oggetti con la numerazione: sono stati depredati 400.000 bovini, 1.420.000 caprini, 120.000 prigionieri, la mazza risale all’epoca di Narmer, è una sorta di lista contabile. Questo dimostra che la scrittura può essere nata sia per propaganda, ma anche per contabilità-economia, ma mancano le prove per stabilire per quale priorità sia stata inventata.
A Creta non si hanno attestazioni di esigenze celebrative, ma solo contabili, le più antiche scritture crestesi risalgono a oltre il 2000 a.C.: esistono tre tipi di scritture con storie complesse, la geroglifica cretese, la lineare A e la lineare B. il nome delle scritture è stato dato da Evans, sembra che ci sia una evoluzione grafica da una forma all’altra: il geroglifico cretese è il più antico, la lineare A è intermedia, la lineare B la più recente. C’è però un lungo periodo in cui due scritture coesistono in certi palazzi. Oggi si sa bene perché si è passati dalla lineare A alla lineare B, la lineare A trascriveva la lingua indigena di Creta, il greco dei nuovi invasori era trascritto in lineare B.
La sicurezza di Creta era data dalla flotta che circondava l’isola, probabilmente per qualche episodio particolare la flotta non poté più assicurare la difesa dell’isola così i greci poterono invadere la regione impadronendosi della scrittura, modificandola, e del territorio. Molti segni tra lineare A e B si somigliano. Nonostante la scrittura lineare A sia stata decifrata, la lingua non è ancora comprensibile, mentre la lineare B è stata decifrata e la lingua è stata identificata come il greco. La cosa che non si spiega bene è il passaggio da geroglifico a lineare A. i cretesi inizialmente hanno ideato una scrittura copiandola dalle scritture ideografiche del vicino oriente, però capirono che era possibile prescindere dagli ideogrammi riferendosi solo alle sillabe. Crearono così una scrittura nuova e non ne copiarono una già esistente, copiarono solo l’idea. Vennero così ideati dei sillabogrammi. Non c’è prova di un’invasione che possa aver provocato il passaggio da geroglifico a lineare A, c’è stata una riforma che portò a convivere due scritture sillabiche diverse: nel palazzo di Mallia sono presenti le due scritture, la geroglifica e la lineare A. la lineare B è stata trovata solo a Cnosso perché i greci distrussero tutti i palazzi, tranne questo, quindi probabilmente l’isola era prima una sorta di confederazione di città stato. A Cnosso si insedia Wanax, il re greco da cui discendono i re successivi, che andranno poi a combattere a Troia, in particolare Didone. L’invasione avenne nel 1450 a.C.
La lineare B è stata decifrata da Ventris nel 1952 sulla base di osservazioni statistiche e pittografiche.
La lineare A si trova in tutta Creta era adatta per scrivere la lingua minoica, la lineare B si usava soltanto nei testi amministrativi, non era adatta a scrivere il greco, con conseguenti difficoltà.
Ventris decifrò la lineare B come greco, con le seguenti critiche viste le necessarie integrazioni per la lettura del codice, ma la lineare era stata inventata per scrivere il minoico, i greci la adattarono con le conseguenti ambiguità e difficoltà. La questione venne risolta con il ritrovamento della tavoletta dei tripodi, una sorta di “stele di rosetta” della lineare B. Questa tavoletta descrive vari vasi, riporta accanto alla scrittura dei disegni per superare le ambiguità e questo permise la corretta decifrazione e l’affermazione della teoria di Ventris. Grazie alla decifratura della lineare B si può leggere la lineare A, ma la lingua non è più comprensibile.

                                                                                                                          Lezione del 09/05/2005
Doppia articolazione significa doppio taglio, un qualunque prodotto del codice lingua viene scomposto con un primo taglio, la prima articolazione, che lo separa in elementi che sono ancora associati ad un significato, i morfemi, il più piccolo pezzo dell’espressione a cui ancora è associato un significato. La seconda articolazione consiste nello spezzettare questi elementi e arrivare al fonema, elemento fonetico con ancora valore distintivo.
Jacobson era andato oltre, aveva cercato di descrivere i suoni in base alle loro caratteristiche, ossia nel suo studio descriveva i vari suoni in base al fatto se fossero dentali, fricativi, labbiali, bilabiali, sonori,… componendo uno schema con tutte le caratteristiche possibili, se il suono aveva quella determinata caratteristica poneva il segno +, se invece non la possedeva mettava il segno -. In questo modo spezzettava il fonema in tratti ancora più piccoli, non pronunciabili, i tratti subfonematici.
Le regole fonologiche sono regole applicate sincronicamente, ossia all’interno di una lingua viva in un dato punto storico. Ad esempio l’elemento A diventa B davanti a C: AàB/___C, la freccia indica il divenire, la linea obliqua significa in contesto (davanti a), la linea ___ indica la posizione di A per cui avviene la modifica. Per esempio KàC ____ + i, + è il confine di morfema, il che significa che quando i è un morfema avviene la trasformazione, un esempio può essere “dico”à “dici”, il caso dell’esempio è una regola con delle restrizioni poiché non sempre “i” è un morfema. Un altro esempio, che non ha restrizioni, è nàm_____+ p, è il caso di possibile e impossibile, per cui non si dice inpossibile.
Esistono delle regole che determinano il cambiamento dei tratti, ad esempio una sorda diventa una sonora, ad esempio SàZ___+ r, come nel caso di sregolato, r ha come caratteristica di essere sonora, il che influisce sul carattere sordo della s trasformandolo in sonoro.
0à i/ {n r}__ #sC, dove la n e la r tra parentesi vanno poste l’una sopra all’altra in colonna, 0 diventa i in contesto di n o r prima di parola (#) che comincia con s seguita da consonante, la i è la i eufonica presente in vocaboli con istoria. Questo è un esempio di inserimento. In inglese sono presenti casi simili come cub+sàcub[z], poiché la b che è sonora trasmette il suo carattere alla s.
L’assimilazione include una gran quantità di regole fonologiche, un fenomeno prodotto a causa di un principio che regola lo sviluppo dell’espressione delle lingue, il principio dell’economia, che consiste nella volontà di esprimere più concetti possibili con il minor sforzo possibile, il che va a influire sulle regole fonologiche data la loro sincronia. Questo si traduce nel fatto che in presenza di fonemi molto diversi tra loro, uno fa passare i suoi caratteri al suono vicino, come nel caso di sparlare o sregolare.
L’assimilazione può essere totale o parziale, progressiva o regressiva. Totale quando i due segni si assimilano completamente, regressiva significa che il segno che viene dopo esercita l’assimilazione sul precedente, progressiva quando è il segno che viene prima a influire sul secondo. Un esempio di totale regressiva è il casso di irragionevole invece di inragionevole, inlogico diventa illogico. È totale perché la n diventa r nel primo caso e l nel secondo, è regressiva perché il suono che viene dopo va ad influire sul precedente. Un esempio di parziale regressiva è inprobabile che diventa improbile, la p, occlusiva bilabiale, trasforma la n in nasale bilabiale, non la trasforma completamente ma la modifica un suo carattere.
La sillaba è un elemento che molti linguisti ritengono poco utile da definire, poiché elemento prescientifico. Ma questo concetto riveste un’importanza fondamentale poiché il concetto di sillaba è stato identificato come mattone fondamentale della struttura dell’espressione. La sillaba è una minima combinazione di fonemi funzionante come unità pronunciabile, fondamentale in una sillaba è il nucleo che è sempre una vocale, ma esistono suoni che possono sostituire la vocale.
Quando ci sono due sillabe successive che sono uguali in tutto o in parte, una delle due viene cancellata, è il fenomeno dell’aplologia, un esempio è cavalleggeri, quello che deve essere uguale è l’attacco, cavalli e leggeri.
Esistono tratti che non possono essere pronunciati a parte, sono i tratti soprasegmentali, sta sopra il segmento fonico, per esempio l’accento, non può essere separato, è un qualcosa in più, come àncora e ancora, in questo caso l’accento è distintivo, ma non può essere considerato come fonema.
Stesso discorso può essere fatto per la lunghezza di una data lettera al momento della lettura, in italiano essa non è pertinente, in lingua come il tedesco si.
Esistono lingue con accento fisso, l’italiano, e con l’accento mobile, con l’accento mobile. L’accento è l’andamento melodico di una sillaba.
Altro elementi soprasegmentale è l’intonazione, andamento melodico di un’intera proposizione, in italiano ha un valore significativo, distingue ad esempio frasi interrogative da frasi esclamative, un’intonazione neutra corrisponde ad una affermazione.

Lo studio di tutti i suoni della voce umana, delle loro caratteristiche, di come vengono pronunciati, di come si trasmettono nel mezzo aria e di come vengono percepiti portano ad una distinzione nella fonetica: articolatoria, acustica (come si trasmette) e la fonetica uditiva (come viene recepito). Altro aspetto importante è la fonologia, in cui interessa la differenza tra i suoni, non in cosa il suono consiste, ma il suo carattere distintivo, esemplificato nell’esempio degli scacchi.
La morfologia è quella parte della linguistica che studia la struttura delle parole e come esse sono composte. Importante è quindi il concetto di parola, sviluppato prima della nascita della scienza linguistica (800), si ha una serie di definizione considerate però inadeguate, la parola non può essere definita in modo rigoroso. Il termine parola, nonostante la sua imprecisione, permane nella linguistica per gli indubbi vantaggi dal punto di vista descrittivo e concettuale.
Esistono due tipi di morfemi, in base alla distinzione di Blumfield, quelli liberi e quelli legati, liberi nel caso in cui i morfemi possono ricorrere come parola autonoma, in caso contrario sono legati, città è un unico morfema e quindi è libero. Un esempio di legato è cane, cove can non può essere separato da e se non in poesia, ma nella lingua comune non possono essere separati.
Altra classificazione dei morfemi è quella basata sui significati che essi portano a seconda del tipo, morfemi grammaticale e morfemi lessicali. All’interno dei grammaticali si hanno i flessionali e i derivativi. I morfemi lessicali sono quelli che portano un significato connesso con un referente extralinguistico per esemio il morfema “can”. La “e” di cane è uno strumento che esprime valori determinate categorie grammaticali, quindi è un morfema grammaticale, di tipo flessionale perché serve per flettere una stessa parola, piegarla in una determinata forma. I morfemi derivativi servono per comporre i derivati come paneàpanino.
I morfemi si dividono in due grandi gruppi, i morfemi grammaticali con un significato grammaticale (che serve per far funzionare il codice linguistico), e lessicali con un significato lessicale (collegati ad un referente esterno).
Altro modo per classificare i morfemi è quella a seconda della posizione che essi occupano rispetto alla base lessicale (il lessema), cioè gli affissi si dividono in prefissi, posti all’inizio, infissi, posti in mezzo, e suffissi, posti alla fine. In italiano gli infissi non esistono più, in altre lingue come l’arabo esistono.
La composizione è processo in italiano molto produttivo, un esempio è capostazione per cui da due parole diverse di ricava una nuova parola.
Gli allofoni sono varianti posizionali di uno stesso fonema, come ad esempio la n che ha tre varianti, in più si hanno le varianti libere quali la r uvulare. Esiste un morfema astratto che veicola una certa idea, può essere realizzato in modi diversi a seconda delle inflessione e delle varianti, gli allomorfi sono le varianti concrete di un morfema, un esempio è il verbo dire che ha infinite possibilità di realizzazione, il morfema astratto è dir.
Ci sono casi di allomorfia più spinti, quando cambia la radice, è il supplettivismo, nel verbo andare il morfema astratto è più complesso ad individuarsi. Le realizzazione concrete sono diverse anche dal punto diverso della fonologia, sono radici diverse fuse assieme in un unico paradigma. Altro esempio è la derivazione da acqua di idrico o di equina da cavallo, contenuti uguali, ma diverse espressioni.

Antropologia della scrittura
Il disco di Festo è un disco di argilla, trovato nel 1908 a Creta, cotto intenzionalmente, non come per le tavolette la cui cottura è stata a causa dell’incendio che bruciò il palazzo.
È scritto tramite l’impiego di caratteri mobili, inoltre è l’unico rappresentante esistente di questo tipo di scrittura. A Creta erano già stati individuati tre tipi di scrittura, la lineare A e B e la geroglifico-cretese, a cui si aggiunge questa scrittura, chiamata per convenzione la scrittura del disco di Festo.
Nel 1908 a Festo scava una squadra di archeologi italiana, su concessione greco-turca, per questo è stato usato un maggiore criterio rispetto a Schlieman e Evans, ma una minore ricostruzione.
Il disco è stato ritrovato in uno strato del 1700 a.C., ma non si è certi del periodo della sua realizzazione. Il disco è come un antecedente dell’invenzione della stampa di Guthemberg nel 1470, è stato trovato insieme ad una tavoletta di argilla che riporta generi alimentari e le rispettive quantità. Il palazzo di Festo è stato bruciato due volte, nel 1700 a causa di un terremoto e successivamente per le invasioni dei greci. Sono stati fatti diversi tentativi di decifrazione, da una storia religiosa ad un documento burocratico, tutte versioni diverse, ma in realtà possono essere radunati in gruppi: un primo gruppo traduce il testo come se fosse una scrittura ideografica in cui ad ogni segno corrisponde una parola, oggi si sa che questo gruppo ha dato una versione errata visto che scritture di questo tipo non esistono e mai sono esistite. Oggi sappiamo che l’ordine di lettura è dall’esterno all’interno in maniera circolare, ancora oggi c’è però che pensa che si debba partire dell’interno verso l’esterno. Ad appoggiare l’ipotesi che questa è una scrittura di tipo fonetico e non sillabario, è il fatto che il numero dei segni è troppo esiguo perché ciascuno abbia un significato diverso.
Un altro gruppo vedeva questo disco come un sistema fonetico, un codice scrittorio, tra cui Gordon: lui ha paragonato alcuni segni del disco di Festo con dei segni della lineare A per il contesto in cui era stato trovato il disco.
Oltre ai segni scritti, ci sono altri tre segni importanti: uno che separa i gruppi, identificabili come parole, altro segno importante è il primo che indica l’inizio del testo, ultimo è la linea, scritta a mano, posta alla fine dei vari gruppi con vari significati. Altre osservazioni sono il fatto che vari gruppi presentano delle somiglianze strane, per esempio c’è un gruppo che ricorre in varie parole, potrebbe quindi essere una base lessicale.

                                                                                                                          Lezione del 16/05/2005
Esistono morfemi liberi, che da soli possono costituire una parola (dog) e morfemi legati che devono essere associati ad altri per formare una parola (dog-s). In italiano i nomi tronchi sono morfemi liberi, come ad esempio città o auto. La funzione che svolgono le proposizioni può essere svolta anche da morfemi legati, quindi vengono definiti morfemi semiliberi, stesso discorso per gli articoli. I morfemi semiliberi sono parole funzionali, svolgono la funzione di adiuvante grammaticale. I morfemi si dividono in lessicali e grammaticali: il morfema lessicale è legato con la realtà extralinguistica, porta la maggior parte del significato, il morfema grammaticale da l’inflessione, marca le categorie di genere, numero, singolare e plurale. Il morfema lessicale può anche essere chiamato lessema. I morfemi grammaticali si distinguono in flessionali, declinano la stessa parola (es. cane-cani), e derivazionali, fa derivare una parola da un’altra (es. cane-canile).
Altra classificazione è quella in base alla posizione, il nome generico è affissi, rispetto al lessema con le sottocategorie: prefissi, suffissi e infissi. Il tema è la radice più la vocale tematica, ad esempio cant-a-re, cant è il lessema, a porta il significato grammaticale della prima coniugazione, re il significato di infinito.
La prova di commutazione, utilizzata per trovare morfemi e fonemi, si base su una teoria complessa, tale che non sempre da risultati soddisfacenti.
Gli infissi in italiano non esistono, in altre lingue si.
Esistono lingue che hanno altri tipi di morfemi per come si saldano agli altri, in tedesco esiste il circonfisso perché si aggiunge sia all’inizio che alla fine, per esempio un prefisso più un suffisso.
Un caso particolare è quello delle lingue semitiche che hanno una grammatica formata principalmente sul riconoscimento di una radice strettamente consonantica, il morfema lessicale è consonantico, per esempio l’idea dello scrivere è dato, in arabo, dallo scheletro KTB che a seconda delle vocali usate assume diversi significati. Le vocali sono morfemi che si definiscono transfissi o interfissi, perché si pongono tra una consonante e l’altra. La caratteristica delle lingue semitiche ha permesso di individuare la consonante occlusiva che nessun sistema di scrittura aveva individuato prima. Il primo popolo che fece questo ragionamento fu quello degli egiziani. I fenici avevano cominciato a scrivere per primi qualche vocali, i greci migliorarono in parte questo sistema. La trascrizione della sola consonante permise la realizzazione di un sistema efficiente ed economico, la base per la trascrizione scientifica delle lingue è quello semitico.
Il percorso dell’invenzione dell’alfabeto non è ancora chiaro, ma non c’è nessun dubbio che l’alfabeto sia nato grazie ai geroglifici egiziani. Nella penisola del Sinay vicino al tempio della dea Starte sono state trovate delle statuette con iscrizioni della scrittura protosinaitica, precedente all’afabeto fenicio, composto da pochi segni, una trentina, che sono una via di mezzo tra la scrittura geroglifica egiziana e i più antichi segni alfabetici. Il confronto può essere fatto solo a livello di significante, i segni in geroglifico si leggono in un certo modo e hanno un certo valore, in protosinaitico i segni sono simili, ma con diversa lettura e diverso valore, è una nuova scrittura che ricalca l’idea del geroglifico, non una copia precisa. In geroglifico egiziani il segno per la casa, si leggeva per o par e veniva usato anche per indicare il faraone, inoltre tutte le volte che ricorreva la sequenza pr si usava quel segno. Il protosinaitico è un sistema alfabetico, il segno della casa indica una lettera, quella con cui iniziava il nome della casa, la B, bait indica la casa.
Il concetto di parola si sviluppa spontaneamente, non ha valore scientifico, potrebbe essere, secondo alcuni, la minima combinazione di morfemi funzionante come entità autonoma, sorgono però diversi problemi, perché si potrebbe usare l’accento come punto di riferimento, ma in casi come la mamma, dal punto di vista della pronuncia è una sola parla. Un altro criterio è dire che la parola è l’unità linguistica che sta tra due spazi bianchi, ma in linguistica il concetto di scrittura è scollegato dal concetto di parlato, quindi questo criterio non può essere considerato.
Quindi la definizione non è scientifica, è un concetto intuitivo, ma di grande utilità, quindi la prima definizione data è la più tollerabile. Secondo Lyons, la parola è una sequenza caratterizzata dalla non interrompibilità e dalla mobilità che sono i due criteri identificativi di una parola. Per esempio la sequenza “l’uomo” scritta con l’apostrofo, ma in realtà è una sola sequenza [‘lwomo] (la prima o è da scrivere come un c al contrario) è interrompibile, quindi non è una parola perché si può dire l’atro uomo, così viene meno uno dei due criteri di identificazione di Lyons. Allora si può affermare che “l’” è una parola, ma non ha la caratteristica della mobilità perché va posta sempre prima di parole che iniziano con vocali. Questo dimostra come il concetto di parola sia estremamente variabile e incerto. L’articolo è un morfema che veicola il significato della determinatezza, della definitezza.

Incontro con Aspesi
Il raggruppamento in famiglie linguistiche è puramente convenzionale, si possono infatti avvicinare lingue con un numero di isoglosse (elementi linguistici comune) inferiore a quelle che costituiscono il nucleo della famiglia. Maggiore è il numero di isoglosse linguistiche comuni, più stretta è la parentela linguistica. Il campo delle lingue camito-semitiche e delle lingue semitiche in generale, oggi è più riconoscibile sotto il nome di afro-asiatico. Alcuni studiosi erano però contrari a questa nuova definizione, l’etichetta afro-asiatica ha assunto una connotazione più precisa nel tempo. Mentre la famiglia camito-semitica è tale per i glottologi, l’afro-asiatico definisce più o meno le stesse lingue ed è usata nella comparazione linguistica che si affianca alla genetica, l’indagine che studia la diffusione dei diversi DNA che consente il tracciamento della distribuzione dei vari tipi di uomo a partire dai primitivi, per cercare di risalire molto più all’indietro nel tempo di quanto non facciano i glottologi ad unità linguistiche che abbiano le loro radici nella formazione dell’uomo sapiens. Per raggiungere questi scopi le famiglie linguistiche sono molto più ridotte, per l’intero continente africano vengono riconosciute solo quattro famiglie, in base alla long range comparison, le macro famiglie linguistiche sono una ventina.
Nel semitico la lingua oggi più parlata è l’arabo, esistono ancora piccole comunità di parlanti che parlano lingue come l’aramaico: l’ordine delle lingue più parlate è l’arabo, l’amarico (Etiopia, una ventina di milioni di abitanti lo parlano), il trigrigna (parlato nel Tigre, nel nord dell’Etiopia con capitale Axun) e il tigrai (parlato in Eritrea).
Nell’ambito delle lingue semitiche è stata inventata la scrittura occidentale, oggi si ritiene che le scritture dell’estremo oriente siano, con probabilità, derivate da questo nucleo dopo una complessa mediazione.
La scrittura cuneiforme, strettamente identificata con la lingua, era molto simile all’egiziano per quel che riguarda il funzionamento, la storia di molte di queste lingue semitiche, molto simili tra loro, nonostante la distanza cronologica tra, ad esempio, l’egiziano e l’arabo moderno.
La lingua indoeuropea più antica è l’ittito che ha adottato dal mondo semitico mesopotamico la scrittura cuneiforme adattandola. L’attestazione scritta è molto più antica delle lingue europee.
La compattezza è dovuta al fatto che tutte queste lingue hanno insistito sullo stesso territorio, molto limitato per molto tempo, dalla penisola arabica, alla mesopotamia, fino all’attuale Yemen e Somalia, da cui si sono diversificate nelle varietà odierne. Le lingue semitiche si suddividono nelle lingue semitiche, l’antico egiziano con relativi sviluppi, le lingue libico-berbere (lega linguistica formatasi nel corso del tempo sulla costa settentrionale Africana) presenti fino al VII secolo prima della invasioni arabe. Il berbero è parlato tutt’ora, è un assieme di lingue. In Marocco il 50% parla arabo il 50% berbero perché sono i più lontani dal nucleo della conquista araba, stesso discorso per l’Algeria dove è presente una comunità parlante berbero. Sono tutte comunità islamizzate che però conservano la loro lingua. In Algeria, però, è in atto una repressione contro i berberi per un processo di arabizzazione.
In Etiopia è presente il sostrato delle lingue Cuscitiche, parlato prima che arrivasse il superstrato attuale, di cui la principale è l’Agau, parlata nell’altipiano etiopico dell’Abissinia, l’Afar è parlato invece più a occidente.
Ai quattro raggruppamenti camito-semitici qualche studioso aggiunge una serie di lingue parlate (senza una scrittura propria) in regioni dove la lingua scritta è l’arabo, intorno al lago Ciad. Questo dimostra come una famiglia linguistica sia arbitraria.
Le lingue semitiche sono molto vicine tra loro e questo permette una ricerca linguistica con un grado di certezza più elevato rispetto alle lingue indoeuropee, perché il divenire delle lingue, con le conseguenti modifiche e variazioni è fortemente influenzato dal numero di lingue diverse che insistono su un determinato luogo che da origine alla lingua odierna. Si possono mettere insieme elementi comuni tra loro come il sistema fonematico, morfologico e le caratteristiche predominanti sintattiche, ma arrivare a dire che una determinata lingua era la protolingua oggi non lo si può dire appunto per le variazioni linguistiche, nonostante le lingue semitiche siano molto simili tra loro.
Aggiungendo ad una famiglia linguistica lingue marginali, viene modificato il modello che i va a ricostruire perché necessariamente viene aggiunto un ulteriore termine di paragona che va a complicarlo. Il modello è quello del consonantismo semitico comune che, come il confine delle famiglie linguistiche, è convenzionale. Il fatto di avere un modello consente di attribuire lingue di nuova scoperta ad un certo raggruppamento, per esempio negli anni ’70 la scuola archeologica dell’università La Sapienza ha scoperto un archivio a Ebla collocabile al 23° secolo a.C. pieno di tavolette cuneiforme. Avendo un modello ha consentito la collocazione nel grupo camito-semitico e la decifrazione del codice.
Le maggiori differenze tipologiche tra le lingue, ci inducono a distinguere un semitico orientale da uno occidentale: il primo è rappresentato dalle lingue conosciute come assiro-babilonesi, i più antichi archivi sono quelli della Mesopotamia del sud relativi al regno, città stato, di Akkad (2005 a.C.) nelle tavolette sono stati ritrovati nomi propri semitici, ad un certo punto la lingua semitica ha preso il sopravvento i testi hanno quindi cominciato a essere scritti con la scrittura cuneiforme, a partire dalla lingua semitica. Nel terzo millennio abbiamo quindi una prima attestazione di una lingua semitica sottostante alla scrittura cuneiforme. Qualche secolo dopo,  a occidente, abbiamo testimonianza di un’altra lingua semitica, l’eblaita, con delle caratteristiche diverse dall’accadico, sempre cuneiforme, che preluderanno alla diversificazione tra orientale e occidentale.
La scrittura cuneiforme ha una sua preistoria prescritturale che in Mesopotamia è documentata, con i primi documenti scritti si è già di fronte ad una scrittura mista. Una scrittura diventa veramente propria quando è in grado di fissare per iscritto l’elemento fonico e associarsi ad una lingua. La preistoria è costituita a partire, dall’inizio del quarto millennio, è la conquista di quella che può essere chiamata la civiltà occidentale, caratterizzata dall’istituzione urbana, della città intesa soprattutto dal punto di vista istituzionale. Quando fu possibile conservare cibo nei magazzini nacque l’amministrazione burocratica e una differenziazione sociale tra produttori e coloro i quali si occupavano di religione, giustizia, tutto quello che non riguardava la produzione di beni di sostentamento. Una delle nuove necessità fu quella della registrazione delle derrate, risolta utilizzando pezzi d’argilla su cui vengono incisi simboli che fanno riferimenti in modo più o meno arbitrario a quello che è immagazzinato: ad esempio un simbolo per il grane e una serie di altri simboli per la quantità. I simboli sono più pittografici. Successivamente si sentì la necessità di raccogliere i dati presenti nei sigilli dei contenitori, in una tavoletta a sigillo del magazzino: è già più complesso, comporta simboli più generali, per esempio cereali. Le registrazioni prescindevano dalla lingua di riferimento. Il passaggio fondamentale è dovuto alla necessità di registrare le razioni a seconda dei compensi e quindi occorre registrare i nomi propri tramite acronimi: attribuendo un valore fonetico all’ideogramma, ad esempio il simbolo che prima indicava il grano, ma la successione di suoni come “gra”. In questo momento nasce la scrittura, circa nel 34°secolo a.C., 6-700 anni prima che la scrittura dei sumeri si adatti alla lingua accadica.
Nel secondo millennio nella tipologia semitica orientale continuano le fasi successive della lingua accadica, sul piano linguistico si ha una distinzione tra assiro e babilonese, estremamente simili tra loro, lingue codificate da scrittura e comprensibili reciprocamente. A occidente si ha un panorama variegato, nel secondo millennio esistono due tipi linguistici, uno conservativo, il cananico, e uno più innovativo, l’amorreo. Per oriente si intende l’odierno Iraq, mentre per occidente si intende la regione tra la Turchia orientale, dalla Siria settentrionale all’Arabia Saudita.
Portatori di innovazioni nelle lingue semitiche sono i fenomeni di sedentarizzazione di popolazioni seminomadi, il passaggio dal nomadismo all’urbanizzazione passa per il seminomadismo che consente la formazione di codici linguistici. Quando i seminomadi assumono l’egemonie si ha un cambio linguistico con una varietà linguistica innovativa. Il cananaico è la lingua delle città, l’amorreo è quello dei seminomadi. La più grande attestazione è l’archivio di Ugarit che nell’ultima età del bronzo, prima delle invasioni dei popoli del mare, ha avuto egemonia sul mediterraneo oientale. A Ugarit molto probabilmente nasce l’alfabeto, alcuni segni della scrittura cuneiforme si specializzano a rendere in maniera più o meno univoca i fonemi consonantici. La scrittura alfabetica diventa molto economica anche perché nelle lingue semitiche la struttura fondamentale è consonantica. La scrittura cuneiforme non aveva ancora sperato la consonante.
Il tipo cananaico comprende oltre al fenicio anche l’ebraico biblico che coesiste a occidente con l’aramaico, continuazione in qualche modo dell’amorreo, l’aramaico appare all’inizio del primo millennio, semplifica la scrittura, la privatizza, diventando la lingua ufficiale affianco alla lingua assiro-babilonese prima dell’impero neo-assiro e neo-babilonese di Ciro. In questo momento l’aramaico affianco il nuovo superstrato, diventando la scrittura internazionale per comunicare con le varie parti dell’impero. Nel primo millennio appaiono le prime attestazioni di una nuova lingua semitica, delle città stato del punto di arrivo della rotta delle indie, una lingua molto simile all’arabo, di quelle popolazioni che finiranno in Etiopia, il cui antecedente è la lingua liturgica della chiesa copta d’Etiopia, la lingua GEEZ. Solo nel primo secolo dopo Cristo abbiamo le prime testimonianze dell’arabo.
L’arabo ha continuato ad essere parlato, suddiviso in varietà regionali, per consentire una comunicazione pan-araba i mezzi di comunicazione hanno messo a punto una lingua comune che si rifà alla lingua del corano, utilizza quanto di comune alle diverse lingue arabe, ma di fatto è una lingua nuova.

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/linguistica/Linguistica-trascrizione%20lezioni.doc

Autori Sergio de Simone e Erika Giorgetti

 

Linguistica

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Linguistica

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

 

Linguistica