Atlantide
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Atlantide
Il mondo perduto
1) Platone e i suoi Dialoghi
Platone nasce ad Atene nel 428-427 a.C., da famiglia nobile, e muore nel 347. Dedicatosi dapprima alla pittura e alla poesia, si distinguerà anche nella ginnastica (nasce infatti col nome Aristocle, poi soprannominato dal suo allenatore Platone, "Piattone", per le sue spalle larghe). La sua vita subirà una svolta dall'incontro col grande filosofo Socrate, di cui sarà fedele discepolo per quasi un decennio, fino alla condanna a morte del maestro. Egli diventerà a sua volta uno dei principali filosofi di tutti i tempi. Tra i suoi scritti, raccolti dapprima dai suoi allievi, e organizzati in modo organico da Trasillo, ci sono pervenuti decine di Dialoghi, non tutti ritenuti autentici, in cui troviamo trascritte conversazioni tra Socrate e suoi concittadini. Non sappiamo se Socrate sapesse scrivere, ma non risulta che abbia mai realizzato alcun libro, preferendo trasmettere le sue idee con la parola. La grande importanza che viene riservata alla parola appare evidente anche nei Dialoghi, dove le storie sono riportate da Platone sotto forma di conversazione.
Prima di affrontare il dualismo Atlantide-degenerata contro Atene-virtuosa (soggetto di due dialoghi platonici), è bene ricordare che la narrazione fantastica di società ricche e perfette, è ricorrente nel mondo greco, e si tratta spesso di isole lontane, felici, in cui vige preferibilmente un sistema di tipo socialista e autarchico, con suddivisione dei compiti e possesso comune dei beni.
Teopompo di Chio (storico greco, nato il 378-377 a.C.) descrive due città socialmente opposte, Machìmos ed Eusebès, "degli uomini guerrieri" e "degli uomini pii", situate sul lontano continente di Meropia, anch'esse raffigurazione del dualismo oppositivo tra città virtuosa e città materialista (nota 1).
Diodoro Siculo (storico greco, circa 90-20 a.C.), nella sua opera Biblioteca storica, riassume il racconto dell'isola Panchea, narrata da Evemero di Messene (erudito greco, secc. IV-III a.C.); l'isola è situata nei pressi dell'Arabia felice ed è sede della ricca città di Panara, in cui sacerdoti, agricoltori e soldati sono divisi in caste. Sempre nella Biblioteca storica troviamo il ricordo dell'isola descritta dal poco noto Iambulo (forse III sec. a.C), visitata durante un viaggio immaginario tra l'Etiopia e l'India, dove esiste una società perfetta, anche qui divisa in caste, immersa in una natura generosa, le cui ricchezze sono comuni. Diodoro narra anche le vicende di Lipari nelle Eolie, dove i coloni Cnidii e Rodii, attaccati dagli Etruschi nel VI sec. a.C., si dividono in due gruppi, di cui uno coltiva le ricche terre divenute comuni, e l'altro combatte con successo i pirati, individuando così nella realtà storica motivi utopistici.
Antonio Diogene (circa I sec. d.C.) è autore d'un romanzo d'avventura, Le meraviglie di là da Tule, i cui personaggi compiono viaggi in giro per il mondo, in tutti i mari interni ed esterni. Ispirandosi forse a Diogene ed ad altri scritti fantastici di viaggi nell'Oceano, Luciano di Samosata (scrittore greco, nato circa nel 120 d.C.) nel suo Storia vera, narra incredibili navigazioni. Oltre alle isole sacre, inaccessibili ai mortali, quali l'isola dei Beati e l'isola dei Sogni, egli descrive anche strani abitanti all'interno di una balena; e fa persino un viaggio immaginario sulla Luna, accorgendosi quanto appaiano piccole, da lassù, le miserie umane della sua Grecia.
Com'è naturale, le società utopiche vengono sempre poste provvidenzialmente nei luoghi meno noti, situati ai confini del mondo e cioè anche della realtà, in cui le condizioni ambientali sono abbastanza ricche e i governanti abbastanza saggi e colti da costruire una comunità felice e stabile. Seppure il termine utopia sia composto dalle parole greche ou topos (nessun luogo), ha origine relativamente moderna, risalendo al saggio De Optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia (1516), di Tommaso Moro (Thomas More, umanista e politico inglese, 1478-1535), dove il suo stato di tipo comunistico, tollerante verso la libertà religiosa, così perfetto da non potersi realizzare nella realtà, è una risposta alle contraddizioni del suo tempo e alle prime notizie che venivano dal Nuovo Mondo.
Come accennato Platone pone in conflitto due città: una Atene virtuosa (e perciò invincibile) contro una Atlantide imperialista, sconfinata, ma corrotta. Nel periodo storico esse sono entrambe perdute; il filosofo infatti rende perfetta la sua costruzione, ponendo Atlantide in un luogo non solo lontano e inaccessibile ma anche passato, dimenticato e oggi scomparso. Non manca chi non veda in questo un abile stratagemma per sottrarsi all'onere della prova.
Nei suoi due dialoghi intitolati Timeo e Crizia, dal nome dei principali oratori, scritti circa nel 360 a.C., appare brevemente la storia di questa mitica isola. Nella prima parte il Timeo narra che Crizia, riunito una sera con Socrate, Timeo ed Ermocrate, ricorda quel che ascoltò mentre era un fanciullo di dieci anni, e suo nonno novantenne, di nome anch'egli Crizia, spiegava ad un uomo della sua tribù ciò che aveva appreso da Solone (famoso poeta e abile legislatore, approssimativamente 640-560 a.C., che intorno al 590 a.C. diede una costituzione democratica ad Atene). Solone viaggiò molto, in Anatolia, in Oriente e in Egitto. Egli ebbe istruttivi colloqui con alcuni saggi sacerdoti della città di Sais, sul delta del Nilo. Discorrendo con i sacerdoti, racconta Crizia, Solone si mise a parlare di cose antiche, dei primi uomini e del Diluvio che Zeus scatenò sul mondo per punire le società corrotte. Ma i sacerdoti sorridevano, e sostennero che i Greci in storia erano come fanciulli, nel senso che giudicavano antichissimo ciò che veramente antico non era, e ricordavano un diluvio mentre nella storia ve ne erano stati molti, e ricorrenti furono nel mondo terribili fenomeni naturali. Fuoco dal cielo, che colpisce soprattutto chi vive sulle montagne e nei luoghi aridi. Diluvi, che gonfiano i mari e i fiumi, devastando le terre costiere e le pianure. Terremoti, capaci di distruggere intere civiltà. E i sopravvissuti tornano rapidamente in misere condizioni, perdendo il ricordo delle proprie origini, poichè gli uomini difficilmente scrivono e discorrono di storia e filosofia quando è in forse il pane quotidiano. Per fortuna la valle del Nilo è particolarmente protetta da queste catastrofi, e quando il Nilo allaga non è per distruggere, e i loro templi conservano tutto ciò che essi hanno conosciuto anche del più remoto passato.
I sacerdoti egizi narravano volentieri a Solone queste storie, poichè dicevano che la Dea Atena, dopo la città di Atene, aveva fondato anche la città di Sais, gemellando così i due popoli. Solone compose un manoscritto di questo racconto (Crizia afferma, nel Dialogo, di esserne in possesso), che narra "la più grande impresa" che Atene avesse mai fatto, e di cui tutto il mondo Mediterraneo doveva essergli grata.
2) Atlantide contro Atene
Crizia racconta che novemila anni prima (quindi circa nel 9500 a.C.) il mondo era molto diverso. Al di là delle Colonne d'Ercole, in quel mare ben più vasto del Mediterraneo, che si stende oltre lo stretto, sorgeva un'isola grande come Libia e Asia insieme, chiamata Atlantide, da cui si poteva passare ad altre isole, fino ad un enorme continente. Atlantide fu assegnata agli inizi del mondo al dio Poseidone (Nettuno). In mezzo all'isola c'era una vasta pianura, che arrivava a sud fino al mare, e che era ornata alle spalle da monti con vette altissime. Nella pianura c'era una collina; in quel luogo Poseidone giacque con una giovane donna, che era rimasta orfana, e che generò, durante cinque parti, cinque coppie di figli maschi.
Quando furono abbastanza grandi, il Dio incaricò quei figli di regnare sulle sue terre, e al primo, cui diede nome Atlante, donò la parte dove sorgeva la casa materna e che era anche la terra più bella di Atlantide. Il Dio difese quel luogo, scavando tutto intorno tre cinte d'acqua, separate da due di terra, creando così un'isola dentro all'isola, e la arricchì poi con due fonti d'acqua, una calda e una fredda.
La grande pianura era una terra ricca, che grazie alle piogge abbondanti e all'irrigazione poteva dare frutti due volte l'anno. In Atlantide c'erano pascoli favolosi che riuscivano a nutrire ogni tipo di bestiame, compresi gli elefanti, e vasti boschi, che fornivano abbondante legname per ogni uso. Vi si trovava anche ogni tipo di metalli, tra cui uno prezioso quasi quanto l'oro, di cui oggi si conosce solo il nome: l'oricalco. Le due fonti calda e fredda alimentarono vasche d'ogni tipo, per i re, per i concittadini, per le donne e anche per i cavalli, che disputavano gare nel loro ippodromo.
I re che vi regnarono, uno dopo l'altro, abbellirono quei luoghi continuamente. Scavarono un canale che congiungeva l'isola centrale al mare, in modo che fosse raggiungibile dalle navi. Anche la pianura fu circondata con un'enorme fossa, che raccoglieva le acque che scendevano dai monti, e una fittissima rete di altri canali divideva Atlantide in innumerevoli e popolati settori territoriali. Costruirono templi e reggie, ponti e porti. Per queste ricchezze, per quelle che affluivano dall'estero, nel corso di molte generazioni i regni accumularono enormi tesori.
Il popolo di Atlantide divenne eccezionalmente numeroso, assai progredito e ricco, e dominava su tutte le isole circostanti, su parte di un enorme e lontano continente occidentale, ed anche sul mondo mediterraneo fino alla Tirrenia (Etruria) e all'Egitto.
I sovrani avevano potere di vita e di morte su tutti i sudditi, ma tra loro i rapporti erano regolati dalle leggi che Poseidone aveva imposto, per primi, ai suoi figli. Si riunivano ogni cinque o sei anni, discutendo dei loro interessi, e nei casi in cui la legge era violata diventavano giudici. Prima di giudicare però compivano un rito sacrificale, uccidendo un toro presso una colonna d'oricalco, nel Tempio, su cui le leggi erano incise.
Il tempio di Poseidone era contenuto nella reggia, all'interno dell'Acropoli; di barbarica imponenza, era ricco di statue, ornato d'argento, oro, avorio e oricalco. Là erano stati concepiti i figli del Dio, e in loro ricordo ogni anno venivano offerti sacrifici.
Negli affollati porti arrivavano imbarcazioni provenienti da tutto il mondo, e ad Atlantide non mancava un grande esercito, che dislocava gli armati più fedeli fin dentro all'Acropoli. La sola provincia del re supremo, la maggiore delle dieci, poteva contare in caso di guerra su 10.000 carri, 120.000 cavalieri e altrettanti arcieri, più un gran numero di armati in vario modo (un esercito totale di oltre 1 milione di soldati), e 240.000 marinai su 1.200 navi.
I primi re, figli di Poseidone, avevano in sé una forte natura divina, sapevano gestire il potere con saggezza, e la ricchezza era per loro quasi un fardello che, inevitabilmente, cresceva grazie alla loro virtù. Ma ad ogni generazione la natura divina si mescolava con quella umana, finchè la virtù dei re si corruppe, essi degenerarono, e il desiderio di possedere il mondo intero li conquistò.
Forti della loro potenza, un giorno, i re tentarono di sottomettere anche gli altri popoli mediterranei, per dominare infine anche sull'Asia.
Non dimentichiamo che anche l'Atene di quel periodo, forse la vera città utopica del racconto, era però molto diversa. Prima che il tempo ne inquinasse la purezza, la sua civiltà non aveva pari. Intorno alla città grandi pianure, più estese di oggi, fertili, grasse, sempre nutrite d'acqua, davano abbondanti provviste a tutta la popolazione. C'erano boschi e pascoli per il bestiame. Piogge e diluvi eroderanno queste terre, lasciandole oggi, a paragone, impoverite come le ossa di un corpo infermo.
La città era retta da leggi sagge. La classe militare viveva separata dagli altri cittadini, senza fasti, ma con decoro; contava circa ventimila guerrieri, uomini e donne, come mai il mondo ne vide. La guerra che impegnò Atene e la Grecia, contro l'improvvisa aggressione, ha comunque del favoloso. La città arrivò a sostenere quasi da sola l'urto degli eserciti invasori.
I sacerdoti, nel loro racconto, ricordano con affetto come Atene riuscì, assai generosamente, a liberare molti popoli oppressi, respingendo il nemico nell'Oceano. Ma Zeus osservava da tempo la stirpe di Poseidone e ne era deluso. Giudicò quel mondo ormai troppo degenerato e meritevole di una tremenda punizione. Terremoti e inondazioni devastarono la Terra, fin quando, durante un giorno e una notte, Atlantide sprofondò nel mare, e inghiottito dalla terra fu anche l'esercito ateniese. L'Oceano, un tempo navigabile, divenne impraticabile e pericoloso, fino ad oggi, per le melme che lo sprofondamento aveva sollevato. E della gloriosa Atene rischia di scomparire anche il ricordo di questa incredibile vittoria militare, la più grande impresa di tutti i tempi.
Questo è il racconto che Platone trascrive per noi.
3) Dalla mitologia al CERN
La cosmogonia greca narra che, in origine, dal Caos naque Gea (la Terra), da cui si generò Urano (il Cielo). Insieme essi crearono i Titani, i Ciclopi e gli Ecatònchiri. In seguito Urano precipitò crudelmente Ciclopi ed Ecatònchiri nell'inferno del Tartaro; la loro madre Gea allora spinse il Titano Crono (Saturno) a rovesciare il padre, usurpandone il trono, ed egli lo evirò con la falce adamantina. Il nuovo re dell'Universo Crono, sposo di Rea, temeva però che i suoi figli potessero riservargli lo stesso trattamento, e quindi li rendeva inoffensivi ingoiandoli appena nati. Questo non gli riuscì con Zeus che, divenuto grande, sfidò il prepotente padre, insidiandone il potere. A quel punto quasi tutti i Titani, capeggiati dal gigantesco e feroce Atlante, si schierarono con Crono.
Il racconto noto come titanomachia narra che dopo dieci anni di battaglie Zeus, dall'alto del monte Olimpo, richiamò in suo aiuto Ecatònchiri e soprattutto Ciclopi, i costruttori di fulmini, liberandoli dalla prigionia a cui erano condannati. La battaglia che si svolse in Tessaglia, terribile oltre ogni immaginazione, sbriciolò le montagne, e forse per questo le coste greche sono tanto frastagliate e cosparse di isole. Al termine, completamente sconfitti, Crono e i Titani ribelli furono a loro volta sprofondati nel Tartaro. E quando l'Etna brontola ed erutta fuoco, sono i Titani terribilmente ustionati dai fulmini di Zeus, che dal profondo della loro prigione si contorcono. Solo Atlante subirà una diversa sorte, condannato a sorreggere per sempre la volta del Cielo: il termine greco Atlas infatti significa infaticabile, ma anche "colui che sostiene", e per questo atlanti sono la variante maschile delle cosidette cariatidi: figure umane che fungono da colonne in certe antiche strutture architettoniche.
Diodoro Siculo invece, in Biblioteca storica, ci racconta che il regno di Urano fu semplicemente diviso tra i suoi figli, tra cui Atlante e Crono. Il primo ricevette le regioni che si affacciano sull'oceano (che per alcuni circonda la terra), ossia i confini dell'ecumene (il mondo conosciuto). Le sette figlie di Atlante diedero poi i nomi alle principali stelle che compongono l'ammasso stellare delle Pleiadi.
Nel Crizia Poseidone assegna il nome di Atlante al primo dei dieci figli. Ed è da questo che deriverà il nome di Atlantide per l'isola e di Atlantico per il mare. Introducendo il discorso, però, Crizia avverte che i sacerdoti egizi avevano interpretato nella loro lingua i nomi del racconto, modificandoli, e lo stesso fa Solone, traducendo, e utilizzando così nomi greci con lo stesso significato di quelli egizi. Per indicare il re di quest'isola posta nel lontano Oceano, scelse perciò il nome del Titano che non può che sorreggere la cupola del cielo dove questa sfiora la Terra, agli estremi confini del mondo, compreso quel mare misterioso e pressoché inesplorato posto oltre le Colonne d'Ercole, in cui i navigatori temono avventurarsi.
Nel 1546 lo stampatore romano A. Lafreri realizzando una raccolta di carte geografiche, mise in prima pagina l'immagine di un titano Atlante impegnato a sostenere il mondo. Nel 1595 Mercatore (Gerhard Kremer, matematico e geografo fiammingo) decise di dare il titolo Atlas al suo libro di carte geografiche, pubblicato postumo nel 1602, creando un precedente che verrà ripetuto in maniera diffusa. Infatti oggi atlante è il nome con cui comunemente si indicano i libri che riportano le cartine della Terra, ma anche più genericamente qualsiasi raccolta di tavole illustrate, di anatomia o astronomia.
Oggi il termine ha assunto anche il significato di "notevole dimensione", come nel caso del cosidetto Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, che nulla ha a che fare con lo spaventoso titano, se non la grandezza, essendo composto da 1222 fogli di grande formato.
In astronomia Atlante è il nome assegnato ad un satellite di Saturno.
Anche la missilistica e l'astronautica hanno attinto spesso nomi dalla mitologia. Per quanto riguarda i termini trattati in questa pagina, Atlas è il nome del primo missile balistico intercontinentale (ICBM) che la Difesa degli Stati Uniti ha realizzato nella seconda metà degli anni '50, nel tentativo di colmare il vantaggio raggiunto nel primo dopoguerra dall'Unione Sovietica. Progressivamente smantellati dal 1965, sono stati utilizzati in seguito come vettori per il programma spaziale. Quasi contemporaneamente venne costruito dagli USA anche il Titan, anch'esso prodotto in numerose versioni, utilizzato anche per la messa in orbita di satelliti militari. Atlantis è invece il nome di uno Space Shuttle (in onore dell'omonima nave da ricerca oceanografica del Woods Hole Oceanographic Institute of Massachusetts), uscito di fabbrica nel 1985 e quarto della flotta (se si esclude l'Enterprice, non adatto ad andare in orbita), che sopravvisse insieme al Discovery e all' Endeavour (primo volo 1992), quinto esemplare costruito dopo la distruzione del Challenger, avvenuta durante il lancio (1986). Distrutto sarà anche il Columbia (2003), durante il rientro in atmosfera. Questi disastri hanno portato alla sospensione dell'utilizzo delle navette spaziali per 36 mesi il primo, e per due anni il secondo; i voli sono ripresi nel 2005. Nel luglio 2011, con l'ultimo volo dell'Atlantis, termina l'era degli Space Shuttle, i cui esemplari rimasti verranno esposti in quattro musei americani. L'Atlantis sarà custodito presso il Kennedy Space Center a Cape Canaveral (Florida), non lontano dal suo poligono di lancio.
In campo scientifico va anche ricordato che Atlas (A Toroidal LHC ApparatuS) è il nome del più grande rivelatore di particelle del mondo, capace di analizzare un miliardo di collisioni all'anno e divenuto operativo nel 2008 all'interno del Large Hadron Collider, presso il CERN di Ginevra (per inciso il CERN è il luogo di nascita del World-Wide Web, la "ragnatela che avvolge il mondo", inventato nel 1990 da Tim Berners-Lee). L'Italia partecipa al progetto LHC attraverso l'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare).
4) Antiche navigazioni
Adesso torniamo indietro e soffermiamoci brevemente su quelle che erano le reali conoscenze degli antichi sull'Oceano che, come abbiamo detto, secondo alcuni circondava il mondo conosciuto, tanto che il Mar Nero e il Mar Caspio avrebbero potuto essere in comunicazione con l'Oceano orientale. Ai resoconti di reali navigazioni si intrecciano inevitabili fantasie, e talvolta risulta difficile distinguerle.
Tra i primi grandi popoli marinari ci sono sicuramente i fenici, che dominarono i commerci marittimi tra il 1400 e il 600 a.C., fondando numerose colonie in tutto il Mediterraneo tra cui Cartagine, che ne ereditò le basi commerciali quando la Fenicia fu inglobata nell'impero persiano. Essi difendevano bene il segreto delle loro vie marittime e raccontavano storie terrificanti sui paesi lontani, per scoraggiare i concorrenti. Erodoto ci ha lasciato notizia di una circumnavigazione dell'Africa, effettuata da una spedizione fenicia, su incarico del faraone Neco II (609-594 a.C.). Partiti dal Mar Rosso (o dal Golfo Persico), compirono un viaggio durato tre anni durante il quale per due volte sostarono a terra seminando e attendendo il raccolto. Essi scesero a sud e risalendo la costa atlantica con un lungo viaggio di cabotaggio, cioè lungo la costa, rientrarono nel Mediterraneo e dimostrarono che la Libia, tranne l'istmo che la unisce all'Asia, è circondata dall'Oceano.
Nel VI secolo a.C. Eutimene di Marsiglia (Massalia fu fondata dai Greci di Focea nel 600 a.C. presso la foce del Rodano) navigò lungo la costa occidentale dell'Africa, probabilmente almeno fino al Senegal. Ma dopo il 520 a.C. Cartagine occupò le Colonne d'Ercole (oggi Stretto di Gibilterra), impedendo ai greci di oltrepassarle, e successivamente si impossessò anche della città fenicia di Tartesso, sull'Atlantico. Nel V secolo a.C. fu perciò la volta di Annone di Cartagine che, partito da Gades (Cadice) si spinse forse fino alla Sierra Leone. Anche questa spedizione, a differenza del viaggio fenicio che aveva proceduto in senso inverso, fu ostacolata nella navigazione verso sud da correnti contrarie, che ne impedirono il proseguimento.
Secondo alcuni resoconti, con il declino cartaginese e la riapertura dello stretto (nella seconda metà del IV secolo a.C.), un navigatore greco di cui non si hanno notizie precise, Pitea di Marsiglia, navigò oltre le Colonne d'Ercole fino alle isole Britanniche ed altre terre del nord Europa, considerate come il limite settentrionale del mondo abitabile. Questa esplorazione dell'Oceano settentrionale aveva senza dubbio tra i suoi obbiettivi anche motivi economici, cioè raggiungere via mare le terre da cui provenivano i commercianti di stagno e ambra.
Nell'Oceano Atlantico, oltre lo Stretto di Gibilterra, si incontrano numerosi arcipelaghi, di origine prevalentemente vulcanica. A soli 100 km. dal Marocco ci sono le Canarie, ancora parte dello zoccolo continentale africano, già note a fenici e cartaginesi, conosciute dai Romani come Isole Fortunate; sono abitate da una popolazione autoctona, i Guanci, che moderne prove genetiche e linguistiche inparentano con le popolazione berbere africane. A 1400 km. dall'Europa, sulla dorsale oceanica, ci sono invece le Azzorre, forse già toccate da cartaginesi e arabi, ma che saranno occupate dai portoghesi solo nel 1432.
Bisogna attendere l'epoca medioevale per le prime esplorazioni documentate dell'Atlantico settentrionale. Avvolte nel mito sono le gesta di San Brandano (Brénnain mac Altha), un abate che fondò nel VI sec. d.C. monasteri in Irlanda e Inghilterra. Un ciclo leggendario (Vita Sancti Brendani), arricchito tra il IX e il X secolo (Navigatio Sancti Brendani), narra di sue navigazioni fantastiche verso occidente, alla ricerca della paradisiaca terra di Hy-Brasil. Durante il viaggio gli capita anche di sbarcare a celebrare la Pasqua sul gigantesco pesce Iasconius, scambiato per un'isola. Vero è che nell'VIII secolo monaci irlandesi si stabilirono in Islanda, dove furono raggiunti successivamente dai vichinghi.
Dalla fine dell'VIII secolo alla metà dell'XI i vichinghi furono protagonisti di straordinarie imprese. Le navi di questi intrepidi navigatori scandinavi erano in grado di affrontare l'Oceano, ma anche di penetrare nei fiordi e risalire i fiumi. In Asia, attraverso il Dnepr e il Volga, raggiunsero il Mar Nero e il Mar Caspio. Sul versante nord-atlantico, sfruttando un periodo di clima caldo durato circa 300 anni, nel IX secolo raggiunsero l'Islanda e nel X la Groenlandia. Sembra che nel 986 una delle loro navi diretta in Groenlandia fu portata fuori rotta da una tempesta e costeggiò probabilmente il suolo canadese, presso Terranova, provocando nuove spedizioni. Nel 1025 Torfinn Karlsefni creò perfino un insediamento sul suolo americano, in una terra di uve e viti che nelle saghe nordiche viene chiamata Vinland, e che fu abbandonata pochi anni dopo, per l'ostilità dei nativi e per la difficolta di mantenere i rapporti con la madrepatria. Inoltre dalla fine del XIV secolo il clima iniziò a peggiorare, ed anche i contatti con la Groenlandia furono interrotti.
5) Il Nuovo Mondo
Prima ancora di Platone fu Erodoto (storico greco, 484-430 a.C.), nel suo Storie, a parlare degli Atlanti, dando questo nome ad una popolazione dell'Africa nord-occidentale, strettamente vegetariana e che affermava di non sognare; essa viveva presso la montagna Atlante: un massiccio altissimo le cui vette erano sempre immerse nelle nuvole e che si diceva fosse una delle colonne del Cielo. Platone sembra rifarsi ad Erodoto anche quando descrive la civiltà di Atlantide, inspirandosi forse alla descrizione che questi fece dell'impero persiano, con le sue splendide e popolose metropoli, le masse sterminate e indistinte del suo esercito e le sue genealogie di re. Successivamente Aristotele (filosofo greco, 384-322 a.C.), allievo di Platone nonché precettore di Alessandro Magno, giudicò la narrazione del Crizia semplicemente una fantasia, utilizzata dal maestro perché utile alla sua trattazione. In ambito romano Plinio il Vecchio (scrittore latino, 23-79 d.C.) citò Atlantide nel suo Naturalis Historia, mentre esaminava le attività sismiche e vulcaniche che modificano la superficie terrestre. Molti anni dopo Tertulliano (apologeta cristiano di Cartagine, 160-220 d.C. circa), ricorse invece a Platone per difendere i cristiani, accusati dai pagani di essere responsabili di alcune calamità, che venivano interpretate come collera degli dei. Tertulliano citò Atlantide per dimostrare che le calamità naturali fanno da sempre parte della storia, ben prima del Cristianesimo: al significato utopistico e filosofico del mito già si anteponeva l'aspetto catastrofico.
I testi greci furono studiati e diffusi nella Roma imperiale, ma con le invasioni barbariche continuarono a circolare solo in Oriente e in terra araba, mentre in Europa rimasero per lo più confinati nei monasteri, dove religiosi diligenti continuarono a farne copie.
Per tutto il Medioevo il mito Platonico non suscitò particolari attenzioni. Ma alla fine del XV secolo Cristoforo Colombo (navigatore genovese, 1451 circa -1506) compì il primo vero viaggio transoceanico. Partito il 3 agosto 1492 da Palos, un porto spagnolo sull'Atlantico, raggiunse il 12 ottobre un'isola delle Bahamas che battezzò San Salvador. Com'è noto egli aveva fatto male i conti ed era convinto di essere sbarcato in Asia orientale. Ai suoi occhi il nuovo mondo era meraviglioso: natura incontaminata, lussureggiante e generosa, grandi quantità d'acqua dolce, mare e cielo limpidi, uomini nudi, ingenui e fisicamente belli. Entusiasmato da ciò che vedeva, nei suoi resoconti egli si dice convinto di trovarsi vicino al biblico giardino dell'Eden, un altro mitico mondo perduto. Il Paradiso Terrestre, il giardino delle delizie abitato da Adamo, era collocato dalla Genesi biblica in un luogo imprecisato dell'Oriente e immaginato in alto, dove la terra sfiora il cielo, e dal cui albero della vita sgorgano i quattro grandi fiumi del mondo (identificati in passato con il Tigri, l'Eufrate, il Gange e il Nilo, di cui erano ignote le sorgenti). Perciò Colombo maturò la convinzione di una Terra sferica, ma con una protuberanza: non una montagna, ma una continua ascesa verso un culmine vietato agli uomini, a cui si era avvicinato col suo viaggio oceanico.
Purtroppo successivi viaggi esplorativi ebbero esiti diversi. Nel Nuovo Mondo si scoprirono anche popolazioni ostili, con pratiche cannibaliche, e grandi civiltà con religioni di sospetta derivazione demoniaca. Ma soprattutto ci si convinse che non si trattava dell'Asia, bensì di un nuovo mondo, enorme e sconosciuto.
La scoperta di un nuovo continente, ignoto anche agli antichi, esigeva profonde riflessioni, sia di ordine politico che religioso. Da chi discendevano i suoi abitanti e quando avevano popolato il continente? Quale sovrano poteva vantare diritti su quelle terre?
I regni di Spagna e Portogallo erano profondamente cattolici, riconoscevano in Dio la propria guida e dalla religione traevano la legittimità del proprio potere. Era necessario concigliare le antiche scritture con le nuove scoperte, svelando le antiche genealogie, che gli autoctoni non sapevano ricostruire in modo persuasivo. Se le popolazioni americane discendevano da Noè e in particolare da suo figlio Iafet, popolatore dell'Europa e perciò della penisola iberica, questo autorizzava i re di Spagna a indicare i re Atzechi e Incas come usurpatori e presentarsi come legittimi sovrani di quelle genti e di quelle terre: una curvatura interpretativa chiaramente nazionalistica. Ma seppur questa impostazione fosse avvallata dal Pontefice di Roma, non erano dello stesso avviso Francia e Inghilterra. In ogni caso una qualsiasi discendenza biblica scongiurava la pericolosa ipotesi di popolazioni preadamitiche o la nefasta teoria di una generazione spontanea degli organismi viventi (già presente in Aristotele), che rischiava di diffondersi prima con Paracelso (1493-1544) e poi con Giordano Bruno (1548-1600).
Nel 1530 Gerolamo Fracastoro introdusse Atlantide in un suo poema, Syphilis, sive morbus Gallicus, elevando il racconto platonico a verità storica e indicando gli abitanti del continente americano come lontani discendenti del re Atlante: un'impostazione che invitava a separare il nuovo continente dalla cronologia biblica e quindi dal mondo iberico. Nel 1556 la teoria venne ripresa da Giovanni Battista Ramusio, nel suo Navigazioni e Viaggi. Nello stesso perido il filosofo veneto Girolamo Garimberto, in Problemi naturali, e morali, compì una comparazione tra i modelli religiosi e culturali del Vecchio e Nuovo Mondo, indicando numerose affinità.
Nel 1551 il sacerdote spagnolo Fancisco López de Gómara, nel suo Hispania Victrix, collegò esplicitamente la civiltà Azteca con Atlantide, adducendo vicinanze etimologiche e somiglianze architettoniche. Una leggenda azteca parla di un'isola originaria chiamata Aztlan; inoltre le civiltà mesoamericane eressero templi piramidali e adottarono pratiche che ricordavano quelle egizie e mesopotamiche. Per qualcuno queste somiglianze potevano essere indotte da una naturale evoluzione delle società umane, in risposta a stimoli e necessità simili. Inoltre oggi sappiamo che gli Aztechi si insediarono nella valle del Messico solo nel I millennio d.C., e furono preceduti dalla civiltà Maya, nata nel 1500 a.C.
Ma alcuni iniziarono a dubitare remoti contatti. Si era davvero di fronte al totalmente nuovo? Oppure il Dialogo di Platone lasciava intravedere una qualche conoscenza da parte degli antichi? Iniziò così a crearsi una doppia ipotesi: identificare tout court Atlantide con l'America, oppure accettare che l'Oceano Atlantico avesse ospitato in passato vasti territori o un arcipelago, poi scomparso, ponte tra il Nuovo Mondo e il Mediterraneo. Mentre la seconda ipotesi poneva il problema di ricostruire posizione e dimensioni delle terre scomparse, la prima si andava ad intrecciare con la storia delle antiche navigazioni.
6) XVII e XVIII secolo
Nel romanzo Nuova Atlantide (Nova Atlantis), composto da Francesco Bacone (Francis Bacon) tra il 1614 e il 1617 e pubblicato postumo in forma riveduta circa un decennio dopo, troviamo nuovi elementi che si riveleranno assai fertili. E' la storia di un'isola dell'Oceano Pacifico, molto evoluta e chiamata Bensalem, che al pari dell'Atene platonica ha anticamente subito l'aggressione di Atlantide, che qui viene identificata esattamente con il continente americano. Mentre le ricostruzioni storiche precedenti cercavano di svelare come gli antichi avessero popolato il Nuovo Mondo, la geografia baconiana mostrava tre entità civilizzate egualmente antiche, con Atlantide-America in posizione centrale. Inevitabilmente ne derivava l'ipotesi di diffuse navigazioni oceaniche precedenti all'epoca storica. Ci sono perciò i primi elementi che porteranno alle tesi "diffusioniste", che immaginano un antichissimo e avanzato centro di civiltà, che ha alimentato quelli storici noti. Inoltre Bensalem è un mondo utopico a noi sconosciuto, ma che invece conosce bene il nostro, in un gioco di osservare senza essere visti; una condizione che verrà ripresa nel XIX secolo e fusa con miti asiatici per confezionare complesse mitografie.
Intanto lo scienziato nazionalista svedese Olaus Rudbeck, nell'opera Atlantica, sive Manheim, vero Japheti posterorum sedes ac patria, pubblicata tra il 1609 e il 1702, tentò un'improbabile conciliazione tra miti pagani, testo biblico e l'Edda (una raccolta medioevale di 29 canti mitici scandinavi). Il sogno nazionalista di Rudbeck si rifaceva anche al mito di Iperborea, una terra fantastica che gli antichi greci immaginarono nell'estremo Nord. Nella sua ricostruzione storica Jafet, il figlio di Noè, popolò l'Europa a partire dalla Svezia, che lui fece coincidere con l'Atlantide platonica (cioè l'origine della civiltà), localizzando la capitale di Atlantide nei pressi della città svedese di Uppsala. La sua opera si inseriva in un contesto culturale che coltivava progetti egemonici e profetici per la corona di Svezia e la sua regina Cristina Alessandra.
Utilizzando un approccio più scientifico, il filosofo gesuita Athanasius Kircher, in Mundus Subterraneus (1664-1665), escluse alcune ipotesi circolate, che volevano Atlantide sprofondata durante il Diluvio Universale, ed esaminando le forze naturali che modificano la superficie terrestre ne attribuì la scomparsa ai sommovimenti tellurici e alle attività vulcaniche. Egli disegnò anche una mappa, divenuta famosa (in cui nord e sud sono capovolti, secondo l'uso dell'epoca) che illustra una grande isola al centro dell'Atlantico, di cui le Azzorre rimangono le vestigia. Egli elabora anche una teoria, complice l'incompleta conoscenza delle zone polari, secondo cui esiste sul pianeta una circolazione delle acque oceaniche (simile a quella sanguigna del corpo umano), che vengono inghiottite al Polo Nord e attraverso percorsi sotterranei risalgono alla superficie in Antartide.
All'ipotesi dello sprofondamento e dei mutamenti della superficie terrestre congiuravano notizie pervenute da tutte le epoche. Da Seneca sappiamo che nel 373 a.C. un maremoto distrusse le città di Bura ed Elice, nel Peloponneso greco, scivolate in acqua o inghiottite da una voragine, mentre nel 46 d.C. movimenti tellurici provocarono la nascita di una nuova isola nel Mar Egeo, chiamata Thia. Posidonio ci dà notizia di un'eruzione sottomarina del 126 d.C. nelle isole Eolie, con la formazione di un'isoletta, successivamente scomparsa. E così via, fino all'emersione in circostanze simili dell'isola Fernandea, davanti alla Sicilia del XIX secolo, poi riaffondata prima che si accendesse una disputa di appartenenza tra Inglesi e Borboni.
Nel 1738 Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie, sollecitato dalla consorte che era rimasta affascinata da statue e sculture rinvenute negli anni precedenti, acconsentì a proseguire gli scavi effettutati anni prima dal generale Elbœuf non lontano da Napoli. Le prime ricerche portarono alla luce il Teatro della città di Ercolano, seppellita nel 79 d.C. sotto venti metri di lava da un'eruzione del Vesuvio. Gli scavi presso Pompei, ricoperta da lapilli e cenere durante la stessa eruzione, iniziarono soltanto nel 1748. Lentamente, dopo 17 secoli, persone, animali, oggetti e sculture riemersero dal passato, offrendo la loro drammatica testimonianza.
Nel 1755 Lisbona, già soggetta a periodici fenomeni tellurici, fu devastata da un terrificante sisma, seguito da un altrettanto devastante maremoto. Avvenimenti come questo, che suggerivano un versante atlantico soggetto a complessi mutamenti, influenzarono sicuramente i filosofi illuministi francesi, che nella compilazione dell'Encyclopédie furono inclini ad assegnare al mito platonico un fondo di verità. Non estraneo agli stessi salotti parigini, il teologo protestante Charles-Frédéric Bäer, vicino alla corte di Svezia, pubblicò nel 1762 Essai historique et critique sur les Atlantiques. In quest'opera egli, in disaccordo con il sogno svedese di Rudbeck, ma assecondando la sua volontà di delocalizzare i luoghi, pretese di leggere il mito atlantico come trasfigurazione pagana dei testi sacri. Intanto fece sua la teoria che i 9000 anni di Platone fossero mesi lunari, riportando così il racconto entro la cronologia biblica. Poi, avventurandosi in complicate associazioni etimologiche, localizzò nel mediterraneo orientale le cosidette Colonne d'Ercole e nell'Oceano Indiano la sede dell'isola (guadagnandosi le sarcastiche critiche dell'enciclopedista Denis Diderot).
Attivo in ambito parigino fu anche l'astronomo e mistico francese Jean-Sylvain Bailly. Non estraneo ad alcune posizioni di Rudbeck e Bäer, egli considerava i miti antichi una deformazione di fatti storici, e si proponeva perciò di analizzarli per estrarne le verità ispiratrici. Integrando le sue ricerche con il pensiero dei naturalisti, che consideravano la Terra in una fase di raffreddamento (nel XVII secolo il Tamigi ghiacciava ogni anno), decretò l'origine della civiltà umana a Nord, dove il clima temperato induce all'attività, forse in Asia settentrionale. Questo popolo, che coincideva con il mito di Atlantide, era stato costretto dal Diluvio Universale e dai cambiamenti climatici ad emigrare, dispensando parte della sua antica sapienza al mondo cinese, indiano, mesopotamico ed egiziano. In seguito, sollecitato dalle critiche di Voltaire, Bailly corresse in parte le sue tesi, e in Lettres sur l'Atlantide de Platon et sur l'ancienne histoire de l'Asie, del 1765, teorizzò il Nord Atlantico come probabile sede di Atlantide, forse presso l'arcipelago delle Svalbard, suggerendo anche che l'isola non fosse sprofondata, ma semplicemente rimasta intrappolata nei ghiacci.
7) XIX secolo: nuove origini per l'uomo
Per gran parte della Storia le uniche informazioni a disposizione degli studiosi, sulle origini e il passato della Terra, erano i testi antichi, e la Bibbia rappresentava pur sempre una fonte. A metà del XVII secolo il vescovo irlandese James Ussher, sulla base della cronologia biblica, calcolò che la creazione del mondo era avvenuta nel 4004 a.C. Dalla fine del XVIII secolo però la geologia fece grandi progressi. Nel 1797 il geologo scozzese James Hutton, che aveva a lungo studiato e compreso l'origine delle rocce sedimentarie, collezionando scrupolosamente i fossili che vi andava trovando, fece pubblicare The Theory of the Earth, in cui ipotizzava che la Terra esistesse da molti milioni di anni. Nel 1796 il naturalista Georges Cuvier portò alla luce, nei pressi di Parigi, ossa fossili di elefante e, durante altri scavi in terra francese, di mammut e dinosauri, confermando che nel passato erano esistite forme di vita successivamente scomparse. Dedicatosi alla classificazione di piante e animali, egli inaugurò l'anatomia comparata, ma distinguendosi dalla teoria di evoluzione graduale di Jean-Baptiste Lamarck, individuò nelle grandi catastrofi naturali i responsabili delle estinzioni; per ultima il Diluvio biblico.
Nel XIX secolo anche la linguistica fornì importanti contributi alla ricerca sulle origini delle popolazioni europee, individuando una grande famiglia, collegabile ad un popolo ancestrale, i cui discendenti si diffusero dall'India fino all'Irlanda. Già i mercanti europei che visitarono l'India nel XVI secolo, come il fiorentino Filippo Sassetti, si stupirono delle somiglianze esistenti tra latino, greco e sanscrito, l'antica lingua indiana. Nel secolo successivo Andreas Jäger (De lingua vetustissima Europae, 1686) coniò il nome di "scitoceltico" per indicare un'antica lingua scomparsa, da cui derivavano latino, greco, celtico, lingue germaniche, slave e persiano. Ma fu dalla fine del XVIII secolo, con la colonizzazione inglese dell'India, che si diffuse in Europa la conoscenza del sanscrito, che risultava indubbiamente imparentato a questa grande famiglia linguistica. Denominata nella Germania del XIX secolo come "indogermanico" e successivamente anche "ariano", fu infine comunemente indicata come "indoeuropeo". L'Europa era quindi stata occupata a partire da un nucleo originario, che oggi possiamo localizzare nelle steppe della Russia meridionale, e sappiamo moltiplicato e diffuso da est verso ovest.
All'inizio del XIX secolo il continente americano conservava però il suo mistero: da chi era stato popolato e quando? L'Oceano che separa i continenti appariva un ostacolo enigmatico e quindi, se si voleva escludere un popolamento dall'Artico, il mito di una terra intermedia e scomparsa rimaneva invitante. Nel 1803, dopo aver partecipato ad una spedizione che doveva raggiungere l'Australia, il naturalista francese Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent scrisse una relazione di viaggio: Essai sur les îles fortunés et l'antique Atlantide, ou Précìs de l'Histoire générale de l'Archipel des Canaries. In esso Bory rifiutò il mito polare di Rudbeck. Ricordando l'esistenza di importanti arcipelaghi vulcanici in Atlantico come le Canarie e le Azzorre, residui per lui evidenti di più vasti territori, e ricordando gli innumerevoli miti che gli antichi riservarono ai confini occidentali del mondo, ribadì le tesi già espresse da Kircher ed altri. Gli Atlantidi dell'Africa occidentale raccontati da Diodoro Siculo diventavano così i discendenti di quella genia che aveva abitato il centro dell'Atlantico, in una terra sprofondata in più fasi, i cui sopravvissuti civilizzarono entrambe le sponde dell'Oceano.
Ma in quei decenni l'Europa e la stessa America erano affascinate dalla riscoperta di un'altra civiltà, quella egizia, legata alla campagna napoleonica di fine secolo. Tant'è che quando nel 1838 il conte Jean-Frédéric-Maximilien Waldeck pubblicò a Parigi il suo resoconto Viaggio romantico e archeologico nello Yucatán, dove rendeva conto dell'esistenza di una civiltà precolombiana in America Centrale, scomparsa e pressoché sconosciuta, quella Maya, passò quasi inosservato. Lo stesso non accadde però quando nel 1842 John Lloyd Stephens diede alle stampe a New York il suo Incidents of Travel in Central America, Chiapas and Yucatan, cui seguirono gli affascinanti disegni del suo compagno di viaggio inglese Frederick Catherwood: Il libro fu tradotto e ristampato. Le sculture rinvenute nella giugla e magistralmente disegnate da Catherwood ricordavano a prima vista le divinità indiane, mentre le piramidi a gradini rimandavano immediatamente all'Egitto. Nel 1843 La conquista del Messico di William Hickling Prescott, un panorama dell'impero Azteco attraverso una precisa raccolta di testimonianze degli antichi conquistadores, costrinse tutti a dedurre l'esistenza di un'altra civiltà, precedente agli Aztechi: i Toltechi. L'entusiasmo di queste nuove scoperte generò una certa confusione, riaccendendo ovviamente le solite ipotesi che, non va taciuto, derivavano anche da un atteggiamento razzista: si dubitava cioè che i nativi americani fossero stati in grado di sviluppare quel grado di civiltà senza apporti esterni.
Nel 1859 il naturalista inglese Charles Robert Darwin pubblicò L'origine delle specie attraverso la selezione naturale. La teoria era stata formulata contemporaneamente e in maniera indipendendente anche dal suo connazionale Alfred Russel Wallace, in termini sostanzialmente simili. Essa suggeriva l'esistenza di meccanismi naturali che conducono ad un progressivo adattamento delle forme viventi e ad un aumento della loro complessità, e ricevette feroci critiche da ambienti diversi. Tra le altre quelle del rettore dell'Università di Boston, William F. Warren, che nella sua opera Paradise Found difendendo le origini polari dell'umanità, rifiutava il concetto evolutivo, riconfermando anzi la visione platonica del tempo come processo degenerativo. Il problema delle origini dell'uomo si andava perciò allontanando dalla rivelazione biblica: il versante scientifico si azzardava a considerare l'intervento divino come non più indispensabile, mentre gli storiografi visionari si ritenevano ormai autorizzati a spostare l'Eden dall'Oriente ad altre parti del mondo, come Atlantide o il Polo Nord; tesi, quest'ultima, che avrebbe facilitato la spiegazione del popolamento americano.
Nel 1863 il missionario francese Charles-Étienne Brasseur de Bourbourg, studioso delle civiltà mesoamericane, trovò casualmente nella Biblioteca Reale di Madrid un manoscritto ingiallito del 1566 intitolato Relación de las cosas de Yucatán. L'autore era Diego de Landa, secondo arcivescovo dello Yucatán, che durante il suo mandato proseguì il lavoro del suo predecessore, distruggendo tutti i documenti Maya di cui venne in possesso, poiché ritenuti di derivazione diabolica e pericolosi per la fede. Egli però era anche un cultore della scienza e nella sua Relación descrisse accuratamente la cultura, la storia e la matematica di quel popolo, inserendo anche i disegni che i Maya utilizzavano per indicare i numeri, oltre che la sua personale interpretazione del loro alfabeto. Purtroppo si trattava di un'interpretazione sbagliata (i simboli Maya non sono un alfabeto, come quello latino, ma sillabe fonetiche più pittogrammi, cioè disegni che equivalgono a intere parole o concetti) e quando Brasseur la utilizzò per tradurre uno dei pochissimi manoscritti maya sopravvissuti, il Codice Troano di Madrid, riuscì a trasformare un testo di astrologia nel racconto di una terra sprofondata, che ricordava Atlantide, ma che veniva chiamata Mu. Il suo lavoro fu utilizzato successivamente dall'archeologo dilettante Augustus le Plongeon (1826-1908), che reinterpretò il Codice Troano, ottenendo la storia di una regina Móo di Mu, fuggita dallo Yucatán dopo la morte del marito e recatasi in Egitto attraverso Atlantide/Mu, dove avrebbe dato origine al mito di Iside. Ma, come l'archeologia dimostrerà, la civiltà Maya è successiva a quella Egizia e non viceversa.
Nel 1871 Heinrich Schliemann scoprì i primi resti della città di Troia cantata da Omero, coronando il suo sogno di bambino e dimostrando inequivocabilmente che gli antichi miti possono nascondere fatti reali. Le scoperte scientifiche, in campo archeologico e geologico, influenzarono senza dubbio l'opera di Ignatius Loyola Donnelly. Personalità poliedrica, avvocato, giornalista, aspirante fondatore di una città utopistica, politico, scrittore, archeologo visionario. Nel 1882 pubblicò Atlantis: The Antediluvian World, che lo rese famoso. Vi esponeva la sua convinzione che tutti i miti del mondo fossero la trasfigurazione di una civiltà originaria, antichissima, i cui re erano stai trasformati negli dei dalle varie culture e religioni storiche, dall'America all'Egitto, dalla Scandinavia all'India. Fedele a Platone riconobbe le spoglie del continente originario nella dorsale oceanica medio-atlantica (una lunga catena sottomarina di origine vulcanica, di cui le Azzorre sono una delle parti emerse), da poco scoperta e non ancora correttamente interpretata. Nel libro successivo, Ragnarok: The Age of Fire and Gravel (1883), facendo riferimento ad allora recenti studi geologici, riconduceva i miti del diluvio e la catastrofe di Atlantide alla caduta di una cometa.
8) Il mito si complica
Già prima di trasferirsi negli Stati Uniti, nel 1847, il naturalista e geologo svizzero Louis Agassiz, formulò la teoria delle glaciazioni: si accorse cioè che in passato l'Europa settentrionale era stata ricoperta dai ghiacci, che si erano poi ritirati. L'origine di questo fenomeno periodico rimase a lungo incerta, accrescendo il mistero delle zone polari. Anche l'ipotesi di terre sprofondate o erose, capaci di svolgere un ruolo di collegamento tra continenti oggi lontani, fu presa in considerazione in campo scientifico, dove esisteva il problema di spiegare insolite affinità geologiche o naturali. Il nome di Lemuria fu coniato nel 1864 dal geologo Philip Sclater, per identificare una ipotetica terra collocata tra Madagascar (dove vivono molti primati primitivi, tra cui i lemuri) e India (dove furono rinvenuti lemuri fossili). E successivamente Ernst Haeckel, un esponente tedesco del darwinismo, avanzò l'ipotesi che i primi uomini si fossero evoluti su un continente perduto come Lemuria, per giustificare il ritardo nel rinvenimento di fossili intermedi tra le scimmie e l'uomo moderno.
Contemporaneamente a personaggi come Donnelly, che impostavano le loro ricerche a partire da basi scientifiche o supposte tali, proseguiva anche un movimento di reazione. Un fronte che contestava la concezione del mondo che si andava affermando, esclusivamente materiale e scientifica; una visione alternativa, attenta all'aspetto spirituale e psichico della vita umana, che guardava al patrimonio mistico e culturale delle religioni. Nel 1873 fu fondata a New York la Società Teosofica. Sua ispiratrice fu Helena Petrovna Blavatsky, un'occultista russa apparentemente dotata di facoltà paranormali, che aveva viaggiato a lungo in Asia, in Egitto e in Europa. La Società, che trasferì successivamente la sede principale in India, affermava di fondare il suo progetto su un sapere antico e occulto, rivelato, sintesi di saggezza orientale e spiritualismo cristiano. L'insegnamento di Madame Blavatsky, esposto nei suoi libri Isis Unveiled (1877) e The Secret Doctrine (1888) contiene anche una ricostruzione della storia del mondo e delle razze umane e preumane. La sua antropogenesi, che include anche il mito di Atlantide, si snoda da 150 milioni di anni fa su una fantastica successione di continenti scomparsi, a partire da razze immateriali e spirituali, evolutesi per fasi fino all'uomo moderno. Ai corpi eterici della Prima Razza, abitatori del Polo Nord, seguirono i mostruosi e androgici Iperborei, diffusi lungo il Circolo Polare, per arrivare alla Terza Razza che popolò Lemuria, una terra estesa dall'India all'Australia. Il nome Atlantide è assegnato invece ad un continente abitato dalla Quarta Razza e inabissatosi 850.000 anni fa, mentre quello platonico, con lo stesso nome e scomparso 12.000 anni fa, fu abitato dalla Quinta Razza, quella ariana bianco-bruna proveniente dall'Asia. Il tema fu approfondito ulteriormente dal coofondatore della Società e antropologo dilettante William Scott-Elliot in The Story of Atlantis (1896) e The Lost Lemuria (1904). Legato all'ambiente teosofico fu anche Rudolf Steiner, che infine fondò il suo movimento, detto dell'antroposofia; attraverso le sue doti mistiche ebbe accesso ad ulteriori informazioni su Atlantide e Lemuria.
Partendo ancora da misteriosi documenti osservati e tradotti in Asia, attingendo a Donnelly, le Plongeon e Blavatsky, anche il colonnello James Churchward elaborò una personale storia del mondo, in cui le origini umane risalgono ad un continente Mu sprofondato nel Pacifico. Teoria esposta in alcuni libri a partire da The Lost Continent of Mu (1926).
Indagando i periodi precedenti all'epoca storica, anche l'antropologo francese René Guenon (1886-1951), attingendo tra l'altro a cosmogonie indiane, individuò l'infanzia dell'umanita in zona iperborea e polare, ad opera di primordiali razze ancora immateriali, di cui perciò non possono esistere fossili, con successiva diffusione in Asia e, attraverso Atlantide, in Egitto e in America. Bisogna però osservare che nel suo lavoro di comparazione delle simbologie occidentali e orientali, il Polo spirituale primordiale, la Thule iperborea greca, il Paradiso biblico, la Paradêsha indiana, la Contrada suprema divenuta ormai occulta agli occhi profani, non ha necessariamente un significato geografico preciso, ma è simbolicamente il centro fisso, primo e supremo intorno al quale gira il nostro mondo, luogo di collegamento con il mondo trascendente, a cui l'umanità si ricongiungerà al termine del ciclo attuale.
Una storia particolare di Atlantide si ricava dall'esperienza di Edgar Cayce, un guaritore medium, che durante stati di "trance", tra gli anni '20 e '40, fu in grado di ottenere dai suoi pazienti (rivelatisi abitanti di Atlantide durante vite precedenti) una grande quantità di informazioni. In questo caso l'antico continente disponeva di un'alta tecnologia, misteriosi cristalli di energia, raggi mortali, aerei e sottomarini, telepatia e psicocinesi: un uso sbagliato di queste energie fu all'origine della progressiva distruzione di quella civiltà.
Ma ormai il mito platonico aveva del tutto smarrito le ragioni e la morale originale. Il continente scomparso, nel disegno di medium e veggenti, moderni maghi guidati da un'antica e occulta sapienza, andava ad inserirsi in una nuova storiografia fantastica del mondo, in cui operano forze psichiche e spirituali, in azione su un piano parallelo a quello reale. E' importante anche osservare come l'approccio mistico al problema delle origini dell'uomo, si ponga spesso in contrapposizione con le tesi darwiniane dell'evoluzione, proponendo il contrario: un'antichissima e perduta età dell'oro a cui era seguita la caduta dell'uomo nella sua condizione corporea attuale, e una visione ciclica della storia in sostituzione alla moderna fiducia di un progresso continuo.
Attento al problema delle glaciazioni, nel 1958 Charles Hapgood, uno statunitense docente di storia della scienza, pubblicò Lo scorrimento della crosta terrestre, in cui esponeva una rivoluzionaria teoria: affermò che la crosta terrestre è in grado di scivolare sulla massa fluida che la sostiene, senza che venga modificato l'asse di rotazione terrestre. Fenomeni di slittamento potevano spostare le masse continentali a latitudini diverse, provocando i cambiamenti climatici all'origine delle glaciazioni; in questo modo si sarebbe anche data una spiegazione ad alcuni enigmatici ritrovamenti fossili, come quelli di piante tropicali in Groenlandia. Nello stesso periodo il capitano Arlington Mallery, studiando il frammento di una mappa del mondo disegnata nel 1513 dall'ammiraglio turco Piri Reis, che aveva utilizzato come fonte anche carte antiche, affermò che in essa appariva la costa deglaciata dell'Antartide. Seppur si trattasse di un'interpretazione alquanto fantasiosa, questa confortava le tesi di Hapgood sullo scivolamento della crosta terrestre, suggerendo che alla glaciazione europea era corrisposto un clima antartico temperato. Nel suo successivo Maps of the Ancient Sea Kings, del 1966, si spinse oltre, immaginando l'esistenza di un antico popolo di navigatori, pur senza riuscire ad identificarlo, capaci di raggiungere e mappare le coste dell'Antartide in un periodo preistorico.
Purtroppo per Hapgood, come vedremo, la teoria della deriva dei continenti che il geofisico tedesco Alfred Wegener espose già a partire dal 1912, insieme a quella della tettonica a zolle formulata negli anni '60, descrivono in maniera convincente come le attuali terre emerse fecero parte di un unico, antichissimo supercontinente: il Pangea. A partire da 180 milioni di anni fa il Pangea iniziò a segmentarsi in zolle continentali, che si allontanarono progressivamente dalle posizioni originarie, con un movimento lentissimo e costante, che continua anche oggi, e che spiega i ritrovamenti di antichi fossili "incoerenti" con le posizioni e i climi attuali. L'esistenza di antiche carte dell'Antartide, libero dai ghiacci, è in realtà un'ipotesi priva di fondamento; nonostante questo ci fu chi non si arrese, cercò di dare un'identità alla civiltà che ne fu responsabile e prove della sua esistenza. A fine anni '70 i ricercatori canadesi Rand e Rose Flem-Ath dichiararono in un manoscritto che l'antica civiltà era esistita proprio in Antartide e che adesso le sue rovine erano sepolte nei ghiacci. Nel 1995 il giornalista inglese Graham Hancock, nel suo Impronte degli Dei, delineò ancor meglio la teoria di una civiltà antartica globale di antichi navigatori, esistita 12.000 anni fa e pressoché scomparsa durante una fase glaciale, indotta da una dislocazione della crosta terrestre. Tra le varie prove di questa civiltà intercontinentale anche le strutture geologiche sommerse di Bimini (scoperte nelle Bahamas nel 1968, ad opera di un'associazione legata al nome di Edgar Cayce) e di Yonaguni (in Giappone, localizzate a partire dal 1995), descritte come manufatti.
Nel 1969 Peter Kolosimo (pseudonimo di Pier Domenico Colosimo) vinse il Premio Bancarella con il libro Non è terrestre. La sua opera di divulgazione si colloca all'origine della cosidetta fanta-archeologia, che sostiene contatti delle antiche civiltà con visitatori extraterrestri. Nel 1972 fu pubblicato I misteri dei Mondi Perduti, di Charles Berlitz, nipote del fondatore della famosa scuola di lingue Berlitz. Amante del mistero, si appassionò a lungo ad enigmi archeologici, fenomeni paranormali e UFO. Nel 1974 scrisse Bermuda, il triangolo maledetto e nel 1976 Il mistero dell'Atlantide. Raccogliendo e collegando scoperte archeologiche e antichi testi (pare conoscesse 20 o 30 lingue diverse), espose una sua ricostruzione della preistoria, che include un'antichissima civiltà evoluta al centro dell'Atlantico, facendo riferimento a molti degli argomenti già visti negli autori precedenti.
Non sono mancati neppure tentativi di localizzare Atlantide sul suolo americano. Nel 1978 il topografo scozzese Jim Allen si è convinto che l'altopiano andino, nei pressi del lago boliviano Poopò, corrisponde "esattamente" alla decrizione di Platone ed elenca una serie di corrispondenze. Naturalmente esistono anche incongruenze: il Sud America non è sprofondato, la civiltà Incas emerse solo nella seconda metà del XV secolo d.C. e il lago Poopò è a 3690 metri d'altitudine. Andrew Collins invece, autore di Gateway to Atlantis, ritiene che Cuba sia l'origine del mito, e che esistano numerose correlazioni. L'antica Cuba fu poi distrutta da maremoti provocati dall'impatto di asteroidi alla fine dell'Era Glaciale; l'eco di questa catastrofe fu trasferita nel mondo greco da Fenici e Cartaginesi, che anticamente intrattennero (secondo Collins) notevoli scambi commerciali col Nuovo Mondo.
9) Il revisionismo del XX secolo
Dopo la II Guerra Mondiale la Marina degli Stati Uniti finanziò generosamente le ricerche oceaniche di geologi e geofisici. La maggiorparte dei risultati furono resi pubblici e permisero di cartografare in maniera sempre più dettagliata la topografia sommersa dell'Oceano Atlantico, che risultava nient'affatto uniforme, ma anzi ricca di rilievi, vulcani e scarpate. A metà strada tra i continenti il Medio-Atlantico presenta una zona poco profonda, che dall'Islanda scende a sud includendo il Rialto di Rockall, il Plateau delle Azzorre e prosegue a lungo anche nell'oceano meridionale. Questa lunga catena montuosa sommersa, parte di un più vasto sistema di dorsali oceaniche che si estende a tutto il mondo, presenta rilievi che si innalzano mediamente a 2,5 km dal fondale, talvolta emergendo in formazioni insulari. La dorsale è solcata da una frattura tettonica verticale, attraverso cui risale magma basico sub-crostale, che va a formare nuova litosfera. Questo significa che il fondale accresce continuamente la sua superficie, allontanando i continenti sui due versanti: è il fenomeno che durante molti milioni di anni ha generato l'Oceano. La dorsale, comprese le parti che emergono, è perciò di natura vulcanica ed è periodicamente interessata da fenomeni sismici.
Appurata la loro origine, l'ipotesi che isole come le Azzorre siano state in passato parte di una piattaforma continentale, non è più sostenibile. Inoltre una grande civiltà marinara come quella descritta avrebbe lasciato tracce, disseminate tra le sue colonie, che non sono mai state rinvenute. Se non si vuole totalmente rigettare il racconto platonico di Atlantide, degradandolo a semplice fantasia, bisogna necessariamente reinterpretarlo, procedendo a profonde revisioni. L'esistenza di civiltà del bronzo in epoca tanto remota (9500 a.C.) appare poco credibile e si propende perciò a considerare una datazione travisata (confondendo ad esempio calendari lunari e solari). E ancora: l'appellativo di terra "grande" come Libia e Asia può venir interpretato come "potente", piuttosto che come "estesa". E un termine tradotto come "isola" potrebbe in origine significare semplicemente "sul mare".
C'è chi si è fatto perciò alcune domande:
Atlantide è davvero una civiltà a noi totalmente sconosciuta?
Platone, o chi prima di lui, potrebbe essersi ispirato ad una antica civiltà mediterranea nota, rielaborandone i tratti per adattarla alle sue esigenze narrative, con obbiettivi non storici, ma filosofico-educativi; oppure passando di mano in mano la narrazione potrebbe esser stata manipolata al punto da rendere non più riconoscibile l'identità iniziale. Questo ha portato ad esaminare popoli e antiche città che presentavano qualche collegamento con il racconto.
Nella corrispondenza tra i sovrani dei secoli XIII-XII a.C. appaiono notizie di un tentativo di invasione dell'Egitto e del Mediterraneo orientale ad opera di polazioni provenienti da Occidente. I faraoni Merneptah e Ramesse III respinsero gli attacchi, ma l'impero ittita, già indebolito, fu distrutto. Questi invasori sono citati in alcuni documenti egizi col nome di Popoli del mare, La loro origine è incerta, probabilmente popolazioni migranti dall'Italia e dalla Grecia, forse anche Misii e Frigi dell'Anatolia, ma il mistero li ha inevitabilmente accostati al racconto di Atlantide e alcuni studiosi, come lo scienziato tedesco Rainer Kühne ne hanno messo in evidenza alcune analogie, immaginando che provenissero da Tartesso.
Tartesso era già stata suggerita negli anni Venti dagli studiosi Richard Hennig e Adolf Schulten e fu riproposta da Kühne nel 2004, basandosi anche sulle ricerche dell'atlantologo Werner Wichboldt. Fu una città potente, dalla fiorente cultura, che sorgeva sulla costa atlantica della Spagna, probabilmente alla foce del moderno Guadalquivir, e che già nell'anno 1000 a.C. veniva citata in resoconti fenici. Si trovava ai confini del mondo conosciuto e doveva la sua ricchezza alle miniere d'argento e alla posizione strategica sulla rotta dei commerci di stagno, provenienti dal Nord-Europa. Il nome di uno dei dieci re di Atlantide, Gadeiros, è stato associato alla vicina città di Gades (oggi Cadice); inoltre una singolare scultura ritrovata in zona, raffigurante una donna dalla strana acconciatura, la Dama di Elx, viene spesso collegata con la civiltà di Tartesso-Atlantide, anche se l'origine del busto non è definita e il IV secolo a.C. è la sua datazione tradizionale. Tartesso fu occupata e forse distrutta da Cartagine, sua rivale commerciale, e dal VI secolo a.C. non viene più citata nelle documentazioni storiche.
La stessa Cartagine potrebbe essere servita come modello per l'elaborazione del mito. Fu fondata dai Fenici nell'814 a.C. nel Golfo di Tunisi, divenne presto una potenza economica e militare ed una delle più grandi metropoli del mondo antico. Ebbe una politica espansionista, che le consentì di dominare il Mediterraneo occidentale e i traffici attraverso le Colonne d'Ercole. Fu distrutta dai Romani nel 146 a.C., ma le descrizioni che gli antichi fanno della città può ricordare Atlantide: una forma circolare con una acropoli centrale, canali e grandi porti.
Il giornalista sardo Sergio Frau (Le colonne d'Ercole, 2002) ha sostenuto che le nozioni geografiche greche più antiche avrebbero potuto indicare con Colonne d'Ercole il braccio di mare tra la Tunisia e la Sicilia, ponendo la Sardegna/Atlantide oltre il mondo conosciuto. Nel II-I millennio a.C. si sviluppò in Sardegna la civiltà nuragica, caratterizzata da architetture monumentali. D'altra parte la civiltà megalitica del V-II millennio a.C. fu diffusa in tutta l'Europa occidentale e settentrionale, e il geologo svedese Ulf Erlingsson (Atlantis from a Geographer's Perspective: Mapping the Fairy Land) ha teorizzato che il ricordo di questa civiltà si sia trasformato nel mito di Atlantide, identificando l'Irlanda come la mitica isola-continente e l'aumento dei mari di fine glaciazione come il responsabile dello sprofondamento dei suoi insediamenti costieri.
Lo storico e scrittore Peter James, nel suo libro The Sunken Kingdom: the Atlantis Mystery Solved, si dichiara invece abbastanza certo che il re Atlante sia ricollegabile ad un'altro mito del Mediterraneo orientale, quello di Tantalo, titano e leggendario re della Lidia (regione della moderna Turchia): probabile versione anatolica del titano Atlante, visto che anche lui (secondo alcune fonti) è condannato a reggere il peso di una "roccia" incombente, che simboleggia il Cielo. Data l'origine incerta del racconto platonico, l'Oriente potrebbe infatti essere preso in considerazione, poiché nel mondo antico si indicarono come Colonne d'Ercole molti stretti di mare. Poiché Solone (da cui proviene il racconto) durante il suo viaggio in Egitto sostò anche presso il re Creso di Lidia, si suppone che l'ispirazione sia venuta dalla storia di questo titano e da quella della ricca, leggendaria e perduta città-stato di Tantalis. Questo insediamento era forse situato sotto il monte Sipilo e sovrastato da un lago che, debordando durante un terremoto, avrebbe potuto decretarne la fine.
Se l'Oriente è una pista plausibile, e stiamo cercando una città in guerra con Atene, perché non pensare anche alla Troia omerica? Il geoarcheologo Eberhard Zangger è di questo avviso, e individua alcuni paralleli tra le due storie; in questo preceduto già da Aristotele e Strabone. Se poi cerchiamo soltanto una civiltà che abbia fatto da modello, anche la civiltà minoica di Creta fu un potente regno marinaro, devoto a Poseidone, con culti del toro, terra fertile, e soggetta a fenomeni tellurici. Lo studioso Rodney Castleden ritiene che possibili errori linguistici, tra scrittura egizia e lineare B, avrebbero potuto creare confusione.
L'aspetto catastrofico è un'altra caratteristica peculiare del racconto. Terremoti, allagamenti e sprofondamenti, possono portarci da qualche parte?
Il sismologo greco Angelos Galanopoulos è autore di una teoria molto popolare degli anni sessanta, che individua nell'eruzione di Thera l'origine del mito di Atlantide. L'isola, oggi chiamata Santorini, è il residuo di un vasto cono vulcanico esploso e inabissatosi nel XVI secolo a.C., mentre era una sede della raffinata civiltà minoica; la gigantesca esplosione ebbe sicuramente effetti catastrofici, coinvolgendo tutto il Mediterraneo orientale.
Se invece volessimo attenerci alla cronologia di Platone e indagare periodi molto remoti, allora estesi sprofondamenti si verificarono sicuramente anche al termine dell'Era Glaciale. A partire dal minimo del picco glaciale, circa 20.000 anni fa, il livello degli oceani è salito di oltre 110 metri, con tre fasi particolarmente rapide: 14.000, 11.500 e 7.600 anni fà. Anche se l'ipotesi di civiltà umane evolute, tanto antiche, sia poco probabile, si è comunque fatta l'ipotesi di quei territori costieri finiti sotto il livello del mare durante questo periodo. A 50 km. oltre lo Stretto di Gibilterra esiste una piccola paleo-isola, oggi a 60 metri di profondità, chiamata Spartel come il vicino promontorio del Marocco, che è stata suggerita tra gli altri dal geologo francese Jacques Collina-Girard sulla rivista New Scientist. L'architetto-eploratore iraniano-americano Robert Sarmast è invece convinto che le rovine di Atlantide saranno riportate alla luce dall'Arco di Cipro: un'ampia piattaforma sommersa del Mediterraneo orientale, a più di 1 km di profondità. Lo studioso afferma infatti che per motivi geologici il bacino mediterraneo ha avuto, fino a tempi relativamente recenti, un livello molto più basso, cresciuto rapidamente con la riapertura dello Stretto di Gibilterra. Ufficialmente si ritiene che in termini geologici lo Stretto si sia aperto e richiuso più volte in fasi successive, durante le quali il Mediterraneo si è completamente prosciugato, lasciando sul fondo depositi di sale fossili spessi anche 1 km. Questi depositi, scoperti dai carotaggi del Deep Sea Drilling Project, sono databili a circa 6 milioni di anni fà e oggi ricoperti dai normali sedimenti.
I cambiamenti climatici e il mutamento del livello oceanico lungo i millenni, hanno sicuramente affondato o fatto emergere, a secondo dei periodi, territori più o meno vasti. Così si è anche favoleggiato di Tirrenide, una specie di Atlantide costituita dall'unione di Corsica, Sardegna e Baleari. E si è pure immaginato Atlantide come la catena montuosa africana dell'Atlante (a cui fece cenno Erodoto nel suo Storie), soprattutto se in passato alcuni laghi interni, nelle aree sahariane, l'avessero trasformato in una specie di isola. Mentre il geografo francese Étienne-Félix Berlioux immaginò Atlantide presso il massiccio montuoso dell'Hoggar, nel Sahara algerino.
In realtà, contemporaneamente alla scomparsa dei ghiacciai in Europa, almeno 12.000 anni fa, nella fascia sahariana terminava una lunga fase arida. Il mutamento climatico comportò la scomparsa dei deserti; il lago Ciad aumentò fino a dimensioni simili all'attuale Mar Caspio. Ma una successiva fase arida ebbe inizio circa 5.000 anni fa e attorno al 2.000 a.C. il lago Taoudenni in Mali si era completamente prosciugato. Presso l'Hoggar si celano parecchie grotte e ripari frequentati fin dal Neolitico, con belle pitture rupestri, risalenti a 8.000-2.000 a.C., raffiuguranti buoi, rinoceronti, elefanti e giraffe. Il territorio oggi è frequentato dalle popolazioni nomadi dei Tuareg, il "popolo del velo".
10) Film e letteratura
Oltre che da stimolo ad una vastissima serie di ipotesi scientifiche (o autodefinite tali), il mito di Atlantide è anche ispirazione di un buon numero di libri e opere cinematografiche, su mondi perduti e utopie più o meno positive.
Nel 1626 venne stampato, anche se rimasto incompleto, Nuova Atlantide (New Atlantis), dello statista inglese Francis Bacon (italianizzato Francesco Bacone). Nel racconto alcuni viaggiatori che dal Perù stanno navigando verso la Cina, sbarcano casualmente in una terra sconosciuta che si chiama Bensalem. Sul posto vivono dei discendenti della scomparsa Atlantide; la società descritta si fonda sulla famiglia (in contrasto con l'idea platonica), promuove la ricerca e il progresso, e vi si trova una fondazione scientifica, chiamata Casa di Salomone, che in un certo senso troverà la sua corrispondenza reale con la fondazione della Royal Society inglese.
Le rovine di un mondo sommerso vennero raggiunte nel 1870 dal Nautilus del capitano Nemo, creato dalla penna di Jules Verne per il suo Ventimila leghe sotto i mari (Vingt mille lieues sous les mers), che dovrà attendere fino al 1954 per la prima fedele trasposizione cinematografica, regia di Richard Fleischer, con Kirk Douglas. Nel 1900 possiamo invece conoscere Atlantide nel momento della sua distruzione, attraverso il romanzo Il Continente Perduto (The Lost Continent), di C.J.Cutcliffe Hyne.
Ispirato dalle teorie del geografo Étienne-Félix Berlioux e da alcune leggende Tuareg, lo scrittore Pierre Benoit scrisse nel 1919 L'Atlantide, in cui due militari dell'esercito francese, perdutisi nel Sahara algerino, raggiungono una località presso il massiccio montuoso dell'Hoggar, dove Atlantide sopravvive ancora tra le sabbie del deserto e la sua regina Antinea, eternamente giovane, colleziona amanti trasformandoli in statue d'oricalco. L'autore fu accusato di aver plagiato il romanzo "She" (1887), dello scrittore Henry Rider Haggard, tra l'altro autore sempre nel 1919 di un'altro romanzo sul mito di Atlantide: When the World Shook. Nel 1921 Jacques Feyder realizzò la prima trasposizione cinematografica del romanzo di Benoit, L'Atlantide, girando gli esterni direttamente in Algeria, sfidando così i kolossal italiani dell'epoca come Cabiria (1914) e affidando la parte di Antinea a Stacia Napierkowska.
Nel 1922 lo scrittore russo Aleksej Nikolaevic Tolstoj scrisse il romanzo Aelita, trasformato in lungometraggio nel 1924, con la regia di Yakov Protozanov e Julija Solntseva nei panni della protagonista. Nella storia, fra astronavi, drammi amorosi e messaggi politici, la regina Aelita governa i discendenti di Atlantide (trasferitisi su Marte), seduce l'ingegnere sovietico Los e deve anche fronteggiare un tentativo di esportazione rivoluzionaria verso il pianeta rosso. Del 1928 è il romanzo The Sunken World, di S.Arthur Coblentz, mentre è dell'anno successivo The Maracot Deep, di Arthur Conan Doyle, già autore nel 1912 di The Lost World (ma qui il mondo perduto e resuscitato è assai più remoto, con tanto di dinosauro che fa a pezzi il Tower Bridge di Londra).
Nel 1932 in Germania venne prodotto un nuovo film ispirato a L'Atlantide di Benoit (Die Herrin von Atlantis), realizzato in tre versioni, tedesca, francese e inglese. La regia fu affidata a Georg Wilhelm Pabst. Al contrario dei ruoli maschili del capitano Morhange e del luogotenente Saint-Avit, che ebbero attori diversi nelle tre versioni, la regina Antinea fu sempre interpretata da una statuaria Brigitte Helm, già protagonista nel 1927 di "Metropolis".
Il cavernicolo Alley Oop è invece una striscia a fumetti apparsa nel 1933, dove l'eroe è originario di una Mu preistorica, e che dal 1939 potrà anche viaggiare nel tempo, grazie all'aiuto del nuovo personaggio prof. Wommung.
Nel 1948 un'altro remake de L'Atlantide (Siren of Atlantis), questa volta statunitense; regia di Gregg C. Tallas, con Maria Montez nei panni di una sensuale Antinea. Nel 1950 l'Italia produsse Totò sceicco, richiamando in chiave umoristica "L'Atlantide" e "Il figlio dello sceicco" di Rodolfo Valentino. Totò, maggiordomo di un marchesino arruolatosi nella Legione Straniera in seguito ad una delusione d'amore, segue il padone in Africa. Qui viene scambiato dai locali per il figlio dello sceicco, facendo anche innamorare la regina Antinea. Alla regia Mario Mattoli, con Tamara Less nei panni di Antinea, Totò (il maggiordomo), Aroldo Tieri (marchesino Gastone), Arnoldo Foà (il matto).
Inseribile nel filone mitologico o genere peplum, nel 1961 uscì il film italo-francese Ercole alla conquista di Atlantide, regia di Vittorio Cottafavi, con Fay Spain nei panni di Antinea, Reg Park (Ercole), Enrico Maria Salerno (re di Megara), Gian Maria Volonté (Re di Sparta). Contro la sua volontà Ercole lascia la Grecia e raggiunge Atlantide, dove in mezzo all'Oceano regna la dispotica Antinea. La regina, che grazie al potere di una Pietra Vivente rende gli uomini succubi, domina una società dalle connotazioni naziste, che Ercole riuscirà a distruggere. Dello stesso anno è anche un'altra produzione italo-francese Antinea, l'amante della città sepolta, ennesima trasposizione del romanzo di Benoit e della sua Atlantide sahariana, regia di Edgar G. Ulmer, con Haya Harareet nei panni di Antinea (che l'anno prima aveva interpretato Esther in "Ben Hur"), Jean-Louis Trintignant (Pierre), Amedeo Nazzari (Tamal), Gian Maria Volonté (Tarath). Siamo in periodo di guerra fredda e la pellicola termina con una purificatrice esplosione nucleare. Ancora nel 1961 MGM produsse Atlantide, il continente perduto (Atlantis, the lost continent) regia di George Pal, con Joyce Taylor nei panni di Antillia, e Anthony Hall in quelli di Demetrios. Un antico pescatore greco, Demetrios, riporta ad Atlantide la naufraga Antillia, principessa proveniente dall'Oceano. Ma la lontana patria, che conosce il potere di una misteriosa Pietra Verde (particolare probabilmente suggerito dai cristalli del medium americano Edgar Cayce), è un mondo tirannico, dove gli stranieri sono fatti schiavi e trasformati in ibridi animali. In accordo con Platone, una catastrofe fermerà le mire espansioniste di quel regno.
La filmografia prosegue con:
Il conquistatore di Atlantide (1965, Italia), regia di Alfonso Brescia: dopo essere naufragato in Africa settentrionale Eracle (Kirk Morris alias Adriano Bellini), per salvare Virna (Luciana Gilli), figlia di uno sceicco e rapita da misteriosi uomini-ombra, raggiunge e distrugge ciò che resta di Atlantide, dove la regina Ming (Hélène Chanel) si preparava a conquistare il mondo. Beyond Atlantis (1973, USA-Filippine), una banda di avventurieri cerca di impossessarsi del tesoro sommerso della mitica Atlantide, che è protetto da umanoidi-anfibi; con Patrick Wayne (Vic Mathias) e Christian Leigh (una sirena). Le 7 città di Atlantide (anche "I signori della guerra di Atlantide", 1978, Warlords of Atlantis, Gran Bretagna), regia di Kevin Connor; con Doug McClure (Greg Collinson) alla ricerca del tesoro di Atlantide nel triangolo delle Bermuda, tra piovre giganti e alieni neo-nazisti. L'isola degli uomini pesce (1979, Italia), di Sergio Martino, con Barbara Bach (Amanda) e Claudio Cassinelli (Claude). Una nave diretta in Caienna naufraga su un'isola misteriosa, dove uomini-pesce, creati con l'ingegneria genetica, lavorano per recuperare il tesoro sommerso di Atlantide. L'Atlantide (1992, Francia-Italia), quinta rivisitazione del romanzo di Benoit, regia di Bob Swaim, trama modificata, concentrata soprattutto sulla figura dell'ufficiale Morhange (Tchéky Karyo) che ad Algeri, dopo aver frequentato Amira (Anna Galiena), sposa Sophie (Claudia Gerini), la quale, tradita più volte, si suicida; lui prima si ritira in un monastero e poi, alla ricerca dell'amico scomparso André Saint-Avit (Christopher Thompson), raggiunge nel Sahara il regno di Antinea. Neanche la Walt Disney si lascia sfuggire questa opportunità, e nel dicembre 2001 esce con il lungometraggio a cartoni animati Atlantis l'Impero Perduto, regia di Gary Trousdale.
Per quanto riguarda i romanzi citiamo ancora The Dancer from Atlantis (1971) di Poul Anderson, e Stonehenge (1972) di Harry Harrison. La bibliografia è ovviamente vasta e si arricchisce continuamente. Tra i romanzi più recenti Il Codice di Atlantide (2004), di Stel Pavlou, in cui uno strano segnale emesso in Antartide rimette in funzione una antichissima rete di comunicazione che collega antiche rovine di tutto il mondo, dal Messico, all'Egitto, alla Cina: riprendendo quindi Charles Hapgood, Graham Hancock e le teorie di una civiltà mondiale pre-storica.
L'idea di un mondo pre-storico, fatto di terre e popoli sconosciuti, ha d'altra parte ispirato famose saghe fantastiche. L'Era Hyboriana creata da Robert Ervin Howard è un affresco di grandi civiltà preistoriche, successive allo sprofondamento di Atlantide, ispirate anche a leggende nordiche, egiziane e indiane, e in cui si muove l'eroico barbaro Conan. I racconti del ciclo uscirono sulla rivista Weird Tales dal 1932 al 1936. Conan il Cimmero nasce come evoluzione di un personaggio precedente chiamato Kull.
I Cimmeri discendono dalla razza Atlantidea, e vivono una lotta fatta di sopraffazione e sopravvivenza, insieme con altre razze umane e preumane, in un'epoca e in un mondo immaginario, sprofondato in uno stato ferocemente primitivo e precedente all'epoca storica: l'Era Hyboriana. Il termine Hyboriani richiama quello greco Iperborei, cioè i popoli poco conosciuti dell'estremo nord. Howard, autodidatta, descritto di umore variabile sempre oscillante tra l'allegria e la depressione, muore prematuramente a trent'anni, suicida. Dopo la II Guerra Mondiale L.Sprague De Camp fu il grande artefice della rinascita di Conan, terminando molti racconti rimasti incompleti e creandone di nuovi, affiancato da Lin Carter e Bjorn Nyberg, Poul Anderson e altri.
Sempre appartenente al filone Sword & Sorcery la serie di racconti del personaggio Elak of Atlantis creato da Henry Kuttner, apparsi dal 1938 (Thunder in the Down) al 1941 su Weird Tales. Citiamo infine il ciclo di Thongor, a firma Lin Carter, che inizia nel 1965 con The Wizard of Lemuria.
Nel 1970 Conan the Barbarian viene prodotto come fumetto a colori dalla Marvel Comics Group, disegnato da J. Buscema. Nel 1982 Dino de Laurentiis produce negli Stati Uniti il film Conan il barbaro, diretto da John Milius einterpretato da Arnold Schwarzenegger, che interpreterà anche l'episodio successivo, Conan il distruttore (1983, Conan the Destroyer, USA).
11) Conclusioni
Dal momento in cui le popolazioni umane preistoriche mossero i primi passi alla conquista del mondo, si trovarono circondate da stupefacenti spettacoli naturali: i vulcani, i fulmini, i terremoti, le maree, le eclissi astronomiche, ma anche semplicemente il giorno e la notte, la luna e le stelle, le stagioni, l'arcobaleno, l'eco. Furono spettatori della vita e della morte. Essi tentarono sicuramente di dare risposte, con la semplice ragione, e dove non bastava con la fantasia. La trasmissione orale delle informazioni e delle esperienze, durata millenni, non poteva non mescolare ai fatti le leggende. Le cose migliorarono quando fu inventata la scrittura, ma non tutto il materiale realizzato è potuto giungere sino a noi, e anzi più è antico e più difficilmente si è conservato. I testi andavano ricopiati a mano, con pazienza, e grandi biblioteche del passato sono andate distrutte, da Persepoli, a Cartagine, ad Alessandria, a Costantinopoli. Grandi popoli sono scomparsi quasi senza lasciare tracce; lingue e alfabeti del passato sono rimasti a lungo indecifrabili. La scienza moderna ha però molte frecce al suo arco; anche se alcuni aspetti potrebbero rimanerci sconosciuti per sempre, il passato racconta la sua storia.
Possiamo credere a Platone?
Bisogna considerare che nella sua opera il filosofo rispecchia le vicende e le lotte ideali del suo tempo. Egli visse un'epoca di instabilità e insicurezza; nacque durante la Guerra del Peloponneso, mentre Atene democratica si opponeva a Sparta totalitaria, e che terminò con la sconfitta della sua città natale quando lui aveva 24 anni. La successiva guerra civile portò al governo dei Trenta Tiranni, del quale fecero parte due suoi zii. Le vicende che egli analizzò per tutta la vita, lo convinsero che le società erano condannate ad un'inevitabile corruzione e che ogni cambiamento portava alla degenerazione. Come conseguenza di questo assunto il passato doveva inevitabilmente aver visto società migliori, ed ecco che l'Atene antica, che combatte e vince la poderosa armata atlantidea, assomiglia alla città perfetta che Platone sogna. Il racconto del Timeo e del Crizia serve quindi a rafforzare la sua visione della storia.
Non si può escludere che i sacerdoti egizi di Sais, o altri, abbiano narrato la storia prima di Platone, o una storia simile. E che il racconto di Atlantide, non si sa quanto leggendario, venga effettivamente da un passato remoto. Riguardo però al mitico continente al centro del bacino atlantico, la scienza moderna nega con sufficiente certezza l'ipotesi di una sua esistenza nel passato. Il racconto potrebbe essere stato ispirato da fatti reali, ma è assai arduo a questo punto riscoprirne le origini.
La verità su Atlantide ci è sconosciuta. Il problema, comunque, non si esaurisce con Atlantide. Raccontare la storia è un compito pieno di insidie. Lo storico si trova a lavorare con documenti e testimonianze, di cui deve valutare l'attendibilità. Si può essere troppo severi, o troppo creduloni. E allora vi invito a terminare questa lunga lettura con la descrizione del proprio metodo di lavoro, di uno storico contemporaneo a Platone, Tucidide, che riguardo alla cronaca della Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) da lui descritta, ci mette in guardia così:
"Riguardo ai fatti verificatisi durante la guerra, non ho creduto opportuno descriverli per informazioni desunte dal primo venuto, né a mio talento; ma ho ritenuto di dover scrivere i fatti ai quali io stesso fui presente e quelli riferiti dagli altri esaminandoli, però, con esattezza a uno a uno, per quanto era possibile. Era ben difficile la ricerca della verità perchè quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia riuscirà, a udirla, meno dilettevole perchè non vi sono elementi favolosi; ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di quanto in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l'umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l'eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara d'un giorno."
(Tucidide, I, 22, traduz L.Annibaletto, Il cammino della Storia, Editore Principato, 1967).
© Maurizio Cavini
Prima stesura Dicembre 2004
Ultima revisione Luglio 2012
Riferimenti
http://www.mauriziocavini.it/Testi/Atlantide.html
cavini.maurizio@gmail.com
Fonti bibliografiche
Dopo la lettura del Timeo e Crizia di Platone, per la stesura del testo avevo consultato inizialmente I Continenti Perduti, Roberto Pinotti, Oscar Mondadori, 1995; I Misteri dei Mondi Perduti, Charles Berlitz, Sperling & Kupfer, 1977; Grande Enciclopedia della Fantascienza, Editoriale del Drago, 1982; I Miti degli Dei, Gherardo Casini Editore, 1976; Dizionario Etimologico, Rusconi Libri, 2003; Enciclopedia geografica, Zanichelli, 2001.
Il testo è stato aggiornato a più riprese. Per la versione attuale (luglio 2012) ho attinto copiosamente a La geografia degli antichi, Federica Cordano, Editori Laterza, 1992; L'atlante di Atlantide, Joel Levy, Urra-Apogeo, 2007; Il mito della Terra Perduta, Davide Bigalli, Bevivino Editore, 2010; Terre perdute, Peter James e Nick Thorpe, Armenia, 2002.
Più genericamente ho tratto interessanti informazioni sulla storia dell'uomo da Civiltà sepolte, C.W. Ceram, Einaudi, 1995; Armi, acciao e malattie, Jared Diamond, Einaudi, 2006; Gli indoeuropei e le origini dell'Europa, Francisco Villar, Il Mulino, 1997.
Note
(1) Il racconto di Teopompo fu molto noto nel mondo romano del II-III secolo d.C., quando venne riproposto da Eliano Claudio (170-235 circa d.C.). E' particolarmente interessante, poiché sembra richiamarsi ai Dialoghi platonici, dove una città virtuosa si contrappone ad una violenta e dominatrice.
Teopompo sostiene che la storia fu narrata a re Mida da Sileno, il figlio immortale di una ninfa. Egli spiegò che Europa, Asia e Libia sono isole, circondate dall'Oceano, oltre il quale c'è l'immenso continente di Meropia, con molte ed enormi città, dove vivono uomini grandi il doppio di noi e doppia è anche la lunghezza della loro vita. Sileno si soffermò poi su due città: la prima, chiamata Religiosa, è abitata da uomini pacifici, che vivono dei frutti della terra senza bisogno di lavorare; in buona salute per tutta la vita, sono così virtuosi che talvolta gli dei fanno loro visita. La seconda si chiama Battagliera; i suoi abitanti, almeno venti milioni, sono sempre in guerra, muoiono generalmente in battaglia, dominano tutti i paesi vicini e hanno accumulato enormi tesori d'oro e d'argento; una volta sbarcarono in dieci milioni nel nostro mondo, presso gli Iperborei del Nord-Europa, ma osservandoli e giudicando misero il loro modo di vivere, ritennero inutile proseguire e tornarono indietro.
Ai confini di Meropia esiste un luogo chiamato Non-ritorno, dove scorrono i fiumi del Dolore e del Piacere, lungo le cui sponde crescono piante dagli strani frutti. Chi se ne ciba, lungo le rive del primo, inizia un pianto ininterrotto fino a morirne; mentre chi mangia i frutti del secondo inizia a provare un nuovo piacere, ringiovanisce fino al momento della nascita e poi scompare.
Appendice - riflessioni personali
Le moderne conoscenze scientifiche escludono che al centro dell'Atlantico possa essere esistito un continente inabissatosi 12.000 anni fa. Le notizie che ci arrivano da Platone non possono quindi essere accettate letteralmente. Il racconto va interpretato. D'altra parte nessuno sostiene seriamente che i fossati della città di Atlantide siano stati tracciati da un dio di nome Poseidone. Inoltre non mi risulta che nessuno abbia mai tentato di dimostrare che Atene sia stata fondata in tempi così antichi.
Crizia lo specifica: i nomi che appaiono non sono quelli originali. I traduttori della storia, tramandata presumibilmente da popolazioni diverse che usavano lingue diverse, hanno di volta in volta adottato personaggi e luoghi della propria cultura ritenuti sinonimi degli originali.
Con queste premesse ciò che resta è veramente poco. Ci troviamo di fronte a tre avvenimenti: la fondazione di una civiltà, una guerra e un cataclisma naturale. Non possiamo neppure essere certi che questi tre avvenimenti facciano parte originariamente della stessa storia, perchè potrebbero essere stati assemblati successivamente in un unico racconto (che per certi versi non appare letterariamente omogeneo). Non si può infatti non notare come a fronte di una descrizione particolareggiata delle città segua una descrizione estremamente sintetica della guerra: non vengono citati i luoghi delle battaglie, né il nome dei condottieri, né l'esito degli scontri. E' vero che il racconto potrebbe essere incompleto, oppure Platone cita del poema solo le parti che interessano alla sua esposizione.
Le grandi costruzioni architettoniche sono normalmente associate al nome del loro ideatore, che spesso le realizza per guadagnarsi l'immortalità. Trovo perciò significativo che un'opera come gli enormi canali di Atlantide vengano attribuiti a Poseidone, un dio leggendario. Evidentemente il fondatore reale è sconosciuto al narratore, che quindi deve fare ricorso ad una figura mitologica. Questo introduce la possibilità che la storia non sia suggerita da una città conosciuta e visitabile, ma dalle sue rovine, magari sommerse. O da quelle che vengono descritte come le rovine di una grande città sprofondata, presumibilmente in epoca arcaica e quindi nell'eroica Età del Bronzo. In questo caso la maggiorparte dei particolari descrittivi, come l'architettura e i costumi sociali, sarebbero soltanto il modo in cui la città avrebbe potuto ragionevolmente apparire a giudizio del narratore, che quindi utilizzerebbe soltanto le sue supposizioni, e la loro utilità per determinare i luoghi reali diminuirebbe molto.
La storia situa Atlantide ai confini del mondo occidentale, in modo apparentemente inequivocabile. Sappiamo però che la storia potrebbe essere arrivata a Platone dopo complicati passaggi, e nel mondo classico non sempre il titano Atlante e le Colonne d'Ercole hanno coinciso con l'Occidente; infatti il Mar Nero è preso in considerazione da alcuni "Atlantologi revisionisti".
Nel caso in cui le descrizioni presenti nei Dialoghi avessero origini reali, occorre ricordare che le forze armate di Atlantide contano numerosi cavalli e carri da guerra. I cavalli non sono mai esistiti in America, fino all'arrivo degli Spagnoli nel XV secolo, e i nativi americani non conoscevano l'uso della ruota. L'ammaestramento dei cavalli ha origine presumibilmente nelle steppe meridionali russe, ad opera di popolazioni indoeuropee, che ne fecero una determinante risorsa bellica nel loro processo di espansione e di conquista. Si ritiene che in Grecia i cavalieri del nord fecero così impressione da originare le leggende dei centauri. Per quanto riguarda poi il carro leggero da guerra, tra i primi ad utilizzarlo furono gli Ittiti (altri carri, come quelli sumerici, erano pesanti, con ruote piene, utilizzati principalmente per il trasporto), stanziati in Asia Minore, anch'essi indoeuropei provenienti da nord, come le innumerevoli migrazioni che si sono nei secoli verificate dall'Asia centrale.
Anche l'acropoli, il nucleo urbano sopraelevato che domina Atlantide, è un tipo di fortificazione tipico del Mediterraneo orientale. Molti altri indizi portano ad Est, per il semplice fatto che lì nascono le prime civiltà a noi conosciute: su Atlantide troviamo l'agricoltura, l'irrigazione, la scrittura, un sistema legislativo, tutte cose che in Oriente nascono o si perfezionano.
I terremoti e il diluvio che decretano la fine di Atlantide, lasciano il suo mare limaccioso e difficilmente navigabile. Il Mare di Azov, a nord-est della Crimea, ha queste caratteristiche e fondali bassissimi. Un antico terremoto, provocando magari la deviazione di corso di un affluente, potrebbe aver generato l'allagamento di vaste aree, e trasporto di detriti che hanno abbassato ulteriormente i fondali, modificando la morfologia del luogo.
L'idea di collocare Atlantide in un posto diverso dall'Oceano Atlantico, può apparire inaccettabile a molti. Eppure i miti possono subire migrazioni geografiche.
Il primo fiume del mondo, per estensione di bacino idrografico e per portata d'acqua, scorre in Sud America ed è il Rio delle Amazzoni. Le Amazzoni però sono un mito greco: le combattè Eracle, parteciparono alla guerra di Troia e sarebbero state una popolazione guerriera di sole donne, formidabili cavallerizze e abili con l'arco; l'etimologia a-mazon (senza un seno), forse erronea, sembrerebbe confermare il loro costume di amputarsi un seno per un ipotetico vantaggio nell'uso dell'arco, ma gli artisti greci che le raffigurarono in statue e dipinti ignorarono questo particolare. Il loro regno era immaginato a Nord, nelle steppe della Russia meridionale, oppure ad Oriente, oltre l'Anatolia. Perchè mai i conquistadores spagnoli le "videro" nel XVI secolo in Brasile? Una terra evidentemente sconosciuta ai greci antichi.
Notizie su avvistamenti di amazzoni iniziarono già dai primi viaggi di Colombo. Si credeva che il loro regno, se ancora esisteva, potesse custodire un favoloso tesoro. Di loro ne parlò la spedizione compiuta nel 1544 da Francisco de Orellana, che aveva navigato lungo il Marañon, che volle perciò ribattezzare Rio delle Amazzoni. Nel 1595 e nel 1616 Sir Walter Raleigh capeggiò addirittura due spedizioni, ma senza successo.
Poichè il regno amazzone non era mai stato trovato ad est della Grecia, e poichè Colombo riteneva di aver raggiunto le Indie Orientali, l'idea di essere entrati in contatto con le misteriose donne guerriero appariva plausibile. Il desiderio di ricchezza creò ciò che non esisteva e il mito riuscì quasi a compiere il giro del mondo.
Fonte: http://www.mauriziocavini.it/Testi/1/Atlantide.rtf
Autore del testo: © Maurizio Cavini
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