La minigonna dal 1963 ad oggi
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La minigonna dal 1963 ad oggi
Data di nascita: 1963.
Nome: minigonna.
Altezza: minima.
Segni particolari: se stessa.
Padre: sconosciuto.
Madre: la stilista inglese Mary Quant.
Introduzione
Sta tutta qui la carta d'identità di una piccola-grande rivoluzione che ha scandalizzato il mondo. La minigonna festeggia le sue quaranta primavere ma sembra lontano anni luce il tempo delle sue prime apparizioni in pubblico.
Altri tempi. Altri costumi. All'epoca gli sguardi di uomini e donne planavano, come avrebbero fatto davanti a un marziano, lungo quel tessuto ridotto ai minimi termini fino ad essere scandaloso, sfrontato, senza vergogna. E le «avanguardie» di quelle gonne minimaliste non hanno avuto certo vita facile.
Ci sono volute migliaia e migliaia di gambe al vento, di fischi irriverenti, di commenti insolenti e di donne perseveranti prima che il comune senso del pudore digerisse l'idea della minigonna. Ma da lì in poi è stato un trionfo: le castigate gonne sotto il ginocchio sono uscite «stracciate» dal confronto con le «sorelline». Che ancora oggi reggono decisamente bene.
Dalle prime mini, colorate e svasate, guardate con più di un sospetto da borghesi e benpensanti, si passa a quelle trasparenti e lunari della fine degli anni '60, alle micro gonne di pelle nera dei punk, al boom dei tessuti sintetici degli anni '80, alle varianti «maschili» della mini, ovvero i micro calzoncini elastici con cui viene fotografata Madonna mentre fa jogging, alla fine del decennio. Negli anni '90 le passerelle vengono invase dalle top model, la minigonna riappare con gli stilisti Dolce e Gabbana e Prada.
E poi? Improvvisa sobrietà, come si conviene ad un periodo di crisi economica e internazionale. Ma non dura molto. Giorgio Armani ripropone la mini nelle sue collezioni autunno inverno 2003-2004, Roberto Cavalli lancia una linea di gonnelline pacifiste con lo slogan «No war, more wear». O forse è meglio dire «less», ma il risultato non cambia.
La vera storia
Mary Quant
Di nascita francese o britannica che sia (la questione è ancora aperta) dopo oltre quarant’anni la mini è ancora attualissima. Da capo simbolo della rivoluzione dei mitici anni Sessanta, a immagine sexy degli anni Ottanta, rientra con forza nel guardaroba del terzo millennio, come se il tempo non fosse passato.
Dei suoi natali incerti racconta Valerie Steele nel suo “Cinquanta anni di moda”. La diatriba è tra André Courrèges, architetto e sarto francese, creatore del minimal chic e del taglio geometrico, e la stilista inglese Mary Quant che commenta: “Si sa come sono i francesi… non vi bado più di tanto. Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per le strade”. Comunque siano andate le cose, il fatto certo è che a lei va sicuramente il merito di aver trasformato la mini in un fenomeno di massa.
Ma chi è Mary Quant? Nel pieno della rinascita della moda femminile, dopo la dolorosa parentesi della guerra, una giovane modella-stilista apre la boutique Bazaar a Londra in Kings Road. Siamo nel 1955, ha ventun anni, un diploma al Goldsmith College of Art e tanta spregiudicatezza. Disegna, produce abiti in proprio, graziosi, divertenti e a basso costo ed in poco tempo diventa il punto di riferimento della moda giovane della “Swinging London”, la stessa dei Beatles e dei favolosi anni Sessanta. Lei forse ancora non sa che il suo nome farà il giro del mondo e rimarrà tra gli indimenticabili della storia della moda. Tutto questo perché nel 1963, con solo qualche centimetro quadrato di stoffa, che scopre le gambe e copre il minimo indispensabile, lancia la minigonna sul mercato. La sua moda è rivoluzionaria: le adolescenti trovano nei suoi capi la forza di ribellarsi all’ingerenza della generazione perbenista che le ha precedute, fatta di tabù e restrizioni, quella di “Scandalo al sole”, dove il massimo dell’eccesso era una t-shirt, come quella indossata da James Dean nel celebre film “Gioventù bruciata”.
L’ispirazione le viene dalla strada, dalla Pop Art, dai primi trionfi dell’era spaziale. Le creazioni sono tutte più colorate, più eccessive, più eccitanti delle precedenti. “I bravi stilisti sanno che per essere influenti devono seguire ciò che accade nelle strade e fiutare l’aria – dice la Quant -. Io ho cominciato proprio quando nell’aria qualcosa stava per accadere. Ho creato abiti che si adattassero perfettamente al momento, fatto di dischi pop, caffè e jazz”.
La vera novità è il concetto di moda adattata alla quotidianità che nessuno stilista fino ad allora ha considerato. “Quello che mi da più soddisfazione è che le mie creazioni trovino spazio tanto negli armadi dei giovani del ceto medio, quanto nei guardaroba di lusso delle “signore bene” – dichiara la stilista inglese ai giornali dell’epoca -. Non esiste più differenza di classi, non più binomio tra moda e snobismo. La mini è l’incarnazione ideale della democrazia”. E’ perfettamente in sincronia con quello che le gira intorno. Lei stessa, con la sua giovane età, è la prima rappresentante di ciò che vende. Scrive di lei il giornale ”Sunday Times”: “A pochi viene dato il privilegio di nascere nel momento giusto, nel posto giusto e con il giusto talento, tra questi fortunati c’è Mary”.
Twiggy
Testimonial delle sue creazioni è Twiggy. Prima teenager della storia a diventare una top model (nelle sue prime apparizioni aveva poco più di 17 anni), Twiggy ha un impatto a dir poco travolgente sia in Inghilterra che all’estero, tanto che la rivista ”People” scrive di lei: “E’ forse la prima modella ad avere una eco tale da creare un commercio di massa intorno a tutto ciò che la riguarda, dalle bambole ai cosmetici”. Si può certamente affermare che sia l’artefice del collegamento virtuale modaiolo tra le due sponde dell’Atlantico. La sua brillante carriera si svolge tutta nel breve periodo compreso tra il 1966 e il 1969. Quattro copertine su Vogue, nominata dal ”Daily Express” “Volto del 1966” e più di recente, nel giugno del 1999, la rivista ”Time” la include tra più belle star del ventesimo secolo.
Dice di lei il famoso fotografo Richard Avedon: “Quando è davanti alla luce del flash, riesce a riflettere all’obiettivo l’immagine della sua generazione”. I suoi quaranta chili scarsi e “quei quattro arti dritti in cerca di un corpo”, come titola in copertina la rivista ”Newsweek”, che nulla hanno a che vedere con le pin-up degli anni Cinquanta, incarna, se si può parlare di carne, un nuovo ideale di corpo.
Arrivano gli anni Settanta e i riflettori si spengono. Le donne si sentono ormai padrone dei loro corpi e alla minigonna preferiscono di gran lunga i pantaloni. Per lungo tempo, almeno fino alla metà degli anni Ottanta quando risorge come accessorio indispensabile della donna sexy, la mini rimane solo nell’immaginario collettivo maschile, come oscuro oggetto del desiderio.
Fonte: http://docenti.lett.unisi.it/files/12/12/5/2/minigonna_word.doc
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