Giuseppe Verdi vita e opere
Giuseppe Verdi vita e opere
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La biografia di Verdi e la sua opera
Come abbiamo già menzionato, per capire Verdi è importante conoscere un po’ la sua biografia e naturalmente la sua opera che ci permettiamo di descriverla nelle pagine seguenti. Abbiamo utilizzato parecchie fonti, tra l’altro le biografie di Verdi scritte da J. Válek, E. Chechi, F.T. Garibaldi oppure C. Gatti. Chi sarebbe interessato a studiare la vita e l’arte di Verdi più profondamente gli consigliamo di leggere le pubblicazioni sopra citate.
Giuseppe Verdi nacque il 10 ottobre 1813 a Roncole di Busseto in provincia di Parma nella parte settentrionale d’Italia. Originariamente la famiglia Verdi abitò non molto lontano da qui. Il piccolo Verdi fu battezzato Giuseppe Portulino Francesco ed alla sua nascita c’erano guerre in corso. In quei tempi l’Italia combatteva con entusiasmo per la desiderata libertà. Per le simpatie nei confronti della rivoluzionaria Francia, che alla fine del Settecento dominava la regione parmense, la famiglia Verdi si trasferì in un ambiente più libero oltre il fiume confinante Ongina. Verdi cresceva come un normale bambino di paese, semplice e con una buona educazione. Grandi cambiamenti non avvennero neanche dopo il trasloco della famiglia in una piccola città - Busseto di Parma, dove Verdi cominciò a dedicarsi alla musica.
Suo padre, Carlo Verdi, gestiva un’osteria con una bottega e sua madre Luisa si procurava un guadagno extra come filatrice. Era figlio unico e durante la sua infanzia e adolescenza era di carattere chiuso, serio e lo sarebbe restato ugualmente per tutto il resto della sua vita. Il suo talento musicale si manifestò molto presto, le sue impressioni musicali si formavano nell’ambiente domestico dove un giorno ebbe modo di incontrare un violinista ambulante nell’osteria del padre e ne restò entusiasta e poi un giorno ebbe modo di ascoltare l’organo della chiesa durante una messa domenicale dimenticandosi completamente del mondo circostante lasciandosi trasportare dalla sua fantasia. Ebbe in regalo un cembalo, uno strumento vecchio e consunto, il quale dopo, per affetto, si conservò per il resto della sua vita.
Il maestro d’organo di Roncole gli insegnò la musica e dopo il giovane Verdi cominciò a frequentare la scuola di Busseto, dove imparò a leggere, a scrivere e a contare. Verdi anche qui si dedicò con entusiasmo alla musica. Il centro della musica in quei tempi era la chiesa e la „Società filarmonica“ . Qui Verdi entrò in casa del grossista Antonio Barezzi, che era un musicista entusiasta che alla fine diventò anche suo suocero. Verdi venne accettato in questa società e qui ebbe modo di conoscere il maestro d’organo della chiesa, il signor Giovanni Provesi. Dopo tre anni iniziò a comporre, a dirigere e le domeniche e i giorni festivi suonava nel suo luogo di nascita, Roncole. Il paese di Busseto gli concesse una borsa di studio per proseguire gli studi a Milano, la quale Verdi più tardi restituì molto onestamente tramite la fondazione „Borsa di studio per i musicisti della città“. Nel giugno del 1832 Verdi partì per il conservatorio di Milano e qui il suo esordio non fu proprio un gran successo. Al conservatorio non venne ammesso dal direttore Basili il quale diceva: „perché non promette di essere di talento“ e più tardi l’istituto si scusò dicendo che la sua fisionomia non offriva niente di speranzoso.
Cosí divenne suo maestro „il maestro di cembalo“ del teatro d’opera La Scala di Milano – Vincenzo Lavigna il quale era direttore d’orchestra al teatro la Scala ed in tal senso indirizzò l’educazione e l’interesse del giovane Verdi verso il teatro. Cosí Verdi cambiò posto da suonatore d’organo a compositore d’opera. Compose marce musicali, ouverture e simili.
Nel 1833 Provesi morì e Verdi tornò a Busseto per prendere il posto del suo ex maestro e divenne maestro d’organo nella chiesa e direttore d’orchestra. La gente del paese si oppose dicendo che Verdi era ancora „maestrino“ , che era troppo giovane per svolgere un compito d’arte cosí serio. Quest’altro colpo ebbe dei lati positivi per il giovane artista, infatti per tre anni rimase a fare il direttore d’orchestra della città di Busseto, scrisse composizioni per la banda musicale e con questa organizzava dei concerti sulla piazza approfondendo in tal modo le proprie capacità musicali.
Dopo tre anni partì nuovamente per Milano e non fu più solo; Margherita Barezzi figlia del suo mecenate e protettore Antonio Barezzi, andò insieme a lui come sua legittima moglie. L’anno 1835 fu molto felice per lui. A Busseto iniziò a scrivere la sua prima opera Oberto, conte di San Bonifacio e nel 1839 si svolse la sua prima rappresentazione dandogli un atteso successo. Lavorò sulla sua opera per tre anni e trasmise nell’opera tutte le sue esperienze e forze. Il suo librettista fu Solera, giovane musicista anche lui. Scrisse per Verdi il libretto Oberto, conte di Bonifacio e la prima rappresentazione dell’opera ebbe luogo il 17 novembre 1839. Oberto, conte di Bonifacio naturalmente non portò niente di nuovo e niente di straordinario nell’evoluzione dell’opera del suo tempo, anche se ogni tanto ci si specchiava lo stile della personalità del Verdi postero. Non aveva per esempio neanche un’ouverture, a cui Verdi non ci teneva molto neanche più tardi.
Nel 1840 il compositore scrisse un’opera comica, Un Giorno di Regno ossia Il finto Stanislao, per il teatro la Scala, l’unica opera che abbia mai scritto su ordine, ma di nuovo senza successo. Fu un fiasco completo. È evidente che la tradizione creativa non era affatto il mondo di Verdi, in più, in questi anni visse momenti tra i più difficili della sua vita.
Nel tempo in cui iniziò a comporre Il finto Stanislao, in aprile, si ammalò suo figlio e morì, poco dopo morì anche sua figlia e sua moglie. Cosí perse in due mesi i suoi più cari e rimase solo, chiuso all’interno della sua infelicità. Divenne apatico e si chiuse in se stesso. Il fiasco della sua opera comica, lo considerò un destino, un invito a distogliersi da questo brutto mondo, si chiuse in se stesso allontanandosi da tutto e da tutti. In quei tempi non aveva amici, non leggeva letteratura d’arte e l’unica cosa che gli faceva piacere furono alcuni crudeli romanzi francesi dell’epoca che gli permisero di scappare via, dimenticando tutto. La cultura per lui sembrò essere morta. Si rese conto di aver avuto sempre tendenze verso il naturalismo, verso qualcosa di molto emotivo. L’autore di Rigoletto, vivendo la sua forte crisi personale, trovò nella lettura di questi romanzi popolari la sua natura creativa, se stesso, non appesantito dalle convenzioni di quei tempi, dalla tradizione, dagli schemi, dalla simulazione.
Quando ritornò dal suo inferno interiore al mondo reale, Verdi non era più un compositore delle melodie insinuanti. Una lettura terribile e piena di sangue svegliò in lui un drammaturgo: ci diede tutta l’anima. Fino al gennaio 1841 rimase chiuso in questo stato d’animo, ma dopo finalmente vinse la sua voglia di vivere. Merelli capì Verdi perfettamente e gli presentò il libretto di Solera Nabucodonosor. Verdi in principio non voleva neanche leggerlo ma la sera tardi lo ritrovò per caso davanti agli occhi ed occasionalmente era aperto sulla pagina di Va pensiero, il quale lo toccò nel suo stato d´animo più profondo : „Strada facendo mi sentivo indosso una specie di malessere indefinibile, una tristezza profonda, un’apatia che mi gonfiava il cuore! (...) Mi rincasai e con un gesto quasi violento, gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomici ritto in piedi davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto: senza saper come, i miei occhi fissarono la pagina che stava a me innanzi, e mi si affacció questo verso: Va pensiero, sull’ali dorate...“ Lo lesse tutto e poi ancora per alcune volte. E cosí nacque una nuova opera, Nabucco.
Nabucco è la prima vera opera di Verdi e anche il suo primo successo mondiale. La prima rappresentazione si svolse il 9 marzo 1842 al teatro la Scala di Milano e venne realizzata in maniera piuttosto superficiale e veloce ma lo scenario fu realizzato e preparato bene. L’opera venne cantata dai primi cantanti e tutto andò perfettamente. La seconda moglie di Verdi, Giuseppina Streponi, cantò l’Abigailla. Verdi venne chiamato il vero meastro del suo tempo.
Qui bisogna dire, che anche altre opere di Verdi I lombardi alla prima crociata (1843) e Jerusalem (1847), vennero ben accettate. La Scala accettò la nuova opera come „opera d’obbligo“, cioè come l’opera principale dell’intera stagione e Verdi chiese un onorario di 8000 fiorini e gliene vennero aggiunti altri 3000. Il testo lo scrisse di nuovo Temistocle Solera. Nacque una leggenda poetica, come venne chiamata dal librettista stesso.L’11 febbraio 1843 si svolse la prima rappresentazione dell’opera I Lombardi alla prima crociata. Il teatro era strapieno e tante arie e scene vennero ripetute su richiesta del pubblico.
Il testo di Victor Hugo venne musicato nell’opera Ernani. L’opera rafforzava la drammaticità del testo dello scrittore di un’enfasi rivoluzionaria. Hugo protestò e non permise al Verdi di usare il suo libro per la composizione dell’opera, ma non essendo ancora valido il diritto d’autore, Verdi mise il testo in musica. La prima rappresentazione si svolse il 9 marzo 1844 al teatro La Fenice di Venezia. Il successo fu trionfale.
Il 30 novembre 1844 vennero rappresentati con minor successo I due foscari e il 15 febbraio 1845 si svolse la prima rappresentazione dell’opera di Giovanna d´Arco realizzata in modo straordinario. Giovanna ama il re, ha idee buone e cattive, sul bene canta un coro degli angeli sopra il palcoscenico, sul male canta il coro dei diavoli sotto il palcoscenico. Alla realizzazione parteciparono i cantanti migliori.
Un successo piccolo ebbe la sua opera Alzira realizzata al Teatro San Carlo di Napoli nel 1845, ma il 17 marzo 1846 venne presentata l’opera Attila con il testo di Solera. L‘aria „o cara patria perduta“ venne accompagnata dalle grida del pubblico „Italia a noi!“
Cambiamenti tra i fiaschi e la gloria non soddisfecero Verdi e lo costrinsero a riflettere sulla sua creazione tornando agli ideali, alle immagini e ai programmi precedenti. Lunga però fu la strada per arrivare alla meta. In questo periodo nella creazione di Verdi arrivò un temporaneo riposo. Verdi partì per Firenze ed uscì dall’ambito della vita comunitaria ritirandosi a vita privata e dedicandosi allo studio. Questa volta Verdi cominciò a comporre senza rispetto in base alle sue esperienze con un tono nuovo e molto distante, e nacque così nel 1847 Macbeth per Firenze. Si tratta di un argomento di Shakespeare con una tendenza della sua parodia, perchè il dramma di Shakespeare nella propria realtà è drammaticamente differente. Il Macbeth non ebbe successo malgrado la musica fosse nobile. Il complesso dell’opera era più debole, non era affatto il vero Verdi che tutti apprezzavano ed amavano. Il 14 marzo 1847 quest’opera venne rappresentata a Firenze. Durante le prime rappresentazioni Verdi era più ansioso che mai, voleva sempre fare le prove. La scena del sonnambulismo venne provata per tre mesi perchè il maestro Verdi desiderava, che il duetto fosse più parlato, che cantato. Questa volta riuscì ad ottenere, per la prima volta nella storia dell’opera, una prova generale nei costumi. Durante la prima rappresentazione era molto agitato, ma tutto finì bene e l’applauso fu enorme. Malgrado dimostrabili difetti Macbeth portò successo. Il pubblico fu entusiasta dell’aria La patria perduta.
Dopo arrivarono I Masnadieri, presentati a Londra nel 1847, sul testo dei Masnadieri di Schiller. Ma quest’opera era molto debole, infatti durante la prima rappresentazione nacquero vari disaccordi. Il cantante Lablache aveva un fisico grande e grasso, uscì dal finestrino di una prigione dove, secondo il libretto, aveva sofferto di fame per tutto l’anno e ciò naturalmente fece ridere il pubblico. In più, tutta l’opera fu scritta per il pubblico di Londra che era chiaramente diverso da quelo francese o italiano. Tutto ciò influenzò l’accettazione dell’opera. Inoltre i tempi stavano cambiando e Verdi seguiva gli eventi molto attentamente, infatti si trovò nell’anno della rivoluzione 1848. In questo periodo Verdi era a Parigi e quando iniziò la rivoluzione tornò immediatamente in Italia. Durante il viaggio di ritorno in Italia gli arrivarono le notizie dello scarso successo dei „I masnadieri“. Per Verdi il periodo della rivoluzione significava anche meno lavoro.
Nel 1848 nacque la sua opera più debole Il corsaro, rappresentata a Trieste. Migliore, ma debole anche questa, fu l’opera La battaglia di Legnano. Questi fiaschi però furono solo il risultato di una momentanea concentrazione e raccolta di forze. Verdi si rialzò di nuovo per creare il periodo più straordinario dei suoi tempi. Il pubblico italiano si fece prendere dalla disperazione della infelice rivoluzione. Verdi compose l’opera tranquilla Stiffelio, presentata nel 1850 a Trieste, sulla quale verificò le proprie capacità tecniche di compositore.
Dopo il 1849 iniziarono nuove battaglie e anche dei nuovi momenti per Verdi. Carlo Alberto fu battuto e Vittorio Emanuele arrivò per diventare lo spirito dell’opera. Entusiasmo, forza e tanto altro che influenzarono Verdi, si ritrovò all’apice. Fu il maestro dell’opera italiana rivoluzionaria, le sue opere furono gli inni cantati dal popolo. Cavour, personaggio veramente poco musicale, cantava volentieri il Trovatore. Nel 1859, nel momento critico in cui l’esercito austriaco attraversò il fiume Ticino, Cavour lo venne a sapere e in base ad un contratto stipulato precedentemente con l’esercito francese intervenne contro l’Austria. Le truppe piemontesi avanzavano sui campi di battaglia cantando „stretta“. Verdi diventò l’eroe nazionale e il pubblico leggeva Verdi come „Vittorio Emmanuele Re D’Italia“. Al termine della battaglia fu raggiunta la vittoria, Verdi venne eletto come deputato della sua regione. Nel 1875 venne nominato senatore, un vanto dell’Italia. Le opere di Verdi si sentivano cantare da ogni italiano e presentare oltre che nei teatri italiani anche nei teatri esteri.
Il proprio amore per l’arte portò Verdi ad inaugurare l’opera Rigoletto. Rigoletto è la sua opera più grande caratterizzata per la sua forza d’invenzione. Si tratta della prima opera del nuovo tempo e allo stesso tempo un’opera più personalizzata, in cui finalmente riuscì ad esprimere tutto ciò che era nato dentro di lui nei tempi della sua maturazione. L’argomento è del Le roi s’amuse, dramma più brusco di Victor Hugo, e Verdi lo scelse da solo. Cosí realizzò pure lo scenario. Il librettista Piave lo diversificò e su questa nuova base Verdi dimostrò, come immaginava un’opera europea. Procedè la composizione dell’opera molto più seriamente e con più concentrazione di prima partendo per un ritiro dedicandosi alla composizione. In quaranta giorni Rigoletto era pronto e Verdi ne fu molto soddisfatto: „Credo, di non scrivere più una cosa migliore“ disse. La procedura rimase la stessa, la grossezza non fu cambiata ma venne introdotta nell’opera più personalità e più il proprio carattere.
Il Trovatore nacque dopo due anni ed è l’opera più conosciuta di Verdi portando la sua popolarità e fama a livello internazionale. La trama è difficilmente comprensibile a causa del libretto stesso, dalla trama si capisce soltanto che Azucena ha una gran paura della morte e Manrico sicuramente ama Leonora, il resto, a dirlo semplicemente, non è per niente chiaro. Il 19 gennaio 1853 si svolse la prima rappresentazione a Roma e fu subito un successo assoluto.
L’ultima opera delle più grandi di questo periodo fu La Traviata (La Violetta)
Fu composta nel 1853 come Il Trovatore. Il testo è del dramma di Dumas: „Dama con le camelie“, che fu rappresentata per la prima volta il 6 febbraio 1852 al Théatre Vaudeville di Parigi. Quest’opera è interessante perché Dumas ebbe il coraggio di discutere per la prima volta della società contemporanea e non sulla storia, come aveva sempre fatto. Il modello della dama come Violetta, era per lui Madame de Plaison. Verdi conobbe quest’opera a Parigi ed insieme al librettista Piave la scrisse. Il testo di quest’opera è differente da quello precedente. La Traviatanon significa una riforma dell’opera, ne un’altra direzione dell’opera di Verdi. È un ritorno al tono di Rigoletto, anche se si tratta di un’altro compito drammatico. Verdi stesso disse, che „La Traviata è un’opera buona per i principianti, mentre per gli specialisti è Rigoletto, e che il Trovatore è sano, anche se è brusco“ .
La prima rappresentazione della Traviata avvenne il 6 marzo 1853 a Venezia, e siccome gli interpreti non seppero arrangiarsi l’opera fu un fiasco completo. C’era tanta confusione, i cantanti non sapevano cosa cantare, il vestito contemporaneo rappresentava per loro abituati ai vestiari storici, un problema difficile da risolvere. Il primo atto riuscì ancora a mantenere l’interesse del pubblico, ma alla fine ci fu una risata generale. In più, „Alfred“ Graziani è rauco, „padre“ fu arrabbiatissimo per il suo ruolo piccolo e la Donatelli, cantante molto robusta, rappresentò Violetta. Dopo un’anno venne presentata La Traviata con una nuova distribuzione ed ebbe successo con una strada sempre in salita sui palcoscenici europei, dove si mantiene tutt’oggi. Questa era la tradizione delle principali opere verdiane ai tempi rivoluzionari della nazione italiana. Ci sono inoltre anche opere più piccole, Le vépres siciliennes per la grande opera di Parigi e Simone Boccanegra secondo il dramma di Schiller – Fiesca. Il 12 marzo 1857 si svolse la prima rappresentazione di quest’opera a Venezia. Ultima opera di Verdi di questo periodo fu il Ballo in maschera, scritta sul testo del drammaturgo francese Scribe. Dopo Verdi si concentrò sull’opera francese.
La sua prima opera puramente francese, Don Carlos, nacque nel 1867. La trama è un ambiente completamente francese ed è un dramma patetico in cinque atti. Verdi, che ebbe di fronte una cosa completamente nuova, ebbe paura di cancellare qualcosa e questi sentimenti si sentono anche nella musica. L’opera Don Carlos venne scritta in base alle esperienze raggiunte con Il Trovatore, rendendosi conto delle esigenze dei francesi sulla logica dell’azione e l’opera fu composta cosí come la richiedeva „La grande opera francese“. Verdi non cancellava, non faceva modifiche e in tutto questo si sente lo sforzo del compositore per adattarsi al libretto. La prima rappresentazione si svolse il 11 marzo 1867 senza grande successo.
Un’altra opera culminante in questo stile francese è Aida. Possiamo dire che si tratta di una delle più conosciute e famose opere di Verdi. Il suo significato e senso è rappresentato dall’idea stessa dell’opera e non soltanto nella tecnica. La nascita e la storia della grande opera Aida è molto interessante. Fu scritta come una grande opera italiana per il Cairo . Khedif Ismail – bascia – ricco monarca, amatore dell’arte si rivolse a Verdi con la richiesta di comporre un’opera, per arricchire il programma del suo teatro. Doveva essere un’opera nazionale egiziana. Verdi si meravigliò, ma alla fine accettò la richiesta di musicare l’opera e ricevette l’argomento. La prima idea venne proposta da Mariette-bej, il cui realizzò i dettagli storici. In base a ciò Du Locle scrisse il libretto in prosa e in francese e
A. Ghislanzoni poi realizzò i versi in italiano, sui quali Verdi compose la propria musica. L’opera venne realizzata in pochi mesi. Ismail – bascia invitò Verdi alla prima rappresentazione la qualle venne fermata per motivi di guerra che nel frattempo era scoppiata in Europa. Parigi era assediata e le decorazioni per le scene non vennero spedite in tempo e Verdi non partecipò alla prima rappresentazione data la sua paura per il mare. Questi ostacoli però non bloccarono la prima rappresentazione dell’Aida che avvenne il 24 dicembre 1871 al Cairo. Dopo l’Aida iniziò il famoso giro per il mondo. La prima rappresentazione avvenuta al Cairo Verdi non la considerò una vera e prima rappresentazione. Una vera e prima rappresentazione si svolse al Teatro la Scala il 7 gennaio 1872. Aida venne cantata da Tereza Stolz. Alla prima della Scala il successo non fu abbastanza grande, il pubblico italiano non capì l’opera, perchè diceva che questo non era il vero Verdi. La Gloria dell’Aida non iniziò neanche a Parigi. Qui venne presentata dopo Vienna, San Pietroburgo e l’America. Solo nel 1876 arrivò al Théatre Italienne di Parigi. Finalmente nel 1880 l’Aida venne presentata nell’Opera Grande di Parigi, con grandi onori riservati al compositore. Motivi dei ritardi nella rappresentazione dell’Aida non furono di genere artistico, ma piuttosto socio-culturale. Giuseppe Verdi salvò la grande opera di Parigi e la scena francese dalla crisi di repertorio.
L’Aida riuscì a tenere l’arte contemporanea in vita e persino gli diede una forza nuova e ancora più grande. Furono di moda argomenti sui paesi stranieri, esotici, tanto attraenti per il pubblico. Verdi si comportava come un artista, non divenne un’imprenditore dell’opera, smise di comporre temporaneamente e si dedicò ad altro genere.
Verdi si trasferì dai centri dell’opera alla solitudine, d’inverno viveva a Genova, d’estate nella fattoria di Sant’Agata vicino Busseto. Qui si stabilì, si occupò della fattoria e visse per 17 anni ed e venne considerato una persona chiusa. Perciò per l’intero mondo musicale fu una grande sorpresa, quando nel 1887 il 75-enne Giuseppe Verdi presentò una nuova opera – è in più un’opera molto differente: l’Otello. Fu una scoperta straordinaria per il pubblico vedere come il vecchissimo Verdi cambiò in tutto quel tempo sia dal punto di vista umano sia artistico e sia nel suo orientamento stilistico. È chiaro, che in tutto quel tempo si dedicò diligentemente agli studi.
Morì il 27 gennaio 1901. I funerali si svolsero a sua richiesta in un silenzio assoluto al buio del mattino, senza musica e senza corone. Nelle vie di Milano si fermarono senza parole duecento mila persone. La Scala organizzò in onore del compositore un concerto, in cui cantò l’allora ancora sconosciuto Enrico Caruso.
Che cos’è il libretto?
Riteniamo importante, anche se può sembrare inutile, dedicare un po’ di parole alla spiegazione di questo concetto. Il libretto d’opera costituisce un genere letterario particolare e non autonomo, perché è subordinato alla musica.
Verdi fa parte dei compositori, che intervenivano nei libretti con attività in maniera tale che la versione originale veniva modificata talmente tanto, che la forma finale indubbiamente può essere specificata come coautorità, l’effetto artistico della quale spesso supera l’originale stesso.
Ogni compositore ha bisogno di un libretto scritto su misura, dei propri mezzi di espressione e immagini, che non sempre possono essere identici con le intenzioni degli autori della trama.
Il libretto dell’opera ha proprie esigenze specifiche e legalità, differenti dalle legalità dei drammi o composizioni di un romanzo.
La sceneggiatura nei tempi del massimo sviluppo dell’opera, è una professione speciale, altamente valutata. Molti compositori intervenivano nei libretti delle proprie opere, ma non vengono specificati da nessuna parte come loro coautori.
Il rapporto tra il maestro e i suoi librettisti
Non sarebbe giusto chiamare alla responsabilità dei libretti dei drammi musicali di Verdi soltanto i librettisti. Il maestro fu, nei riguardi di loro, molto severo per quanto riguardava il tema, la scenografia ed i dialoghi, e cosí ne portava egli stesso una grande responsabilità.
Tutti i librettisti di Verdi, con eccezzione di Boito, erano di un rilievo medio, poeti di un basso livello, o forse non erano poeti neanche, e nessuno di loro, cosí, aveva coraggio di opporsi contro di lui, di imporli il proprio gusto o convinzione, di insegnarli delle possibilità diverse da quelli che lui adoperava. Questi librettisti non avevano alcun’individualità artistica e tutti erano sottoposti al maestro. Anche quelli migliori, che lavoravano anche da poeti drammatici, oltre a fare i libretti da opera, come nel caso di Somma, furono tutti subordinati alla volontà del maestro, perché anche questi erano piuttosto dei poeti di basso rilievo. Si poteva accontentare Verdi abbastanza facilmente, fino a che più tardi non arrivò il famoso momento di Boito. In un certo tempo Verdi fu persino accusato di aver messo in musica pure dei pessimi libretti che intossicarono il dramma italiano e di non aver dato l’importanza al loro valore letterario. Lui infatti apprezzava soltanto quello drammatico che diventò per lui un valore di base.
Giuseppe Verdi ha sempre veduta l’opera quasi fatta molto prima di mettersi a scriverla. Si sa di lui che passava spesso parecchie ore nel suo giardino sfogliando le pagine d’un libretto, leggendone ad alta voce le strofe, meditando, passeggiando. Se gli capitavano in casa amici, li salutava, poi di nuovo si metteva a leggere, e dalla lettura passava alla fantastica contemplazione dei personaggi, chiedeva loro il segreto della passione onde erano agitati, e quelli uno dopo l’altro gli rispondevano. Cosí le linee principali erano già tirate e costruite quando il compositore, agitato dal suo fuoco interno della ispirazione, incominciava la trascrizione dei pezzi. Giuseppe Verdi fu più volte accusato di aver messo sotto i piedi la musa della poesia, musicando libretti nei quali spesso non trovava ospitalità neppure la grammatica. Astrattamente il rimprovero è giusto. Ma come nei libretti egli cercava soprattutto le situazioni ed i contrasti drammatici, cosí furono sempre nei guai i verseggiatori più forbiti del suo tempo per contentare quella sua smania di colorire con molta violenza le passioni.
Al Verdi occoreva non un poeta voglioso di seguire il proprio estro, ma uno schiavo della penna, un martire della rima e del metro, un paziente mosaicista che componesse di pezzettini ogni scena, e tornasse magari dieci volte sul proprio lavoro. Grottescamente terribili e comicamente solenni rimangono nella storia aneddotica della musica certe tirannie selvaggie del Verdi, che minaciava di feroci castighi il poeta, se non riuscisse a scrivergli quella data strofa nel modo preciso com’egli voleva.
E. Checchi scrive nel suo libro su Verdi parecchi avvenimenti con i suoi librettisti. Dedica un ricordo ad esempio al povero Piave, che per il Verdi si sarebbe, secondo lui, buttato nel fuoco. Era il solo che non protestasse mai, che desse anzi sempre ragione al maestro. Meno trattabile, Salvadore Cammarano, autore di vari libretti verdiani, e di quella selvaggia aspra e forte che è il Trovatore, prometteva di fare a modo del maestro, poi si buttava sempre dietro le spalle la commissione, e i versi promessi non venivano mai. Un giorno, bello e terribile giorno perché il maestro era acceso dal divino estro inventivo, egli aspetta all’ora indicata una lettera del librettista, che deve inviargli una scena rifatta, non piaciuta affatto al Verdi nella prima edizione. Il Cammarano, cosa insolita, fu preciso e il maestro, strappando la busta della lettera, cominciò a leggere piano, poi ad alta voce, poi declamando. Ma, cattivo segno, tornava ogni momento daccapo. Finalmente, facendo una pallottola della carta e gettandola impetuosamente per terra, gridò: „Ma no, perdio, non è questo che io voglio... Lui non capisce che ho qui nella testa il motivo, ma alle parole che mi ha scritte si adatta bene come il turbante d’un turco sulla testa di un monsignore. Azucena racconta, ma è un racconto concitato, tutto passione, tutto spasimi, tutto rimembranze dolorisissime...“ E fermatosi a un tratto in quel suo rapido passeggiar nella camera, che era segno di grande impazienza, afferò una penna e un foglio bianco, e buttò giù un paio di strofe, le lesse ad alta voce, poi le rilesse declamando, e la declamazione pigliando a poco a poco le forme ritmiche della musica, si svolse in quel canto che diventò in breve popolarissimo, e che comincia con le parole: “Stride la vampa! la folla indomita”.
Nè fu questa la sola volta in cui il Verdi diventò collaboratore di sè medesimo. Egli spesso tracciava le linee del carattere dei personaggi, voleva che una certa frase, tolta di peso al dramma che serviva di traccia al libretto, entrasse per forza nella strofa com’egli l’aveva immaginata. E se la grammatica, messa sul cavalletto della tortura, accenava a sentie dolore, il maestro con spietata filosofia diceva „ Peggio per la grammatica, purché la musica abbia il posto d’onore.“
Fu sempre generosissimo con i suoi poeti. Finita l’opera, scherzando chiedeva scusa all’umile e affezzionato collaboratore di tante prepotenze usategli, e noncurante del denaro per sè, pagava con molta larghezza i librettisti. Con Piave, che gli serviva spesso da ambasciatore con i commissari di polizia, che gli faceva da galoppino con gl’impresari, che ammansava gli sdegni del tenore, i ripicchi del baritono, il brontolio del basso profondo, e le gelosie, i rancori, le vanità senza fine della signora prima donna, tutta gente con la quale il Verdi non aveva, di solito, altri rapporti che di rabbuffi cecchi e incisivi, con Piave era generoso per tutta la vita.
Temistocle Solera - librettista e compositore italiano
Secondo noi sarebbe da dedicare almeno un po’ di righe a questo famoso librettista di Verdi. Ha collaborato con lui sui progetti più grandi e famosi e i suoi libretti sono molto conosciuti.
Solera nasce nel 1815 a Ferrara e muore nel 1878 a Milano. Esordisce giovanissimo come poeta e romanziere dopo aver effettuato studi musicali e letterari.
Tra gli anni 1840 e il 1845 scrive su libretto proprio, 4 opere, che non hanno però nessun successo. Famoso librettista diviene invece dopo la collaborazione con Giuseppe Verdi, con il quale comincia a collaboratore già quando il Maestro di Busseto compone le sue prime opere. Solera fornisce a Verdi i libretti per Oberto conte di San Bonifacio, Nabucco, Giovanna d’Arco e Attila.
Dal 1845 al 1855 vive in Spagna dove svolge l’attività di direttore d’orchestra fra le città della penisola iberica, compone una nuova opera su libretto proprio (La Hermana de Pelayo, data a Madrid nel 1845), un poema di soggetto storico intitolato La Toma de Loió (La presa di Loió), un libretto per Juan Arrieta (direttore del Conservatorio di Madrid) La conquista di Granada, dato nel 1850 e poi nel 1855 con il titolo Isabella la Cattolica. Vale la pena di ricordare la collaborazione con un giornale politico dopo di chè il suo nome appare a fianco dei migliori scrittori spagnoli. Però la sua vita non è fatta solo di poesia, musica e teatro. Nel 1856 torna a Milano e inizia a spostarsi fra Torino, Parigi e il capoluogo lombardo, mantenendo i contatti fra i cospiratori e fungendo anche da corriere segreto fra Cavour e Napoleone III. Disgustato dalla politica che Napoleone persegue con l’armistizio di Villafranca, abbandona il campo e fa ritorno a Milano, entra nell’amministrazione di pubblica sicurezza, raggiungendo gradi elevati. Lasciato il suo incarico, vive in povertà dopo aver tentato anche la carriera di antiquario. Trascorre i suoi ultimi giorni a Milano, completamente isolato, per spegnersi alle quattro di mattina del 21 aprile 1878, giorno di Pasqua.
I funerali si svolgono il giorno seguente presso il Cimitero Monumentale di Milano.
Temistocle Solera e Verdi formarono una strana coppia. Taciturno, cupo e scuro in volto il primo, estroverso, rodomonte e ottimista il secondo. Solera ebbe squisito il sentimento del gusto, musicista e poeta al medesimo tempo, comprese il necessario legame fra le due arti. Lottava con le vicissitudini d’una vita avventurosa, e con un carattere irrequieto che non gli faceva trovar mai un basto gli entrasse. Sicché nei momenti frequentissimi d’impazienza mandava al diavolo il Verdi, e le sue tiranniche esigenze, rompeva ogni rapporto con lui, poi con la stessa facilità si rappattumavano.
E. Checchi, autore conosciuto della biografia di Verdi scrive nelle sue memorie che aveva conosciuto Solera negli ultimi anni della sua vita a Firenze e si ricorda d’avergli sentito raccontare di Verdi. Autore del libretto I lombardi alla prima crociata, egli non poteva ripensare senza fremere alle persecuzioni di Verdi, che l’obbligava a rifar scene intere, a posporre, ad allungare, a scorciare. “Quel maledetto Oronte”, mi diceva Solera, “e quella squaldrina di Giselda ma davano talmente ai nervi, che in certi giorni io bestemmiavo con più convinzione dei Turchi della mia opera. Una bella mattina quando credevo la seccatura dei cambiamenti fosse finita, vado a casa del Verdi per sapere a che punto s’era, e lo trovo con le mani nei capelli perché non gli piaceva più il duetto della prima donna e del tenore.” Capite bene non gli piaceva come l’avevo fatto io, e gridava che su quei versi non era possibile adattare nessuna musica.
Da ciò risulta che la collaborazione fra loro due non era davvero una cosa facile. Naturalmente non era unico dei suoi librettisti bravi.
Il ruolo del libretto nell´opera di Verdi
Dopo aver visto come l’opera sia sempre tutta intuita dalla mente del maestro, è lecito anche domandarsi a che cosa si possa ridurre la collaborazione del librettista nella composizione di un’opera verdiana, ed è ormai evidente che questa collaborazione sarà del tutto svalutata e che la concezione musicale, se pure richiederà un testo poetico, precederà sempre quel testo e lo determinerà rigorosamente. Basteranno a dimostrarlo pochi esempi fra i molti che si potrebbero citare, cosí chiari che parlano da soli.
Basterà vedere, per esempio, come nasce la canzone di Azucena nel secondo atto del Trovatore. Il maestro, dopo la morte di Cammarano che aveva lasciato appena sbozzato il libretto, aveva accettato, tramite il De Sanctis, la collaborazione di Emanuele Bardare, poeta melodrammatico, che era stato giudicato il più adatto a quel lavoro di rifinitura. Verdi manda al De Sanctis le sue osservazioni e richieste, e fra le altre questa nel Trovatore:
“Nella parte seconda desidererei una canzone caratteristica per Azucena. Invece delle due strofe – stride la vampa – ecc. sulle quali difficilimente si potrebbe fare un motivo popolare, vorei due strofe di sei versi l’una, come per esempio (ridete!!)
Stride la vampa, la folla indomita
Urli di gioia al cielo innalza.
Cinta di sgherri giunge la vittima
Bianco-vestita, discinta e scalza...
Sorride, scherza, la folla indomita
Urli di gioia innalza al ciel.
da farsi quattro versi
... Sorride, scherza, la folla indomita
Urli di gioia innalza al ciel.
Questa dovrebbe essere la forma ed il metro. Il poeta aggiusterà e farà come crederà meglio.
Il passo è importantissimo per vedere quanto la concezione drammatica sia fissata con chiarezza nei suoi termini musicali. Cio’è non solo Verdi detta i caratteri, il metro, la sostanza narrativa della canzone, ma addirittura sa già che quel motivo musicale dovrà essere ripreso in altri punti precisi della narrazione drammatica.
Il finale dell’opera era stato tracciato dal Cammarano con molta abbondanza di versi. Verdi ne provava una certa insofferenza, e comunicava agli amici:
“Ho accorciato pure le ultime parole dopo la morte di Leonora, ed invece di fare dodici versi che assolutamente, in quella posizione, sarebbero stati freddissimi, ne ho fatti cinque soli di Recitativo servendomi quasi di tutte le parole di Cammarano.
CONTE: Sia tratto al ceppo (indicando Manrico)
M Madre!... oh madre addio!!! (parte)
AZUCENA (destandosi) Manrico?... (vedendo il conte) Ov’è mio figlio?
CONTE: A morte corre!
AZUCENA: Ah ferma!...m’odi... (Il conte trascina Azucena presso la finestra)
CONTE: Vedi?
AZUCENA: Cielo!
CONTE: È spento
AZUCENA: Egli era tuo fratello!
CONTE: Eh! Quale orror!
AZUCENA: Sei vendicata o madre!
CONTE: E vivo ancor?”
E si sa quello che potè farci il poeta. Come possiamo leggere nei Carteggi verdiani di Alessandro Luzio, Il De Sanctis mandò, qualche giorno più tardi, un finale diverso, probabilmente più vicino a quello del Cammarano, e insistò anche, ammettendo le buone ragioni che, secondo lui, dovevano far preferire quella versione. Lo si capisce dalla lettera di risposta di Verdi, che taglia risolutamente tutte le questioni:
“L’ultimo finale m’imbroglia, perché io ho dovuto fare la musica senza attendere vostra risposta, e la disposizione musicale è tale che mi sarebbe impossibile fare i versi che accenate. In quanto a me ritengo che cinque versi di recitativo non avrebbero raffreddato, o almeno quanto sei versi rimati. Voi mi fate l’annotazione... <Queste parole deve dirle Azucena, sono una conseguenza ecc.> Oh, permettetemi di dirvi, che io capisco benissimo queste cose, ma la più gran parte del dramma (come voi dite) si racchiude nonn in quelle parole, ma in una parola...<vendetta>! Dire <sei vendicata o madre > e dire <tarda vendetta!...ma quanto fiera avesti o madre> è la stessa cosa riguardo al dramma. Se non che quella era più breve e meglio adatta. Del resto se voi non credete stamperemo tutti i versi che fece Cammarano, facendo nel libretto una piccola nota: <i seguenti versi sono cambiati per brevità>”
Il principio di questa prevalenza del concetto musicale durerà ormai per sempre in Verdi. La stessa composizione della musica precederà ormai in moltissimi casi la stessura del testo poetico. Per esempio tutto il secondo atto della Forza del destino venne musicato, come è dimostrato nei Carteggi verdiani di Luzio, senza che il testo poetico fosse stabilito.
La parola “scenica” e la musica
Come abbiamo già detto, la composizione della musica a volte precede il testo poetico e spesso il maestro deve spiegare al librettista quali parole gli occorrano per i brani musicali già scritti. Per esempio quando gli chiede le parole adatte per scene musicali già completamente svolte, soprattutto nei casi molto complicati. Tuttavia anche in questi casi, se pure precede il testo, la musica di Verdi richiede sempre un testo preciso. Verdi, componendo, poteva non avere le parole, però aveva nella fantasia una certa situazione complessa chiarissima e poi si trattava di trovare parole adeguate, che fossero, come le chiamava Verdi, parole sceniche.
Come succederà più tardi col Ghislanzoni per il libretto di Aida, Verdi cerca di spiegare che cosa intenda quando richiede la parola scenica, e non sempre gli riesce di essere chiaro, o non sempre gli sembra di esserlo stato. Per esempio la prima scena dell’atto terzo fra Renato e Amelia in Ballo in maschera, come scrive Palmiro Pinagli nel suo libro Romanticismo di Verdi, esce a dire in parole spicciole:
“Il primo dialogo tra Ankarstroem ed Amelia è riuscito freddo, malgrado la situazione molto viva: nel francese vi è quel <il faut mourir> che viene di tratto in tratto, che è molto scenico. So bene che <apparecchiati alla morte> <raccomandati al Signore> voglion dire lo stesso, ma sulla scena non hanno la stessa forza di quel semplice <bisogna morire>”
Il testo accettato dal musicista fu, a parole, <rea ti festi e tu morrai> e cosí è rimasto nel libretto, ma lo spartito reca un’ulteriore scelta del maestro che tornò ad una precedente lezione proposta dal librettista, <sangue vuolsi e tu morrai>, più energica e vibrata e che tanta efficacia raggiunge sulla scena nelle ripetizioni che ne fa il personaggio. Queste considerazioni, la richiesta di Verdi della parola scenica, la violenza con la quale Verdi reaggì quando la censura pretese di manipolare il libretto dell’opera pongono il problema, dibattuto nel corso dell’800, della possibilità dell’unione di parola e musica, della possibilità di un dramma scenico-musicale, cio’è della soluzione che Verdi proponeva. Bisogna ammettere che nemmeno in questa circostanza il problema è posto e risolto chiaramente. Verdi crede troppo all’opera, ne è troppo convinto. Quella sua fede di artista che crede alla propria opera nel senso di non poterla immaginare diversa, impedì a Verdi di lasciarci trattazioni sulla concezione del dramma musicale.
I documenti relativi ad Un ballo in maschera delucidano quanto ne pensasse il maestro. Si sa che la censura napoletana alterò cosí gravemente il testo poetico che Verdi fu costretto a rifiutarsi di rappresentare l’opera, per cui il maestro fu citato in giudizio dall’impresa del San Carlo, con la quale aveva un regolare contratto. Verdi naturalmente rifiuta di ammettere che la buona musica possa stare con qualunque libretto. Si impunta sostanzialmente perché sono state cambiate non le parole, ma le situazioni. Il materiale preparatorio per la difesa del suo avvocato si riduce ad un lungo elenco di situazioni alterate. Quanto ai cambiamenti di luogo, da principio, Verdi non si era formalizzato troppo. Era stato convenuto che il dramma sarebbe stato ambientato in una regione nordica, ed è noto che anche in seguito l’azione del Ballo in maschera fu successivamente spostata per mezzo mondo e finì da ultimo in America allo scopo di evitare ogni allusione possibile. Ad un certo momento, quando la censura pretese di spostare il dramma a Firenze, Verdi si oppose. Il maestro pensava che la sua opera non si adattasse bene ad una regione meridionale. Però più del cambiamento di luogo, lo irritò il cambiamento di epoca. Sull’epoca del dramma il maestro fu inflessibile.
Il libretto poneva l’azione nel secolo XVII (secolo elegante e cavalleresco), il libretto della censura spostava l’azione al 1385 (epoca di ferro e di sangue), all’epoca, alla quale non convenivano più i caratteri brillanti, la musica raffinata, e in particolare, i minuetti e i balli in genere dell’opera. Cosí pure, all’inizio dell’atto secondo, la censura aveva preteso qualche cambiamento di parole nell’aria di Amelia. Per quel che riguarda il canto, non erano i cambiamenti gravi, il censore aveva voluto eliminare i riferimenti al luogo delle impiccagioni, e aveva soppresso la frase in cui Amelia accenna alle colonne del patibolo. Verdi rifiuta queste modifiche perché alterano la situazione. Palmiro Pinagli scrive nel suo libro che quanto meno tetra è la scena, tanto meno paurosa ne risulta la situazione di Amelia.
Come dice Verdi:
“Si è resa qui, la scena meno tetra e qusta modificazione oltre che toglie allo scenografo l’opportunità di far lavoro di maggior importanza, ha reso a me impossibile di presentare un preludio o una specie di sinfonia a tinte forti e terribili, adattate al luogo. Negli spettacoli teatrali non bisogna trascurar nulla: ciò che letto potrebbe sembrare indifferente, visto sulla scena può produrre il più grande effetto. Chi non vede qui che che quanto più la scena è tetra, alterttanto maggiore è l’effetto del soliloquio d’Amelia.”
Il maestro poi respinge un’altra correzione proposta per il duetto d’amore. Amelia, dopo le lunghe insistenze di Riccardo, dice finalmente la grande frase: <Ebben sì t’amo>, il censore, che non ammetteva che un’onesta sposa potesse confessare di amare altri che il legittimo marito, la sostituì con la frase <A che lo chiedi?>. Questa fu tra le correzioni che più esasperarono Verdi, il quale scrisse:
“Misericordia! Se ad Amelia non isfugge la parola t’amo tutto il pezzo rimane senza vita, senza passione, senza calore, senza quell’entusiasmo e quel abbandono che è necessario nelle scene di questo genere: tolta quela parola le strofe che seguono diventano senza senso e questo duetto non ha più ragion d’essere. Così vien colpito un pezzo principale detto dai due principali attori. Non valga opporre che le due scene s’incontrino qua e colà nel senso: mentre in cosifatta situazione l’impeto è tutto, e nella scena modificata manca completamente.
Da tutto questo capiamo che la cellula essenziale del melodramma verdiano è la situazione. Alle obiezioni di parte contraria, che sostenevano come gli spostamenti di luogo e di epoca non potessero nuocere all´essenza della musica, che era estranea per sua natura a condizionamenti del genere, Verdi rispose:
“Questo cambiamento d’epoca e di luogo toglie il carattere al dramma ed alla musica. Il colorito, il fondo, dirò cosí, del quadro musicale diviene necessariamente falso. L’Avvocato dell’Impresa può ben dire <come sia vano parlare di tinte locali e di epoche più o meno remote>: alle bestemmie in arte non va risposto: tutte le epoche, è risaputo, hanno i loro caratteri particolari, gli uomini del 400 avevano costumi e sentimenti diversi da quelli del 800, né gli uomini del Nord somigliano a quelli del Mezzogiorno. Il carattere musicale di questi popoli poi è totalmente diverso. Prendete per esempio una canzone napoletana, ed una canzone svedese e vedrete la differenza. Un maestro può, deve rilevare queste distinzioni, anzi non s’alzerà mai sulla folla, non farà mai cosa più che mediocre, ove non abbia questo intendimento artistico, ed ove non lo raggiunga, benché difficilissimo sia.
Da questo risulta che spesso sono poche cose cambiate ma può succedere tante volte che una di queste poche cose altera un significato oppure un carattere. Poi non vale dire che la musica del maestro rimane, resta la stessa. Non si tratta naturalmente di una cosa senza forma che si può adattare con tutte le parole.
La nascita del personaggio verdiano
Se scorriamo le lettere di Verdi ai suoi librettisti del primo periodo, in tutte troviamo, come costante, la richiesta insistita di passioni, caratteri, sentimento, effetto. Gli importa soprattutto la verità, la schiettezza, diciamo pure la violenza del sentimento, anche a scapito di una pretesa raffinatezza.
Al Cammarano, che stava preparando per lui il libretto dell’Alzira, Verdi scrive in una lettera:“Io sono accusato di amare molto il fracasso e di trattar male il canto: non ci badi, metta pure della passione, e vedrà che scriverò passabilmente.”
Il libretto dell’Attila, che fu poi quasi interamente scritto dal Solera, in un primo tempo doveva essere composto dal Piave, e a lui Verdi scriveva:
“Frattanto vi sono tre caratteri stupendi. Attila che non soffre alterazione di sorta, Ildegonda, pure bellissimo carattere, che cerca la vendetta del genitore, fratelli e amante, Azzio è bello e mi piace nel duetto con Attila quando propone di dividersi il mondo ecc...”
Si noti: fin da questi primi abbozzi e progetti, Verdi sottolinea in maniera particolare la scena dell’incontro di Attila ed Ezio, che divenne poi quella della frase: Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me. Da un passo cosífatto, si deduce chiaramente in qual modo Verdi concepisce l’opera. Il maestro intuisce un certo episodio, un certo momento della favola scenica che vuole raccontare. Per ora Verdi vede chiaramente le scene principali del suo melodramma, le intuisce come intreccio di voci, motivi di pura vocalità, e le illustra al librettista, il quale deve eseguire le prescrizioni del maestro, cio’è trovare parole adeguate a quei motivi, adeguate alle possibilità di canto e adeguate, possibilmente, anche a quel tanto di passionale, di energico o di eroico, che il maestro intende esprimere con la frase musicale. I suoi personaggi, che spesso egli curerà anche nell’azione dell’interprete, nell’abbigliamento, nella messinscena sono intuiti come pure voci cantanti. Interessante può essere per esempio la nascita del personaggio della Battaglia di Legnano. In una lettera Verdi scrive: “a me abbisognerebbe nel concertato dell’introduzione di avere un’altra voce, un tenore, si potrebbe mettere per esempio uno Scudiero d’Arigo? Il quale scudiero si potrebbe, parmi, mettere anche nell’ultimo Finale!... potrebbe sostenere Arrigo quando è ferito.
Qui vediamo quel che occore al maestro. Per completare quel suo quadro, quella sua scena, egli ha bisogno di un’altra voce, di un’intonazione in più.
La stessa cosa succede tanti ani più tardi quando avrà bisogno per il finale del primo quadro di Aida di un declamato energico per Amneris.
Il personaggio verdiano nasce cosí, come un sentimento che cerca una voce per esprimersi. E in particolare, per la ricchezza di toni e di affetti del suo contenuto, Verdi ha bisogno del personaggio appassionato, anzi dei molti personaggi, delle complesse risonanze dell’uno e dell’altro, delle diverse passioni e situazioni sentimentali, perché il suo mondo artistico possa realizzarsi in poesia.
La tematica delle opere di Verdi
Per quel che riguarda la sua tematica, col passare degli anni, la tematica delle opere di Verdi si è arricchita incomparabilmente, il maestro ha trovato i mezzi stilistici adeguati e le dimensioni strutturali che erano necessarie. Potremmo sottolineare le parole tematiche come “vita”, “calore”, “impeto”, “entusiasmo”, “passione”. Queste erano le parole care alla tematica di Verdi.
Si vede nella lettera al Cammarano, la quale abbiamo già citato prima. “Metta pure della passione e vedrà che scriverò passabilmente” . Oppure per Un ballo in maschera aveva scritto al Somma, che doveva trovargli il soggetto bello, originale, interessante, con bellissime situazioni ed appassionato. Come abbiamo già capito il credo di Verdi - passioni soprattutto!
Conclusione
Lo scopo della nostro tesi era quello, come avevamo menzionato già nell’introduzione, di rileggere l’opera di Giuseppe Verdi, famoso compositore, da un punto di vista insolito: non l’abbiamo analizzato dal punto di vista musicale, ma piuttosto da quello letterario, faccendo attenzione particolare alla questione del libretto. Per una comprensione migliore abbiamo dedicato un breve capitolo allo stesso termine “libretto”. Parte inseparabile della nostra tesi è la biografia del compositore, mettendo a fuoco le sue opere ed il loro favore presso il pubblico. Nel caso delle opere principali facciamo riferimento anche agli autori di progetti letterari – a questo scopo abbiamo consultato diverse pubblicazioni che riguardano il campo di cui stiamo parlando. Per capire bene il rapporto di Verdi con i suoi librettisti ci siamo rivolti al libro “Životopis v dopisech”. Quest’epistolario ha un’importanza particolare anche perché, oltre ad essso non troviamo nessuna dichiarazione o articolo che ci illustri le intenzioni artistiche del maestro. Verdi fu sempre molto schivo nel parlare di sé e delle sue opere, un po’ per la sua ruvidezza nativa, ma soprattutto per il convincimento che le dichiarazioni non potessero offrire utilità alcuna. Diceva che il compositore deve fare e non parlare. Lo stile epistolare di Verdi, probabilmente, non sarebbe piaciuto ai suoi tempi, ma tanto più piace oggi a noi. È uno stile secco. Possiamo dire che la lettera è per Verdi sempre soltanto un mezzo di comunicazione. Più in avanti prendiamo in considerazione il rapporto del maestro con i suoi librettisti, e quindi la loro collaborazione reciproca – essendo questo il risultato della nostra tesi; rispondiamo cosí alla domanda fatta nell’introduzione: e cioè fino a che punto il maestro poteva intromettersi nei progetti letterari. Il risultato della nostra ricerca conferma che si è – nella maggior parte dei casi – trattato di una vera collaborazione. Il maestro sempre insistiva sul fatto di preparare il progetto letterario “su misura”. Diceva la sua al riguardo, e spesso chiedeva un bel po’ dei cambiamenti; partendo dalla scelta di tema, ai dialoghi, e in molti casi fino ai versetti ed all’accentazione delle parole: cosí la gran parte di responsabilità rimaneva sulle sue spalle. Verdi ha sempre avuto una visione molto chiara della dicitura ed i librettisti facevano fattica ad esprimerla. Per quanto riguarda, però, il valore letterario delle opere di Verdi, questo fu spesso messo in dubbio. Il maestro dava la massima importanza al valore drammatico. Il libretto era significativo per lui innanzitutto in quanto trama. A questo riguardo, il temperamento drammatico del maestro si intrometteva con le esigenze, con la meticolosità e con l’infallibilità. Se ci si trovava una parola che non gli dava fastidio perché banale, lo offendeva perché debole e inefficiente. Il libretto viene criticato in quanto azione e trama, non come l’opera poetica. La legge più alta dei suoi drammi musicali è lo svolgimento rapido di azione. Ai suoi librettisti suggerisce senza posa la legge di breviloquenza. Un capitolo di tesi, lo dedichiamo ad un suo noto librettista Temistocle Solero, il quale fu il suo fedele “collaboratore” nel corso di anni.
La breviloquenza sopra menzionata era per Verdi la condizione affinché l’opera non diventi fiacca. Doveva essere piena di effetti forti, di svolgimenti drammatici rapidi, e di tutto quanto possa mantenere l’attenzione dello spettatore: gli scontri, le lesioni, gli omicidi, gli complotti, le battaglie, le bestemmie, le conversioni alla fede, l’apprezzamento, l’odio, l’amore, le preghiere, le maledizioni. Da tutto questo deve, secondo Verdi, nascere il dramma.
Nella nostra tesi ci inoltre occupiamo dei personaggi e delle trame delle opere di Verdi, e questo fatto è legato strettamente alla personalità del produttore di libretti.
Rigoletto, Azucena e Violetta vivono perché amano e soffrono. E nello stesso modo anche Amelia nel Ballo in maschera, Eleonora nella Forza del destino, Elisabetta nel Don Carlos, e continuando cosí fino all’Aida.
Per quanto riguarda i temi, quelli prendevano la sua origine dall’ordinamento, essendo questo il caso dell’Aida. Alcune opere sono state create in seguito all’interesse di Verdi per un qualche testo letterario, come per esempio la Dama con le camelie che diventò il progetto per La traviata. Molto interessante è la storia dell’origine dell’opera di Nabucco, la quale Verdi all’inizio decisamente rifiutava, ma cambiò l’idea dopo aver letto il libretto. Questo fatto sottolinea l’importanza dei libretti da opera. In altri casi il maestro ebbe già l’idea musicale, ma occorreva di trovare la giusta trama e le giuste parole. Cercava sempre di collegare la parola e la musica tra sé, creare cioè – come lui stesso diceva – la “Parola scenica”, alla quale dedico anche un capitolo della tesi. Dalla mia esposizione risulta chiaro che il libretto non è sola versificazione delle parole cantate, ma che è qualcosa di più profondo e molto più importante. Ci auguriamo di averne convinto i gentili lettori di essa.
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Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 187.
La nuova “Società filarmonica” fu istituita ufficialmente il 12 agosto 1816. In tempo breve divenne l’oggetto delle principali cure e delle più accese ambizioni cittadine.
Cfr. Carlo Gatti, Verdi. Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 198, p. 27.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 187.
Cfr. ivi p. 187.
Cfr. F. T. Garibaldi, Giuseppe Verdi nella vita e nell´arte. Firenze, R. Bemporad e figlio – librai – editori 1904, pp. 24, 25.
Cfr. F. T. Garibaldi, Giuseppe Verdi nella vita e nell´arte. Firenze, R. Bemporad e figlio – librai – editori 1904, p. 51.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 187.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, p. 92.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 188.
Merelli fu allora impresario della Scala e del teatro imperiale di Vienna.
Cfr. F. T. Garibaldi, Giuseppe Verdi nella vita e nell´arte. Firenze, R. Bemporad e figlio – librai – editori 1904, p. 51.
Come era stato prima rifiutato e conseguentemente accettato il libretto di Nabucco di Verdi, lo possiamo leggere nel libro di E. Checchi, Verdi. Firenze, G. Barbèra editore, 1926, p. 45.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, p. 94.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994,
p. 187.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 187.
Cfr. E Checchi, Verdi. Firenze, G. Barbèra editore, 1926, pp. 87, 88.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994,
p. 188.
Cfr. F. T. Garibaldi, Giuseppe Verdi nella vita e nell´arte. Firenze, R. Bemporad e figlio – librai – editori 1904, p. 145.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, p. 98.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton, 1994, p. 76.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, p. 100.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton, 1994, p. 77.
Il titolo originale dell´opera fu La Violetta (secondo la protagonista principale), dopo però il nome fu cambiato e diventò La Traviata
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, pp. 104, 106.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera(Dějiny hudby – II. část) . Praha, Vydavatelství Panton,1994, p. 77. In realtà Aida fu scritta per il Cairo e non per l´occasione dell´apertura del Canale Suez, come si diceva e come si constata finora in certe pubblicazioni per sbaglio.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, pp. 115, 116.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera(Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, pp. 77, 188.
Cfr. Anna Hostomská, Opera – Průvodce operní tvorbou. Praha, Státní hudební vydavatelství, 1962, p. 118.
Cfr. Jiří Válek, Evropská opera (Dějiny hudby – II. část). Praha, Vydavatelství Panton,1994, pp. 187, 188.
Cfr. Kolektiv autorů a konzultantů, Slovník cizích slov. Praha, Encyklopedický dům, spol. s r.o., 1998, p. 201.
Fonte: http://is.muni.cz/th/109213/ff_b/Il_libretto_verdiano.doc
http://is.muni.cz/th/109213/ff_b?info=1;zpet=%2Fvyhledavani%2F%3Fsearch%3Dlibretto%20verdiano%26start%3D1
Autore: Klára Jašková
Giuseppe Verdi
Il più famoso compositore italiano, ancora oggi ammirato in tutto il mondo, nacque a Le Roncole, vicino Busseto (Parma) il 10 ottobre 1813, durante gli ultimi anni di dominio napoleonico. Il suo certificato di nascita originale è stato infatti stilato in francese. Il padre Carlo era un modesto locandiere di paese e la madre Luigia Uttini era filatrice. Già in tenera età il giovane Verdi manifestò la sua forte predisposizione per la musica e ricevette la sua prima educazione musicale da Pietro Baistrocchi, l'organista di chiesa di Roncole. Per alcuni anni Verdi stesso fu organista nella chiesa locale, ma appena decenne lasciò il paesino natale per Busseto: l'ambiente culturale di questa cittadina avrebbe certo avuto un effetto più benefico sulla sua educazione. A Busseto Verdi alloggiò nella casa di Antonio Barezzi, commerciante e amante appassionato di musica, che lo ingaggiò come insegnante di musica per la figlia Margherita, di cui Verdi s'innamorò. In questo periodo Ferdinando Provesi, maestro della Società Filarmonica locale, gli diede lezioni di spinetta e di composizione. Anche se non fu ammesso al Conservatorio di Musica di Milano avendo già superato il limite d'età, Verdi maturò comunque una formazione musicale più profonda soltanto nel capoluogo lombardo, dove dal 1832 al 1835 decise di studiare contrappunto con Vincenzo Lavigna che era stato clavicembalista al Teatro La Scala. Per il primo anno di studi Verdi usufruì di un finanziamento da parte di Barezzi, mentre negli anni successivi ottenne un considerevole aiuto economico da una borsa di studio del Monte di Pietà di Busseto. A Milano Verdi fu un assiduo frequentatore di teatri: in questo modo ebbe la possibilità di conoscere il repertorio operistico del suo tempo.
Una volta tornato a Busseto, nel 1836 Verdi ebbe in sposa la figlia di Barezzi e accettò il posto di Maestro nella scuola di musica locale, un incarico a cui dovette rinunciare nel 1838 quando si trasferì nuovamente a Milano con la famiglia. L'anno seguente Verdi propose la sua prima opera al Teatro alla Scala, Oberto, Conte di San Bonifacio, (chiamata originariamente Rocester). Questa rappresentazione ebbe grande successo e rappresentò quindi un forte incoraggiamento sia per l'autore sia per la casa editrice milanese Ricordi che subito si assicurò i diritti sulla sua prossima opera: questa fu la nascita di un legame duraturo che conobbe pochi momenti di contrasto. Anche l'impresario del Teatro alla Scala, Bartolomeo Merelli, offrì a Verdi un contratto per due altre opere.
Il primo di questi due melodrammi fu Un Giorno di Regno (Il finto Stanislao), un'opera comica, eseguita un'unica volta nel 1840. Che questa rappresentazione risultò essere un vero fiasco non deve sorprenderci in quanto tra il 1838 e il 1839 gli vennero a mancare i due suoi figli e nel 1840 la moglie morì improvvisamente di encefalite. Verdi perse tutta la sua gioia di vivere. Si convinse di non poter più trovare alcuna consolazione nell'arte e decise così che non si sarebbe mai più dedicato alla composizione musicale finché Merelli non lo incoraggiò a scrivere la musica per il libretto di Nabucco, i cui versi subito commossero profondamente Verdi per il loro tono biblico. L'opera, che venne rappresentata per la prima volta due anni più tardi, finalmente rivelò il vero talento di Verdi in tutta la sua magnificenza. Il coro patriottico 'Va Pensiero' presente in quest'opera diventò presto molto conosciuto e amato dal popolo italiano.
Nel 1851 Verdi e Giuseppina Strepponi, soprano e protagonista femminile di Nabucco nel 1842, con la quale lui aveva vissuto per alcuni anni, si trasferirono dal centro di Busseto, dove gli abitanti non vedevano di buon occhio la loro unione illecita, alla villa Sant'Agata, poco lontano dalla cittadina. Qui il Maestro, all'apice del successo e del benessere economico, iniziò ad alternare il suo lavoro di compositore con l'impegnativo compito di gestione di tutti i poderi che a poco a poco aveva acquisito.
Per quanto riguarda le sue composizioni, gli anni che vanno fino al 1853 rappresentarono un periodo di attività frenetica per Verdi in cui egli scrisse e mise in scena una quindicina di opere, tra la quali ricordiamo Macbeth (Firenze, 1847), il suo primo soggetto shakespeariano, e soprattutto quelle che oggi sono conosciute come "le grandi tre", 'RigTrovTrav': Rigoletto (Venezia, 1851), Il Trovatore (Roma, 1853) e La Traviata (Venezia, 1853). Questi furono gli anni del fermento patriottico del Risorgimento, animati dalle guerre per l'indipendenza nazionale e da battaglie che Verdi appoggiò e che trovarono fervida espressione in alcune delle sue opere, come per esempio in La battaglia di Legnano (Roma, 1849).
Nel 1853 Verdi si recò con Giuseppina a Parigi per dedicarsi all'allestimento de Les Vêpres Siciliennes per l'Opéra di Parigi, dove venne rappresentata due anni più tardi con modesto successo. Verdi si trattenne nella capitale francese per un certo periodo non solo per difendere i suoi diritti di fronte ai plagi del Théâtre des Italiens, ma anche per dedicarsi alla traduzione di alcune delle sue opere.
Nel 1859 Un Ballo in Maschera fu messo in scena a Roma e divenne il più grande successo di Verdi dopo Il Trovatore, proposto sei anni prima. Un Ballo in Maschera è un'opera che narra dell'assassinio di un re svedese: proprio per questo motivo fu completamente censurata e ritirata da Napoli e fu quindi possibile rappresentarla soltanto a Roma. Il 29 agosto dello stesso anno Verdi e Giuseppina si sposarono a Collonges-sous-Salève, vicino Ginevra. Tre anni dopo lui e la moglie si recarono insieme a San Pietroburgo per curare la supervisione de La Forza del Destino: la prima di quest'opera venne rappresentata al Teatro Imperiale nel novembre del 1862.
Nel 1865 Verdi lasciò il suo posto di deputato del Parlamento Italiano che aveva occupato per ben quattro anni. Nello stesso anno una versione rivista di Macbeth fu data a Parigi, anche se l'opera più famosa del compositore nella capitale francese rimase poi il Don Carlos che fu rappresentato l'11 marzo del 1867 e che venne più volte rivisto per ulteriori edizioni italiane. Sempre nel 1865 morirono sia Antonio Barezzi che Carlo Verdi, padre di Giuseppe: quest'ultimo e Giuseppina divennero tutori di Filomena Maria Cristina, la figlia di sette anni di uno dei cugini di Verdi che sarebbe diventata sua erede.
Tre anni dopo Verdi accettò di comporre un'opera per l'inaugurazione del nuovo teatro al Cairo voluto dal viceré d'Egitto: nel dicembre del 1871 finalmente si poté qui assistere alla prima di Aida. L'8 febbraio dell'anno seguente la prima europea di Aida venne invece eseguita con grande plauso al Teatro alla Scala. Al giorno d'oggi quest'opera rappresenta indubbiamente il più grande successo di Verdi e viene allestita ogni autunno alle Piramidi di Giza a Il Cairo, così come ogni estate all'Arena di Verona.
Tra le opere scritte da Verdi negli anni seguenti è doveroso ricordare La Messa da Requiem composta nel 1873 in onore ad Alessandro Manzoni, il grande poeta e patriota italiano, morto il 22 maggio dello stesso anno. Questo grande brano musicale venne eseguito e diretto dallo stesso Verdi nella chiesa di San Marco a Milano in occasione del primo anniversario della morte di Manzoni. Nel 1879 il poeta-compositore Boito e l'editore Ricordi persuasero Verdi a scrivere un'altra opera, Otello, che venne però completata soltanto nel 1886. Questa fu la sua opera tragica più imponente. Un altro capolavoro, Falstaff, fu completato nel tardo 1892 e la prima, rappresentata al Teatro alla Scala alcuni mesi più tardi il 9 febbraio, fu un gran trionfo. Alla fine di questa sua intensa e gloriosa attività musicale Verdi compose i 'Quattro pezzi sacri' (Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine, Te Deum).
Giuseppina, per cinquant'anni l'amorevole compagna e instancabile sostenitrice di Verdi in tutte le sue alterne vicende, morì a Sant'Agata nel 1897 e da quel momento Verdi iniziò a prolungare sempre di più i suoi soggiorni a Milano. Fu proprio qui a Milano che Giuseppe Verdi morì di emiplegia alle 2.50 del pomeriggio del 27 gennaio 1901 nel Grand Hotel dove era solito alloggiare quando andava in visita alla città. Con lui quando morì si trovavano i parenti e gli amici più stretti.
Non appena la morte di Verdi fu annunciata, una folla si raccolse sulla strada di fronte al Grand Hotel che venne ricoperta di paglia in modo da smorzare lo scalpiccio degli zoccoli di cavallo e il frastuono delle ruote dei carri e delle automobili. Nel giro di ventiquattro ore tutti gli stendardi di Milano vennero listati a lutto, così come le edizioni speciali pubblicate dalle maggiori testate giornalistiche. In segno di cordoglio i negozi e i teatri della città rimasero chiusi per tre giorni consecutivi, mentre il Senato Italiano e la Camera dei Deputati (della quale Verdi stesso una volta era stato membro) si preoccuparono di organizzare i preparativi per dar omaggio a questo grande uomo. Non ci furono soltanto manifestazioni di sconcerto per l'enorme perdita, ma anche momenti dedicati alla celebrazione della statura di Verdi come uomo, musicista e cittadino italiano, un personaggio che non aveva semplicemente vissuto in un'epoca storica fondamentale per la nazione italiana, ma che in un certo senso l'aveva anche caratterizzata. Verdi aveva lasciato disposizioni per una sepoltura piuttosto semplice, ma l'umore nazionale impose di offrire un omaggio più conveniente a una delle figure più illustri d'Italia. Alle 6 del mattino di mercoledì 30 gennaio, il traffico milanese si fermò per far strada alla lunga processione che si snodava attraverso la città con migliaia di persone al suo seguito. Puccini e Leoncavallo erano alcuni dei rappresentanti più celebri della giovane generazione di compositori italiani che formarono il cuore del corteo in lutto. La salma di Verdi fu provvisoriamente sepolta vicino a quella di Giuseppina nel Cimitero Monumentale, ma ben presto fu deciso di trasferire entrambi nella cappella della Casa di Riposo, l'istituto di beneficenza per 100 musicisti in pensione meno fortunati di lui, fondato e finanziato da Verdi stesso.
Giuseppe Verdi: l'infanzia
All'anagrafe, l'atto di nascita di Giuseppe Verdi figura in francese. Nel 1813, infatti, l'Italia era ancora sotto Napoleone Bonaparte. Ma dopo la campagna di Russia e la sconfitta di Napoleone, l'Italia fu divisa dai vari dominatori in molti stati. Convivevano molte identità nazionali e molte lingue, e per passare da uno stato all'altro bisognava passare la frontiera e pagare un dazio.
Verdi visse a Le Roncole di Busseto, in campagna. Il padre era un oste e la madre una filatrice. Il bambino Verdi fu subito attratto dall'organo della chiesa e presto imparò a suonarlo. Il padre di Verdi comprese il talento del figlio e con molti sacrifici gli regalò una spinetta, oggi in esposizione alla Casa di Riposo per Musicisti, a Milano. Un accordatore chiamato a sistemare lo strumento, lasciò un suo biglietto dentro la spinetta, che vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi di imparare a suonare questo istrumento, che questo mi basta per essere del tutto pagato.
Il piccolo Verdi prende lezioni dal maestro Trovesi di Busseto, suona l'organo, studia in biblioteca, dirige la banda e a 15 anni è considerato un ottimo pianista. Probabilmente sarebbe rimasto sempre a Busseto se non avesse conosciuto Antonio Barezzi, un ricco commerciante di Busseto, appassionato di musica, mecenate della filarmonica del posto. Giro turistico a Busseto: la chiesa di San Bartolomeo, in cui Verdi suonava l'organo, la piazza principale - piazza Verdi - col monumento in sua memoria e il Teatro Verdi. Infine, vediamo ricostruzioni di carrozze reali e virtuali, i mezzi di locomozione dei tempi di Verdi.
Giuseppe Verdi: Gli studi e la formazione
Antonio Barezzi fu una figura chiave nella vita di Verdi. Aveva una drogheria e viveva con agio. Era un appassionato di musica e in casa propria dava asilo alle prove della Filarmonica di Busseto.
Barezzi comprese subito il talento di Verdi e lo mandò a Milano a studiare, sostenendolo economicamente. A 18 anni Verdi affronta l'esame in conservatorio, ma non lo supera. La commissione ritiene che, come pianista, abbia superato di due anni il limite d'età per l'ammissione. Verdi infatti si presentò per studiare pianoforte e non composizione. Barezzi gli paga le lezioni private, lo abbona alla Scala, gli compra un pianoforte e provvede a tutto quello che occorre a Verdi per la sua formazione musicale e intellettuale. Piero Angela sottolinea l'importanza del sostegno per le persone di talento che non possono permettersi di studiare. A questo proposito cita la fondazione
Mac Arthur, statunitense, che sguinzaglia esperti in tutto il mondo per scoprire geni in ogni campo. A queste persone la fondazione Mac Arthur regala soldi che gli permettono di svilupparsi come meritano.
Barezzi concede a Verdi anche la mano di sua figlia Margherita. Verdi concorre per diventare Maestro di Cappella della chiesa di Busseto e direttore della filarmonica, ma la nomina scatena una battaglia. Il parroco sostiene un candidato che non è Verdi, e i paesani conducono un valoroso sciopero, rifiutandosi persino di andare a messa.
Interviene Maria Luigia di Parma, finché Verdi viene nominato direttore della filarmonica, incarico che gli permette di dedicarsi alla composizione.
Giuseppe Verdi: l'approdo alla Scala
La vita a Busseto è serena, ma Verdi ha la mente alla Scala, il tempio in cui si misurano i compositori di valore, approdo e passaporto per il suo futuro di artista. Già nel primo soggiorno a Milano, Verdi aveva frequentato il caffè Martini, dove erano passati Bellini, Rossini, Donizetti, e aveva conosciuto molti artisti. Ma da Busseto non gli era possibile curare le relazioni col mondo intellettuale milanese. Nascono i suoi due figli. Margherita lo spinge a trasferirsi a Milano. A Milano iniziano anni duri. Muoiono i due figli, Virginia e Ilicio, ancora molto piccoli. La morte dei neonati era un fenomeno molto comune nell'ottocento, come dimostra il professor Corsini, docente di demografia, intervistato da Angela. "Oberto conte di San Bonifacio", prima opera di Verdi, viene rappresentata alla Scala. A quei tempi l'orchestra non era nella buca ma occupava parte della platea. Non sempre c'era il direttore d'orchestra, ed era il primo violino a dare indicazioni di movimento. Le poltrone non esistevano, e i posti migliori erano i palchi di prim'ordine. C'era anche una fila di sedili, sotto i plachi, destinati alle signore. Alla prima dell'Oberto tutta la filarmonica di Busseto è presente. L'Oberto è un discreto successo e l'editore Ricordi pubblica la partitura. Ma i compensi non bastano a pagare i debiti. Margherita impegna al Monte di Pietà alcuni gioielli personali. L'amata moglie di Verdi muore poco dopo di meningite: aveva ventisei anni. Verdi è distrutto. Su commissione, scrive l'opera "Un giorno di regno", opera comica che si rivela un totale fallimento. Verdi decide "di non comporre mai più", come risulta dalla sua autobiografia.
Giuseppe Verdi: Le prime opere
Oberto conte di San Bonifacio è la prima opera scritta da Verdi, su libretto di Temistocle Solera, e fu rappresentata alla Scala nel 1839. E' inevitabile sentire l'influsso dei suoi celebri contemporanei, Rossini, Bellini, Donizetti. L'opera però contiene anche i tratti tipicamente verdiani che emergeranno in seguito.
Oberto ebbe 14 repliche. Meno di tre mesi dopo andò in scena Un giorno di regno, su libretto di Felice Romani, e fu un totale insuccesso. Fu l'unica rappresentazione di quell'opera, e fu per Verdi l'ennesimo dispiacere. In quel tempo infatti la sua vita fu attraversata da terribili lutti in famiglia. Nel giro di un anno erano morti i suoi due figli, e la moglie Margherita, figlia del suo amato tutore Barezzi - per lui un vero padre d'adozione - era morta una settimana prima dell'Oberto. Verdi dichiara: "con l'animo straziato dalle sventure domestiche, esacerbato dall'insuccesso del mio lavoro, decisi di non comporre mai più".
Giuseppe Verdi: Nabucco
Verdi discute con l'impresario Merelli la realizzazione di Nabuccodonosor, su libretto di Temistocle Solera. Per risparmiare sull'allestimento, l'impresario decide di utilizzare scene e costumi di altre opere, risistemati. Assistiamo a una pratica comune del teatro: con vera arte, sarte, costumisti e scenografi sono capaci di creare, con pochi interventi, effetti magnifici. Si prova il coro Va pensiero. Attratti dall'irresistibile forza di quelle armonie, donne delle pulizie, macchinisti, e perfino gli orchestrali cantano sottovoce. Va pensiero è il canto con cui gli ebrei, tenuti in cattività, sognano di tornare nella patria lontana. E' incontenibile la suggestione e il potere identificativo che ha quella musica e quel testo, sugli italiani del tempo. Si prova il finale del primo atto. Il teatro si riempie di pubblico improvvisato, attratto dalla musica. Prima rappresentazione: teatro alla Scala 1842. Giuseppina Strepponi, presente nel cast, famoso soprano e donna di grandi talenti, sostenitrice della musica di Verdi, si rivela al di sotto della propria arte. La sua voce, consumata dall'eccesso di recite, è stanca. Alla prima di Nabucco è presente Gaetano Donizetti, uno dei più importanti compositori italiani, contemporaneo di Verdi. Grande successo: Nabucco possiede una forza selvaggia e trascinante, adatta ai sentimenti italiani del tempo. Era la forza, non solo la bellezza che aveva trascinato il pubblico; la sua brutalità. L’italia allora aveva bisogno di questa forza. Alla terra della bellezza divenuta tema di schiavitù questa schiavitù iniziava a pesare; il canto accurato di Bellini non poteva più essere la sua voce, la nuova voce che i fermenti in lei si agitavano era VERDI.
Giuseppe Verdi: Il trionfo del Nabucco
Milano è oppressa dagli austriaci; Verdi è straziato dal dolore per aver perso in brevissimo tutta la sua famiglia. I due figli e l'amata moglie Margherita, sono morti. E' infelice perché la sua ultima opera, Un giorno di regno è stato un totale insuccesso. E' infelice perché vive in una patria amata ma prigioniera degli odiosi austriaci. Ha già rispedito i mobili a Busseto, sta per tornare definitivamente in campagna.
Nevica fitto, Verdi è depresso, passeggia in galleria De' Cristoforis a Milano e incontra per caso l'impresario Merelli che subito gli propone un libretto. Verdi gli risponde che con la musica ha chiuso, non ne vuole più sapere. Merelli insiste, Verdi è irremovibile, ma Merelli riesce a lasciare nelle mani di Verdi il libretto di Nabucco. Verdi, suo malgrado, passa la notte a leggere il libretto, fin quasi a impararlo a memoria, come ci raccontano le sue memorie. In breve tempo la musica è pronta. Iniziano le prove, e Giuseppina Strepponi, prestigioso soprano del tempo, è nel cast. Strepponi prova una grande ammirazione per Verdi, e lui per lei. Qualche anno più avanti inizierà la loro intensa storia d'amore, che durerà tutta la vita.
Giuseppe Verdi e il risorgimento: Nabucco e I Lombardi alla Prima Crociata
Con il trionfo riscosso dal Nabucco, rappresentato alla Scala nel 1842. Librettista del Nabucco fu Temistocle Solera. Verdi aveva certamente in mente e nel cuore un forte sentimento della libertà, e forse anche un messaggio profondo. La storia degli ebrei che si ribellano all'oppressore assiro Nabuccodonosor cela tra le righe il desiderio del popolo italiano di liberarsi dagli austriaci. Gli ebrei quasi diventavano gli italiani e Gerusalemme, la patria perduta, diventava l’Italia. Giovani repubblicani sognavano di fare del’Italia una nazione che soo una voce legava: la Musica, riunificandola nel sentimento.
Nel cast del Nabucco fu presente Giuseppina Strepponi, grande soprano del tempo e futura moglie di Verdi.
Dalla musica alla storia. A Milano, il salotto della contessa Clara Maffei riunisce gli intellettuali più importanti del tempo: si discute il problema dell'Italia spezzata. La rappresentazione de I Lombardi alla prima crociata, nel 1843, quarta opera di Verdi, innesca nuovi fermenti, tanto che il librettista Solera e l'impresario Merelli sono costretti a sottoporre la nuova opera di Verdi alla censura politico-religiosa . Il successo è grande: la lettura patriottica de I lombardi è ancora più marcata che nel Nabucco, presentandosi i crociati come 'lombardi'. Nelle ultime scene dell'unità si vede il teatro alla Scala e il suo pubblico, che acclama dal loggione.
Giuseppe Verdi e il Risorgimento: Giovanna d'Arco e Attila
Un pianoforte a rulli gira per le strade di Milano, suonando le arie dell'opera Giovanna D'Arco. Ciò serve a testimoniare che la musica di Verdi è diventata la bandiera della protesta italiana contro l'oppressore. Il popolo ne approfitta per trasformare il testo:
Viva l'eroica vergine che l'Anglia (Inghilterra) debellò diventa Viva l'eroica vergine che l'Austria debellò. Ne nascono disordini. I soldati austriaci intervengono per sciogliere i capannelli di cittadini ribelli. Con lo stesso spirito patriottico è accolta nel 1846 l'opera Attila (su libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave). E' un trionfo, prima al Teatro La Fenice, poi alla Scala. Nell'ultima parte dell'unità si vedono scene dal teatro. Il pubblico entusiasta canta le arie dell'Attila. Assistiamo dietro le quinte al funzionamento di alcune macchine di scena che creano il magico effetto del sole nascente
Giuseppe Verdi: censura e moralità alla metà dell'800
Nel 1844 Verdi si trasferisce a Venezia per tre mesi e lì incontra Francesco Maria Piave, il librettista con cui collaborerà per molte opere. Ai poeti Verdi chiedeva concisione, perché, in un opera, il vero messaggio è la musica a darlo. Dallo sceneggiato di Castellani vediamo la ricostruzione della prima di '"Ernani", girata al Teatro La Fenice prima dell'incendio del 1996. Nel 1848 la musica di Verdi era diventata la colonna sonora del Risorgimento, soprattutto a Milano. Vediamo scene dalle "cinque giornate", una provvisoria vittoria dei milanesi contro gli austriaci. La censura avvelena continuamente il lavoro di Verdi. Inizialmente Rigoletto viene bocciato: un gobbo buffone di corte non può attentare al Duca di Mantova, l'odioso libertino che gli ha sedotto la figlia. Anche "Un ballo in maschera" viene sottoposto a censura, arrivando persino in tribunale. Giuseppina Strepponi è diventata la compagna di Verdi. La loro relazione è molto discussa, soprattutto a Busseto, dove Verdi compra Palazzo Cavalli. Strepponi è una donna di grande cultura, parla molte lingue, vera artista e dama di grandissimo stile. Angela intervista Carla Fracci, la "Giuseppina Strepponi" nello storico film di Renato Castellani su Giuseppe Verdi. Fracci e Angela discutono sulla relazione privata tra Verdi e Strepponi, basandosi sui documenti pervenuti e su ricostruzioni ipotetiche, che la storiografia non ha ancora siglato. Verdi e Strepponi si trasferiscono nella Villa di Sant'Agata, vicino Piacenza. E' un grande podere con una bellissima residenza per la coppia. La bambina Filomena Verdi, nipote del compositore, è molto amata dalla coppia Verdi, che la adotta.
Giuseppe Verdi e il risorgimento: 1848
Mentre in Italia accadono gli eventi che innescheranno i moti del '48, Verdi sta lavorando all'estero. Nel luglio del 1847 va in scena a Londra I masnadieri. Nel novembre dello stesso anno, a Parigi, Jerusalem che è l'adattamento in grand-opéra dei Lombardi alla prima crociata. A Parigi restò fino al 1849, a parte il breve soggiorno italiano fatto con Giuseppina Strapponi, in occasione del quale comprò una casa a Busseto. A Parigi scrisse anche l'opera Il corsaro che fu rappresentata a Trieste senza l'intervento di Verdi. Torniamo a Milano. Dopo le famose Cinque giornate, Milano si libera dagli austriaci. La contessa Clara Maffei trasforma il suo salotto intellettuale in un ambulatorio d'emergenza. Mazzini, fervente repubblicano, entra a far parte del salotto repubblicano della contessa Maffei. Per liberare la Lombardia dagli austriaci si chiede aiuto all'esercito piemontese. La guerra che ne sorge è sfavorevole per gli italiani. Lo scrittore Giulio Carcano si reca a Parigi da Verdi con una richiesta: che il Maestro, molto considerato da Napoleone III di Francia, sottoscriva una petizione di richiesta di alleanza francese, contro gli austriaci. Alla fine dell'unità si vede che l'esercito austriaco è rientrato a Milano. La guerra con le armi è stata un fallimento. Da questo momento in poi diventerà soprattutto diplomatica.
Giuseppe Verdi: Il Trovatore
"Il Trovatore", melodramma in quattro atti del 1853 (prima rappresentazione al Teatro Apollo di Roma), appartiene, con "Rigoletto" e "Traviata", alla famosa trilogia popolare. Nell'unità vediamo una ricostruzione storica: la sera della prima il pubblico si recò in teatro nonostante le strade fossero state allagate dallo straripamento del Tevere. Verdi scrisse al suo amico Arrivabene "Quando andrai nelle Indie e nell'interno dell'Africa, sentirai Il trovatore". In realtà "Il trovatore" da lì a pochi anni fu rappresentato in tutte le principali capitali europee, e poi New-York, Buenos Aires, Havana, Alessandria d'Egitto, Bratislava, San Pietroburgo, fino a Bombay.
E' un'opera in cui regnano le tinte scure, magiche e quasi selvagge d'un mondo antico e misterioso. I musicologi sono sempre stati divisi nel giudizio, soprattutto per quanto riguarda l'azione. Il libretto di Salvatore Cammarano destò incertezze nello stesso Verdi, che all'inizio, come risulta dal loro carteggio, era scontento del lavoro del poeta. Verdi era esigentissimo, e talvolta interveniva personalmente apportando modifiche. Ma dove Verdi avrà letto o sentito parlare di "El trobador" di Antonio Garcìa Gutiérrez, tanto da volerlo mettere in musica? La curiosità intellettuale di Verdi per la narrativa e la drammaturgia era infaticabile. Si faceva arrivare da tante parti i testi più nuovi, che leggeva nella lingua originale, con tanto di vocabolario accanto.
La storia è piena di contrasti drammatici. Una zingara, la cui madre è stata fatta bruciare sul rogo dal Conte di Luna, ha taciuto la vera identità a Manrico, Il trovatore, di cui è innamorata Leonora. Manrico non sa che la zingara Azucena non è davvero sua madre. Il conte rapisce Leonora e imprigiona la zingara Azucena, che lui crede colpevole di aver gettato nel rogo il proprio fratello. In realtà Azucena, per errore, gettò tra le fiamme il proprio figlio, risparmiando Manrico.
Il contrasto porterà al suicidio di Leonora, e alla morte di Manrico per mano del Conte di Luna, che solo quando è troppo tardi apprende d'aver ucciso il fratello. La zingara ha così vendicato la propria madre.
Giuseppe Verdi: la casa di Sant'Agata
Villa Verdi, a Sant'Agata, appartiene ai discendenti di Filomena Verdi, nipote del compositore, da lui adottata proprio nella bellissima residenza nel parco della villa. Angela ci guida tra le stanze di casa Verdi, dove tutto è originale rispetto ai tempi in cui fu abitata dalla coppia Verdi.
Vediamo la sala del biliardo, dove Verdi giocò molte partite con Boito e Ricordi, a cui era legato per stima e affetto oltre che per lavoro. La residenza è un luogo di grande signorilità, con moltissime stanze. Ci lavoravano tredici persone di servizio addette alle più diverse mansioni. La vita era comunque semplice e frugale. Si cenava alle cinque del pomeriggio, e si andava a letto presto. Verdi si alzava alle quattro del mattino e teneva per ore la sua fitta corrispondenza col mondo. Sembra abbia scritto 25.000 lettere. Vediamo la camera di Giuseppina Strepponi. E' facile intuire a quanto l'artista Strepponi abbia rinunciato per vivere accanto al suo "Mago", come lei chiamava Verdi. Lei amava moltissimo viaggiare, conoscere luoghi e persone, parlava correttamente molte lingue, era stata una stella dell'opera, e amava moltissimo Parigi. Tutte le volte che poteva, pregava Verdi di portarla a Parigi, dove ritrovava il mondo intellettuale artistico e borghese che le apparteneva. Strepponi accettò di vivere nell'isolamento di Sant'Agata perché sapeva che questo era indispensabile all'arte di Verdi.
Vediamo la camera di Verdi, con la grande scrivania su cui componeva. In un angolo c'è il pianoforte. Sembra che Verdi usasse poco il pianoforte per comporre, scriveva direttamente la partitura.
Nel parco della villa, di oltre sette ettari, Verdi poté soddisfare la sua natura di 'contadino'. Vediamo il frigorifero naturale, una grotta che in inverno veniva riempita da lastroni di ghiaccio prelevati dal laghetto, che rimanevano intatti fino all'estate, e permettevano la conservazione di molti alimenti. Infine, nel giardino, la lapide di un grande amico di Verdi, da lui stesso seppellito: il suo amato cagnolino maltese.
L'Italia nel secolo di Verdi
All'anagrafe, l'atto di nascita di Giuseppe Verdi figura in francese. Nel 1813, infatti, l'Italia era ancora sotto Napoleone Bonaparte. Ma dopo la campagna di Russia e la sconfitta di Napoleone, l'Italia fu divisa dai vari dominatori in molti stati. Convivevano molte identità nazionali e molte lingue, e per passare da uno stato all'altro bisognava passare la frontiera e pagare un dazio. Verdi visse a Le Roncole di Busseto, in campagna. Il padre era un oste e la madre una filatrice. Il bambino Verdi fu subito attratto dall'organo della chiesa e presto imparò a suonarlo. Il padre di Verdi comprese il talento del figlio e con molti sacrifici gli regalò una spinetta, oggi in esposizione alla Casa di Riposo per Musicisti, a Milano. L'accordatore chiamato a sistemare lo strumento, lasciò dentro la spinetta un biglietto che recitava: "vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi di imparare a suonare questo istrumento, che questo mi basta per essere del tutto pagato". Il piccolo Verdi prende lezioni dal maestro Trovesi di Busseto, studia in biblioteca, dirige la banda e a 15 anni è considerato un ottimo pianista. Probabilmente sarebbe rimasto sempre a Busseto se non avesse conosciuto Antonio Barezzi, un ricco commerciante di Busseto, appassionato di musica, mecenate della filarmonica del posto. Barezzi fu una figura chiave nella vita di Verdi. Lo mantenne agli studi per molti anni, lo sostenne spiritualmente e lo incoraggiò anche nei momenti più difficili.
Giuseppe Verdi e il risorgimento: I Vespri siciliani
Anno 1853: Verdi e Giuseppina Strepponi tornano a Parigi. A Verdi è stato affidato l'incarico di inaugurare con un'opera l'Esposizione universale, evento del secolo, di enorme prestigio. L'opera fu Les Vêpres siciliennes, su libretto di Scribe e Duveyrier, nello stile del grand-opéra. E' un'opera colossale, in cinque atti, su soggetto storico dalle forti tinte drammatiche. In questa occasione Verdi fu presentato a Napoleone III, che nel frattempo era diventato imperatore. Il successo fu tale che Verdi fu invitato a stabilirsi definitivamente a Parigi, ma lui non accettò. L'opera fu rappresentata alla Scala l'anno successivo col titolo Giovanna di Guzman. In Italia, Cavour, primo ministro, chiede ancora aiuto all'imperatore di Francia per cacciare gli austriaci dal Veneto. A Milano, nel salotto della contessa Clara Maffei, si discute di politica. Abbandonare l'idea di repubblica o accettare quella di monarchia? Mazzini, sostenitore della repubblica, non ha un esercito. Abbandonare l'idea di repubblica diviene quindi il male minore. Anche Verdi lo accetta e sostiene Cavour
Giuseppe Verdi e il Risorgimento: Un ballo in maschera
L'opera qui rappresentata è Un ballo in maschera, del 1859, su libretto di Antonio Somma. Inizialmente si intitolò Una vendetta in domino, ma venne subito censurata da Napoli, che l'aveva commissionata. Il motivo della severa opposizione risiede nel soggetto. Un marito che si crede tradito uccide il presunto rivale, un re, durante un ballo in maschera. Ciò per i Borboni era troppo oltraggioso. Si apre un contenzioso che Verdi supera introducendo alcune modifiche: la figura di Gustavo di Stoccolma viene sostituita con quella meno compromettente di un governatore del Massachusetts, il Conte di Warwick. L'opera viene "acquistata" da Roma nel 1859 e diviene subito popolare. Il popolo italiano si sente sostenuto dalle scelte poetiche dell'opera verdiana. Il motto "Viva V.E.R.D.I." - Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia - lo testimonia ampiamente. Dalla musica alla storia. Cavour propone la candidatura di Vittorio Emanuele II, piemontese, come Re d'Italia, e chiede il sostegno di Napoleone III per liberare l'Italia dagli austriaci. L'Austria attacca il Piemonte e la Francia interviene. Vittorio Emanuele e Napoleone III entrano a Milano. Vittorie di Solferino e San Martino contro gli austriaci. Ma Napoleone III, all'insaputa degli italiani, firma a Villafranca un concordato con l'Austria: la Lombardia è annessa al Piemonte ma il Veneto resta all'Austria. Infine, Cavour propone il plebiscito. Nel frattempo Garibaldi, senza l'aiuto di alcun esercito, conquista tutto il sud dell'Italia e lo consegna a Vittorio Emanuele II. Al primo Parlamento italiano, nel 1860, Vittorio Emanuele II viene proclamato Re d'Italia. Verdi viene eletto deputato, su invito di Cavour, del borgo di S. Donnino, oggi Fidenza, carica che esercitò con grande attenzione.
Giuseppe Verdi: Don Carlos
Per l'Opera di Parigi, nel 1867 Verdi scrisse Don Carlos, su libretto francese di Mèry e Du Locle, tratto dal Don Carlos di Schiller. Don Carlos è un grand-opéra. La versione italiana, rivisitata da Zanardini, è in cinque atti, e narra vicende storico-politico e sentimentali di notevole complessità. Per ragioni politiche Filippo II di Spagna ha sposato la giovane principessa fidanzata del figlio Carlo. La tragedia si consuma lentamente, con toni estremi: padre e figlio sono innamorati della stessa donna. Dall'opera vediamo la scena in cui Filippo, solo, vecchio e infelice, è tormentato dalla gelosia e dal rimpianto. Molte sono le passioni distruttive che regnano in questo dramma, che si conclude con la morte di Carlo, causata dall'Inquisizione e dal padre Filippo II. E' una vicenda assai dolorosa. A giudicare dall'intensità della musica sembra che anche Verdi si sia sentito vecchio, davanti al vuoto inutile della vita.
Giuseppe Verdi: Aida
Aida non fu rappresentata a Il Cairo, durante l'inaugurazione del canale di Suez, nel novembre del 1869, come avrebbe dovuto, secondo la commissione data a Verdi da parte del governo egiziano. Verdi la scrisse di getto, ma Aida dovette aspettare quasi due anni, a causa della feroce guerra tra Prussia e Francia nel 1870. I tedeschi avevano assediato Parigi, creando enormi problemi. L'allestimento dell'opera, che il governo de Il Cairo aveva commissionato all'Opera di Parigi, che era oltretutto sfarzoso e dispendioso, fu bloccato dalla guerra, e non poté essere trasferito in Egitto. D'altra parte il contratto imponeva che la prima rappresentazione avvenisse a il Cairo, e così fu nel 1872. Dopo un mese, l'opera Aida fu trasferita a Milano, dove andò in scena alla Scala. Aida, in quattro atti, segue l'impianto colossale del grand-opéra francese, con cori e impianti scenici di grande effetto e sensualità. Anche in Aida, come in Nabucco, c'è un fiume, che nella vicenda ha una grande importanza simbolica. Ma il Nilo, a differenza del fiume del Nabucco, è un fiume magico e splendente.
Giuseppe Verdi: Otello
Assistiamo ad alcune scene dall'Otello, opera del 1887, su libretto di Arrigo Boito, tratta dalla nota tragedia di William Shakespeare. La composizione di Otello è la più faticosa e lunga durante la carriera di Verdi. Verdi e Boito, quando ne parlano, lo chiamano "il progetto di cioccolata". L'unità si apre con la scena in cui i veneziani attendono al porto il condottiero Otello, reduce dalle vittorie contro i saraceni. Arriva la nave del generale al servizio della Serenissima: Otello, orgoglioso e glorioso canta la celebre Esultate. Possiamo vedere nei particolari il funzionamento alcune macchine teatrali, dietro le quinte, che creano la tempesta sul mare. La seconda scena è l'ultima della tragedia. Otello, lentamente avvelenato dai perfidi sospetti contro la fedeltà di Desdemona che Iago gli sa insinuare con arte perversa, impazzisce di dolore. Strangola Desdemona, la moglie che lo ha sempre amato e rispettato, e quando scopre di essere caduto in un tragico gioco di inganni, si uccide, davanti agli occhi impietriti dei suoi servitori. Otello è un successo immenso. La città di Milano nomina Verdi cittadino onorario.
Giuseppe Verdi: gli ultimi anni
Dopo "Otello", Verdi dà l'addio alle scene, ma dopo sei anni, ottantenne, scrive la sua ultima opera, "Falstaff". Nel 1897 muore Giuseppina Strepponi. Negli ultimi anni della sua vita, memore delle difficoltà vissute in gioventù e desideroso di aiutare i musicisti anziani e non benestanti, Verdi si dedica alla realizzazione di quella che definisce la sua "opera migliore": la Casa di Riposo per musicisti, a Milano. Nelle sue intenzioni la Casa di Riposo doveva essere sostenuta con i diritti di autore delle sue opere. Ma la legge vuole che dopo settanta anni dopo la morte dell'artista i diritti diventino di pubblico dominio. Le spese per la manutenzione della Casa sono ora sostenute dallo Stato e dai generosi lasciti di benefattori, tra molti quello di Arturo Toscanini.
Alberto Angela ci conduce attraverso una ricostruzione storica delle invenzioni tecnologiche di cui Verdi fu testimone durante la sua lunga vita: la luce elettrica, il telegrafo Morse, la macchina da scrivere - o "cembalo scrivano" come si chiamava inizialmente -, il telefono, la locomotiva a vapore, l'automobile, la radio. Verdi muore il 27 gennaio 1901. Aveva voluto che i suoi funerali fossero semplici, all'alba, senza canti, né cortei. Ma una grande folla silenziosa non può fare ameno di dargli l'ultimo saluto. Due mesi dopo, i feretri di Verdi e Strepponi furono tumulati nella Casa di Riposo per musicisti. Vediamo un breve film originale della traslazione delle salme.
Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/Giuseppe%20Verdi.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Giuseppe Verdi vita e opere
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Sin dalle prime opere Verdi manifesta la volontà di legare in un nuovo nesso parola e musica, passioni e note. Nel Nabucco, il cui successo segna il vero inizio della sua carriera, è principalmente la musica a conferire ritmo e respiro unitario all’intreccio. Nel Macbeth, il capolavoro giovanile in cui profonde impegno ed energie, che segue al fortunato incontro col romanticismo dell’Ernani, Verdi si misura per la prima volta col genio di Shakespeare, che rappresenterà per lui, sino agli ultimi capolavori, una fonte letteraria privilegiata, ma anche un modello di pensiero e di drammaturgia. Sin da queste opere, pur senza stravolgere le forme tradizionali, Verdi mostra grande attenzione per la concatenazione scenica, curando che il succedersi dei pezzi e dei numeri musicali non ostacoli la continuità dell’azione drammatica. Nabucco Ernani Macbeth Un ballo in maschera segna l’addio di Verdi dalla scena italiana fino al ritorno del 1887 con Otello. Dopo l’esperienza dei Vespri siciliani, l’arte di Verdi conta una marcia in più: è quella innestata in questo melodramma, in cui Verdi coniuga l’elegante ésprit francese alla sobrietà dell’opera italiana. La partitura che nasce da queste contaminazioni è sempre tesa fra toni gai e cupi, incarnati rispettivamente dai personaggi secondari del paggio Oscar (soprano en travesti che tanto ricorda il frizzante Cherubino delle Nozze di Figaro di Mozart) e dell’indovina Ulrica (mezzosoprano, con caratteristiche già sperimentate da Verdi nel Trovatore col personaggio di Azucena). In mezzo, un’ampia gamma di sfumature psicologiche è riservata ai protagonisti dell’azione: il soprano Amelia, il tenore Riccardo e il baritono Renato che si distribuiscono i pezzi chiusi seguendo ciascuno fili melodici che riemergono insistenti, quasi a definire dei motivi conduttori. Il "melodramma in un preludio e tre atti" Un ballo in maschera, su libretto di Antonio Somma tratto da quello di Eugène Scribe per Gustave III où Le bal masqué di Auber, debuttò al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio 1859. Com’era accaduto anni prima per Rigoletto, anche questa volta Verdi vide abbattersi su una delle sue opere la censura che l’accusava di lesa maestà, complicata oltretutto da un regicidio in scena. La prima versione del libretto, infatti, manteneva i personaggi dell’originale francese, in cui protagonista non era Riccardo di Warwick, governatore del Massachusetts, ma il re di Svezia Gustavo III. La prima bocciatura arrivò da parte della censura borbonica di Napoli, a cui Verdi rifiutò di assoggettarsi, per cedere invece alla volontà dei censori vaticani. La versione usata per il debutto parigino, nel 1861, conobbe un’ulteriore modifica nella localizzazione e nei personaggi: Boston diventava Napoli, e Riccardo di Warwick si mutava in Riccardo d’Olivares. L’originaria ambientazione nella Stoccolma del Settecento, col ripristino del personaggio del re, fu tentata per la prima volta nel 1958 all’Opéra di Parigi. La musica sacra e il quartetto |
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Fonte: http://www.alleroncole.it/UpLoadDocumenti/Giuseppe%20Verdi%20vita,%20opere.doc
Autore del testo: Ristorante alle Roncole ? http://www.alleroncole.it/
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