Numismatica greca

 

 

 

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LA MONETA GRECA: TERMINOLOGIA

 

La moneta è un oggetto di metallo il cui peso e la cui lega (elementi costitutivi del suo valore) sono garantiti da uno o più segni dell’autorità che lo emette. E’ generalmente costituita da un tondello di metallo di forma irregolare (approssimativamente tonda), di spessore variabile e di diversa grandezza. Il suo valore è determinato dal peso.

La moneta ha due facce, a cui noi attribuiamo il termine, puramente convenzionale, di diritto e rovescio. Col termine diritto si intende in genere la faccia che presenta la raffigurazione più importante, mentre il rovescio presenta raffigurazioni secondarie.

L’impronta della moneta è costituita da tutto quello che vi viene impresso. Con tipo della moneta si intende l’elemento figurativo che contraddistingue ciascuna delle facce, con leggenda l’elemento epigrafico, cioè l’iscrizione. Quando il tipo è costituito da un ritratto, la faccia su cui è impresso è il diritto della moneta.

Le raffigurazioni si intendono orientate a destra o a sinistra facendo riferimento a chi osserva la moneta. A volte i ritratti sono accostati, a volte invece affrontati (di fronte).

Campo della moneta è lo spazio lasciato libero sulle due facce, cioè la superficie non occupata dall’impronta.

Con esergo si intende il segmento inferiore di una faccia delimitato da una linea orizzontale.

Modulo è il diametro della superficie della moneta; viene in genere definito in millimetri.

La conservazione della moneta è lo stato in cui essa si presenta attualmente. L’ossidazione del metallo, col trascorrere degli anni, determina la patina. Soltanto l’oro non è soggetto alla patina.

Con titolo di una moneta si intende il grado di purezza del metallo; quando siamo in presenza di una lega il titolo si indica con una proporzione che esprime il rapporto tra i metalli che la compongono.

L’unità monetaria è la moneta che sta alla base di un sistema.

I Greci indicavano la moneta con il termine nòmisma e, più genericamente, con argyrion e chrémata. Le monete delle singole città o dei sovrani avevano poi nomi particolari (ciziceni, darici, focaidi ecc.).

 

 

IL METALLO MONETATO . MONO E BIMETALLISMO.

I metalli usati di preferenza in Grecia furono l’oro, l’argento e il rame. Le fonti antiche ci testimoniano anche l’uso di altri metalli, quali lo stagno a Siracusa, il ferro a Bisanzio e a Sparta. Seneca ricorda monete di cuoio a Sparta.

E’ probabile che siano stati episodi sporadici o che vi sia il ricordo di una fase premonetale (oboli di ferro, pelli di cuoio). E’ logico che la preferenza sia andata ai metalli più preziosi poiché erano più adatti ad essere una misura di valore. Erano inoltre di facile trasporto, abbastanza malleabili e quindi atti ad essere lavorati, non soggetti all’ossidazione, inalterabili.

Le città greche monetarono di preferenza l’argento e, più tardi, il rame, mentre l’oro (e l’elettro: lega di oro e argento) furono preferiti dai re lidi e persiani e dai macedoni. Le città greche, in genere, coniarono oro in momenti di particolari difficoltà, con provvedimenti straordinari (Atene nel 406): questa apparente stranezza è ben documentata. Alcune città, come Cizico, Focea e Mitilene, restarono fedeli all’elettro.

Con monetazione enea si intende comunemente sia quella di rame sia quella di bronzo, poiché il rame usato era spesso ricco di stagno (simile al bronzo, quindi).

L’elettro, che noi troviamo nelle prime serie monetali greche si trovava sotto forma naturale di lega oro—argento in Anatolia, sul monte Tmolo, e veniva raccolto nelle sabbie metallifere dei fiumi che ne discendevano (fiume Pàttolo). La quantità di argento nella lega naturale era piuttosto bassa. Col tempo si procedette alla fabbricazione dell’elettro artificiale, con percentuali variabili, ma con una tendenza ad aumentare la presenza dell’argento a danno dell’oro. Si riscontra inoltre una notevole percentuale di rame, introdotto forse a scopo fraudolento (nell’elettro naturale esiste infatti in piccole percentuali), per cui si può a buon diritto parlare, per l’elettro artificiale, di lega ternaria.

Per molte delle città greche, che tra il 7.o e il 4.o secolo a.C. si dedicarono alla monetazione, è sconosciuta l’origine del metallo usato per la monetazione. Il metallo bruto veniva ottenuto o con lo sfruttamento minerario o attraverso le vie di commercio. Le fonti ci ricordano l’esistenza di miniere. Particolarmente importanti erano quelle del Laurion e del Pangeo. Atene utilizzò le risorse del Laurion, Taso sfruttò per un certo periodo il Pangeo, Abdera e altre città della Tracia sfruttarono risorse regionali. Le città della Ionia sfruttarono, come già detto, le fonti naturali d’elettro. Ma altre città ebbero monetazioni abbondanti e precoci senza aver posseduto delle miniere e noi dobbiamo ricorrere a delle ipotesi per immaginare i mezzi con cui reperirono il metallo.

Per ottenere metallo monetabile, oltre lo sfruttamento dei giacimenti e lo scambio commerciale, si ricorreva abbastanza spesso, in Grecia, alla fusione di oggetti metallici già usati o di monete straniere. Le fonti antiche ci parlano spesso di tiranni, di satrapi o di città che utilizzarono gioielli dei cittadini oppure ornamenti dei templi per battere moneta.

Particolarmente interessante per la storia economica e politica è il fenomeno della riconiazione, che è possibile constatare sugli esemplari pervenutici quando c’è stata una sovrapposizione del tipo nuovo su quello vecchio, mentre nel caso della rifusione possiamo basarci soltanto sulle notizie delle fonti.

Ritorniamo ora, per un momento, sui metalli preziosi che furono maggiormente in uso.

Il bimetallismo oro—argento era adottato dai Lidi, che, sulla base dei rapporti di valore dei metalli, avevano messo in atto un sistema monetale che tenesse conto di questa proporzione di valore e coniarono monete d’oro e d’argento.

I Persiani, con la conquista della Lidia, adottarono questo sistema e coniarono rispettivamente il darico d’oro e il siclo d’argento, stabilendo tra loro proporzioni di valore. Questo sistema bimetallico si basava sul presupposto che il rapporto di valore tra l’oro e l’argento fosse e rimanesse fisso (1:13). In realtà noi constatiamo che nell’antichità in genere, e quindi anche in Grecia, la proporzione era estremamente oscillante, perché bastava che uno dei due metalli scarseggiasse per provocare grossi sbalzi.

I Greci preferirono il sistema monometallico, coniando normalmente in argento. Alcune città d’ambiente asiatico, come Cizico o Focea, coniarono elettro e, più tardi, anche argento.

A volte alcune città greche (Atene, per esempio) coniarono oro, ma si trattò sempre di monetazioni particolari, d’emergenza, non inquadrate in un sistema.

Alessandro Magno coniò monete d’argento e d’oro, valorizzando però l’elemento ponderale, di modo che il valore intrinseco era determinato dal peso del metallo e si adeguava al variare dei rapporti di valore dei due metalli. Questo procedimento, del resto, rientra bene nella mentalità greca, per cui una moneta acquista il suo valore dalla quantità di metallo che contiene. E se in Grecia non mancarono esempi di alterazioni del titolo, di frodi, di espedienti vari, essi vanno sempre valutati con prudenza e senza generalizzare.

Il peso era un elemento facilmente controllabile; per verificare la bontà della moneta si usava anche la pietra di paragone (detta dalle fonti greche bàsanos), ma non mancano esempi di falsificazioni raffinate.

Accanto ai metalli preziosi, di cui si è parlato, si sentì ad un certo punto l’esigenza di usare un metallo più vile (il rame o il bronzo) per le necessità quotidiane, spicciole. La monetazione enea si suole definire ausiliaria o sussidiaria, perché veniva usata nelle piccole transazioni, ma non negli scambi commerciali internazionali.

 

 

TECNICA DI CONIAZIONE

Lo studio della tecnologia monetaria si basa sull’indagine delle caratteristiche materiali delle monete pervenute. La ricostruzione delle serie avviene sulla base degli strumenti di coniazione, che

hanno lasciato particolari impronte sul metallo.

Un sussidio ci viene offerto dal ritrovamento dei coni monetari, da qualche rappresentazione degli strumenti e dai dati (scarsi, purtroppo, e tardi) della tradizione antica.

L’antichità conosce due sistemi di fabbricazione delle monete: quello che avviene con la fusione e quello che deriva dalla battitura o coniazione.

La prima tecnica si attuava colando il metallo direttamente in una forma che presentava le caratteristiche della futura moneta. Questa forma era ottenuta o per incisione (ed era, allora, in genere di pietra) oppure per impressione di una moneta sull’argilla (essiccata e in seguito cotta). Questo procedimento era di facile esecuzione, ma offriva il fianco ai falsari proprio per la facilità di realizzazione. Inoltre la qualità delle monete fuse era inferiore a quella delle monete coniate, poiché le impronte erano meno curate nei particolari ed il metallo presentava in superficie fenomeni di porosità.

Il procedimento di colatura o fusione fa parte, però, anche della tecnica di coniazione dal momento che viene adottato per la preparazione dei tondelli, cioè dei piccoli globi di metallo che, battuti, danno la moneta.

Le particolarità relative alla fusione dei tondelli permettono in qualche caso di formulare ipotesi riguardo all’attribuzione di una serie monetale ad un’officina e, talvolta, di stabilire le tecniche caratteristiche di una regione.

In qualche raro caso i tondelli venivano ritagliati nel metallo a freddo.

Il peso veniva determinato al momento della fusione del tondello poiché generalmente le monete non presentano tracce di ritagli. Quando questi si presentano, si ritiene che le monete esaminate siano state ritagliate, dopo una prima circolazione col peso normale della coniazione, per adeguarle ad un nuovo peso con cui dovevano coesistere.

Veniamo ora al vero e proprio procedimento di coniazione.

Il tondello fuso veniva posto, a caldo, tra i due coni che recavano incise (ovviamente incavate) le impronte che si volevano far risultare sulla moneta, e poi veniva battuto. Un conio era fisso, incassato in un’incudine, mentre l’altro era mobile e riceveva il colpo di martello sull’estremità superiore. Il conio mobile penetrava dunque nel metallo e lo faceva entrare, dall’altro lato, nelle cavità del conio fisso (di conseguenza, a volte la faccia superiore della moneta ha la forma concava e quella inferiore convessa).

I coni erano in bronzo o in ferro.

Gli incisori dei coni, oltre che abili artigiani, in qualche caso erano dei veri e propri artisti: è il caso, ad es., di Eveneto e Cimone a Siracusa. In Sicilia alcune monete erano firmate dall’artista.

Un difetto molto comune nella coniazione è il cosiddetto “scivolo di conio”, che si verificava quando il tondello veniva colpito due volte per imprimere l’immagine e, se veniva leggermente spostato, faceva assumere alle figure un duplice contorno.

Va inoltre sottolineato che il bordo delle monete è in genere irregolare perché delineato dall’espandersi del metallo in seguito ai colpi.

Quanto alle tecniche di analisi della moneta antica, per il confronto dei coni (o caracteroscopia), si usa un microscopio di confronto ad alto grado di precisione che permette (grazie a prismi e filtri di colore) di constatare le differenze o l’uguaglianza delle due immagini esaminate.

Per conoscere il materiale, si usa l’analisi chimica, particolarmente per l’esame di esemplari in cui sia stata alterata la composizione del metallo prezioso; questo metodo ha però lo svantaggio di distruggere la moneta o comunque danneggiarla e non può quindi essere applicato su vasta scala.

Per conoscere, ad esempio, il titolo delle monete occorre esaminare un grande numero di esemplari e, a questo fine, si sono usate la spettrografia ottica, la fluorescenza con i raggi X e, ultimamente, l’attivazione dei neutroni. Quest’ultimo metodo è stato particolarmente utilizzato per l’analisi interna della moneta ed ha il vantaggio di non distruggere l’esemplare.

 

 

MONETE PARTICOLARI

Le monete dette incuse hanno una faccia con l’impronta in rilievo, mentre sull’altra faccia l’impronta (in genere la medesima) è incavata. Questo risultato è stato ottenuto con l’impiego contemporaneo di due coni, l’uno incavato normalmente e l’altro in rilievo. Talvolta le raffigurazioni sono diverse, come nel caso di Crotone. I coni sono mobili, ma si è cercato di far corrispondere le immagini con grande cura e meticolosità.

Gli incusi (o monete incuse) per eccellenza sono gli stateri d’argento coniati tra il 6° e il 5° secolo a.C. in Magna Grecia, ottimi per tecnica e per immagine (Sibari, Poseidonia, Crotone, Metaponto, Caulonia, Taranto).

Le monete incuse per accidente sono invece quelle che derivano da un errore di coniazione, per la dimenticanza di un tondello, già coniato, nel conio. Se ne riscontrano soprattutto a Roma.

Le monete comunemente definite suberate hanno un’anima di metallo vile ricoperta da una leggera superficie di metallo più nobile (argento, oro). Le fonti antiche (Erodoto e Aristofane, ad es.) ci testimoniano l’uso di questo procedimento ed anche l’esame dello stile e della tecnica ci induce a pensare che si trattasse, per così dire, di una frode “ufficiale”. Queste monete non sarebbero, cioè, opera di falsari, ma un’emissione dello stato in momenti di particolare necessità.

Un fenomeno particolarmente interessante per le sue implicazioni politiche è quello della riconiazione. Le monete riconiate sono quelle che utilizzano, anziché i tondelli, monete che hanno già circolato. Non siamo molto informati sui casi in cui si è verificato questo fenomeno, tranne quando siamo in presenza di una riconiazione mal riuscita, in cui si possono scorgere le tracce precedenti. Il puro e semplice dato numismatico non è sufficiente a chiarirci la portata del fenomeno; è importante allora utilizzare le notizie che si ricavano dalle fonti letterarie ed epigrafiche.

Le monete di imitazione, infine sono quelle in cui una moneta d’una città famosa e ben accetta viene copiata da un’altra città. Presso i barbari si assiste al curioso fenomeno di impronte imitate nei tipi sia non nella leggenda. Poiché, dal punto di vista iconografico, si trattava di dettagli, venivano accostate a caso delle lettere poiché l’elemento importante era il peso e, in secondo luogo, il tipo.

 

 

METROLOGIA MONETALE: I SISTEMI PONDERALI

La metrologia antica si occupa delle misure di lunghezza, di superficie, di capacità e di peso usate dagli antichi. Allo studioso di numismatica interessa in particolare la metrologia ponderale, cioè lo studio dei pesi. Allo stato attuale degli studi si può infatti affermare che i sistemi monetari furono influenzati dai sistemi ponderali, già da tempo organizzati e che questi ultimi erano di origine orientale (mesopotamica, verosimilmente).

Il talento, ampiamente documentato nei poemi omerici per doni e premi, era l’unità ponderale dì base. Ma né il talento né la mina furono monetati; restarono soltanto dei concetti ponderali.

Sia nel mondo orientale (che influenzò profondamente la Grecità) sia in Grecia il talento era l’unità di conto. In Grecia esso si suddivideva in 60 mine leggere (o 30 pesanti) , ma anche la mina restava soltanto un’unità di conto, non veniva cioè effettivamente coniata.

La mina si divideva in 100 dracme. La dracma è alla base del sistema monetario greco.

Dracma è in origine la quantità di grano che si stringe in pugno oppure una pugnata di spiedi di ferro. Due dracme costituiscono lo statere (o didramma), quattro il tetradramma. Gli altri multipli sono più rari.

I sottomultipli della dracma sono l’obolo (1/6 della dracma), il diobolo (1/3 della dracma), l’emiobolo (1/2 obolo) e il triemiobolo (1/4 dell’obolo).

Una suddivisione frequente dello statere è l’ecte (1/6 di statere), che equivale come peso al diobolo.

Con “sfera della dracma” si intende l’area influenzata da questa valuta e, più precisamente, le coniazioni della Grecia continentale, delle isole e di tutte le colonie greche.

Nel mondo antico si suole distinguere tra l’area del siclo (nel mondo orientale) , della dracma (in Grecia) e l’area della libra (nella penisola italica).

Si è detto dunque che la dracma è l’unità monetaria, mentre lo statere è la valuta più comunemente coniata.

Conosciamo nel mondo greco una dracma eginetica del peso (circa) di gr. 6,16, una dracma euboico-attica di gr. 4,36 ed una corinzia di gr. 2,90.

Il sistema eginetico conia normalmente uno statere di gr. 12,32 circa ed è diffuso nel Peloponneso, in Beozia, in Tessaglia e nelle isole Cicladi.

Il sistema euboico—attico conia, di preferenza, un tetradramma di gr.17, 44 circa ed è adottato in Attica (Atene), in Eubea e in molte colonie della Sicilia. E’ il sistema poi fatto proprio da Alessandro.

Il sistema corinzio conia normalmente un tridramma di gr. 8,70 ca. ed è ampiamente diffuso tra le colonie magno-greche.

Ma, accanto a questi sistemi ponderali, ne esistettero numerosi altri: quello focese-ciziceno, quello milesio, quello rodio ecc.

 

 

I TIPI E LE LEGGENDE

Come si è detto, sulla moneta compare una raffigurazione a cui si dà il nome di tipo. E’, in genere, l’emblema della città o del sovrano. La stampigliatura sulla moneta le conferisce un’impronta ufficiale: garantisce il valore e conferisce il potere di circolare.

L’impronta riflette esattamente il particolarismo che caratterizza l’organizzazione politica greca; è, in fondo, uno dei mezzi per la città di affermare la sua autonomia e la sua sovranità.

In origine l’impronta è il sigillo della persona interessata a far circolare la moneta. Al British Museum di Londra è conservato uno statere di elettro arcaico con la figura del cervo (ed è attribuito perciò ad Efeso), in cui compare la leggenda Phaenòs emi séma (=sono il segno di Phanes). Si è voluto qui ravvisare un’emissione privata, ma la discussione è ancora aperta, anche alla luce di altri esemplari di elettro arcaico.

Il tipo nelle emissioni più antiche occupa, però, in genere l’intero campo della moneta e vi sono esempi di coniazioni che restano sempre anepigrafe, cioè senza leggenda.

Spesso l’immagine principale, il vero e proprio tipo di diritto e di rovescio, è accompagnata da altre raffigurazioni più piccole, poste o nel campo o nell’esergo. Queste immagini sono denominate simboli (o immagini secondarie) e sono spesso legate ad avvenimenti contemporanei (ad esempio, una Nike simboleggia probabilmente una vittoria).

All’inizio della monetazione greca vi è una prevalenza delle figure d’animali, quali il toro e il leone, accanto ad esseri fantastici come la gorgone e la sfinge.

Alcuni tipi riproducono oggetti, come il tripode a Crotone, oppure prodotti, quali la spiga a Metaponto o il grappolo d’uva a Nasso. Vi sono alcuni tipi cosiddetti “parlanti”, perché richiamano con gioco di parole il nome della città. E’ il caso, ad esempio, di Focea (la foca), di Rodi (la rosa), di Leontini (il leone).

Grazie all’emblema della città, le monete erano immediatamente riconoscibili, almeno quelle più diffuse: il tonno di Cizico, la civetta di Atene, il pegaso di Corinto erano notissimi. Il tipo era, si potrebbe dire, una specie di marchio di fabbrica. Talvolta il tipo monetario era sufficiente per designare una moneta: così si parlava di “civette” per Atene, di “cavallini” per Corinto, di “tartarughe” per Egina.

In alcuni tipi si fa riferimento ad un mito, spesso relativo alla fondazione della città (è il caso di Taras sul delfino a Ta ranto). Altri tipi sembrano far riferimento a qualche prodotto tipico, come il silfio a Cirene e la spiga a Metaponto; il significato sarebbe allora economico.

E’ opportuno ancora ricordare che in età ellenistica, con i successori di Alessandro, il ritratto del sovrano entra a far parte della tipologia greca; questa innovazione fu poi ereditata dal mondo romano.

 

Fonte: http://cisilab.cisi.unito.it/Gianluca%20Cuniberti/Didattica/Storia%20Sociale%20ed%20Economica%20della%20Grecia%20Antica%20-%20Laurea%20spe/la%20moneta%20greca%20antica/LA-MONETA-GRECA.doc

Sito web da visitare: http://cisilab.cisi.unito.it/Gianluca%20Cuniberti/

Autore del testo:

LA MONETA GRECA

SINTESI DA:

Laura Burelli

Appunti di numismatica greca

Bologna 1977

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