Infanzia e famiglia
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Infanzia e famiglia
Infanzia e famiglia
I mutamenti sociali, politici, economici e culturali che hanno ridisegnato il volto della società occidentale degli ultimi decenni non potevano non stravolgere l’istituto familiare, al punto di produrre una vera crisi di identità. Oggi, infatti, non è in crisi un certo tipo di famiglia ossia quella tradizionale e patriarcale, ma la famiglia in sé per quelli che ne sono gli elementi costitutivi: natalità, genitorialità, socializzazione.
Se la famiglia era fondata su una pedagogia del dovere, oggi la diffusa cultura del piacere privilegia la spontaneità, la tendenza al disimpegno, il rifugio nel privato e la fuga dai grandi drammi della collettività; le generazioni dei cinquantenni e dei sessantenni di oggi hanno esercitato con forte disagio la funzione genitoriale poiché si son trovate a passare da una cultura del dovere, alla quale sono state educate, a una cultura del dovuto rivendicata dai figli.
Denatalità
L’aumento esponenziale del calo delle nascite (l’Italia è tra i Paesi a crescita zero) produce una sproporzione tra adulti e bambini e pregiudica quella che è sempre stata chiamata “educazione domestica”.
Non è comunque la denatalità il solo fattore nuovo che rende precaria l’azione educativa che dev’essere svolta dalla famiglia: separazione e divorzio, col conseguente fenomeno delle famiglie ricostituite, delle conflittualità familiari, delle famiglie monogenitoriali. Bobbio nel suo volume afferma che <il crescente numero di genitori divisi o divorziati ripropone un aspetto drammatico dell’odierna società complessa mostrando il volto disumano del neoindividualismo: esalta la libertà dei coniugi e trascura i problemi formativi dei figli>. Tale affermazione non mi pare molto condivisibile perché evita innanzitutto di porsi l’interrogativo sul perché le separazioni e i divorzi sono in aumento e dà una conclusione moralistica semplicistica; il presunto neoindividualismo non è espressione di una degenerazione morale ma è reazione a un legame fondato esclusivamente su un fattore necessitante e oggetto di investimento politico e religioso; l’individualismo esisteva anche nella famiglia costretta a non dividersi e a causa di tale costrizione assumeva forme rovinose di intolleranza e di diseducazione: non è stato il divorzio a creare famiglie infelici ma sono state le famiglie infelici a determinare la necessità del divorzio.
Non si può non prendere in considerazione – chiusa questa parentesi – la questione bioetica e l’infanzia artificiale: con la rivoluzione delle tecnologie riproduttive si vanno delineando una genitorialità e una infanzia artificiali, con una madre “sociale” che adotta il figlio “commissionato” alla madre biologica, così come si vanno diffondendo la maternità post mortem del coniuge, la selezione genetica del nascituro, la clonazione con l’annullamento dell’originalità dell’individuo e la miniaturizzazione del genitore nel figlio.
Dalla metà degli anni Sessanta la flessione della fertilità coniugale è stata considerata un sintomo premonitore della crisi della famiglia. L’Italia è attualmente il paese con l’indice più basso di denatalità in Europa (91%, con un valore assoluto di nati vivi pari a 538.000 ovvero 22.600 in meno rispetto al 1992); inoltre, è attualmente in atto una tendenza a una semplificazione delle strutture familiari consistente in un aumento del numero delle famiglie e in una diminuzione del numero dei componenti. Da un punto di vista pedagogico tale fenomeno va letto come una perdita del valore simbolico dell’infanzia, che sembra è però in contraddizione con i dati raccolti da L. Ciucci in un rapporto del CNR del 1988 (Rapporto sulla situazione demografica in Italia) secondo il quale l’infanzia mantiene ancor un significato simbolico elevato nell’immaginario collettivo (il 71% degli Italiani dichiara che i figli sono importanti, a fronte del 64% del resto d’Europa), ma è un sogno destinato a rimanere tale poiché gli “attori” denunciano costo troppo alto per il mantenimento dei figli e paura per il loro futuro. Insomma, a fronte di una vecchia concezione dei figli come benedizione del Signore si oppone oggi una concezione di pericolo che non si vuol correre, e pertanto una misura di perdita di valore simbolico dell’infanzia, in questo, implicitamente c’è pure, e sta a indicare che si vive comunque in una società adult centred, centrata cioè sul modello adulto che sacrifica alla realizzazione personale quella comunitaria.
In conclusione, l’infanzia perde visibilità, valore simbolico e rilevanza sociale mentre, nella sfera del privato, il bambino vien fatto carico di un valore che non ha precedenti nella storia: siamo di fronte alla privatizzazione del bambino e, di conseguenza, alla sua solitudine e al suo isolamento sociale.
FAMIGLIE RICOSTITUITE (step families)
Se in passato era solo lo stato di vedovanza che consentiva l’estensione della convivenza a un altro partner, destrutturando la precedente relazione, oggi le separazioni e i divorzi e le unioni di fatto determinano nuovi contesti familiari in cui il coniuge si relaziona non soltanto col compagno o con la compagna ma con i rispettivi figli, acquisendo e intrecciando nuovi vissuti e dando vita a nuovi “incroci” autobiografici. Una situazione di complessità notevole viene ad instaurarsi nel privato in quanto le famiglie ricostituite, secondo alcuni studiosi, hanno identità più incerte ed ambigue e incontrano perciò difficoltà a costruire “confini e legami” (Bobbio). La mobilità degli affetti e delle situazioni familiari sono in contrasto con la coscienza pedagogica e con la psicoanalisi che pongono come condizione indispensabile per lo sviluppo del bambino l’attaccamento e l’identificazione parentale. Winnicott ribadisce che solo <in un ambiente che contenga il bambino in un modo “sufficientemente buono” questi è in grado di realizzare il suo sviluppo personale in conformità con le sue tendenze innate>.
Gli orientamenti delle scuole di pensiero sono, comunque, differenti al riguardo.
Nella letteratura psicologica dello sviluppo al termine “madre” si va affiancando quello di caretaker (agente delle cure materne), per sottolineare che non è il legame biologico ad assicurare un accudimento “sufficientemente buono”; le scuole americane di psicologia tendono a minimizzare o comunque a sdrammatizzare gli effetti della separazione sullo sviluppo dell’identità dei figli: la psicologia comportamentista vede il divorzio come una tappa possibile del ciclo fisiologico di vita della famiglia e pertanto come evento non necessariamente traumatico.
Fonte: http://www.scuolaelementare.net/download/26012004.doc
Sito web da visitare: http://www.scuolaelementare.net
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