Approccio al paziente neurologico
Approccio al paziente neurologico
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Approccio al paziente neurologico
Assistenza neurologica si basa sul riconoscimento dei principali segni e sintomi:
- Paralisi e paresi
- Alterazioni sensibilità
- Movimenti patologici
- Disturbi di: marcia, linguaggio, olfatto, gusto, visione
- Convulsioni
- Vertigine mal di testa, e insonnia.
Principali condizioni patologiche:
- Acatisia
Impossibilità nello stare seduti.
- Afasia (motoria, sensoriale, totale)
Disturbo motorio e/o sensitivo del linguaggio alterata produzione della parola, della comprensione, della lettura e scrittura.
- Atassia
Disturbo della coordinazione.
- Disfagia
Difficoltà alla deglutizione.
- Atetosi
Movimenti aritmici involontari lenti con smorfie grottesce.
- Mioclonie
Convulzioni involontarie rapide improvvise senza effetti motori.
- Emiplegia (flaccida o spastica)
Paralisi completa degli arti di un lato.
- Amnesia
Alterazioni che causano la parziale o totale incapacità di ricordare esperienze passate.
- Aprassia
Incapacità a eseguire atti motori intenzionali, appresi in precedenza, nonostante la volontà e la conservata capacità fisica.
Morbo di Parkinson
Patologia degenerativa del sistema extrapiramidale, caratterizzata da una degenerazione primaria idiopatica della sostanza nigra (un nucleo situato a livello del mesencefalo in cui viene prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti) che determina un difetto di sintesi di dopamina, a cui segue un disequilibrio dei sistemi dopaminergici e colinergici, responsabile dei disturbi motori.
Il morbo di Parkinson è la quarta malattia neurologica degenerativa più comune degli anziani con insorgenza media nei 57 anni di età (può esordire anche nell’infanzia o nell’adolescenza: parkinsonismo giovanile).
Le causa maggiormente presupposte sono:
- L’assunzione di anti-psicotici (blocco dei recettori per la dopamina).
- Avvelenamento da monossido di carbonio o manganese
- Idrocefalo o da lesioni strutturali (tumori, infarti del mesencefalo o dei gangli della base).
Il Morbo di Parkinson non è l’unica patologia del sistema extrapiramidale e dei disturbi del movimento. Ci sono numerose patologie che portano a deficit del movimento e che trovano la loro causa in una alterazione dei nuclei della base o delle sue connessioni.
Dal punto di vista eziologico si tratta di forme molto varie, infatti accanto a malattie primarie possiamo trovare malattie di natura vascolare, infiammatoria, tossica, traumatica e tumorale.
Esse si possono distinguere in due grandi categorie:
1) Forme acinetico-rigide
Caratterizzate dalla povertà di movimento, da rallentamento dell’iniziativa motoria e da rigidità muscolare, comprendono il morbo di Parkinson e le sue sindromi.
2) Forme discinetiche
Caratterizzate da movimenti anormali involontari, includono vari quadri clinici: il tremore, le mioclonie (movimenti rapidi), i tic, le distonie (movimenti lenti), Ecc.
Sintomi e segni
TREMORE
Nel 50-80% dei pazienti, la malattia esordisce in modo insidioso, con tremore di una mano, massimo a riposo, che:
- Diminuisce durante il movimento.
- Scompare con il sonno.
- Aumenta inoltre con le emozioni e la fatica.
Sono maggiormente colpite le mani, le braccia e le gambe, secondo tale ordine.
Possono anche essere interessate la mandibola, la lingua, la fronte e le palpebre.
RIGIDITA'
Rigidità evolutiva e movimenti rallentano (bradicinesia), diminuiti (ipocinesia) e difficili da iniziare (acinesia).
Tali fenomeni possono causare dolore muscolare e sensazione di affaticamento. La faccia diventa amimica come una maschera, con bocca aperta. (Tale quadro potrebbe essere confuso con uno stato depressivo).
ANDATURA e POSTURA
L’andatura è incurvata in modo caratteristico (camptocormia).
Il paziente inizia a camminare con difficoltà, muovendosi prima con passi piccoli ed esitanti, con le braccia flesse, addotte e non ondeggianti e il tronco lievemente piegato in avanti; i passi possono diventare improvvisamente più veloci e il paziente comincia improvvisamente a correre per evitare la caduta in avanti (festinazione).
La perdita dei riflessi posturali, provoca la tendenza a cadere in avanti (propulsione) e all’indietro (retropulsione), quando viene spostato il centro di gravità.
L’ipocinesia e la diminuzione del controllo della muscolatura distale si caratterizzano con una crescente difficoltà nelle attività quotidiane.
DEMENZA
Può manifestarsi in circa 50% dei pazienti e anche la depressione è frequente.
Diagnosi
I segni precoci sono suggestivi della patologia (Il tremore è presente inizialmente in circa il 70% dei pazienti, ma spesso diventa meno evidente durante il decorso della malattia).
Sebbene la rigidità sia talvolta minima o assente, il tremore privo delle suddette caratteristiche associate indica una diagnosi alternativa o la necessità di una valutazione successiva, poiché in fase tardiva, se il paziente è affetto da Parkinson, si possono sviluppare gli altri segni.
Il test all’apomorfina dà una buona indicazione dell’attività dei recettori dopaminergici (definito positivo quando si rileva un miglioramento superiore al 20 % delle prove motorie).
L’apomorfina è una sostanza che stimola direttamente questi recettori, si somministra per via sottocutanea ed ha una rapidità d’azione tale per cui il primo rilevamento si effettua dopo 15 minuti dalla somministrazione.
Presenta però alcuni svantaggi quali l’induzione del vomito e può dare anche sonnolenza e confusione.
Terapia
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
La levodopa, è il farmaco di elezione per questa patologia.
Rappresenta il precursore metabolico della dopamina e attraversa la barriera ematoencefalica (cosa che non fa la dopamina) per arrivare ai gangli della base, dove viene decarbossilata a formare la dopamina, rimpiazzando il neuromediatore carente.
La bradicinesia e la rigidità risentono di più del miglioramento, sebbene anche il tremore venga spesso sostanzialmente ridotto. I pazienti meno gravi possono anche ritornare alle condizioni normali, mentre quelli allettati si possono seguire ambulatorialmente. La somministrazione contemporanea dell’inibitore periferico della decarbossilasi carbidopa permette una diminuzione delle dosi, prevenendo il catabolismo della levodopa, diminuendo così gli effetti collaterali (nausea, palpitazioni, rossori cutanei) e favorendo una maggiore disponibilità di farmaco a livello cerebrale.
La dose viene aumentata gradualmente ogni 4-7 gg, in base alla tolleranza del paziente, fino al raggiungimento dell’effetto terapeutico; gli effetti collaterali si possono ridurre gradualmente al minimo aumentando cautamente le dosi e facendo assumere il farmaco durante o dopo i pasti (sebbene grandi quantità di proteine possano interferire con l’assorbimento della levodopa).
Gli effetti collaterali della levodopa sono rappresentati dall’ipotensione ortostatica, da incubi, dalle allucinazioni e talvolta da stati confusionali da intossicazione; le allucinazioni e lo stato confusionale acuto sono più comuni negli anziani colpiti da demenza.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
Il trapianto di neuroni dopaminergici fetali può far regredire le anomalie chimiche nel morbo di Parkinson.
La procedura è stata eseguita sperimentalmente in vari centri e rimane oggetto di studio.
RIMEDI FISICI
Nelle fasi iniziali, il paziente dovrà effettuare le attività quotidiane il più autonomamente possibile. Quando più è compromessa la funzionalità motoria, un programma di esercizio regolare o una terapia fisica possono aiutare a mantenere o ristabilire le condizioni fisiche e insegnare strategie d’adattamento.
Per il trattamento della stipsi, che può insorgere in seguito all’assunzione dei farmaci antiparkinsoniani e all’inattività, il paziente dovrà adottare una dieta ad alto contenuto di fibre. Può essere utile l’impiego di integratori alimentari e di emollienti fecali.
Demenze
Deterioramento cronico della funzione intellettiva e delle altre capacità cognitive, grave abbastanza da interferire con la possibilità di essere autosufficienti.
La demenza può insorgere in ogni età (può colpire soggetti giovani in seguito a lesioni o ipossia) ma è per lo più una malattia dell’anziano (15% sopra i 65 anni e il 40% sopra 80 anni di eta)̀.
La demenza è una sindrome che può dipendere da molte cause fra cui le più frequenti sono:
- Alzheimer 60%
- Demenze vascolari 10-20%
- Forme miste vascolari degenerative 10-20%
La demenza da depressione (definita, anche, come pseudodemenza) descrive generalmente i pazienti che possono inizialmente sembrare dementi, ma che sono affetti da depressione piuttosto che da un’alterazione neuropatologica.
Questi pazienti riacquistano la capacità mentale, qualora venga trattata la depressione.
La diagnosi si basa sull’anamnesi e sulla valutazione dello stato mentale.
Può essere necessario l’aiuto dei familiari per identificare i farmaci o gli altri fattori tossici.
I pazienti depressi si distinguono perché inappetenti, costipati e perché dormono meno del normale e si sentono meglio la sera; rispondono lentamente alle domande, ma spesso in modo accurato; possono essere quasi muti, ma rari sono gli afasici. Raramente dimenticano gli eventi quotidiani importanti o gli argomenti di maggiore interesse.
La velocità di progressione della demenza è molto variabile e dipende dalla causa che l’ha indotta. Può essere stabile, qualora consegua a un trauma cerebrale grave o a una transitoria asistolia.
Il controllo dell’ipertensione o del diabete può rallentare o arrestare l’evoluzione della demenza vascolare (multinfartuale), comportando un miglioramento per alcuni pazienti.
Anche se la funzione intellettiva non può essere ripristinata o il suo declino arrestato, semplici provvedimenti di sostegno (p. es., il frequente rinforzo dell’orientamento; un ambiente familiare brillante, favorevole; un minimo di nuove stimolazioni; attività regolari poco stressanti) possono essere di notevole aiuto.
L’orientamento temporale è favorito dall’impiego di grandi calendari e orologi e dal rendere routinarie le attività quotidiane; l’uso di targhette di identificazione del personale sanitario, il quale si presenterà ripetutamente al paziente, migliora l’orientamento verso le persone. In ogni caso, il paziente necessita di molto tempo per riadeguarsi all’ambiente, alle attività quotidiane, alla gente. Le informazioni date al paziente devono essere semplici, omettendo le frasi non essenziali. Si dovranno evitare stanze troppo silenziose, scure o isolate.
Controverso l’impiego di farmaci psicoattivi nell’anziano, per il controllo di comportamenti indesiderati. Tuttavia, gli antidepressivi possono migliorare temporaneamente la funzionalità in pazienti che sviluppino una depressione clinica. La depressione deve essere trattata mediante antidepressivi non anticolinergici e l’ansia e i disturbi del sonno possono essere trattati con dosi adeguate di benzodiazepine a breve o a media azione.
MORBO DI ALZHEIMER
Progressiva perdita della funzione cognitiva, associata all’eccessivo numero di placche senili nella corteccia cerebrale e nella sostanza grigia sottocorticale, che presenta inoltre zone di degenerazione.
Le forme a insorgenza precoce ammontano solo al 2-7% dei casi e sono generalmente dovute a una mutazione genetica ereditaria.
La causa del morbo di Alzheimer è sconosciuta.
La malattia è familiare in circa il 15-20% dei casi.
I rimanenti casi, cosiddetti sporadici presentano alcuni determinanti genetici.
I fattori ambientali sono oggetto di attive ricerche.
Ipotesi non comprovate comprendono bassi livelli ormonali e l’esposizione ai metalli.
Stadi clinici
I pazienti presentano grande variabilità e l’evoluzione della malattia non è così regolare come indicato nella seguente descrizione.
La fase iniziale è caratterizzata da perdita della memoria a breve termine, incapacità ad apprendere e ricordare le nuove informazioni, problemi di linguaggio (specialmente nel reperire le parole), cambiamenti dell’umore e alterazioni della personalità. I pazienti possono presentare una difficoltà progressiva nell’effettuare le attività quotidiane (p. es., trovare la strada o ricordare dove hanno messo le cose). Il pensiero astratto e la critica sono ridotti. I pazienti possono reagire alla perdita del controllo e della memoria con irritabilità, ostilità e agitazione. Alcuni pazienti presentano afasia isolata o problemi visuo-spaziali.
Nello stadio intermedio, i pazienti diventano incapaci di apprendere e di ricordare nuove informazioni. La memoria per gli avvenimenti remoti risulta compromessa, ma non del tutto perduta. I pazienti necessitano di aiuto per lavarsi, mangiare e vestirsi. La disorganizzazione comportamentale può manifestarsi con il girovagare, l’agitazione, l’ostilità, il negativismo o l’aggressività fisica.
Da questo stadio in poi, i pazienti perdono del tutto il senso del tempo e dello spazio, perché i normali riferimenti ambientali e sociali sono gestiti in modo inefficace. I pazienti spesso si perdono, talvolta al punto di non essere in grado di trovare la propria camera da letto o il bagno. Sebbene conservino la capacità di camminare, rischiano di cadere o di subire incidenti conseguenti allo stato confusionale.
Nello stadio grave, i pazienti sono incapaci di camminare o di effettuare ogni tipo di attività quotidiana e, generalmente, sono completamente incontinenti. La memoria a breve e a lungo termine è completamente perduta. I pazienti possono non essere in grado di inghiottire e di mangiare, rischiando malnutrizione, polmoniti (specialmente da inalazione) e piaghe da decubito. Il ricovero presso strutture a lunga degenza diventa spesso necessario, in quanto i pazienti sono completamente dipendenti dagli altri. Successivamente, perdono l’uso della parola. Le alterazioni motorie o altre alterazioni neurologiche focali si presentano tardivamente durante la malattia, sebbene l’incidenza di crisi comiziali risulti in qualche modo aumentata durante tutti gli stadi. Lo stadio finale del morbo di Alzheimer è il coma e la morte, in genere a seguito a infezioni.
Diagnosi
La diagnosi si basa in genere sull’anamnesi, sull’esame obiettivo, su test di laboratorio e sull’esclusione di altre cause di demenza. È necessario eseguire una valutazione codificata dello stato mentale; il Folstein Mini-Mental Status Examination è il test usato più comunemente. Per valutare le attività quotidiane, può essere utilizzata la scala di Barthel. Per circa l’85% dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer, una diagnosi corretta può essere posta sulla base di un’anamnesi esauriente e sui risultati di un esame obiettivo neurologico standard.
La biopsia di tessuto cerebrale viene raramente ritenuta utile.
La valutazione di base dovrà comprendere un esame emocromocitometrico. Per alcuni pazienti può essere necessario eseguire un ECG e una radiografia del torace, nonché un dosaggio degli elettroliti, un test di funzionalità tiroidea, e l’esame delle urine.
Se l’anamnesi indica la presenza di una lesione espansiva cerebrale, se vi sono segni neurologici focali o se la demenza è a insorgenza recente, dovranno essere effettuate la TAC o la RMN per escludere la presenza di tumori, infarti, ematomi subdurali e dell’idrocefalo normoteso.
Prognosi e terapia
La sopravvivenza varia dai 2 ai 20 anni, con una media di 7 anni.
I principi generali del trattamento sono gli stessi delle altre forme di demenza.
Durante le prime fasi del morbo di Alzheimer, alcuni farmaci che incrementano la neurotrasmissione colinergica, come il donepezil, possono migliorare, almeno provvisoriamente, le alterazioni della memoria. Tuttavia, essi non modificano il costante peggioramento della patologia di base.
I sedativi, quali le benzodiazepine, dovranno essere evitati quanto possibile.
Dovranno essere evitati i farmaci anticolinergici, come alcuni antidepressivi triciclici, antistaminici, antipsicotici e le benzotropine.
Sclerosi Multipla
Malattia demielinizzante del SNC, caratterizzata da perdita di mielina da parte dell’assone, In maniera multifocale (interessa più parti dell’encefalo e del midollo), con conseguenti sintomi e segni neurologici diversificati e variegati, in genere con remissioni e riacutizzazioni.
L’eziologia è sconosciuta, ma si ipotizza un’alterazione immunologica. Una causa probabile è rappresentata dall’infezione da parte di un virus latente, che scatena una risposta immunitaria secondaria. L’età di insorgenza varia di solito dai 20 ai 40 anni e le donne sono lievemente più colpite degli uomini.
Sintomi e segni
La malattia è caratterizzata da molti sintomi e segni a carico del SNC, con remissioni e riacutizzazioni ricorrenti. I sintomi più comuni all’esordio sono:
- parestesie a uno o più arti, al tronco o su una parte del volto;
- Perdita di forza e impaccio di una gamba o di una mano.
- Disturbi visivi, come cecità parziale e diplopia.
- Disturbi del controllo del riflesso vescicale.
- Vertigini.
- Lievi disturbi psichici.
Tutti questi segni indicano un interessamento multifocale del SNC e spesso insorgono mesi o anni prima che la malattia venga diagnosticata.
Le gravi modificazioni della personalità (p. es., mania o demenza) sono tardive.
Il linguaggio scandito (enunciazione lenta con la tendenza a esitare all’inizio della pronuncia di una parola o di una sillaba) è frequente nelle fasi avanzate, mentre i disturbi afasici sono rari.
Decorso
Il decorso è molto variabile, non pronosticabile e, nella maggior parte dei pazienti, remittente. La durata della vita non è probabilmente abbreviata tranne che nei casi più gravi. All’inizio, i vari episodi possono essere separati da mesi o anni di remissione. Si sono avute remissioni durate anche più di 10 anni. Alcuni pazienti, comunque, presentano crisi frequenti, che li renderanno rapidamente inabili; per alcuni, particolarmente per i pazienti maschi, con insorgenza della malattia nell’età media, il decorso può essere rapidamente progressivo. L’esposizione all’alta temperatura, febbrile o ambientale, peggiora talvolta i sintomi.
Diagnosi
La diagnosi è indiretta, posta per deduzione dai dati clinici e di laboratorio.
Nei casi tipici, essa si può basare soprattutto su:
- Esame obbiettivo
Aspetti clinici, i segni e i sintomi tipici
- RMN
Strumento diagnostico che permette di evidenziare le placche.
Può inoltre dimostrare le lesioni trattabili non demielinizzanti della zona di giunzione tra bulbo e midollo spinale (p. es., cisti subaracnoidee, tumori del foramen magnum), che talvolta possono causare una serie di sintomi sensitivi e motori fluttuanti molto variabili, simulanti la SM.
- TAC con mezzo di contrasto
Evidenzia le lesioni.
- Puntura lombare
Il liquor è alterato nella maggioranza dei pazienti.
Le IgG possono aumentare oltre il 13%, mentre i linfociti e le proteine possono essere lievemente aumentati; tali rilievi non sono comunque patognomonici.
- Potenziali evocati
Consistono nella registrazione dei potenziali elettrici di risposta a stimoli sul sistema sensitivo. Ci possono essere alterazioni dei potenziali evocati visivi, uditivi del tronco e somatosensoriali, che compaiono nelle fasi iniziali della malattia, per il rallentamento della conduzione di impulsi elettrici.
Terapia
I corticosteroidi rappresentano la forma principale di trattamento.
Possono abbreviare il periodo sintomatico durante le crisi, sebbene non controllino a lungo termine l’invalidità finale.
Il trattamento a lungo termine con corticosteroidi è raramente giustificato e può provocare molteplici complicanze mediche come l’osteoporosi, le ulcere e il diabete.
La terapia immunomodulatrice con interferone-β riduce la frequenza delle ricadute nella SM e può aiutare a ritardare l’invalidità finale.
Le gamma globuline EV, somministrate mensilmente, possono facilitare il controllo della SM ricorrente, refrattaria alla terapie convenzionali.
Il paziente dovrà condurre una vita quanto più possibile normale e attiva, evitando però gli affaticamenti, il lavoro eccessivo e l’esposizione alle alte temperature. Nei pazienti debilitati, le ulcere da decubito e le infezioni del tratto urinario dovranno essere prevenute e la necessità per l’autocateterizzazione intermittente dovrà essere attentamente valutata.
Epilessia
L'epilessia è una sindrome cerebrale cronica caratterizzata da episodi ricorrenti, dovuti all'iperattività di alcune cellule nervose cerebrali.
Tali crisi comprendono un'insieme di manifestazioni caratterizzate da:
- Brevi episodi di perdita di conoscenza (assenze)
- Alterazioni sensitive, psichiche o motorie
- Spasmi o da contrazioni della muscolatura scheletrica di tipo convulsivo.
L’epilessia ha un indice di prevalenza 10 volte superiore alla sclerosi multipla, prevalgono in età pediatrica e iniziano in genere prima dei 20 anni.
In oltre la metà dei casi l’eziologia è sconosciuta e nell’altra metà può essere attribuita a fattori lesionali, avvenuti durante il periodo pre-natale, peri-natale o post-natale, o più raramente a fattori genetici.
Nei fattori lesionali vanno menzionati i tumori, i traumi, le infezioni e le malattie vascolari.
Gli attacchi epilettici possono essere distinti in:
- Mioclonici
Spasmi di lieve entità.
- Tonici
Contrazioni più intense.
- Tonici/Clonici
Violenti spasmi muscolari seguiti dal rilassamento della stessa muscolatura. L’alternanza di questi due stati è responsabile delle tipiche scosse muscolari ritmiche (convulsioni) associate alla crisi epilettica.
Tipi di epilessie
1) Parziali
I neuroni che causano gli attacchi interessano soltanto un emisfero cerebrale.
Possono essere ulteriormente classificate in:
- Semplici (si caratterizzano per attacchi leggeri, che non si traducono mai in perdite di conoscenza).
- Complesse (al contrario comportano manifestazioni più severe, sempre accompagnate da perdita di conoscenza di pochi secondi e da contrazioni muscolari più intense).
2) Generalizzate
I neuroni che causano gli attacchi interessano entrambi gli emisferi.
Si accompagnano quasi sempre a perdita di conoscenza (assenza) associata a manifestazioni contrattili e spasmi di tipo mioclonico/tonico e tonico/clonico.
Si definisce stato epilettico il succedersi di manifestazioni epilettiche in modo frequente e duraturo (vari episodi si possono notare anche nell'arco di alcune ore).
Diagnosi
- Elettroencefalogramma (EEG)
Con cui si registra l'attività elettrica del cervello.
In circa la metà dei casi questi segnali risultano mutati anche in assenza dei sintomi.
- TAC o la risonanza magnetica
Hanno lo scopo di indagare la presenza di eventuali lesioni cerebrali.
- Storia clinica del paziente
Trattamento farmacologico
Inibendo i segnali elettrici neuronali, e con essi l'attività eccitatoria dei foci epilettogeni, i medicinali consentono un netto miglioramento delle manifestazioni epilettiche e permettono al paziente di condurre una vita normale.
La terapia deve essere tuttavia personalizzata e protratta per lunghi periodi di tempo, spesso per tutta la vita.
Tra i più usati:
- Fenobarbital (luminal).
- Fenitoina (dilatin).
- Garbamazepina (segreto).
- Velpronato di sodio (depakin).
Gli effetti collaterali comuni a tutti i farmaci antiepilettici comprendono rush cutanei (arrossamenti della pelle), prurito, leggera sedazione e dispepsia (disturbi digestivi).
Trattamento chirurgico
Solo in determinati casi (che vanno accuratamente selezionati) si può asportare, con un intervento chirurgico, la zona del cervello da cui prende inizio la crisi epilettica. Questo tipo di intervento, che nel 70-90% dei casi porta a guarigione completa, è indicato in presenza di epilessia resistente alla terapia farmacologica, in cui sia stata ben documentata l'origine dei focolai epilettogeni e l'assenza di deficit neurologici gravi in seguito alla loro rimozione.
Fonte: http://u.jimdo.com/www400/o/s5d0ef10cc4a06ea2/download/m35a11d5f21bedb31/1281483066/Neurologia.docx
Sito web da visitare: http://infermieriuniti2.jimdo.com/
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