Dislessia disturbi dell'apprendimento
Dislessia disturbi dell'apprendimento
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Dislessia disturbi dell'apprendimento
I Disturbi Specifici di Apprendimento
la Dislessia Evolutiva
La dislessia evolutiva (DE) è un disturbo specifico dell’apprendimento della lettura.
I criteri di definizione che caratterizzano la nosografia ufficiale (DSM IV) descrivono la DE come un “disturbo manifestato nell’apprendimento della lettura nonostante istruzione adeguata, in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con adeguate condizioni socio-culturali”.
La DE si presenta come disturbo specifico, isolato rispetto al resto delle prestazioni cognitive, generalmente buone in soggetti indenni da deficit grossolani o da condizioni socio-economiche e relazioni non adeguate. Si tratta di un disturbo di supposta origine costituzionale e/o su partecipazione genetica in quanto si presenta in soggetti senza lesioni cerebrali clinicamente evidenziabili. E’ quindi presente potenzialmente dalla nascita, anche se le manifestazioni più evidenti e specifiche compaiono solo con la scolarizzazione.
La definizione di clinica DE spesso nell’uso comune comprende anche i disturbi della scrittura (disgrafia e disortografia) e i disturbi del codice numerico e del calcolo (discalculia), in quanto nella DE i disturbi in queste tre aree sono più frequentemente associati che disgiunti.
La DE può esordire in vari modi e comunque permane lungo tutto il corso della vita di un individuo, anche se assume diversi gradi di espressività in funzione della gravità del disturbo, delle caratteristiche cognitive del soggetto e delle opportunità educative e relazionali che questo riceve.
La DE è descritta dalla maggior parte degli autori come un disturbo della codifica fonetica e tale cognizione si è andata strutturando solo dagli anni ottanta in poi.
Le prime osservazioni sulle difficoltà di lettura furono condotte da Morgan (1896) nella cultura della neuropsicologia “localizzazionista” e la DE veniva allora chiamata “ cecità congenita per le parole”. Le prime spiegazioni nei confronti di tale patologia seguirono la dottrina neuropsicologica dell’epoca ipotizzando un danno cerebrale a livello del giro angolare struttura deputata all’immagazzinamento della forma visiva delle parole. In quell’epoca e per molti anni successivamente, vi fu la tendenza a considerare questo disturbo come una sindrome unitaria determinata da una unica causa, senza tuttavia che si riuscissero ad individuare singoli fattori causali in grado di spiegare la variabilità sintomatologia del quadro clinico.
All’ipotesi del danno corticale strutturale, Orton (1925) propose, sulla base di proprie osservazioni, che la DE fosse legata ad un disturbo della dominanza emisferica cerebrale per il linguaggio. Questa ipotesi considera critica la rappresentazione visiva dei simboli con conseguenti confusioni nell’orientamento spaziale con errori di inversione di lettere speculari (p/b) e parole palindromiche (roma/amor). La concettualizzazione di Orton, che ha considerato patognomoniche le caratteristiche visive nella sindrome dislessica, ha esercitato una profonda influenza in ambito clinico ma soprattutto in ambito pedagogico, fino ad anni recenti. L’interpretazione del deficit in termini “visuo-spaziali” è rimasta in auge fino agli anni settanta quando si verificò un radicale cambiamento a favore delle interpretazioni “linguistiche”. Gli studi di Libermann (1971) sul linguaggio e sugli aspetti della lettura e scrittura hanno evidenziato che : a) gli errori di inversione delle lettere sono una minima parte del corpus degli errori commessi dal soggetto dislessico; b) questo tipo di errore è peculiare nelle fasi iniziali della lettura; c) anche i bambini che andranno a sviluppare una normale abilità di lettura, nelle fasi iniziali di tale apprendimento, manifestano tali errori. Vellutino (1979) sulla base di una revisione critica degli studi condotti sull’argomento giungeva alla conclusione che non vi era alcuna evidenza che i fattori “visuo-spaziali” avessero qualche ruolo etiopatogenetico nella DE, mentre vi erano significative e consistenti evidenze sul ruolo giocato dai fattori linguistici, in particolare da quelli fonologici.
Il rovesciamento del paradigma teorico dal “visuo-spaziale” al “linguistico” ha ricevuto un importante sostegno clinico-sperimentale da Catts (1989), tuttavia il ruolo dei fattori visuo-spaziali non è mai stato accantonato completamente. Così Brizzolara mette in dubbio la concezione della DE come una entità clinica unitaria rispetto alla natura dei deficit sottostanti, alla loro espressività e al decorso evolutivo del disturbo a favore di una interpretazione multifattoriale (1998). Tale multifattorialità vede tre possibili meccanismi chiamati in causa nel processo di lettura: a) difficoltà di integrazione di dati sensoriali di tipo diverso; b) scarsa organizzazione gerarchica dei sistemi sensoriali (ritardo della modalità visiva in particolare); c) sviluppo carente dei processi di analisi e sintesi (sia uditiva che visiva).
Diversi autori (Boder 1973; Johnson 1962) hanno ipotizzato che il deficit di base della DE potrebbe di volta in volta riguardare una o l’altra modalità sensoriale, concependo il principio di una diversificazione tra i profili dei dislessici e, pertanto, avvalorando l’ipotesi di più tipi di dislessia (una visiva e una uditiva). I soggetti dislessici potranno avere maggiori difficoltà di processazione visiva (dislessici diseidetici); gravi difficoltà di processazione fonologica (dislessici disfonetici); o difficoltà in entrambe le processazioni (dislessici misti). La clinica, comunque, evidenzia come la frazione dei dislessici disfonetici rappresenti oltre i due terzi dei bambini interessati da questa patologia.
Nei sistemi alfabetici la codifica fonologica risulta la tappa limitante per l’acquisizione dei normali processi di lettura. L’esordio del disturbo di lettura può essere in qualche modo atteso nei bambini che in età prescolare mostrano dei disturbi di linguaggio, in quanto è prevedibile la loro difficoltà nel gestire le operazioni meta-fonologiche indispensabili per apprendere la letto-scrittura. Questo dato è molto importante se traslato nell’ambito riabilitativo, poiché l’intervento in età prescolare sugli aspetti meta-fonologici può ridurre le difficoltà iniziali che il bambino incontra nell’apprendimento della lettura e scrittura.
Sottotipi di dislessia
La clinica, l’esperienza didattica e i percorsi riabilitativi permettono di evidenziare una varietà di forme sintomatologiche diverse che, a ragion veduta sulla base dei dati osservazionali e sperimentali, potrebbero aver una diversa base biologica e genetica. L’integrazione fra i dati comportamentali della DE e i dati biologici è, comunque, ancora a livello speculativo. Un concreto progresso è invece stato fatto per quanto riguarda la conoscenza delle diverse forme che il disturbo dislessico assume in età evolutiva e dei deficit cognitivi ad esse associate grazie all’utilizzo dei modelli neuropsicologici di tipo cognitivista. I tre modelli teorici di maggiore rilevanza, che rappresentano i diversi approcci con cui è stata e viene studiata la DE, sono:
- approccio neuropsicologico;
- approccio clinico;
- approccio neuropsicofisiologico.
Approccio neuropsicologico
La neuropsicologia cognitiva ha prodotto modelli che prevedono il frazionamento del processo di lettura in una serie di operazioni cognitive specificate che vengono effettuate a partire dell’analisi visiva della stringa di lettere fino alla produzione della parola parlata. Il modello del “doppio accesso” (Sartori) o “ dual route model” (Coltheart) prevede che il lettore utilizzi almeno due strategie per leggere: una strategia cosiddetta dell’accesso diretto (via lessicale) attraverso la quale il lettore riconosce globalmente la parola e arriva a pronunciarla dopo averla riconosciuta e richiamata dal suo repertorio lessicale; una seconda strategia detta dell’accesso indiretto (via fonologica) che richiede l’analisi delle singole sub-unità che compongono la parola (lettere o sillabe) e, attraverso le regole di conversione grafema-fonema, viene ricostruita la catena fonologica che consente il recupero della parola nel repertorio lessicale. Nella prima strategia la rappresentazione fonologica della parola è, dunque, post-lessicale in quanto il lettore, per pronunciare la parola stessa, deve prima riconoscerla visivamente e ritrovarla nel suo lessico ortografico, mentre nella strategia indiretta la rappresentazione fonologica e pre-lessicale, in quanto la parola può essere pronunciata senza alcun confronto con il patrimonio lessicale.
Si assume che il lettore efficiente usi entrambe le strategie, utilizzando preferibilmente la via lessicale, in quanto più rapida e meno dispendiosa, e ricorrendo alla via fonologica solo quando incontra parole non familiari, oppure quando le parole presentano eccezioni, o sono molto lunghe ecc.
Applicando questo modello esplicativo della lettura normale ai disturbi della lettura sono stati identificati due sottotipi di DE: la Dislessia Superficiale e la Dislessia Fonologica. In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie non è riprodotto, in quanto soltanto una via d’accesso è efficiente, mentre l’altra non è disponibile in tutto o in parte. Nel caso della dislessia fonologica il soggetto incontra difficoltà con le parole irregolari e con le non-parole in quanto può solamente usare l’accesso diretto.
Nel caso della dislessia superficiale, invece, il soggetto legge allo stesso modo parole e non-parole, senza mostrare alcun vantaggio per le parole più frequenti e, inoltre, non è in grado di leggere in modo corretto le parole irregolari.
Sempre all’interno del modello neuropsicologico a due vie si può individurare un terzo tipo di DE: la Dislessia Profonda.Essa è caratterizzata da paralessie semantiche (sostituzioni di parole con significato affine, ovvero all’interno dello stesso campo semantico, es. sedia per tavolo) ed errori sulle non parole. Tale condizione clinica è stata rilevata negli adulti con dislessia acquisita ma, questi tipi di errore, possono essere riscontrati anche nei bambini con DE.
Il limite maggiore del modello a due vie sta nel fatto che non viene considerata l’interazione fra la strategia lessicale e quella fonologica: l’indipendenza delle due vie, che costituisce l’assunzione di base del modello, non rende conto delle numerose prove a favore dell’influenza della conoscenza lessicale sui processi di assemblaggio fonetico.
Approccio clinico
L’approccio proposto da Boder, come abbiamo visto, distingue la dislessia diseidetica da quella disfonetica sulla base delle diverse prestazioni qualitative dei soggetti nel corso della lettura. Nella forma diseidetica il disturbo responsabile della difficoltà della lettura sarebbe di tipo visuo-percettivo per cui il soggetto incontrerebbe difficoltà a percepire o a ricostruire la configurazione della parola scritta. Questo tipo di disturbo riguarderebbe la minoranza dei soggetti dislessici, mentre la maggior parte dei bambini con disturbo nell’acquisizione della lettura apparterrebbe al sottotipo disfonetico, in cui il disturbo si manifesta nella difficoltà a svolgere le operazioni meta-fonologiche di analisi e sintesi delle componenti sub-lessicali.
Recentemente Flynn ha cercato di confermare il modello clinico attraverso la verifica dei correlati elettofisiologici dei due sottogruppi di dislessici identificati con i criteri proposti da Boder. I risultati, mentre confermano differenze elettrofisiologiche riscontrabili tra i dislessici e i non dislessici, non trovano differenze qualitative e statisticamente significative tra i due sottogruppi di dislessici.
Approccio neuropsicofisiologico
Un altro tipo di classificazione che ricalca la distinzione fra i compiti e strategie visuo-spaziali e linguistici è stata proposta da Bakker (1979). E’ stato ipotizzato che l’emisfero destro sia maggiormente coinvolto nei primi anni di apprendimento della lettura, mentre il sinistro lo è in seguito. Già Orton nel 1925 aveva ipotizzato che, nel corso del normale sviluppo delle capacità di lettura, le immagini visive fornite dall’emisfero destro fossero soppresse affinché non interferissero conn le relative informazioni dell’emisfero sinistro. Queste ipotesi sono state avvalorate da evidenze di carattere neuropsicologico e psicofisiologco (Bakker 1986). Durante l’apprendimento della lettura si è evidenziato, mediante l’utilizzo di tecniche tachistoscopiche, un cambiamento progressivo e un miglioramento della funzione di riconoscimento di stimoli verbali scritti nell’emicampo visivo sinistro (emisfero destro) a quello destro (emisfero sinistro). Il passaggio della superiorità da un emicampo visivo all’altro avverrebbe intorno ai 7-8 anni (secondo anno di apprendimento della lettura). Inoltre utilizzando test di ascolto dicotico, è stato riscontrato un ribaltamento delle specializzazioni emisferiche per il linguaggio in funzione delle abilità di lettura. Bambini che leggono bene nelle prime due classi elementari presentano una superiorità dell’orecchio sinistro (emisfero destro), al contrario bambini con buone capacità di lettura negli ultimi anni della scuola elementare, presentano una superiorità dell’orecchio destro (emisfero sinistro). Tale shift emisferico avverrebbe intorno al secondo anno di apprendimento della lettura.
Rispetto al problema della classificazione delle dislessie, Bakker propone un modello basato prevalentemente sulla velocità di lettura e distingue tre tipi di dislessie: linguistica, percettiva, mista.
La dislessia linguistica è caratterizzata da una lettura veloce che presenta numerosi errori specifici ovvero:
- omissioni di lettere, sillabe, parole;
- aggiunta o sostituzione di lettere, sillabe o parole
- inversione di lettere, sillabe o parole;
- errori combinati.
Nella prova di ascolto dicotico si riscontra un vantaggio dell’orecchio destro (emisfero sinistro) o più raramente una risposta simmetrica. Viene ipotizzato pertanto uno scarso coinvolgimento dell’emisfero destro nei compiti di lettura.
La dislessia percettiva è caratterizzata da una lettura molto lenta con prevalenza di errori tempo disperdenti, ovvero:
- correzione di parola mancante;
- correzione di lettere o sillabe omesse;
- lettura sillabica e sua correzione;
- balbettamenti e correzione degli stessi;
- ripetizione di parole;
- correzione di parole sostituite;
- errata enfasi nella frase.
In questa forma di dislessia, nelle prove di ascolto dicotico per materiale verbale si rileva il vantaggio dell’orecchio sinistro (emisfero destro) oppure un riconoscimento simmetrico. I tipi di errore nella lettura e i risultati alle prove di ascolto dicotico, fanno supporre uno scarso coinvolgimento dell’emisfero di sinistra nei compiti di lettura.
La dislessia mista viene diagnosticata quando:
- nella lettura compaiono in eguale proporzione sia errori tempo disperdenti sia errori specifici;
- nella valutazione neuropsicologica si possono osservare lentezza nella lettura con errori tempo disperdenti associati ad un vantaggio all’ascolto dicotico dell’orecchio destro (emisfero sinistro), oppure errori specifici, con una velocità di lettura adeguata, e contemporaneamente un vantaggio all’ascolto dicotico dell’orecchio sinistro (emisfero destro), in questi casi la modalità di lettura viene considerata prioritaria rispetto al risultato dell’ascolto dicotico e pertanto i casi vengono trattati come dislessici percettivi.
Il modello proposto da Bakker ha trovato diverse conferme nella pratica clinico-riabilitativa, tuttavia risulta al presente ancora scarsamente collaudato.
In sintesi i modelli presentati, anche se non forniscono una certezza sull’alterazione dei meccanismi del processo di lettura nella DE e sul loro ruolo preciso nel corso dell’apprendimento di un processo così complesso, tuttavia delineano alcune caratteristiche che risultano comuni a tutti gli approcci. Tutti i modelli considerano fragili i processi di codifica fonologica e le abilità di tipo visuo-percettivo e quindi in sostanza confermano la eterogeneità del disturbo sia nell’aspetto comportamentale (sintomatologia) sia nei meccanismi sottostanti (eziopatogenesi).
Una rilevante questione riguarda l’importanza clinica e riabilitativa delle diverse classificazioni e distinzioni. Tutti gli autori ribadiscono l’importanza di conoscere nel dettaglio i profili specifici di ciascun bambino con difficoltà in modo da poterlo sottoporre ad un training il più possibile mirato e specifico. Tale richiesta si estende anche all’area pedagogico-didattica dove l’insegnante ha la necessità di comprendere appieno le difficoltà specifiche del proprio alunno al fine di ridurre gli effetti secondari del disturbo sia sul piano emotivo-relazionale che su quello cognitivo.
Come si manifesta il disturbo di lettura
Per l’insegnante risulta di particolare interesse andare ad enucleare ed analizzare gli errori che il bambino compie nelle operazioni di lettura, al fine di programmare un corretto supporto didattico per le acquisizioni e i compensi che nel corso della vita scolastica andranno a caratterizzare questo compito accademico. Il soggetto con difficoltà di lettura presenta un notevole impaccio nel riconoscere e distinguere i vari segni alfabetici(grafemi) contenuti nelle parole, analizzarli in giusta sequenza e orientarsi in successione corretta sulle righe da leggere. Gli errori più ricorrenti riguardano:
- confusione di segni diversamente orientati nello spazio (p-b; d-q; d-b; u-n; a-e; ecc…).Nel sistema alfabetico italiano ci sono molte coppie di fonemi che differiscono rispetto al loro orientamento nello spazio, per cui le incertezze e le difficoltà di discriminazione visiva possono rappresentare un vero e proprio impedimento alla lettura.
- Confusione di grafemi che differiscono per piccoli particolari (m-n; c-e; f-t; ecc…), ancora in gioco la processazione visiva.
- Confusione e difficoltà nel discriminare segni alfabetici che corrispondono a suoni che si assomigliano (f-v; t-d; l-r;m-n;ecc…).I fonemi del sistema fonologico italiano, come in tutti i sistemi fonologici, si distinguono sulla base di composizione e assemblaggio dei tratti distintivi, per tanto più tratti distintivi eguali caratterizzano due fonemi, meno essi sono disgiunti foneticamente ( ovvero vengono riconosciuti con maggiore difficoltà come diversi). In questo caso l’incertezza percettiva uditiva è alla base della difficoltà di lettura.
Difficoltà di decodifica sequenziale: leggere richiede al lettore di procedere in maniera disinvolta con lo sguardo in direzione sinistra-destra e in sequenze dall’alto in basso;tale processo di coordinazione visuo-percettiva appare complesso per tutti i soggetti, sia normo-lettori che lettori con difficoltà e sia per soggetti adulti, ancor più nei piccoli e nelle loro fasi iniziali di apprendimento di questa abilità accademica. Naturalmente l’affinarsi e l’automatizzarsi della procedura fa diminuire gradualmente le difficoltà fino a permettere la normalizzazione del compito.Nel soggetto dislessico ci si trova di fronte ad un vero e proprio ostacolo nella decodifica sequenziale dei vari segni alfabetici, per cui si possono manifestare con svariata frequenza i seguenti errori:
- omissione di grafemi e sillabe ( fonte-fote; tavolo-volo; tavolo-talo; ):il soggetto, in questi casi, omette la lettura di parti della parola, pertanto può tralasciare la decodifica di consonanti e/o vocali, ma spesso anche di sillabe;
- salti di parola (difficoltà di processazione sinistro- destro) e salti da un rigo al successivo (difficoltà di processazione verticale) per cui il soggetto trova difficoltà nell’orientarsi nello spazio “letterale” che va leggendo;
- inversioni di sillabe (in-ni; al-la; cra-car; cavolo-calovo; ecc) che portano spesso a far invertire sequenze di grafemi con particolari errori di decodifica sia di sillabe( semplici e complesse) sia di parole ( in genere polisillabiche);
- aggiunte e ripetizioni ( tavolo-tavovolo; copia-scoppia; ecc): la difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra- destra può dare origine ad errori di decodifica caratterizzati dall’aggiunta di singoli grafemi ed anche di sillabe;
- trasformazione di parole (semaforo-seminato; copriletto-coprifuoco;): in queste situazioni il soggetto legge solo una parte della parola, in genere la prima parte, e termina inventandone il finale;
- prevalenza della componente intuitiva: il soggetto presenta notevoli difficoltà di lettura e come compenso, su base cognitiva, privilegia l’uso di processi intuitivi a scapito del processo di decodifica, il tentativo di intuire la parola rappresenta un valido strumento di compenso, ma al contempo è fonte imprevedibile di errori. In queste situazioni, generalmente il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche del solo primo grafema o della prima sillaba, e procede inventando la restante parte. La parola contenuta nel testo viene pertanto ad essere trasformata in un’altra di significato affine o completamente diverso (catrame-catamarano).
Per l’insegnante che si relaziona ed osserva un bambino con difficoltà di lettura diviene importante concepire l’abilità accademica non come singolo momento di funzione specifica destrutturata (ipotesi della etio-patogenesi unitaria ), bensì, in un’ottica evolutiva, il succedersi e l’integrarsi di abilità consequenziali, visuo-percettive, uditivo-fonemiche, semantiche, cognitivo-procedurali alterate e/o non coordinate. Così valutando la situazione, l’insegnante potrà coerentemente appoggiarsi, nella sua azione didattica, a percorsi educativo-riabilitativi opportunamente scelti per qualità del disturbo e tempo evolutivo che coinvolgono la percezione visiva e uditiva, l’abilità linguistica, la simbolizzazione, l’orientamento spazio-temporale, il controllo cognitivo.
A seconda del profilo del disturbo potranno essere compromesse in varia misura abilità di base che daranno origine a quadri neuropsicologici eterogenei caratterizzati da:
- difficoltà di percezione e di integrazione visuo-uditiva;
- difficoltà di memorizzazione visuo-uditiva;
- difficoltà di organizzazione e integrazione spazio-temporale;
- difficoltà di simbolizzazione uditivo-grafica;
- difficoltà di organizzazione del linguaggio verbale.
Nei sistemi alfabetici alterate procedure nei meccanismi di lettura determinano sistematiche ripercussioni anche nell’ambito della scrittura. Tali effetti devono essere ritenuti secondari all’alterato meccanismo di lettura e, in funzione dei deficit neuropsicologici di base, si possono evidenziare queste condizioni:
- difficoltà di copia di simboli e grafemi in particolare;
- difficoltà di organizzazione spaziale sul foglio;
- difficoltà grafo-motorie.
- Difficoltà ortografiche.
Indipendentemente da possibili deficit nelle abilità di calcolo (discalculia) si possono rilevare ripercussioni anche in ambito logico-matematico. Queste difficoltà potranno riflettere, a volte fedelmente, il profilo del disturbo di letto-scrittura sia per gli aspetti qualitativi (funzione del deficit neuropsicologici di base ) sia per gli aspetti cronologici del disturbo (tempo di comparsa e sua evoluzione) con:
- difficoltà nella decodifica dei simboli numerici;
- confusione di simboli numerici simili;
- inversione di cifre;
- difficoltà nel memorizzare le tabellone;
- difficoltà a memorizzare lo spazio grafico
- difficoltà nel gestire la sequenzialità nelle operazioni matematiche;
- difficoltà di decodifica del testo.
Nella grande area delle difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) si intrecciano le problematiche evolutive di tre settori neuropsicologici lettura, scrittura e calcolo. Questi processi complessi si ipotizza, abbastanza fondatamente, che abbiano alcune componenti comuni sia negli aspetti causali ma soprattutto nei meccanismi patogenetici. Ciò giustifica la necessità di rintracciare la omogeneità della natura del disturbo nelle tre aree, prevederne la tendenza evolutiva, i gradi di successo della spinta riabilitativa, le possibili strategie comuni da applicare.
Competenza fonologica e DSA
Un bambino è fonologicamente competente quando disambigua tutte le caratteristiche fisiche del fono e quindi del fonema (indici acustici; tratti distintivi). Nello sviluppo dell’acquisizione del linguaggio verbale è ormai certo che il bambino impara prima le parole e, solo successivamente, utilizza i suoni delle prime parole per formarne delle nuove (competenza fonologica). Ciò spiega perché talvolta, alcune consonanti sono prodotte correttamente in una parola e non in altre ed anche perché, per intervenire sulla “pronuncia” di un bambino è necessario che egli abbia un vocabolario sufficientemente esteso.
A partire da tre anni il bambino struttura il suo sistema fonologico e, produce progressivamente suoni nuovi e sequenze diverse, con gradi diversi di complessità fono-articolatoria e con grande creatività, fino a raggiungere la produzione adulta corretta, anche se non tutti i foni raggiungono la maturità articolatoria ( punto e modo di articolazione) con la stessa rapidità. Le vocali (sono foni armonici, non dotati di rumore poiché il tratto d’uscita dell’aria non trova ostacoli) che nella lingua italiana sono piuttosto semplici, sono acquisite velocemente, al contrario, i dittonghi con maggiore difficoltà. Fra le consonanti (caratterizzate dalla presenza di rumore causato dal restringimento del tratto fono-articolatorio) le bilabiali ( /p/; /b/; /m/) sono le prime a comparire in tutte le lingue e pertanto anche nell’italiano. In generale si può dire che considerando il punto di articolazione l’ordine di acquisizione è: labiali, dentale, velari e palatali. Considerando il modo di articolazione l’ordine di acquisizione è: occlusive nasali, orali, fricative e affricate. In relazione alla dimensione sordo/sonoro l’ordine è: sordo, sonoro. Le nasali (m,n), le occlusive bilabiali (p,b) e le apico-dentali (t,d), sono spesso i suoni consonantici acquisiti più rapidamente. Di massima seguono le occlusive velari (/k/ ; /g/), poi le fricative labiodentali (/f/; /v/). Gli altri suoni verranno acquisiti abbastanza rapidamente ma altri, come /r/; /s/ e talvolta /l/ possono risultare difficili fino anche a cinque anni. L’acquisizione completa delle abilità fono-articolatorie nel bambino normale viene terminata, in spontaneo, intorno ai sette – otto anni, questo soprattutto per gli aspetti co-articolatori. Le difficoltà di articolazione delle consonanti, infatti, non dipendono solo dal suono in se stesso ma anche e soprattutto dalla posizione che occupano nella stringa fonetica, ovvero vengono condizionati dalla complessità dei suoni che precedono e seguono il fono in questione. Questa maturazione è strettamente legata a dinamiche interne ad ogni singolo bambino, con una grande differenza interindividuale. Ciascun bambino raggiunge la competenza fonetica e fonologica in maniera “personale” perché sottoposto ai vincoli della lingua di appartenenza, all’input linguistico effettivamente erogato al piccolo (ambiente linguistico familiare), alla verbalità richiesta dalle relazioni che strutturano l’ambiente sociale che circonda il bambino. Le variazioni articolatorie non sono casuali, esse rispecchiano la capacità di controllare l’assemblaggio di tutte le caratteristiche di un fono e, pertanto, quelle più complesse o di difficile disambiguazione per un dato bambino possono essere soppresse o modificate nella motricità della parola. Le caratteristiche fonemiche che individuano un suono linguistico sono i tratti distintivi. Essi sono gli engrammi mentali che la nostra mente utilizza per identificare i suoni o per controllare la produzione motoria dei foni. Sono, cioè le rappresentazioni degli indici acustici della parola (caratteristiche fisiche) nella nostra mente.
Quando un bambino nel tentativo di riprodurre la parola dell’adulto semplifica la stessa, non perché non sa riprodurre isolatamente i singoli suoni, ma perché non ne controlla le caratteristiche in rapida successione, si dice che fa uso dei processi fonologici. I processi fonologici sono delle strategie attive messe in atto inconsapevolmente dal piccolo (aspetti modulari della funzionalità della mente) che gli permettono di raggiungere con sempre maggiore precisione il bersaglio fonetico (la parola parlata). I processi fonologici possono essere divisi in due principali classi: i processi di struttura e i processi fonotattici.
I primi, ovvero quelli di struttura, esprimono l’operatività neurolinguistica sulle caratteristiche del singolo fonema inteso come fascio di tratti distintivi, ne modifica le caratteristiche fono-articolatorie determinando una semplificazione dello stesso, ma al contempo permettendo una stabilità articolatoria e percettiva della parola concede al piccolo la possibilità i confrontare, in maniera implicita, target fonetico dell’adulto e la propria produzione con la finalità di un continuo rimaneggiamento fonetico e definizione fonetica.
Si esemplificano alcuni processi di struttura:
- processi di stopping, es: /vino/ -----> [bino]; /suono/ ----> [tuono].
In questo caso la caratteristica del tratto distintivo [continuo + ] viene realizzato come [occlusivo +]. Si verifica con ampia frequenza fino ai 28-30 mesi per estinguersi attorno ai 36 mesi con frequenza inferiore a 3 su 10 occorrenze
- processi di anteriorizzazione, es: /kubo/ ---> [tubo]; /gufo/ ---> [tufo].
In questo caso una articolazione posteriore viene resa anteriore ma con la stessa modalità articolatoria. Si verifica con ampia frequenza dai 20 ai 28 mesi con tendenza alla riduzione attorno ai 30 – 32 mesi.
- processi di semplificazioni di liquide, es: /lei/ ----> [ej]. Il processo può estinguersi anche
dopo i 40 –44 mesi, soprattutto in contesti complessi.
Si esemplificano alcuni processi fonotattici:
- cancellazione di sillaba atona, es: /ba’nana/ ---> [‘nana]. Il tempo di estinzione poco superiore ai 32 mesi.
- Armonia consonantica, es: /ka’f:e/ ---> [fe’fe]. Periodo di estinzione inferiore ai 30 mesi.
- Riduzione gruppi consonantici complessi,es: /’testo/ ---> [‘tet:o]. Il periodo di estinzione può superare i 40 mesi.
Si riporta un esempio di progressione fonotattica per il target fonetico /kas’tel:o/.
A 20 mesi il bambino può produrre [‘tel:o], fa ciò perché non può controllare una sequenza così lunga e complessa. Il processo fonotattico che può essere richiamato per tale operazione è quello della cancellazione di sillaba atona iniziale.
Ai 24 mesi tale produzione può essere modificata in [te’tel:o], con un processo di anteriorizzazione per la prima sillaba e semplificazione di un gruppo consonantico.
Ai 26 mesi la produzione può evolvere in [ka’tel:o] mantenendo un semplice processo di semplificazione di gruppo consonantico complesso.
Ai 32 mesi la maturità fonologica per il target è raggiunta con frequenza 2 su 3 occorrenze per [kas’tel:o], mancherà a questo punto la sola generalizzazione per tutte le occorrenze.
La maggioranza degli autori sottolinea come l’acquisizione della competenza fonologica (estinzione dei processi fonologici sia a carattere di struttura che di combinazione) deve avvenire entro l’età dei 48 mesi. Variazioni rispetto a questa età indicano una sicura difficoltà nella gestione delle rappresentazioni dei fonemi e dei loro costituenti (i tratti distintivi). Questa immaturità fonologica è espressione di una difficoltà nel disambiguare le caratteristiche dei singoli suoni linguistici e quindi di identificare nuovi elementi del sistema fonologico di appartenenza. Ciò determina, conseguentemente, un non corretto e fluido controllo nella implementazione del fascio dei tratti distintivi per i vari fonemi, nonché una difficoltà per la loro rapida combinazione. Un ritardo nella acquisizione completa della fonologia che, ricordiamo, si compie in via automatica, geneticamente determinata e modularmene caratterizzata determina uno slittamento di quel processo lungo e complesso di controllo rappresentazionale dei suoni linguistici che prende il nome di competenza meta-fonologica.
Le varie teorie sull’apprendimento della lettura sottolineano come debba essere soddisfatta la tappa di acquisizione della meta-fonologia che diviene, nei sistemi linguistici alfabetici, il ponte neuropsicologici per le associazioni biunivoche tra fonema- grafema.
Una acquisizione imprecisa e ritardata della competenza meta-fonologica determina uno slivellamento cronologico a sfavore dei meccanismi dei processi di lettura. Tale desincronizzazione si ripercuote sfavorevolmente sulle iniziali abilità di lettura determinando disarmonie, a volte non riducibili, nei sistemi neuropsicologici chiamati in gioco.
Da quanto espresso dalle diverse posizioni teoriche si evince una sicura indicazione che lega i casi di disturbo specifico di linguaggio (DSL) ai casi di disturbo specifico di apprendimento (DSA) con particolare riguardo alla DE. Pertanto una maggiore e puntuale conoscenza dei meccanismi normali e patologici dello sviluppo del linguaggio consentirà, non solo a livello riabilitativo ma anche pedagogico e didattico, di intervenire e sorreggere in maniera competente e stimolante il bambino con difficoltà di apprendimento.
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Fonte: http://www.ctifano.it/dislessiaevolutivaMichelizza.doc
Autore del testo: B. Michelizza
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Dislessia disturbi dell'apprendimento
LA DISLESSIA A SCUOLA parole chiave
BULLISMO: secondo uno studio canadese gli alunni con dislessia sono più sovente vittime di episodi di bullismo e una rilevazione in Grecia evidenzia un tasso di suicidio più elevato negli adolescenti dislessici.(Naldini C. 2007)
CARATTERISTICHE DI STAMPA: Larghezza delle colonne: Seguire il testo con lo sguardo è più facile su due colonne in quanto la distanza tra fine e inizio riga è più corta. E’ consigliabile evitare periodi eccessivamente lunghi. Font: Arial e Verdana sono consigliati. E’ preferibile il testo non giustificato e allineato a sinistra solamente, per facilitare l’orientamento visivo del soggetto.
COMPAGNI DI SCUOLA: gli studenti dislessici si rendono conto del loro problema e cercano di nasconderlo ai loro compagni per non essere emarginati: preferiscono apparire come impertinenti e spiritosi o fanno finta di niente e a casa lavorano tantissimo oppure si chiudono in se stessi. Bisogna incoraggiare le relazioni con i compagni e la partecipazione ad attività extrascolastiche nelle quali possono riuscire.
COMPAGNO TUTOR: uno o più compagni volontari e capaci, a turno, in grado di affiancare e supportare le abilità organizzative dello studente dislessico nella tenuta del diario e nel seguire le lezioni (ad es. nella correzione dei compiti per casa, mostrare il segno durante la lettura, tenersi aggiornati sulle scadenze e sul programma in corso).
DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITA’/DISTRAIBILITA’ (ADHD - Attention Deficit Hyperactivity Disorder): spesso collegati, esprimono l’instabilità dell’attenzione e l’irrequietezza motoria con facile distraibilità dal compito in corso.
DIAGNOSI DI DISLESSIA: effettuata da neuropsichiatra e/o psicologo a partire dalla seconda elementare quando i bambini passano dallo stadio alfabetico allo stadio ortografico, in cui le abilità della lettura e scrittura vengono automatizzate.
DIDATTICA FLESSIBILE: che si adatta agli utenti ed alle circostanze avvalendosi di apporti da diverse metodologie anziché di una sola prevalentemente.
DISABILITA’ INVISIBILE (DISLESSIA): il fatto che la dislessia evolutiva non sia una menomazione visibile è l’origine della confusione tra mancanza di impegno e reale svantaggio di fronte ai segni scritti. Questa confusione costituisce una beffa per lo studente dislessico e provoca un abbassamento della sua autostima con conseguente demotivazione.
DISLESSIA EVOLUTIVA (DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO): è una disabilità di origine neurobiologica che interessa l’apprendimento della lingua e della letto-scrittura e che può evolvere nel tempo. Consiste in un disturbo dell’automatizzazione della corrispondenza tra segni e suoni. La dislessia evolutiva si associa spesso in età pre-scolare con ritardo del linguaggio, scarsa lateralizzazione, cattivo controllo motorio. Le neuro immagini come la PET (tomografia ad emissione di positroni) o la RMF (risonanza magnetica funzionale) hanno consentito di evidenziare che i dislessici svolgono le stesse operazioni dei non dislessici con aree del cervello non originariamente destinate a farlo. E’ necessario un tempo più lungo perché il nostro sistema cerebrale impari a svolgere una funzione con altre aree. Per questo motivo si verifica la persistenza degli errori e delle difficoltà di letto-scrittura nel tempo e il principio allenamento = miglioramento risulta inefficace. Il bambino con DSA non acquisisce stabilmente il risultato del suo apprendimento e spesso una nuova acquisizione si fa a scapito di una vecchia. La dislessia evolutiva interessa dal 3 al 5% degli alunni italiani (rispetto al 10 – 15% degli inglesi) e si presenta come difficoltà nella lettura e scrittura, ovvero come disortografia o alterazione nella correttezza della scrittura, come disgrafia o grafia impacciata ed illeggibile ed interessa anche la discalculia o difficoltà con i numeri e il calcolo. Inoltre può essere associata alla disnomia che riguarda l’alterazione nella memorizzazione di parole nuove o specialistiche ed alla disprassia che è un problema nella coordinazione e nel movimento: interessa le alterazioni nella motricità quali disgrafia, goffaggini, problemi spazio-temporali.
DISLESSICI FAMOSI: sono più numerosi nel mondo anglosassone a causa delle maggiori difficoltà della lingua inglese e della maggiore sensibilità al problema: Tom Cruise, Steven Spielberg, Magic Johnson. Willem J. KOLFF (inventore della dialisi e creatore di organi artificiali) : “A scuola avevo difficoltà nel fare lo spelling, ancora oggi non posso dire se una parola ha la doppia o no. Questo mi tormentò molto. C’era un insegnante con il quale avevo dei problemi. Il mio compito venne escluso dall’esame finale perché l’insegnante mi ritenne responsabile dei miei errori di ortografia; era convinto che fare questi errori fosse una cosa deprecabile … Purtroppo all’epoca la dislessia era completamente sconosciuta, ma ho imparato a convivere con essa. Mi piace avere un segretario che può scrivere al posto mio… “ (Grenci R. 2004). YEATS W. B. (scrittore irlandese):”…Dovevo dedicare l’intera serata a una lezione, se volevo impararla. I miei pensieri erano in grande eccitazione, ma quando cercavo di fare qualcosa con loro era come cercare di stipare una mongolfiera in un capannone con un forte vento. Ero sempre l’ultimo della classe e mi scusavo sempre; ciò accresceva la mia timidezza…Mio padre era un insegnante collerico e intollerante e scagliava il libro di lettura sulla mia testa” (Grenci R., 2004).
EMOZIONI NEGATIVE DEGLI STUDENTI DISLESSICI: Autostima: il susseguirsi di risultati negativi a scuola è psicologicamente devastante per lo studente che si sente inferiore ai compagni e diventa più svogliato. L’ atteggiamento compassionevole o ostentatamente indifferente causa ansia da prestazione, atteggiamenti rinunciatari e perdita di fiducia in se stesso. Disagio: i dislessici non riescono ad adattarsi al metodo utilizzato per tutti ma abbisognano di un adattamento della didattica alle loro risorse. Frustrazione: il dislessico prova la frustrazione di sentirsi intelligente e nello stesso tempo incapace di fare una cosa come leggere, che risulta così semplice ad altri. Tale frustrazione porta gli studenti dislessici a non avere un progetto di vita definito per il futuro e può disturbare le relazioni sociali. Disturbi della condotta: l’adolescente dislessico ha spesso paura di non farcela e di non essere in grado di far fronte alle nuove attività che gli vengono proposte (Stella G. 2004). Inoltre la lettura inadeguata è fonte di possibili comportamenti antisociali o oppositivi che possono sfociare in abbandono scolastico. Evitamento: Il ragazzo dislessico, consapevole delle proprie difficoltà, tende a sfuggire le situazioni che richiedono una decodifica del testo scritto: questo comprensibile evitamento viene spesso attribuito a svogliatezza e gli errori definiti come “sbadataggine” o “poca voglia di impegnarsi”. Invece, riuscire a fare i compiti a casa fa parte della naturale ricerca di gratificazione ed è un impulso fondamentale. Perciò non bisognerebbe rimproverare ed accusare, ma chiedersi che cosa ostacola la naturale inclinazione a produrre. (Levine M. 2005).
GRADUALITA’ DI INTRODUZIONE DI ELEMENTI NUOVI: è necessario facilitare il consolidamento dell’ apprendimento introducendo gradualmente ogni elemento nuovo in ordine di difficoltà e separatamente dalle sue variabili, perché altrimenti si condanna l’alunno dislessico ad una inesorabile, faticosa e spesso infruttuosa rincorsa poiché non può svolgere diverse operazioni contemporaneamente. Richiedere un compito che necessiti molti sottocompiti che già dovrebbero essere stati automatizzati in precedenza, significa proporre una richiesta cognitiva eccessiva.
LAVAGNA: copiare dalla lavagna è, per un dislessico , come scrivere guardando la scritta allo specchio (Grenci R. 2007).
LIBRI ELETTRONICI (libri parlati, e-books): permettono l’accesso al contenuto senza passare dalla lettura.
LINGUA OPACA: Esempi di lingua opaca (non fonetica) in ordine di difficoltà decrescente: portoghese+++, inglese++, francese++
LINGUA TRASPARENTE: Esempi di lingua trasparente (fonetica) in ordine di facilità crescente: spagnolo-, italiano--, finlandese---.
LIVELLO PROSSIMALE: la Zona di Sviluppo Prossimale (ZSP) ovvero l'apprendimento più produttivo, è la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore. In quest’ottica, ai fini della competenza, ciò che conta è il processo di apprendimento in atto piuttosto che il suo risultato.
MEMORIA DI LAVORO: memorizza i dati necessari alle operazioni mentali e condiziona il successo della lettura e del calcolo. La carenza di memoria di lavoro spiega perché i dislessici riescano meglio nelle prove a risposta chiusa rispetto alle risposte aperte.
MESSAGGIO VERBALE: poiché i dislessici elaborano il messaggio verbale con ritardo, vivono una lezione normale come se fosse veloce e, se sottoposti a domande successive , risponderanno in differita o si sentiranno incalzati ed in difficoltà (videocassetta AID: “Come può essere così difficile?”).
METODO DI INSEGNAMENTO: il metodo di insegnamento non ha alcun effetto sull’origine della dislessia ma può facilitare l’apprendimento o complicarlo ulteriormente.
MOVIMENTI OCULARI: I dislessici sono in grado di compiere movimenti oculari adeguati ma solo mobilitando enormi risorse cognitive, lasciando poche risorse per la decodifica delle parole e per la decodifica del testo. In confronto ai lettori normali i dislessici compiono maggiori fissazioni (lo sguardo si ferma) e queste durano più a lungo ed inoltre fanno molti più movimenti oculari di regressione (lo sguardo torna indietro più volte). I movimenti oculari dei dislessici sono una conseguenza e non una causa delle loro difficoltà di lettura.
PATENTE: Il dislessico può presentare la diagnosi di dislessia ed ottenere di passare l’esame sia per il motorino che per la patente di guida in forma orale, con l’esaminatore che legga i quesiti.
PATTERN DI SVANTAGGIO: Secondo Granara A.M. (2002), la scarsa abilità di lettura crea ulteriori svantaggi nello studente, influenzando l’efficienza dello sviluppo di altri processi cognitivi. La disabilità di lettura porta a un declino relativo della abilità di linguaggio, spesso a torto penalizzata da una valutazione prevalentemente sommativa.
PREMI E PUNIZIONI: Grazie alle teorie psicologiche associazionistiche si sa che se una risposta viene rinforzata positivamente essa tende a ripetersi, mentre se viene rinforzata negativamente tende ad estinguersi. Il premio può essere un incentivo nella consapevolezza del controllo delle proprie azioni. Infatti gli studenti convinti di potercela fare si impegnano di più rispetto a quelli convinti di non poter influenzare le circostanze esterne (Levine M. 2005). Lodare lo studente non solo quando riesce in una prestazione ma anche quando ci ha provato e non ci è riuscito, rafforza comunque la sua autostima (Reid G. 2006).
RAPIDITA’ DI LETTURA: viene misurata in termini di sillabe/secondo. Si parla di dislessia a partire da un ritardo di due anni scolastici (o deviazioni standard) rispetto alla media.
RASSEGNAZIONE O IMPOTENZA APPRESA: consiste nella ridotta aspettativa di successo prima del compito, minore persistenza nel compito, attribuzione di causa interna per gli insuccessi ed esterna per i successi e minore aspettativa di successo conseguentemente a un compito non riuscito. (Mugnaini D. 2008)
RESILIENZA: la capacità del soggetto di utilizzare le proprie risorse adattive per far fronte ai fattori di stress deve essere uno degli obiettivi di intervento per affrontare le difficoltà scolastiche (Morrison G.M. 2006). Secondo Cornia M.C. (2005) e Penge (in Marigonda 2006) bisogna lavorare sull’accettazione della diagnosi, per evitare oscillazioni tra onnipotenza e disfatta, supportando un buon livello di autostima e valorizzando gli aspetti formativi dell’apprendimento (competenze) e non sommativi (di prestazione).
RIABILITAZIONE: La possibilità di recuperare le disabilità di apprendimento è legata alla diagnosi precoce ed all’intervento riabilitativo tempestivo.
STILI DI APPRENDIMENTO O STILI COGNITIVI: La didattica flessibile permette di compensare l’eventuale incompatibilità tra stile cognitivo e metodo di insegnamento univoco. Per Thomas G. West, i dislessici “hanno un modo di pensare più visuale, procedono cioè per associazioni di immagini e mostrano un approccio più globale ai problemi. L’alfabetizzazione visuale è la base delle nuove tecnologie. I dislessici hanno estrema difficoltà nella lettura, ma se gli stessi dati sono organizzati in un sistema diverso, che può essere una figura, una mappa o altre forme di visualizzazione, ecco che riescono a capire l’informazione con maggiore facilità”. A maggior ragione, un metodo multisensoriale che faccia appello a vista, udito, tatto e movimento potenzia il loro apprendimento.
STRATEGIE DI COMPENSO: quando alcune funzioni deficitarie o assenti non sono recuperabili, diventa prioritario ricercare strategie per individuare strade alternative. Alcuni studi hanno verificato come le capacità funzionali del cervello vengano modificate grazie alla formazione di nuove connessioni neuronali e all’aumento del numero e dell’efficienza delle sinapsi. Viceversa vengono eliminate tutte le vie neuronali che rimangono inutilizzate (Doidge N. 2007). (Giedd J.2005)
STRESS SCOLASTICO: derivante da una didattica inappropriata, competitiva e con giudizi negativi plateali, non riconoscimento dello sforzo e delle difficoltà reali, mancanza di indicazioni precise di recupero e di progettualità, sovraccarico di compiti, disinteresse per le frustrazioni del soggetto, indisponibilità ad aiutare, mancata valorizzazione delle aree di riuscita. (Mugnaini D. 2008).
VALUTAZIONE DIFFERENZIATA : è necessaria perché consente di distinguere le abilità dalle competenze, di valutare l’impegno e non solo il risultato finale. (Stella G.2004), (Volpato A.2009).
VALUTAZIONE INCORAGGIANTE o FORMATIVA : accettare i risultati positivi come validi per il voto anche quando si presentano in occasioni spontanee, non durante le prove ufficiali (Bombardelli O. 2002). Valorizza le modalità di verifica più consone all’alunno. Gli permette, ad esempio, di spiegare a voce cosa voleva dire allo scritto, di rifare una verifica dopo l’ analisi degli errori o di sostenere una prova orale in compensazione della prova scritta negativa. Permette le interrogazioni programmate ed eventualmente lo svolgimento a tappe anziché in un’unica prestazione, sfruttando meglio le capacità attentive limitate nel tempo dell’ alunno: l’importante è incoraggiare il processo di apprendimento, non sanzionarlo. Individua, riconosce e valorizza le risorse ed i punti di forza dell’alunno .
VALUTAZIONE NON DISCRIMINANTE: tiene conto della disabilità e non calcola gli errori di trascrizione, gli errori ortografici, il tempo impiegato, tiene conto del punto di partenza e dei risultati conseguiti in itinere, premia i progressi e gli sforzi. (Grenci R. 2007). Riconosce che la verifica è un’istantanea che non riesce sempre a rendere giustizia delle conoscenze realmente acquisite o in via di acquisizione nella prospettiva di fine ciclo ed ancor meno in relazione agli stili di apprendimento dei singoli alunni; oltretutto è spesso fortemente condizionata dal metodo di insegnamento. Verifiche /interrogazioni: vanno programmate con congruo anticipo (quelle orali compensano gli scritti per le lingue straniere e materie orali) e dovrebbero essere formulate con domande circoscritte e univoche (ad es. niente doppie negazioni), presentare richieste suddivise per argomento, preferibilmente strutturate, partendo dalle richieste più facili e aumentando gradualmente le difficoltà, prevedere l’utilizzo di mediatori didattici, prevedere tempi personalizzati per la risposta, privilegiare il contenuto rispetto alla forma, essere supportate da un atteggiamento incoraggiante.
VOGLIA DI APPRENDERE: deriva dall’incoraggiamento e gratificazione quando si fanno sforzi e progressi, e dal considerare l’errore come parte integrante e naturale del processo di apprendimento.
Bibliografia
AID : videocassetta “Come può essere così difficile?”, www.aiditalia.org/it, www.biblioaid.it
Doidge Norman, Il cervello infinito, Ponte delle Grazie, 2007
Giedd Jay et al., The Adolescent Brain, a Work in Progress, 2005
Grenci Rossella, La dislessia dalla A alla Z, libri liberi, 2007
Reid Gavin, Il dono della dislessia, Armando editore, 2006
Stella Giacomo, La dislessia, Il Mulino, 2004
West Thomas G., In the Mind’s Eye, Thinking like Einstein,
blog: “in the Mind’s Eye, Dyslexic Renaissance”
Fonte:http://comenius-sepia.appspot.com/content/docs/dislessia/GLOSSARIO-DSA-Dislessia-a-scuola.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Dislessia disturbi dell'apprendimento
Dislessia
La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) ed ha la sua maggiore manifestazione nella difficoltà dei soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce. Tali difficoltà non possono essere ricondotte ad insufficienti capacità intellettive, a mancanza d'istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.
Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologia stessa del cervello. La dislessia non è una malattia o un problema mentale. La definizione più recente, approvata dall'International Dyslexia Association è la seguente:
"La dislessia è una disabilità dell'apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di una adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura che può impedire una crescita del vocabolario e della conoscenza generale".
Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la dislessia e gli altri disturbi specifici di apprendimento come disabilità per cui non è possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.
Se questo problema non viene identificato nei primi anni della scuola primaria, tramite la valutazione di un esperto nel campo dei Disturbi dell'Apprendimento, le conseguenze possono risultare di una certa gravità. Se il bambino dislessico è sottoposto a un metodo d'apprendimento usuale, egli riuscirà solo con un grande dispendio di energia e concentrazione a ottenere risultati che per i suoi compagni e per il suo maestro sono quasi banali. Durante la scuola dell'infanzia è possibile effettuare una valutazione dei prerequisiti per l'abilità di lettura, per poter intervenire precocemente e rafforzare delle competenze eventualmente carenti. Anche se la diagnosi di Dislessia può essere fatta solo in classe seconda o terza della scuola primaria, i segnali del disturbo possono essere colti molto prima (quando il bambino affronta l'apprendimento della lettura e della scrittura) ed è opportuno intervenire subito; aspettando, la difficoltà aumenta. I maschi tendono ad esternare di più un problema rispetto alle femmine che cercano di celarlo. I problemi maggiori nascono quando i bambini dislessici non vengono compresi, poiché spesso passano per pigri o addirittura per stupidi. Questo li porta spesso a perdere la propria autostima, a depressione, ansia, a crisi d'identità e molto spesso a rigettare in toto il mondo della scuola, rinunciando, in questo modo, a molte possibilità che la loro capacità di memoria standard gli consentirebbe.
Come si manifesta la dislessia
La dislessia si può presentare in modalità molto diverse da soggetto a soggetto; di seguito le caratteristiche più comuni relative alla decodifica della singola parola o del testo scritto. Queste possono non essere tutte presenti contemporaneamente.
* Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio:
Il soggetto mostra chiare difficoltà nel discriminare grafemi uguali o simili, ma diversamente orientati. Egli, ad esempio, confonde la “p” e la “b”; la “d” e la “q”; la “u” e la “n”; la “a” e la “e”; la "b" e la "d"... Nell'alfabeto italiano sono molte le coppie di grafemi che differiscono rispetto al loro orientamento nello spazio, per cui le incertezze e le difficoltà di discriminazione possono rappresentare un vero e proprio impedimento alla lettura.
* Scarso discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari:
Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi che presentano somiglianze. Egli, ad esempio può confondere la “m” con la “n”; la “c” con la “e”; la “f” con la “t”...
* Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori:
Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo – uditive. L’alfabeto è composto di due gruppi di fonemi: i fonemi sordi e i fonemi sonori che, tra loro risultano somiglianti, per cui, anche in questo caso l’incertezza percettiva può rappresentare un vero e proprio ostacolo alla lettura. Le coppie di fonemi simili sono le seguenti:
F V
T D
P B
C G
L R
M N
S Z
* Difficoltà di decodifica sequenziale:
Leggere richiede al lettore di procedere con lo sguardo in direzione sinistra - destra e dall'alto in basso; tale processo appare complesso per tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura, ma, con l’affinarsi della tecnica e con l'uso della componente intuitiva la difficoltà diminuisce gradualmente fino a scomparire. Nel soggetto dislessico talvolta ci troviamo di fronte, invece a un vero e proprio ostacolo nella decodifica sequenziale, per cui si manifestano con elevata frequenza gli errori di seguito descritti:
o Omissione di grafemi e di sillabe:
Il soggetto omette la lettura di parti della parola; può tralasciare la decodifica di consonanti (ad esempio può leggere “fote” anziché “fonte”; oppure “capo” anziché “campo”...) oppure di vocali (può leggere, ad esempio, “fume” anziché “fiume”; “puma” anziché piuma” ...) e, spesso, anche di sillabe (può leggere “talo” anziché “tavolo”; “paro” anziché “papavero”)
o Salti di parole e salti da un rigo all’altro:
Il soggetto dislessico presenta evidenti difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo, per cui sono frequenti anche “salti” di intere parole o di intere righe di lettura.
o Inversioni di sillabe:
Spesso la sequenza dei grafemi viene invertita provocando errori particolari di decodifica della sillaba (il soggetto può, ad esempio, leggere “li” al posto di “il”; “la” al posto di “al”, “ni” al posto di “in”...) e della parola (può leggere, ad esempio, “talovo” al posto di “tavolo”...).
o Aggiunte e ripetizioni
La difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra - destra può dare origine anche ad errori di decodifica caratterizzati dall'aggiunta di un grafema o di una sillaba ( ad esempio “tavovolo” al posto di “tavolo”...).
* Prevalenza della componente intuitiva:
Il soggetto che presenta chiare difficoltà di lettura privilegia, indubbiamente, l’uso del processo intuitivo rispetto a quello di decodifica; l’intuizione della parola scritta rappresenta un valido strumento, ma, al tempo stesso, è fonte di errori, definiti di anticipazione. Non di rado, infatti, il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo del primo grafema o della prima sillaba e procede “inventando” l’altra parte. La parola contenuta nel testo viene così ad essere spesso trasformata in un’altra, il cui significato può essere affine o completamente diverso.
Evoluzione della dislessia
Nel primo anno delle elementari il bambino dislessico ha difficoltà ad acquisire l'alfabeto e le mappe grafema-fonema.
Dalla seconda alla quarta risulta difficile accedere alle mappe e analizzare i fonemi.
Dalla quinta alle scuole medie il bambino si basa su un metodo di accesso automatizzato al linguaggio, la lettura rimane stentata e vi è una scarsa decodifica e comprensione.
Possibili ripercussioni sulla scrittura
* Difficoltà di copiatura dalla lavagna a causa della lenta o scorretta decodifica
Possibili ripercussioni sull'apprendimento logico - matematico [modifica]
* Difficoltà di decodifica del testo del problema.
Dislessia e difficoltà semplici della lettura
La dislessia si riconosce per la presenza di caratteristiche, più o meno presenti, sopra descritte, che impediscono o ostacolano fortemente il processo di decodifica.
Le difficoltà semplici di lettura si riconoscono per la presenza di uno o di alcuni degli elementi di riconoscimento sopra descritti, ma gli ostacoli alla conquista di adeguate tecniche di lettura risultano superabili attraverso l’esercizio graduato, la proposta di attività coinvolgenti e stimolanti, la sollecitazione delle curiosità del soggetto, lo sviluppo di capacità di base talvolta non adeguatamente interiorizzate all'ingresso della scuola elementare.
Le difficoltà semplici di lettura sono dovute, quasi sempre, a un ritardo maturazionale, a lievi difficoltà percettivo - motorie, a un inadeguato bagaglio di esperienze, a scarso investimento motivazionale, ma anche ad errori didattico - pedagogici che i docenti compiono sia nelle prime proposte didattiche relative all'approccio alla lingua scritta che, successivamente, negli itinerari di recupero conseguenti all'accertamento delle difficoltà stesse.
Tipologie di Dislessia
La lettura può passare per diverse vie:
* la via fonologica che dalla percezione visiva passa per la conversione grafema fonema e quindi per il buffer fonemico. E' una via più lenta perché ogni fonema viene letto singolarmente.
* la via lessicale non-semantica che dalla percezione visiva passa per il lessico ortografico di input e giunge al lessico fonologico di output e quindi al buffer fonemico. Si basa sulla lettura della parola intera basandosi sull'elaborazione parallela.
* la via lessicale semantica va dalla percezione visiva al sistema semantico al buffer fonemico. Si utilizza in presenza di parole conosciute.
Nell'apprendimento della lettura il bambino attraversa vari stadi, corrispondenti all'acquisizione delle differenti vie:
* Stadio logografico: il bambino elabora le proprietà salienti della parola;
* Stadio alfabetico: si realizzata l'associazione grafema-fonema, si leggono nuove parole;
* Stadio ortografico: si comincia ad eseguire elaborazioni in parallelo e a leggere la parola per intero, applicando regole fonologiche;
* Stadio semantico: si attiva la via lessicale semantica, la lettura diviene molto più fluente.
A queste diverse vie si associano differenti disabilità nella lettura.
E' possibile classificare la dislessia in:
* superficiale: sono compromesse le vie lessicali ma la lettura, seppur stentata, è possibile;
* fonologica: è compromessa la via fonologica perché manca una corretta associazione grafema/fonema, ma la via ortografica non è compromessa;
* profonda: la via semantica è compromessa e si effettuano delle parafasie semantiche.
Alcune proposte per la terapia
La diagnosi di dislessia viene confermata quando un maggiore aiuto a casa e a scuola non porta ad un rapido miglioramento. Come già affermato, il soggetto dislessico necessita di un intervento specialistico, in quanto, difficilmente, il recupero effettuato in ambito scolastico può, da solo, rimuovere le difficoltà.
Nel corso di anni si è parlato molto di dislessia e, da un punto di vista diagnostico, grazie agli studi effettuati, l'Italia può definirsi all’avanguardia dal punto di vista specialistico, nonostante ciò l'informazione e la formazione degli insegnanti non è sufficiente e spesso non riconosce il problema. Poco invece si descrive rispetto ai possibili percorsi terapeutici, per l’elaborazione dei quali è necessario tenere presente i risultati dell'osservazione diagnostica.
Ogni percorso terapeutico deve essere personalizzato in relazione alle caratteristiche psicologiche del soggetto, agli ambiti di competenza, potenzialità e difficoltà riscontrati, ai tempi di attenzione, ai livelli motivazionali e di metacognizione individuati. Le linee guida prevedono due itinerari da portare avanti parallelamente:
a) itinerario relativo alle competenze di base percettivo – motorie e meta - fonologiche
b) itinerario specifico per la lettura
Il primo itinerario è finalizzato alla riduzione delle lacune riscontrate nelle capacità di base; il secondo itinerario ha invece lo scopo di promuovere la conquista di capacità di lettura più adeguate. È importante quindi che i due itinerari siano proposti parallelamente e con gradualità, per evitare di rimandare nel tempo la conquista di quelle capacità di lettura che possono gratificare il bambino. Quest’ultimo dovrà essere informato circa il lavoro da svolgere, anzi, egli stesso dovrà conoscere gli obiettivi che, di volta in volta, dovranno essere raggiunti; in questo modo gli sarà possibile essere protagonista e, al tempo stesso, “osservatore” dei propri processi di apprendimento.
Dislessia e disagio psicologico
È frequente che le difficoltà specifiche di apprendimento non vengano individuate precocemente e che il bambino sia costretto a vivere una serie di insuccessi a catena senza che se ne riesca a comprendere il motivo. Quasi sempre, i risultati insoddisfacenti in ambito scolastico vengono attribuiti allo scarso impegno, al disinteresse verso le varie attività, alla distrazione. Questi alunni, oltre a sostenere il peso della propria incapacità, se ne sentono anche responsabili e colpevoli. L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine ad una elevata demotivazione all'apprendimento e a manifestazioni emotivo-affettive particolari quali la forte inibizione, l’aggressività, gli atteggiamenti istrionici di disturbo alla classe e, in alcuni casi, la depressione.
Il soggetto con disturbo di apprendimento vive quindi il proprio problema a tutto tondo e ne rimane imprigionato fino a che non viene elaborata una diagnosi accurata che permette di fare chiarezza.
Possibili atteggiamenti del bambino dislessico
Proviamo, per un attimo, a metterci nei panni di un bambino o di un ragazzo con disturbo di apprendimento e immaginiamone le esperienze e gli stati d’animo:
* egli si trova a far parte di un contesto (la scuola) nel quale vengono proposte attività per lui troppo complesse e astratte;
* osserva però che la maggior parte dei compagni si inserisce con serenità nelle attività proposte ed ottiene buoni risultati;
* sente su di sé continue sollecitazioni da parte degli adulti (“stai più attento!”, ” Impegnati di più!”, “hai bisogno di esercitarti molto”…);
* si percepisce come incapace e incompetente rispetto ai coetanei;
* inizia a maturare un forte senso di colpa sentendosi responsabile delle proprie difficoltà;
* ritiene che nessuno sia soddisfatto di lui, né gli insegnanti né i genitori;
* ritiene di non essere all’altezza dei compagni e che questi non lo considerino membro del loro gruppo a meno che non vengano messi in atto comportamenti particolari (ad esempio quello di fare il buffone di classe);
* per non percepire il proprio disagio, mette in atto meccanismi di difesa che non fanno che aumentare il senso di colpa, come il forte disimpegno (“Non leggo perché non ne ho voglia!”, “Non eseguo il compito perché non mi interessa”…) o l’attacco (aggressività);
* talvolta il disagio è così elevato da annientare il soggetto ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura.
Possibili atteggiamenti dei familiari del bambini dislessico
In famiglia non si respira certo un’aria migliore. Per la maggior parte dei genitori la scuola è importante, è al primo posto nella vita dei bambini e dei ragazzi, tutto il resto viene dopo e, se la scuola va a rotoli… Non di rado si sente dire ai genitori rispetto alla difficoltà del figlio: “Non me lo aspettavo… mi è sempre sembrato un bambino intelligente…".
L'ingresso nella scuola elementare ha, in questi casi, fatto emergere un problema; il bambino non apprende come gli altri, gli altri sanno già leggere e scrivere, lui invece… Inizia così la storia del bambino – scolaro, una storia che, in certi casi, ha risvolti davvero drammatici, non si riesce a comprendere tutta quella serie di “perché” che permetterebbero di intraprendere percorsi adeguati ed efficaci e si cercano soluzioni spesso dannose, anche se decise in buona fede. Ecco allora che si sottopongono i figli ad estenuanti esercizi di recupero pomeridiano, si elargiscono punizioni (niente più sport, niente più PlayStation…) e, talvolta si arriva anche a far cambiare scuola al figlio (“quelle insegnanti non hanno capito nulla, meglio cambiare aria”).
Nonostante si parli molto di questi problemi, c’è ancora scarsa conoscenza e non sempre la diagnosi giunge in tempi accettabili, cosicché sia il bambino che la famiglia tutta vivono esperienze frustranti, generatrici di ansia e di un clima affettivo non certamente favorevole.
Comorbilità
Insieme alla dislessia possono presentarsi diverse altre problematiche più o meno collegate:
* Disgrafia ovvero la difficoltà di realizzare i grafemi manualmente in modo leggibile e fluente;
* Disortografia ovvero la difficoltà di rispettare le regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto;
* Discalculia ovvero la difficoltà di svolgere calcoli aritmetici a mente o su carta;
* Problematiche motorie.
Recenti ricerche
Secondo quanto riportato dal notiziario on line de Le Scienze, ricercatori della Scuola di Medicina dell'Università di Yale, hanno identificato un gene nel cromosoma umano 6, chiamato DCDC2, le cui alterazioni sarebbero associate alla dislessia. Secondo questi studiosi una mutazione genetica di DCDC2 condurrebbe a un difetto nella formazione dei circuiti cerebrali preposti alla lettura. L’alterazione genetica sarebbe ereditaria.
Disgrafia
La disgrafia è un disturbo specifico della scrittura nella riproduzione di segni alfabetici e numerici; può essere legata ad un quadro di disprassia, può essere secondaria ad una lateralizzazione incompleta, è caratterizzata dalla difficoltà a riprodurre segni alfabetici e numerici e infine riguarda esclusivamente il grafismo.
Emerge nel bambino quando la scrittura inizia la sua fase di personalizzazione, indicativamente (e solo genericamente) alla terza elementare. In genere il problema della scrittura disorganizzata viene sollevato dagli insegnanti elementari che lamentano la difficoltà di seguire il bambino nel suo disordine. Nelle due classi precedenti lo sforzo e il disordine sono in genere determinati dalla fatica dell'apprendimento, in terza elementare il gesto è abbastanza automatizzato da lasciar spazio alla spontaneità e, di conseguenza, all'evidenzazione della difficoltà. [senza fonte]
Evidenze tipiche
La mano dei bambini affetti da disgrafia scorre con fatica sul piano di scrittura e l'impugnatura della penna è spesso scorretta. La capacità di utilizzare lo spazio a disposizione per scrivere è, solitamente, molto ridotta: il bambino non rispetta i margini del foglio, lascia spazi irregolari tra i grafemi e tra le parole, non segue la linea di scrittura e procede in “salita” o in “discesa” rispetto al rigo. La pressione della mano sul foglio non è adeguatamente regolata; talvolta è eccessivamente forte (per eccesso di tensione) e il segno lascia un'impronta marcata anche nelle pagine seguenti del quaderno, talvolta è debole e la grafia è svolazzante (scarsa tenuta psicofisica). Il tono muscolare è spesso irrigidito o, al contrario eccessivamente rilasciato. Sono inoltre frequenti le inversioni nella direzione del gesto, che si evidenziano sia nell’esecuzione dei singoli grafemi che nella scrittura autonoma, che a volte procede da destra verso sinistra.
Il bambino disgrafico presenta difficoltà notevoli anche nella copia e nella produzione autonoma di figure geometriche (tende ad arrotondare gli angoli ed a non chiudere le forme). Anche il livello di sviluppo del disegno è spesso inadeguato all’età; la riproduzione di oggetti o la copia di immagini è molto generica ed i particolari risultano poco presenti.
La copia di parole e di frasi è scorretta; sono presenti inversioni nell'attività grafo-motoria ed errori dovuti a scarsa coordinazione oculo-manuale. La copia dalla lavagna è ancora più difficile, in quanto il bambino deve portare avanti più compiti contemporaneamente: distinzione della parola dallo sfondo, spostamento dello sguardo dalla lavagna al foglio, riproduzione dei grafemi.
Le dimensioni delle lettere non sono rispettate, la forma è irregolare, l'impostazione invertita, il gesto è scarsamente fluido, i legami tra le lettere risultano scorretti. Tutto ciò rende spesso la scrittura incomprensibile al bambino stesso, il quale non può quindi neanche individuare e correggere eventuali errori ortografici.
Anche il ritmo di scrittura risulta alterato; il bambino scrive con velocità eccessiva o con estrema lentezza, ma la sua mano esegue movimenti a “scatti”, senza armonia del gesto e con frequenti interruzioni: il movimento flessorio pronatorio/supinatorio della mano è disarmonico e influenza negativamente le inversioni del gesto (ad esempio nei risvolti e nei collegamenti) che perdono la naturale curvelineità. La velocità è alterata in entrambe le direzioni: la scrittura può farsi estremamente lenta (sintomo di enorme sforzo psicofisico) ma anche eccessivamente veloce (sintomo di una sovraeccitazione psiconervosa), le forme grafiche sono frammentate, le prassie scollegate tra loro, non sono rispettati gli equilibri della dimensione, spesso sono come "ammaccate".
In sintesi, la disgrafia è una anomalia del movimento corsivo e della condotta del tratto che si traduce in difficoltà di coordinamento, irregolarità delle spaziature, malformazioni e discordanze di ogni tipo associate ad un tratto di pessima qualità.
Sviluppo della Scrittura
Nel descrivere l'elaborazione cerebrale che sta dietro alla scrittura sono state evidenziate 2 vie principali:
* la via non-lessicale: dall'input auditivo si passa ad un'analisi acustico-fonologica, quindi alla conversione fonologica/ortografica e al passaggio di questa nel taccuino visuospaziale con il relativo output scritto.
* la via lessicale: dall'input auditivo si passa all'analisi acustico-fonologica, quindi al Lessico fonologico di input. Non si è ancora stabilito se vi sia un passaggio per il lessico ortografico o si passi direttamente al lessico semantico, quindi al taccuino visuospaziale e all'output scritto.
Una tipologia di disgrafia può dipendere da un deficit nella via non-lessicale, che può essere evidenziata con un test di scrittura delle non-parole.
Eziologia e abilità coinvolte
Le abilità di base coinvolte sono la coordinazione nel movimento, l'orientamento e l'organizzazione spazio-temporale, la coordinazione oculo-manuale, la consapevolezza dello schema corporeo, la memoria sequenziale, il linguaggio, il senso del ritmo (in genere immaturo), il processo di simbolizzazione (rallentato), la capacità di discriminazione suoni-segni. Può essere secondaria alla presenza di altri disturbi dell'apprendimento, ma non necessariamente è ad essi correlata: si può essere disgrafici e non dislessici né disortografici.
Le cause possono essere diverse: lesionali, turbe neurologiche minori (Disfunzioni Cerebrali Minime), deficit sensoriali, irregolarità della lateralizzazione, errata postura, errata percezione e organizzazione spaziale, problemi motori trascurati, emotività. Può concorrere ovviamente l'errato uso dello strumento scrittorio, insieme con la progessiva rarefazione, o proprio la mancanza, di una didattica adeguata e attenta a queste tematiche; sempre meno si insegna ai bambini "come" scrivere e ancor meno vengono impostati programmi mirati e duraturi di pregrafismo nelle scuole materne.
Non è stato ancora chiarito se si tratti specificamente di un disturbo modulare dell'apprendimento o se esso riguardi invece, in modo più ampio, i sistemi percettivo e/o cognitivo. Infatti, a differenza della dislessia, della discalculia e della disortografia (con la quale erroneamente è spesso identificata), la disgrafia coinvolge trasversalmente differenti competenze e può richiedere, oltre al trattamento specifico, anche un approccio terapeutico profondo.
Trattamenti rieducativi e recupero grafomotorio
La rieducazione alla scrittura può essere impostata fin dai sette-otto anni ed è possibile durante tutto l'arco della vita con risultati direttamente connessi alla motivazione ed all'età. Si sottopongono ad un percorso di recupero studenti universitari, professionisti che fanno della scrittura uno strumento professionale, persone che desiderano ritrovare la propria personalità grafica.
Recentemente sono stati impostati i primi studi per il recupero grafomotorio in adulti traumatizzati [1] che abbiano mantenuto una sufficiente capacità motoria dell'arto dominante e non abbiano subito danni definitivi al sistema cognitivo. I risultati sono definiti di interesse dagli studiosi perché il recupero, per quanto parziale, della propria grafia è per il paziente fonte di forte motivazione alla guarigione e potente strumento di autoverifica, oltre ad implicare l'aspetto fondamentale del recupero di una parte di sé, della propria identità che sembrava fosse ormai perduta [2]. Il metodo seguito in ogni caso è lo stesso adottato per i bambini della scuola dell'obbligo.
Del recupero della disgrafia si occupa il rieducatore della scrittura (o grafoterapeuta, secondo la scuola francese) che abbia conseguito un titolo accademico in Grafologia e frequentato il Master di specializzazione da "Rieducatori della scrittura" [3]. Il grafoterapeuta non fa una diagnosi medica, ma soltanto una diagnosi funzionale, vale a dire che si limita a descrivere il problema ed a risolverlo. Il metodo applicato è quello non invasivo di Oliveaux che garantisce un eccellente livello di riuscita terapeutica.
Della terapia si occupano altre discipline come la psicomotricità (ma si limita al movimento) e la logopedia (ma si limita all'aspetto "linguaggio"). Il grafoterapeuta rieducatore della scrittura segue un metodo specifico relativo alle funzioni simboliche, comuticative, rappresentazionali ed espressive della scrittura. Il grafoterapeuta non consiglia soluzioni alternative, non l'uso del computer né l'adozione dello stampatello, ma si attiva affinché ciascun individuo sia l'effettivo possessore della propria identità grafica che è data solo ed esclusivamente dal corsivo. In questo modo i risultati si strutturano e permangono nel tempo perché individualizzati.
La terapia sul bambino
Il bambino disgrafico potrebbe necessitare di un intervento specialistico, poiché il solo recupero effettuato in ambito scolastico può non essere sufficiente. Se il digrafico presenta problemi "altri" rispetto alla scrittura, come una dislessia o un problema neurologico, questi hanno la priorità di trattamento e deve essere indirizzato ad altre terapie specialistiche prima di affrontare la disgrafia.
Nel corso del XX secolo molti sono stati i metodi elaborati per la terapia della disgrafia; vari autori hanno espresso pareri contrastanti, ma, quasi sempre, si è considerato come unico rimedio l’esercizio ripetitivo, finalizzato al raggiungimento di una più adeguata coordinazione della mano, trascurando spesso la motricità globale e le attività percettive. Si è contestato che considerare esclusivamente gli aspetti grafici e grafo-motori fosse riduttivo rispetto alle lacune presenti nelle competenze di base coinvolte. Le esperienze sul campo in questo senso hanno inoltre lasciato supporre che possa verificarsi un miglioramento nell’esecuzione dei prodotti grafici, ma spesso, una volta abbandonato l’esercizio, la difficoltà si ripresenti, poiché le lacune che ne sono alla base non sono state sufficientemente ridotte.
Il progetto terapeutico deve essere personalizzato in relazione alle caratteristiche psicologiche del soggetto, agli ambiti di competenza, potenzialità e difficoltà riscontrati, ai tempi di attenzione, ai livelli motivazionali e di metacognizione individuati.
La capacità di porsi in relazione positiva e significativa da parte dell’operatore e la partecipazione attiva del soggetto sono considerati fattori necessari della terapia: il bambino viene in genere informato circa il lavoro da svolgere, anzi, egli stesso dovrà essere coinvolto nella formulazione degli obiettivi che, di volta in volta, sarà possibile raggiungere e nel monitoraggio del proprio lavoro. Rendendolo protagonista del proprio processo di sviluppo, si ritiene, potrà coinvolgersi attivamente nelle proposte, autogratificarsi per i piccoli progressi, non scoraggiarsi di fronte di fronte agli insuccessi né arrendersi davanti ad attività spesso un po’ noiose e ripetitive.
Programmi di intervento
Il programma di intervento proposto può essere suddiviso in due itinerari che devono essere portati avanti parallelamente:
* itinerario relativo allo sviluppo delle competenze di base
* itinerario specifico per la scrittura
Il primo itinerario è finalizzato alla riduzione delle lacune riscontrate nelle capacità di base; il secondo itinerario ha invece lo scopo di promuovere la conquista di capacità di scrittura più adeguate. I due percorsi sono in genere proposti parallelamente e con gradualità attraverso esercizi–gioco che richiedono lo sviluppo il potenziamento di singole competenze e attraverso esercizi–gioco che richiedono lo sviluppo e il potenziamento di più competenze insieme, per evitare di rimandare nel tempo la conquista di capacità di grafomotorie che possono gratificare il bambino, permettendogli di verificare che, anche a scuola, si iniziano a vedere risultati positivi.
Le competenze di base su cui è importante lavorare sono: percezione, organizzazione spazio–temporale, integrazione spazio–temporale (ritmo), conoscenza e rappresentazione dello schema corporeo, equilibrio e coordinazione, rilassamento, lateralità, coordinazione visuo–motoria e oculo-manuale.
L’itinerario specifico per la scrittura comprende attività relative a:
* impostazione dei grafemi e scrittura in stampato maiuscolo
* impostazione dei grafemi e scrittura in corsivo
Queste attività sono finalizzate alla riduzione delle difficoltà grafomotorie che interferiscono nella scrittura e alla graduale conquista di più adeguate competenze di comunicazione scritta. Nel corso delle attività di recupero può essere facilitante l’uso di quaderni colorati [4]che guidano sia alla corretta impostazione dei segni alfabetici che al rispetto dello spazio grafico.
Alcuni studiosi ritengono potenzialmente utile presentare il bambino alla scuola elementare con un piccolo corredo di esami diagnostici a verifica della funzionalità sensoriale (vista-udito) di modo che il programma educativo possa tener conto di eventuali piccoli deficit che, se non conosciuti e riconosciuti e trattati, potrebbero condurre allo sviluppo di un disturbo più generale.
Disortografia
La disortografia è un disturbo specifico della scrittura che non rispetta regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto non imputabile alla mancanza di esperienza o a deficit motori o sensoriali. Alla disortografia si affianca spesso la disgrafia che è un disturbo del ritmo neuromotorio della scrittura (nulla a che fare con la calligrafia) non sempre dipendente da altri disturbi specifici dell'apprendimento. I sintomi della disortografia possono essere omissioni di grafemi o parti di parola (es. pote per ponte o camica per camicia), sostituzioni di grafemi (es. vaccia per faccia; parde per parte), inversioni di grafemi (es. il per li; spicologia per psicologia).
La disortografia è la difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in simboli grafici; essa si presenta con errori sistematici che possono essere così distinti:
* confusione tra fonemi simili:
Il soggetto confonde cioè i suoni alfabetici che si assomigliano, ad esempio F e V; T e D; B e P; L e R, ecc.
* Confusione tra grafemi simili:
In questo caso il soggetto ha difficoltà a riconoscere i segni alfabetici che presentano somiglianza nella forma, ad esempio: b e p;
* Omissioni
E’ frequente che il soggetto tralasci alcune parti della parola, ad esempio la doppia consonante(palla- pala); la vocale intermedia( fuoco-foco); la consonante intermedia (cartolina-catolina).
* Inversioni
Questo tipo di errore riguarda le inversioni nella sequenza dei suoni all’interno della parole, ad esempio: sefamoro anziché semaforo.
La disortografia può derivare da una difficoltà di linguaggio, da scarse capacità di percezione visiva e uditiva, da un'organizzazione spazio-temporale non ancora sufficientemente acquisita, da un processo lento nella simbolizzazione grafica.
Abilità di base particolarmente compromesse:
* Difficoltà di linguaggio
* Scarse capacità di percezione e discriminazione visiva e uditiva
* Organizzazione e integrazione spazio-temporale non ancora acquisita
* Processo lento nella simbolizzazione grafica.
* Dominanza laterale non adeguatamente acquisita
Discalculia
La discalculia è l'equivalente matematico della dislessia.
È una condizione che colpisce fino al sei per cento di tutti i bambini.
I discalculici non riescono a fare calcoli in modo automatico, non riescono a fare numerazioni progressive e ad imparare le procedure delle operazioni aritmetiche. Hanno inoltre grandi problemi nel memorizzare le tabelline.
Caratteristiche
Da alcuni studi molto recenti si è dedotto che la discalculia ha una base neurologica diversa dalla dislessia e che questo problema interessa una parte molto inferiore della popolazione.
La discalculia è una difficoltà specifica nell’apprendimento del calcolo che si manifesta nel riconoscimento e nella denominazione dei simboli numerici, nella scrittura dei numeri, nell’associazione del simbolo numerico alla quantità corrispondente, nella numerazione in ordine crescente e decrescente, nella risoluzione di situazioni problematiche.
I simboli numerici sono quantitativamente inferiori rispetto a quelli alfabetici (10 cifre contro 21 lettere), ma complessa è la loro combinazione che si basa sul valore posizionale. Per molti bambini, infatti, non c’è differenza tra 15 e 51 oppure tra 316 e 631, in quanto essi, pur essendo in grado di denominare le singole cifre, non riescono ad attribuire significato alla loro posizione all’interno dell’intero numero.
Spesso alla base ci sono difficoltà di orientamento spaziale e di organizzazione sequenziale che si evidenziano sia nella lettura che nella scrittura dei numeri ( il numero 9 viene confuso con il 6; il numero 21 con il 12; il 3 viene scritto al contrario così come altri numeri…).
Oltre a questo esistono coppie di numeri che hanno tra loro una lieve somiglianza, come ad esempio il numero 1 e il numero 7; il 3 e l’8; il 3 e il 5. Confondere queste cifre significa anche non attribuirle alla giusta quantità, per cui non è raro che anche semplici esercizi vengano svolti in modo errato. Chiediamoci allora: “Il soggetto non sa contare oppure non distingue adeguatamente i simboli numerici?”
Di solito è presente la capacità di numerare in senso progressivo, cioè di procedere da zero in poi(1-2-3-4-5…), ma non quella di numerare in senso regressivo, partendo cioè da una determinata cifra e andando indietro( 6-5-4-3-2-1-0).
Un altro ostacolo che crea al soggetto situazioni di disagio è la difficoltà a memorizzare la tavola pitagorica con conseguente impossibilità ad eseguire correttamente moltiplicazioni e divisioni.
Interpretazioni
Anche alla base della discalculia ritroviamo carenze relative alle abilità percettivo-motorie piuttosto che alla memoria, ma, non di rado, le difficoltà logico-matematiche sono attribuibili anche a una carenza di esperienze concrete. Fin dalla primissima infanzia il soggetto deve conoscere il mondo, manipolare gli oggetti, raggrupparli secondo criteri, costruire con essi strutture via via più complesse. Alla scuola materna e nel primo ciclo di scuola elementare queste esperienze continuano ad essere molto importanti, l’uso del materiale concreto (oggetti, immagini, blocchi logici, regoli in colore, multibase) è indispensabile per guidare il soggetto verso la conquista dei concetti fondamentali. L’uso dei simboli, la memorizzazione delle regole esecutive e delle cosiddette “tabelline” vengono dopo e devono essere conquiste graduali e non meccanismi superficiali che tanto facilmente si dimenticano.
La discalculia è, quindi, una difficoltà specifica nell’apprendimento del calcolo che si manifesta nel riconoscimento e nella denominazione dei simboli numerici, nella scrittura dei numeri, nell’associazione del simbolo numerico alla quantità corrispondente, nella numerazione in ordine crescente e decrescente, nella risoluzione di situazioni problematiche.
Un'altra interpretazione è stata fornita dallo studioso McCloskey. Egli ha teorizzato che la capacità di calcolo deriva da 3 sottosistemi: innanzitutto il soggetto deve essere in grado di convertire i simboli utilizzati in matematica in significati astratti, in secondo luogo deve trasformare i valori astratti in valori concreti e infine, attraverso i mezzi di produzione che utilizzano i vari operatori (+,-,:,X...), restituire l'output di calcolo.
Alla base dei sottosistemi si trova la Mental Number Line, una sorta di area di calcolo in cui l'individuo svolge le operazioni. A seconda delle capacità la Mental Number Line ha dimensioni diverse ma rimane innato il Number Sense, ossia la capacità universale di passare da una quantità concreta ad un valore numerico. Un deficit nel Number Sense potrebbe essere la causa della discalculia.
Durante lo sviluppo il bambino passa dalla quantità concreta, alle parole che indicano i numeri, quindi alle cifre e infine alla linea numerica. Ad ognuno di questi livelli corrispondono capacità di calcolo diverse.
Principali elementi di riconoscimento:
* Difficoltà nel manipolare materiale per quantificare e stabilire relazioni
* Difficoltà nella denominazione dei simboli matematici
* Difficoltà nella lettura dei simboli matematici
* Difficoltà nella scrittura di simboli matematici
* Difficoltà a svolgere operazioni matematiche
* Difficoltà nel cogliere nessi e relazioni matematiche
Abilità di base particolarmente compromesse
* Lentezza nel processo di simbolizzazione
* Difficoltà percettivo-motorie
* Difficoltà prassiche
* Dominanza laterale non adeguatamente acquisita
* Difficoltà di organizzazione e di integrazione spazio-temporale
* Difficoltà di memorizzazione
* Difficoltà di esecuzione di consegne in sequenza
Diagnosi
L'intelligenza associata al riconoscimento delle quantità e quindi dei numeri e alla loro elaborazione è inconscia e deriva da molto lontano dal punto di vista ereditario genetico. Il problema è spesso associato, a torto, alla dislessia, perché si manifesta come difficoltà a riconoscere il segno grafico anche numerico e quindi viene a galla la relativa difficoltà a collegare il numero alla quantità interessata. In questi casi, molto spesso, il riconoscimento delle quantità e quindi la capacità di riconoscere i numeri e di eseguire calcoli è intatto. Da qui si generano molti falsi positivi durante le diagnosi.
È importante diagnosticare la discalculia, così come la dislessia e la disgrafia, il prima possibile, in modo tale che possano essere messe in pratica adeguate strategie di insegnamento che facilitino il superamento delle difficoltà che i bambini discalculici incontrano ogni giorno.
By Wikipedia
Fonte: http://www.hafricah.net/public/Appunti/Disturbi%20dell'apprendimento.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Dislessia disturbi dell'apprendimento
La Dislessia Evolutiva è un disturbo che si manifesta nel momento in cui il bambino impara a leggere e a scrivere. Il problema è presente anche precedentemente ma è difficile evidenziarlo prima dell'inizio dell'insegnamento formale della lingua scritta.Il disturbo si manifesta in bambini che non presentano disturbi neurologici evidenti, senza disturbi sensoriali e in assenza di disturbi della sfera emozionale e/o relazionale. Sono bambini normalmente intelligenti e che hanno avuto normali opportunità scolastiche. Spesso il disturbo di lettura è associato a difficoltà e/o veri disturbi nella scrittura (ortografia) e nel calcolo.
I bambini dislessici hanno avuto spesso, nella loro storia, un pregresso disturbo di linguaggio, di lieve entità, risolto quasi sempre senza la necessità di un intervento specialistico. Il disturbo che sta alla base della dislessia è di origine costituzionale e probabilmente congenito. In più della metà dei bambini dislessici si trova un familiare o un ascendente affetto dallo stesso tipo di problema.
La Dislessia Evolutiva non è una malattia ma una modalità diversa di funzionamento delle competenze cognitive del soggetto. Non si guarisce dalla dislessia in quanto non si cambia la modalità di base del funzionamento cerebrale ma è solo possibile intervenire per aiutare il ragazzo a leggere e scrivere meglio.
La rieducazione del dislessico è possibile attraverso una riabilitazione mirata, specializzata e, soprattutto tempestiva. La riabilitazione deve essere basata su una valutazione specialistica di ogni singolo bambino; non tutti i dislessici sono uguali: ognuno presenta un profilo individuale di difficoltà e non tutti hanno bisogno delle stesse risposte.
In Italia i dislessici sono circa il 2,5 - 3,5 % della popolazione in età scolare. Si stima, secondo i criteri di valutazione più severe che in Italia ci siano circa 1.500.000 di dislessici. I servizi specializzati sono ancora pochissimi e l'effetto più evidente di questa situazione è la conoscenza ancora molto parziale che si ha del fenomeno. La scuola, in particolare, ancora non accetta la dislessia. Il bambino dislessico spesso viene scambiato per il bambino svogliato, poco motivato, discolo, poco attento. Gli interventi messi in atto all'interno della scuola sono spesso inadeguati e, a volte, controproducenti.
La prognosi della dislessia è in relazione a 5 fattori (Critchley)
1) buona condizione cognitiva
2) identificazione e intervento precoce
3) adeguato ambiente educativo e familiare
4) adeguata assistenza didattico-educativa
5) buon equilibrio psicologico del bambino
Fonte: http://www.orizzontescuola.it/articoli3/Dislessia.doc
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