Psicologia della comunicazione
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PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
Appunti lezione del Prof.Marco Rigamonti
2 ottobre 2007
Esistono 2 approcci principali alla psicologia della comunicazione:
- NEGROPONTE: elenca il tipo di cambiamenti che sono avvenuti nel campo della comunicazione (es. avvento di Internet, ecc.)
- POPPER: esamina e implicazioni del progresso dei sistemi di comunicazione, gli effetti sulla vita degli individui, i cambiamenti nella società (visti generalmente come negativi)
- Lucienne Sfez, che insegna alla Sorbona “Comunicazione, tecnologia e potere”, dice:
Gli uomini comunicano sempre di più ma si comprendono sempre di meno.
La vita e le interazioni degli uomini fino a 2 generazioni fa, erano molto diverse, i cambiamenti degli ultimi decenni sono stati molto veloci, contrariamente a quelli avvenuti nel corso della storia meno recente. Questa velocizzazione è entrata nella nostra “forma mentis”, si è insinuata in ogni cosa (anche gli oggetti comprati non devono durare a lungo, nessuno compra un PC pensando che debba venire usato per decenni, la durata non è più sinonimo di buona qualità).
Così cambiano anche velocemente le modalità di comunicazione. Alcuni cambiamenti nelle abitudini e nei comportamenti sono “fisiologici”, come quelli legati alla crescita (es. bevande, tipi di cibi), altri no, come non lo è un veloce e continuo mutamento delle modalità di comunicazione. Quest’ ultimo presupporrebbe un’ attitudine a modificazioni di carattere anche biologico che invece non sono possibili, per lo meno non durante tutto l’arco della vita. Cambiamenti così veloci, ai quali non per tutti è possibile uniformarsi allo stesso modo comportano tra il resto differenze sempre più grandi tra individui di fasci d’età differenti.
Si genera una mancanza di comunicazione reale, una confusione che va oltre a quella che in alcuni casi è voluta, necessaria alla sopravvivenza, come ad es. la dissimulazione (che uso per nascondere volutamente una mancanza o un difetto, come quando cerco di non far intendere in quale parte della mia preparazione sono carente durante un esame, ecc.).
Sempre più raro lo scambio pra interlocutori conosciuti, in codici noti e sempre più forte la sensazione di lascarsi seppellire da messaggi provenienti da emittenti ignote e difficili da decodificare.
- Secondo Jean Baudrillard:
Viviamo in un mondo mediatizzato in cui ci illudiamo di essere in relazione con tutti, nella realtà vediamo svanire le relazioni primarie di cui ogni comunità è costituita
Quante delle parole pronunciate infatti vengono anche ascoltate oggi? Quante in confronto a quelle pronunciate da un contadino pavese del 1800? Anche il tipo di parole, i contenuti delle frasi sono cambiati, una volta erano molto più essenziali e più rari gli scambi comunicativi. Nel frattempo però i cambiamenti biologici sono stati nulli. Le nostre funzioni cognitive si sono evolute per vivere in un mondo diverso da questo: siamo predisposti ad es. per ricordare ca. 150 volti, ma quante persone incontriamo e conosciamo oggi rispetto a quelle che si potevano incontrare in un villaggio del 1800? Sono le relazioni primarie, cioè dirette e personali, quelle di cui abbiamo geneticamente bisogno, ma è proprio questo tipo di relazione che tende a sparire. Nessun “colpo di telefono” può sostituire una conversazione biologica, faccia a faccia, fra 2 persone, così come i cibi precotti non possono sostituire permanentemente un’alimentazione naturale. Internet è utilissimo ma quando si vive chiusi in casa da soli a chattare, si generano danni psichici. Il computer e il telefono vanno considerate opportunità, ma non possono e non devono sostituire la vera comunicazione.
Gli elementi base del processo di comunicazione sono 3:
EMITTENTE – MESSAGGIO – RICEVENTE
Dell’emittente si occupano la Linguistica strutturale, la Semiotica, la Sociolinguistica
Del ricevente la Sociologia e la Psicologia.
Nella realtà spesso l’emittente ha un legame, anche non simultaneo, non con un unico ricevente, ma con un certo numero di persone, come nel caso di una lezione in classe o di un messaggio divulgato. In ogni caso la comunicazione è un processo che trova la sua ragion d’essere all’interno della società, o per meglio dire all’interno di una comunità, cioè di un gruppo costituito da più elementi.
Comunicazione / Comunità sono 2 parole con radici simili/hanno lo stesso etimo dal latino
Comunico / Communitas “communis”
Se mi metto in comunicazione con qualcuno, in una certa misura lo coinvolgo, l’atto del comunicare crea un vincolo tra di noi, quindi la comunicazione fa si che si crei una comunità / una comunità non può esistere senza comunicazione, senza una rete di eventi comunicativi.
Sotto questo profilo la comunicazione è partecipazione, poiché essa prevede la condivisione dei significati e dei sistemi di segnalazione, nonché l’accordo sulle regole sottese a ogni scambio comunicativo. Per sua natura, la comunicazione si fonda su processi più o meno lunghi e complessi di negoziazione e di patteggiamento fra i soggetti comunicanti. Di conseguenza ha una matrice culturale e una natura convenzionale, non soltanto in quanto rappresenta un esito degli accordi e delle convenzioni culturalmente stabilite all’ interno di una determinata comunità, bensì anche in quanto assume una funzione attiva nell’elaborazione e nella modifica delle medesime convenzioni sociali e culturali.
Sui vocabolari troviamo diversi significati per la parola “comunicazione”, molti dei quali si discostano significativamente dal suo significato originario:
- Mettere in comune / condividere
- Rendere partecipe di qualcosa qualcuno / essere partecipe
- Avere rapporti con qualcuno / essere in relazione con qualcuno – qualcosa
- Far sapere / divulgare / diffondere
Nei vocabolari inglesi la parola “comunication” viene descritta da definizioni che vanno da “atto di condividere”, a “stampa”, “cinema”, “radio”; in quelli francesi da “partecipare a”, a “treni”, “telefoni”, “media”. Analogamente la parola “comunità” viene definita in vari modi: da “gruppo di persone che hanno comuni idee, origini, interessi,” a “enti territoriali intermedi” ecc.
Comunicazione oggi: un concetto ripostiglio?
Sembra un ripostiglio dove si trovano treni, telegrafi, gruppi di incontro, canali, saracinesche e animali che comunicano tra loro. La Francia è stata la prima ad avere un ministero della comunicazione (ex dicastero delle poste).
Negli anni ’80 il termine “comunication” era molto in voga per denominare aziende che si occupavano di cinema e televisione (Cecchi Gori Communication ecc.).
Anche le tecnologie elettriche, elettroniche e informatiche vengono incluse nel concetto di comunicazione, tanto che alcuni lo definiscono un concetto spazzatura.
Di comunicazione ci si occupa anche nelle scienze mediche e biologiche, con lo studio della comunicazione neurale e grazie soprattutto alle informazioni ottenute attraverso la fRM.
La pubblicità viene denominata anche “comunicazione persuasiva” e il comportamento dei consumatori indagato addirittura attraverso la fRM.
Nel campo della politica, un tempo gli oratori dovevano mostrarsi in pubblico e tenere discorsi e comizi per farsi conoscere dalla gente (ancora ora si trovano le targhe sui balconi e nei luoghi dai quali hanno parlato personaggi famosi), oggi c’è la TV: emblematico il dibattito televisivo Kennedy/Nixon. La politica si basa sempre di più sulla comunicazione televisiva, le sorti di un paese si decidono con immagini di pochi minuti, a seconda di come si pongono le singole persone davanti alle telecamere.
Ogni attività umana si basa su flussi di informazioni. Il flusso è costantemente in aumento ma diminuisce il contatto biologico con l’altro. Di fatto, oltre una certa soglia, quello che noi percepiamo diventa troppo e le informazioni che siamo costretti a gestire diventano sempre di più, abbiamo anche sempre più codici e password da ricordare.
Pierre Zemor definisce “comunicazione naturale” l’insieme degli eventi comunicativi che costituiscono l’ambiente e che include:
- Lettera postale
- Stampa
- Produzione letteraria
- Schermi telematici
- Scambi orali con il vicinato (costituiscono il tessuto della com. reale umana)
- Scambi orali sul posto di lavoro ( “ “ “ “ “ )
- Produzioni audiovisive
- Musiche
- Rumori
- Gesti architettonici (forme di com. che si sono evolute in modo suff. Lento)
- Monumenti ( “ “ “ “ “ “ )
- Segni
- Insegne
È possibile proporre un’articolazione della vasta area semantica in cui “pesca” oggi il concetto ripostiglio?
A questo proposito la proposta di Mcquail è rappresentata da una struttura a piramide, con forma proporzionale al numero di casi singoli (dall’alto verso il basso, da pochi a molti casi singoli):
macrosociale
istituzionale
t r a g r u p p i
all’interno del gruppo
i n t e r p e r s o n a l e
i n t r a p e r s o n a l e
Per quanto riguarda la comunicazione intrapersonale, va ricordato che il linguaggio serve ad attribuire un significato. Alcuni pensano che la sua funzione originale, ancora prima che comunicare, sia quella di elaborare le informazioni, cioè di rendere possibili le rappresentazioni mentali e poterle articolare meglio fra loro. Ai fini comunicativi il linguaggio ha un’utilità di carattere principalmente pratico, serve a mettere in comune conoscenze e informazioni utili allo svolgimento delle attività quotidiane, consente la trasmissione delle conoscenze (dalle forme più astratte a quelle più concrete), favorisce il processo di incremento progressivo e di arricchimento cumulativo delle conoscenze. Risulta invece meno adatto a rappresentare gli stati d’animo, quindi non è altrettanto facilmente utilizzabile per descrivere le cose più importanti per le quali stare al mondo (per questo i poeti sono artisti e si vendono i libri di poesie): in questo senso nessun discorso può sostituire l’espressività di un viso o il tocco di una carezza → come si può ottenere attraverso le parole lo stesso effetto di una mano appoggiata su in altro essere umano?
Per quanto riguarda la comunicazione “macrosociale”, si tratta di una disciplina a se stante. Sono pochi i soggetti che possono produrre questo tipo di comunicazione, un esempio ne è la Chiesa con la Bibbia.
Il canale istituzionale ha utilizzato in altri tempi (es. durante la II guerra mondiale) manifesti propagandistici con simboli potenti, in riferimento a valori che oggi non sono più riconosciuti, come “nazione”, “patria”, “libertà”, valori attraverso i quali era più semplice tenere coesa una comunità.
Oggi il mondo è come se avessero aperto i casi comunicanti, c’è un flusso velocissimo di “anatomia” (scambio di geni tra popoli diversi) e di cultura, mentre i mutamenti culturali all’interno di una comunità avvengono normalmente a ritmo molto più lento così come normalmente un individuo nato e cresciuto in una certa cultura ha una certa inerzia nei cambiamenti.
LA SCOPERTA SCIENTIFICA DELLA COMUNICAZIONE
- V secolo a.C. Sicilia Greca: retorica. Nasce la retorica, il primo approccio sistematico allo studio della comunicazione. Ci si rende conto che la comunicazione può essere efficace se studiata. Si trova un modello standard (esordio/narrazione/confermazione/perorazione), nascono personaggi che affinano la scienza dell’argomentazione.
- XVII – XVIII secolo a.C. : razionalismo cartesiano. Nell’ambito della scienza prende piede un approccio diverso, l’accento è posto sulla misurazione e sulla quantificazione, non c’è più spazio per l’argomentazione
- XX secolo: retorica come accezione peggiorativa. Si giunge a concepire il termine unicamente nella sua accezione peggiorativa, come fosse una disciplina mirata a sprecar tempo parlando inutilmente
- 1950 – 1960: espansione delle innovazioni tecnologiche e delle scoperte scientifiche
- 1952: incontro(?.....) fra scienza, tecnologia e scienze umane: in conseguenza delle nuove scoperte l’attenzione della scienza riguardo la comunicazione si sposta in ambito diverso fino ad un incontro storico fra rappresentanti delle scienze tecnologiche e di quelle umane (Rosenbleluth, Bateson, Van Neumann, Wiener, Bigelow)
Wiener si è occupato di cibernetica, una branca della matematica alla base della nascita del computer, che si occupa principalmente di comunicazione e di controllo. Wiener era stato incaricato di trovare un modo per mettere a punto per la contraerea (durante la II guerra mondiale) un cannone informato circa la traiettoria dei suoi obiettivi per evitare di sprecare colpi: è stato concepito per la prima volta il concetto di retroazione o “feedback”, in base al quale ogni unità che compone un sistema cibernetico è in grado di dare e ricevere sempre un messaggio di ritorno nei confronti del messaggio emesso o ricevuto (quindi nessuna componente è semplice emittente o bersaglio di informazioni). In questo modo il cannone poteva venire informato circa la discrepanza fra il suo tiro e l’oggetto, cosa che gli consentiva di aggiustare il tiro. La nozione di “feedback” o retroazione viene definita come la quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente, consentendogli di modificare i suoi messaggi successivi. Il feedback è stato ulteriormente distinto in positivo e negativo. Nel primo caso aumenta l’informazione di ingresso (nel caso di un pettegolezzo, il commento maligno di A su Z è accentuato da parte di B e diventa ancora più cattivo). Nel secondo caso il feedback riduce l’informazione di ingresso e consente di mantenere nel sistema una determinata condizione stabile, chiamata “omeostasi” (in una famiglia un commento bonario della madre può ridurre la portata del rimprovero del padre nei confronti del figlio e contribuire in tal modo a mantenere accettabile la situazione famigliare). La cibernetica nasce nel 1948, quando Wiener pubblica “Cybernetics”.
Ludwig von Bertalanffy scrive un saggio sulla “teoria generale dei sistemi”, una teoria che utilizza i concetti i input/output e feedback scoperti da Wiener, e ne sottolinea la centralità non solo nel sistema cibernetico ma anche nella maggior parte degli altri, da quelli biologici a quelli socio-economici.
Nel 1949 Channon, un matematico, si occupa di vedere come apprende un modello artificiale di topo, trova un modello differente da quello di Wiener e pubblica un altro libro (…). I suoi studi erano stati commissionati dalle poste, che volevano velocizzare e ridurre il numero degli errori nella trasmissione dei telegrammi.
Lo studio della comunicazione in senso scientifico/matematico è stato reso possibile dall’introduzione del concetto generale di informazione, intesa nè come notizia nè come conoscenza, ma come differenza fra 3 o più elementi. La nozione di informazione come differenza è alla base dell’informatica e della cibernetica. Infatti, in queste discipline e nelle tecnologie che su di esse si fondano (computer, nuovi media), qualsiasi informazione è digitalizzata ed è trasformata in una sequenza di 0 e 1. In psicologia essa ha favorito la creazione di nuovi modelli teorici, come il cognitivismo, il connessionismo e l’intelligenza artificiale, l’approccio sistemico nell’ambito della psicoterapia nonché le teorie della comunicazione virtuale. Entro questo scenario delineato dall’approccio matematico la comunicazione va considerata come un processo di trasmissione di informazioni. In questa prospettiva l’informazione non consiste in ciò che è stato detto dalla fonte ma in ciò che è probabile che passi dall’emittente al ricevente, secondo il seguente modello informazionale lineare:
←CODICE comune→
FONTE → encoding → trasmettitore → segnale→ recettore→decoding →messaggio→destinatario
↓
CANALE (fonte di rumore)
Ronan Jakobson prende in considerazione questo modello e aggiunge “il contesto” allo schema:
Codice
EMITTENTE messaggio DESTINATARIO
Canale
Contesto
Obiezione al modello lineare: risorgere delle presupposizioni classiche sulla natura dell’uomo, che non è solo una specie di scatola dove un determinato input in un particolare contesto produce uno specifico output. Inoltre il modello tiene conto esclusivamente del linguaggio verbale, trascurando completamente i codici comportamentali. Pare più valido il MODELLO DELL’ORCHESTRA, dove il direttore comunica diversamente con il primo violino rispetto che con gli altri violini, dove i vari elementi che la compongono interagiscono fra di loro, come può avvenire nell’ ambito di uno scambio comunicativo in una scuola o in un gruppo di lavoro. Si tratta di un modello che da spazio a più elementi rispetto a quelli concessi da quello lineare.
Le scienze psicologiche hanno aperto un altro punto di vista sullo studio della comunicazione e ne hanno posto in evidenza una dimensione intrinseca che fonda e che esprime l’identità personale e la posizione sociale del soggetto (individuale e collettivo). Fra i primi Bateson (1972) ha sottolineato il fatto che gli individui non soltanto “si mettono in comunicazione” (approccio incentrato sulla trasmissione delle informazioni), né semplicemente “prendono parte alla comunicazione”(approccio interazionista), ma “sono in comunicazione”. La comunicazione è la dimensione psicologica che produce e sostiene la definizione di Sé e dell’altro. In maniera più o meno esplicita, in ogni atto comunicativo ciascuno di noi è come se dicesse: Ecco come sono, ecco come mi vedo, ecco come mi presento. E contemporaneamente: Ecco come ti vedo, ecco come tu sei secondo me, ecco che tipo di relazione ci lega. La comunicazione diventa quindi la base costitutiva dell’identità personale e della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito. In quanto tale risulta essenziale per generare, alimentare e conservare il benessere psicologico fra le persone.
Per giungere a una possibile definizione di comunicazione occorre distinguere fra comportamento, informazione, interazione e comunicazione:
- Il comportamento può essere definito come qualsiasi azione motoria di un individuo, percepibile in qualche maniera da un altro. Si tratta di una categoria generica e onnicomprensiva che include azioni e reazioni che possono essere informative, coscienti e volontarie ma anche automatiche e riflesse (da una dichiarazione d’amore all’estensione della gamba come risposta a un colpo di martelletto sul ginocchio). Quindi ogni comunicazione è un comportamento, in quanto si esprime attraverso azioni manifeste; ma non ogni comportamento è una comunicazione, in quanto esistono numerose forme di comportamento che possono essere inconsce, riflesse, o comunque non intenzionali.
- L’informazione consiste semplicemente nell’acquisizione di conoscenze, indipendentemente dalla volontà o dall’intenzionalità della loro fonte. Si tratta di conoscenze inferite anche in modo autonomo, senza che l’informatore stesso ne debba essere consapevole. La comunicazione invece esige sempre la presenza di un’intenzione comunicativa su due livelli: 1) l’intenzione di A di comunicare qualcosa a B; 2) l’intenzione di A che il suo atto comunicativo sia riconosciuto in quanto tale da B.
- Con “interazione” si intende qualsiasi contatto (sia fisico che virtuale) avvenga fra 2 o più individui, anche in modo involontario, in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra loro (anche un indirizzo sbagliato di e-mail). Per contro la comunicazione richiede uno scambio consapevole e riconosciuto come tale dai partecipanti. Ovviamente ogni comunicazione implica un’interazione ma non viceversa.
Entro questa prospettiva la comunicazione può essere definita come uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento.
9 ottobre
Esiste un sistema di “convergenza” nelle percezioni che facilita la comunicazione, per cui automaticamente proviamo un sentimento di “simpatia” verso tutte le creature con le quali sentiamo di poter instaurare più facilmente una qualche comunicazione. Per questo motivo ad esempio ci è istintivamente più “simpatico” un polipo rispetto ad una cozza. Infatti, pur appartenendo a specie simili fra loro, il sistema visivo di un polipo è analogo al nostro e la sua percezione del mondo quindi è in qualche modo paragonabile perché si serve dello stesso canale di comunicazione, mentre la cozza può solo percepire attraverso il canale chimico l’ambiente che la circonda, non essendo dotata di un sistema visivo.
Il canale che conduce il segnale è fonte di rumore e il rumore genera confusione. Il modello lineare funziona bene soprattutto nell’ambito dello scambio di informazioni riguardo le cose pratiche della vita, ma basta pochissimo a generare confusione quando si tratta di messaggi meno concreti, quando la comunicazione riguarda le emozioni, i sentimenti, il vissuto psicologico di due o più persone.
Ci sono anche dei limiti fisici (constrain) che dal punto di vista pratico sono fonte di problemi.
Dall’osservazione etologica possiamo trarre alcune informazioni: si è studiata la differenza di richiamo della Zonotrichia capensis, un tipo di fringuello, in ambiti diversi → nelle praterie i suoi trilli sono molto più serrati. Risultati analoghi ha fornito una ricerca sulle cince: le frequenze massime dei suoni emessi sono più alte (cioè emette più frequentemente suoni acuti), negli ambienti aperti di quanto non lo siano nelle foreste fitte, inoltre il range di frequenze è molto meno ampio, probabilmente proprio perché, a causa del fogliame, determinate frequenze verrebbero assorbite e non si potrebbero diffondere come avviene invece nelle praterie. Si tratta di una specie di cincia che se trova quasi in tutto il mondo, in paesi molto distanti fra loro. Il suo canto non cambia però in funzione della distanza geografica fra i luoghi dove si trovano le cince, bensì in funzione delle caratteristiche ambientali. È il valore adattivo quello che conta: la cincia ha lo stesso problema di Channon, cioè inviare messaggi nel modo più efficace e con il minor numero di errori possibile.
In una foresta i suoni bassi e/o molto acuti si perdono a causa della barriera costituita dalle foglie (così come avviene se voglio fare ascoltare a qualcuno della musica per telefono: non tutte le frequenze possono passare in quel canale) per cui sarebbe inutile e controproducente usare un range di frequenze troppo ampio.
La ricerca antropologica ci fornisce informazioni analoghe, che evidenziano il variare di parametri fisici in funzione dell’ambiente. Sono stati analizzati i dialetti di alcuni villaggi situati in paesi diversi e lontani fra loro che però presentano delle forti analogie dal punto di vista del tipo di territorio: Andorra, la Turchia, il Messico, le Canarie. Si tratta in tutti e quattro i casi di luoghi montagnosi, con profonde vallate che separano alture situate in linea d’aria a breve distanza l’una dall’altra. Pur sulla base di lingue diverse, i contadini hanno sviluppato un vocabolario ricco di suoni sibilanti, cioè proprio di quel tipo di suoni che può arrivare in maniera efficace dall’altra parte della vallata.
Sempre facendo riferimento al modello lineare della comunicazione spostiamo ora il fuoco dell’attenzione dal canale al codice. È ovviamente indispensabile che emittente e destinatario condividano il codice. Di solito si pensa al codice in termini positivi, cioè come a qualcosa che rende possibile la comunicazione, ma ci sono codici che nascono per nascondere i messaggi. Il problema di nascondere le informazioni è antico.
- A Salamina, il 23 settembre 480 a.C. (titolo slide). La figura si riferisce ad una storia tramandata da Erodono: un esule greco in Persia viene a conoscenza dell’intenzione di Serse di aggredire il suo paese d’origine e decide di informare i suoi compatrioti. Nasconde le informazioni incidendole su tavole di legno che devono poi venire ricoperte di cera. Quando le tavolette arrivano in Grecia la moglie di Leonida (Gorgo) ha l’intuizione di capire il trucco utilizzato. Viene quindi approntata una flotta che aspetterà al varco le navi di Serse, evitando l’effetto sorpresa e determinando la vittoria dei Greci nella battaglia di Salamina: poche informazioni, mantenute segrete, hanno cambiato la vita di una civiltà.
- Anassagora di Mileto nascose un messaggio scrivendolo sulla testa rasata di uno schiavo e aspettando che gli ricrescessero i capelli prima di inviarlo come messaggero.
- Giovanbattista della Porta fece mandare un messaggio servendosi di un uovo, dopo aver approntato un inchiostro che diveniva leggibile solo dopo aver fatto diventare sodo l’uovo stesso.
- Microdot 1950 – 1960 . Si tratta di spionaggio fra le due Germanie ai tempi della guerra fredda. Si fotografavano delle informazioni e si riduceva la pellicola ad un dischetto di pochi mm di diametro, il quale veniva poi applicato al posto di un puntino su una “i” in una lettera scritta a macchina. Guardandola in controluce la si poteva individuare.
- Come contenitore di informazioni è stata anche usata una finta moneta da ¼ di dollaro che fungeva in realtà da “scatola” e che, in quanto denaro, poteva facilmente passare di mano in mano (fingendo un comune pagamento) senza dare nell’occhio.
STENOGRAFIA E CRITTOGRAFIA:
- Steganos: coperto messaggio modificato in modo da essere illeggibile
- Graphien: scrivere
- Krypos: nascosto messaggio modificato in modo da essere nascosto
Esistono diversi metodi per modificare un messaggio in modo tale da nasconderlo o renderlo incomprensibili senza una chiave di lettura. Si possono ad es semplicemente scambiare fra loro le lettere di una parola (TRASPOSIZIONE), con sole tre lettere si hanno 6 possibili combinazioni:
SCI SIC CSI ICS ISC CIS
Ma con 35 lettere il numero delle combinazioni possibili sale a 6mila miliardi di miliardi di miliardi: se si tentasse di trovare la giusta combinazione provandone una al secondo sarebbe necessario un tempo paragonabile a molte volte l’età dell’universo.
Oltre alla trasposizione esiste la TECNICA DELLA SOSTITUZIONE. Un esempio di crittografia militare del V sec a.C. è la Scitale Spartana. Si tratta di una specie di lancia sfaccettata intorno alla quale viene avvolta una striscia di pelle dove si scrive un messaggio. Poi la pelle viene tagliata così com’è avvolta in tante striscioline, per cui il messaggio diventa leggibile solo se si riavvolge la pelle su di una lancia uguale, in modo che le lettere che compongono le varie parole tornino a combaciare fra loro.
“Un segreto è un tuo prigioniero, se lo lasci andare, sarai il suo prigioniero” la stessa frase posta su due righe diverse con lettere alternate:
u s g e o u t o r g o i r s l l s i n a e a a i s o r g o i r
n e r t è n u p i i n e o e o a c a d r s r i l u p i i n e o
Nel “De Bello Gallico” di Cesare si parla di Cicerone che, essendo assediato al nemico, deve venire informato del fatto che i rinforzi stanno per arrivare. In una lancia viene nascosto un messaggio scritto con l’alfabeto greco al posto di quello latino. Il messaggero ha l’ordine di lanciarla all’interno dell’accampamento nel caso venga catturato. Così avviene e la lancia rimane 2 gg inosservata finché un soldato la scopre e Cicerone, sapendo di poter presto disporre di aiuto riesce a resistere.
La cifratura di Cesare: si tratta semplicemente di prendere una lettera dell’alfabeto e spostarla di un certo numero di posizioni, per cui ad esempio alla prima lettera (a) corrisponde la quarta (d), alla seconda(b) la quinta(e) e così via, si ottiene così un alfabeto cifrato. In questo modo si ottiene un algoritmo di comprensione relativamente facile, molto più difficile invece se si mescolano le lettere fra loro, aumentando così enormemente il numero di possibili corrispondenze.
Per “ALGORITMO” si intende il criterio con il quale viene fatto il cambiamento, ad es nella cifratura di Cesare è su base tre se si spostano le lettere di tre cifre, mentre la “chiave” è data in questo caso dal numero di posti che devo far scorrere l’alfabeto. L’algoritmo dovrebbe essere il più complicato possibile, al contrario della chiave che deve facilitare il destinatario nell’opera di decifratura del messaggio criptato.
Mary Queen of Scots 1542 sospettata di un complotto, non poteva venire fatta condannare senza prove, le quali vennero inviate tramite messaggi cifrati con segni che sostituivano in parte le lettere, in parte delle intere parole. Nella slide si vede il cosiddetto “nomenclatore di Maria Stuarda”.
YàKub ibri Sabbah al Kridi (800 – 872 d.C.) È un filosofo di Bagdad che ha scritto 300 opere fra cui il “manuale dell’amministratore”. Scopre un modo per svelare un messaggio dove le lettere sono sostituite da segni o scambiate fra loro: è necessario conoscere la lingua dell’originale e disporre di un testo in chiaro in quella lingua sufficientemente lungo da poter individuare la frequenza con la quale ogni lettera compare, quindi si possono rimpiazzare i simboli cifrati con la lettera che compare con la stessa frequenza. A Bassora, Puffa e Bagdad c’era a quei tempi una dinastia incentrata sullo sviluppo culturale, amministrativo e associativo della propria società e i documenti finanziari e amministrativi venivano criptati. Inoltre venivano coltivati studi teologici per analizzare il Corano che raccoglie scritti di epoche diverse. Si era interessati a dividere quanto scritto dal profeta stesso da quanto era stato scritto in seguito dai suoi seguaci. Per fare questo ci si è serviti dell’analisi della frequenza delle parole, utile perché molte parole vengono usate più o meno frequentemente in periodi diversi (oggi ad es si legge spesso sui giornale “quant’altro”; “assolutamente”, “come dire”).
C’è una slide con l’analisi delle frequenze di ogni lettera nella lingua italiana.
Leon Battista Aberti, ne 1400, su richiesta della segreteria Pontificia si è occupato del problema della cifratura e ha messo a punto un marchingegno fatto di ruote concentriche sulle quali erano scritte delle lettere, per cui, facendo ruotare un disco rispetto all’altro si poteva ad es decifrare agevolmente la cifratura di Cesare.
USA civil war ci si serviva di un marchingegno simile a quello di Alberti.
Nella guerra di Corea l’esercito americano usava gli indiani Navahos per riferire i messaggi perché si serviva di un codice dove ad ogni lettera corrispondeva una parola nella loro lingua.
Arthur Scherbius (un inventore al quale si deve, tra il resto, la termocoperta) inventa una sorta di macchina da scrivere, chiamata “enigma”, che consente di criptare i messaggi. Tenta di venderla a banchieri e ambasciate, che per motivi diversi, avevano interesse a mantenere riservate molte informazioni, ma, anche a causa del costo elevato di questa macchina non ha successo finché, scoppiata la seconda guerra mondiale, le autorità militari si rendono conto dell’importanza dell’utilizzo di una tale macchina per nascondere i propri messaggi. La macchina dispone di diversi “rotori” che permettono algoritmi differenti a seconda del modo in cui vengono inseriti. Le modalità di inserimento vengono comunicate giornalmente agli operatori. I sottomarini, con i quali non era possibile comunicare per un periodo di tempo prolungato, partivano già con i codici per i successivi 30 giorni, così che la cattura di un sottomarino permetteva di disporre della chiave per decifrare le informazioni che sarebbero state trasmesse via radio nei giorni seguenti. Enigma permette 10 milioni di miliari di combinazioni differenti.
Bletchly Park Si tratta di un posto dove gli alleati radunano un gruppo di appassionati di enigmistica per trovare un sistema che permetta di decifrare in un tempo non troppo lungo i messaggi criptati da Enigma. La squadra è guidata da Alan Touring che mette a punto le “touring bomb”, rotori che lavorano ad alta velocità e decifrano in alcuni giorni i messaggi di Enigma, una sorta di calcolatrice meccanica che provava tutte le possibili combinazioni, anche se spesso non serviva più decifrare i messaggi dopo alcuni giorni. Per comunicare fra loro le “alte fere” dell’esercito nazista si servivano di una macchina ancora più sofisticata di Enigma: la macchina di Lorenz. Per decifrare anche quei messaggi Touring e Flowers costruiscono “Colossus”, il primo computer della storia dell’umanità (che quindi non è ENIAC, come hanno sempre cercato di far credere gli americani, che lo hanno inventato), il quale unisce la capacità di calcolo delle bombe di Touring alla capacità di essere programmato. Il primo problema in un computer è stato causato da un coleottero che ha creato un contatto fondendo una valvola, per questo oggi si parla di “bag”.
Whitfield Diffide e Martin Hellman: risolvono il problema della distribuzione delle chiavi. Anche dopo la guerra sono utili i codici, banche e ambasciate hanno il problema di gestire informazioni riservate o segrete. Per molto tempo queste sono state affidate a persone fidate che le portavano personalmente con se fino a destinazione, o che per lo meno portavano con se la chiave, con costi non indifferenti. Ma c’è una soluzione: A (che non vuole far leggere a C il messaggio diretto e B) cifra un messaggio, quando B o riceve lo cifra a sua volta e lo rimanda ad A chiedendogli di togliere la sua cifratura e di rispedirglielo. A questo punto rimane solo la cifratura di B che, avendo cifrato lui stesso lo può mettere in chiaro.
Ci sono anche romanzi di Scherlock Holmes (The adventures of the dancing man) di Verne (viaggio al centro della terra) che parlano dell’argomento o fumetti (capitain Midnight) per bambini che davano cifratori in allegato
11 ottobre
DIAGRAMMA DI SIGNIFICAZIONE
Referente: elemento di realtà oggettiva
Attraverso la voce, servendomi di un simbolo fonetico, ad es. il suono prodotto dalla parola “cane” posso evocare nella mente di chi ascolta la rappresentazione mentale di “cane”: esiste perciò un legame, seppur arbitrario, fra la stringa fonetica “cane” e la sua rappresentazione mentale (infatti l’evocazione della rappresentazione mentale è praticamente inevitabile nella mente di chi ascolta) mentre non c’è nessun legame fra il cane stesso e la stringa fonetica che lo rappresenta (per questo nel diagramma è solo tratteggiata la linea tra simbolo e referente).
Il segno come equivalenza
Ci sono diversi approcci che danno un significato diverso al “segno”. Secondo Ferdinand de Saussure (1857 – 1913) si tratta di una equivalenza. F.de S. studia fisica e chimica ma si dedica in seguito alla linguistica. Studia a Berlino l’irlandese e il persiano antico, ha una cattedra a Parigi e in seguito a Ginevra di linguistica. Secondo lui:
“La lingua è un sistema di segni messo a disposizione del singolo parlante da una convenzione sociale ed appartenente pertanto all’attività comunicativa simbolica dell’uomo”. Parla quindi di “segni”. Oggi noi non vediamo neppure più la scrittura come una tecnica, cresciamo pensando che sia un elemento irrinunciabile, quasi fosse biologicamente parte di noi. In realtà non è così in molti paesi e non lo era fino a poco tempo fa. Allo stesso modo il linguaggio ci sembra far parte di noi in maniera molto profonda, mentre biologicamente abbiamo solo dei prerequisiti per la “gestione dei simboli” (pensiamo al romanzo, tratto dalla realtà, di Trouffet, che narrava di un ragazzo cresciuto nelle foreste, senza la facoltà di linguaggio). Un sistema di segni è una tecnica arbitraria, tanto è vero che le lingue sono diversissime fra loro.
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C’è un’interdipendenza reciproca fra le due immagini, che sono come due facce della stessa m medaglia, infatti non c’è ad es immagine acustica senza che questa evochi automaticamente un’immagine mentale e viceversa. Questa interdipendenza ha quindi le seguenti caratteristiche:
- Corrispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto (come descritto sopra)
- Carattere arbitrario
- Carattere oppositivo ( significa che due parole apparentemente simili, trovano i una variazione anche minima il loro stato d’essere perché non esiste un gradiente, come nel caso dei suoni, che invece hanno una natura modulare: ad es la parola pera ha un significato completamente diverso da quello della parola cera o vera)
Un secondo approccio vede il segno come inferenza. Perisce (?) (1868 – 1894) sostiene che:
“Il segno (è) come qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos’altro, sotto qualche aspetto o capacita”. Cioè il segno coglie in qualche maniera qualche aspetto della realtà. In quest’ottica si possono distinguere 3 tipi di segni:
- ICONE hanno una relazione di somiglianza con le proprietà del referente anche in questo caso però il segno ha valore solo all’interno di un gruppo di esseri umani che lo condivide. In una tribù ad es non verrebbe probabilmente riconosciuto come aereo. Caratteristico per l’icona è il fatto che si tratta di un immagine stilizzata (cioè schematizzata e in grado di cogliere i tratti salienti dell’oggetto a cui si riferisce), infatti deve essere un immagine facile e veloce da cogliere. Naturalmente presuppone che chi osserva sia in grado di saper discriminare fra la tessitura essenziale dell’immagine che vede e altri dettagli minimi (quando non ci riusciamo ad es non riusciamo a trovare ciò che cerchiamo, per questo motivo chi non è esperto non riesce a trovare i funghi, perchè cerca qualcosa di corrispondente alla propria immagine mentale e questo è diverso da ciò che di un fungo si intravede fra le foglie). Notare che: una “equivalenza” rimanda a un “codice” mentre “l’inferenza” rimanda al “contesto”. Per questo, ad es durante un trasloco, una scatola può assumere il significato di una sedia tanto che diventa possibile usare la parola “sedia” per chiedere di farsi avvicinare uno scatolone senza che questa richiesta rimanga incompresa. (seguono diapositive con varie icone dove c’è anche un codice, relativo ai colori)
Nel caso del codice invece, i colori ad es possono codificare, anche a livello inconscio determinate cose, tanto è vero che nessuno cercherebbe istintivamente l’immagine di un estintore su di uno sfondo blu piuttosto che rosso.
- INDICI sono caratterizzati da un rapporto di continuità fisica con l’oggetto o l’evento a cui si riferiscono. Come le icone, gli indici sono interessanti per studiare l’evoluzione del sistema simbolico. Gli indici sono gli elementi più antichi di questa evoluzione perché in natura sono costantemente presenti. Molti indicatori naturali sono riconosciuti anche dagli animali (ad es il fumo come indice di fuoco). Così le nuvole possono indicare la pioggia o l’odore dell’aria la presenza della neve. Nel momento in cui l’uomo riesce a leggere gli indicatori naturali è in grado di predisporre anche indicatori artificiali (dal gallo di ferro che segue la direzione del vento e indica da dove soffia all’indicatore del livello della benzina. La capacità di gestire gli indicatori artificiali è fondamentale.
- SIMBOLI In questo caso la connessione con il referente è appresa. Mentre le icone e gli indici possono venire anche appresi attraverso l’esperienza individuale (come ad es i colori giallo e nero, che sono livrea ammonitrice di insetti pericolosi, sono codici biologici, condivisi da tutti gli esseri viventi ) i simboli devono venire insegnati. (segue la dia di un disegno di suo figlio, appeso alla porta della stanza per non fare entrare nessuno)
La capacità di pensiero in termini simbolici ci ha portato a un mondo pieno di codici veicolati in parte dalla scrittura, in parte dai suoi annessi. Indici, icone e simboli sono più veloci della lettura, l’occhio trova prima l’icona di una parola, inoltre la lingua in cui le parole sono scritte può non venire compresa da tutti.
Ci sono anche molti gesti che rimandano a un significato. Solo alcuni di questi hanno una valenza pressoché universale (come quello che indica l’atto di mangiare), altri hanno invece una forte connotazione culturale (ad es il gesto, solo italiano, che significa “cosa vuoi?”) e possono essere causa di confusione.
16 ottobre
L’evoluzione del pensiero simbolico non è centrale solo per la comunicazione: qualcosa nato per fini comunicativi ha modificato le nostre menti, il nostro modo di pensare, tanto è vero che pensiamo per mezzo delle parole e, se conosciamo molto bene una lingua straniera ci sorprendiamo anche a pensare in quella lingua. Ma siamo solo noi a gestire e creare simboli? Uno dei dibattiti più aspri ha riguardato le capacità linguistiche dei primati non umani. Una slide mostra una ricercatrice della Georgia (insieme a uno scimpanzè della razza Bonobo) che lavora in un centro specializzato nel linguaggio e che per molti anni ha tentato di insegnare l’uso dei simboli agli scimpanzè pigmei. I risultati migliori li ha ottenuti con una scimmia di nome Kanzi. L’oggetto sperimentale era in realtà la madre Matà. Matà, in seguito a un controllo veterinario, non partecipa a una seduta sperimentale e il figlio Kanzi che si trovava li per caso, interagisce con la tastiera dei simboli con grandissima dimestichezza. Kanzi aveva assistito a tutte le sedute della madre perché, essendo ancora piccolo, le rimaneva spesso vicino e, semplicemente osservando quanto accadeva aveva lui stesso imparato l’uso dei simboli. Era più abile della madre e aveva imparato più velocemente probabilmente perché l’apprendimento era stato spontaneo, non coercitivo, dettato unicamente dalla sua stessa curiosità e soprattutto perché Kanzi si trovava proprio in quella determinata fascia di età in cui il suo organismo, analogamente a quanto avviene negli esseri umani e negli altri animali, più era predisposto ad apprendere determinate abilità. Kanzi è in grado di premere pulsanti sulla tastiera che designano un luogo piuttosto che un altro, una determinata persona con cui svolgere una particolare attività, quale attività svolgere e quale cibo o liquido assumere. Anche se il repertorio è limitato i simboli tra i quali sceglie sono assolutamente arbitrari, non si tratta cioè neppure di icone o comunque di segni che in qualche modo possono somigliare agli oggetti/luoghi/persone che rappresentano. Questo significa non certo che Kanzi possa parlare (cosa sulla quale i giornali hanno falsamente spostato il dibattito), significa però che anche in altre specie c’è un prerequisito cognitivo per l’utilizzo di simboli , che anche altre speci sono in grado di gestire alcuni aspetti che sono tipici del linguaggio, che si osserva un fenomeno di generalizzazione che permette di usare un segno per riferirsi a una categoria, a una serie di oggetti. Quindi gli scimpanzè sono in grado di imparare ad usare simboli anche se non risulta che in natura li utilizzino spontaneamente o li generino. Sembra si tratti allora di un passaggio intermedio, che assomigli al “momento prima”, al momento in cui ha cominciato a evolversi il nostro talento.
Quasi tutti gli animali hanno dei codici comportamentali di interazione (come il Lemure della foto, che con la coda strofina le ghiandole dei polsi, produttrici di feromoni e poi li sparge nell’ambiente) ma nessuno oltre al Bonobo pare condivida con noi questi prerequisiti cognitivi. Si cerca di capire in quale momento dell’evoluzione, la mente di un essere vivente ha cominciato a produrre simboli (slide con lumaca, australopitecus e Pierce Brosnam). Il passaggio è avvenuto fra lo scimpanzè e il lemure, fra lo scimpanzè e l’Australopitecus o ancora più avanti? Non possiamo fare interviste per capirlo ma, con metodi rigorosamente scientifici,i è possibile analizzare e datare ogni traccia lasciata da un uomo anche 100.000 anni fa.
Ci sono 2 tipi di approcci di ricerca (nella psicologia comparata) che permettono di analizzare in che modo e a che punto si è evoluto il pensiero simbolico:
- Approccio filetico: segue il percorso evolutivo di un organismo (o di un suo aspetto o capacità) nel tempo, studiandone i predecessori, gli antenati.
- Approccio filogenetico:osserva e studia nel tempo presente i parenti più stretti dell’organismo studiato.
Generalmente vengono valutati i risultati di entrambi i tipi di approcci per studiare un fenomeno.
In ambito biologico il problema del passaggio evolutivo da una specie ad un'altra è analogo e può venire approcciato in maniera simile. Quando è avvenuto ad es il passaggio dai rettili agli uccelli? Esiste forse un organismo intermedio fra questi due generi? (si vede una cartina della Germania con la città di Solone) A Solone esiste una cava di pietre adatte a produrre litografie dove si trovano dei fossili che appartengono ad un tale organismo: l’Archeokteris Litografica è una via di mezzo fra un rettile e un uccello, dotata di ali sulle quale si trovano degli artigli e senza il petto carenato tipico degli uccelli, quindi senza la possibilità di un punto di inserzione sufficientemente stabile per muscoli atti a guidare i movimenti delle ali nel volo. Sono stati ritrovati altri fossili di rettile con ornamenti con struttura simile a penne, che però potevano avere solo una funzione coibente anziché di volo, e dotati di unghie nelle ali anteriori. In Sud America esiste ancora un animale simile ad alcuni di questi fossili: l’Oazim. Si tratta di un uccello dotato di unghie sulle ali, che vengono usate per arrampicarsi sugli alberi e che poi però vengono perse in determinate fasi del suo sviluppo. Ricordiamo che anche nell’embrione umano in determinate fasi dello sviluppo si formano organi (branchie, coda) che non hanno alcuna funzione pratica per l’embrione stesso, ma che appartengono al percorso della catena evolutiva dei mammiferi e che scompaiono in fasi successive.
L’uccello Lira (dia) è dotato di unghie lunghe anziché ricurve perché se ne serve per camminare a terra. Le specie viventi di uccelli hanno unghie ricurve perché servono a stare sui rami, mentre lArcheokteris Litografica aveva unghie lunghe e piatte che tradiscono le sue abitudini arboricole, probabilmente si serviva poi degli artigli di cui erano dotate le sue ali per arrampicarsi sugli alberi dai quali poteva ridiscendere planando grazie ad ali che, seppur non dotate di muscoli adeguati al volo vero e proprio, potevano tuttavia essere utilizzate per scendere a terra. Anche le penne degli altri rettili appartenenti a quel periodo (dia) hanno caratteristiche diverse da quelle degli uccelli proprio perché non sono compatibili con il volo. Questo tipo di studi sui rettili e sugli uccelli sono un esempio di come sia possibile rispondere a domande circa alcuni aspetti del percorso evolutivo delle speci, raccogliendo informazioni sia dalle speci viventi che dai fossili.
“Towards a unified science of cultural Evolution” si tratta di un articolo del 2006. Parla dei punti di incontro fra l’approccio culturale evoluzionista e la teoria evoluzionista biologica: è possibile servirsi delle stesse tecniche per studiare l’evoluzione biologica e quella culturale. Andrew Whiten (dia), un ricercatore che studia gli scimpanzè è uno dei più noti rappresentanti di questa prospettiva (insieme ad un elenco di altri nomi che compaiono nelle dia). In un apposito diagramma si può osservare come le due discipline convergano. La teoria evoluzionistica biologica si è occupata dei rapporti, nella scala evolutiva, tra specie diverse, e l’approccio culturale evoluzionista ha allo stesso modo cercato di trovare un rapporto fra gli elementi che rappresentano il prodotto dell’evoluzione della cultura, e che possono essere rappresentati, ad es nel Paleolitico, dai tipi di utensili prodotti in quel periodo. Come si può vedere nelle diapositive, ad es nelle Galapagos un certo tipo di uccelli, sotto la pressione di mutamenti ambientali rilevanti, ha cambiato la forma del becco in tempi relativamente brevi, mentre pressioni simili nella nostra specie hanno determinato la produzione di utensili diversi: rapporti tra questi utensili possono essere analizzati con gli stessi criteri.
MODERN HUMAN BEHAVOIR (MHB) Anatomicamente la nostra specie non si evolve da circa 200.000 anni, perché l’evoluzione nel comportamento è stata allora solo così recente e soprattutto così veloce rispetto ai mutamenti evolutivo – biologici? Forse perché l’evoluzione del sistema simbolico è stata centrale.
“Pensieri e azioni che sottostanno alla mente dell’uomo di oggi…la chiave è l’uso dei simboli” (nella diapositiva è scritto in inglese).
Secondo il punto di vista “classico”, di cui sono rappresentanti tra gli altri Melars, Gibson e Klein, la comparsa dell’MHB è avvenuta negli ultimi 40.000 anni, è si è trattato appunto di un passaggio mentale e non anatomico. Ci sono però sempre più evidenze che incoraggiano il punto di vista alternativo (Deaco, Mc Bearthy…), secondo il quale questo passaggio potrebbe essere avvenuto in un periodo molto più antico: nel Paleolitico medio, circa 250.000 anni fa. Questo perché la realizzazione di utensili in osso, l’uso di strategie di sopravvivenza innovative (grazie all’utilizzo di utensili) come la pesca, la raccolta dei molluschi, ecc. comporta la capacità di generare rappresentazioni mentali complesse. Pensare ad es. masticando un osso, che questo potrebbe essere utile se venisse fissato sulla punta di un bastone per catturare il pesce che oggi ho avuto la fortuna di trovare già morto sulla riva di un fiume, significa avere la capacità di immaginare un tempo e un luogo diversi da quelli in cui in quel momento ci si trova: gli altri animali si muovono esclusivamente nel mondo e nel tempo che percepiscono, l’orso non pensa a cosa farà nel prossimo inverno, ecc. proprio perché si tratterebbe di una capacità legata alla rappresentazione simbolica.
Quindi l’MHB è intrinsecamente legato all’uso del pensiero simbolico. Ma quale potrebbe essere nel tempo il primo indicatore di una tale capacità? L’utilizzo di indicatori naturali (seguire le tracce), la costruzione di un primo indicatore artificiale o forse semplicemente un oggetto come quello mostrato nelle diapositive? Si tratta di un fossile di un riccio, trovato in un sito archeologico in un luogo dove non avrebbe mai potuto arrivare da solo… Tutti noi abbiamo l’abitudine di raccogliere conchiglie, sassolini colorati e/o collezionare oggetti per il gusto di farlo. In molti siti preistorici sono stati trovati oggetti senza un evidente uso utilitaristico, uno dei più interessanti è il ciottolo di Makapansgat (in Sud Africa), che ha ben 300.000 di anni. Questo significa che è stato raccolto addirittura da un Australopitechino, infatti il filone di roccia da cui proviene si trova ad alcuni km dalle caverne in cui è stato ritrovato: qualcuno deve averlo raccolto e trasportato fin lì, la probabilità che sia finito per caso nel luogo in cui è stato ritrovato è pari a zero dal punto di vista della scienza sperimentale. Si vede un sasso tondo e liscio, con 2 buchi simili a occhi (Masque de la Roche Cotard), che non può avere alcuna utilità pratica. L’ipotesi è che sia stato trovato interessante da chi lo ha raccolto a causa della sua somiglianza con un volto. Ovviamente si tratta solo di un’ipotesi, l’unica cosa che è sperimentalmente dimostrabile è che non può trovarsi in quel luogo casualmente.
Bérekhat Ram (Israele) 250.000/280.000 anni fa. Si può vedere un reperto trovato in Israele con una forma vagamente antropomorfa. La cosa interessante è che alcune parti di questo oggetto sono state ritoccate come per accentuare la sua somiglianza con un essere umano. Un famoso ricercatore italiano del CNR (Francesco Derrico) esamina un altro oggetto, di quarzite, che proviene dal Marocco e ha circa 400.000 anni, ritrovato a Tan-Tan. Si tratta di un oggetto solo in parte modificato da eventi casuali. Derrico individua infatti alcuni punti dove sono stati inferti colpi intenzionali, sempre per evidenziarne l’aspetto antropomorfo (in posizione A 2 colpi, B 3 colpi, C 5, D nessun colpo e così via…). Qualunque bambino è in grado di associare un icona a un oggetto di riferimento, pare però che non lo sappiano fare gli animali…
Si vede una dia con l’estremità meridionale dell’Africa. A Blombos c’è una caverna, un sito archeologico (di cui si vedono alcune foto, l’ingresso, l’interno… gli strati di roccia etichettati e datati). Si tratta di una caverna che è stata abitata per 30.000 anni, dai 100.000 ai 70.000 anni fa, cioè ben 60.000 anni prima che l’uomo imparasse ad addomesticare gli animali e a coltivare la terra. Si vedono foto di attrezzi tipici del Paleolitico, interessante la foto ingrandita di una punta di osso: trattandosi di materiale organico è possibile datarlo con una certa precisione, si sa che ha circa 60-70.000 anni. Si vede anche un frammento di mandibola di mammifero sulla quale sono state apportate incisioni chiaramente intenzionali, databile circa 75.000 anni fa. In questa caverna sono stati ritrovati 8.500 pezzi di ocra (si tratta di minerali ferrosi, di diversi colori, la cui polvere viene usata ancora oggi da alcune popolazioni per decorare la pelle del corpo) levigati, che presentano striature apportate probabilmente al fine di utilizzarli come polvere. Tra questi però 2 presentano segni apportati intenzionalmente: si tratta di un pattern molto evidente, costituito da una serie di linee parallele che non possono essere frutto del tentativo di polverizzare la roccia ma sembrano piuttosto riprodurre un motivo ornamentale. Il 1° oggetto ornamentale che conosciamo ha ben 75.000 anni.
È importante sapere che la datazione di un reperto archeologico avviene con criteri rigorosamente scientifici. Esistono diversi metodi per risalire all’età di un oggetto, fra questi possiamo ricordare ad es la Datazione Isotopica: si tratta di una datazione radiometrica, un metodo di determinazione d’età basato sul tempo di decadimento nucleare. Uno degli isotopi che è possibile misurare è il Carbonio 14, contenuto nelle materie organiche: ha un’emivita di 5.730 anni, sulla base quindi della quantità di Carbonio decaduto posso risalire al periodo intercorso tra il tempo in cui avviene la misurazione e la morte dell’organismo osservato. Un altro isotopo che può venire utilizzato a questo scopo è il Potassio 40, che ha un emivita di 1 miliardo e 300 milioni di anni, serve quindi a datare materiale molto più antico. Ci sono poi anche metodi di valutazione relativa, come quello stratigrafico, basato sul fatto che gli strati di roccia o cmq di materia più recente si trovano sopra quelli più antichi, per cui tutto ciò che si trova alla stessa profondità può venire datato in un identico periodo. Esistono inoltre le biostratigrafia, basate sul fatto che animali che hanno vissuto in un determinato periodo si devono trovare insieme ad altri che hanno vissuto nello stesso periodo. Per questo tipo di analisi sono particolarmente utili alcuni microrganismi che sono stati presenti in ambienti eterogenei. Si possono utilizzare ovviamente anche macrorganismi, ma questi generalmente sono molto meno diffusi e si prestano quindi meno bene come punto di riferimento, non essendo presenti in tutte le zone o gli ambienti.
LAKE NAIVASHA, Kenia (si vede una foto dal satellite). Ci interessano quindi oggetti che ci permettano di capire se in quel periodo esistesse la capacità di pensiero simbolico… Nella regione occidentale del Kenia, a oriente del lago Vittoria, si trova una caverna, nota da sempre ai Masai (che le hanno dato un nome che significa “grotta della penombra”) e che ha offerto materiale di studio a un ricercatore di nome Ambrosi (si vede un pezzo di un articolo che ha scritto su Science). C’è una dia che mostra un immagine stratigrafica tratta da una sua ricerca: nello strato colorato di lilla si trovano dei frammenti di terracotta, della ceramica decorata a pettine, che veniva lavorata dagli “Nderit” usando particolari strumenti. La cultura Salasun/Susiva (?), fa oggi decorazioni analoghe imprimendo sulla terracotta dei segni con la corda. In strati più profondi si trovano poi resti di utensili in “ossidiana” (un minerale prodotto dalle eruzioni vulcaniche, molto simile al vetro, che a quel tempo ovviamente non veniva ancora prodotto) insieme a dei frammenti di guscio di struzzo che hanno una forma molto particolare: si tratta di una sorta di cerchiolini piatti, con un buco in mezzo, alcuni dei quali spezzati, come se fossero stati rotti nel tentativo di forarli, sono sottili e hanno circa 5/6mm di diametro; sono gli elementi di una collana e la datazione al carbonio ci permette di collocarli in un periodo che risale a 40.000 anni fa, più o meno quando l’Homo Sapiens ha raggiunto l’Europa (30.000 anni prima dell’agricoltura).
Considerata la vita durissima che gli uomini conducevano in quel periodo, colpisce il fatto che impegnassero parte del loro tempo a produrre oggetti decorativi e sorge spontanea la domanda circa il significato, che quindi doveva essere particolarmente rilevante, di tali oggetti. Per trovare una risposta ci sono utili le conoscenze sulle usanze di una tribù nomade del Kalahari che oggi vive in modo analogo agli uomini che dovevano aver abitato il sito archeologico dove sono stati trovati i resti di quelle collane. È una tribù che non coltiva, non caccia e non alleva, vive in condizioni atmosferiche che cambiano in maniera sostanziale di anno in anno e non sempre garantiscono la presenza di acqua e cibo sufficienti. Anche i membri di questa tribù producono e portano collane e bracciali di guscio di uovo di struzzo, in questo caso però sappiamo a cosa servono e sappiamo anche che usano la stessa parola per designare l’uovo di struzzo e il “dono”. A volte infatti, a causa della carenza di cibo, diventa necessario che una tribù chieda all’altra l’accesso al suo territorio. Le popolazioni nomadi viaggiano continuamente e possono portare con sé solo lo stretto necessario, l’unico dono che sono in grado di offrire come ringraziamento consiste appunto nei bracciali e nelle collane di uova di struzzo che portano addosso: quei fili di perle garantiscono loro la sopravvivenza. Esistono molti reperti analoghi in vari siti (ad es in Tanzania e in Sud Africa) datati più o meno recentemente.
18 ottobre
Probabilmente i primi effetti comportamentali della capacità di generare rappresentazioni mentali e di pensare in termini simbolici non sono documentabili: forse si è trattato di un espressione del viso o di un gesto, ma un sorriso non lascia fossili, così come anche sono rarissime le tracce di decorazioni sul corpo (ne ritroviamo alcune su mummie). I gesti si possono considerare icone, in quanto mimano un’azione e alcuni di essi sono assolutamente universali, come il gesto riferito all’atto di mangiare, però sono pattern motori dinamici, quindi non lasciano tracce, ed è verosimile che proprio i gesti siano all’origine della comparsa del pensiero simbolico (ci sono diverse teorie in proposito). Anche se non possiamo studiare la storia dei gesti andando indietro nel tempo, abbiamo la possibilità di studiare cosa accade nelle poche culture tradizionali (si intende sempre dove non esiste l’uso della scrittura) rimaste. Qui bisogna tener presente che sia i primati non umani, come le scimmie Bonobo, e le culture tradizionali stanno ormai scomparendo, quindi si tratta di un opportunità che non avremo più per molto.
L’ambito delle arti rupestri ci offre molto materiale interessante per studiare i primi esempi di esternalizzazione delle rappresentazioni mentali e, se vogliamo, anche della memoria.
L’esternalizzazione della memoria (dalla scrittura alle chiavette del computer) è un fenomeno che ha prodotto l’uomo e che è fondamentale per la nostra vita. Sarebbe infatti impensabile che nell’arco di un’unica vita si potessero realizzare tutti i progressi culturali e tecnologici avvenuti dalla comparsa dell’uomo ad oggi. Il progresso in ogni campo è stato possibile solo perché qualcuno ha lasciato su di un supporto esterno al proprio cervello la sua memoria, così che chi è venuto dopo ha potuto costruire nuove conoscenze sulla base di quelle già acquisite. Un tempo (come ancora avviene nelle culture tradizionali) erano gli anziani i depositari di tutto ciò che la comunità sapeva (riti, tecniche di caccia o pesca, medicina, ecc.). Dopo che la parola, (nata forse al servizio del funzionamento interno della mente, della gestione delle informazioni e delle organizzazioni mentali) comincia a uscire dalla mente esce anche nella scrittura, che rappresenta una sorta di archiviazione su supporto esterno delle informazioni. La carta che oggi usiamo segue a tantissimi passaggi che hanno visto l’utilizzazione di materiali molto diversi tra loro: pietra, terracotta, osso, avorio, guscio di testuggine, pelle, metalli (gli ideogrammi cinesi venivano incisi sul bronzo), legno, riso e altre fibre vegetali. Anche gli ornamenti sono frutto di una rappresentazione, i primi reperti risalgono a 85.000 anni fa e sono presenti anche oggi in tutte le culture. Alcune cose quindi sono sempre rimaste, altre tornano con significati diversi e complessi o non perdendo mai la loro valenza, come ad es l’uso di colorarsi la pelle, che ha basi biologiche (che ci piace NON conoscere… non ha spiegato perché). L’evoluzione tecnologica è tanto veloce da essere uno dei cambiamenti più facili da percepire. L’eccezionale velocità con la quale avviene è dovuta al fatto che ognuno di noi, disponendo di una rete virtualmente infinita di informazioni, può fare tutto ciò che vuole, senza doverlo prima “scoprire”. In realtà non siamo biologicamente diversi dagli uomini di 100.000 anni fa che pure avevano impiegato 100.000 anni a scoprire il fuoco. Per quanto riguarda tutto ciò che lo differenzia dalle altre speci non umane l’uomo è più “fuori” che dentro, cioè più nella memoria esterna, negli archivi dove sono situate la stragrande maggioranza delle sue conoscenze. Gli scimpanzè osservati da Whitfield sono in grado di imparare a spaccare ad es un particolare tipo di noce molto più velocemente di noi: i soggetti sperimentali umani hanno impiegato mediamente 40 minuti per la prima e 20 per la seconda noce, con un dispendio energetico che non sarebbe stato in relazione con le calorie assunte da quella stessa noce (per questo motivo fino a non molto tempo fa, quando il cibo non era così abbondante faceva bene mangiare ciò che era dolce, perché aveva un alto contenuto calorico e aumentava la possibilità di sopravvivere fintanto che non ci fosse stato nuovamente cibo a disposizione). Quindi noi abbiamo bisogno delle tecnologie per sopravvivere, e per sfruttare e migliorare le tecnologie abbiamo la necessità di esternalizzare le nostre conoscenze e di comunicarle.
Produrre un disegno è sicuramente anche una forma di esteriorizzazione di una rappresentazione mentale e di memoria. Un giorno qualcuno ha cominciato con del pigmento a disegnare su pareti. Inizialmente si pensava che le prime forme di arte rupestre risalissero a 15-20.000 anni fa, oggi si sa è possibile risalire molto più indietro nel tempo.
Possiamo discriminare tre tipi di produzioni artistiche:
- Arte parietale: realizzata all’interno di caverne, grotte o anche in ripari che non sono vere e proprie caverne. È caratterizzata dalla luce, nel senso che le condizioni di luce possono variare molto a secondo dell’ora del giorno (se questa filtra da una qualche apertura) e della posizione da cui proviene o se si tratta di disegni realizzati al fuoco delle torce.
- Arte rupestre : realizzata su superfici completamente esterne (almeno nel momento in cui sono state effettuati i disegni), generalmente precedentemente levigate dal passaggio dei ghiacciai.
- Arte mobiliare: tutto ciò che può venire trasportato, quindi, per convenzione tutti i disegni realizzati su di una superficie non più grande del palmo di una mano.
Distribuzione geografica dell’arte parietale
Gli USA non hanno avuto facilmente accesso alla maggior parte dei siti archeologici europei, specialmente a quelli francesi e spagnoli, per cui hanno indirizzato i loro ricerche verso il continente Africano. Qui le origini dell’uomo hanno radici più antiche e ciò ha consentito di fare scoperte che hanno portato a confutare la concezione classica riguardo il MHB, che ne collocava la nascita solo 40.000 anni fa.
Naturalmente per produrre disegni (come per ogni cosa) non è solo necessario che qualcuno sia capace di farlo, ma anche che l’ambiente fornisca le materie prime adatte ad approntarli. Per questo nella dia dove vengono mostrati i luoghi dove sono avvenuti i ritrovamenti di arte rupestre e/o parietale, si può osservare una distribuzione assolutamente non omogenea di tali ritrovamenti: sono per la maggior parte avvenuti in Francia o in Spagna, in Italia lungo il corso dei fiumi ecc…
OPERA-CONTESTO
Tra opera e contesto c’è sempre un rapporto unico, nel senso che l’opera nella sua specificità può essere tale anche in ragione degli specifici materiali con i quali è stata prodotta. I reperti ritrovati sono stati prodotti su supporti con caratteristiche molto diverse fra loro, lo stesso tipo di pigmento cambia moltissimo a seconda del supporto su cui viene distribuito, perché la roccia può essere porosa o, al contrario, quasi impermeabile, calcarea ecc. Anche “l’impaginazione”, cioè lo spazio su cui l’uomo può di volta in volta realizzare i suoi disegni ha dimensioni molto diverse. Quindi in ogni grotta il supporto, lo spazio, la luce e il suoi riflessi sono unici. I pigmenti usati invece comprendono principalmente l’ocra in tutte le sue variazioni di colore (limonite, ematite, romanachite, ecc) e la polvere di carbone (per il nero). Nelle dia si vede la grotta di Altamura, poi la Cueva de Ekai…quindi delle foto di un sasso spaccato con forme dentro che sembrano fossili di vegetali: in realtà si tratta di infiltrazioni di ossido di manganese, uno dei pigmenti più utilizzati per il colore nero.
Questi primi esempi di trasferimento delle rappresentazioni mentali su supporto esterno riguardano spesso immagini di caccia, una situazione sicuramente angosciosa per un uomo pressoché indifeso che si trovava di fronte ad un bufalo che poteva ucciderlo e che spesso probabilmente aveva visto uccidere compagni di caccia o parenti. Spesso si trovano rappresentazioni di animali oggi estinti.
23 ottobre
LA PUBBLICAZIONE SCIENTIFICA
Il “Peer Review” è una procedura che viene applicata per stabilire se un articolo può venire o meno pubblicato su di una rivista scientifica. Il ricercatore che desidera pubblicare un suo lavoro su di una rivista scientifica, deve inviare il materiale in una busta. L’Editor Chief della rivista in questione fa una prima lettura della ricerca e stabilisce se cestinarla o discuterla insieme ad altri membri dell’Editorial Boo? Il 75% dei lavori viene cestinato prima. Una parte del restante 25% viene cestinata, il rimanente inviato al Peer Review, un gruppo di tre persone del settore che generalmente rimanda al mittente il 15% dei lavori complessivi (perché magari i metodi statistici non erano adeguati o le conclusioni tratte non erano in realtà davvero sicuramente deducibili dai dati, o il campione è stato considerato troppo ridotto). Solo il 10% di tutti i lavori inviati vengono accettati (qui bisogna pensare che anche gli altri erano comunque ottimi lavori, c’è al max un 5% di persone che invia ricerche assolutamente non scientifiche).
I lavori accettati possono venire pubblicati in 3 modi diversi:
- Proponendo all’autore cambiamenti radicali (ad es rifare la ricerca con un numero di soggetti superiore)
- Richiedendo modifiche contenute (ripetere l’analisi dei dati applicando un metodo statistico ritenuto più adeguato, ad es non parametrico invece che parametrico)
- Accettando il lavoro integralmente (accade raramente)
Quindi è necessario diffidare di tutti i lavori che non hanno superato una tale selezione, o per lo meno tener presente che solo ciò che viene pubblicato su di una rivista scientifica rispetta sicuramente i criteri riconosciuti dal mondo scientifico, tutto ciò che viene pubblicato su di una rivista normale potrebbe essere un lavoro serio ma non necessariamente lo è. Bisogna considerare gli articoli che appaiono sulle riviste nelle edicole o sui giornali solo come indicazioni, e tener presente che non hanno superato nessuna particolare selezione. Eventualmente prendere informazioni sull’autore, se generalmente pubblica anche su riviste scientifiche sarà più credibile.
Per i libri è più difficile perché solo pochi libri scientifici sono editi con un meccanismo simile. Una possibile garanzia è la casa editrice, nel caso sia la stessa che pubblica riviste scientifiche, o ancora l’autore, nel caso sia conosciuto e pubblichi i suoi lavori anche su riviste scientifiche. Come esempio la slide mostra un libro di un certo Merlini: è un libro travestito da lavoro scientifico, che cita associazioni, università e fondazioni con nomi ridondanti dietro i quali in realtà non c’è nulla (ricordiamo che chiunque può aprire un sito in rete in un quarto d’ora…)
LE GROTTE CHAUVET – PONT – D’ARC
Il 18.12.18?? Chopet trova una grotta con interessantissimi disegni su roccia: rinoceronti, cavalli, bovini del paleolitico, orsi, iene e un felino. I dettagli sul muso del felino sono molto precisi (si vedono i pori dai quali escono le vibrisse), quindi il cacciatore deve essere stato molto vicino, forse l’ha catturato (immaginiamo un uomo di 20.000 anni fa armato solo di un legno)
LA CUEVA DE IKAIN (Spagna, si vede la localizzazione ai confini con la Francia)
Nell’Europa Occidentale vi sono decine di siti, molti dei quali ai confini fra Francia e Spagna. Si vede una mappa delle grotte, spesso le opere si trovano in profondità, venivano illuminate con del fuoco (di cui spesso restano tracce nella volta). Si vedono ancora slide con bovini e cavalli di cui uno con il pelo della pancia fatto con tratti di pigmento nero. Ricordiamo che il materiale sul quale venivano realizzati i disegni era di natura molto variabile.
MARIA SANZ DE SAUTUOLA (si vede la foto di una bambina)
Nel 1879, a 12 anni, dice a suo padre di aver trovato dei tori in una grotta. Il padre la segue (Don Marcelino Sanz de Sautuola) e trova effettivamente dei disegni sulle rocce della grotta: si tratta del sito archeologico di Altamura. Inizialmente le autorità (Cardiac) liquidano la cosa come truffa, poi ulteriori sopralluoghi confermano la presenza di indizi che lasciano supporre l’autenticità dei lavori (in quell’epoca ci si basava unicamente su criteri stilistici, non si disponeva di tecniche di datazione scientifiche). Si vede la piantina di Altamura, poi alcuni dei tori che vi sono dipinti: molti sono stati disegnati su protuberanze rocciose della volta, uno in particolare ha una posizione strana, in cui normalmente non si vedono gli animali, sembra rannicchiato.
Nel 1880 Don Marcelino effettua una riproduzione della volta dove riporta non solo i disegni ma anche dei segni che si riferiscono alla conformazione della roccia. Si vede una slide con Pierre Teilhard de Charduin insieme all’Abate Breuil (un gesuita che si è occupato dell’uomo di Pechino, scontrandosi con la Chiesa, tanto che il Segretario del Sacro Uffizio di quel tempo aveva impedito la pubblicazione dei suoi studi). Anche l’Abate Breuil effettua una riproduzione della volta, ma tralascia la descrizione della forma delle rocce sulle quali si trovano i disegni. Sembrerebbe una scelta migliore perché automaticamente si tende a dare per scontato che la condizione ideale, anche per gli uomini che hanno prodotto i disegni, sarebbe stata una parete liscia, di cui purtroppo non potevano disporre. In realtà molto spesso la figura disegnata si adatta alle irregolarità della superficie di supporto, sembra quasi che la forma stessa degli animali raffigurati segua quella suggerita dal supporto. Si vede un immagine di una parte alta della roccia che presenta delle colature calcaree: alla luce della torcia queste colature a qualcuno hanno suggerito il completamento di una forma, effettuato poi con i pigmenti colorati. Tutti i bambini giocano a completare le forme, ad es dei sassolini sulla spiaggia, o immaginano forme e figure guardando le nuvole. “LA CAPACITÀ DI VEDERE IN UNA FORMA QUALCOS’ALTRO”: una facoltà che potrebbe stare alla base della rappresentazione mentale. Sarebbe interessante sapere se si tratta di una capacità che condividiamo con i primati non umani o con altri animali. Sicuramente in alcuni casi per spiegare alcuni comportamenti animali l’ipotesi più semplice e conservativa è che dispingano di rappresentazioni mentali. Sicuramente la maggior parte dei comportamenti sono dovuti ad elementari meccanismi di apprendimento associativi, ma non tutti: lo scimpanzè che dopo aver trovato un sasso (evento raro in una foresta pluviale, dove i sassi si trovano sepolti da decine di metri di foglie e vegetazione) lo trasporta percorrendo distanze anche lunghe per poi servirsene per rompere delle noci, probabilmente non può non avere una rappresentazione mentale di ciò che ha progettato di fare, così il corvo che quando il semaforo è rosso per i pedoni lascia cadere una noce per poi raccoglierla a semaforo verde, dopo che le macchine l’hanno schiacciata, o altri corvi che strappano un particolare tipo di picciolo da una pianta per usarlo come gancio per estrarre cibo da buchi attraverso i quali il loro becco non può passare..
Inizialmente gli esempi di arte parietale sono stati valutati sotto l’aspetto artistico, più recentemente si è più attenti al fatto che possa essere stata la forma stessa di luoghi casuali e il supporto a suggerire il tipo disegno. Si vede come il profilo di un interno di una grotta abbia suggerito la forma di una schiena di bovino e sia stata completata. ANNETTE LANUNG EMPERAIRE (leggi Emper, si vede la foto) è stata la prima a sottolineare questi aspetti.
ARCY SUR CURE si vede un disegno dove ci sono immagini sovrapposte disegnate in due momenti diversi. Se si scompongono si vede a sinistra uno stambecco e a dx il completamento di un profilo di un Mammuth suggerito dalla forma della roccia.
Tornando ai tori di Altamura possiamo fare alcune ipotesi circa la posizione insolita del toro rannicchiato e il fatto che i disegni siano stati rappresentati su protuberanze. A questo proposito occorre tener presente che fino al medioevo si credeva possibile la generazione spontanea. Si vede a questo proposito un disegno di una pianta che genera oche… si pensava che gli “infusori” (microrganismi che si trovano nell’acqua stagnante) si generassero dal nulla. È stato Spallanzoni, con una serie di esperimenti, a dimostrare per la prima volta che la generazione spontanea non esisteva. Forse gli uomini di quel tempo credevano che i tori nascessero dalle grotte perché avevano intravisto delle forme simili emergere dalla parete: una grotta buia era sicuramente suggestiva per gli uomini del 20.000 a.C.
LUOGO FORME ARTE (slide)
Oggi gli aborigeni, nella loro pratica quotidiana realizzano arte rupestre nei luoghi sacri. Il luogo e le forme per loro sono effettivamente intimamente legati con gli aspetti artistici. Osservare le produzioni artistiche delle popolazioni con cultura tradizionale ancora esistenti è l’unico modo per azzardare delle ipotesi circa i lavori preistorici: gli uomini di quel tempo non si possono intervistare. La rilevanza del luogo è qualcosa di notevole che noi oggi non percepiamo più. Un tempo i luoghi ad es per costruire qualcosa venivano scelti con molta cura. La tomba dei giganti in Sardegna è un luogo di sepoltura che risale all’età del bronzo: da quel preciso punto (e solo di lì) si possono vedere contemporaneamente 3 laghi, forse si può ragionevolmente supporre che non si tratti di un caso.
Si vede la slide del Bos (genere) primigenius (specie) Bojanus, un bovino esistente in Europa fino al 1.600, che oggi è stato quasi riprodotto tramite la selezione genetica. Un tempo si pensava non appartenesse alla stessa specie delle mucche (Bos taurus) come invece è nella realtà. Si vedono ancora rappresentazioni di bisonti, felini, cavalli, un oggetto di arte mobiliare, mani. Queste ultime di solito ottenute in negativo (si metteva dell’ocra dentro un osso cavo e poi si soffiava attraverso l’osso la polvere di ocra sulla mano che stava appoggiata sulla roccia bagnata).
Si vedono poi delle punteggiature, delle serie/sequenze di linee, difficili da interpretare. Si è tentati di ipotizzare che potessero essere un modo per conteggiare gli oggetti o il trascorrere del tempo, magari si celebravano gli esiti della caccia e si conteggiavano le prede, oppure si potrebbe trattare di un conteggio del tempo, magari delle lune o dei giorni o altri cicli osservabili. Con certezza naturalmente non lo si può dire, perché questi segni non hanno un carattere iconico.
Si vede una tabella con tutti i siti di arte parietale conosciuti divisi per regione, dove si conteggiano in percentuale i disegni che avevano come oggetto diversi animali: non sono sempre quelli più noti ad essere rappresentati più frequentemente.. Si vedono una serie di linee parallele inclinate a forma di tetto: sembra il tetto di una capanna, ma sarebbe scorretto affermarlo, possiamo solo dire “a forma di” e questo vale per quasi tutte le rappresentazioni che troviamo. C’è anche una tabella con una classificazione dei segni, una tabella complessa perché ci sono tantissime variazioni di segni.
Quello che si può osservare è che ciò che vale per i primi oggetti ritrovati vale anche per l’arte rupestre: le forme già esistenti hanno suggerito immagini che sono state poi ricreate dall’uomo che le ha intraviste negli oggetti o nelle pareti rocciose. Bisogna anche tener presente che le prime forme erano tridimensionali, è occorso del tempo, un passaggio nel tipo di elaborazione mentale, per riuscire a passare a comprendere le forme bidimensionali.
Se i primi siti erano in Europa (si vede anche la Val Camonica) tantissimo materiale si è in seguito reso disponibile anche in Africa. Qui abbiamo esempi anche molto recenti di arte rupestre, spesso non distinguiamo quanto antichi possano essere i materiali ritrovati perché le analisi che permettono una datazione sono molto costose e non vengono effettuate su tutto.
Augusto Trilli ha fatto un catalogo con centinaia di categorie di segni. Si vede ad es la rosa canina su di una roccia. Ancora oggi vengono usati alcuni di questi segni (o simboli?), scolpiti, dipinti o come oggetti, ad es i pendagli ad occhiale, o il labirinto. Si tratta di una sorta di segni universali, che si trovano in tutte le parti del globo e in ogni epoca nelle culture tradizionali.
Interessante anche l’orientamento di alcuni luoghi, che segue le stelle (archeoastronomia), riguarda ovviamente i luoghi di culto.
25 ottobre
Osserviamo alcuni reperti: arte rupestre in Australia, si vede anche la cartina dell’Australia, ci sono dei motivi incisi su pareti rocciose, animali fra i quali probabilmente dei Koala. Segue la cartina dell’Africa meridionale, qui i Boscimani sono gli autori di rappresentazioni di struzzi, struzzi, antilopi, giraffe (Namibia).
Parliamo di tecniche di archiviazione. In foto alcuni ricercatori le stanno usando: una ricercatrice appesa a una roccia fa un calco con un foglio di acetato (come i lucidi che servono a proiettare) che permette di ottenere un rilievo della rappresentazione. In questo modo è possibile evidenziare dettagli ancora più particolareggiati di quelli che si potrebbero ottenere in una foto, inoltre è possibile fare un rilievo diverso per ogni eventuale strato del disegno rilevato (a volte si trovano immagini sovrapposte, disegni fatti in periodi diversi uno sull’altro) ricalcando le superfici interessate con pennarelli di colore diverso. Vediamo anche rappresentazioni in grigio e nero eseguiti in tempi diversi o comunque con utensili differenti. Poi pietre (provenienti dalla Val Camonica) che venivano usate per incidere i disegni nella roccia (Serpentino, Quarzite, ecc), cioè per fare gli attrezzi (il percussore) che servivano a tale scopo.
Per la valutazione e lo studio delle arti rupestri, parietale e mobiliare c’è oggi un’approccio interessante: fino a metà del secolo scorso la valutazione dei lavori ritrovati veniva fatta esclusivamente sulla base di criteri stilistici, gli stessi che venivano usati per decidere dell’autenticità di opere recenti (ad es di un Caravaggio, ecc); si chiedeva ad un esperto di dare il suo parere e sulla base di quello si prendeva una decisione in merito all’autenticità o al periodo storico. Oggi oltre alla valutazione stilistica e alle datazioni tecniche ci si avvale dell’“approccio sperimentale”. Questo ci permette di ottenere non solo informazioni circa l’autenticità, ma anche sul modo in cui i lavori sono stati eseguiti, quindi sul comportamento di uomini vissuto 30.000 anni fa. I ricercatori provano a riprodurre i disegni usando i materiali che si suppone o si è potuto stabilire che siano stati usati, in questo modo si potrà riprodurre un disegno identico solo usando effettivamente la stessa tecnica, gli stessi gesti, gli stessi materiali. Si riteneva ad es che i lavori fossero stati eseguiti per percussione indiretta (perché oggi anche i muratori fanno cosi, non danno colpi direttamente nel muro, ad es per togliere l’intonaco, ma battono con un percussore contro un altro oggetto appoggiato sul muro). Si ipotizzava poi che nell’età del bronzo i percussori utilizzati per il picchettaggio su pietra fossero di metallo, si è invece constatato che utilizzando un percussore di bronzo si ottengono segni quasi perfettamente identici fra loro, mentre non lo sono quelli dei disegni, perchè la punta di un percussore in pietra si deforma, quindi produce segni non identici come non lo sono quelli dei lavori ritrovati: probabilmente il bronzo era troppo prezioso per venire usato come percussore. Vediamo ancora dei segni prodotti dalla affilatura di strumenti di metallo, poi delle mani di 3 persone diverse (si tratta del masso di Capodimonte, la leggenda narrava che fossero le mani di 3 sante che avevano fermato il sasso impedendo che rotolasse su di una Chiesa sottostante). Subito dopo il confine con la Francia, sul monte Bego c’è un altro sito famoso, si vede la cartina, con una macchia verde dove sono stati ritrovati reperti: teste di bovini, figure antropomorfe, immagini geometriche semplici (tra cui la spirale, una costante in tutte le culture del pianeta terra), alcuni potevano forse rappresentare la suddivisione dei campi da coltivare. Si vede il lago di Garda, sopra c’è il monte Baldo, anche qui vi sono reperti. Guardiamo queste immagini e cerchiamo di metterci nell’ordine di idee di un uomo ad es del 5000 a.C. e capire in che tipo di mondo viveva e per quali ragioni dedicava così tanto tempo a produrre queste rappresentazioni.
Nel 1991 2 turisti austriaci ritrovano per caso la mummia di Sinales (Öz). Il ghiaccio l’ha conservata benissimo tanto che quanto possiamo osservare ci permette di entrare nella sua quotidianità. Aveva con se un secchiello (foto) di betulla, dove veniva conservata della brace con delle foglie di acero, per poter accendere il fuoco. Ci sono ancora le sue scarpe, fatte di corda e fibra naturale con intorno della pelle. Konrad Spindlere ha scritto un libro su Öz, ipotizzando tra l’altro le possibili cause della sua morte. Oggi sappiamo, grazie ai risultati di una radiografia effettuata su Öz e che ha permesso di vedere la punta di una freccia all’interno del suo corpo, che doveva essere morto per una ferita. Öz vive in un momento significativo per la nostra specie per quanto riguarda lo sviluppo del pensiero simbolico. Sappiamo che poteva interpretare in modo efficace gli indici, infatti per mettersi in viaggio era essenziale comprendere gli indicatori metereologici (specialmente a quel tempo, prendere freddo e pioggia o neve era molto pericoloso), per catturare un cervo (preda rarissima a quei tempi) era necessario saper seguire le sue tracce, ecc. Quindi un primo elemento riguardante la capacità di rappresentazione mentale è dato appunto dal repertorio degli indici; un secondo elemento riguarda le interazioni sociali e culturali, che in effetti iniziano a essere complesse: si vede una carta dell’Europa con frecce nere che documentano le rotte di scambio di materie prime, un fenomeno che rappresenta un cambiamento per il progresso dell’uomo. Ma che cosa viene scambiato? (si vedono foto di:..) ad es Ossidiana (la pietra dura di origine vulcanica, utile ad es a produrre falcetti per tagliare le graminacee), proveniente ad es dai giacimenti (si vede piata) di Lipari, Pantelleria, Palmarola e dal monte Arci. Poi si scambiano utensili in selce, ma la cosa interessante è che cominciano a venire scambiate anche cose che non hanno un’utilità pratica, ad es una pietra con venature color caffelatte proveniente da giacimenti in Polonia. Comincia perciò ad esserci un concetto di valore diverso da quello di valore d’uso. In economia vi sono molti tipi di valore, ad es il valore d’uso è indicato dall’acqua, il diamante rappresenta il contrario dell’acqua perché ha un valore d’uso pressoché nullo. La strada verso questi modernissimi concetti parte da questi primi oggetti che diventano merce di scambio solo perché elementi dotati di un valore estetico o legato alla rarità. Ad es alla Madelein (a 100 km dal mare), vicino a Bordeaux, si trovano ornamenti costruiti con conchiglie che arrivano dal mare della Francia ma anche addirittura dal Mar Rosso (nel 1500 a.C.!!). Si diffonde quindi ciò che già avevamo potuto osservare attraverso reperti datati 40.000 anni fa, quando gli uomini usavano come merce di scambio collane e altri ornamenti fatti di guscio di uova di struzzo. La stessa parola “moneta” viene dal nome di una conchiglia: Cyprae Moneta (si vede foto). Lungo queste rotte veniva trasportato anche il sale, uno dei materiali (in un recente passato) più tassato (del resto molto utile alle popolazioni montane per la conservazione delle carni, nel secolo scorso si finiva in prigione se si contrabbandava sale). Poi l’Ambra una resina fossile, che arriva da regioni diverse, a metà fra entità biologica (infatti si scalda) e entità minerale, fregandola (anche su una pelliccia) produce elettricità, nell’età del bronzo non se ne conosceva l’origine ed esercitava sicuramente un fascino particolare. Sulle rotte di passaggio che si vedono nella carta ci sono molti punti cruciali in cui si osserva la presenza di particolari strutture: si tratta di pietre piatte piantate nel suolo, denominate stele. Ve ne sono alcune semplicemente lisce, molte altre però hanno delle incisioni o forme antropomorfe (una pietra senza immagini, dalla semplice forma piatta e lunga si chiama Menir). Queste si possono suddividere in due tipi: 1) a “grani spalle”, vagamente rettangolare, tipica dell’Euraopa continentale, cioè lontana dalle coste; 2) “ogivale”, si trova principalmente nelle aree costiere.
Inizialmente si pensava fossero monumenti funerari perché si trovavano spesso nei cimiteri, poi si è capito che si trattava solo di un uso successivo alla loro costruzione, cioè che erano state solo in un secondo tempo tolte dal luogo in cui erano e trasportate via per venire usate altrimenti. In realtà infatti nel loro primo impiego erano pensate per le rotte di comunicazione, poste in luoghi significativi in tal senso: ad es all’unione di 2 fiumi, presso un valico, all’attacco di un sentiero, ecc. Si vede una pianta con i siti di Aosta e di Sion, le stelle rosse indicano i siti megalitici (con le stele, megaliti: grosse strutture in pietra), un sito si trova ai confini fra la Liguria e la Toscana, un altro in Trentino (sulla rotta di comunicazione con il Nord, una delle vie da cui arrivava l’Ambra). Anche la Sardegna è ricca d’Ambra. Si vede poi la stele di Kerch, che ha delle mani, guardandola di lato si vede il bordo della spalla destra: è particolarmente lucido, l’ipotesi è che i viandanti usassero toccarla (siamo nel 3000 a.C.) perché forse così si usava fare come saluto o gesto rituale quando ci si incontrava fra uomini. Si vedono una serie di altre stele fra cui una anche femminile. Si vede il sito di Minacciano che unisce 2 valli, qui si trova una stele con pugnale. Ad Arco, in Trentino ve ne sono altre. Si tratta di materiale ritrovato per lo più casualmente, scavando per costruire edifici o strade, ecc. Le steli non rappresentavano in ogni caso divinità , ma piuttosto capi o personaggi eroici viventi che venivano in questo modo celebrati, oppure si trattava di una sorta di marcatura del territorio, perché forse quelle terre appartenevano in qualche caso addirittura alla persona rappresentata dalla stele. In questo caso i colpi che i viandanti forse davano sulla spalla erano un segno di rispetto verso un signore non fisicamente presente ma padrone di quelle terre. Seguono altri esempi di cui uno di una stele con una sorta di bastone del comando intorno al collo (alcuni capi sepolti avevano un bastone denominato “uscé” all’interno della sepoltura, un bastone di pietra che veniva simbolicamente rotto perché la sua morte segnava anche la fine del suo potere).
ARTE MOBILIARE
Sono oggetti concepiti per essere portati con sé. Si vede una cartina dell’EU, con Bolinkoba. Nei paesi baschi sono stati ritrovati oggetti in osso di 35.000 anni fa, che presentano tacche allineate, con significato enigmatico (forse analogo alle serie di punti osservati nell’arte parietale). Finora le opere osservate erano una sorta di fotogramma, si potevano cioè osservare a partire da qualsiasi punto, non presentavano nessun tipo di successione temporale. Nella narrazione invece, così come nella scrittura del resto, si tratta al contrario di una sequenza di informazioni con andamento lineare. Le linee allineate sull’osso sono una delle prime sequenze lineari. Si può ipotizzare che si tratti di un conteggio, oppure della registrazione del tempo. Per effettuare una di queste due operazioni è necessario un passaggio cognitivo, bisogna avere una rappresentazione del tempo che passa (gli scimpanzè non producono sequenze lineari, non vi è nessuna evidenza che abbiano fatto questo passaggio). Si osserva poi un punteruolo in osso con decorazioni (cerchi e semicerchi), e altre incisioni meno regolari e più casuali. Ci sono altri esempi del genere nei paesi baschi, si vede una foto con un oggetto che presenta tacche regolari ed estremamente minute, come se l’autore avesse in mente di fare una registrazione di sequenze molto lunghe. Si vede una slide scritta in francese che parla della classificazione dei segni: vengono essenzialmente suddivisi in due categorie, cioè quelli prodotti da eventi naturali e quelli apportati dall’uomo.
I primi possono avere origini diverse:
- Prodotti da animali, anche perché si tratta spesso di segni su ossa, le quali potrebbero essere state rosicchiate o graffiate anche dall’uomo
- Prodotte da fenomeni chimici, come la corrosione o l’infiltrazione di minerali
- Prodotti da fenomeni meccanici come lo slittamento dei ghiacciai, trascinamento di animali, attività di specie vegetali (es radici di alberi, nota che il potenziale matricole di un seme è pari a 500 atmosfere!!!
Oppure può essere appunto l’azione umana, anche qui per motivi diversi
- Segni casuali prodotti ad es mangiando o scarnificando le ossa
- Dovute al fatto che il materiale è stato usato come supporto per fare qualcos’altro, cioè vi è un’intenzionalità ma non dovuta alla produzione di quegli stessi segni
- L’intenzionalità sta alle spalle di quegli stessi segni
Per noi è essenziale capire quando si tratta dell’ultima ipotesi, perché questa intenzionalità è all’origine dei segni che hanno portato a sviluppare la scrittura.
Fonte: http://appunti.buzzionline.eu/downloads/comunicazionecp0708.doc
Autrice del testo: Claudia
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