Infelicità
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Infelicità
Prima di tutto sii fedele a te stesso…
Massima che deriva da Polonio (ciambellano nell’Amleto) che finì per farsi ammazzare da Amleto per essere rimasto fedele a se stesso (origliando dietro una tenda).
Chiunque, può vivere in conflitto con il mondo circostante e con il prossimo. L’infelicità si può comunque creare anche all’interno della propria mente ma questo è difficile sia da capire che da attuare.
Una delle strade per l’infelicità si può raggiungere convincendosi che vi sia un unico punto di vista valido e che questo sia il proprio. Ed è proprio a tal proposito che possiamo distinguere due categorie di persone:
- I dilettanti: coloro che finiscono per alzare le spalle e a volte per arrangiarsi
- Gli esperti: coloro che rimangono fedeli a se stessi e che non scendono a compromessi. Si tratta di coloro che posti di fronte alla scelta tra il dover essere e l’essere scelgono il dover essere rifiutando ciò che si è. Essi sono fedeli ai propri principi, rifiutano ogni cosa (per non tradire se stessi) anche i consigli (di una terza persona) sebbene siano nei propri interessi. Il vero genio però, rigetta persino ciò che a se stesso appare come la migliore raccomandazione (in quanto fatta a se stesso).
Quattro giochi con il passato
Il tempo guarisce ferite e dolori ma, senza ombra di dubbio, anche del passato si può fare fonte di infelicità e, per farlo, abbiamo a disposizione ben 4 meccanismi.
L’esaltazione del passato
Chi non riesce a vedere il proprio passato attraverso un filtro che lasci trasparire il bello e il buono, finisce per ricordare la pubertà come periodo dell’insicurezza e, per tanto, non rimpiange di quel periodo nemmeno un attimo. Chi invece aspira all’infelicità, ricorda i tempi della giovinezza come i bei tempi passati e perduti il che provoca tristezza (lo stesso accade quando si rompe una relazione d’amore e si agisce nello stesso modo).
La moglie di Lot
Restare fedeli al passato, significa inevitabilmente non avere tempo per dedicarsi al presente (considerato quindi come un qualcosa che ha da offrire solo ulteriore infelicità o novità che potrebbero scuotere il pessimismo). Questa teoria si può comprendere meglio richiamando alla memoria la moglie di Lot, alla quale l’angelo disse di non voltarsi e di fuggire o sarebbe morta, lei non ascoltò, si voltò e venne trasformata in statua di sale.
Il fatale bicchiere di birra
“The fatal glass of beer” è un film di Fields (maestro del cinema comico americano) in cui viene descritto il decadimento di un giovane che non sa resistere alla tentazione di bere il suo primo bicchiere di birra. In questo caso, ci si sente colpevoli anche se è troppo tardi e si è vittime del proprio sbaglio. Questa non è sicuramente la maniera ideale per realizzare la propria infelicità. Bisogna quindi cercare di perfezionarla e portare tutti al punto di credere che non c’entriamo nulla con quel fatto. La personalità, d’altra parte, è determinata dai fatti accaduti in passato e, ogni cosa accaduta lo è per sempre. In alcuni rari casi, ciò che desideriamo si realizza tra la nostre braccia portandoci a non perderci d’animo ma a non permettere alle ferite del passato di guarire. Il non plus ultra, sta comunque nel rendere responsabile il passato anche del bene a vantaggio dell’attuale infelicità.
La chiave perduta, ovvero “ancora lo stesso”
Un ubriaco sta cercando qualcosa sotto un lampione e il poliziotto che gli si avvicina gli chiede di cosa si tratta. L’ubriaco risponde che sta cercando la chiave ma, dopo qualche minuto di ricerca, il poliziotto, chiede all’ubriaco se fosse sicuro di averla persa in quel posto. L’ubriaco risponde di averla persa nell’angolo opposto ma li è troppo buio per cercarla. In questo caso, la ricerca non porta a niente se non ancora allo stesso cioè al niente. Si tratta di un gioco con il passato basato sulla fedeltà nelle soluzioni che in passato sembravano giuste ma che poi sono mutate con il tempo. Nessun essere vivente può rapportarsi al mondo senza un progetto che preveda regole di comportamento e adattamento per vivere una vita priva di sofferenze. Questi adattamenti sono però stati definiti eternamente praticabili, il che porta a pensare che l’adattamento attuale non sia il migliore e che ci possano essere altre soluzioni. A questo punto però, cresce il disagio e l’uomo, pensa di non essersi dato sufficientemente da fare (si incrementa il disagio). La “ricetta” dell’ “ancora lo stesso “ è conosciuta come nevrosi e si ha quando si arriva a pensare che:
- esiste un’unica soluzione possibile
- la supposizione che esista questa sola soluzione non può essere messa in discussione
Russi e Americani
Può capitare di chiedersi chi si possa comportare come l’ubriaco. A tal proposito è utile ricordare le differenze (chieste dall’antropologa Mead) tra:
- Russo: che “per sottrarsi ad un impegno deve davvero avere mal di tesa”(rimane in armonia con la propria coscienza e può provocare un’eventuale giustificazione senza sapere come accada. In questo caso, la mano destra non sa cosa fa la sinistra)
- Americano: che “per sottrarsi ad un impegno finge di avere mal di testa” (ha la tendenza a fingere per sottrarsi da un impegno poco piacevole ma raggiunge comunque il suo obbiettivo pur consapevole del fatto che per riuscirci ha imbrogliato)
In questa specialità sembra ogni generazione produca i suoi grandi esperti:
BOBBY JOE KEESEE, che attualmente sta scontando 20 anni di carcere per il rapimento e l’uccisione del viceconsole americano. Quando il giudice gli chiese prima di pronunciare la sentenza, gli chiese se aveva qualcosa sa dire a sua discolpa, egli rispose “ Non ho nulla da aggiungere, I got involved” che può essere tradotto riferendosi sia all’involontarietà che alla volontarietà, quindi “Sono stato coinvolto in qualcosa, mi sono immischiato in qualcosa” , “I realize”, qualcosa di cui io, (adesso) so che era sbagliato. In altre parole quando commise il reato, questo non gli era chiaro.
MIKE MARYN, secondo una informazione di stampa del 1977 fino a quel momento era stato aggredito e derubato ben 83 volte. Egli non era un gioielliere, un porta valori o simili, e non sa spiegarsi questo fatto, così come la polizia che pensa semplicemente che quest’uomo si trovi spesso nel posto sbagliato al momento sbagliato. Già direte voi, ma con questo non sappiamo ancora come ciò possa accadere. Ancora un po’ di pazienza prego.Tutto questo, comunque, non ci consente ancora di capire il perché di questo comportamento.
La storia del martello
Questa storia parla di un uomo che non avendo il martello per applicare i chiodi nel muro, pensa di chiedere al suo vicino di prestarglielo ma ad un certo punto la sua mente divaga e lo porta a compiere un atto insolitito.Ovidio, nella sua “Ars amatoria” scriveva: <<Convinciti che ami pur desiderandolo fuggevolmente e poi, credilo tu stesso…Ama veramente solo colui che riesce a convincersi di ardere di passione>>. Questa citazione serve ad introdurre quella che è un’altra delle numerose strade per rendersi infelici che è caratterizzata da mettere il partner al centro di una catena di immaginazioni nella quale svolge un ruolo decisivo. Spesso, l’indugiare del partner o il suo non comprendere, ci fa credere che si voglia discolpare (per noi significa avere ragione).Il sociologo Higman della Colorado University ha dato a questo comportamento un nome (Particolarità non specifica). Successivamente ad Ovidio (a distanza di anni) troviamo il farmacista Emile Coùe, fondatore di un metodo di autosuggestione secondo il quale le cose vanno sempre migliorando. Anche questo metodo può essere stravolto e messo a servizio dell’infelicità (vedi vari esercizi del libro attraverso i quali, anche il cittadino comune può riuscire attraverso questo allenamento mentale, a crearsi una penosa situazione senza sapere di esserne l’autore).
La manciata di fagioli
Una giovane moglie, prima di morire fa promettere al marito che non avrebbe avuto altre donne altrimenti il suo spirito lo avrebbe perseguitato. Per un po’ l’uomo resta fedele ma poi si innamora di un’altra donna e vede ogni sera il fantasma della moglie defunta la quale conosce ogni cosa. Disperato, l’uomo si rivolge ad un maestro zen il quale gli consiglia di prendere una manciata di fagioli, lusingare il fantasma per il suo essere a conoscenza di tutto e poi, chiedergli repentinamente quanti siano i fagioli. Fatto questo il fantasma scompare e l’uomo non lo rivede più. Questa storia serve a far comprendere come alcuni problemi necessitino di essere trattati solo mentalmente in quanto, ogni verifica pratica potrebbe pregiudicarne il buon esito.
Gli elefanti scacciati
L’attenzione si sposta adesso sul problema o meglio su come si possa fare a non affrontarlo allo scopo di renderlo eterno. Rifiutare una situazione temuta sembra più logico ma sicuramente fa persistere il problema (ne è un esempio la storia dell’uomo che batte le mani ogni dieci minuti e che, interrogato sul perché, risponde che lo fa per scacciare gli elefanti anche se di fatto lui sa che questi non ci sono). In pratica, per rendersi infelici, basta anche solo perseverare nel buon senso. Molte delle nostre azioni abituali comportano elementi d rischio ma sono in pochi quelli che riescono a rendersi conto di ogni pericolo e che poi cominciano ad evitarli. Solitamente, una persona comune si limita ad associare il rischio in modo un po’ più razionale e solo ad alcuni settori (es. con i coltelli ci si può ferire).
Profezie che si realizzano da se
Al filosofo Popper, si deve l’idea secondo cui, l’avverarsi di una profezia è determinata dalla volontà di conoscerla e per tanto di volerla evitare (lui applicò questa idea alla profezia di Edipo). Come agisce questo meccanismo? Ci sono diverse circostanze:
- Deve esserci una predizione ovvero una aspettativa che le cose andranno solo in un modo. Questa aspettativa può essere provocata dall’esterno o da qualche convinzione interiore
- L’aspettativa deve essere vissuta come qualcosa di così incombente che per evitarla andrebbero prese subito delle contromisure
- Più sono le persone che condividono la supposizione, più questa è convincente
Questo meccanismo funziona solo quando non ci rendiamo conto di essere noi a farlo funzionare. Le profezie che si realizzano da se assumono quindi una sorta di ruolo magico e trovano il loro posto in chi aspira a diventare infelice.
Attenzione all’arrivare
Al “problema” dell’arrivare, si è interessato Alfred Adler la cui opera si occupa di quell’eterno viaggiatore che, per prudenza, preferisce non arrivare. A questo punto, ci si può porre nei confronti del futuro in due diversi modi:
- Arrivare (come raggiungimento di una meta e quindi come misura del successo, del potere, ecc.)
- Tirare avanti (come insuccesso e quindi segno di stupidità, pigrizia, ecc.)
La strada del successo è lunga e faticosa e prevede sia il doversi applicare che il possibile fallimento sebbene ci si sia applicati molto. Raggiungere mete elevate, comporta poi anche l’ulteriore pericolo del “doposbornia” che l’ “esperto in infelicità” conosce bene. Lo scopo non ancora raggiunto è quindi più desiderabile di quello a cui si è già arrivati. A tutti quelli che poi credono che la vendetta sia giusta, basterà leggere “La vendetta è amara” di Orwell (nella quale racconta sia del soldato ebreo che in un campo di prigionia tira un calcio al piede rotto di un soldato delle SS, sia del corrispondente belga che entrando a Stoccarda e vedendo in un tedesco il suo primo morto, mutò radicalmente il suo comportamento nei confronti dei tedeschi) per convincersi del contrario. Se poi neanche la vendetta è dolce, quanto meno lo sarà l’arrivare ad una meta che si presume felice? Bisogna quindi stare attenti all’arrivare.
Se tu mi amassi veramente, mangeresti volentieri aglio
A volte, bisogna rivolgere la nostra attenzione a quello che è “l’inferno dei rapporti umani”. Già 70 anni fa, Russel distingueva le proposizioni riguardanti le cose da quelle che esprimono relazione. L’antropologo Bateson riprende la definizione dicendo che in ogni comunicazione sono presenti entrambe le proposizioni. Questo, ci ha aiutato a comprendere come, in poco tempo, si possa giungere ad avere difficoltà con il partner. Le proporzioni relazionali comportano quindi delle difficoltà anche perché, se parlare di un oggetto (es. aglio) risulta facile, parlare di questioni tipo l’amore non lo è. Perciò si ricorre ad espedienti tra i quali la lettura del pensiero (si fa una domanda del tipo “Perché sei arrabbiato con me” e si considera falsa la risposta che ci viene data per discutere di uno stato d’animo o semplicemente perché solitamente chi si sente attribuire un sentimento negativo va in collera) oppure l’attribuzione (sempre al partner) di rimproveri violenti ma vaghi (di modo che la richiesta di un’eventuale spiegazione finisca per diventare un’ulteriore conferma dell’alienazione del soggetto). Si pone quindi il partner di fronte a due scelte e, una volta scelta una delle due lo si accusa di non aver scelto l’altra (illusioni delle alternative). I giovani sono molto portati verso questo procedimento mentre gli psicologi non hanno ancora capito perché ci facciamo ingannare dalle alternative che invece, se proposte separatamente l’una dall’altra, non avremmo problemi a rifiutare (vedi “esercizi”). Gli infelici possono usare questa tecnica fino quasi al punto di portare il partner a chiedersi se sia pazzo. La felicità è difficile da definire, soprattutto positivamente ma questo non ha impedito ai moralisti di attribuirle un significato negativo.
“Sii spontaneo!”
Tra le complicazioni della comunicazione umana, la più assurda e diffusa è sicuramente il classico “Sii spontaneo”. Si tratta di un paradosso in quanto, nella dimensione logica, costrizione e spontaneità sono inconciliabili. Essere spontanei per ubbidire ad un ordine è impossibile. Possiamo in questo caso portare come esempio la mamma che, non solo pretende che il bambino faccia i compiti, ma pretende che li faccia volentieri. Si arriva in questo modo alla conclusione che con se stessi o con il mondo c’è qualcosa che non va e quindi, siccome i “conflitti” con il mondo portano ad ottenere la peggio, si finisce per far ricadere la colpa su se stessi. Alcuni genitori pensando che i propri figli siano per un motivo o per un altro tristi, pensano subito ad un loro fallimento pedagogico e cominciano a difendersi enunciando i numerosi sacrifici che si sono fatti per loro. Questa tattica è adatta a far nascere (in questo caso nel figlio) profondi sentimenti di colpa che non avrebbe se solo fosse una persona migliore. La depressione non è altro che quel risultato che si ottiene quando le persone che agiscono secondo il buon senso, consigliano agli altri di fare uno sforzo pensando si tratti della cosa migliore e in realtà non sanno che contribuiscono a far accrescere nell’individuo la convinzione che esso sia colpevole della propria depressione e che non riesca a condividere l’atteggiamento ottimistico che gli altri hanno nei suoi confronti (pensando quindi di deluderli). Si può quindi concludere dicendo che, il “sii felice” (prescritto a se stessi o agli altri) sia solo una variazione sul tema fondamentale “Sii spontaneo”.
Chi mi ama ha qualcosa che non va
Al’argomento di cui adesso si vuole parlare è l’amore. Dostoevskij diceva che, la frase “Ama il prossimo tuo come te stesso” era da vedere come se si volesse intendere che amare il proprio prossimo e possibile solo se prima si ama se stessi. Anche Marx Groucho espresse, pochi decenni dopo la stessa idea con una frase nella quale diceva che non si sarebbe mai iscritto ad un club che fosse disposto ad accettare lui come membro. Essere amati è quindi sempre un qualcosa di misterioso ed è sempre consigliato non fare domande. Bisogna agire non accettando sempre con riconoscenza tutto ciò che ci viene offerto dalla vita attraverso il partner, è sempre meglio far lavorare il cervello (e chiedere a noi stessi perché veniamo amati). L’amore umano è misterioso (Sartre lo definiva come l’inutile tentativo di possedere una libertà in quanto libertà). E’ necessario ritenersi immeritevoli d’amore. Facendo così, chi ama una persona del genere, viene discreditato perché chi ama qualcuno che non merita amore ha qualcosa che non va nella sua vita interiore. Diventa quindi sempre più chiaro che è meglio innamorarsi disperatamente di qualcuno come un attore, un uomo sposato, ecc. perché in questo modo si riuscirà a viaggiare lieti senza mai arrivare e senza mai chiedersi se l’altro sia pronto o meno ad affrontare una relazione.
L’uomo sia nobile, soccorrevole e buono
Chi ama è sempre pronto ad aiutare la persona amata, essere disponibili o meglio soccorrevoli verso gli altri, è ancora più nobile quando non si hanno legami affettivi con questi. Si offre quindi un aiuto disinteressato che costituisce la ricompensa stessa. Il modo più efficace per far si che ci vengano dei dubbi sull’altruismo, è chiedersi se lo si faccia con secondi fini (il pensiero negativo non ha limiti). Per il puro è tutto puro, per il pessimista invece, c’è sempre qualcosa che non va. Anche chi non pensa alle motivazioni che lo spingono ad essere soccorrevole può fare dell’aiuto a qualcuno un inferno (come nel caso in cui in una coppia, il rapporto sia fondato sull’aiuto che uno da all’altro il che porterà quasi sempre alla rottura del rapporto perché, o non si ha più bisogno di aiuto o il più perseverante dei due non ne può più) Nella teoria della comunicazione questo modello di rapporto si chiama COLLUSIONE. Con questo si intende un sottile accomodamento , un quid pro quo, un’intesa a livello relazionale con cui ci si fa confermare e ratificare dall’altro l’immagine che si ha di se stessi.
Il profano potrebbe giustamente chiedersi per quale motivo si abbia bisogno di un partner, la risposta è semplice, immaginate una madre senza figlio, un medico senza paziente… Ma perché qualcuno dovrebbe essere disposto a svolgere questa funzione per noi? Per 2 motivi:
- il ruolo che egli deve svolgere per farmi essere “veramente” è il ruolo che egli stesso vuole svolgere per esistere a sua volta “veramente”. La prima impressione sembra che si tratti di un adattamento perfetto, , tuttavia è da notare che per continuare ad essere perfetto non deve assolutamente cambiare, ma non è così giacchè non dovrebbe assolutamente cambiare e invece cambia. ( i bambini crescono, i pazienti guariscono). Poiché ogni collusione presuppone necessariamente che l’altro debba essere, di per sé, esattamente come io lo voglio, finisce immancabilmente nell’assurdità dei “Sii spontaneo!”
- Questa fatalità diviene ancora più evidente se consideriamo l’altro motivo che può indurre un partner a svolgere quel ruolo così necessario per il nostro sentirci “reali”: un risarcimento adeguato alla fatica di tale acrobazia. Viene subito in mente l’esempio della prostituzione. Il cliente desidera naturalmente che la donna gli si dia non soltanto per i soldi, ma anche perché le lo vuole “veramente”..
Questi pazzi stranieri
Noi siamo abituati a credere che, il nostro mondo, sia il vero mondo e che invece, i mondi degli altri siano insensati, allusori, falsi e stravaganti semplicemente perché hanno modi diversi di comportarsi. Tutto questo ha lo scopo di far capire quale sia la condizione necessaria che renda i propri viaggi all’estero o la permanenza dello straniero in un paese, molto deludente. Il principio cui attenersi è molto facile: basterà supporre che, malgrado le prove contrarie, il proprio comportamento sia in ogni caso naturale e normale per far si che, ogni comportamento diverso nella stessa situazione risulti insensato o per lo meno stupido (ad esempio il latin lover che, nell’America Latina può permettersi determinati comportamenti in quanto sa che le latinas, le donne, non gli si concederebbero facilmente, se trasportato in Scandinavia o anche solo negli Stati Uniti, continuerebbe a tenere il proprio comportamento con le donne che in questo caso però, essendo molto più libere, lo prenderebbero sul serio deludendo cosi le aspettative dell’uomo).
La vita come gioco
In un aforismo dell’americano Alan Watts si afferma che la vita è un gioco la cui prima regola è: essa non è un gioco, è una cosa molto seria. E Laing pensava probabilmente allo stesso modo quando scrisse: “State giocando un gioco. Giocate a non giocare alcun gioco. Se io vi dimostro che state giocando, infrango le regole e voi mi punite”
Uno dei presupposti fondamentali dell’infelicità consiste nel non far sapere alla mano destra quello che fa la sinistra.
Traiamo dal settore della matematica astratta e precisamente dalla teoria del gioco la nostra ultima ispirazione. Il concetto di gioco non ha per i matematici alcun significato ludico. Si tratta di uno spazio concettuale con delle regole molto precise, che stabiliscono la migliore condotta di gioco possibile.
E’ fondamentale la distinzione tra.
- giochi a somma zero (quegli innumerevoli giochi in cui la perdita di un giocatore significa la vincita dell’altro. Vincita e perdita, sommate assieme, ammontano perciò a zero. Ogni semplice scommessa si basa su questo principio)
- giochi a somma diversa da zero (sono quei giochi in cui vincita e perdita non si pareggiano, nel senso che la loro somma può risultare inferiore o superiore a zero. Detto altrimenti, in uno di questi giochi entrambi i giocatori possono vincere o perdere)
Un rapporto tra partner è un gioco a somma zero o un rapporto a somma diversa da zero? Se si gioca a somma zero a livello relazionale si stia pur certi che a livello oggettivo tutto andrà lentamente in rovina. i giocatori a somma zero, persistendo accanitamente, facilmente non si avvedono dell’avversario decisivo, di quel terzo che solo in apparenza sorride, la vita, davanti alla quale entrambi sono perdenti.
Perché è così difficile accorgersi che la vita è un gioco a somma diversa da zero? E che si puà vivere in armonia con l’avversario decisivo, la vita?
Ma eccoci di nuovo a fare domande retoriche, alle quali Nietzsche cercò di dare una risposta quando affermò che la follia è rara negli individui, mentre nei gruppi, nelle nazioni e nelle epoche è la regola. Ma perché dunque noi comuni mortali dovremmo essere più saggi degli infinitamente più potenti giocatori a somma zero, dei politici, per esempio, dei patrioti, degli ideologici o perfino delle superpotenze? Tuttavia proviamoci- molti nemici, molti onori, e anche se tutto dovesse crollare…
Fonte: http://www.scicom.altervista.org/psicologia/istruzioni%20per%20rendersi%20infelici.doc
Sito web : http://www.scicom.altervista.org
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