Il vangelo secondo Matteo
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Il vangelo secondo Matteo
IL VANGELO SECONDO MATTEO
di Don Antonio Bordonali
PREMESSA
Assai presto, per necessità didattiche ed esigenze liturgiche, gli Apostoli e i primi araldi del Vangelo ritennero opportuno fissare per iscritto, fra tutte le parole e le gesta di Gesù, quelle che sembravano più adatte a manifestarlo, e particolarmente necessarie per la comunità. Fu così che, nella seconda metà del primo secolo, in diversi ambienti, ad opera di personalità apostoliche o direttamente a contatto con gli apostoli, nacquero i nostri quattro Evangeli. Essi non sono biografie di Gesù e neppure il resoconto circostanziato della sua vita: sono invece la presentazione del suo messaggio e delle sue opere, fatta da discepoli che vivevano in comunità missionarie e liturgiche. Vi sono buone ragioni per ritenere che le ispettive culle siano state le Chiese di Gerusalemme, di Roma, di Acaia e di Efeso secondo la traiettoria della propaganda cristiana primitiva. Matteo si connette con l’ambiente giudaico di Gerusalemme, Luca con quello dell’Ellade, Giovanni con quello cosmopolita di Efeso, Marco con quello universale di Roma.
Si possono additare tre stadi nella genesi della redazione letteraria delle parole e dei fatti di Gesù:
- il primo è quello che coincide con la vita storica di Gesù e dei suoi discepoli, che vide il sorgere stesso dei fatti e delle parole;
- il secondo è quello della comunità primitiva, formatasi dopo la Resurrezione e la Pentecoste, che raccolse, fissò e trasmise gli insegnamenti e le opere del Maestro.
- Il terzo è quello degli evangelisti che redassero definitivamente per iscritto il materiale della tradizione evangelica, con metodo corrispondente al fine che ciascuno si prefiggeva. Se il lettore moderno del Vangelo – così si espresse la Pontificia Commissione biblica nel 1964 in una istruzione riguardante lo studio dei Vangeli - “non pone mente a tutte queste cose che riguardano l’origine e la composizione dei vangeli, e non farà debito uso di quanto di buono gli studi recenti hanno apportato non potrà … scoprire quale sia l’intenzione degli autori sacri e che cosa abbiano realmente detto” .
Noi cercheremo di fare buon uso degli studi recenti.
L’APOSTOLO MATTEO
Matteo è un nome che viene dall’aramaico MATTAI, forma abbreviata dell’ebraico MATTANYAH che significa DONO DI DIO. Il più noto personaggio biblico è l’autore del primo Evangelo canonico. Apostolo, chiamato direttamente da Gesù, Marco lo chiama anche Levi. Era figlio di Alfeo. Era gabelliere di professione e venne chiamato da Gesù proprio mentre stava davanti al banco delle imposte. Egli rispose immediatamente all’invito di Gesù e anzi diede un banchetto sia per onorare il nuovo Maestro, sia per dire addio alla professione e agli amici che in essa aveva avuto.
Siccome egli esercitava la professione a Cafarnao, pare che fosse alle dipendenze di Erode Antìpa, o almeno avesse preso in appalto i dazi di quel territorio: non era certamente un funzionario romano. Nelle liste degli apostoli tiene ora il settimo ora l’ottavo posto.
Pare abbia predicato in oriente. Le sue reliquie sono state portate nel territorio di Salerno nel 954 e poi collocate nella cripta della cattedrale. La chiesa latina ne celebra la festa, venerandolo come martire, il 21 settembre.
L’EVANGELISTA
Come gli altri tre, anche il Vangelo che si presenta col nome di Matteo è in realtà anonimo. Non ha una firma, né una dichiarazione di autenticità. Tra gli studiosi, c’è molta diversità di opinioni per stabilire chi sia l’autore del testo, o, meglio, il “curatore redazionale”, il “redattore finale”.
Eusebio di Cesarea cita, come testimonianza più antica, l’opinione di Papia (+130 d.C.), vescovo di Gerapoli in Frigia, amico di Policarpo e discepolo del presbitero Giovanni: “Matteo, in un dialetto ebraico (= aramaico) coordinò gli insegnamenti (di Gesù); ognuno poi li interpretava (=li traduceva?) come poteva” (Storia Ecclesiastica, III-39).
Prima, quindi, dell’attuale testo greco, ci sarebbe stato un testo aramaico di Matteo, l’apostolo. Questa opinione è confermata dal Canone Muratoriano (175 d.C.), da Ireneo verso il 200 d.C. (“Matteo compose il Vangelo per gli ebrei, nella loro lingua, mentre Pietro e Paolo, a Roma, predicavano il Vangelo e fondavano la Chiesa.” Adv.haer. III, 1), e accolta da Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Efrem Siro ed altri.
Tale tesi oggi non è più sostenuta. Non ci sono prove per le affermazioni di Papia e di Ireneo. Non si può sostenere che l’attuale testo greco sia la traduzione di un originale ebraico.
Nel 1553 fu trovato, presso gli ebrei di Roma, un testo ebraico del Vangelo secondo Matteo, che oggi è conservato presso la biblioteca di nazionale Parigi. Ma non risale oltre il XIV secolo.
Qualcuno identifica la citata raccolta di insegnamenti di Gesù in aramaico, attribuita a Matteo, con la cosiddetta fonte Q, anonima, cui avrebbero attinto, oltre al primo evangelista, anche Marco e Luca.
Tralasciando le varie opinioni sulla questione sinottica, oggi si preferisce affermare che sia Matteo sia Luca seguono lo stesso schema di Marco, che quindi è più antico; e tutti, per gli insegnamenti di Gesù, si rifanno alla fonte Q.
A chi si deve, dunque, la redazione attuale che noi possediamo? Tenendo conto delle recenti teorie sulla “storia delle forme”, “storia delle tradizioni”, “storia delle redazioni”, si conclude, da parte degli studiosi, che l’autore del testo potrebbe essere un personaggio autorevole di un’antica comunità giudeo-cristiana della diaspora palestinese o siriana. Forse un rabbino convertitosi al cristianesimo come Paolo. Probabilmente, un giudeo ellenista che appartiene alla seconda o terza generazione cristiana. E’ di lingua greca e cita l’Antico Testamento dalla versione greca dei Settanta. Ha familiarità con la scrittura, attento all’ermeneutica delle scuole del tempo. E’ in contrasto con gli insegnamenti della Torah, in polemica contro i farisei. Ha vedute universalistiche della salvezza.
Una figura eminente della chiesa giudaico-cristiana. Un pastore d’anime e insieme un teologo, preoccupato delle retta comprensione del messaggio evangelico e della sua attuazione. Un moralista attento, comprensivo, ma anche esigente, severo. Un maestro spirituale che sembra non allentare mai la corda con i suoi discepoli. E’ sintetico, sbrigativo, va subito all’essenziale… Matteo è il tipico uomo di Chiesa, preciso, categorico, cattedratico.
Ma un qualche rapporto deve pur averlo avuto, però, con l’apostolo Matteo, se ne porta il nome…!
Si deve pensare che l’apostolo Matteo fosse molto noto alla comunità del nostro primo Vangelo, forse come missionario. Se l’autore è colui che narra della sua vocazione personale in 9,9, come mai utilizza altre fonti? Segue, grosso modo, l’impostazione di Marco, attinge alla fonte dei “loghia” e a sue tradizioni particolari tramandate oralmente.
Necessità liturgiche, preoccupazioni catechetiche hanno forse spinto l’autore a mettere insieme queste fonti in un’opera unica, elaborandole, adattandole, modificandole, segnandole tutte col marchio della propria personalità, mentalità, cultura.
Il primo Vangelo è certo opera di un’unica personalità.
I DESTINATARI
La parola di Dio è destinata a tutti gli uomini: di ogni luogo e di ogni tempo. Ma i testi scritti, ispirati, specie del Nuovo Testamento, nascono, come sappiamo, da e per una comunità precisa e per un contesto preciso di persone e di avvenimenti. Molto spesso sono la risposta a problemi insorgenti, riguardanti la vita di fede e della comunità. Per questo risultano differenziati e diversamente qualificati.
La lettera di Paolo ai Romani ha contenuti diversi da quella a Filemone; il testo di Matteo da quello di Luca. Il testo di Matteo sembra essere prodotto da una comunità, anche più degli altri sinottici.
Quale comunità? Quale l’ambiente vitale in cui nasce il testo? Quali le caratteristiche del redattore finale?
E’ ritenuta più probabile la collocazione della comunità di Matteo nella fascia costiera siro-palestinese, in quell’ambiente dove Damasco, Cesarea, Antiochia sono centri culturali rilevanti. Una comunità, dunque, di giudeo-cristiani, oppure giudei della diaspora convertiti. Forse principalmente residente ad Antiochia. Qui infatti Pietro presiedette la comunità che gli riconosceva il primato, qui vennero discusse le relazioni tra ebrei e greci convertiti al cristianesimo, qui si analizzò il rapporto tra il Vangelo e la legge. Pare che la comunità in cui Pietro fosse stato presente fosse un comunità di poveri, di perseguitati dalla sinagoga dopo una rottura ufficiale col giudaismo. Per questo il testo è sempre in polemica con tutte le espressioni giudaiche della Palestina e di Gerusalemme.
Forse è già una comunità cristiana in crisi: ci sono falsi profeti, persone arroganti non disposte a perdonare. Altri sono intolleranti verso i più deboli ai quali vorrebbero imporre il loro modo di agire e di credere. C’è chi è talmente preso dalla novità di Gesù da rifiutare tutto l’Antico. E c’è chi è talmente tradizionalista da non riconoscere in Gesù nulla di nuovo rispetto all’antico.
Una comunità divisa, insomma, alla quale viene ricordato l’amore ai nemici, l’essere perfetti come il Padre, una misericordia senza fine e la necessità di essere miti e umili di cuore. Con la gioia e la certezza che il Vangelo, la salvezza, il progetto divino sono per tutti gli uomini che, attraverso la fede e il battesimo, possono diventare discepoli di Cristo.
LA DATA
La tendenza di molte scuole tradizionali è di fissare la redazione del testo (forse quello aramaico) di Matteo verso il 60 d.C.. Era infatti considerato lo scritto evangelico più antico, il primo, il più vicino a Gesù. La tendenza generale degli studi più recenti è di situare la redazione finale del testo nel ventennio tra il 70 ed il 90 d.C. dopo la distruzione di Gerusalemme e prima del 110 d.C.; è il tempo della Didachè e di Ignazio di Antiochia, che conoscono le espressioni di Matteo.
E’ l’epoca della seconda e terza generazione dei discepoli di Gesù, che parlano il greco anche se sono di formazione giudaica. E’ l’epoca del convegno di Jamnia, città palestinese che, dopo la caduta di Gerusalemme divenne il centro dell’ebraismo con l’accademia di Tannaita, la ristrutturazione delle Sinagoghe della diaspora, il potere ai farisei e la ripresa del testo ebraico della Bibbia, rifiutando la traduzione dei Settanta allora in uso.
La comunità di Matteo si scontra violentemente contro il giudaismo della restaurazione giuridico-tradizionale, del rabbinato, come unica espressione della fede tradizionale.
Per Matteo, l’antico Israele è finito, eliminato, condannato. E’ nato il nuovo Israele: la Chiesa. La Pasqua ebraica non è neppure nominata. E’ solo “il giorno seguente, quello successivo alla Parasceve” (Mt 27,62). E’ il giorno dopo…il giorno prima. Peggio di così!
IL LINGUAGGIO
E’ l’aspetto caratteristico di ogni scrittore. Nell’opera di Matteo è possibile cogliere il messaggio solo chiarendone il linguaggio, che è personalissimo.
Ben lontano dall’essere uno scrittore ingenuo o un semplice raccoglitore di antiche cronache, Matteo è uno scrittore lucido che persegue uno scopo preciso. Individuare tale scopo è dunque fondamentale per intendere il testo. Egli non pensa a sé e neppure ai posteri, ma al presente, ai fratelli di fede con cui vive. E sono fratelli che provengono da una fede e da una mentalità ebraica. Il riferimento alle Antiche Scritture è dunque necessario.
Vediamo come lo dimostra, con alcuni esempi.
- Uso simbolico dei numeri
UNO riguarda solo Dio
DUE E’ l’errore, il peccato, il male dell’uomo:
due gli indemoniati guariti (8,28)
due i ciechi (9,27; 20.30)
due i falsi testimoni (6,61)
due i discepoli che vogliono seguirlo (8,18)
TRE E’ la vita dell’uomo:
le tentazioni (4,1-11)
le preghiere nel Getsemani (26, 39-44)
i rinnegamenti di Pietro (26, 69-75)
le pratiche religiose (6,1-18)
le erbe e le virtù (23,23)
le serie di quattordici generazioni (1,1-17)
QUATTRO L’universo ( i quattro punti cardinali)
CINQUE L’azione divina
SETTE La completezza, la perfezione , la storia umana:
le domande del Padre Nostro (6, 9-13)
le parabole del Regno (13, 1-52)
i demoni della parabola (12,45)
le maledizioni ai farisei (23, 13-32)
i pani e le ceste della moltiplicazione (15, 34-37)
la perfezione del perdono (18,22)
i sette fratelli mariti di una sola moglie (22,25)
DIECI (=unità) Saggezza e stoltezza:
le vergini alle nozze (25,1-13)
DODICI (=unità) Segno della comunità unita:
elezione e invio degli apostoli (10, 1-4)
- Espressioni caratteristiche del mondo ebraico
“regno dei cieli”, invece di Regno di Dio
“legare e sciogliere”, nel senso di vietare e permettere
“giogo della legge”, per autorità della Legge
“città santa”, per indicare Gerusalemme
“condanna alla geenna”, cioè all’inferno
“la legge e i profeti,” per significare l’Antico Testamento
“carne e sangue”, per dire l’uomo
“consumazione del secolo”, cioè fine del tempo, del mondo
“casa di Israele” è il popolo di Israele
“padre celeste” è Dio
“cani e porci” sono i pagani, le persone fuori dalla comunità
“questo è il mio corpo … questo è il mio sangue” dicono semplicemente “questo sono io”.
- Citazioni dall’Antico Testamento
Si sono contati, nel Vangelo di Matteo, circa 130 passi in cui si fa riferimento ai testi dell’Antico Testamento. Di questi, 66 sono effettive citazioni (il doppio di queste se ne trovano in Marco e Luca) e 43 sono quasi letterali.
Il tutto per dimostrare che Gesù è il Messia atteso e che in lui si realizzano, sono portate a compimento le scritture: egli è il compimento.
Matteo ha un metodo di approccio alla scritture completamente diversa da quello dei rabbini che facevano “interpretazione di scuola”, cioè opinioni personali e con valore morale e sociale. Dieci citazioni sono chiamate “citazioni di compimento”, Perché ne specificano il significato profetico (cfr. per es. 1,22; 2,15; 21,4).
Alcune citazioni possono apparire forzate. Occorre allora ricordare che la Chiesa primitiva considerava le scritture come proprio documento dove tutto acquistava significato alla luce di Cristo e del suo messaggio.
Alcune citazioni sono dalla traduzione dei settanta, altre dal testo ebraico, altre dal Targum (versione aramaica) altre ancora sono solo approssimative, adottate dallo scrittore per i suoi fini. Capita spesso ai predicatori e ai catechisti.
E’ intenzione chiara ed esplicita di Matteo spiegare e attuare la Parola antica (cfr. 5,25-48; 13,52; 19, 1-12) sapendo di parlare a chi già la conosce.
LA STRUTTURA
Il Vangelo di Matteo è uno scritto a tesi e si sviluppa secondo un pano preciso e organico. L’autore ha realizzato un’opera ordinata e simmetrica. Non è una biografia di Gesù e nemmeno una narrazione cronologica.
Ciò che colpisce il lettore sono i cinque grandi discorsi:
- il discorso del monte (capp. 5,6 e 7)
- il discorso della missione (cap. 10)
- le parabole del regno (cap. 13)
- il discorso ecclesiale (cap. 18)
- il discorso escatologico (capp. 24-25).
- Alcuni esegeti vi hanno voluto vedere i “cinque libri”, un nuovo Pentateuco, che costituirebbe il corpo del Vangelo inquadrato da un prologo (capp. 1-2) e da un epilogo (capp. 26-28). E’ evidente, in Matteo, una intenzione teologica ed una preoccupazione catechistica.
- Altri vi hanno trovato solo un arricchimento del Vangelo di Marco: ministero in Galilea, viaggio verso la Giudea, ministero in Gerusalemme, con Morte e Risurrezione.
- Gli esegeti strutturalisti, recentemente, analizzando con il loro criterio il testo di Matteo, lo dividono in dodici tappe, precisando dettagliatamente ogni pericope. Hanno notato, per esempio, che le sezioni narrative degli avvenimenti sono strettamente connesse con i discorsi che le precedono più che con quelli che le seguono. Così l’ultima, la passione, morte e risurrezione, è riconosciuta strettamente legata al discorso escatologico. La prima, invece (genealogia e infanzia), tramite i cinque oracoli profetici, denota un legame con l’Antico Testamento nella persona di Gesù Messia.
- Un’altra ipotesi è quella della triplice divisione:
la persona di Gesù Messia;
la proclamazione di Gesù Messia (16,21-28, 20).
Ognuna di queste tre parti è preceduta dalla espressione: “da allora Gesù prese a…”.Tale espressione non sarebbe casuale, ma segnerebbe una tappa importante nel ministero di Gesù. E il suo “mistero” viene man mano svelandosi.
IL MESSAGGIO E LA TEOLOGIA DI MATTEO
Il Vangelo di Matteo è il libro della storia di Gesù raccontata o presentata ai fratelli della comunità ecclesiale. Talora è apologia, istruzione religiosa, annuncio iniziale, liturgia.
Per Matteo e la sua comunità il Gesù di Nazaret non è l’uomo di cui si ricordi una vicenda del passato. Egli è invece il nuovo Mosè, il Messia promesso e atteso, colui che ha offerto e continua a offrire la sua vita per la salvezza degli uomini, di tutti gli uomini.
Egli è il Risorto, il Vivente, il Presente, vivo nella storia degli uomini e nella comunità che gli crede e lo accetta: la Chiesa.
“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo” (28,20). “Là, infatti, dove si trovano due o tre radunati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro” (18,20). “In quanto l’avete fatto anche a uno solo dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (25,40). “Chi accoglie voi, accoglie me” (10,40).
Ormai, il Cristo si identifica con la sua Chiesa alla quale ha dato ogni potere e che già battezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo: formula ecclesiale e liturgica della fine del primo secolo. La Cristologia di Matteo è strettamente unita alla sua Ecclesiologia, fino quasi a identificarsi. Punto di riferimento determinante è sempre il Padre. Si realizza la sua volontà e si va a Lui sulla linea e l’esempio di Gesù .
Cristo - Chiesa fermenta, guida, domina lo sviluppo della storia con i criteri personali del Cristo - Messia: medico, amico dei peccatori, degli umili, degli ultimi. La Chiesa, insieme a Pietro, riconosce Gesù come il Cristo, il figlio del Dio vivente. E, come per Pietro, questo non è frutto di ragionamento o sensibilità umana, ma dono di fede, rivelazione del Padre.
E Pietro, nella Chiesa, ha un valore fondamentale. È la pietra d’angolo della nuova costruzione. A differenza di Marco, l’evangelista Matteo, forse in ricordo dell’antica presenza in comunità dell’apostolo, parla sempre bene di Pietro. Egli è chiamato direttamente da Gesù; a Cafarnao lo ospita abitualmente in casa sua e ne guarisce la suocera. È sempre il primo nella lista dei dodici e dei tre prediletti. A lui Gesù fa la lode più bella (“beato te, Simone, figlio di Giona…”) e conferisce il primato nella Chiesa. Egli si pente amaramente per aver rinnegato il suo Maestro. Verso di lui cammina entusiasta correndo sulle acque. Pietro è debole, ma fedele e ardente d’amore per il suo Gesù. Così deve essere la Chiesa.
Gesù Cristo poteva essere umanamente considerato un profeta fallito per la sua scandalosa morte in croce e incomprensione da parte del suo popolo. In realtà, egli è misteriosamente il divino vincitore, il Figlio di Dio, il Salvatore, il Risorto. E tale deve essere la sua Chiesa, potenza di Dio tra gli uomini, con i suoi paradossi, i suoi contrasti, i suoi scandali. Dio con la sua potenza scegli gli ultimi per collocarli al primo posto. E vuole la sua famiglia formata non da “maestri”, da “padri”., da “ipocriti”, da “sepolcri imbiancati”, da “esibizionisti arroganti”, ma da umili e miti peccatori che si pentono e non temono i nemici, perché non ne hanno. Perché amano il Padre e il suo Cristo, si amano tra di loro e amano tutti.
Con lo sguardo sempre rivolto a Gesù, l’evangelista è vivamente attento alla sua comunità, in cui vive e che forse guida. La Chiesa, l’assemblea, la comunità non è una semplice associazione o aggregazione di bene intenzionati. Essa nasce dal battesimo, cresce nella celebrazione dell’eucaristia Pasquale; in intima comunione con Cristo fa del bene a tutti, senza distinzione tra buoni e cattivi, giusti o ingiusti. Ha per fondamento la Parola di Dio con l’esercizio della preghiera (la formula attuale ecclesiale del Padre Nostro è di Matteo), il digiuno, l’aiuto al prossimo. E pregare non è “dire”, ma “fare” la volontà del Padre, come faceva Gesù.
Come Gesù è il Messia escatologico, così la Chiesa è il periodo escatologico del progetto divino. La sua realizzazione nel rinnovamento terreno della storia dell’umanità è proiettata alla pienezza del Regno oltre i confini del tempo, oltre la morte terrena dell’uomo che risorgerà nell’incontro finale glorioso col Padre (“venite, benedetti…”), in cui si attua e si risolve il perché della creazione, dell’incarnazione, della redenzione.
Un aspetto particolare del Vangelo di Matteo è il “giudizio finale”: di Dio sui credenti (25,14-30) e di Gesù sulle genti (25, 31-46). Il Cristo è immaginato spesso come il Giudice. Circa sessanta volte in Matteo si parla di giudizio. Un tale aspetto del comportamento di Dio verso gli uomini, già presente nell’Antico Testamento, proveniva forse da influssi delle religioni orientali e particolarmente da quella persiana. Gesù non è venuto a giudicare o condannare nessuno. Egli è il Salvatore, il Redentore di tutti. È venuto a salvare ciò che era perduto. Purtroppo, l’uomo può rifiutare la redenzione e la salvezza.
Forse Matteo, scriba sapiente, vuol ammonire, mettere in guardia la sua comunità perché, anche per il timore della geenna, badi a non cedere ma cresca nella fedeltà. Appartenere al Regno è possedere il più ricco tesoro, avere la perla più preziosa.
Stupendo è l’insegnamento cristiano di Matteo sulla serenità di chi vive secondo Cristo: “Non affannatevi per la vostra vita…Il Padre vostro celeste sa di che cosa avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in regalo” (6,25.32-33).
Interessante è l’insistenza di Matteo su:
RICOMPENSE E PUNIZIONI CON MINACCE
Nel Vangelo si incontrano accenni frequenti anche a questo duplice tema, a cominciare con il Battista, quando afferma che Gesù ha in mano un ventilabro per mondare la sua aia: “raccoglierà il suo frumento nel granaio ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile” (3,12). Il frumento è qui un simbolo dei beati, che entreranno nel regno di Dio; la pula sono invece i maledetti, che dovranno andarsene al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi seguaci (25, 34.41).
La difficoltà che troviamo in queste premesse e minacce non è tanto nell’aut-aut, vale a dire nella salvezza o nella dannazione, quanto nel fatto che a volte questo motivo determini l’azione cristiana. È il caso del cap. 6, dove Gesù,stando a Matteo, istruisce i suoi a fare elemosine, a pregare e digiunare in segreto “per essere ricompensati” da Dio; e tutta la sezione si conclude con il detto, che è una raccomandazione: “accumulatevi tesori in cielo, dove tignola e ruggine non consumano né i ladri scassinano e portano via. Infatti dove è il tuo tesoro, lì sarà pure il tuo cuore” (6, 20ss.). ma può un mettere il suo cuore nella ricompensa? Non è un egoismo?
Anche nelle beatitudini, il motivo ritorna insistente: “Rallegratevi ed esultate, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” (5, 12) ; e al contrario, la minaccia della punizione è ben vivida nella formula “là sarà pianto e stridore di denti” (8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30). Le ultime parole di Gesù, prima della sua passione e risurrezione, riguardano ancora il duplice argomento: “e questi [i maledetti, i cattivi] se ne andranno al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna” (25,46).
A lettori come noi, il duplice motivo di una speranza della ricompensa e della paura della punizione può suonare poco educativo e certamente inferiore all’amore e alla gratuità.già un rabbino usava insegnare intorno ai primi tempi della Chiesa: “Non siate servi che servono il padrone per una ricompensa; siate piuttosto servi che servono senza condizioni” (cfr, Pirqe Aboth 1,3).
La morale ebraica è più disinteressata di quella cristiana?
Matteo pensa diversamente: il Vangelo è salvezza di tutti, offerta a tutti e non c’è un regime di meritocrazia nel regno, dove gli ultimi saranno i primi(19,20; 20,8-16). Su questo punto, il nostro evangelista arrossisce poco: “cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose [cibo, bevanda, vestito] vi saranno date in sovrappiù” (6,33); “Chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o mogli o figli o campi per il mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna” (19,29).
Riflettendo anche solo brevemente su questi testi si nota come la ricompensa vera non si riceva quaggiù, nell’avere più denaro o più ricchezza di altri, più successo perché più bravi. La ricompensa è la vita eterna, che può essere soltanto dono di Dio, come la fede.
Matteo sembra pensare che effettivamente gli uomini (e le donne) non siano in grado di totale disinteresse o di “puro amore”. Si trovano infatti limitati, in stato di necessità, e devono ricevere qualcosa da Dio, o altrimenti essere distrutti. L’amore allo stato puro è solo di Dio.
Sia Matteo, infatti, che altri scrittori del Nuovo Testamento, credono che le ricompense di Dio siano infinitamente più grandi dei meriti o delle virtù, per cui, in base al duplice tema del premio-castigo, non sarà affatto possibile giustificare una moderna società competitiva o meritocratica. Ogni uomo, per quanto giusto, è nella posizione dei lavoratori della parabola: riceve un salario per l’intera giornata anche se ha lavorato nella vigna soltanto un’ora (20,1ss).
Come giudice (o arbitro tra noi), Dio è buono, mostrandosi gratuito più che esatto compensatore dei meriti dei primi. I suoi doni eccedono ogni possibile calcolo sulla validità delle opere compiute nella sua vigna. C’è da aggiungere che il particolare genere di vita per il quale sono promesse ricompense dall’alto, è la dimenticanza di sé e l’abbandono in Dio, situazioni che, di fatto, terminano ogni egoistica ricerca di un compenso per quello che si fa. Chi vive questi atteggiamenti cerca Dio prima di ogni cosa buona.
Ci sembra infine necessario ricordare qualcosa sulle ‘minacce’ dell’inferno. Matteo riporta i detti di Gesù, del tipo:”Ogni albero che non porta buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”(3,10); “Spaziosa è la porta e larga la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi si incamminano” (7,13).
Per quanto troviamo difficile riconciliare l’amore di Dio con la condanna all’inferno, possiamo essere certi di almeno due cose.
Primo: che Gesù, e Matteo con lui, hanno utilizzato concetti correnti nel I secolo per la necessità di farsi capire dai loro contemporanei. Una regola della comunicazione (e della comprensione) è infatti proprio quella di usare la lingua dei destinatari.
Secondo: quando un modo di viver allontanasse il discepolo dall’insegnamento del suo Maestro – particolarmente da quello sull’amore – porterebbe alla violenza e all’autodistruzione. Chi non ama è morto, anche se ha guadagnato le ricchezze del mondo intero (cfr. 16,26).
In sostanza, le promesse di ricompensa e gli avvertimenti contro l’autodistruzione servono, senza blandizie, per sollecitare una scelta coraggiosa e da subito per Gesù:”Chi vuol salvare la propria vita, la perderà; chi invece perderà la propria vita a causa mia, la troverà” (16,25).(Colacrai, in Vita pastorale, 11/1998 pgg. 63-66).
bibliografia
i testi
MARTINI e altri |
The Greek New Testament (greco) |
UBS |
NESTLE-ALAND |
Novum Testamentum graece (greco) |
Stoccarda |
MERK |
Novum Testamentum (greco e latino) |
Biblico |
NOLLI |
Novum Testamentum (greco e latino vulgata e neo-vulgata) |
Vaticana |
MARSHALL |
The Greek New Testament (Nestle) con interlineato l’inglese In margine traduz. standard |
Bagster |
i commenti
AA.VV |
Evangelo secondo Matteo |
Mondatori |
G.BARBAGLIO |
Il Vangelo di Matteo |
Cittadella |
E. CHARPENTIER |
Lettura del Vangelo di Matteo |
Cittadella |
O. DA SPINETOLI |
Matteo |
Cittadella |
R. FABRIS |
Matteo |
Borla |
J. GNILKA |
Il Vangelo di Matteo (2 voll.) |
Paideia |
A. LANCELLOTTI |
Matteo |
Paoline |
MATEOS e CAMACHO |
Il Vangelo di Matteo |
Cittadella |
J. RADERMAKERS |
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P. ROSSANO |
Vangelo secondo Matteo |
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Il Vangelo di Matteo |
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Morcelliana |
J. SNIEWIND |
Il Vangelo secondo Matteo |
Paideia |
C. TASSIN |
Vangelo di Matteo |
Paoline |
W.TRILLING |
Vangelo secondo Matteo (2 voll.) |
Città Nuova |
Fonte: http://digilander.libero.it/amicalucis/Matteo.doc
Autore del testo: di Don Antonio Bordonali
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