Profeta Geremia
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Profeta Geremia
Il libro del profeta Geremia
Autore
Geremia profetizza durante il regno degli ultimi re di Giuda: Giosia (640-609) e Jehoahaz (609), Jehoiakim (609-598), Jehoiakin (598-597), e Sedekia (597-586). Il regno di Giuda termina con l'esilio della maggior parte della sua popolazione a Babilonia, principalmente come risultato di due invasioni da parte del re Nebukadnetsar (597 e 586), sebbene la prima deportazione risalga già al 605 (cfr. Da. 1:1). Il regno del Nord, Israele, era stato conquistato dagli Assiri un secolo prima che Geremia cominciasse il suo ministero. L'Assiria stessa cade sotto l'invasione babilonese nel 612 a. C. e il regno del Nord non fu mai più ristabilito. Geremia annuncia il prossimo giudizio di Dio sul Suo popolo e vive fino a vedere realizzarsi la sua profezia.
Il profeta Geremia era anche sacerdote, della città sacerdotale di Anatoth nel territorio di Beniamino (1:1). Figura solitaria a causa del suo messaggio impopolare (15:17), Dio stesso gli proibisce di sposarsi come segno dell'imminente cessazione della vita normale (16:2). Si trova anche in contrapposizione con le autorità del paese e di ogni ceto sociale (26:8). Per questo la sua vita stessa correva seri pericoli (11:18-23; 18:18; 26:8; 36:19; 38:6). Il suo messaggio lo porta a toccare temi scottanti e dolenti della vita nazionale. E' soprattutto il re Sedechia che lo perseguita perché viene considerato un disfattista che mira il morale della nazione, infatti Geremia non smette di annunciare la prossima invasione dei babilonesi (37:3,17).
Politicamente si trattava di tempi turbolenti, perché sia Egitto che Babilonia si contendevano il dominio sulla regione. Geremia continuamente profetizzava la vittoria di Babilonia, proclamando che il Signore stesso stava usando Nebukadnetsar come la Sua propria sferza.
Caduta Gerusalemme, il comandante babilonese riceve da Nebukadnetsar stesso l'ordine di provvedere al benessere di Geremia, la cui fama si era sparsa fino a raggiungere il cuore dell'impero.
La vocazione di Geremia |
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Chi? |
Figlio di Hilkia (1:1) |
Dove? |
Anathot di Beniamino (1:1) |
Quando? |
Il regno di Giosia, 626 a. C. (1:2) |
Perché? |
Consacrato profeta delle nazioni (1:5) |
Origine? |
Predestinato dalla nascita (1:5) |
La risposta di Geremia |
"Sono un ragazzo" (1:6) |
Dio lo corregge |
"Io sono con te" (1:7,8) |
Dio lo rafforza |
Parole di potenza di Dio (1:9,10) |
Le forti caratteristiche della vocazione di Geremia mettono in rilievo il principio che quando Dio chiama una persona a servire, Egli pure le dia gli strumenti necessari per adempiere a quel compito. Dio promette la Sua presenza che la mette in grado di compiere ogni suo dovere. Come Geremia, anche davanti a noi vi possono essere situazioni temibili. Dio però promette liberazione. Dio non ci chiama a compiti che non siamo in grado di adempiere. |
Data ed occasione
Il contesto della profezia di Geremia è la lunga lotta in Giuda fra il culto idolatra di divinità straniere, profondamente radicato fino dal tempo di Manasseh (696-642), e il culto che a Dio legittimamente è dovuto, che Giosia cercò di ristabilire nell'ambito delle sue riforme (cfr. 2 Re 22,23). La riforma inizia nel 628 a. C. (cfr. 2 Cr. 34:3) e viene ad essa dato rinnovato impeto con la riscoperta del Libro della Legge nel 621 a. C. (2 Re 22:8).
La vocazione di Geremia avviene nel 626 a. C. (cfr. 1:2). Il suo ministero agli inizi coincide con la riforma di Giosia. Geremia, però, testimonia al fallimento di questa riforma nell'avere un impatto decisivo sulla vita del popolo, dato che poi riemergono abusi religiosi al tempo di Manasseh, successore di Giosia.
Caratteristiche e temi
Il messaggio di Geremia si muove attraverso fasi che non corrispondono esattamente alla struttura del libro:
(a) Chiama Giuda al ravvedimento e ad evitare il giudizio che le sarebbe altrimenti caduto addosso (cfr. 7:1-15).
(b) Annuncia che il tempo del ravvedimento ormai è sfumato, dato che ora, contro il popolo, è già stato decretato il giudizio (19:10,11). Il giudizio è la nota dominante del libro, e viene compreso come la conseguenza logica di ciò che era stato minacciato nel trattato del Patto fra Dio e il Suo popolo, cioè la perdita della Terra promessa (Le. 26:31-33; De. 28:49-68).
(c) Il Signore è pronto, però, a salvare il Suo popolo, o meglio, un suo residuo, attraverso l'esilio (24:4-7). Sebbene i Babilonesi, su comando del Signore, abbiano la meglio su Giuda, questo sarà solo per un periodo limitato. A sua volta, anche Babilonia cadrà (25:9,11,12). Questa profezia verrà adempiuta nel 539 a. C. quando Babilonia viene sconfitta da un'alleanza di Medi e Persiani sotto Ciro, e questo metterà le basi per il ritorno di Giuda (50:3; 51:1,27,28; 2 Cr. 36:20-23). Questa promessa di liberazione è la risposta di Geremia ai falsi profeti che costantemente mettevano in questione il suo messaggio di giudizio (28:1-4).
Geremia ha pure un messaggio di salvezza, ma solo come l'altra faccia della medaglia del giudizio (29:11-14). Questo messaggio è cristallizzato nella profezia su un nuovo patto (testo centrale: 31:31-34). La profezia del Nuovo Patto viene costruita intorno agli ingredienti di base del patto mosaico al Sinai: parla del desiderio di Dio di avere rapporto con il Suo popolo eletto, e dell'esigenza che essi rispondano al Suo amore con l'ubbidienza (Es. 19:3-6; De. 7:6-11). Il Nuovo Patto parla di Dio che torna a mettere in grado il Suo popolo ad ubbidirgli (31:33; 32:40). Sebbene esso venga promesso in termini nazionali (31:13), si tratta di qualcosa di nuovo, che il Nuovo Testamento mostra adempiersi nel più vasto "Israele di Dio" (Ga. 6:16) attraverso Cristo (22:30; 23:5; 30:9; 311:33; 33:18).
Geremia rivela quanto egli sia personalmente coinvolto con il suo messaggio, e più ancora di quanto lo siano stati altri profeti (ma cfr. Is. 22:4; Mi. 1:8,9), ed egli stesso è grandemente afflitto al solo pensiero dell'avvicinarsi delle armate babilonesi, prima ancora che il popolo stesso lo diventi (4:19,21; 10:19-22; 14:19-22). Egli sente pure tutta la passione del Signore al riguardo del peccato di cui è testimone (8:21-9:3). Il suo ruolo è per natura quello di mediatore. Questo ruolo è particolarmente evidente in una serie di brani a cui spesso si fa riferimento come alle "confessioni di Geremia" (11:18-20; 12:1-4; 15:10-18; 17:14-18; 18:19-23; 20:7-18). In esse egli esprime tutto il suo dolore sotto il peso delle sue responsabilità profetiche, prega affinché giustizia venga fatta contro i suoi nemici, e accusa persino il Signore per aver fatto forza su di lui ed averlo ingannato (15:18-20:7). Alcune fra queste preghiere sollecitano la risposta del Signore contenente rimproveri e consolazioni (11:é21-23; 12:5,6; 15:19-21). La rassicurazione rivolta a Geremia in 15:19-21 più tardi avrà un'eco in una preghiera di Efraim, che riceverà la sua propria risposta (31:18-20). Le buone intenzioni del Signore verso Geremia, quindi, diventano una caparra della fedeltà che Egli manifesta verso l'intero popolo di Israele, attraverso ed oltre il castigo imminente.
Il libro contiene pure vari materiali che rendono difficile la sua lettura corsiva. Gran parte del libro di Geremia contiene oracoli poetici pronunciati dal profeta (es. i capitoli 2-6). Altre volte egli sviluppa le sue argomentazioni in stile di sermone o prosaico (cfr. 7:1-15). Vi è pure una narrazione in terza persona sul profeta stesso, probabilmente scritta da altri (es. 37-45), ed il cap. 52 capita essere un'appendice editoriale (vedi l'ultima frase di 51:64). La composizione è dunque complicata, il che è pure comprensibile per la lunghezza stessa del ministero di Geremia (25:3), e comunica tutta l'estensione e la forza del suo ministero dalla prospettiva dell'adempimento delle sue ripetute ammonizioni di castigo imminente.
Sebbene l'opera sia stata completata durante l'esilio, il punto storico più tardo raggiunto dal libro, suo scopo era quello di ammonire gli esiliati rammentando loro la necessità di riflettere sul significato del loro esilio. Al tempo stesso esso cerca di generare speranza, dato che il profeta che aveva pronunciato il giudizio aveva comprovato di aver ragione, aveva pure predicato un messaggio al riguardo del successivo ristabilimento di Giuda nella sua terra ed il rapporto privilegiato della nazione con Dio. Geremia era stato evidentemente assistito da Baruch, il quale probabilmente ha egli stesso composto le narrazioni in terza persona.
Una chiave per comprendere come le varie profezie e sermoni siano divenuti un unico libro si trova in 34:4-6, dove Baruch scrive tutte le parole "dalla bocca stessa di Geremia". Quando il rotolo viene distrutto da Jehoiakim, il Signore comanda a Geremia di riscriverlo, con l'aggiunta di nuove parole. Un altro riferimento è 51:60 dove vien detto a Geremia di riportare le profezie in un libro: "Così Geremia scrisse in un libro tutto il male che doveva accadere a Babilonia, tutte queste parole che sono scritte contro Babilonia" (Gr. 51:60).
Il contenuto del libro non è disposto in ordine cronologico, ma secondo temi. I capp. 21-24 sono formati da profezie riguardanti ciascuno dei successori di Giosia fino a (ma escludendone) Sedechia. Allo stesso modo i capp. 35,36 si riferiscono al tempo di Jehoiakim, dopo scene che coinvolgono Sedechia.
Schema del libro
I. La vocazione del profeta (1) |
II. Oracoli principalmente di giudizio contro Giuda (2-20)
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III. La fine della dinastia davidica: la salvezza solo tramite l'esilio (21-24).
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IV. La necessità della dominazione babilonese sulle nazioni (25-29). |
V. Promessa di ristabilimento (30-33).
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VI. Gli ultimi giorni di Gerusalemme (34-39). |
VII. Dopo la caduta di Gerusalemme (40-45).
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VIII. Oracoli di giudizio contro le nazioni (46-51).
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IX. Appendice: La Caduta di Gerusalemme (52). |
(Paolo Castellina, venerdì 11 dicembre 1998. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991).
Fonte: http://www.riforma.net/bibbia/comment/geremia.doc
Sito web: http://www.riforma.net
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Profeta Geremia tipo file : doc
I PROFETI DEL SECOLO VII
5. IL LIBRO DI GEREMIA
5.1. IL PROFETA E LA SUA EPOCA
Nel libro troviamo tre classi di testi. Testi A: parole originali di Geremia // Testi B: racconti in prosa su Geremia (forse redatti dal segretario Baruc) che mostrano la sorte della Parola profetica: accolta o rifiutata. // Testi C: parole di Geremia revisionate dalla scuola deuteronomistica.
Geremia è il profeta di cui conosciamo meglio la vita ed il ministero. Ricevette la vocazione profetica nel 627 (c.1), dalla quale non era attratto, sia per la sua giovane età sia perché comprese che doveva parlare contro tutti negli ultimi anni, cruciali e tragici, del regno di Giuda. Sul piano internazionale l’Assiria cade sotto i colpi del nuovo impero babilonese e del suo re Nabucodonosor.
5.2. MESSAGGIO RELIGIOSO
a) Sotto il regno di Giosia (627-609): appoggio alla riforma.
All’energica lotta del re contro il sincretismo e la trasandatezza religiosa Geremia diede il suo sostegno entusiasta. In particolare si rivolge ai suoi connazionali dell’antico regno d’Israele - ormai sotto il controllo di Giosia - invischiati nel sincretismo e amareggiati dalla miseria economica. Geremia li invita al pentimento (2,4-13; 3,1-5.19-25). Allora il Signore trasformerà la loro penosa condizione attuale in gioia e salvezza: ritorneranno gli esiliati e avranno abbondanza di beni (30-31).
b) Sotto il regno di Ioiakim (609-598): oblio del Signore e della Legge.
Con Ioiakim la riforma di Giosia cade nell’oblio. Geremia allora inizia ad attaccare la fiducia feticistica nel Tempio, i crimini morali ed il sincretismo religioso di ritorno (c.7). Ciò provoca l’ira dei nuovi padroni, da cui viene salvato grazie all’intervento di alcuni amici (c.26).
Geremia minaccia l’invasione babilonese, e compie l’azione simbolica della brocca spezzata, tanto che il commissario del tempio lo sbatte in prigione (19,1 - 20,6). Geremia incaricò Baruc di leggere le sue profezie davanti alla corte, ma il re condannò al rogo il rotolo dei suoi oracoli (c.36). Geremia sfoga tutta la sua amarezza nelle “confessioni” (11,18 - 12,6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18-23; 20,7-18). Nel 598 muore Ioiakim e gli succede Ieconia, proprio mentre i babilonesi pongono l’assedio a Gerusalemme. Il re si arrende e viene portato in Babilonia (597), assieme alla classe dirigente.
c) Sotto il regno di Sedecia (597-586): l’inevitabile sciagura.
Ai giudei che ritenevano di essere rimasti in patria perché giusti, Geremia risponde con la parabola dei due cesti di fichi (c.24). Ai deportati invece, che ritenevano che l’esilio sarebbe stato di breve durata, Geremia scrive di installarsi comodamente in Babilonia, perché l’esilio sarà una lunga purificazione (c.29). I popoli vicini spingono Sedecia alla rivolta; Geremia si oppone e compie l’azione simbolica del giogo da buoi: il giogo babilonese è voluto dal Signore, è da sciocchi arroganti opporsi ai suoi disegni (c.27-28). Il governo lo accusa di disfattismo e di incitamento alla diserzione, lo fanno imprigionare e lo gettano in una cisterna fangosa da cui è salvato per intervento di un ambasciatore etiope, ma l’antifona non cambia: arrendersi ai babilonesi, altrimenti sarà la catastrofe (c.38). Non fu ascoltato, e fu davvero la catastrofe (39,1-9).
d) Dopo la caduta di Gerusalemme (586-ss): la fuga in Egitto.
I Babilonesi sapevano bene che Geremia si era sempre schierato per la resa (anche se il profeta non si schierò per ragioni politiche ma religiose) e lo lasciarono libero di scegliere se andare in Babilonia o rimanere nel Paese con Godolia. Geremia scelse di rimanere (40,1-6). Godolia viene ucciso e la comunità fugge verso l’Egitto. Durante la fuga chiedono a Geremia che li illumini sul da farsi. Geremia li invita a restare in Giuda e non temere la rappresaglia. Ma per l’ennesima volta il profeta non è ascoltato, i capi avevano già deciso di puntare verso l’Egitto (c.42-43). I giudei si stabilirono in Egitto, ove fonderanno numerose comunità. A quel punto Geremia esce di scena.
P.S. LE LAMENTAZIONI.
La raccolta di cinque elegie drammatiche e commosse sulla rovina di Gerusalemme e del Tempio, è stata attribuita dalla tradizione ebraica e cristiana a Geremia. Ancora oggi vengono lette dalla comunità ebraica nell’anniversario di quei tragici eventi.
La prima elegia (c.1) è una evocazione vibrante commossa dello stato di abbandono e di miseria in cui versa la città, che riconosce il suo peccato ed invoca la pietà degli uomini e di Dio.
La seconda elegia (c.2) riconosce che la catastrofe è opera del Signore, che ha agito da avversario del suo popolo. Per questo la città è invitata alla supplica ed alla penitenza.
La terza elegia (c.3) esprime tutta l’amarezza e la sofferenza del poeta, che però confida in Dio, vedendo che ha duramente colpito ma non annientato. Ed ora attende la vendetta sui nemici.
La quarta elegia (c.4) è dominata dal ricordo raccapricciante dell’assedio, a causa della malvagità dei capi della nazione. Gli Edomiti, che parteciparono al saccheggio, subiranno la stessa sorte.
La quinta elegia (c.5) è un’ardente supplica del poeta al Signore, perché si muova a pietà vedendo la triste e disonorevole condizione del suo popolo.
6. IL LIBRO DI NAUM
6.1. IL PROFETA E LA SUA EPOCA
Il libro si apre con un inno, in acrostico alfabetico, decapitato. (1,1-8), Segue una serie di brevi oracoli (1,9 - 2,3) di non facile comprensione. Forse sono indirizzati alternativamente all’Assiria (v.9-11), a Giuda (v.12-13), all’Assiria (v.14), a Giuda (2,1-3). Il resto è uno stupendo poema che canta, in modo drammatico ed irridente la disintegrazione di Ninive, la capitale dell’impero assiro.
Naum è un giudeo che canta la caduta di Ninive, avvenuta nel 612. Il suo crollo è però ancora lontano: Giuda e l’Egitto sono ancora sotto il giogo assiro (1,12-13; 3,8-10). E’ dunque da collocare nel VII secolo, ed è da ammirare la straordinaria preveggenza del profeta, che canta come fatto sicuro, quasi in cronaca diretta, la caduta di un impero che era invece all’apogeo della sua potenza.
6.2. MESSAGGIO TEOLOGICO
Nel poema Naum evoca l’assalto a Ninive. La città cade come sotto l’onda d’urto dei nemici, e la vecchia tana di leoni è messa a sacco, i suoi abitanti fuggono, i suoi capi sono catturati (2,4-14). Evoca l’assedio, l’assalto devastante alla città, le migliaia di morti, la distruzione delle mura, gli incendi, la fuga dei notabili, la dispersione del popolo. La motivazione: perché era una città sanguinaria e prostituta (3,1.4). Il profeta, seduto all’esterno della città, intona una elegia sarcastica (3,7): Ninive non merita alcuna pietà, il Signore le rende tutto il male che ha fatto agli altri (3,19). Il Signore è giusto, e non può lasciare impunito il potere imperialistico che tanto ha fatto soffrire i popoli vicini. Naum lo celebra con la rabbia dell’oppresso, senza alcuna concessione alla compassione.
7. IL LIBRO DI ABACUC
7.1. IL PROFETA E LA SUA EPOCA
I c. 1-2 sono compatti e ben strutturati. In 1,2-4 il profeta si lamenta delle violenze perpetrate dagli empi giudei. In 1,5-11 il Signore gli risponde: li punirà mediante i Babilonesi. In 1,12-17: il profeta non è soddisfatto della prima risposta, perché i Babilonesi sono crudeli e dispotici quanto e più degli empi giudei. In 2,1-20 il Signore gli dà una seconda risposta: anche gli empi Babilonesi saranno puniti. Ora il profeta è soddisfatto (c.3) e manifesta la sua gioiosa attesa dell’intervento divino.
Le allusioni - assai discrete in verità - da una parte all’avanzata delle truppe babilonesi ed al trattamento feroce che riservano ai popoli vinti, dall’altra alle violenze perpetrate dalle classi dirigenti di Giuda, fanno collocare da molti il poema di Abacuc alla fine del VII secolo.
7.2. MESSAGGIO RELIGIOSO
Nel suo colloquio orante con il Signore Abacuc espone il problema che lo inquieta: a che serve che un gruppo oppressore sia punito da un altro se questo si rivela ancor più spietato? Se la storia è un susseguirsi di oppressioni dov’è la giustizia di Dio? Perché permette che i giusti siano oppressi?
Il Signore gli fa comprendere (2,2-4) che “alla fine” ogni gruppo oppressore - qualunque sia - dovrà pagare i suoi crimini. Che i giusti perseverino nella rettitudine morale e nella fiducia in Dio, perché gli empi saranno puniti.
Questa visione del giudizio finale consola Abacuc. Non gli resta che tornare al suo posto di sentinella ed attendere - con trepidazione e con l’animo lieto (3,16-18) - la venuta del Signore, che sarà un evento minaccioso per gli empi ma salvifico per chi persevera nella fedeltà (3,12-13).
8. IL LIBRO DI SOFONIA
8.1. IL PROFETA E LA SUA EPOCA
Quanto alla composizione del poema si riconoscono tre parti maggiori. A. (1,2 - 2,3): annuncio di un giudizio universale, che colpirà particolarmente il regno di Giuda, chiuso da un’esortazione finale alla giustizia ed alla moderazione. B. (2,4 - 3,8): minacce ai popoli pagani che culminano nelle minacce a Giuda. C. (3,9-20): promessa di salvezza alle nazioni ed in particolare a Giuda.
Sofonia è un profeta del regno di Giuda, un vero ebreo seppure di ascendenza etiopica (1,1). Appartiene a quel ceto modesto e subalterno (3,12), irritato contro la classe dirigente che commette angherie e sopraffazioni nella più totale impunità (3,2-4.11).
Sofonia (1,1) fu profeta al tempo di Giosia. A Gerusalemme si pratica un culto sincretista (1,4-5); non si parla del re ma di una corte, assimilata alla cultura straniera (1,8-9); Ninive e l’Assiria sono ancora una grande e forte potenza mondiale (2,13-15). Questi fatti portano a collocare Sofonia nella seconda metà del VII sec., verso il 630 a.C. Sofonia ha preparato il terreno alla riforma che Giosia - divenuto maggiorenne - inizierà qualche anno dopo.
8.2. MESSAGGIO RELIGIOSO
L’apertura delle tre sezioni con una minaccia al mondo (1,2) ed alle nazioni straniere (2,4-15) e la promessa alla comunità internazionale (3,9-10) - pur avendo un indubbio valore in sé stessa - sembra essere un espediente letterario, come chi tende l’arco per cogliere un obiettivo, o come chi ruota attorno a qualcuno per attirarne la sua attenzione. L’obiettivo è Giuda, di cui attira l’attenzione per dirgli: vedete come castigo e salvo le nazioni? Ebbene così farò anche a voi, soprattutto a voi!
La collera del Signore (dies irae - 1,15) si scatena contro Giuda a causa dell’imperversante sincretismo religioso (1,4-5), le mode esterofile della corte (1,8), la prepotenza e le truffe dei commercianti e dei banchieri dei dinamici quartieri della città nuova (1,10-11), la dolce vita e la fede morta delle vecchie famiglie del centro storico (1,12), la voracità, crudeltà e corruzione del ceto dirigente (3,3-4).
Il profeta, che non cessa di chiamare alla conversione (2,3), è convinto che la catastrofe che si abbatterà su Giuda sarà come un fuoco purificatore. I pochi sopravvissuti, gente di modesta condizione, capiranno che il castigo viene dal Signore ed allora si volgeranno a lui, avranno fiducia in lui, si convertiranno ad una condotta degna (3,12-13). Allora l’Alleanza conoscerà una seconda giovinezza: il Signore, come un giovane re, amerà di nuovo la ringiovanita “figlia di Sion”, il “resto d’Israele” (3,14-17).
Fonte: http://scienzereligiose.altervista.org/disp/at2-profetiviisec.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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