Amore comunicazione organizzazione nella famiglia
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Amore comunicazione organizzazione nella famiglia
Come si può migliorare il rapporto fra marito e moglie, quando una percentuale sempre più alta di coloro che si sposano finisce col divorziare o con il trascinare un matrimonio infelice? La società, e soprattutto le famiglie, dovrebbero dare molta attenzione al problema della preparazione al matrimonio. Si va a scuola per molti anni per diventare medici, ingegneri, avvocati, insegnanti, ma per sposarsi sembra che basti solo avere una certa età: l’età sembra essere il requisito sufficiente per prendere una decisione così importante e basilare nella vita.
Nonostante i gravi problemi che esistono oggi nella famiglia, la stragrande maggioranza delle persone ritiene che sia preferibile sposarsi anziché rimanere da soli.
Un giorno, un giovane andò da Socrate e gli domandò se facesse bene o no a sposarsi. Socrate gli rispose: “Farai senz’altro bene a sposarti, perché se troverai una brava moglie sarai molto felice; se troverai una cattiva moglie, diventerai filosofo”.
Sappiamo dalla storia che Socrate era un filosofo e che sua moglie non era un modello di perfezione. Ciò nonostante egli pensava che, in tutti i casi, fosse bene sposarsi.
Nei primi capitoli della Genesi, nel Vecchio Testamento, il Signore ha detto: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui” (Genesi 2:18).
In generale, non è bene che l’uomo rimanga da solo; le ricerche scientifiche hanno, infatti, evidenziato che gli uomini soli vanno maggiormente soggetti a patologie di varia natura, hanno più probabilità di avere problemi con la legge, sono più esposti alle malattie mentali e a molti altri inconvenienti.
Dio ha istituito il matrimonio per il bene dell’uomo, non per la sua rovina. E allora che cosa si può fare per migliorare il rapporto fra marito e moglie?
Nel matrimonio, tre sono le parole chiave: amore, comunicazione, organizzazione. Vediamo di esaminare partitamente i contenuti di ciascuno di questi termini.
AMORE COME DECISIONE
È molto importante stabilire le basi del matrimonio: la base tradizionale è l’amore. Tuttavia generalmente si hanno molte difficoltà a capire che cosa voglia dire amare una persona.
Gli Eschimesi posseggono nel loro vocabolario più di trenta parole per indicare la neve, perché sono comprensibilmente molto interessati a questo fenomeno atmosferico. Ma per indicare l’amore noi disponiamo di una sola parola, e questa parola deve descrivere e includere tanti concetti diversi fra loro.
I Greci avevano, invece, parole differenti per indicare quei concetti che noi classifichiamo tutti sotto il termine onnicomprensivo di “amore”.
L’amore, di cui desideriamo trattare in questa sede, è quello che i Greci chiamavano agápe: questa parola si incontra per la prima volta nel Nuovo Testamento, e più tardi anche nella letteratura greca. È proprio di questo amore che la Bibbia tratta.
Quando la Bibbia parla dell’amore che lega fra loro i membri della famiglia, utilizza proprio la parola agápe e il verbo agapáo: “Mariti, amate [agapâte: Imperativo Presente, seconda persona plurale del verbo agapáo] le vostre mogli, come anche Cristo ha amato [egápesen: Indicativo Aoristo attivo, terza persona singolare del verbo agapáo] la chiesa e ha dato sé stesso per lei” (Efesini 5:25).
L’agápe non è prima di tutto un’emozione, ma piuttosto una decisione che la persona ha preso. Con ciò non si vuole sostenere che l’amore non abbia momenti di emozione, ma piuttosto che l’amore non inizia con l’emozione.
C’è un passo nella Bibbia in cui Cristo ci comanda di amare i nostri nemici, e adopera proprio il verbo agapáo: “Ma io vi dico: amate [agapâte] i vostri nemici” (Matteo 5:44). Ora è chiaro che non possiamo avere un sentimento positivo nei confronti dei nostri nemici. Bisogna iniziare con la decisione di amarli. E poi, una volta presa questa decisione, dobbiamo compiere gli atti richiesti dall’amore: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano” (Matteo 5:44).
Alla fine si può anche arrivare a provare l’emozione, ma non si parte da questa. A due giovani sposi che dovessero dirci: “Non ci vogliamo più bene, stiamo pensando al divorzio. Che cosa possiamo fare?”, dovremmo rispondere: “Siete obbligati a volervi bene”. E se essi replicassero: “Ma come facciamo? Non proviamo più quell’amore che provavamo tempo fa”, allora avremmo la possibilità di trattare con loro il fatto che c’è un concetto più alto di amore: un concetto intellettuale, volitivo, di cui la Bibbia si serve quando, in molte occasioni, ci comanda di amare, usando proprio quella parola: agápe.
“Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore [agápen] gli uni per gli altri" (Giovanni 13:35).
“Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate [agapâte] gli uni gli altri; come io vi ho amato [egápesa], anche voi amatevi [agapâte] gli uni gli altri” (Giovanni 13:34).
“[…] ama [agapéseis] il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 19:19).
L’amore non è un’emozione, ma una decisione. Si prende la decisione di amare una persona, e poi si fa ciò che l’amore richiede, aspettando che l’emozione arrivi al momento giusto. L’emozione non è il punto da cui partire.
È proprio di questo amore, inteso come decisione, come atto della volontà, che parla l’apostolo Paolo, quando rivolge ai mariti questa esortazione: “Mariti, amate [agapâte] le vostre mogli, come anche Cristo ha amato [egápesen] la chiesa e ha dato sé stesso per lei” (Efesini 5:25), perché l’amore è la decisione di voler bene ad una persona.
Per questo motivo, anticamente i genitori potevano scegliere il coniuge per i propri figli. Con ciò non si vuole sostenere che sarebbe meglio ritornare a quel sistema; ma non si deve pensare che, per il solo fatto che fossero i genitori a fare la scelta per i figli, questi non volessero poi bene al loro coniuge; infatti, per la loro cultura, essi avevano già deciso che avrebbero voluto bene a chi fosse stato dato loro come marito o come moglie.
Purtroppo Hollywood ha peccato molto contro la società, facendo credere che l’amore richieda un’emozione così calda e forte che, se questa non esiste, l’amore non c’è o non c’è più, e bisogna abbandonare il tentativo di restare insieme. Ma, come abbiamo visto, l’amore descritto nella Bibbia consiste in una decisione di amare.
La Scrittura dice anche che, quando un uomo e una donna si sposano, debbono lasciare padre e madre, per diventare una sola carne: “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne” (Genesi 2:24).
Possono sorgere molte difficoltà quando i giovani sposi non riescono a lasciare i propri genitori, essendo ancora immaturi, non essendo ancora pronti a distaccarsi dalla famiglia d’origine per stabilirne una propria, per assumersi quelle responsabilità che devono formarsi nella nuova unità sociale.
È molto importante che, quando due persone decidono di sposarsi, abbiano preso anche la decisione di separarsi dai propri genitori, non in senso fisico necessariamente, ma in senso psicologico, avendo consapevolmente deciso di uscire dalle rispettive famiglie d’origine per formarne una nuova, e accettando le responsabilità che derivano dal fatto di aver costituito una nuova famiglia.
La Bibbia dice anche che l’uomo e la donna che si sposano diventano “una sola carne”. Di solito si tende a circoscrivere questa espressione al solo atto sessuale, ma il suo significato è sicuramente molto più profondo, ed ha a che vedere con il fatto che due persone si uniscono in matrimonio con l’intenzione di affrontare tutto insieme, di gioire insieme, di superare insieme i momenti difficili e, per quanto è loro possibile, di vivere come se fossero una sola persona, uniti nei loro desideri, nei loro sentimenti e in tutto ciò che è importante nella vita.
C’è un altro passo nella Bibbia, che esorta i mariti ad amare le proprie mogli come amano sé stessi, perché: “chi ama la propria moglie ama sé stesso” (Efesini 5:28), sottolineando ancora una volta questa unità che viene a realizzarsi fra i coniugi.
È un richiamo molto alto quello ad amare la propria moglie come si ama sé stessi, a cercare di tenerla sempre in considerazione, a fare tutto ciò che è bene per lei. Infatti, un elemento molto importante dell’amore (agápe) è il fatto che l’uno non si approfitta dell’altro, che l’uno non ricerca il proprio interesse ma quello dell’altro, che l’uno si adopera per conseguire ciò che più gioverà all’altro (1Corinzi 13:5).
Spesso facciamo uso della parola “amore” per prendere qualcosa, per ottenere qualcosa da un’altra persona. Invece la Parola di Dio ci suggerisce che l’amore più alto è quello che richiede un investimento della parte migliore di noi stessi per conseguire ciò che veramente giova all’altro individuo, senza mai servirsi di quella persona, senza mai usarla per le proprie finalità.
Molte volte, quando un giovane dice a una ragazza: “Ti voglio bene”, non sta parlando dell’agápe ma dell’eros. E allora bisognerebbe che lei gli domandasse subito: “Che cosa vuoi intendere: eros o agápe?”. È, infatti, molto importante sapere di quale amore si sta parlando.
Amare una persona, nel senso più vero della parola, significa prodigarsi per quella persona, giovare a quella persona, essere utili a quella persona. È proprio questo che l’apostolo Paolo ha voluto suggerire, quando (usando sempre il verbo agapáo) ha detto: “Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama sé stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa" (Efesini 5:28-29).
Noi serviamo il nostro corpo, cerchiamo di fare ciò che giova al nostro corpo. Quali sono, dunque, le cose che marito e moglie possono fare per servire, per giovare, per essere utili l’uno all’altro? Ecco, di seguito, un piccolo elenco di cose che l’amore suggerisce ad un coniuge di donare all’altro.
- L’amore rispetta l’identità personale. Se voglio veramente bene alla persona che ho sposato, desidero che essa abbia e conservi la sua identità personale, e che non sia la mia ombra.
- L’amore dà un senso di sicurezza. Se avete portato i vostri figli dal dentista la prima volta, e li avete accompagnati quando sono andati a mettersi a sedere sulla poltrona, e siete stati accanto a loro, con le loro mani nelle vostre, avete sicuramente notato come sono rimasti calmi, almeno finché il dentista non ha iniziato il suo lavoro. Ma se aveste cercato di metterli su quella poltrona e poi foste usciti dalla stanza, avrebbero cominciato subito a gridare, perché non si sarebbero più sentiti sicuri. Invece, la presenza del vostro amore li ha rassicurati. L’amore fa proprio questo: dà un senso di sicurezza.
- L’amore riconosce le capacità dell’altro, fornendogli stimoli intellettuali, sociali e spirituali.
- L’amore offre una critica positiva. Se la critica venisse da una persona estranea, che non ci vuole bene, penseremmo di essere attaccati e di doverci difendere; ma la critica che proviene dalla persona che ci ama e che è veramente interessata al nostro miglioramento personale, non può che essere accolta positivamente. Chi è sposato ha la benedizione di poter disporre di un critico che gli vuole bene, e dal quale non si deve difendere perché le sue critiche non hanno lo scopo di attaccarlo, bensì di renderlo migliore.
Queste sono soltanto alcune delle cose che l’amore (agápe) può offrire: cose di cui entrambi i coniugi hanno bisogno, e che hanno il diritto di chiedere l’uno all’altro e di ricevere l’uno dall’altro.
La parola greca filía che significa “amicizia”, e la parola greca storghé, che esprime l’amore, la tenerezza, l’affetto nell’ambito famigliare, stanno ad indicare altri due sentimenti che vanno aggiunti all’agápe e all’eros nel matrimonio. Nel rapporto fra marito e moglie deve esserci un misto di tutte queste cose, ma su tutto deve prevalere l’agápe.
Quando, invece, per la coppia la cosa più importante è l’eros, ed è prima di tutto con questa parola che i due vogliono definire il loro amore, allora è molto probabile che dopo qualche tempo questo amore non esisterà più. Se il rapporto fosse basato soltanto o soprattutto sull’eros, all’insorgere della prima difficoltà o della prima incomprensione, il marito potrebbe lasciare la moglie e viceversa. Ma quando l’eros è sottomesso all’agápe, che (diversamente dall’eros) rimane sempre, anche nei momenti di contrarietà, allora le due persone continueranno ad essere unite.
Nel matrimonio l’amore che lega la coppia deve consistere in un misto di “agápe, filía, storghé, eros”, con l’agápe che regna su tutto: solo così si può essere certi che le due persone manterranno la promessa di volersi bene per tutta la vita.
LA COMUNICAZIONE
Riguardo alla comunicazione nel matrimonio, si può affermare che è l’uomo ad avere più difficoltà. Ci sono molti studi che dimostrano che le donne sono più portate per la comunicazione, poiché esse sono più disponibili al dialogo.
È molto importante possedere la capacità di comunicare, perché questa offre la possibilità di farsi conoscere, di esprimere i propri pensieri e, quando sorgono delle difficoltà, di discuterle con calma per arrivare ad una soluzione.
Alcuni psicologi americani sono così convinti che il difetto di comunicazione stia alla base di molti problemi nel matrimonio, da rifiutare le consulenze matrimoniali a quelle coppie che non sono disposte a firmare un contratto, in base al quale devono impegnarsi a comunicare un’ora ogni giorno con il proprio partner. Per tutta la durata della terapia, cioè, ciascuna coppia deve trascorrere almeno un’ora al giorno insieme, per comunicare. La moglie parla per trenta minuti senza essere interrotta, mentre il marito la ascolta; poi è il marito a parlare per mezz’ora, mentre lei deve ascoltarlo senza interrompere.
Ma gli psicologi si sono accorti che ci sono più maniere di interrompere una persona che sta parlando. Per esempio, se il marito dice alla moglie: “Sai che ti ho sempre voluto bene, che ho sempre cercato di fare tutto ciò che potesse farti contenta”, e la moglie, all’udire queste parole, fa un cenno di diniego con la testa, è vero che non ha detto nulla, però avrà interrotto il discorso del marito.
Allora gli psicologi hanno deciso di cambiare la posizione delle sedie su cui la coppia siede, e le hanno disposte in modo tale che il marito e la moglie si diano le spalle, così che essi non possano guardarsi in faccia, per non ricevere dei messaggi mimici capaci di interrompere la comunicazione.
Nel matrimonio molti problemi nascono proprio dal fatto che la coppia non ha imparato a comunicare. Studi ci dicono che, durante le consulenze matrimoniali, accade spesso una cosa strana: alla presenza di entrambi i coniugi, lo psicologo ascolta quello che la donna ha da dire, e comprende perfettamente ciò che ella dice, ma poi si accorge che il marito non ha capito nulla di quello che la moglie ha detto. Quando è il marito a parlare, lo psicologo non ha alcuna difficoltà a comprendere ciò che egli vuole dire, ma poi si rende conto che la donna, invece, non ha capito nulla di quanto il marito ha detto.
Perché accade questo? Per varie ragioni, ma soprattutto perché non ascoltiamo. Molte volte arriviamo al punto in cui non abbiamo più la motivazione a capire né ad ascoltare quello che dice l’altro, o perché pensiamo di sapere già tutto quello che avrà da dire, o perché stiamo pensando a quello che diremo noi quando l’altro ci darà la possibilità di parlare.
La comunicazione è molto importante, soprattutto quella ad un livello profondo; perché ci sono vari livelli di comunicazione, dai più superficiali ai più profondi: ad esempio, il livello comunicativo è superficiale quando parliamo di cose che succedono; è un po’ più profondo quando parliamo di persone; è ancora più profondo quando parliamo di sentimenti e di idee.
Comunicare bene è difficile, richiede diverse cose, soprattutto richiede una certa organizzazione: ad esempio, spesso accade che il marito stia pensando a qualcosa di preciso, e inizi una discussione come se la moglie sapesse già quello che egli ha in mente; ma se non dà alla moglie l’informazione sufficiente perché lei possa capire il messaggio che lui le sta trasmettendo, allora la comunicazione è inutile. Occorre perciò un’organizzazione del messaggio che si intende trasmettere, così da riuscire veramente a comunicare in modo efficace.
Inoltre, è molto importante ricevere un feed-back: occorre cioè che l’uno controlli quello che l’altro ha capito della comunicazione trasmessa; infatti, molto spesso noi pensiamo di essere stati chiari, ma poi quando sentiamo che cosa l’altro ha capito, vediamo che è del tutto diverso da quello che abbiamo voluto dire. Allora il feed-back è molto importante, soprattutto quando non si sta parlando semplicemente per comunicare ad un livello superficiale ma ad un livello profondo; in questo caso, infatti, è importante cercare di sapere se il messaggio che è penetrato nella mente dell’altro è precisamente quello che si è voluto trasmettere.
La comunicazione, poi, deve essere gentile. Non è vero che comunichiamo meglio a voce alta; non è vero che abbiamo più ragione se alziamo la voce; non è vero che quello che abbiamo da dire diventa più credibile se gridiamo.
Di solito, quando cominciamo a gridare, vuol dire che abbiamo pochi argomenti e che stiamo trovando molto difficile dimostrare di avere ragione. Eppure spesso in famiglia si grida, ma senza profitto, poiché alzare la voce è purtroppo una maniera molto efficace di troncare la comunicazione.
È inoltre molto importante comunicare con amore, in modo che anche le cose dure siano dette tenendo sempre presente l’agápe, facendo, cioè, attenzione che l’altro sappia che non stiamo dicendo quelle cose perché siamo arrabbiati o perché siamo animati da un sentimento di odio, ma piuttosto perché gli vogliamo bene.
È importante comunicare al momento opportuno: non tutti i momenti sono opportuni. Consideriamo la casalinga che ha dovuto combattere tutto il giorno con i figli, e ha molte lamentele da comunicare al marito quando questi ritornerà dal lavoro; e consideriamo il marito che ritorna a casa stanco la sera, e vorrebbe sdraiarsi forse per mezz’ora senza parlare con nessuno, per avere un po’ di calma prima di entrare nelle questioni famigliari; se la moglie, nel momento in cui apre la porta al marito, insiste nel volergli comunicare tutte le sue lamentele, è molto probabile che la comunicazione andrà a finire male.
Ecco, allora, che è molto importante avere l’accortezza di saper riconoscere quando è il momento opportuno per fare una data comunicazione.
Occorre, poi, evitare certe parole che rendono difficile la comunicazione. Se, ad esempio, il marito dice alla moglie: “Tu non fai mai ciò che piace a me”, certamente la moglie potrà pensare ad una volta almeno, nella loro vita insieme, in cui ha fatto qualcosa per far piacere a suo marito. Ben diverso è, invece, dire: “Spesse volte mi sembra che tu non faccia ciò che piace a me”. Ma se si esordisce col dire: “Tu non fai mai ciò che piace a me”, ci si preclude ogni possibilità di dialogo.
Ancora, se il marito dice alla moglie: “Tu fai sempre così”, certamente lei riuscirà a pensare ad una volta almeno in cui non ha agito così. Una frase di questo tipo, anziché promuovere la comunicazione, scatena una reazione difensiva nella moglie perché non è vero che lei agisce sempre così, e allora sente di doversi difendere da quella ingiusta accusa. Ma se il marito le dicesse: “A volte fai così” o “Spesse volte fai così”, allora la comunicazione non sarebbe interrotta e potrebbe continuare, per vedere di giungere ad una possibile soluzione.
Nella comunicazione occorre, dunque, fare molta attenzione alle parole che si utilizzano, perché queste possono pregiudicare la conversazione e impedire ad essa perfino di incominciare.
Infine, è assolutamente sconsigliabile cercare di comunicare quando si è adirati; è molto meglio rimanere in silenzio e aspettare che la calma ritorni, per poi comunicare. E’, infatti, molto difficile essere equilibrati quando siamo in preda all’ira; è quasi impossibile poter discutere, essere obiettivi e ragionevoli quando siamo pieni di rabbia.
Per molti anni Freud ha detto, e in molti gli hanno creduto, che l’ira è qualcosa che bisogna esternare, e che quando siamo arrabbiati è molto meglio dare sfogo all’ira, perché se la teniamo dentro di noi può danneggiarci. Chissà, forse Freud temeva che qualcuno potesse realmente scoppiare dalla rabbia!
Ma indagini più recenti hanno dimostrato che è senz’altro preferibile imparare a dominare questo sentimento; chi facilmente manifesta la propria ira, sarà sempre più portato ad esternarla; mentre chi cerca di controllarsi, troverà sempre più facile non adirarsi. Spesso è proprio l’ira a complicare molto le cose fra marito e moglie. Basterebbe che tutti i membri della famiglia seguissero questa esortazione, che l’apostolo Paolo rivolse ai cristiani di Corinto: “Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?” (1Corinzi 6:7).
L’ORGANIZZAZIONE FAMIGLIARE
Negli Stati Uniti c’è un metodo per le consulenze matrimoniali, che si chiama “System’s analysis”: questo tipo di approccio inizia proprio con l’indagare l’organizzazione della famiglia.
Durante le consulenze prematrimoniali, spesso le coppie dicono: “Saremo tutti uguali fra di noi; nella nostra famiglia non ci sarà un’organizzazione”. Bisognerebbe davvero fare tanti auguri a queste coppie, se pensano di riuscire nel loro progetto senza pianificare un’organizzazione famigliare!
Innanzitutto, in ogni gruppo di persone, anche nel più piccolo, esiste un’organizzazione. Quando due o più persone devono lavorare insieme, sembra che siamo tutti d’accordo sulla necessità di fissare un’organizzazione interna al gruppo, per evitare il caos che fatalmente originerebbe dall’assenza di ruoli e di gerarchie. Perché questo non dovrebbe valere per la famiglia? Anzi, ciò deve valere soprattutto per la famiglia.
Secondo la Bibbia, è il marito a doversi assumere la maggiore responsabilità nella famiglia, non per essere un dittatore, non per essere uno che ha sempre ragione, non per essere uno che può fare ciò che più gli pare e piace, ma per essere quella persona che ama di più, che serve di più, che lavora di più e che accetta più responsabilità di tutti gli altri in quella unità sociale basilare che è la famiglia.
Quando la Bibbia presenta il ruolo dell’uomo all’interno della famiglia, non lo descrive mai come un generale che impartisce ordini a destra e a sinistra, ma come uno che guida e s’impegna affinché la sua casa sia un luogo di pace e d’amore, dove i figli possano crescere in modo equilibrato e spiritualmente sano.
Se i mariti cercassero di perseguire questi ideali, non ci sarebbe sicuramente alcuna resistenza da parte delle mogli, perché i vantaggi sarebbero manifesti a tutti.
Possono esserci due tipi di leaders nella famiglia. C’è il leader autocratico, che impartisce ordini, non fa mai domande, né permette che altre persone della famiglia ne facciano a lui; che è subito pronto ad assumere un atteggiamento di difesa, non appena qualcuno mette in dubbio la sua autorità o gli chiede conto del suo operato; che esige che tutti facciano quello che dice, anche se non sono d’accordo; che manipola gli altri e richiama continuamente l’attenzione sul fatto che è lui che comanda; che conosce una sola maniera per motivare gli altri a fare quello che vuole lui: la sua autorità; che genera ostilità, contrasti, risentimenti, divisioni, e molte altre influenze negative.
Non è questo il leader previsto nella Parola di Dio; non è questo il leader che può far diventare la famiglia come Dio la vuole.
C’è poi il leader democratico, che fa delle domande; che è sempre pronto ad ascoltare; che suggerisce alternative, anziché dare ordini; che rispetta l’individualità e la dignità di tutti i membri della famiglia; che afferma la verità in una maniera non offensiva; che cerca la collaborazione del gruppo famigliare; che guida, responsabilizza, persuade gli altri; che è aperto alla discussione dei problemi della famiglia, per poter trovare insieme le soluzioni; che ha sempre un atteggiamento positivo, e dice: “possiamo farcela”, “siamo capaci”, “tentiamo”; che cerca di motivare i suoi cari al bene comune; che lavora costantemente per unire fra loro i componenti della famiglia; che cerca sempre di sprigionare un’influenza pacifica. Questo secondo tipo di leader è conforme ai requisiti biblici del capofamiglia.
Qualcuno ha detto che il leader migliore è quello che è felice di sentir dire dai suoi, dopo che tutti i compiti sono stati eseguiti: “L’abbiamo fatto da noi”.
Il capofamiglia che si aspetta, invece, un riconoscimento e vuole sentirsi dire dai suoi: “Sei tu che hai fatto tutto”, non è un buon leader.
Il buon capofamiglia, quando sente dire dai suoi: “L’abbiamo fatto da noi”, è felice perché sa di averli messi in condizione di sprigionare quelle potenzialità, quelle capacità e quelle doti che faranno sì che essi possano veramente riuscire bene nella vita.
Per concludere, l’amore come decisione, una buona comunicazione, l’organizzazione famigliare sono i pilastri di un buon rapporto fra marito e moglie, e consentono di superare tutti i problemi e tutte le difficoltà che la famiglia deve affrontare in questa vita.
Fonte: http://www.chiesadicristots.it/documenti/Amore,comunicazione,organizzazione%20nella%20famiglia.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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