Origine dello stato pontificio
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Origine dello stato pontificio
L’ORIGINE DELLO STATO PONTIFICIO
Al tempo di GREGORIO MAGNO (590-604) il papa aveva già praticamente il potere civile di Roma. Il codice di Giustiniano confermò le funzioni del vescovo nella civitas come giudice, amministratore delle finanze e protettore ufficiale. Nel caso di Roma, i papi ebbero la gestione delle rendite tratte dai cereali di Sicilia, di Sardegna e di Corsica; divennero i banchieri e i pagatori degli imperatori. Così fu possibile vedere Gregorio nell’esercizio di queste funzioni. Due avvenimenti ebbero come conseguenza di dare al vescovo di Roma una posizione di estrema forza:
- Gregorio era diventato il più ricco proprietario terriero della penisola, grazie agli importanti territori ricevuti in dono in Sicilia, in Sardegna e nell’Italia meridionale, che andarono ad aggiungersi a quelli che aveva ereditato personalmente. In particolare, in base alla leggenda delle sue origini, il complesso delle proprietà comprese tra Orvieto, a nord, e Terracina, a sud, era considerato patrimonio di San Pietro.
- In seguito nel 584 l’imperatore investì l’esarca di Ravenna della diretta autorità sull’Italia; quando fu chiaro che l’esarca non esercitava più un’efficace sorveglianza, Gregorio divenne necessariamente il protettore del suo popolo. A PARTIRE DA QUESTO MOMENTO, I PAPI FURONO I VERI PADRONI DI ROMA, TEMPORALI E SPIRITUALI, SOTTO IL CONTROLLO DI PRINCIPIO DELL’IMPERATORE, LORO SOVRANO.. Furono costretti a organizzare un esercito e difendere gli interessi della “repubblica di San Pietro” dagli attacchi longobardi e dalle esazioni imperiali. L’esarcato di Ravenna fu collegato al patrimonio di S. Pietro da uno stretto corridoio che scavalcava gli Appennini e comprendeva Perugia, quindi discendeva la valle del Tevere fino a Todi.
Nelle difficoltà in cui Roma venne a trovarsi a causa dei Longobardi, Gregorio III (731-741), assieme al senato romano, cercò aiuto presso Carlo Martello, maggiordomo franco, disposto ad affidargli la protezione di Roma, funzione che a rigor di termini spettava all’imperatore. Carlo Martello non accolse, come abbiamo già visto, l’invito per motivi politico-strategici. I Longobardi, infatti, gli servivano nella lotta contro i Saraceni. Il successore di Gregorio III, Zaccaria (741-752) riuscì a stipulare una pace ventennale con il re dei Longobardi Liutprando; in queste trattative il papa apparve ormai come un padrone effettivo di un potere civile nel ducato romano. È sotto questo pontefice che furono intrecciate le relazioni tra il papato e i Franchi, relazioni che per lo stato pontificio, che andava costituendosi, e per lo sviluppo della storia dell’Occidente dovevano diventare della massima importanza. Pipino il Breve, maggiordomo d’Austrasia, che aveva riunito nella propria mano tutto il potere nella terra dei Franchi, aveva deciso un colpo di stato che lo portasse anche alla corona regale. Aveva bisogno, però, dell’avallo di una prestigiosa autorità morale che supplisse la mancanza di sangue reale nella dinastia dei carolingi. Il papa Zaccaria, richiesto di un simile riconoscimento, accordò quanto veniva proposto. Pipino si fece eleggere re nella dieta di Soissons (751) e ricevette da S. Bonifacio l’unzione regia. Pipino ebbe subito occasione di prestare i suoi buoni servizi al papa.
I Longobardi nel 751 fecero irruzione nei territori dell’esarcato; il papa Stefano II (752-757) nel 753 chiese l’aiuto di Pipino contro i nuovi sconfinamenti longobardi. I soccorsi gli furono inviati e gli garantirono la vittoria. Ma il papa già si era recato nel 754 al palazzo reale di Ponthion e in S. Denis l’aveva nuovamente consacrato, conferendogli il titolo di patricius Romanorum e a Querzy, sempre nel 754, c’era stata la solenne “promessa di donazione”: “restituzione alla sede apostolica dei territori imperiali italiani occupati dai Longobardi (non solo quindi l’impegno di difendere la Chiesa di Roma e i suoi diritti). In due spedizioni, Pipino sconfisse Astolfo.
Nel 756, come conseguenza finale di un atto diplomatico di cui non conosciamo esattamente i termini, il papa acquisì o come dicono le fonti pontificie, ricuperò (sia perché ereditava dal potere imperiale, sia perché rientrava nei suoi diritti di proprietario sanciti dalla pretesa donazione di Costantino) una fascia di territorio che costeggiava l’Adriatico a partire da una frangia meridionale della Venezia e comprendeva Ravenna e la pentapoli, ossia Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona; Bologna fu aggiunta più tardi. Tutto questo complesso, a parte qualche piccola annessione successiva o qualche perdita di minima entità, restò essenzialmente intatto fino alla metà del secolo XIX; furono gli Stati Pontifici della storia medioevale e moderna.
COSI’ ANDO’ AFFERMANDOSI IL POTERE TEMPORALE DEL PAPA, NON COME FRUTTO DI UN PROGRAMMA LUNGIMIRANTE O DI UNA DIPLOMAZIA AMBIZIOSA MA IN MODO INEVITABILE E PROGRESSIVO SOPRATTUTTO PERCHE’ L’IMPERATORE D’ORIENTE ERA INCAPACE DI PROTEGGERE E GOVERNARE L’ITALIA con tutte le garanzie richieste. Nel secolo VIII il potere temporale divenne quel che sarebbe rimasto per tutto il medioevo e anche più tardi: un attributo apparentemente inalienabile del papato, un baluardo contro gli attacchi esterni, una fonte di potere e di ricchezza, una responsabilità che spesso avrebbe rappresentato un impaccio per quelli che l’esercitarono, e che avrebbe distratto dagli obblighi spirituali quelli il cui dovere era di essere con imparzialità i padri di tutta la cristianità occidentale. Per vari secoli il potere temporale aveva assolto in modo più o meno soddisfacente la sua missione, pur con l’inconveniente di frammischiare il papa a molte questioni profane, aliene dalla sua funzione religiosa e pur costituendo un innegabile ostacolo, anche se non l’unico e nemmeno il più grave, all’unificazione italiana.
Molto probabilmente nel tempo in cui lo Stato Pontificio si veniva formando sorse il cosiddetto Constitutum o Donatio Constantini, una delle falsificazioni medievali che ebbero le maggiori conseguenze. Secondo questo documento, l’imperatore Costantino Magno, in segno di riconoscenza per il (supposto) conferimento del battesimo e per la guarigione della lebbra avrebbe concesso al papa Silvestro (314-335) e ai suoi successori potere, dignità ed insegne imperiali, dandogli il palazzo lateranense ed il dominio su Roma e su tutte le province, i territori e le città d’Italia e delle regioni dell’Occidente e trasferendo per questo motivo la sua residenza a Bisanzio. Il documento compare nel suo testo integrale per la prima volta verso la metà del secolo IX in un’altra grande falsificazione, le DECRETALI PSEUDOISIDORIANE: per tutto il medioevo fu ritenuto genuino. Furono solo gli umanisti del XV secolo, come Nicolò Cusano e Lorenzo Valla che ne dimostrano la non autenticità. Luogo, tempo e scopo della falsificazione sono ancor oggi discussi. Probabilmente fu composta non molto dopo il 750, ancora sotto Stefano II (752-757) e allora ebbe influsso sugli accordi di Quierzy oppure solo sotto il pontificato di Paolo I (757-767), e in tal caso non in Francia, ma a Roma stessa, per dare un fondamento giuridico contro i Greci e i Longobardi alle pretese curiali sull’esarcato e su altri territori italiani; molto più improbabile è il suo spostamento al secolo IX. La formulazione indefinita e il contenuto altisonante della donazione poterono anche in seguito dar argomento ad ulteriori rivendicazioni del papato per l’aumentare del suo territorio, per l’autonomia politica e per un predominio sull’Occidente, quest’ultimo concepito all’inizio più idealmente che altro. In questo senso dopo la metà dell’XI secolo – con decisione e insistenza però solo alla fine del XII – essa fu usata dai papi nelle lotte con le potenze secolari; d’altro canto però venne oppugnata come dannosa per la Chiesa da parte di eretici e di avversari dei papi, qualche volta anche in ambienti ecclesiastici.
Le Decretali Pseudo-Isidoriane sono la più importante falsificazione di argomento canonistico sorta verso la metà del secolo IX per appoggiare le richieste del partito della riforma in Francia. La loro patria è probabilmente l’arcidiocesi di Reims, il tempo di origine oscilla tra l’845 e l’857. Il loro ignoto autore, dietro il quale sta forse un intero gruppo di autori, si chiama Isidorius Mercator e fu scambiato con Isidoro di Siviglia. Lo Pseudo-Isidoro dichiara di voler raccogliere sistematicamente tutto il materiale canonistico disperso per preparare la via ad un miglioramento della gerarchia ecclesiastica e del popolo cristiano. Non vi è da dubitare della sua buona intenzione di venire in aiuto alla Chiesa franca dilacerata dalle invadenze dei principi e dalle lotte dinastiche, lavorando specialmente contro il pernicioso cesaropapismo e assicurando il patrimonio della Chiesa; però con altrettanta decisione si deve condannare il mezzo impiegato a tal fine, la falsificazione di documenti ecclesiastici. Infatti, la raccolta contiene, accanto a vecchio materiale genuino di decisioni conciliari, numerose falsificazioni, specialmente la Donatio Constantini e 60 supposte Decretali. Lo scopo principale del falsificatore era evidentemente di assicurare i vescovi contro i soprusi dei principi secolari e contro l’eccessivo influsso dei metropoliti e dei sinodi provinciali. Come mezzo al fine gli serve l’elevazione del potere del papa, il quale viene indicato come il “caput totius orbis”; a lui soltanto viene riservato il diritto, sinora esercitato dai re franchi, di convocare e confermare sinodi; vescovi accusati possono appellare a lui: tutte le cause più importanti sono riservate per l’ultima decisione al suo foro; leggi statali che siano in opposizione con i canoni o con i decreti del papa sono nulle. Dal momento che le innovazioni contenute in quest’opera erano in parte già preparate prima, è falso attribuire ad essa un diritto ecclesiastico completamente nuovo. Comunque lo Pseudo-Isidoro contribuì notevolmente all’aumento del potere primatrale del papa – benché il papato nulla avesse a che fare con l’origine della falsificazione – specialmente quando la sua raccolta di Decretali al tempo della riforma cluniacense e gregoriana acquisì una maggior considerazione. LA RACCOLTA SI DIFFUSE RAPIDAMENTE – un segno che essa in generale rispondeva alla sensibilità del tempo - E FU CONSIDERATA COME AUTENTICA. SERI DUBBI SI FECERO SENTIRE SOLO NEL XV SECOLO (Nicolò Cusano).
L’EPOCA DI CARLO MAGNO
L’impero occidentale
CARLO MAGNO (768-814) REALIZZO’ L’IMPERO CRISTIANO D’OCCIDENTE.. Ebbe per prima moglie la figlia del re dei Longobardi. Il disaccordo scoppiato in Roma e il crescente influsso dei Longobardi portarono alla rottura, cosa di cui l’immediato ripudio della regina fu considerato un segno. Chiamato da papa Adriano I (772-795), nel 774 Carlo pose fine al regno dei Longobardi con la conquista di Pavia e assunse il titolo di re dei Longobardi. In Roma rinnovò e ampliò la promessa di Pipino, tuttavia anche sotto di lui rimasero dei punti non chiariti e delle differenze circa l’estensione dello Stato della Chiesa. Alcune dichiarazioni del papa nel 778 a questo riguardo presuppongono chiaramente la “donazione di Costantino”.
Carlo riprese con maggior vigore le sue conquiste che compì anche in nome della fede cattolica e della Chiesa, visto ormai che si considerava, e di fatto era divenuto, protettore ufficiale delle medesime. Le sue imprese belliche si rivolsero esclusivamente contro quei pagani ed infedeli, che assediavano i confini del regno. PER IL RE DEI FRANCHI POLITICA E RELIGIONE FURONO UNA COSA SOLA. Non vi è dubbio che Carlo abbia sempre agito spinto da un vero senso di responsabilità cristiana e che la diffusione della fede gli sia stata altrettanto a cuore dell’allargamento del suo potere politico. Quale fra le due tendenze del suo animo prevalesse veramente non è facile stabilire. Però il nostro modo attuale di porre il problema appare alquanto anacronistico.
Carlo lottò contro gli Arabi, gli Slavi, gli Avari, i Boemi, i Danesi: le guerre più lunghe e accanite furono quelle condotte contro i Sassoni (dal 772 all’804).
Nel 777 ordinò a tutti i Sassoni di convertirsi al cristianesimo e divise il paese in centri di missione. Numerosi nobili si fecero battezzare. Ma alcuni anni dopo si ebbe un durissimo contraccolpo.
Nel 782 il fiero popolo si ribellò sotto la guida di Vitichindo, insorgendo con una scossa potente per la difesa e l’indipendenza dell’antica fede pagana; le chiese cristiane furono distrutte, i missionari cacciati o uccisi, i connazionali che erano passati al cristianesimo gravemente oppressi. Questa insurrezione e ripetute trasgressioni di patti giurati furono vendicate ferocemente da Carlo che, come narrano gli annali del regno franco e altre fonti, fece giustiziare presso Verden sull’Aller 4500 prigionieri sassoni. Si può avere qualche riserva sul numero delle vittime, ma la strage è fuori di ogni dubbio. Questo fatto orribile accese ancora di più tutto il popolo a nuova battaglia: ma nelle battaglie presso Detmond e lungo l’Hase (783) rimase sconfitto.
Vitichindo, riconoscendo l’inutilità di ulteriori resistenze, si fece battezzare nel 785 ad Attigny con molti uomini del suo seguito. Carlo stesso fungeva da padrino.
Nel 787-788 il primo capitolare (legge carolingia) promulgato per la Sassonia prevede la pena di morte non solo per i delitti di diritto comune, ma anche per chi viola la legge del digiuno, per chi dà ai congiunti una sepoltura secondo le usanze pagane, come la cremazione, per chi si rifiuta di ricevere il battesimo, per chi saccheggia e distrugge le chiese. Pesanti ammende colpiscono i genitori che non presentano i figli al battesimo entro un anno di vita.
Alcuino e Paolino di Aquileia, consiglieri di Carlo, disapprovavano questi metodi di evangelizzazione che imponevano la scelta soltanto tra il battesimo e la morte. Nuovi capitolari mitigheranno in seguito la legislazione. Il cristianesimo mise radici in Sassonia con incredibile rapidità. Senza l’inserimento dei Sassoni nel regno dei Franchi non si sarebbe mai giunti alla formazione di un impero universale occidentale cristiano.
Carlo si dedicò assiduamente e con grande amore all’elevazione religiosa e culturale dei suoi popoli; il centro di gravità dell’impero si spostò dalla Senna al Reno. Acquisgrana divenne ben presto il cuore del regno dei Franchi. Accanto alle scuole di corte reali fiorirono anche le arti e le scienze. È una cultura strettamente dipendente dall’antichità classica e dai Padri; quindi aderisce al passato e imita il mondo greco-romano. Non è originale e l’elemento nazionale germanico è appena percettibile. Ed è proprio all’amore, con cui Carlo e i suoi raccolsero da ogni parte ed emendarono gli scritti del mondo classico antico, che dobbiamo la conservazione della maggior parte dei testi classici che possediamo. Naturalmente una cura tutta particolare fu dedicata alla Sacra Scrittura e ai libri liturgici. L’annessione del papato al mondo Occidentale sarà più facile se tutti i chierici impareranno il canto romano e seguiranno gli usi liturgici di Roma.
Carlo conosce la regola di S. Benedetto che impone a tutti i monasteri franchi.. Intende ridurre il ruolo pastorale dei monaci. I re franchi presentano come unico tipo ideale il monaco votato alla preghiera liturgica, all’osservanza, allo studio delle lettere e della teologia e sottoposto a rigida clausura. Il campo dell’apostolato è precluso ai monaci che quindi non possono più predicare. Proseguì con grande energia la riforma della Chiesa: organizzò sinodi, vigilò sulla vita ecclesiastica.
La sua concezione del potere aveva un lineamento teocratico cui non è estranea la concezione magica che avevano del potere regio i vecchi popoli germanici. Il pensiero di Carlo fu sempre influenzato da idee e figure dell’AT: è noto che egli amava farsi chiamare re David. Il re dei Franchi svolse sempre le sue mansioni imperiali come un sovrano inviato da Dio e come un protettore del nuovo popolo di Dio, della cristianità.
Leone III (795-816) era stato eletto successore di Adriano I il 27 dicembre 795. Eginardo riferisce che Carlo pianse la morte del papa come quella di un fratello. I rapporti tra i due sovrani non erano sempre stati sereni. Il papa aveva dovuto abbandonare il sogno di un grande Stato della Chiesa in Italia e si era opposto al re quando questi aveva attaccato il concilio di Nicea. Però per tutta la vita era stato leale verso l’alleanza franca e soprattutto aveva mantenuto ordine nello Stato pontificio, cosa che Carlo non dimenticò mai. I Romani procedettero all’elezione e alla consacrazione di Leone III senza informare il re franco e affermarono in tal modo la loro sovranità. Il nuovo papa invece inviò al re-patrizio non solo il decreto di elezione ma anche il giuramento di fedeltà e di obbedienza dei Romani. La sua posizione, infatti, era molto incerta. I nipoti del suo predecessore gli avevano mosse accuse d’immoralità e di spergiuro per la sua precedente condotta.
- Già nel SINODO DI FRANCOFORTE DEL 794 Carlo si fece nominare rex et sacerdos e
- nel 796 descrisse, in una lettera inviata a papa Leone III, la sua missione di re.
- Non sarebbe, però, giusto definire questa relazione un cesaropapismo simile a quello bizantino (Giustiniano aveva una concezione più autoritaria del potere) perché Carlo aveva chiara coscienza della DIVERSITA’ DEI DUE POTERI e giudicava QUELLO SPIRITUALE ALMENO TEORETICAMENTE SUPERIORE A QUELLO TEMPORALE.
- In pratica, però, si riteneva IL SUPREMO SIGNORE DELLA CHIESA FRANCA e disponeva liberamente del patrimonio della Chiesa e di quello personale che gli apparteneva come re. Riempì così vescovati e monasteri di uomini scelti personalmente e, eleggendo vescovi e abati, fece di costoro potenti “religiosi”, e se ne servì per i suoi affari di stato. QUESTI RELIGIOSI NON FURONO QUINDI DEI VERI PASTORI E SACERDOTI MA UOMINI DI STATO in veste di religiosi e si abituarono ben presto a ricevere direttive imperiali e a fare sempre più assegnamento nell’attuazione dei loro doveri spirituali sull’appoggio dello Stato (brachium saeculare). Vescovi ed abati ritornarono così ad essere a capo delle milizie imperiali e proprio ciò che Bonifacio aveva cercato di abolire con tanto zelo cristiano era diventata ormai una consuetudine generale.
CARLO E L’IMPERO D’ORIENTE
L’impero d’Oriente rivendicava la pretesa di dominio universale e derivava il suo assoluto ed esclusivo diritto di governo sulla grande famiglia cristiana dei popoli da Costantino il Grande e dall’Impero romano, ricevuto in eredità da quest’ultimo. Ciò conferiva al titolo di imperatore uno splendore religioso eccezionale. Poiché l’impero romano era diventato una cosa sola con la cristianità, per l’impero d’Oriente la cristianizzazione di un popolo significò al tempo stesso la sua sottomissione o implicò, almeno, l’ideale riconoscimento della supremazia bizantina. Carlo, tuttavia, non poteva e non voleva riconoscere queste pretese. Per lui, in quegli anni, il problema bizantino e la questione imperiale furono dunque il problema dominante. La lotta per l’Impero romano e per il titolo imperiale è stata definita da qualcuno la forma medievale del problema del potere sul mondo. Carlo non intendeva affatto togliere all’impero d’Oriente il titolo imperiale ma desiderava solo di essere riconosciuto imperatore di uguale rango.
FRANCHI, NUOVO IMPERO OCCIDENTALE E AZIONE DI CARLO
Come nei secoli IV e V era esistito un duplice impero, uno in Oriente e uno in Occidente, così l’impero d’Occidente, che aveva cessato di esistere nel 476, era stato in qualche modo ricostituito grazie ai Franchi, che erano il nuovo popolo del nuovo impero occidentale. Fin dall’anno 795, Carlo si ritenne un imperatore e dopo che ebbe dato al regno dei Franchi, grazie ai suoi numerosi successi militari, unità e potenza egli si adoperò costantemente ad elevare e formare spiritualmente la sua gente e a creare una cultura unitaria, che favorisse la nascita di un nuovo popolo franco. I suoi disegni furono tuttavia intralciati due volte: una volta da Bisanzio e un’altra volta da Roma.
- A Costantinopoli erano scoppiati aspri contrasti tra l’imperatrice Irene e suo figlio Costantino. Quando Costantino intavolò trattative dirette con Carlo Magno, Irene fece imprigionare il figlio. Carlo inviò un’ambasceria a Irene, cercando di placare le mire ambiziose dell’imperatrice (797). Una donna installata sul trono imperiale costituiva infatti una novità inaudita, disdicevole, ambigua dal punto di vista giuridico e storicamente pericolosa. Nell’impero d’Occidente non si esitò a trarre da questo fatto immediate conseguenze e si dichiarò decaduta la dignità imperiale bizantina. Papa Leone III tolse il nome dell’imperatore bizantino dalle preghiere liturgiche e vi sostituì il nome di Carlo: in questo atto era chiaramente leggibile l’intenzione di trasferire la dignità imperiale da Bisanzio all’impero occidentale e di affidarla nelle mani di Carlo Magno. Sembra anzi che, in quell’occasione, sia stata citata espressamente la “translatio imperii”.
- Nell’anno 799 Leone III aveva dovuto allontanarsi da Roma per una rivolta scoppiata contro di lui. Il 25 aprile sulla strada che conduce dal Laterano alla stazione di S. Lorenzo in Lucina, il papa fu assalito davanti al monastero di S. Silvestro in Capite, fu buttato giù dalla sua cavalcatura, bastonato di santa ragione, maltrattato e derubato delle vesti pontificie. Alcuni indizi fanno pensare a una deposizione compiuta davanti all’altare di S. Silvestro; fu oggetto di nuove brutalità.. Era stato impartito anche l’ordine di mutilarlo (di accecarlo e di strappargli la lingua), ma esso non fu eseguito. Durante la notte fu trasportato nel monastero di S. Erasmo presso il Laterano. I congiurati lo avevano infatti condannato alla clausura. Punizione destinata ai dignitari ecclesiastici e civili. Il papa riuscì a fuggire e si recò a Paderbon da Carlo, il quale gli promise il suo aiuto. Nell’autunno, un imponente corteo di vescovi e di conti ricondusse il papa a Roma per ristabilirlo nella Sede Apostolica.
Lungo tutto il percorso le accoglienze furono trionfali; quelle che Roma tributò al suo vescovo, il 29 novembre, sorpassarono ogni altra in magnificenza. Il gregge aveva riscoperto il suo padrone. Sembrava che la volontà del re dei Franchi avesse trionfato delle odiose macchinazioni di cui il papa era stato vittima. L’anno seguente Carlo si recò personalmente a Roma per esaminare la questione. Il 24 novembre il re giunse davanti alla basilica di S. Pietro, discese da cavallo e fu ricevuto dal papa: il capo spirituale della cristianità riceveva presso la tomba dell’apostolo il re vittorioso. Fedele al principio in vigore ormai da secoli, che la Sede Apostolica non può essere giudicata da nessuno, il sinodo, che sotto la presidenza di Carlo si era riunito in S. Pietro, si astenne da un giudizio; con solenne giuramento il papa ampiamente discolpò se stesso il 23 dicembre. Il papa moltiplica le precauzioni per evitare che il suo gesto possa sembrare imposto. Riconosce tuttavia che Carlo Magno è venuto a Roma “per esaminare questa causa”, ciò che dimostra che la sovranità del papa, nel dominio pontificio di recente creazione, non è così indipendente come sembrerebbe sulle prime.
NATALE DELL’800. Incoronazione di Carlo Magno nella Basilica vaticana
Due giorni dopo, nel giorno di Natale dell’800, Leone III riabilitato riprendeva la sua superiorità e fu pienamente reintegrato nei suoi diritti di pontefice. Nella basilica vaticana erano di nuovo radunati i medesimi personaggi. Stava per cominciare la Messa ed il re, che si era prostrato davanti alla Confessione del principe degli apostoli, si rialzava dalla preghiera, allorché il papa, avvicinatosi, gli pose sul capo una preziosissima corona, mentre tutto il popolo testimone dell’amore del sovrano verso la santa Chiesa romana ed il suo vicario, faceva risuonare il tempio di acclamazioni liturgiche, le laudes, invocando il Cristo, gli angeli, i santi in favore del sovrano. Fra le altre echeggiava una solenne acclamazione che dava alla cerimonia il suo vero carattere: “A Carlo, piissimo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria”. Il papa si prostrò, adorò il nuovo eletto. Da quel momento Carlo non era più il patrizio dei Romani ma l’Imperatore, l’Augusto. Era questa la nascita ufficiale del Sacrum Romanum Imperium, come dal secolo XIII in poi fu comunemente chiamato. Anche se l’episodio presenta qualche problema, la grandezza del medesimo rimane incontestata: dal punto di vista storico-ideale esso segnò realmente il ripristino dell’Impero Romano d’Occidente, tramontato nel 476, in un senso nuovo, essenzialmente cristiano e così, logicamente, anche IL PIENO E COMPLETO SGANCIAMENTO DELL’ITALIA E DEL PAPATO DA BISANZIO. IL PAPA QUALE SUPREMO CAPO SPIRITUALE E L’IMPERATORE QUALE SUPREMO CAPO TEMPORALE dovevano lavorare in stretta unione ed armonia per il bene terreno ed eterno dell’umanità.. Naturalmente questo ideale troppo alto fu raggiunto ben raramente in seguito; non potevano mancare disarmonie, anzi aspre controversie e lotte tra i due poteri supremi. Tuttavia, questo dualismo nel governo del mondo fu molto efficace e vitale: per una serie di secoli Imperium e Sacerdotium sono le vere grandi potenze del medioevo, i centri focali e le più potenti forze motrici del suo sviluppo.
Un’esatta delimitazione dei reciproci diritti circa la supremazia su Roma e sullo Stato Pontificio venne fatta da Lotario I nell’824: all’imperatore spettava la giurisdizione suprema ed il controllo del governo del papa. Al papa, come signore del territorio, restava l’esercizio del potere giudiziario e amministrativo. L’elezione del papa doveva essere fatta liberamente dai romani; all’imperatore fu riservato un diritto di cooperare alla nomina dei papi (conferma dell’elezione), i quali però d’altra parte incoronavano e consacravano gli imperatori.
Secondo Eginardo, biografo dell’imperatore, Carlo non si mostrò entusiasta dell’incoronazione papale (Carlo non era d’accordo sul modo dell’incoronazione, oppure sull’iniziativa così autonoma del papa, doveva avere certi riguardi verso Bisanzio perché erano riprese le trattative di matrimonio con Irene). In ambienti curiali però si creò presto la convinzione – evidentemente con riferimento alla supposta donazione di Costantino – che il papa aveva conferito la dignità imperiale al re dei Franchi per propria pienezza di potere.
L’impero bizantino, dopo la morte di Irene (802) accettò solo nell’anno 812 di riconoscere formalmente la dignità imperiale di Carlo, anche se, di fatto, la considerò sempre secondaria rispetto a quella detenuta dall’imperatore d’Oriente. Resta in ogni caso il fatto che la dignità imperiale fu ripristinata nuovamente in Occidente e che questa IDEA IMPERIALE riuscì a superare l’immensa rovina politica e culturale del regno carolingio sotto i successori di Carlo e CONTINUO’ A INFORMARE E A GUIDARE, NEI SECOLI SUCCESSIVI, LA STORIA OCCIDENTALE.
Trascorse le feste natalizie l’imperatore volle liquidare gli autori del complotto del 25 aprile. Condannati a morte furono esiliati per intercessione del papa. L’allontanamento dei più compromessi ristabilì provvisoriamente la tranquillità nello Stato Pontificio. Affinché la “pace franca” fosse completa non mancava che un accordo con Costantinopoli, che non tardò a sopraggiungere (come si è fatto cenno sopra).
814 MORTE DI CARLO MAGNO.
Il 22 gennaio 814 il settantaduenne imperatore Carlo fu colpito da un violento attacco di febbre cui si aggiunse poi una polmonite. La morte sopraggiunse il 28 gennaio. Si è parlato di una crisi negli ultimi anni del governo di Carlo. L’imperatore non avrebbe più conseguito dei veri successi nei confronti di Benevento e della Bretagna, degli Slavi dell’Elba e di Boemia, dei Vichinghi del mare del Nord e dei Saraceni del Mediterraneo. In particolare la grande spinta dell’802 avrebbe perso tutta la sua forza. Inoltre si è affermato che la divisione dell’806 era in aperto contrasto con il concetto di impero e di regno dell’802, in poche parole che Ludovico il Pio ereditò dal padre un impero già intimamente frantumato. Questa aspra critica non è infondata per quanto riguarda i particolari, ma nel complesso è piuttosto azzardata. Certo il grande impero di Carlo mancava di un robusto apparato burocratico e può anche essere vero che nel complesso esso fosse destinato prima o poi a sfaldarsi; tuttavia resistette a lungo grazie alla “sua solidità e forza immanente”. Ma soprattutto la sua forza creatrice non andò perduta con il suo sfaldamento: nessuno dei regni successivi poté rinnegare la propria origine carolingia. L’ordinamento della Chiesa, il sistema feudale, la riforma monetaria e della giustizia, il nuovo concetto dello Stato e del sovrano cristiano, la riforma culturale carolingia sopravvissero all’impero. Con queste sue realizzazioni Carlo è diventato uno dei grandi architetti dell’Europa e pur con la sua volontà di comando e di potenza è senz’altro paragonabile ad un Augusto per il suo senso della misura nelle conquiste, per il suo prudente sfruttamento degli elementi già esistenti, per la sua capacità di inserirli e di armonizzarli in un complesso ordinato e sapiente.
Pur non essendo stato un santo (fu canonizzato dall’antipapa Pasquale III) da porre sugli altari, Carlomagno non cessa di essere un eroe cristiano ed il suo grandioso concetto del proprio ufficio religioso e morale può far dimenticare molte miserie.
IL SAECULUM OBSCURUM
Cesare Baronio (+ 1607) coniò l’espressione “saeculum obscurum” per caratterizzare il periodo che va dall’880 al 1046, vale a dire dalla fine dell’impero carolingio (888, deposizione di Carlo il Grosso) all’inizio della riforma gregoriana. A dire il vero non tutti i 48 papi di quest’epoca furono cattivi. Alcuni furono, individualmente, degli uomini degnissimi: come Benedetto IV (900-903) e un certo numero di pontefici dell’epoca ottanica, dopo il 962. Ma, nel complesso, l’immagine offerta dall’episcopato romano di questo periodo non fu affatto adeguata all’importanza universale del papato. Esso era ormai decaduto a vescovato territoriale e divenne perciò oggetto di lotte scatenate dagli interessi politici della nobiltà dissoluta e avida di potere.
Qui è il caso di accennare alla strana favola della papessa Giovanna; rispondente a verità è invece il terribile giudizio che fu emesso all’inizio di quest’epoca sul cadavere di papa Formoso (891-896) con il concorso di Stefano VI (896-897).
Con Sergio III (904-911) venne al potere a Roma il partito dei Tusculani, guidato da Teofilatto, il quale per alcuni decenni insieme con sua moglie Teodora e con le figlie Marozia e Teodora fu praticamente il padrone del papato.
Dall’anno 932 al 954 governò Roma e sul papato il figlio di Marozia, Alberico che avvilì a tal punto la sede di Pietro che essa divenne solo un’istituzione statale romana. Quest’epoca raggiunse tuttavia il livello più basso quando il figlio diciassettenne di Alberico, Ottaviano, un giovane pieno di fuoco e di passioni, dissoluto e indegno al pari di Nerone, salì al trono papale e non doveva tardare a dare scandalo con il suo contegno al popolo romano e alla cristianità tutta. Egli fu il primo che, divenuto papa, cambiò il suo nome assumendo quello di Giovanni XII (955-964). Contro il suo volere, divenne promotore di un miglioramento della vita ecclesiale, quando, avendo necessità di aiuto, chiamò a Roma il re tedesco Ottone il Grande.
Ottone venne a Roma nell’anno 962 con il suo esercito più valoroso e liberò la Chiesa dal suo più terribile nemico, l’indegno papa Giovanni XII.
Dall’incoronazione imperiale del 2 febbraio e per un intero secolo, la storia delle elezioni pontificie doveva ridursi a una lunga lotta fra l’aristocrazia e gli imperatori germanici, senza che il clero abbia mai cercato di riscuotersi e di porre fine all’usurpazione laica.
Si riferiscono alcune importanti circostanze:
- L’imperatore ha giurato al papa sicurezza e difesa dei territori e dei diritti della Chiesa romana; il papa poi e i romani giurarono, dopo l’incoronazione, di restare fedeli all’imperatore e di non favorire mai Berengario ed Adalberto. Sorse così, come dal XIII secolo in poi si è soliti dire, il sacro romano impero; dalla seconda metà del XV secolo si aggiunse: della nazione tedesca (SACRUM ROMANUM IMPERIUM NATIONIS GERMANICAE).
- Nel celebre PRIVILEGIUM OTTONIANUM del 13 febbraio 962, Ottone riconfermò alla Chiesa di Roma le donazioni di Pipino e di Carlo Magno e ripristinò la supremazia imperiale conformemente alla costituzione di Lotario dell’824 (giuramento di fedeltà da parte del papa canonicamente eletto, prima della consacrazione, giurisdizione suprema e controllo dell’imperatore sopra i funzionari del papa).
Dopo la partenza di Ottone, Giovanni XII trasgredendo la promessa, si alleò con Berengario, con suo figlio Adalberto e con altri nemici dell’imperatore. Dal momento che gli giungevano cattive notizie sulla condotta del papa, Ottone nel 963 ritornò a Roma. Fece giurare ai romani che in futuro non avrebbero eletto nessun papa senza il suo consenso o quello di suo figlio e in un sinodo in S. Pietro tenne giudizio su Giovanni XII. Il 4 dicembre 963 questi fu deposto in seguito a gravi accuse, probabilmente esagerate.
I PONTIFICATI DI NICOLA I E DI LEONE IX
SCISMA ORIENTALE
NICCOLÒ I (858-867) fu senza dubbio il papa più importante non solo del secolo IX ma di tutto il tempo fra Gregorio I (590-604) e Gregorio VII (1073-1085).. Si distingue come diligente uomo di governo, teologo e giurista. FINE PRINCIPALE DELLE SUE ASPIRAZIONI FURONO LA LIBERTA’ E L’INDIPENDENZA DELLA CHIESA, l’esclusione d’intervento del potere temporale nel campo ecclesiastico, l’elevazione e il consolidamento del papato. Per la prima volta troviamo chiaramente espressa l’idea di una potestà direttiva della Chiesa e del papa sopra i sovrani in questioni di carattere religioso morale; però questo non comporta ancora la pretesa di un intervento diretto in questioni temporali degli stati.
I pontificato di Nicola I fu agitato da lotte e disordini, in mezzo ai quali si dimostrò sempre difensore inflessibile dei principi cristiani e della Chiesa di Roma.
- In Italia dovette intervenire contro la tirannia e l’insubordinazione di Giovanni arcivescovo di Ravenna, il quale era appoggiato dall’imperatore Lodovico II: lo costrinse a sottomettersi in un sinodo romano (861).
- In Francia giunse a un conflitto con Incmaro, il potente e ambizioso arcivescovo di Reims.
- Sorse in difesa del diritto matrimoniale cristiano contro lo scostumato re di Lotaringia, Lotario II.
- La lotta più dura Nicola la dovette sostenere con Costantinopoli, dove le controversie tra i patriarchi Ignazio e Fozio ed i loro rispettivi partiti, provocarono delle funeste complicazioni nella Chiesa. In questa lotta sostenne la dignità della sede apostolica contro il cesaropapismo bizantino, però non poté evitare l’aprirsi di una temporanea rottura fra Bisanzio e Roma: il suo successore poi dovette tollerare che i Bulgari, da poco convertiti si separassero dal patriarcato di Roma per collegarsi a Costantinopoli.
Fonte:
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