Riassunti Pirandello
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Riassunti Pirandello
Luigi Pirandello
Formazione culturale e concezione della vita
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In un mondo dove tutto è messo in discussione l'uomo si ritrova solo e deluso, senza fede e senza fiducia. Lo sbandamento delle coscienze si ripercuote anche nella letteratura. In questo clima spirituale nasce e si sviluppa l'opera di Pirandello, uno degli interpreti più espressivi dello squilibrio dello spirito contemporaneo e il maggior drammaturgo del nostro tempo. Evidenti, anche se esteriori soltanto, sono i legami dell'opera pirandelliana con l'esperienza verista. Nella prima produzione, e particolarmente nelle novelle, ritroviamo lo stesso ambiente piccolo-borghese, che richiama situazioni e modi del Verga, con una rappresentazione apparentemente impersonale di costumi e di personaggi, che vanno dai salfatari ai pescatori, dai contadini ai piccoli proprietari. Anche i personaggi di Pirandello sono dei poveri derelitti, dei "vinti" ,ma, a differenza di quelli verghiani, non sono dei rassegnati al loro destino, ma anime inquiete, tormentate, pronte alla ribellione, ossessionate dal desiderio di evadere non appena si accorgono di vivere una vita che non è la loro, perché essi sentono " la pena del vivere così ".Il dato realistico rimane indubbiamente il punto di partenza, il primo momento in cui l'autore prende contatto con la realtà umana, osservata come essa è; proprio dalla osservazione delle " cose " egli sviluppa una più attenta meditazione, che tende ad andare oltre le apparenze, per penetrare nella condizione intima della vita di tanti individui e cogliere i contrasti tra l'essere e il parere. Per questo il Pirandello sposta la sua attenzione e il suo studio dall'ambiente all'individuo, allontanandosi sempre più dal naturalismo e dal verismo, per accogliere le istanze e le inquietudini proprie del decadentismo. La realtà gli appare come qualcosa di mutevole, di vario; nulla è certo, tutto è illusione, diversa da momento a momento e da individuo a individuo. L'uomo crede di essere uno, ma in realtà non è nessuno; per chi lo osserva è centomila, in quanto assume personalità diverse secondo il concetto degli altri. La nostra vera personalità, il nostro" volto "rimangono soffocati sul nascere da una maschera che gli altri ci impongono dall'esterno e in base alla quale noi viviamo; la società ci toglie ogni libertà con i suoi pregiudizi e le sue consuetudini, che finiscono per inaridire lo slancio vitale o per fare di noi personalità schematizzate,senza volto. Così conformato l'uomo non ha neppure la possibilità di conoscere se stesso e spesso si sente mosso nell'agire da forze misteriose, incontrollate, che provengono dal suo subcosciente: è la vita che pulsa e ribolle sotto la maschera nel tentativo di erompere. “Ciò che conosciamo di noi stessi - scrive Pirandello - non è che una parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che sono veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente". E' a questo punto che nasce il dramma dell'individuo, nel momento cioè in cui egli si rende conto di vivere una vita che non è la sua e passa dal semplice "vivere" al "vedersi vivere". Una vita simile è "una molto triste buffonata; perché abbiamo in noi la necessità di ingannare di continuo noi stessi, con la spontanea creazione di una realtà la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il gioco non riesce più ad ingannarsi; ma chi non riesce più ad ingannarsi ,non può più prendere né gusto né piacere alla vita". Da questa situazione tragica e dolorosa dell'individuo che inutilmente tenta di infrangere la "maschera" per scoprire il "volto" nascono le situazioni strane, assurde paradossali che si incontrano nell'opera del Pirandello e in particolare nel teatro. La impossibilità dunque dell'individuo e della società di fissare una verità assoluta, conduce l'uomo ad annaspare nel buio del mistero che l'avvolge, senza possibilità di raggiungere alcuna certezza. In Pirandello è sempre viva l'amarezza di dover constatare l'incomunicabilità degli uomini fra di loro, questo dover vivere così, estranei e sconosciuti l'uno all'altro, soli nel mondo, in un continuo, inappagato ed irrealizzabile desiderio di approdo alla vita altrui, di attacco con gli altri, di comprensione ripudiata. Nasce così l'incomprensione tra noi e coloro che ci stanno attorno, poiché ognuno parla un linguaggio diverso da quello degli altri, per cui è impossibile stabilire un colloquio.Incomunicabilità, solitudine, incomprensione, aridità sono i caratteri comuni a quasi tutti i personaggi dei drammi pirandelliani. Questa posizione di disgusto e di disprezzo del mondo e della vita umana porterebbe irrimediabilmente alla follia e al suicidio, se l'uomo non tentasse in qualche modo di reagire, di trovare una soluzione agli inquietanti interrogativi che la vita gli pone. |
Le opere narrative sono nella quasi totalità precedenti cronologicamente a quelle drammatiche ed in esse si pongono già tutti i motivi dell'arte e tutta quanta la concezione che Pirandello ebbe della vita. Novelle e romanzi sono i germi da cui prende avvio e successivamente si amplia la produzione teatrale. Le novelle sono state messe ingiustamente in ombra dalla grande accoglienza fatta nel mondo al teatro pirandelliano, in quanto questo ha una maggiore capacità di penetrazione e di comprensione a qualsiasi livello ed una maggiore forza di espansione. Uno degli aspetti peculiari dell'opera narrativa di Pirandello è la sicilianità, connaturata nell'amore aspro per la sua terra. Pirandello è animato da un bisogno sempre desto di dare carattere di simbolo alle figure che la realtà gli presenta, cosicché nella novella accade quasi sempre che realtà e simbolo convivano benissimo insieme, o meglio la realtà offra allo scrittore lo stimolo, lo spunto per rappresentare una "verità astratta". In Pirandello c'è in fondo una partecipazione alla vita dei suoi personaggi, una specie di "indiretta difesa dei vinti",non c'è lo sguardo staccato ed indifferente come potrebbe sembrare a prima vista: Pirandello è uno di loro, amareggiato dalla vita e convinto di essere pervenuto alla scoperta del significato di essa, senza miti e senza illusioni, pur se il cuore ne soffre. E' per questa scoperta che egli irride a quel mondo da cui proviene e da cui si è staccato, canzona le storte abitudini, i preconcetti di questi poveracci rimasti indietro nel cammino e ne sferza il modo di concepire la vita quando essa si rinchiude dietro le forme, perché vuole che gli uomini, compagni nel cammino impervio del mondo, se ne liberino ed intraprendano quella via per la quale egli si è già incamminato. Le novelle di Pirandello sarebbero dovute essere 365,quanti sono i giorni dell'anno, donde il titolo di "Novelle per un anno"; ma il disegno rimase incompiuto per la sopravvenuta attività teatrale, perciò ne rimangono 246,raccolte dall'autore in 15 volumi. La critica ha mostrato quasi sempre entusiasmo per Pirandello novelliere, ponendolo fra i più grandi cultori di questo genere letterario nella letteratura mondiale. Una così vasta produzione che nella sua varietà e complessità può ben definirsi una vera commedia umana appare un po' frammentaria, spezzata, bozzettistica: il difetto era evidentemente connaturato alla origine decadentistica della formazione culturale di Pirandello e alla essenza stessa della sua concezione della vita, secondo la quale la realtà si sbriciola, si frantuma, si scompone continuamente, senza una legge fissa e determinata per tutti e quindi senza una vera e propria unità di stile e di temi.
Pirandello come romanziere vale indubbiamente meno del Pirandello novelliere: l'indole dell'uomo e dello scrittore era più incline al rapido articolarsi e sciogliersi degli avvenimenti nel corto respiro della novella, anziché nel loro lento e minuto intrecciarsi nell'elaborata trama del romanzo. I temi dei romanzi sono sempre quelli dei drammi e delle novelle: il primo fu " L'esclusa" ,composto nel 1893-94. Si tratta della storia drammatica di una donna cacciata, "esclusa" dalla vita dei familiari perché accusata ingiustamente di aver peccato; sarà riammessa a casa quando invece avrà veramente peccato all'insaputa di tutti. L'ambiente è l'ottocento verghiano, il caso è già tipicamente pirandelliano, sia per il contrasto tra quel che è e quel che appare, sia per il motivo dell'esclusione dalla società. All'esclusa seguirono:" Il turno", " Il fu Mattia Pascal"," Suo marito", " I vecchi e i giovani", " Si gira", " I quaderni di Serafino Gubbio operatore", " Uno, nessuno e centomila". I romanzi pirandelliani non colgono figure rappresentative di tutta un'epoca o di un ambiente, ma si fondono su casi o avvenimenti singolari, perciò di quei romanzi non rimane nella fantasia del lettore nessun carattere, nessuna figura. Avviene così, com'è stato osservato dalla critica, che i romanzi di Pirandello non resistono ad una seconda lettura, perdendo d'interesse una volta conosciuta la trama della vicenda, come avviene con i romanzi gialli. Tuttavia notevole è la loro importanza dal punto di vista dello svolgimento dell'arte pirandelliana, in quanto essi segnano il più deciso allontanarsi dai modi del Verismo verso il Decadentismo, visibile nella tendenza di dare ai personaggi più rilievo simbolico che descrittivo, guardandoli più nel loro significato intimo, cioè in quello che essi vogliono e debbono rappresentare; inoltre nei romanzi appare per la prima volta il "monologo interiore", quel discorrere che fa il personaggio fra sé e sé, polemizzando, obiettando, contraddicendosi e giudicandosi, spesso sdoppiandosi.
Il fu Mattia Pascal
Dopo un primo momento in cui, sotto l'influenza del naturalismo e del verismo, Pirandello prende contatto con la realtà, constatando e prendendo atto del contrasto realtà-apparenza, lo scrittore passa alla ricerca delle cause di tale contrasto scavando nella psiche umana. Assurda è la pretesa dell'individuo di fissarsi in una "forma" . Da qui la ribellione, l'urto con il mondo e la società, che vorrebbero costringerci a stare al gioco, mentre noi ci sentiamo spinti alla libertà, a vivere secondo il nostro "contenuto" e non secondo la "forma" che gli altri ci impongono. Tale è la situazione che Pirandello ci presenta,per la prima volta, nel romanzo " Il fu Mattia Pascal" , che costituisce il fondamento di tutta la concezione pirandelliana della personalità.
Mattia Pascal è un modesto bibliotecario comunale di un paesino ligure,che vive una vita grama e incolore, oppresso dalla tirannia della moglie e della suocera. La sua natura timida e arrendevole rende più penosa la sua esistenza. Ma un giorno, dopo un ennesimo litigio, trova la forza di reagire e si allontana da casa. E' la ribellione di uno che finalmente prende coscienza della inutile e falsa vita che gli altri gli impongono. Dopo aver vagato di paese in paese, giunge a Montecarlo e con i pochi quattrini che possiede gioca al Casinò e vince una considerevole somma. Mentre è inebriato dalla improvvisa fortuna ,che lo ha trasformato in un uomo ricco, legge sul giornale la notizia della sua morte. Un uomo è stato trovato annegato in una gora e il cadavere, quasi irriconoscibile, è stato riconosciuto dai parenti come quello di Mattia Pascal. La notizia dapprima lo sconvolge, ma poi la sua fantasia si mette in moto : il caso lo ha reso finalmente libero e ricco; Mattia Pascal è morto: da questo momento egli potrà vivere una nuova vita sotto il nome di Adriano Meis. Si stabilisce a Roma in una pensione di via Ripetta, facendosi passare per un benestante. Ma ben presto si accorge dell'impossibilità di rifarsi una vita, di liberarsi dalle forme che la società impone a tutti. Infatti si innamora di Adriana , la figlia del proprietario della pensione, ma non può sposarla, perché Adriano Meis non figura in alcun registro di Stato civile; viene derubato e non può denunciare il furto; schiaffeggiato da un ospite della pensione, non può vendicare l'offesa con un duello. I contatti con gli altri diventano sempre più difficili, perché si comincia a diffidare di lui come di un fantasma. Egli si sente solo,smarrito, deluso, e l'equivoco delle due vite gli si rivela ancora più funesto della precedente situazione: " Ecco quello che restava di Mattia Pascal ,morto alla Stia: la sua ombra per le vie di Roma. Ma aveva un cuore ,quell'ombra, e non poteva amare; aveva denari, quell'ombra, e ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa ,ma per comprendere e pensare ch'era la testa di un'ombra, e non l'ombra di una testa". Per questo decide di "uccidere" Adriano Meis, deponendo, come testimonianza della sua seconda morte, il cappello e il bastone sul parapetto di un ponte del Tevere con accanto un biglietto di " Adriano Meis suicida". Riacquistata la forma di Mattia Pascal ,ritorna al paese, dove apprende che la moglie si è risposata ed è madre di una bambina . La legge gli consentirebbe l'annullamento di quel matrimonio , ma egli comprende che ormai non può più inserirsi nella vita degli altri; non gli resta che accettare la sua condizione di "escluso"; per questo si reca al cimitero e depone un mazzo di fiori sulla "sua" tomba : egli rimarrà "Il fu Mattia Pascal", perché così hanno voluto gli altri , che ormai non gli riconoscono altra personalità . Accetta in tal modo di vivere senza nome e senza volto , solo con sé stesso , oppresso dalla "pena del vivere così ".
Mattia Pascal ci insegna che non dobbiamo escluderci dal gioco della vita e che è necessario recitare giorno per giorno la nostra parte, se non vogliamo cadere in una solitudine senza speranza e senza conforto. Il romanzo , più che compiuta opera d'arte, è un documento interessante per l'impegno dello scrittore di chiarire la sua concezione di vita. Le situazioni del protagonista sono già di quelle che noi diciamo tipicamente "pirandelliane": la ribellione alla forma imposta dagli altri, il desiderio di liberarsi dall'equivoco per vivere la vera vita, lo sdoppiamento della personalità , l'amara constatazione dell'impossibilità di sfuggire all'assurdo gioco della vita , la solitudine a cui è destinato colui che si esclude dal mondo.
Uno, Nessuno e Centomila
Uno degli aspetti più caratteristici della concezione pirandelliana della vita è il relativismo, il principio cioè secondo cui "nulla è vero, nulla esiste, tutto è illusione creata da chi la pensa, o la sogna, e ciascuno se la crea e sogna a suo modo , e un'intesa tra la multiforme vanità di tutti questi sogni non è possibile".(S. D'Amico) Erroneamente l'uomo crede di essere "uno" e pretende che gli altri lo giudichino per quello che egli crede di essere; gli altri ci giudicano secondo l'opinione che essi hanno di noi e che è diversa da persona a persona , per cui diventiamo "centomila" agli occhi del mondo; in realtà nel continuo moto dello spirito, che partecipa della legge di perenne mutabilità a cui tutte le cose sono soggette, l'uomo non è "nessuno", perché nessuna di quelle maschere che egli si attribuisce o che gli altri gli impongono è quella vera e definitiva. E' questa la situazione che viene chiarita nel romanzo " Uno, nessuno e centomila", il cui protagonista , Vitangelo Moscarda, viene improvvisamente gettato nella più angosciosa ansietà per un motivo quanto mai futile : la rivelazione, fattagli dalla moglie , che il suo naso pende a destra , cosa di cui egli non si era mai accorto, ma che gli altri dovevano certamente aver notato. " Per gli altri che guardano da fuori - pensa Moscarda - le mie idee , i miei sentimenti hanno un naso. E hanno un paio d'occhi , i miei occhi , ch'io non vedo e ch'essi vedono. Che relazione c'è tra le mie idee e il mio naso? Per me , nessuna. Io non penso col naso , né bado al mio naso , pensando. Ma gli altri? Gli altri che non possono vedere dentro di me le mie idee e vedono da fuori il mio naso?" Dunque egli è uno per sé e uno per gli altri; ma se ognuno vede le cose a suo modo , allora vedrà anche lui a suo modo , per cui egli non sarà unico per tutti , ma uno per ognuno , e cioè centomila . E così ossessionato dall'ansia di conoscere la verità e contemporaneamente convinto che " una realtà non ci fu data e non c'è , ma dobbiamo farcela noi , se vogliamo essere" , il povero uomo finisce per impazzire , commettendo una serie di stranezze , finché non viene rinchiuso in un ospizio. Qui, senza personalità e senza nome , diventa veramente "nessuno", ma contemporaneamente si libera da quel rodio del pensiero che scava in noi e distrugge ogni certezza , alienandoci. Vivendo come le cose della natura , in cui non c'è contrasto tra forma e contenuto perché esse "sono come appaiono", il povero Moscarda ritroverà la sua pace interiore e il suo equilibrio.
Le opere teatrali.
L'attività teatrale di Pirandello significò per il teatro italiano una svolta decisiva ed esemplare;e tra le numerose sue commedie alcune raggiunsero e conservano il livello di autentici capolavori. Pirandello giunse al teatro per una profonda convinzione di ordine morale ; era convinto cioè che attraverso la rappresentazione scenica potesse rivelare meglio agli uomini le verità alle quali egli era dolorosamente pervenuto ; egli definì perciò " teatro dello specchio " tutta la sua opera, perché in essa si rappresenta la vita senza maschera, quale essa è nella sua sostanza e nella sua verità , lo spettatore, l'attore e il lettore vi si vedono come sono , come chi si guardi ad uno specchio, vi si osservano con ansia e con curiosità , spesso vi si vedono deformati dagli altri, appunto come un cattivo specchio deforma l'immagine fisica; allora si riconoscono diversi da come si erano sempre immaginati e ne restano amareggiati e preoccupati . L'attività teatrale si può dividere approssimativamente in tre fasi: una prima, che comprende le commedie scritte negli anni che precedettero e accompagnarono la prima guerra mondiale , commedie ispirate a motivi dialettali e ad ambienti isolani (Lùmie di Sicilia, 1910, Liolà, 1916); una seconda, la stagione più propriamente pirandelliana, in cui le commedie riflettono, su un registro di vasta dialettica e insieme di sofferta umanità , la cognizione pirandelliana del vivere (è la stagione dei capolavori , come Cosi è, se vi pare, Il piacere dell'onestà, Ma non è una cosa seria, Sei personaggi in cerca d'autore, Enrico IV, ecc.); la terza, in cui lo scrittore sembra avvertire l'esigenza di porre un argine allo scetticismo, al nichilismo, ricorrendo ad un simbolismo " spiritualistico ", ma con risultati poco persuasivi (La nuova colonia 1928; Lazzaro, 1929; I giganti della montagna). Il suo capolavoro, per giudizio concorde della critica, è giudicato la commedia " Sei personaggi in cerca d'autore " (1921), che è anche la maggiore opera del teatro italiano del Novecento. In essa Pirandello, riprendendo l'antico artificio del " teatro nel teatro ", dà la più complessa e riuscita rappresentazione della condizione umana quale gli si era venuta configurando e, insieme, del suo modo di intendere il rapporto tra l'arte e la vita. I sei personaggi che chiedono al capocomico di essere tratti dal limbo della loro condizione, di poter vedere rappresentato il loro dramma e che poi non si riconoscono negli attori che tentano di riviverlo, sono un po' la cifra di tutta l'arte pirandelliana in perenne contesa con l'infida, inafferrabile realtà , che sembra di continuo assoggettarla, ma ne resta in effetti profondamente lacerata. La fama di Pirandello drammaturgo venne a noi dagli stranieri. Per lungo tempo da noi non si comprese la carica innovatrice contenuta nel teatro pirandelliano, mentre dobbiamo riconoscere che fu quasi esclusivamente attraverso la sua opera di drammaturgo che l'arte di Pirandello, e con essa tutta la nostra letteratura, si inseriva finalmente con autorità nella grande letteratura europea e mondiale a noi contemporanea, come espressione di una civiltà umana grandissima . contemporaneo .
Lo stile
Pirandello fu il narratore più essenziale e concettuale, più schivo degli svolazzi e delle manifestazioni esibizionistiche e coreografiche, tutto inteso a rappresentare l'essenza delle cose, il "di dentro", quel che non appare fuori. Il suo è uno stile personalissimo, fatto di cose, orientato verso uno scopo preciso, senza scoperte ambizioni letterarie. Pirandello quando scrive lo fa con la naturalezza e la spontaneità di un colloquio fra amici. Non è raro il caso che egli tenda a trasferire e a piegare i termini della lingua dalla loro comune accezione ad un più intimo e nuovo significato, e cioè secondo la maniera degli scrittori e dei poeti contemporanei appartenenti al Decadentismo e volti all'analisi e alla interpretazione del subcosciente, intesi alla creazione di un linguaggio tutto proprio, capace di esprimere quasi singolari stati d'animo, che li caratterizzano. Quella naturalezza e singolarità di linguaggio appaiono a volte asprezza, facilità un po' grezza e frettolosa, specialmente quando il linguaggio si frantuma nella sottigliezza dell'analisi, scarnificandosi. Evidentemente lo scrittore siciliano predilige la prosa virile, lucida, protesa verso l'essenziale di ciò che si deve dire, la parola non fine a se stessa, ma espressione di un animus, di un giudizio, il linguaggio pungente e realistico, senza indugi oziosi e blandi compiacimenti linguistici, un linguaggio che mentre da un lato rivela nell'autore la padronanza perfetta del mezzo espressivo, dall'altro ne sottolinea la trepida commozione con vibrazioni poetiche e umane. Se il discorso pirandelliano è sempre concreto e muscoloso, tuttavia affiorano, in particolare nelle novelle, pagine poetiche e di abbandono fantastico. Ciò avviene soprattutto quando la vicenda è ambientata in Sicilia; in questi casi Pirandello è più loquace, più arioso, più divertito e il discorso si fa più sciolto, più immediato e non è raro il caso che egli, come Verga, trapassi e svari nel discorso indiretto conservando movenze e ritmi del discorso diretto. In questo stile narrativo, espressivo e senza retorica la moderna prosa italiana trova un esempio da proporsi e si riscatta da gonfiezze e da paludamenti formali e inutili. C'è forse da osservare, soltanto, come a volte questa prosa sia un tantino trasandata, condotta quasi senza eccessivo impegno da parte del narratore, più intento forse a seguire l'intreccio dei fatti che la loro rappresentazione e il loro manifestarsi a tradursi in parola, con una sintassi del periodo a volte un po' spezzata, più disposta alle rapide battute del dialogo che alla narrazione.
Nella prosa pirandelliana quelle vibrazioni poetiche e umane sono frequenti perché non c'è in lui la scarnita e spietata vivisezione dell'anima umana, ma la cordiale comprensione verso i suoi personaggi, creature doloranti e vive, incarnazione di una parte di se stesso, non simboli astratti. Perfino l'umorismo e il sogghigno hanno un attimo di perplessità, come se l'autore si fermasse pensieroso e rattristato sul destino dei suoi personaggi, di tutti gli uomini e suo. Quel fondo raziocinante, umoristico e polemico, nelle sue opere migliori è percorso da un pathos umano, da una fraterna comprensione che innalza l'opera a poesia. L'umanità di Pirandello e la sua pena per la condizione umana assumono un atteggiamento particolarissimo, chiuso, che stenta ad esprimersi, perché sono incapaci di liberarsi in canto, in catarsi lirica; si esprimono, invece, in un grido lacerante di denuncia e di condanna. Pirandello dissimula le sue lacrime con un sorriso triste, assai più accorato e accorante di qualsiasi pianto, la sua pietà si manifesta per il povero derelitto, l'uomo comune della vita di ogni giorno: gli eroi non hanno cittadinanza nella sua arte; il solo vivere la vita, così come la viviamo, è già di per sé atto di eroismo.
Un'arte così decisamente ancorata alla vita e così intensamente umana è per se stessa ricca di intrinseca moralità: essa tende cioè, in ogni sua espressione, a sferzare la vita perché la vuole migliorare.
I personaggi pirandelliani non sono né cinici, né perversi, ma hanno una loro nobiltà e trovano una loro forma di catarsi attraverso la sofferenza del vivere. In quest'arte spira un moralissimo desiderio di liberazione dai ceppi della finzione e dalle assurde costruzioni, in cui l'uomo ha imprigionato la sua anima: è necessario strappare la maschera che gli uomini si mettono, denunciare i loro travestimenti e ciò per il loro stesso bene, perché essi non sanno accorgersene; è una moralità intrinseca e non formalistica, posta aldilà di ogni apparenza, rivolta contro il fariseismo e l'ipocrisia che tiene alle apparenze. La moralità di Pirandello non si identifica e non coincide con alcun credo morale di una qualsivoglia religione rivelata e tradizionale, proprio per la impossibilità connaturata al mondo pirandelliano di poter ammettere una soluzione al vivere, di poter fissarsi in una forma definita.
L'umorismo
Di fronte alla constatazione di quello che è il vivere nel mondo Pirandello assume un atteggiamento di umana compassione verso gli uomini che sono sottoposti a questa inesorabile legge del loro destino e che inconsciamente si ingannano; ma avventa il suo feroce umorismo contro il destino che condanna l'uomo all'inganno e più ancora contro coloro che scioccamente si ingannano o mostrano di ingannarsi, accettando il giuoco e assumendo maschere, atteggiamenti falsi, insinceri, equivoci.
Pirandello è convinto che la condizione umana è triste, pessima, ma gli uomini si illudono o ingannano se stessi e allora lo scrittore li deride, li sferza, li smonta, mostrando il contrasto tra quel che essi sono e quello che vogliono apparire. Tutte le funzioni umane, tutte le creazioni del sentimento possono essere oggetto di umorismo, quando la riflessione, come un demonietto impertinente, smonta il congegno delle immagini e dei fantasmi creati dal sentimento e lo smonta per vedere com'è fatto, per scaricarne la molla e vedere tutto quanto il congegno stridere convulso e ridicolizzato. Pirandello si addolora del male che è nel mondo, ma non sa spargere su quel male una lacrima quasi temesse di scoprirsi debole e fragile come tutti gli altri, se ne mostra invece contrariato, offeso e deluso; la caratteristica dell'umorismo pirandelliano è forse la risata. Nessuno che abbia assistito ad una recita dei "Sei personaggi in cerca d'autore" dimenticherà mai quella sferzante risata alla figliastra, che scompare nella platea tra il pubblico, riassorbita dalla vita impietosa e cattiva, al cospetto delle larve evanescenti degli altri personaggi immersi nella penombra del teatro. Si pensi pure a quanto sia lacerante e risolutiva per Moscarda la risata di Dida in "Uno, nessuno e centomila". Pirandello beffardo e mefistofelico irride ironico alla presunzione degli uomini di voler credere che la vita sia così o così, di voler credere in determinate idee, tradizioni e leggi fisse. La risata si fa più crudele quando tende a smascherare posizioni preconcette e la finzione di coloro che non credono, ma mostrano di credere, che appaiono in un modo e sono in un altro. Pirandello si può forse considerare il più grande scrittore umorista della nostra letteratura.
Nel saggio "L'umorismo" Pirandello distingue il comico dall'umorismo. Il primo, definito come "avvertimento del contrario", nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Nel saggio citato Pirandello ce ne fornisce un esempio:
«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario"».
L'umorismo, invece, nasce da una considerazione meno superficiale della situazione:
«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico»
Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.
Fonte: http://www.istitutomontani.it/appunti/8/PIRANDELLO.doc
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Riassunti Pirandello
CIAULA SCOPRE LA LUNA - di L. Pirandello ( Riassunto )
La novella parla di un povero caruso ( = servo ) di nome Ciaula, che lavorava in una miniera di zolfo della Sicilia. Il suo padrone era Zi Scarda. Ciaula aveva la bocca sdentata, le orecchie a sventola, gli occhi da ebete ( = scemo ), le gambe magre e storte e per tutta la novella è descritto come più simile ( uguale ) ad un animale che ad un uomo : faceva un verso “Crah ! Crah ! come una cornacchia e per questo lo chiamavano Ciaula ; i compagni lo prendevano in giro e gli davano calci come ad un cane e come un cane dormiva in terra su un sacco di paglia ; portava fuori dalla miniera su per la scala pesanti sacchi di zolfo come un mulo.
Una sera Cacciagallina, il sorvegliante della miniera vuole che i minatori restino a lavorare, ma tutti scappano : restano solo Zi Scarda e Ciaula.
Ciaula era molto stanco, ma non si ribella ed ubbidisce : nella miniera lavorare di notte o di giorno era uguale, perchè era sempre buio. Però di giorno, quando Ciaula usciva fuori dalla miniera e saliva per la scala con i sacchi di zolfo sulle spalle, rivedeva la luce e le cose di sempre e si sentiva rassicurato ( = tranquillo). Lui non aveva paura del buio della miniera, perché laggiù conosceva tutte le gallerie e si sentiva sicuro : aveva invece paura del buio della notte, perché una volta nella miniera era scoppiata una mina ed era crollata una galleria : Ciaula spaventato si era nascosto in una grotta ed era rimasto lì per molto tempo : quando era uscito dalla miniera era notte, lui non vedeva niente intorno ed aveva avuto paura.
Anche quella notte Ciaula porta su il sacco pieno di zolfo : non ne può più per la fatica, ma soprattutto ha molta paura per il buio che troverà all’uscita dalla miniera.
Ma quando è agli ultimi scalini con grande stupore si accorge che non c’è il buio, ma un chiarore come d’argento. Resta sbalordito, non capisce, il sacco gli cade dalle spalle, solleva le braccia, apre le mani nere verso la luna.
“Grande placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di fronte la Luna”
Ciaula sapeva cosa era la luna, ma non l’aveva mai osservata. Solo ora, sbucato (=venuto fuori ) del ventre della terra, egli scopre la luna. Pieno di ammirazione, cade a seder sul sacco pieno di zolfo, davanti alla buca e resta a guardare la luna. Poi senza saperlo, senza volerlo, si mette a piangere per la dolcezza che sentiva nell’avere scoperto la luna e la sua calma bellezza.
E Ciaula con il suo pianto e la sua commozione ci fa capire che non era quell’animale che tutti credevano, perché in lui c’era la capacità di commuoversi di fronte alla bellezza della natura. L’ammirazione per la bellezza della natura e la capacità di commuoversi sono proprie solo degli uomini e non degli animali e Ciaula con la sua commozione e con il suo pianto ci dimostra che in lui c’erano sentimenti umani.
Fonte: http://www.strarete.it/documenti/lidia/itstoria/CiaulaSuntoAnal.doc
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IL FU MATTIA PASCAL
Temi principali dell’opera:
- La famiglia sentita come nido o come prigione
- Il gioco, l’azzardo, lo spiritismo
- L’inettitudine
- Lo specchio, il doppio, la crisi d’identità
- La modernità, il progresso, le macchine
Riassunto dettagliato dell’opera
L’intera vicenda ruota attorno al personaggio di Mattia Pascal, protagonista e narratore della storia.
Suo padre viaggiava e seppe arricchirsi giocando a carte con un capitano inglese di Liverpool.
Con la grande fortuna accumulata riuscì a comprare case, vigne e campi nel suo paesino ligure, Miragno. Purtroppo, a causa di una malattia, morì durante l’ennesimo viaggio, lasciando la moglie ed i suoi due figli, Mattia e Roberto, soli. L’amministrazione della grande ricchezza dei Pascal fu affidata dall’ingenua donna al Malagna, amico del marito. Purtroppo si rivela una scelta sbagliatissima: tale amministratore pensa solo al proprio interesse e col passare degli anni tutti gli averi e le proprietà dei Pascal finiscono in mano sua, complice la cecità della madre di Mattia.
Nonostante il lento declino della famiglia, Mattia e Roberto crescono spensierati, liberi da ogni pensiero morale, religioso e scolastico. La loro educazione era stata affidata a Pinzone, un insegnante di poco conto che volentieri si lasciva coinvolgere dai due ragazzi e preferiva spassarsela e divertirsi con i suoi due “allievi” piuttosto che insegnare loro qualcosa di concreto.
Gli anni passano e Mattia cresce, maturando un carattere impulsivo, allegro e spensierato.
L’odiato Malagna non riesce ad avere figli dalla prima moglie malata e per questa situazione soffre moltissimo. Dopo la morte della consorte decide di mettere le mani sulla bella Oliva. Così facendo rovina la storia d’amore di Mattia con quella ragazza. Malagna si risposa ma il figlio che Oliva mette alla luce non è suo: è di Mattia. Decide di crescerlo ugualmente come se fosse stato suo, visto il suo grande desiderio di diventare padre ora realizzabile.
Da Malagna intanto si trasferiscono la vedova Pescatore e la bella figlia Romilda. La ragazza piace moltissimo a Pomino, amico di Mattia. Il giovane Pascal inizia a frequentarla per conto dell’amico ed involontariamente tra i due nasce un amore. Mattia è costretto a sposarsi, nonostante il parere contrario della vedova Pescatore ed una rovina finanziaria ormai troppo evidente.
Da questo momento la vita di Mattia diventa un inferno ed il ragazzo sembra perseguitato dalla sfortuna e dalle disgrazie. Si trasferisce in una casa umile perché ormai è senza ricchezze, la moglie non sembra più amarlo, perde la sua bellezza originaria ed i due figli che ella mette alla luce muoiono uno dopo l’altro, a causa della loro gracilità e mancanza di salute. In più la suocera lo odia moltissimo per il suo carattere e la sua povertà e con il suo comportamento violento e bisbetico rovina la tranquillità della casa. La mamma di Mattia è vittima di questa donna e di lì a poco muore. Solo la zia Scolastica riesce a contrastare il suo caratteraccio. Per vivere Pascal è costretto a cercarsi per la prima volta in vita sua un lavoro ed ottiene il posto di bibliotecario, lavoro alquanto inutile in un paese di analfabeti senza il minimo interesse per la cultura.
Il lavoro troppo noioso, limitato alla caccia ai topi ed alla lettura per ingannare il tempo, l’inferno in casa e la morte quasi contemporanea dei due figli e della adorata madre mandano in crisi Mattia.
All’insaputa di tutti parte da solo per Montecarlo, attirato dal gioco d’azzardo. La fortuna, incredibile ma vero, stavolta è dalla sua parte ed in una decina di giorni, tra conoscenze singolari e molte puntate fortunate riesce a moltiplicare la misera cifra iniziale fino alla bellezza di 82.000 lire, una fortuna per quell’epoca e forse la fine di molti suoi problemi.
Ma il destino non ha ancora finito di giocare con Mattia e sta per presentargli una nuova e favorevole sorpresa. Mentre pensa a come utilizzare al meglio i soldi vinti al casinò, cercando magari di pagare qualche debito e riscattando così qualcuna delle vecchie proprietà perdute, legge distrattamente su un giornale una notizia sconvolgente, la notizia della propria morte.
Secondo quel giornale Mattia Pascal si è suicidato vicino al molino alla Stia, una sua vecchia proprietà, a causa di dissesti finanziari e lutti familiari. Moglie e suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere ritrovato nel fiume ed in via di decomposizione. E’ chiaro che lo sventurato suicida non può essere Mattia, in realtà la sua lunga lontananza senza alcun preavviso, una vaga somiglianza ed una nascosta speranza di vedere quell’odiato marito morto per davvero avranno spinto le due donne a riconoscere Mattia in un corpo estraneo.
Mattia, dopo la lettura di quella incredibile notizia, di quell’errore fortuito, vede apparire davanti a sé una nuova vita, fatta di libertà e la rottura di ogni legame con il passato. Mattia Pascal è ufficialmente creduto morto e solo lui sa che non è vero. Potrà vivere senza problemi e responsabilità come da giovane, anche grazie alla nuova ricchezza da non dividere con nessun creditore. Nella nuova vita inoltre non dovrà commettere gli errori fatti nella precedente e perciò da adesso in poi basta con i legami, fonte di problemi e responsabilità. Dopo vari accertamenti per essere completamente sicuro di quella svista incredibile, quasi impossibile, Mattia decide di diventare un altro e di non essere più Mattia Pascal, ormai morto insieme ai suoi problemi.
E’ necessario cambiare aspetto: via la fede e la folta barba appartenuta a Mattia, farsi crescere molto i capelli e usare occhiali colorati, necessari per nascondere l’occhio sbircio, caratteristica avuta fin dalla nascita. Mattia è morto, bisogna cambiare nome ed ancora una volta è il destino a suggerirgli come comportarsi: un dialogo tra due signori gli mette in testa il nome di Adriano Meis. Per evitare futuri problemi viene inventato anche un credibile passato, fatto di lutti e viaggi che gli avrebbe impedito di conoscere la sua famiglia, a parte un amabile nonnino che l’ha cresciuto ed educato. Da adesso in poi la vita di Mattia-Adriano è un continuo viaggiare per l’Italia e per la Germania, su un piroscafo, visitando le città più belle e famose, il tutto nella più completa solitudine e libertà. Ma una vita del genere, senza affetti, amicizie e legami stanca presto: Adriano si accorge che la sua libertà è solo il frutto di un errore, che l’ha reso un uomo sconosciuto ad tutti e dalla legge, inventato, misterioso, impossibilitato a qualsiasi operazione dove sia necessario dare le proprie generalità (non potrà quindi mai avere una proprietà e nemmeno una casa propria),geloso del proprio segreto.
Non potrà mai confidarsi con nessuno ed è condannato a vivere da forestiero.
A Milano inizia a riflettere seriamente sulla propria condizione di vita ed a scoprire a poco a poco tutti gli svantaggi non calcolati. Perfino l’acquisto di un cagnolino per la propria compagnia lo metterebbe in contraddizione: finirebbe con il legarsi a qualcosa e ciò non era assolutamente nei suoi progetti iniziali. Il dialogo con un uomo conosciuto in un locale lo porta a considerazioni sugli ideali intoccabili della vita, sull’importanza della famiglia e delle amicizie come sostegno e come morale.
Adriano decide quindi di cambiare, di trasferirsi nella bella Roma dove sistemarsi, magari in una camera affittata da qualche famiglia disponibile. Così Adriano entra in casa Paleari, dove conosce il singolare e buffo Anselmo padrone di casa, la figlia Adriana e la signorina Caporale. Grazie a questi personaggi Adriano potrà riflettere sulla sua condizione e cambiare ancora una volta. La riservatezza ed il carattere schivo di Adriano a poco a poco, col passare dei mesi, vanno sempre più scomparendo: Adriano la sera ama discutere con Adriana e la Caporale e scopre con sorpresa di essere amato da quest’ultima. Riscopre gli affetti, la soddisfazione di piacere e di essere importante per qualcuno: dentro di lui trova una nuova serenità e torna alla ricerca di legami forti. Adesso è capace di innamorarsi di nuovo e lo fa di Adriana. Questo nuovo amore è diverso da tutti i precedenti ed è sicuramente più puro, fatto di sguardi e di intese, visto il carattere timido della ragazza.
L’equilibrio in casa Paleari viene interrotto dall’inaspettato ritorno di Terenzio Papiani, il cognato di Adriana, marito della sua defunta sorella. E’ un tipo losco che vuole sposarsi con la giovane ragazza per non dover restituire la dote ad Anselmo. Ma la ragazza è amata da Adriano che non può sopportare tale ingiustizia. Così decide di ostacolare Terenzio, che si rivela sempre più falso e spregevole. Intanto Adriano decide di migliorare il suo aspetto estetico e contemporaneamente eliminare l’ultima traccia in lui di Mattia Pascal: il difetto dell’occhio, sottoponendosi ad una sicura operazione. L’esito è positivo ma Mattia deve stare quaranta giorni a riposo nell’oscurità della sua stanza. Tutti gli abitanti della casa cercano di fargli compagnia in modi più o meno apprezzati. Viene addirittura organizzata una seduta spiritica da Terenzio, ma ha solo lo scopo di prendere in giro Anselmo (l’unico partecipante che amava le teorie sul post-morte) e distrarre Adriano mentre un complice gli ruba 12.000 lire. Ma il protagonista è con le spalle al muro ed entra in una nuova crisi: non può assolutamente denunciare il furto come tanto desidera Adriana, altrimenti la polizia avrebbe indagato anche sul suo conto e scoperto che è un uomo inventato, senza passato.
Non può nemmeno amare la ragazza, accorgendosi solo adesso di nuovi e tremendi svantaggi che la sua condizione “idillica” gli impongono. In fondo lui è sempre un uomo sposato e non può né risposarsi, perché non può utilizzare il nome di Adriano Meis, né chiedere alla ragazza amata, tanto semplice ed onesta, un compromesso, un amore senza matrimonio, magari dicendole la verità sul proprio conto. E’ un morto che deve sempre morire ed è destinato a farlo in solitudine, senza ideali. Solo adesso si accorge di non essersi mai interessato alla religione. Inoltre in lui nasce anche un rimorso, un pensiero per il povero disgraziato suicidatosi alla Stia e scambiato per Pascal.
Adriano finisce col rinunciare a denunciare Terenzio e così facendo offende Adriana, che a sua insaputa aveva detto tutto in casa ed adesso viene smentita ingiustamente. Decide anche di far soffrire la ragazza con la gelosia per poterla allontanare da sé: in questo modo non lo amerà più e risolverà, forse in maniera triste e sbagliata, il suo problema. L’occasione per ingelosire Adriana è data da una visita in casa di una importante famiglia spagnola coinvolta in politica da sempre.
Qui Adriano rincontra la bellissima Pepita ed il suo ragazzo, pittore, Bernaldez (già conosciuti durante la seduta spiritica - rapina).Approfittando di un piccolo litigio tra i due, inizia a fare la corte alla bella ragazza ed ad offendere il pittore spagnolo. La lite tra i due uomini può solo risolversi con un duello mortale ed ancora una volta Adriano scopre un suo limite. Non potrà mai avere testimoni e farà la fine del vigliacco non presentandosi al duello con lo spagnolo il giorno dopo.
Immerso nei suoi pensieri Adriano arriva a riflettere su un ponte e qui…decide di far morire, dopo solo due anni di vita, Adriano Meis per poter finalmente tornare Mattia Pascal. Lascia sul posto un bigliettino assieme ad alcuni indumenti ed ancora una volta leggerà su un quotidiano la notizia della propria morte, la seconda. Pascal è rinato, pronto a tornare alla sua vecchia vita. A Pisa ogni aspetto estetico di Adriano scompare. Con i capelli corti e la barba lunga rinasce i vecchio Mattia, stavolta con l’occhio di Adriano, segno inconfutabile della sua seconda vita.
Decide di andare trovare per primo il fratello Roberto. Naturalmente quest’ultimo rimane stupito dalla vista del fratello creduto morto da due anni, ma in poco tempo si calma e può riabbracciare Mattia. Da lui viene a sapere che Romilda si è risposata col vecchio e ricco amico Pomino e che se tornerà a Mirano tale matrimonio sarà annullato secondo la legge. Così Romilda tornerà, con o senza il suo consenso, sua moglie. Ma il ritorno a casa è obbligatorio e così Mattia torna a Miragno, affrontando il proprio destino. Nessuno sembra riconoscerlo e quando entra in casa di Pomino succede un gran caos: Romilda sviene, il suo nuovo marito si preoccupa per il matrimonio da annullare e la vecchia suocera reagisce alla sua maniera, urlando come una matta. Ma davanti ad una famiglia felice, ad un figlio di Romilda finalmente sano, Mattia sa che non potrà intromettersi nella sua vita una seconda volta. Ormai è inutile fare valere i suoi diritti sul matrimonio: meglio vivere nel paese in disparte, lasciando le cose al loro equilibrio attuale e stabile. Così facendo Mattia ha sicuramente fatto la scelta giusta, abbandonando tutto ciò che non è più suo, perché stato del fu Mattia Pascal
ULTERIORI RIFERIMENTI PER L’ANALISI
SPAZIO |
L’avventura si svolge principalmente a Miragno (paesino ligure) e a Roma (dove Mattia affitta una stanza), ma il protagonista compie un viaggio che gli premette di visitare città come Montecarlo, Torino, Milano, Venezia… |
TEMPO |
Mancano del tutto riferimenti cronologici precisi ed espliciti; si può quindi dedurre che, dalle notizie che Mattia legge sul giornale, la vicenda si svolga tra fine ed inizio secolo. Ad es. quando Mattia narra di aver letto dell’ambasciatore di Germania, dello zar e della zarina di Russia. Come per lo spazio, anche per il tempo Pirandello non ha intenzione di esplicitare il tempo in cui si svolgono i fatti proprio a significare che questa è una vicenda che può accadere in qualsiasi epoca e paese. |
NARRAZIONE |
Avviene in prima persona; a raccontare è Mattia Pascal (cf. libro di testo a pag. 117) |
STILE |
Pirandello scrive in modo molto moderno ed originale per l’epoca poiché propone uno stile libero da ogni vincolo e ogni preconcetto; conduce la storia in tono colloquiale e propone, accanto ai semplici fatti, battute di spirito, riflessioni filosofiche e caratterizzazione di numerosissimi personaggi. |
PERSONAGGI
MATTIA PASCAL |
In questo romanzo ci sono circa 30 personaggi, ciascuno diverso dagli altri e ciascuno rispecchiante un modello diverso di vita. Molti compaiono per brevi frammenti di storia, ma poiché descritti in modo originale, restano impressi nella mente del lettore. La scelta di proporre personaggi con caratterizzazioni diverse (es: le donne che Pirandello descrive nel testo) sta ad indicare la volontà dell’autore di rappresentare una piccola parte dell’umanità portando il lettore a riflettere su come l’individuo spesso tenda a conformarsi a ciò che la società gli impone. L’unico personaggio non conforme, che agisce per certi aspetti in modo irrazionale ed imprevedibile è proprio Mattia Pascal che però poi è costretto a porre fine alla sua esistenza di “uomo ombra” uccidendo Adriano Meis proprio per tornare ad essere se stesso. Egli si paragona alla torre di Pisa, perché come essa è nell’incertezza e non sa da quale parte pendere; tutte le sue sicurezza di gioventù sono svanite e non sa più chi è. Mattia è il testimone che rappresenta al meglio l’assurda condizione di uomo prigioniero delle maschere sociali (“marito, padre, moglie..) , ovvero la FORMA contro cui lotta contrapponendo la VITA . Pirandello, con Mattia Pascal, rappresenta in un romanzo la crisi storica ed esistenziale dell’uomo moderno che proietta l’autore stesso in una dimensione europea, ma al tempo stesso lo isola nel panorama culturale italiano, tanto da essere stato per molto tempo poco apprezzato dalla critica, soprattutto sulla scia del giudizio negativi datogli dal Croce. |
SCHEMA RIASSUNTIVO DELL’OPERA
Si veda mappa concettuale (pag.482)
NASCITA DEL PERSONAGGIO: “IL FU MATTIA PASCAL”
(cap. VI dell’opera “Ritratto di Pirandello” di Nino Borsellino, ed. Laterza, 1983)
In questo romanzo si possono riconoscere “spie di identificazione” autobiografica” da parte del’autore:
- Con il tema dell’esasperata vita coniugale di Pascal
- Una sua maturazione a furia di “ammaccature”, cioè di circostanze dolorose
- Soprattutto con il tema della fuga dalla famiglia e di una rinascita in piena libertà
Comunque sia, la vicenda narrata è del tutto favolistica poiché presenta un intreccio assurdo.
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
SCHEMA RIASSUNTIVO DELL’OPERA
Si veda mappa concettuale (pag.504)
I “SEI PERSONAGGI” E IL “TEATRO NEL TEATRO”
(cap. XVII dell’opera “Ritratto di Pirandello” di Nino Borsellino, ed. Laterza, 1983)
L’opera viene pubblicata con il sottotitolo “commedia da fare”. Secondo Borsellino, Pirandello con quest’opera giunge quasi alle soglie del “romanzo impossibile”.
La genesi dei “Sei personaggi” si sviluppa già a partire dal 1911 quando l’autore scrive “Tragedia di un personaggio”; nel 1915 “Colloqui coi personaggi” ed infine nel 1925 si ha la PREFAZIONE ed i “Sei personaggi”.
TESTO FONDAMENTALE
Poiché rievoca le fasi di un generale processo creativo. La prefazione è la sede in cui l’autore può far valere la sua estraneità ed osservare nei personaggi la realizzazione delle sue motivazioni estetiche concettuali.
Nel 1925 il “pirandellismo” era in piena fioritura dopo che un quotato critico dell’epoca (Tilgher) nel 1922 aveva impostola teorizzazione del contrasto VITA-FORMA.
Pirandello nella prefazione voleva ribadire la priorità del processo creativo (“Servetta Fantasia”) (per curiosità: www.classicitaliani.it/pirandel/pira19_prefazione.htm)
Con i “Sei personaggi”si può parlare di AVANGUARDIA NOVECENTESCA dato che potevano apparire come uno spettacolo imprevisto e irripetibile al pari di qualsiasi atto di vita; nel senso che Pirandello con quest’opera “violenta” la struttura chiusa della scena tradizionale proponendo il “teatro nel teatro” o metateatro.
Fonte: http://www.iis-pascal.it/dida2012/gusmeri_pirandello.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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