Riassunto il fu Mattia Pascal
Riassunto il fu Mattia Pascal
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Riassunto il fu Mattia Pascal
IL FU MATTIA PASCAL
LA TRAMA
Il romanzo è centrato sulla figura di Mattia Pascal, narratore e protagonista, grande ragionatore, che analizza in modo quasi spietato la realtà e le vicende che vive, scomponendole alla luce delle apparenze e delle verità di cui sono fatte. Dopo un'infanzia e una giovinezza trascorse abbastanza felicemente e del tutto senza preoccupazioni di alcuna sorta, né economiche né morali, il fratello si sposa, trovando così una sistemazione agiata, che risolve tutti i suoi problemi: sebbene infatti inizialmente la famiglia Pascal non fosse povera, dopo la morte del marito, la madre di Mattia, donna fragile e sottomessa, non riesce a mantenere il patrimonio, affidandolo a un uomo corrotto e disonesto, il Malagna, che sperpera il denaro e specula su esso, cavandone profitti elevati per sé stesso. Mattia riesce a sposarsi, ma non migliora la propria vita, anzi, si sente sempre più oppresso dalla suocera assillante e piena di rimproveri, e, non trovando conforto né nel lavoro (è bibliotecario in una chiesetta fatiscente che nessuno frequenta), né nella famiglia (le due figlie nate muoiono perché troppo deboli e la moglie rimane distrutta e stanca), dopo un ennesimo litigio decide di partire e abbandonare quella vita che tanto lo soffoca. Viaggiando arriva a Montecarlo, dove gioca, vince e si ritrova con parecchio denaro. Trionfante decide di tornare a casa, ma apprende dai giornali che al suo paese è stato rinvenuto il cadavere di Mattia Pascal, riconosciuto dalla moglie e dalla suocera. Mattia vede questo avvenimento come un'occasione di riscatto per sé stesso: la possibilità di cambiare totalmente vita, ricco e libero, senza legami e costrizioni gli sembra la realizzazione di un sogno. Ma questa libertà non può essere completa, e se ne rende conto vivendola: il nuovo nome, Adriano Meis, la persona che rappresenta, e il passato che si è inventato non esistono, impedendogli per esempio di denunciare il ladro del suo portafoglio, perché Adriano Meis per la legge non esiste. Dopo aver viaggiato parecchio sente il bisogno di fermarsi in un posto stabilmente, e trova alloggio presso una famiglia di Roma. L'amore che nasce per la figlia del padrone di casa, amore sincero, ricambiato e impossibile, lo costringe però a una soluzione definitiva: Mattia finge il suicidio di Adriano Meis e torna a casa, sollevato e ansioso di riprendere la sua identità di Mattia Pascal. Arrivato al paese natio scopre che la moglie si è risposata con il suo migliore amico ed ha avuto una figlia: in un primo tempo si crede liberato dall'impegno del matrimonio e dall'incubo della suocera, ma poi viene a sapere che il secondo matrimonio di sua moglie verrebbe annullato in seguito al rinnegamento della sua morte. Frustrato da quest'ultima rivelazione che non gli permette di riprendere pienamente la sua identità e la sua personalità, frantumate per sempre, comprende che un uomo non può vivere al di fuori della sua "forma", e lo dimostra ironicamente, portando fiori alla sua tomba, e rispondendo a chiunque glielo chieda di essere "il fu Mattia Pascal".
I PERSONAGGI
MATTIA PASCAL: protagonista, simbolo di una identità distrutta e non autentica, espressione del falso rapporto tra l'uomo e il mondo: la sua vicenda è proprio la storia della distruzione dell'identità e la denuncia della falsità in cui l'uomo è costretto a vivere. Non vi sono più saldi fondamenti, principi e verità incrollabili, ma solo incertezza e insicurezza dell'uomo in sé stesso e nella realtà; la vita è insufficiente, non ha un centro, è privata di uno scopo e di qualsiasi valore, e l'uomo, il reale esterno non ha consistenza propria, ed è soggetto all'io che ragiona, analizza e conosce. In tutto il romanzo notiamo questo dubbio assillante che il protagonista si rivolge di continuo, e che rappresenta il tema di fondo. Mattia analizza tutte le situazioni in cui viene a trovarsi, esprime tutte le sue sensazioni e i suoi impulsi più nascosti, si fa domande sulla propria vita, cerca di trovare delle soluzioni, e si rende infine conto che non ce ne sono. La sua descrizione è la più completa, rispetto a tutti gli altri personaggi, perché tutto il romanzo si basa sulla sua personalità, anche se distrutta: Mattia cresce, durante la storia, e si descrive da sé, procedendo nel racconto. Anche il suo aspetto fisico è una componente rilevante, per capire meglio il suo pensiero. La sua prima descrizione è questa: "doveva esser la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale, non so perché, tendeva a guardare per conto suo, altrove...ma ero pieno di salute, e mi bastava. A diciott'anni mi invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave". Mattia avrebbe voluto fare qualcosa per il suo naso, ma "sapendo bene che non si può, rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più di tanto". Cambierà poi idea, riguardo all'occhio, quando si trasformerà in Adriano Meis; per operare questo cambiamento, e per cancellare l'immagine e la persona di Mattia Pascal, per prima cosa si farà radere la barba, crescere i capelli, e mettere gli occhiali. Dice infatti: "mi sarebbe piaciuto che, non solo esteriormente, ma anche nell'intimo, non rimanesse più in me alcuna traccia di lui". Ma quell'occhio storto era un segno che gli faceva sempre ricordare Mattia Pascal, così su consiglio della signorina Caporale si sottopose a un'operazione che finalmente lo sistemò. La questione dell'occhio risorse con la riapparizione di Mattia Pascal e la morte di Adriano Meis: rifatta crescere la barba e tagliati i capelli, quell'occhio non era più di Mattia: ma non rappresentava comunque un problema, anzi, migliorava e ringentiliva l'aspetto e il viso. Mattia dice a riguardo: "l'occhio...non era più quello caratteristico di Mattia Pascal. Ecco, qualche cosa d'Adriano Meis mi sarebbe tuttavia rimasta in faccia". Non ne parla quindi con rimorso, ma con tranquillità.
Alla fine della narrazione Mattia afferma di non "saper vedere che frutto se ne possa cavare", e don Eligio, che lavor con lui nella biblioteca, gli risponde: "intanto questo: che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere".
LA MADRE DI MATTIA: egli la descrive così: "d'indole schiva e placidissima, aveva così scarsa esperienza della vita e degli uomini! A sentirla parlare, pareva una bambina... Gracilissima di complessione, fu, dopo la morte di mio padre, sempre malferma in salute; ma non si lagnò mai de' suoi mali, né credo se ne infastidisse neppure con sé stessa, accettandoli, rassegnata, come una conseguenza naturale della sua sciagura... aveva per noi una tenerezza addirittura morbosa, piena di palpiti e di sgomento: ci voleva sempre vicini, quasi temesse di perderci... come una cieca si era abbandonata alla guida del marito; rimasta senza, si sentì sperduta nel mondo". Quando Mattia si sposa, porta la madre a vivere nella casa della moglie: il che suscita l'ira della suocera, la vedova Pescatore. Ma per il contegno e la presenza stessa della donna, la vedova Pescatore si trattiene ed è solamente a causa di un futile pretesto che alla fine lascia esplodere la sua ira. Mattia descrive così l'aspetto della madre in quel particolare frangente, ulteriore conferma del suo carattere: "spaventata, con le lagrime agli occhi, tutta tremante, si teneva aggrappata con ambo le mani all'altra vecchietta, come per ripararsi".
ZIA SCOLASTICA: sorella del padre di Mattia, è una donna energica e di carattere: "zitellona bisbetica, con un pajo d'occhi da furetto, bruna e fiera...io, da ragazzo, ne avevo una gran paura...specialmente quando la vedevo scattare in piedi e la sentivo gridare, pestando rabbiosamente un piede sul pavimento...ella aveva un sentimento aspro e dispettoso della giustizia". Quando viene a sapere il modo in cui la madre di Mattia viene trattata dalla vedova Pescatore, arriva "in gran furia, al solito", per portare la donna via con sé: la scena che segue è particolarmente vivace, e determinata dallo scontro di due personalità forti come quelle di Zia Scolastica, che "parlava a scatti, e il naso adunco e fiero, nella faccia bruna, itterica, le fremeva, le si arricciava di tratto in tratto, e gli occhi le sfavillavano", e della vedova Pescatore.
ROMILDA: moglie di Mattia, dopo il matrimonio e in particolare dopo la morte delle due figlie, si lascia andare, senza curarsi più né del marito, né di sé stessa. È succube della madre, e addirittura arriva a pregare Mattia, prima del matrimonio, di portarla via, di avere pietà di lei, "di toglierla comunque... purché lontano da quella sua casa, lontano da quella sua madraccia, da tutti, subito". La morte delle figlie la distrugge radicalmente, come osserva lo stesso Mattia, che pone l'accento sulla diversità fra la bella Romilda che aveva sposato e la donna stanca, "rivoltata dalle continue nausee, pallida, disfatta, imbruttita, senza più un momento di bene, senza più voglia neanche di parlare o d'aprire gli occhi". La descrizione di Romilda precedente era completamente diversa: aveva un "simpatico sorriso che prometteva cordiale accoglienza e uno sguardo, dolce e mesto a un tempo, di quegli occhi che mi fecero fin dal prim vederla una così forte impressione: d'uno strano color verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia, tra due bande di capelli neri che le scendevano sulla fronte e sulle tempie, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza de la pelle".
MARIANNA DONDI, VEDOVA PESCATORE: il primo attributo che Mattia le rivolge è "la strega". La consapevolezza della cattiveria e arroganza della vedova lo accompagnerà sempre, segnando la sua vita. Possiamo capire la natura di questa donna anche solo dalla descrizione di una mano: "gelida, secca e nodosa, gialliccia", approfondendola poi con l'analisi del suo comportamento: sempre "indispettita", "diventava di giorno in giorno più cupa e di fosche maniere". Mattia arriva addirittura a dire: "quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta".
IL MALAGNA: "Zia Scolastica lo chiamava "talpa", perché "scavava di soppiatto la fossa sotto i piedi" della famiglia Pascal. Era l'amministratore dei suoi beni, ma invece di provvedere agli interessi della famiglia, badava ai suoi profitti personali, arricchendosi a spese di quella. La sua descrizione è quella di "un pagliaio nano e panciuto...sudato e sbuffante, scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione, di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolavano all'attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme, quasi fino a terra, perché data l'imminenza di esso sulle gambette tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai agiati i calzoni; cosicchè da lontano, pareva che indossasse, bassa bassa, una veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra...andava piano...sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle, miagolante!".
ANSELMO PALEARI: padrone di casa di Mattia quando egli decide di fermarsi a Roma. È un uomo anziano, legatissimo all'unica figlia rimastagli, ma di indole credulona, semplice. La prima impressione che Mattia riceve dal vecchio uomo non è delle migliori, anzi, "fu poco favorevole", tanto che rimase "a lungo perplesso se non gli convenisse cercare ancora"; la descrizione è infatti questa: "un vecchio su i sessant'anni, in mutande di tela, coi piedi scalzi antro un paio di ciabatte rocciose, nudo il torso roseo, ciccioso, senza un pelo, le mani insaponate e con un fervido turbante di spuma in capo". Più avanti dice ancora: "aveva pure così, come di spuma, il cervello", indicando senz'altro sia l'inavvedutezza con cui l'uomo si affidava al genero per le questioni economiche, sia il suo atteggiamento sempre un po' inavveduto, lo sguardo perso, la partecipazione alle sedute spiritiche organizzate dal genero stesso, i discorsi, talvolta senza capo né coda, talvolta su argomenti elevati, filosofici e profondi.
ADRIANA: figlia di Anselmo Paleari, donna per cui Mattia proverà un amore sincero e impossibile, che lo costringerà a inscenare il suicidio e ad allontanarsi da Roma. Adriana è una donna minuta, "piccola piccola, bionda, pallida, dagli occhi ceruli, dolci e mesti, come tutto il volto". In un primo momento sembra a Mattia una ragazzetta, con una veste da camera che rende "un po' goffa" la sua figura, perché non si adatta "alle fattezze di lai così piccolina". Sguardo fuggevole, "sorriso lieve lieve, e mesto", Ariana parla pianissimo, con "tanta serietà", che colpisce Mattia. Tutto il peso della casa era sulle sue spalle, a causa dell'inadeguatezza del padre: "istintivamente buona e anzi troppo savia", sembra una "piccola mammina", che si prende cura del padre, della casa e della signorina Caporale.
SILVIA CAPORALE: era un'insegnante di pianoforte, aveva più di quarant'anni, e il signor Anselmo l'aveva accettata presso casa sua per le sue capacità medianiche, che, sebbene "non ancora bene sviluppate, per dire la verità, si sarebbero senza dubbio sviluppate, col tempo e con l'esercizio". Mattia dice di non aver mai visto in una "faccia volgarmente brutta, da maschera carnevalesca, con un bel pajo di baffi sotto il naso a pallottola, sempre acceso,... un pajo d'occhi più dolenti" dei suoi: "eran nerissimi, intensi, ovati, e davan l'impressione che dovessero aver dietro un contrappeso di piombo, come quelli delle bambole automatiche". La povera donna era consapevole della sua bruttezza, "era arrabbiata d'amore", e continuava a bere, per disperazione. Quando la sera arrivava a casa in "uno stato veramente deplorevole", era Adriana a doverla consolare, e a farle promettere di non bere più, anche se la volta seguente sarebbe successa la stessa cosa.
TERENZIO PAPIANO: era il genero di Anselmo Paleari, avendo sposato una delle sue due figlie, che era però morta pochi anni prima. Da come fanno intendere le parole di Adriana e della signorina Caporale, Mattia capisce che egli "non doveva aver l'aria del vedovo compunto", cosa che scopre in seguito, dopo il suo incontro con Papiano stesso. L'incontro avviene una notte, in condizioni abbastanza singolari: Mattia sente delle voci concitate e scopre Papiano, in modo scocciato e scontroso, e la Caporale che parlano di lui. Poi Papiano fa chiamare Adriana, ma dopo il suo tentativo di avvicinarla a sé, Mattia non sa trattenersi ed esce allo scoperto. La reazione di Papiano è sconcertante: inizia a parlare, "strisciando una riverenza, e stringendogli calorosamente la mano", e "non la finì più". In seguito Mattia si chiederà spesso il motivo di questa finta amicizia, rispondendosi a ragione che l'uomo voleva cercare di allontanarlo dalla casa subdolamente, in quanto rappresentava un pericolo per le sue mire sull'abitazione.
Fonte: http://itcgramsci.altervista.org/download/italiano/18_il_fu_mattia_pascal.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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RIASSUNTO
Mattia Pascal, bibliotecario in un paesino ligure di analfabeti chiamato Miragno, racconta come il destino poté cambiargli la vita facendolo morire per ben due volte.
Suo padre era un marinaio che riuscì ad arricchirsi giocando a carte con un capitano inglese; la fortuna accumulata fu subito investita in case, ma il padre non poté goderne perché morì all'età di trentott' anni.
La madre si sentì sperduta e non seppe badare né ai suoi figli, Mattia e Roberto, né ai possedimenti, che furono affidati in custodia al Malagna, un amministratore poco fidato.
Dal Malagna si trasferiscono anche la vedova Pescatore e sua figlia Romilda, nipote del padrone di casa; la giovane è oggetto del desiderio di Pomino, amico di Mattia: questo va spesso in casa del Malagna, corteggia Romilda da parte dell'interessato e finisce per innamorarsene lui stesso.
Mattia intraprende una relazione con lei ed è costretto a sposarla, perché ben presto Romilda partorisce due gemelle. Con gli sposi convive la vedova Pescatore, che con i suoi discorsi ossessiona Mattia; la casa si trasforma in un inferno, muoiono entrambe le figlie di Mattia. Questi parte all'insaputa di tutti per Montecarlo, dove con numerose puntate fortunate guadagna una grande somma di denaro.
Sul treno di ritorno per Miragno, egli legge sul giornale l'annuncio del suo suicidio, avvenuto secondo i parenti presso il molino di una sua proprietà: in realtà essi, che non lo vedevano da qualche giorno, avevano riconosciuto il suo volto in quello di un forestiero che si era tolto la vita in quei giorni.
Adriano Meis si costruisce un finto ma credibile passato, cambia il suo aspetto lasciandosi crescere i capelli (ma di Mattia rimane un occhio storto) e inizia a viaggiare, visitando le più belle città europee; dopo un anno di libertà sconfinata, Adriano si stabilisce a Milano e poi a Roma.
I suoi rapporti con la gente lo vedono sempre costretto a mentire; Adriano non sa più chi è veramente e soprattutto è schiavo di quella che all'inizio pareva libertà.
A Roma il signor Meis si stabilisce in affitto presso Anselmo Paleari, che divide la casa con sua nipote Adriana e con la signora Caporale.
L'ospite appare riservato e solo dopo qualche mese si decide a conversare con le signore di casa.Una sera a casa Paleari arriva il cognato di Adriana Papiani, questo spera di sposarsi con lei.
Tra i due c'è di mezzo Adriano Meis, che ha compreso tutto e per di più è amato dalla ragazza.Adriano si sottopone a un'operazione all'occhio, che dopo quaranta giorni è perfettamente guarito durante i quali si svolgono sedute spiritiche.
Le sedute spiritiche somigliano sempre di più a sedute di spirito, poiché Papiano, con l'aiuto di suo fratello, si prende gioco di Meis e ne approfitta per sottrargli del denaro. Il rapporto con Adriana non può continuare, bisogna dirle la verità, ammettere che Adriano Meis non esiste. Per non farla più soffrire, decide di farla ingelosire, di modo che lei smetta di amarlo.
Giunge ad un ponte e... dopo due anni, termina la vita di Adriano Meis. A morire non è un uomo, ma un bugiardo che non aveva potuto vivere davvero. Lasciando nel fiume alcuni oggetti di riconoscimento e un bigliettino, Mattia Pascal si libera di quell'ombra e, morendo per la seconda volta, decide di reincarnarsi.
Dopo una breve sosta a Pisa, dove riacquista il suo aspetto originario, Mattia parte per Oneglia, da suo fratello Roberto. Roberto previene il fratello sul fatto che Romilda si è risposata con Pomino e da lui ha persino avuto un figlio; Mattia si rallegra al pensiero di non dovere più condividere nulla con quella e con la ossessiva vedova Pescatore. Purtroppo però la legge, ancora una volta, gli è nemica: il secondo matrimonio si annulla se il primo coniuge si ripresenta al cospetto della moglie.
Mattia raggiunge Miragno, ma non c'è nessuno che lo riconosce; egli si reca a casa di Pomino.
L'arrivo del morto provoca scompiglio nella famiglia; Pomino si agita alla notizia che il matrimonio andrebbe annullato, Romilda sviene per la sorpresa, la Pescatore urla contro tutti i presenti.Per lui alla fine sarà sufficiente passare il resto dei suoi giorni nel paese natale.
L'unico a riconoscere le sue sembianze è don Eligio, l'altro bibliotecario a cui tanto era affezionato; tutti i paesani vengono finalmente a sapere che Mattia è vivo e accorrono per rivederlo. Egli continua la sua attività nella biblioteca di Miragno, scrive la sua incredibile storia con l'aiuto di don Eligio e ogni tanto si reca alla sua tomba, a vedersi morto e sepolto laggiù...
SPAZIO E LO SPAZIO
Nonostante il gran numero di luoghi citati, l'autore non si sofferma mai a descriverli, lasciando che sia il lettore a immaginarli.
Mancano del tutto riferimenti cronologici precisi; si può però dedurre, dalle notizie che Mattia legge su un giornale, che la vicenda si svolga tra la fine del secolo scorso e i primissimi anni del nostro.
Come per i luoghi, Pirandello non ha intenzione di dire il tempo in cui si svolgono i fatti, perché questa vicenda può accadere in qualsiasi epoca e paese. Come lo stesso autore ribadisce in una nota alla fine del libro, anni dopo la stesura de Il fu Mattia Pascal un uomo, che era stato rinchiuso in carcere, quando fu liberato scoprì che per legge egli era morto, riconosciuto nel cadavere di un suicida, e nel frattempo sua moglie si era risposata...
NARRAZIONE
La narrazione è condotta in prima persona; a raccontare è Mattia Pascal, che scrive, su invito di don Eligio, la sua biografia sotto forma di diario, rivolgendosi direttamente al lettore, dialogando persino con lui.
STILE
Il suo stile di raccontare mi ha meravigliato, tenendomi incollato dalla prima all'ultima pagina.Conduce la storia arrivando al contatto diretto col lettore, creando in ogni periodo attesa per ciò che segue. Il suo stile molto originale, rende una storia che già di per sé è interessante ancora più stimolante per il lettore; accanto ai semplici fatti ci sono le battute di spirito. In quest'opera si muovono personaggi reali, che ciascuno di noi potrebbe interpretare: tutti potrebbero immedesimarsi in Mattia, perché non si sa mai che cosa la vita ci può dare, e l'abilità dell'autore sta proprio nell'eliminare ogni barriera tra Mattia e il lettore, facendone un unico personaggio.
PERSONAGGI
In questo libro ho contato circa trenta personaggi, ciascuno diverso dagli altri, ciascuno con un modello diverso di vita; molti compaiono solo per una pagina, ma restano ugualmente negli occhi del lettore, perché sono descritti in un modo davvero originale e, il più delle volte, intervengono per ravvivare il racconto con battute di spirito. Il protagonista è Mattia Pascal, uno di noi, uomo normale che vive un caso eccezionale, morendo formalmente per due volte e scoprendo sulla sua pelle la nullità dell'uomo. La sua presentazione è diretta e molto originale; dopo aver detto il suo nome, per lui cosa non da poco, si descrive fisicamente.
COMMENTO
Il libro mi è piaciuto, anzi mi ha entusiasmato.Mi ha colpito lo stile dell'autore, capace di animare le sue marionette fino a renderle umane. Così il caso di Mattia è vero perché nella vita tutto può succedere: la storia di quello sventurato già citato in precedenza, nel 1921, conferma la tesi dello scrittore.
Le riflessioni all'interno del libro sono numerose e riguardano l'uomo.
L'opera di Pirandello è una lunga favola, che attraverso le avventure di numerosi personaggi vuole lanciare un messaggio, una morale; l'autore intende evidenziare proprio l'insignificanza della figura umana e la sua impossibilità di lottare con la sorte: nessuno può essere artefice del proprio destino, né capace di interpretarlo, bensì siamo tutti delle marionette manovrate dal destino con delle maschere che servono per adattarci alle situazioni in cui ci troviamo coinvolti.
Fonte: http://web.tiscalinet.it/ads/archivio/mattia%20pascal.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Riassunto il fu Mattia Pascal
“IL FU MATTIA PASCAL”
PIRANDELLO
“Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni, affacciata agli orli di un altipiano di argille azzurre sul mare africano…Per uno spavento che s’era preso a causa di questa grande moria, mia madre mi metteva al mondo prima del tempo previsto, in quella solitaria campagna lontana dove si era rifugiata. Un mio zio andava con un lanternino in mano per quella campagna in cerca di una contadina che aiutasse mia madre a mettermi al mondo…Raccattata dalla campagna, la mia nascita fu segnata nei registri della piccola città situata sul colle.”
Nel 1903, frana la miniera di zolfo del padre; di conseguenza, crollo finanziario della famiglia e crisi psichica della moglie di Pirandello, costringeranno Luigi ad una vita più sacrificata e ritirata, fino al “vietarsi tutto”. E’ in questo periodo che nasce il fu Mattia Pascal.
Il romanzo trae le sue origini.
La trama del libro : un uomo e due vite. La narrazione del fu Mattia Pascal segue il procedimento del racconto retrospettivo. E’ lo stesso protagonista che ripropone la sua strana storia, dalla quale si considera ormai estraneo: tale estraneità, viene riaffermata anche nel corso della narrazione, così che abbiamo in realtà “persone” diverse davanti a noi: Mattia Pascal nella prima parte, Adriano Meis nella seconda, e il “fu Mattia Pascal” nella terza.
“Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal.”. Questa frase, apparentemente considerata banale e priva di importanza, è secondo me il punto focale del libro: infatti, nelle sue semplici parole racchiude invece il significato dell’intera narrazione; la sola cosa di cui si è veramente certi nella vita è la propria identità. E lui non era sicuro neanche di ciò; spesso noi ci sovraccarichiamo di un’esistenza ricca di interrogativi, di problemi, di tipiche consuetudini quotidiane, e altrettanto spesso vorremmo sfuggire da tutto ciò, forse per poter condurre una nuova vita, senza pensieri, obblighi, affetti.
Ed è proprio questo che tenterà di fare il nostro protagonista. “CARPE DIEM”: forse è una delle frasi più citate, forse una delle più giuste, due parole, un profondo significato. La vita di Mattia Pascal, a mio parere, ruota intorno a questo concetto.
Miragno, dove lui fa il bibliotecario, è un paese ligure dalle caratteristiche molto siciliane.
La famiglia Pascal possedeva beni e case, conduceva una vita benestante e senza problemi, fino a quando Mattia, il fratello Roberto e la madre non subiscono l’amministrazione e le ruberie di Batta Malagna, che li porta all’impoverimento con un successivo sovraccarico di debiti. Con Malagna, Mattia avrà contrasti anche per causa di donne… finchè il nostro eroe non “maturerà”, come ironicamente dice il titolo del V capitolo: Mattia entrerà in contrasto con la famiglia della moglie, oltre che con quella dell’amministratore, e vivrà alcuni anni di sofferente agonia: gli muoiono le due gemelle, gli muore la madre. Niente più lo lega a Miragno…vorrebbe cominciare una nuova vita, magari altrove.
Finchè, di passaggio a Montecarlo, non gli capita una grossa vincita, che gli fa assaporare una nuova vita e la libertà. Successivamente, dal giornale apprende la notizia del suo suicidio, avvenuto nella gora del mulino di sua proprietà; approfittando di questa opportunità per dare una svolta alla sua grigia esistenza, dopo alcuni viaggi, si stabilisce a Roma con il nome di Adriano Meis. Pervenendo qui, ha modo di sperimentare diversi tipi di umanità, diversi modi di pensare, differenti modi di condurre la vita: attraverso colloqui più o meno filosofici, decide di operarsi all’occhio strabico e si innamora persino di una dolce donna di nome Adriana, ma sente che non potrà vivere questa esperienza fino in fondo.
“E questo sentimento della vita era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti sulla terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che proietta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi…”
Erano questi i colloqui più o meno filosofici sulla vita, condotti dal Paleari, uomo anziano che per tutta la vita aveva creato le proprie teorie filosofiche, che riempivano la vita del protagonista, pur essendo a volte eccessivamente noiose e complesse.
Durante la permanenza a Roma, viene anche derubato di una congrua cifra, ma non può sporgere denuncia…perché non esiste.
Sente allora che l’unico modo per uscire da questa situazione è quello di distruggere il personaggio che ha cercato di creare, e inscena un finto suicidio, quello di Adriano Meis; si sentiva ormai perseguitato da un’ombra, che era lo spettro della sua “precedente” vita: “Ma aveva un cuore, quell’ombra, e ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa, ma per pensare e comprendere ch’era la testa di un ombra, e non l’ombra di una testa. Proprio così. Allora la sentii come cosa viva, e sentii dolore per essa, come il cavallo e le ruote del carro e i piedi de’ viandanti ne avessero veramente fatto strazio. E non volli lasciarla più lì, esposta, per terra. Passò un tram, e vi montai.”
Se ne torna a Miragno, col proposito di vendicarsi di quanti lo hanno fatto soffrire, ora che è ricco e che non ha nulla da perdere. Ma la tenerezza suscitatagli dalla nuova figlia della sua ex moglie lo induce a rimanere nell’ombra, consapevole di essere sempre il “fu Mattia Pascal”.
Pirandello delinea il personaggio Mattia Pascal con molta precisione dal punto di vista fisico: una faccia flaccida e stizzosa, con la barba rossastra, la fronte spaziosa, un naso piccolo, un piccolo mento appuntito, grandi mani. Mattia ha anche un occhio storto, “un occhio che tendeva a guardare per conto suo, altrove…”; è il suo tormento fin da ragazzo, tanto che per correggere tale difetto, indossa grossi occhiali rotondi.Anche quando Mattia diverrà Adriano Meis, quest’occhio continuerà a essere il suo supplizio, l’unico e ultimo legame con il vecchio personaggio, tanto che si lascerà convincere a farsi operare, per cambiare definitivamente la propria identità.
Mattia Pascal possiede tutti i connotati dell’uomo senza qualità, è un personaggio, si può dire, vincolato dall’angoscia della sua solitudine ma, allo stesso tempo, pervaso da un tragico umorismo. Egli è sempre occupato nella continua ricerca di sé, prigioniero della propria identità, ma al tempo stesso è impegnato ad abbattere il muro della sua solitudine.
Molti sono i personaggi che caratterizzano il racconto; Manuel Bernandez, pittore e amico di casa Giglio, la signora Candida, Silvia Caporale, la quale, anch’essa, come Mattia, abita in casa Paleari, affittandone una stanza; essa, arrabbiata e delusa dall’amore, si è data all’alcool, e spesso si riduce in uno stato deplorevole con frequenti crisi depressive. Compare poi Batta Malagna, amministratore della famiglia Pascal; egli ha un aspetto piuttosto buffo: “Scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione, di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolava il naso sui baffi menolensi e sul pizzo; gli scivolavano dall’attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme quasi fino a terra…”. E’ soprannominato la talpa, poiché scavava a tutti la fossa sotto i piedi.
Una delle caratteristiche fondamentali di un libro è sicuramente il linguaggio, il quale risulta ai miei occhi chiaro e semplice, i quali attributi hanno reso la lettura scorrevole e interessante.
Riferendoci a questo libro, possiamo affermare che per Pirandello nella vita vi sono tre momenti fondamentali. Il primo momento è caratterizzato dal contatto col mondo che circonda l’uomo. I rapporti sociali sono impostati sul contrasto fra le apparenze esteriori e la realtà di ognuno; il secondo momento è quello della reazione: vi è una puntigliosa ricerca delle cause del contrasto forma-contenuto. Il terzo momento è rappresentato dal tentativo di ricostruzione, per cui l’uomo è costretto a ricercare una fede, rifugiandosi nei miti della fede, dell’arte, della famiglia.
Per cui, come espresso anche nel fu Mattia Pascal,per lui la condizione umana è triste, dolorosa; ma nonostante questa evidenza gli uomini si illudono. Pirandello allora li deride, mettendo in risalto il contrasto tra ciò che l’uomo è e quello che vuole apparire.
Il protagonista è il tipico testimone del contrasto fra apparenza e realtà. Casualità e convenzioni sociali, non gli permettono di trovare una spiegazione alle vicende che gli succedono.
Fonte: http://spazioinwind.libero.it/zanzibarre/download/pascal1.doc
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Il fu Mattia Pascal (1904)
Sintesi
Mattia Pascal è il custode di una biblioteca dimenticata nel comune di Miragno, costretto a lavorare dopo una gioventù agiata; alla morte del padre, infatti ha perso tutti i beni di famiglia che vengono intascati da Malagna, l’amministratore che froda sua madre. Mattia è costretto a sposare una donna che lo odia e ad ospitare in casa una suocera che lo disprezza, a patire la morte di sua figlia e sua madre, mentre suo figlio maschio gli viene tolto da Malagna.
Un giorno, dopo una lite con la suocera, Mattia si ritrova a Montecarlo con 500 lire in tasca e grazie alla fortuna, ne vince al gioco ben 82.000. è un uomo ricco. Mentre ritorna a casa, legge su un giornale la notizia della sua morte, o meglio della morte di uno che gli assomigliava e che la moglie e la suocera avevano riconosciuto com’essere lui, sbarazzandosene.
Ma ciò è proprio quello che Mattia vuole. Finalmente può ricrearsi una seconda vita con la fortuna che ha in tasca. Viaggia molto, ritrova la gioia che gli era stata negata quando era ancora ritenuto vivo. Durante questi viaggi, si rende conto di essere solo, ed ora vorrebbe dei legami con la società per non esserne escluso. Così decide di fermarsi a Roma per costruirsi una nuova vita.
Qui incontra il signor Paleari, che non fa altro che parlare di morte, ma intanto Mattia riscopre anche l’amore per una donna semplice e pura d’animo, Adriana. Tuttavia è ancora costretto a fuggire di nuovo perché la sua condizione di “morto” non gli consente il matrimonio con Adriana. Inscena allora un altro suicidio e fugge verso Miragno. Qui scopre che la moglie si è risposata con un compagno benestante, e nessuno riconosce Mattia finché non rivela la sua identità. Si rende conto però che, rivelandosi, spezzerebbe una nuova famiglia a lui estranea.
È troppo tardi per riconquistare ciò che ha perduto, e non gli resta altro che contemplare la sua lapide, la lapide del Fu Mattia Pascal.
I Personaggi
Il personaggio principale è Mattia, e tutti gli altri vengono introdotti da una sua presentazione, che ci riporta le sue sensazioni ma non i caratteri fisici, che invece ci vengono rivelati dalle loro azioni, dalle loro decisioni e dalle loro parole nei discorsi. Tutti rimangono statici e di cornice, mentre Mattia subisce cambiamenti, crescendo per quanto riguarda il morale e le sue idee, ma perdendoci economicamente e socialmente.
Mattia Pascal è un uomo normale, che si sente oppresso dalla vita che lo mette a dura prova e desidera una via di fuga che gli permetta di tornare libero come da ragazzo.
Adriana è forse il vero amore di Mattia. Colpisce molto perché timida, pura, educata, riesce a mantenere un’intera famiglia e si oppone alle sue nozze forzate. Anche Mattia la chiama “la mammina di casa”. Non si riesce a trovarle un difetto. Lei rappresenta la vita.
Paleari è il personaggio più singolare, con i suoi discorsi insensati, spende ogni sua riflessione sulla morte. Formula teorie sul post mortem, cercando aiuto in finti fantasmi. Rimane sempre al di fuori dell’azione e non interferisce minimamente con essa. Risulta però essere uno dei personaggi più simpatici, e la sua ingenuità lo fa diventare buffo e ridicolo.
Malagna è una persona viscida, un ladro. È l’amministratore dei beni della famiglia Pascal, e riesce a rubare tutti i beni possibili (soldi, poderi, ecc.)
La vedova Pescatore è avida, aspra e molto attaccata ai beni terreni. È una persona piena di astio e di risentimento, che rinfaccia continuamente a Mattia di non essere in grado di mantenere la famiglia.
Il Narratore
La narrazione è condotta in prima persona secondo il punto di vista di Mattia Pascal, con focalizzazione interna, e tuttavia con la tecnica del narratore onnisciente. Ciò è possibile perché il personaggio non vive direttamente le sue avventure, ma attraverso un enorme flash-back, racconta il suo passato, come se fosse un diario-biografia. Così il narratore si può permettere di inserire nella narrazione delle anticipazioni a degli avvenimenti che avverranno dopo (Genette, uno strutturalista francese chiama le anticipazioni “analessi”). Essi sono dei satelliti anticipatori, preparano il lettore a ciò che lo aspetta, vivacizzano la lettura stimolando la curiosità.
Lo Spazio e il Tempo
Lo spazio della vicenda è abbastanza ampio: la vicenda si svolge tra Miragno e Roma, ma durante i suoi viaggi visita anche MonteCarlo, Torino, Milano, Venezia, Firenze, Colonia, Worms e Magonza.
Questi luoghi non vengono però descritti da Pirandello, forse per lasciare al lettore libertà d’immaginazione. Il tempo è indeterminato, data la mancanza di date o di riferimenti storici; ma questo è fatto apposta, in modo che la vicenda sia più assoluta possibile, che diventa una lezione di vita in ogni tempo e in ogni luogo per ogni persona.
Concludendo
Il Fu Mattia Pascal è il romanzo di un impossibile riscatto da una vita grigia, per un uomo nato due volte. Porta alle estreme conseguenze, con punte davvero paradossali, ma tipiche della “mezza filosofia” (Sciascia) di Pirandello, il dissidio fra forma e vita. Inizialmente Mattia soffre la forma che lo vuole uomo infelice, racchiuso in una piccola e asfittica realtà. Ma ecco che liberatosi della forma, sembra aver raggiunto la sua vera vita, la sua vera identità: ciò che lui è solo per sé stesso, ciò che egli è per sè e non per gli altri, ciò che egli è e non ciò che appare. Ma si può essere veramente e intimamente se stessi, solo per sè, e non per gli altri? Sì, ma non si può vivere, tant’è vero che Mattia si sente solo e riprende a vivere, ossia ad assumere un’altra forma... è possibile una vera identità se non quella che ci danno gli altri. E poi: qual è il nostro vero volto? La maschera che ci danno gli altri o la “maschera nuda” che è la nostra vera e intima essenza? Nel momento in cui come Mattia siamo pura vita non possiamo vivere, ma nel momento in cui ci accontentiamo di vivere secondo gli altri non siamo più noi stessi, e veniamo chiusi in una forma che ci soffoca. Sta tutto qui il paradosso (la mezza filosofia di Pirandello) e qui come in Uno, nessuno e centomila viene spinta alle sue estreme e più grottesche svolte romanzesche.
Il fu Mattia Pascal (1904)
Trama e commento
Mattia Pascal, vive nell’immaginario paese ligure di Miragno, insieme alla madre e al fratello. Il padre ha lasciato loro in eredità una discreta fortuna consistente in case, terreni e vigneti. La giovane vedova, del tutto incapace di amministrare, affida però l’intero patrimonio a Batta Malagna, che avendo ricevuto in passato dal marito diversi favori ed essendo ricompensato lautamente per i suoi attuali servigi, avrebbe dovuto, secondo lei, amministrare onestamente. Batta Malagna invece, con il trascorrere degli anni, si impossessa di tutti i loro averi e costituisce la causa principale del declino della famiglia Pascal. I due fratelli Mattia e Roberto vivono allegri e liberi da ogni pensiero morale, religioso o scolastico e, una volta cresciuti, non si curano dei beni della famiglia, paghi di vivere senza apparenti problemi e in maniera agiata. Il Malagna ha avuto infatti la capacità di non fargli mancare nulla e di nascondere la voragine di debiti che presto li avrebbe fatti precipitare.
Costretto a sposare Romilda, da cui aspetta un bambino, Mattia si trova a convivere anche con la suocera vedova che lo disprezza e lo considera un inetto, un fannullone, un buono a nulla ricco soltanto di debiti. Da questo momento la vita di Mattia diventa un inferno. Ormai senza ricchezze, si trasferisce in una casa umile; la moglie perde la sua originaria bellezza e sembra non amarlo più; le due figlie muoiono una dopo l’altra a causa della loro gracilità. E muore anche l’adorata madre dopo aver sopportato i soprusi della suocera-strega la quale continua per il carattere di Mattia, ma soprattutto per la povertà di Mattia a odiare il genero e a rovinare la già precaria tranquillità della casa. Per la prima volta in vita sua il protagonista si ritrova a cercare lavoro, e grazie all’amico Pomino, ne trova uno come bibliotecario. Ma un giorno Mattia, angustiato dai dissidi coniugali e dai debiti, esasperato dalla noia e dalla inutilità del suo lavoro, decide di fuggire. Arriva a Montecarlo e grazie ad una serie di vincite fortunate si ritrova in tasca la somma di 82.000 lire. E’ quasi ricco! Decide di ritornare a casa per riscattare le sue proprietà e per godere di una rivincita sulla suocera; sogna finalmente una vita serena, un avvenire tranquillo al riparo della miseria. Ma proprio mentre questi pensieri occupano la sua mente, in treno durante il viaggio di ritorno a casa, legge su un giornale che a Miragno, nella roggia di un mulino, è stato ritrovato il cadavere di Mattia Pascal.
Legge e rilegge il trafiletto scritto in minutissimi caratteri e lo ripete tra se quasi sillabando, fermandosi ad ogni parola. Egli si sarebbe suicidato nella gora del molino alla Stia, una sua vecchia proprietà, a causa dei dissesti finanziari e dei lutti familiari. Ed era stato prontamente o forse frettolosamente riconosciuto dalla moglie disperata e dalla suocera. Dapprima sconvolto, comprende presto che può crearsi una nuova vita, una vita libera da ogni legame con il passato, senza problemi e senza responsabilità, proprio come quando era giovane. è ricco e non essendo più Mattia Pascal non ha più alcun creditore. Così con il nome di Adriano Meis comincia a viaggiare prima in Italia e poi all’estero, fino a che decide di stabilirsi a Roma, in un camera ammobiliata sul Tevere. Si innamora, ricambiato, di Adriana, dolce figlia del padrone di casa Anselmo Paleari. Mattia vorrebbe sposarla e ricominciare tutto da capo. Ma Adriano Meis non esiste, non ha una realtà sociale, non ha nessuno dei diritti che hanno i cittadini iscritti all’anagrafe. Non può acquistare nulla, non può denunciare un furto se derubato e tanto meno può contrarre matrimonio. Non può fare nessuna di quelle cose della vita quotidiana che necessitano di una identità. Capisce l’impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati. La sua libertà è solo un’illusione. Scopre che fare il morto non è una bella professione. A Mattia non resta che farla finita anche con la nuova identità simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere.
Erano passati soltanto due anni dalla sua prima supposta morte. Eppure tante cose erano cambiate. La moglie Romilda era rimasta vedova ben poco. Si era infatti risposata proprio con il suo amico Pomino ed aveva avuto una bambina. Quanto era beffardo il destino… Lui, che aveva pensato di essere rinato e finalmente libero di fare ciò che desiderava, non aveva potuto vivere pienamente la sua nuova vita, ma era evidente che gli altri lo avevano fatto. Gli altri erano andati avanti anche senza di lui. Gli altri, a Miragno, avevano stentato a riconoscerlo e il suo ritorno non aveva, per lo meno inizialmente, causato lo scompiglio che si era immaginato. Mattia, ritornato con propositi di vendetta, ben presto li abbandona e lascia che la moglie e l’amico continuino a vivere il loro menage coniugale. A Mattia non resta che ritornare a fare il bibliotecario nell’umida chiesa sconsacrata e adibita a biblioteca comunale in un paese in cui nessuno legge e di andare di tanto in tanto a far visita alla propria tomba…
Mattia Pascal è il testimone esemplare dell’assurda condizione di uomo prigioniero delle “maschere sociali” di marito, di padre, di figlio, di fratello etc. che coprono la nostra vera identità. Esprime la sofferenza di quest’uomo, angosciato dall’impossibilità di sfuggire alle convenzioni e ai vincoli della società che sono una catena, un freno inibitore e che forse sono l’unico modo d’esistere. Fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete e tristi che siano per cui noi siamo noi… non è possibile vivere. Solitudine e sconfitta in una società creata dall’uomo, ma che non è a misura d’uomo. Pirandello in questo romanzo rappresenta tutta la crisi esistenziale e storica dell’uomo moderno. E questa rappresentazione, impregnata del contrasto tra realtà e illusione, consapevole dell’incapacità di essere totalmente artefici del proprio destino e del sopravvento del caso è inscenata con straordinaria semplicità in un misto di gioia e di sofferenza, di umorismo e amarezza, di comico e di tragico.
Fonte: http://graficogadda.wikispaces.com/file/view/Mattia+Pascal.doc
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