Bullismo nelle scuole
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Bullismo nelle scuole
Bulli: la sopraffazione nell’infanzia
Dan Olweus, Università di Bergen (Norvegia), Psicologia contemporanea, n. 133/1996
Il bullismo è un fenomeno sommerso, eppure incredibilmente diffuso. Si tratta di un ‘autentica forma di oppressione, in cui un bambino o un adolescente sperimenta, per opera di un compagno prevaricatore, una condizione di profonda sofferenza, di grave svalutazione della propria identità, di crudele emarginazione dal gruppo.
Si tratta di una situazione che molto spesso sfugge agli occhi degli adulti, ingenuamente abbagliati dallo stereotipo della “età dell’innocenza” e quindi impreparati a riconoscere manifestazioni così spietate di oppressione e persecuzione fra i ragazzi. Dan Olweus, il cui ultimo libro Bullismo a scuola, Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono (Firenze, Giunti, 1996), è appena entrato in libreria, è stato il primo a studiare su vasta scala il fenomeno del bullismo (“bullying” è il termine usato nella letteratura internazionale) e ad elaborare un piano d’intervento, In queste pagine ne riassume i punti fonda mentali.
Al fenomeno del bullismo questa Rivista ha già dedicato un ampio articolo (Ada Fonzi, Persecutori e vittime fra i banchi di scuola, n. 129, maggio 1995). In quella occasione, oltre ad un inquadramento generale del fenomeno, furono presentati anche alcuni dati generali relativi alla diffusione del bullismo in Italia. Come risulta dai dati della ricerca, nel nostro Paese non solo il fenomeno del “bullying” esiste, ma si presenta addirittura ad un livello più elevato che in altri paesi europei ed extraeuropei. Se, ad esempio, confrontiamo i dati italiani con quelli inglesi, ci accorgiamo che da noi il fenomeno si presenta in misura circa doppia. Per ulteriori approfondimenti rinviamo il lettore, oltre che all’articolo suddetto, anche ad Ada Fonzi, La ricerca in Italia, contenuto in Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono (Firenze, Giunti, 1996) e al n. 53, 1996, della rivi sta «Età evolutiva».
Un tranquillo ragazzo di tredici anni, Johnny, era diventato per alcuni dei suoi compagni di scuola un vero e proprio “giocattolo umano”. I suoi torturatori gli estorcevano denaro, lo obbligavano ad ingurgitare erbacce o latte mescolato a detersivo, lo malmenavano di santa ragione tutti i giorni, nella palestra della scuola, durante la ricreazione. Arrivarono perfino a portarlo in giro al guinzaglio, come un cagnolino. Alla fine gli aguzzini di Johnny furono interrogati su questi episodi dalle autorità scolastiche. Risposero di aver perseguitato la loro vittima «perché la cosa», così dissero, «era divertente». Questo episodio, realmente accaduto e riportato da alcuni quotidiani inglesi, non è affatto un caso isolato. Fornisce anzi un quadro realistico della crudeltà e della brutalità che bambini e adolescenti possono usare l’uno contro l’altro in alcune circostanze. Dimostra anche quale incubo possa diventare la vita a scuola per un ragazzo vittimizzato, senza che spesso i genitori o gli insegnanti si rendano conto di quel che gli sta accadendo.
Bullismo: le dimensioni del fenomeno
Secondo la nostra definizione, si dice che un bambino subisce prepotenze, ossia è vittima di bullismo, quando è esposto ripetutamente e per lungo tempo alle azioni ostili di uno o più compagni. Tali azioni negative possono essere compiute attraverso: 1) contatto fisico (percosse di varia natura e intensità), 2) parole ingiuriose o gesti offensivi, 3) allontanamento o esclusione dal gruppo. Per poter parlare di bullismo ci deve anche essere 4) uno squilibrio di forze (ossia una relazione di potere asimmetrica: il ragazzo esposto ai tormenti evidenzia difficoltà nel difendersi).
Quello delle prepotenze tra bambini e ragazzi è indubbiamente un problema di origine antica. Ma solo recentemente, in particolare nel corso degli anni Settanta, esso è diventato oggetto di ricerche scientifiche sistematiche (Olweus, 1978). Per molto tempo gli studi sono rimasti circoscritti alla Scandinavia. Poi, nel corso degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta, il fenomeno delle prepotenze tra bambini a scuola ha attirato l’attenzione anche degli studiosi di altri paesi, quali il Giappone, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti e, recentemente, anche l’Italia.
Sulla base di una nostra indagine, effettuata mediante questionario su più di 150.000 studenti norvegesi e svedesi nell’autunno del 1983, si poté stimare che circa il 15% degli alunni delle scuole elementari e secondarie scandinave (con un livello di età dei soggetti compreso fra i 7 e i 16 anni) risultava coinvolto con una certa regolarità, nel ruolo di prepotente o in quello di vittima, in episodi di bullismo (Olweus, l993a): il 9% si era trovato a ricoprire il ruolo di vittima, mentre il 7% aveva svolto una parte attiva, mettendo in atto comportamenti di sopraffazione nei confronti di altri bambini. Queste cifre, relative soltanto alla frazione iniziale di quell’anno scolastico, rappresenteranno con ogni probabilità una stima per difetto rispetto al numero reale degli studenti coinvolti in fenomeni di bullismo durante l’intero arco dell’anno.
Le prepotenze sono quindi un fenomeno considerevole, che riguarda un numero elevato di studenti nelle scuole scandinave. Dati recenti, in gran parte raccolti con il nostro questionario su bulli e vittime e provenienti da altri paesi, inclusa l’Italia (Fonzi, 1995; Genta, Menesini, Fonzi, Costabile, 1996), indicano che questo problema esiste con certezza anche al di fuori della Scandinavia e con un tasso di incidenza simile o addirittura più elevato (Olweus, 1993a e 1994). Alcune stime indicano, ad esempio, che circa un milione e duecentomila studenti italiani, dalla prima classe elementare alla terza media, sono coinvolti in episodi di bullismo durante il corso dell’anno.
Dai dati finora raccolti in paesi europei ed extraeuropei possiamo dire che: 1) sono più i maschi che le femmine sia a fare che a subire prepotenze; 2) anche fra le ragazze si verificano episodi di bullismo: in questi casi, però, entrano in gioco modalità di tormento più sottili, “raffinate” ed indirette; 3) sono molte le prepotenze che vengono compiute dai ragazzi nei confronti delle ragazze e 4) da studenti più grandi nei con fronti dei più piccoli; 5) molti dati, infine, evidenziano che i modelli comportamentali della relazione bullo-vittima tendono a mantenersi stabili nel tempo (Olweus, 1978 e 1979).
Ci sono alcune diffuse convinzioni relative alle cause del buIlismo che non hanno trovato riscontro nei dati empirici. Ne indichiamo tre. Il bullismo sarebbe una conseguenza: 1) di classi o scuole numerose, 2) di atteggiamenti competitivi messi in atto dai ragazzi per ottenere la promozione o per evitare la bocciatura, 3) di una compromissione dell’aspetto esteriore (gli alunni grassi, bassi, sgraziati, rossi di capelli, con gli occhiali…, avrebbero maggiori probabilità di divenire vittime di episodi di bullismo).
Ipotesi del genere non ricevono alcuna conferma empirica. Occorre invece risalire ad altri fattori che possono essere all’origine del fenomeno. I dati finora raccolti suggeriscono chiaramente che le caratteristiche di personalità e i modelli di reazione comportamentale tipici del soggetto (associati alla forza o alla debolezza fisica, nel caso di maschi), giocano generalmente un ruolo importante. Ma anche alcuni fattori ambientali, quali l’atteggiamento o il comportamento degli insegnanti e i rituali della classe, agiscono in modo significativo nel determinare la diffusione de! fenomeno all’interno di una determinata classe o dell’intera scuola.
Caratteristiche della vittima e del bullo
I bambini che si ritrovano nel ruolo della vittima sono di solito più ansiosi ed insicuri degli altri compagni. Sono spesso prudenti, sensibili e tranquilli. Soffrono di scarsa autostima, presentano una visione negativa di se stessi e della pro pria situazione. Se sono maschi, tendono ad essere fisica mente più deboli dei compagni. Abbiamo definito questo tipo di vittima col termine di “vittima passi va-remissiva”.
Sembra che il comportamento e gli atteggiamenti delle vittime passive-remissive segnalino agli altri una condizione di insicurezza e di scarso valore, indicando in tal modo che non si oserà rispondere ad eventuali attacchi, fisici o verbali. Le tipiche vittime (nelle società industrializzate occidentali) sono caratterizzate, in sostanza, da modelli di reazione ansiosa e remissiva combinati, nel caso dei maschi, con la debolezza fisica. Dati longitudinali indicano che le vittime passive-remissive, all’età di 23 anni, saranno più depresse e presenteranno una stima di sé più bassa rispetto ai coetanei che non hanno subito oltraggi (Olweus, 1993b).
Anche se più raro, esiste anche un altro tipo di vittima, che ho definito col termine di “vittima provocatrice”. E caratterizzata da una combinazione di due modelli reattivi, quello ansioso e quello aggressivo. La vittima provocatrice ha spesso problemi di concentrazione e si comporta in modo tale da causare intorno a sé tensione o irritazione, innescando reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe. Sembra che questi ragazzi manchino di alcune abilità sociali di base e che, in particolare, siano carenti nella comprensione delle regole di comportamento “informali” del gruppo dei pari. La vittima provocatrice ha in comune con quella passiva-remissiva alcune caratteristiche, come l’insicurezza e la mancanza di autostima. Rispetto a quest’ultima, però, è meno esposta alla depressione in età adulta.
Un tratto distintivo dei bulli è la loro aggressività verso i coetanei. In genere tendono ad essere aggressivi anche verso gli adulti, siano essi insegnanti o genitori. Sono spesso caratterizzati da impulsività, da un forte bisogno di dominio e da scarsa empatia nei confronti delle loro vittime. Se maschi, sono fisicamente più forti sia dai compagni in generale, sia delle vittime in particolare.
La convinzione comune che i bambini prepotenti nascondano una fondamentale insicurezza dietro i loro comportamenti da bullo è stata sottoposta a verifica in parecchi dei nostri studi, con l’impiego di tecniche proiettive e mediante controllo degli ormoni dello stress, ma non ha trovato alcuna conferma. I risultati empirici vanno infatti in direzione opposta: i bambini prepotenti hanno un livello di ansia e di insicurezza particolarmente basso, oppure si collocano all’incirca in una posizione intermedia lungo gli indicatori di queste dimensioni. Non presentano problemi a livello di autostima e, generalmente, hanno un temperamento attivo-impulsivo. In sintesi, i tipici bulli possono essere descritti come individui con modelli di comportamento aggressivo, combinato, nel caso dei maschi, con la forza fisica.
In relazione allo stile educativo familiare, abbiamo identificato tre fattori che, con molta probabilità, hanno un ruolo nello sviluppo di modelli comportamentali aggressivi nei maschi: 1) atteggiamento emotivo della principale figura di attaccamento caratterizzato, nei primi anni di vita, da indifferenza, mancanza d’affetto e di coinvolgimento emotivo; 2) permissivismo verso il comportamento aggressivo del bambino negli anni dell’infanzia, ovvero difficoltà da parte dei genitori a porre limiti adeguati; 3) uso di tecniche disciplinari autoritarie, accompagnate dal ricorso alla punizione fisica. Per quanto riguarda il quadro psicologico complessivo del bullo, i risultati di ricerca finora conseguiti consentono di ipotizzare almeno tre componenti, tra loro parzialmente interrelate (soprattutto per i maschi, studiati in modo più esteso): 1) è possibile che il bullo avverta un forte bisogno di potere, che lo porta a trarre piacere dal dominio e dall’esercizio dell’autorità; 2) considerando le condizioni familiari in cui molti bulli sono cresciuti, è possibile che questi ragazzi abbiano sviluppato un certo livello di ostilità verso il mondo esterno, tale da indurli a infliggere ingiurie e sofferenze; 3) nel comportamento del bullo è abbastanza visibile anche una componente strumentale, di tornaconto personale: non solo la vittima è costretta a dargli di tutto (soldi, sigarette, oggetti di valore...), ma è l’esibizione stessa di aggressività che gli procura spesso fama e prestigio.
Il bullismo può essere anche considerato come una componente non marginale di un più generale modello di comportamento antisociale. In una nostra ricerca di tipo longitudinale questa ipotesi è stata avvalorata. Sono infatti risultati particolarmente numerosi gli ex bulli (circa il 45% del campione considerato, contro il 10% del gruppo di controllo, costituito da soggetti non coinvolti in problemi di bullismo) successivamente condannati in tribunale, entro l’età di 24 anni, per almeno tre crimini.
Programma d’intervento: i principi
Le vittime delle prepotenze costituiscono un gruppo abbastanza numeroso di studenti, i cui problemi tendono in gran parte ad essere trascurati dalla scuola. Abbiamo sostenuto a lungo che, per un bambino, è un diritto democratico fondamentale sentirsi sicuro a scuola, non dover subire oppressioni o prevaricazioni ripetute e intenzionali. Come suggeriscono le più elementari leggi della convivenza civile, nessun ragazzo dovrebbe aver paura di andare a scuola e nessun genitore dovrebbe temere umiliazioni o tormenti nei confronti del proprio figlio, soprattutto nel corso di un’attività educativa.
Nel 1981, in Svezia, proponemmo l’introduzione di una legge contro il bullismo a scuola. A quell’epoca ci fu scarso sostegno politico per la nostra idea. Solo nel 1994 questo suggerimento ha avuto un seguito, con l’introduzione di una normativa che si richiama alle condizioni di convivenza suddette e che affida ai presidi e ai direttori di ciascuna scuola la responsabilità dell’intervento. Mentre scriviamo, l’approvazione di una legge analoga è in discussione anche in Norvegia, dove sembra godere di un forte sostegno politico, anche a seguito dei risultati ottenuti da un esteso program ma d’intervento condotto in quel paese dalla nostra équipe.
Il programma di intervento da noi elaborato è stato costruito su un insieme limitato di principi chiave, derivati principalmente dalla ricerca sullo sviluppo e la modificazione di problemi comportamentali, in particolare del comportamento aggressivo. In breve, si considera decisivo:
1) creare un ambiente scolastico (ed anche, possibilmente, familiare) caratterizzato da affetto, interessi positivi e coinvolgimento emotivo degli adulti;
2) al tempo stesso, stabilire limiti fermi ai comportamenti inaccettabili di prevaricazione e sopraffazione. Il messaggio fondamentale ed esplicito del programma deve essere questo: «Non accettiamo in alcun modo prepotenze a scuola e vigileremo affinché esse abbiano fine»;
3) applicare con fermezza, nei casi di violazione dei limiti e delle regole date, le sanzioni punitive stabilite e divulgate. Tali sanzioni non devono essere improntate ad ostilità e non devono basarsi su coercizioni fisiche;
4) pretendere dagli adulti, insegnanti e genitori, un comportamento autorevole.
Questi quattro principi generali sono stati tradotti in attività specifiche, da eseguirsi a livello di scuola, a livello di classe e a livello individuale. La Tavola 1 presenta una serie di attività considerate (sulla base delle analisi statistiche e della nostra esperienza pratica) particolarmente importanti per la realizzazione del programma d’intervento.
Tavola I — Sintesi degli aspetti cruciali del programma d’intervento sul bullismo.
Prerequisiti generali
** Consapevolezza e coinvolgimento da parte degli adulti
Interventi a livello di scuola
** Inchiesta mediante il questionario
** Organizzazione di una conferenza scolastica sul problema
** Migliore supervisione durante la ricreazione e la pausa del pranzo
* Costituzione di gruppi di coordinamento
* Incontri tra insegnanti e genitori
a livello di classe
** Elaborazione di un sistema di regole contro le prepotenze
** Incontri di classe
a livello individuale
** Colloqui approfonditi con i bambini prepotenti e con le vittime
** Colloqui approfonditi con i geni tori degli studenti implicati in episodi di prepotenza
* Uso di interventi elaborati in modo creativo da insegnanti e genitori
**: componenti fondamentali *: componenti desiderabili
L’attuazione del programma si basa prevalentemente sull’impiego delle risorse umane che sono già presenti e disponibili: insegnanti e altro personale scolastico, studenti e genitori. Non serve, se non in casi particolarmente gravi, l’opera di psicologi, assistenti sociali, o altri specialisti. L’elemento fondamentale per una buona riuscita del programma è infatti la corretta, compiuta e convinta ristrutturazione dell’ambiente sociale. I punti salienti di questo intervento, che va considerato di tipo non tradizionale, includono infatti: 1) cambiamenti nelle opportunità individuali e interpersonali e 2) eliminazione delle strutture o delle situazioni di rinforzo del comportamento di sopraffazione. Fra le ricadute di tipo secondario dell’intervento possiamo anche annoverare: 3) miglioramenti a livello organizzativo e 4) incremento della produttività scolastica.
L’importanza della ristrutturazione dell’ambiente sociale, cui tendono sostanzialmente le quattro regole sopra riportate e tutte le operazioni elencate nella Tavola 1, va tenuta in una particolarissima considerazione. Il bullismo, infatti, non dipende esclusivamente dalla quantità di fattori temperamentali e familiari che favoriscono l’insorgere di comportamenti aggressivi. Esso deriva, in larga misura, anche dall’azione di fattori ambientali. Gli atteggiamenti, le abitudini e i comportamenti del personale scolastico, in particolare degli insegnanti, sono determinanti nella prevenzione e nel controllo delle azioni di bullismo, così come nel trasformare tali manifestazioni di aggressività in forme socialmente più accettabili. E stata rilevata, ad esempio, una chiara correlazione fra il tipo di comportamento degli insegnanti (distaccato o partecipante) durante l’intervallo e le manifestazioni di bullismo. Gli stessi atteggiamenti degli studenti, così come quelli dei loro genitori, possono giocare un ruolo significativo nel ridurre la dimensione del fenomeno. Ad esempio, le reazioni degli studenti che non partecipano ad azioni di bullismo possono influenzare significativamente, se opportunamente indirizzate, la riduzione del fenomeno.
Programma d’intervento: gli effetti
La valutazione degli effetti del nostro programma di intervento si basa sui dati raccolti su circa 2500 soggetti appartenenti a 112 classi (età compresa fra gli 11 e i 14 anni) di 42 scuole primarie e secondarie inferiori della città di Bergen, in Norvegia. I soggetti della ricerca sono stati seguiti per un periodo di circa 2 anni e mezzo. I principali risultati del lavoro possono essere così sintetizzati:
1) A seguito di interventi della durata di 8 e 20 mesi, si sono registrate forti riduzioni (attorno al 50% o più) nella frequenza di comparsa degli episodi di bullismo. In genere i risultati valgono sia per i maschi che per le femmine delle diverse classi esaminate.
2) Ci sono state forti riduzioni del comportamento antisociale in generale ed in particolare degli episodi di vandalismo, aggressioni fisiche, piccoli furti, abuso di sostanze alcoliche o non permesse, assenze ingiustificate da scuola, ecc.
3) Sono stati registrati notevoli progressi per quanto riguarda vari aspetti del clima sociale della classe: miglioramento dell’ordine e della disciplina, relazioni interpersonali fra i ragazzi più costruttive, atteggiamento più positivo verso i compiti scolastici e la scuola in genere. Allo stesso tempo si è potuta osservare una maggiore soddisfazione degli studenti per la vita scolastica.
4) Il programma d’intervento non solo ha inciso sui problemi di vittimizzazione esistenti, ma ha avuto anche un effetto preventivo, nel senso che ha ridotto la percentuale (statisticamente prevedibile) delle possibili nuove vittime.
Gli effetti riportati del presente programma di intervento sono da considerarsi positivi, anche in considerazione del fatto che molti tentativi precedenti di ridurre sistematicamente l’aggressività e il comportamento antisociale in soggetti preadolescenti e adolescenti hanno avuto scarso successo, sia in ambito scolastico che extrascolastico.
L’importanza dei risultati è ulteriormente accentuata dal fatto che, particolarmente nell’ultimo decennio, si è registrato un aumento dell’incidenza dei fenomeni di violenza e di altri comportamenti antisociali nella maggior parte delle società industrializzate. Nei paesi scandinavi, ad esempio, alcune forme di criminalità violenta sono aumentate dal 300 al 600 per cento rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta. Simili cambiamenti sono avvenuti nella maggior parte delle società industrializzate e devono essere contrastati, anche e soprattutto in ambito scolastico.
Il programma d’intervento è al momento in opera o in corso di progettazione in un numero considerevole di scuole europee e nordamericane. I dati raccolti indicano che l’approccio generale al problema è ben accettato dalle varie componenti professionali del mondo scolastico e il programma (con o senza adattamenti specifici) funziona bene in contesti culturali diversi, almeno all’interno dei paesi industrializzati del mondo occidentale, inclusi quelli caratterizzati dalla multietnicità. Ricordiamo, a questo riguardo, che recentemente è stata condotta, con risultati assai incoraggianti, un’applicazione del programma su 23 scuole di Sheffield, in Gran Bretagna, tutte caratterizzate da un elevato tasso di presenze multietniche (Smith e Sharp, 1994).
Il nostro messaggio di fondo è abbastanza semplice: i problemi relativi al fenomeno del bullismo sono anche legati all’atteggiamento generale della società verso la violenza e l’oppressione. Che tipo di opinione sui valori sociali può acquisire un ragazzo che viene sistematicamente perseguitato dai compagni senza che gli adulti intervengano? Che tipo di opinione, d’altra parte, può formarsi quello che ogni giorno impunemente prevarica? A scuola, come si è visto, è effettivamente possibile ridurre in modo drastico il bullismo ed i comportamenti antisociali ad esso collegati. Le modificazioni comporramentali e ambientali da perseguire sono ormai state chiaramente individuate. Intervenire, ora, sembra soprattutto una questione di sensibilità democratica.
Dan Olweus è Professore di Psicologia all’Università di Bergen, in Norvegia. I suoi contributi sull’aggressività infantile, e sul bullismo in particolare, gli sono valsi l’assegnazione di prestigiosi riconoscimenti ed onorificenze. È stato, tra l’altro, Fellow presso il Center for Advanced Studies in the Behavioral Sciences di Stanford e ricopre attualmente la carica di Presidente dell’International Society for Research on Aggression.
Riferimenti bibliografici
Fonzi A. (1995), Persecutori e vittime fra i banchi di scuola, «Psicologia contemporanea», n. 129, maggio 1995.
Genta M. L., Menesini E., Fonzi A., Costabile A. (1996), Bulli e vittime in Italia: analisi del fenomeno in alcune scuole di Firenze e Cosenza, «Età evolutiva», 53.
Olweus D. (1978), Aggression in the schoois. Bullies and whipping boys, Washington, Hemisphere Press (trad. it. Aggressività nelle scuola, Roma, Bulzoni, 1983).
Olweus D. (1979), Stability of aggressive reaction patterns in males: A review, «Psychological Bulletin», 86 852-875.
Olweus D. (1980), Familial and temperamental determinants of aggressive behavior in adolescent boys: A causal analysis, «Developmental Psychology», 16, 644-660.
Olweus D. (1991), Bully/victim problems among schoolchildren: Basic facts and effects of a school based intervention program. In D. Pepler e K. H. Rubin (a cura di), The development and treatment of childhood aggression, Hillsdale, NJ, Erlbaum.
Olweus D. (1992), Builying among schoolchildren: Intervention and prevention. In R.D. Peters, R.J. McMahon e V.L. Quincy (a cura di), Aggression and violence throughout the life span, Newbury Park, CA, Sage.
Olweus D. (1993a), Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford, Blackwell Publishers (trad. it. Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti 1996).
Olweus D. (1993 b), Victimization by peers: Antecedents and longterm outcomes. In K.H. Rubin e J.B. Asendorpf (a cura di), Social withdrawal, inhibition, and shyness in childhood, Hillsdale, NJ, Earlbaum.
Olweus D. (1994), Bullying at school: Basic facts and effects of school based intervention program, «Journal of Child Psychology and Psychiatry», 35, 1171-1190.
Smith P.K., Sharp S. (1994), School bullying: Insights and perspectives, London, Routledge.
Fonte: http://www.cgdlombardia.it/notiziario/wp-content/uploads/2007/01/Olweus.doc
Autore del testo: Dan Olweus
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Bullismo nelle scuole
A cura di: Cristiana Butti, Silvia Cagliani, Laura Pozzi
IV Circolo Lecco
Anno scolastico 2006/ 2007
BENESSERE A SCUOLA: COME PREVENIRE IL BULLISMO
Viviamo in una società pluralista caratterizzata da un alto livello di conflittualità; nella scuola primaria, oltre a rilevare un aumento di bambini con difficoltà relazionali, egocentrici, incapaci di ascolto e di tolleranza delle frustrazioni, fragili emotivamente, cominciano già a manifestarsi casi di bullismo, di mobbing, di prevaricazione e di aggressività non indifferenti, che diventano sempre più eclatanti nelle scuole medie.
I ragazzi che danno vita a fenomeni di bullismo spesso hanno disturbi nella regolazione e gestione delle emozioni, da cui deriva l’impulsività. Soffrono di instabilità emotiva, crisi di umore e di rabbia che tendono a risolvere con comportamenti impulsivi, distruttivi e prevaricatori. Una delle loro più gravi difficoltà consiste nell’oscillazione tra l’inibizione delle emozioni e il rimanerne sopraffatti. Agiscono impulsivamente e con scarsa consapevolezza dei propri stati mentali.
IL BULLISMO: DEFINIZIONE
Con il termine bullismo, traduzione italiana dell’inglese “bullying”, definiamo un insieme di comportamenti con i quali qualcuno compie ripetutamente azioni o affermazioni per avere potere su un’altra persona o per dominarla.
“Il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo, ma è un tipo di comportamento aggressivo particolarmente cattivo, in quanto è diretto, spesso ripetutamente, verso una vittima particolare che è incapace di difendersi efficacemente, perché è più giovane, o meno forte o psicologicamente meno sicura” (Fonzi, 2006).
Rispetto ai normali conflitti fra coetanei (anche di età molto giovane), il bullismo si distingue per la presenza di alcuni fattori essenziali:
- presenza di un persecutore (in posizione up) e di una vittima (in posizione down)
- intenzione, da parte del persecutore, di fare male, e totale mancanza di compassione verso la vittima
- durata prolungata nel tempo, che fa diminuire l’autostima da parte della vittima, con conseguenze pesanti, come il disinvestimento verso la scuola
- posizione di potere da parte del bullo (a causa dell’età, della forza fisica, ecc.)
- posizione di vulnerabilità da parte della vittima, che non è in grado di difendersi da sola ed è in una situazione di totale isolamento e mancanza di sostegno da parte degli altri membri del gruppo
mancanza di sostegno: la vittima si sente isolata ed esposta, spesso ha molta paura di riferire gli episodi di bullismo, perchè teme rappresaglie e vendette
- conseguenze: il danno per l’autostima della vittima si mantiene nel tempo e induce la persona
- ad un considerevole disinvestimento dalla scuola oppure alcune vittime diventano a loro volta aggressive.
Si tratta di una definizione più complessa rispetto a quanto non appaia a prima vista, poiché non si riferisce ad un singolo atto, ma ad una situazione relazionale considerata nel suo svolgersi nel tempo.
Il bullismo si può manifestare in modi diversi:
BULLISMO DIRETTO
(attacchi aperti verso la vittima) |
BULLISMO INDIRETTO
(isolamento ed esclusione intenzionale della vittima dal gruppo)
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FISICO: la vittima viene colpita con pugni, calci. Le si rovinano o le si rubano oggetti di proprietà.
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Diffusione di pettegolezzi o dicerie, esclusione intenzionale dai gruppi di aggregazione. |
VERBALE: derisioni ed insulti.
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In tutte le situazioni di prepotenza bullistica, si presentano costantemente gli stessi ruoli:
- il prepotente: di solito si tratta di una persona con deboli capacità empatiche, preferisce atteggiamenti violenti e sembra essere spinto da un forte desiderio di dominare l’altro. Se è un maschio si impone con la forza fisica, se è una femmina con la maldicenza
- la vittima che può essere passiva, cioè isolata o addirittura emarginata dal gruppo, oppure provocatrice, lasciata da parte perché aggressiva e collerica. La vittima passiva presenta una bassa autostima e scarsa fiducia nelle proprie possibilità, è ansiosa ed insicura e piange spesso. La vittima provocatrice, al contrario è iperattiva e facilmente irritabile
- gli spettatori, che spesso sono indifferenti a quanto accade e, proprio per questo, corresponsabili.
CAUSE E CONCAUSE DEL BULLISMO
Secondo gli studi effettuati negli ultimi anni, cause e concause del fenomeno sarebbero diverse, e spesso concatenate fra loro.
Fra le principali cause:
- scarsa competenza sociale da parte di entrambi i soggetti, bullo e vittima, che potrebbe derivare dallo sviluppo di una modalità di attaccamento poco corretta nei confronti dell’adulto caregiver (di solito, la madre) durante i primi mesi di vita del bambino
- crisi del ruolo paterno, ormai diventato troppo “amicale”. I padri, infatti, non sarebbero più in grado di mantenere autorevolezza e di insegnare l’esistenza del senso del dovere e della regola, come “limitatore della libertà personale”
- abbassamento, da parte dei ragazzi, della soglia della violenza e del senso della giustizia, e totale concentrazione su se stessi, a causa dell’eccessiva tolleranza adottata nello stile educativo genitoriale
- crisi di valori da parte della società adulta, che non è più in grado di offrire punti di riferimento sicuri e modelli positivi di confronto per l’espressione del disagio degli adolescenti
- crisi di valori da parte della famiglia, soprattutto se “allargata” e portatrice di problemi a livello di relazione, che non sa più aiutare gli adolescenti e i pre-adolescenti nel processo di costruzione della propria identità. Di conseguenza, i ragazzi si rivolgono al gruppo dei pari, che diventa la “famiglia – surrogato” all’interno della quale esprimere bisogni e desideri.
Fra le concause è possibile ritrovare:
- problemi a livello psichico di uno dei genitori (anche non conclamati)
- dinamiche comportamentali non contenute dagli insegnanti che hanno in carico i bambini/
Il bullismo non è un problema solo per la vittima, è un problema anche per tutte le persone che sanno che questi comportamenti avvengono nella scuola o che vi assistono, per il clima di tensione e di insicurezza che si instaura.
perché FERMARE IL BULLISMO?
- Affinchè i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze imparino ad affrontare i conflitti sociali in modi positivi per la crescita
- per migliorare le condizioni di vita nella scuola negli ambienti di aggregazione
- perché il bullismo fa aumentare i conflitti sociali anziché contribuire a ridurli.
- perché chi subisce prepotenze in modo ripetuto e costante ne porta le conseguenze negative per anni e a volte per tutta la vita.
- perché in una società “civile” le vittime vanno tutelate, sostenute e rafforzate nelle loro abilità relazionali.
- perché il bullismo è terreno culturale e sociale favorente l’evoluzione di comportamenti devianti e delinquenza.
- perché solo fermando il bullismo è possibile far emergere le reali difficoltà relazionali sia dei bulli che delle vittime e di conseguenza poter attivare interventi di supporto e aiuto
- perché le vittime possano imparare a sentire e manifestare la naturale aggressività e la rabbia nelle situazioni in cui subiscono prepotenza
- perché i prepotenti possano essere aiutati a sentire, provare, manifestare emozioni di tenerezza e felicità.
- affinchè una cultura ed abitudini collaborative prendano il sopravvento sulla cultura della sopraffazione, della prepotenza e della violenza.
- perché si possano spezzare le catene intergenerazionali di stili sociali ed educativi malfunzionanti
- per poter sperare in una società migliore e a misura d’uomo in cui prevalga la tolleranza verso la diversità.
SCHEMA DI SINTESI
Rafforza le vittime e le toglie dall’isolamento
Contribuisce alla prevenzione della delinquenza
Costituisce il terreno sociale per l’educazione alla legalità
ALLEGATO 1
RICORDA: NESSUNO MERITA DI SUBIRE PREPOTENZE!Se subisci prepotenze o atti di bullismo:
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POSSIBILI INTERVENTI EDUCATIVI DI PREVENZIONE
- Educare al “sentimento” che ci consente di distinguere cosa sia il bene e cosa il male.
- Educare a comportamenti di accettazione, solidarietà e collaborazione.
- Insegnare a comunicare, in un’ottica di educazione alla pace e di prevenzione del disagio.
- Dare obiettivi di crescita intellettuale, che producano convinzioni sulle proprie capacità, incoraggiando, valorizzando l’impegno e lo sforzo, lodando non tanto il bambino, ma il prodotto e fornire strategie diverse di apprendimento.
- Analizzare nelle classi i prodotti imposti dai mass-media (dove la violenza è continuamente propinata, dai telegiornali, ai film, alla pubblicità che espone violentemente i suoi prodotti)
- Educare a comportamenti corretti nei vari ambiti sociali e all’uso di registri linguistici adeguati
- Educare alla gestione del conflitto
Negli obiettivi specifici di apprendimento per l’educazione alla Convivenza civile dei Nuovi programmi, si parla di :
- mettere in atto comportamenti di autonomia, autocontrollo, fiducia in sé
- accettare, rispettare, aiutare gli altri e i diversi da sé, comprendendo le ragioni dei loro comportamenti
- attivare atteggiamenti di ascolto, conoscenza di sé e di relazione positiva con i compagni e con gli adulti
- esprimere verbalmente e fisicamente la propria emotività ed affettività
Nelle raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio del 18-12-06 si parla di :
- competenze sociali e civiche di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali (v. allegato “Competenze sociali e civiche”)
EDUCAZIONE EMOTIVA
E’ importante avviare i bambini fin dai primi anni della scuola primaria
- ad un percorso, strutturato in base all’età, di conoscenza e di scoperta di sé, delle proprie sensazioni, di accettazione e di rielaborazione delle proprie emozioni, di analisi dei propri comportamenti
- per arrivare al superamento di forme di egocentrismo e al dominio di possibili eccessi personali nel rapporto con gli altri e in situazioni di conflittualità.
- E’ possibile insegnare a contenere e a tollerare, senza espellere le emozioni in comportamenti impulsivi. Maturare cioè la capacità di guardare le emozioni dolorose e sopportarle, senza agire necessariamente subito.
- Vi sono bambini che enfatizzano il vissuto di vittima ed altri il vissuto di prepotente, chi minimizza i propri comportamenti di prepotenza e chi li nega. E’ necessario quindi un intervento educativo, che abbia come obiettivo la consapevolezza di sé e dei propri comportamenti; secondo Jung la coscienza di sé, è il vero scopo della vita e solo se si è coscienti di sé, si può pensare di assumere dei comportamenti diversi e delle modalità di comunicazione e di relazione positive. La consapevolezza e il riconoscimento di un episodio di prepotenza è il primo passo del lungo cammino verso la soluzione del problema.
E’ importante:
- lavorare con i bambini sul concetto di autostima: autostima del prevaricatore e autostima della vittima e sul concetto di democrazia, differente dal “lasciar fare”
- porre cura all’acquisizione da parte dei bambini di modalità di controllo nell’uso della parola in situazioni di accordo o disaccordo e di conflittualità: capacità di autocontrollo, attenzione agli interventi degli altri, regolazione della propria produzione sulla base dei feedback ricevuti, rispetto delle norme che regolano le conversazioni.
Con la pratica del COOPERATIVE LEARNING è possibile creare nella classe un clima di serenità e di collaborazione tra gli alunni e dei vincoli che portano alla consapevolezza che il proprio successo dipende anche da quello dell’altro.
Anche THE PHILOSOPHY FOR CHILDREN può aiutare i bambini a sviluppare la capacità di ragionare in autonomia, di formulare ipotesi, di confrontarsi con gli altri e quindi a contribuire al raggiungimento di un elevato grado di consapevolezza.
Esiste un progetto dell’Unicef, realizzato sulla base della carta dei diritti dei bambini del ’96, applicato in 79 paesi del mondo, intitolato “VIVERE I VALORI” che propone una serie di attività su 12 valori: amore, libertà, rispetto, pace, unità, tolleranza, responsabilità, cooperazione, onestà,felicità, umiltà, semplicità. L’applicazione di questo progetto può aiutare a diventare consapevoli dell’indispensabilità di questi valori per sviluppare una coscienza sociale.( consultare il sito dell’UNICEF- VIVERE I VALORI)
ALTRI INTERVENTI
- Interventi rivolti agli insegnanti e ai genitori di consulenza psicologica
- Interventi tesi all’integrazione interistituzionale
ALLEGATO 2
RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
COMPETENZE CHIAVE PER L’APPRENDIMENTO PERMANENTE:
COMPETENZE SOCIALI E CIVICHE
Queste includono competenze personali,interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture socio-politici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.
La competenza sociale è collegata al benessere personale e sociale che richiede la consapevolezza di ciò che gli individui devono fare per conseguire una salute fisica e mentale ottimali. La base di questa competenza comprende la capacità di comunicare in modo costruttivo in ambienti diversi, di mostrare tolleranza, di esprimere e di comprendere diversi punti di vista, di negoziare con la capacità di creare fiducia e di essere in consonanza con gli altri. Le persone dovrebbero essere in grado di venire a capo di stress e frustrazioni e di esprimere questi ultimi in modo costruttivo e anche saper distinguere tra la sfera personale e quella professionale.
Bibliografia
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Codini G. (2001) – Il fenomeno del bullismo – www.didaweb.net
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Furioso F. (2001) – Violenza a scuola – www.digilander.libero.it
Giacca F. (2003) – Devianza minorile, disagio, disadattamento: evoluzione ed etimologia dei termini – www.diritto.it
Quilici M. (1988) – Il ruolo del padre – in Scienza Duemila, Aprile 1988
Di Pietro M. - ABC delle emozioni - Erickson 1999
Dweeck J. - Teoria del sé - Eickson 2000
Fioravanti Spina – La terapia del ridere – Red 1999
Goleman D. - Intelligenza emotiva – Bur 2003
Marcoli A. – Il bambino arrabbiato – Mondadori 1996
Montecchi ( a cura ) F. – Modelli teorici e tecnici della psicoterapia infantile junghiana -Borla 1999
Rovagnati E.- Sentimenti a scuola – Associazione Biancospino di Lomagna- Lecco 2000
Scaparro F. – Il coraggio di mediare – Guerini e Associati 2001
Sunderland M. - Disegnare le emozioni – Erickson 1997
Blum P. - Sopravvivere nelle classi difficili – Erickson
Sharp S. – Bulli e prepotenti nella scuola – Erickson
Carkhuff- L’arte di aiutare – Erikson
Rassegna stampa sul fenomeno del bullismo all’interno della scuola, realizzata durante l’anno scolastico 2006/ 2007 da Cristiana Butti e conservata presso la Scuola Primaria di Stato “G. Oberdan” – Lecco
Curricolo di educazione all’emotività e altro materiale prodotto durante 6 anni di laboratorio condotto nella scuola di Acquate da Cagliani Silvia dalla classe quinta alla quinta successiva
Fonte: http://www.istruzione.bergamo.it/costituzionecittadinanza/il-bullismo.doc
Sito web: http://www.istruzione.bergamo.it/
Autore del testo: A cura di: Cristiana Butti, Silvia Cagliani, Laura Pozzi
Bullismo nelle scuole
1- CONOSCERE IL PROBLEMA
1.1 Cos’è il bullismo?
Il bullismo, ossia il problema delle prepotenze tra pari, è caratterizzato dalla tendenza a ripetersi nel tempo, dall’intenzionalità dell’attacco messo in atto dal/i prevaricatore/i e dalla presenza di uno squilibrio di potere tra il bullo e la vittima.
Il bambino/ragazzo prevaricato, infatti, è generalmente contraddistinto da una maggiore vulnerabilità, in quanto, ma non sempre, è fisicamente più debole rispetto al/i bullo/i, è più timido e meno capace di difendersi efficacemente dagli attacchi e dalle molestie del/i bullo/i ed è usualmente isolato e poco considerato dai compagni di classe.
Nel complesso il bullismo rappresenta un abuso sistematico di potere da parte del/i ragazzo/i che si rendono autori di prepotenze ai danni di uno o più compagni di scuola.
È possibile riconoscere come “prepotenza” qualunque aggressione, esplicita o nascosta, qualunque umiliazione od intimidazione perpetrata da uno o più bambini/ragazzi ai danni di uno o più compagni.
Le prepotenze possono essere poste in essere da singoli alunni, ma generalmente vedono il coinvolgimento del gruppo dei compagni, che operano a sostegno del bullo o partecipando attivamente alla prevaricazione o isolando la vittima e mostrandosi indifferenti nei suoi confronti. Talora il gruppo viene manipolato dal prepotente affinché più compagni partecipino alle prepotenze o molestino la vittima al posto del bullo (bullismo relazionale).
Gli atti di bullismo avvengono prevalentemente entro o nei dintorni del contesto scolastico, tuttavia in misura crescente le prepotenze vengono riportate nel contesto virtuale di internet (ad esempio attraverso la pubblicazione in rete di filmati che riprendono le prevaricazioni) o vengono messe in atto per mezzo delle tecnologie (uso di sms, chat-line, e-mail).In queste situazioni si parla di cyberbullying.
La tabella che segue riporta le tipologie di bullismo e prepotenze.
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BULLISMO (prepotenze intenzionali, ripetute, attuate da uno o più bulli ai danni di compagni più deboli, timidi od isolati socialmente |
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Bullismo individuale (un solo bullo) |
Bullismo di gruppo (due o più prevaricatori) |
Bullismo relazionale (uso del gruppo come strumento di attacco) |
PREPOTENZE |
Prepotenze dirette (molestie esplicite) |
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Prepotenze indirette (molestie nascoste) |
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Cyberbullying (molestie attuate attraverso strumenti tecnologici) |
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Anche una sola prepotenza costituisce un indicatore di disagio entro il gruppo classe, disagio che si configura esplicitamente come bullismo al ripresentarsi delle molestie (già due prevaricazioni, anche di diverso tipo, denotano la presenza di bullismo nel gruppo-classe).
1.2 Cosa non è bullismo?
Prepotenza e reato. Una categoria di comportamenti non classificabili come bullismo (pur avendo con questo in comune le motivazioni iniziali, i destinatari, le condizioni in cui si manifestano) è quella degli atti particolarmente gravi, che si configurano come veri e propri reati. Aggressioni fisiche violente, utilizzo di armi o oggetti pericolosi, minacce gravi, molestie o abusi sessuali sono condotte che rientrano nella categoria dei comportamenti antisociali e devianti e non sono definibili come “bullismo”. In questi casi la scuola non può agire da sola ma deve appoggiarsi alle istituzioni del territorio (cfr.paragrafo n.3).
Prepotenza e scherzo. Il limite tra prepotenza e scherzo è poco definito, tuttavia un punto di riferimento chiaro per discernere tra prepotenza e gioco è costituito dal disagio della vittima. Ricordando che per meccanismi psicologici di giustificazione ed auto-giustificazione spesso il bullismo viene presentato dai prepotenti e dai loro compagni come azione scherzosa, ogni qual volta il bambino/ragazzo che subisce la situazione esprime con parole o atteggiamenti di essere in difficoltà è possibile ravvisare l’evento come un episodio di prepotenza.
A tale riguardo, è utile ricordare che bambini e ragazzi valutano come prepotenti od umilianti condizioni ed atti che non sempre vengono percepiti come gravi da parte degli adulti. I vissuti dei ragazzi coinvolti, pertanto, costituiscono i principali indicatori per l’individuazione di singole prepotenze e di situazioni di bullismo.
Come riconoscere la vittima?
Come scientificamente accertato, non sono peraltro le caratteristiche fisiche a condizionare il ragazzo/a al punto da fargli assumere il ruolo di vittima, ma piuttosto il carattere ansioso-remissivo e la scarsa autostima, solo in parte giustificata da effettive condizioni di inferiorità fisica o svantaggio.
Indicatori primari |
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Indicatori secondari |
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Tratto ed adattato da D. Olweus Il bullismo a scuola, Giunti, Firenze, 1996.
Gli indicatori primari rappresentano indici più marcati di rischio per la condizione di vittima. L’elevata frequenza di comparsa di due o più indicatori primari segnala una situazione di più elevato rischio di bullismo reiterato. La presenza di un solo indicatore primario o di soli indicatori secondari e con bassa frequenza di comparsa denotano un potenziale rischio di vittimizzazione occasionale.
Come riconoscere il bullo?
Il tratto distintivo è l’aggressività, abitualmente verso i coetanei e, occasionalmente e in condizioni di presunta impunità, anche verso gli adulti. Il bullo crede di poter dimostrare non solo superiorità fisica, ma intelligenza, furbizia, capacità di dominare le persone e le situazioni. Contrariamente a quanto si crede, il bambino prepotente ha un livello di ansia e insicurezza particolarmente basso, generalmente non presenta problemi di autostima e ha un temperamento attivo-impulsivo, spesso abbinato a fattori di educazione familiare che rimandano in prevalenza all’anaffettività, al permissivismo, all’autoritarismo e alle punizioni fisiche.
Indicatori |
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Tratto ed adattato da D. Olweus Il bullismo a scuola, Giunti, Firenze, 1996.
L’elevata frequenza di comparsa di due o più indicatori segnala una situazione di più forte rischio di bullismo reiterato. La presenza di un solo indicatore e con bassa frequenza di comparsa denota il rischio potenziale che l’alunno sia un prevaricatore occasionale.
Oltre al bullo e alla vittima, gli amici/compagni possono partecipare alle prepotenze rivestendo i seguenti ruoli:
- aiutanti del bullo, contribuiscono attivamente alla messa in atto delle prevaricazioni intraprese dal bullo;
- sostenitori del bullo, pur non partecipando attivamente alle prepotenze, le sostengono manifestando approvazione;
- osservatori, pur limitandosi alla sola osservazione delle prevaricazioni, con la loro azione omissiva rinforzano la prepotenza
- difensori delle vittime, aiutano attivamente la vittima (anche solo rivolgendosi agli adulti), o la consolano e confortano;
È importante evidenziare che anche il bullo può essere esso stesso vittima di sopraffazioni (bullo-vittima) e che il comportamento prepotente può essere l’espressione di carenze nell’elaborazione delle esperienze affettive, nelle competenze sociali e nelle abilità di gestione del conflitto.
2- L’INTERVENTO DELLA SCUOLA SUL PROBLEMA
2.1 Come prevenire il bullismo? Come intervenire di fronte ai comportamenti pre-devianti?
Il bullismo può originare anche dall’esasperazione di conflitti presenti nel contesto scolastico. Il conflitto è da considerarsi come un campanello d’allarme e può degenerare in forme patologiche quando non si hanno gli strumenti che permettono di riconoscerlo, esprimerlo e gestirlo in un’ottica evolutiva dei rapporti. Se non gestito, il conflitto rischia di mutarsi e provocare effetti distruttivi sulle relazioni (prevaricazione e sofferenza) e sull’ambiente (alterazione del clima di gruppo).
Prevenire e affrontare il bullismo, dunque, significa non solo identificare vittime e prepotenti, ma affrontare e intervenire sul gruppo dei pari nel suo insieme.
La classe è, nello specifico, il luogo privilegiato in cui, dopo il verificarsi di un caso di bullismo ma anche nell’intento di prevenire il dilagare di certi fenomeni, si deve svolgere l’irrinunciabile azione educativa a favore di tutti gli studenti, coinvolgendo i genitori degli allievi e delle allieve e tutti i docenti.
L’attuazione del programma di intervento “si basa prevalentemente sull’impiego delle risorse umane che sono già presenti e disponibili: insegnanti e altro personale scolastico, studenti e genitori. Non serve, se non in casi particolarmente gravi, l’opera di psicologi, assistenti sociali, o altri specialisti. L’elemento fondamentale per una buona riuscita del programma è infatti la corretta, compiuta e convinta ristrutturazione dell’ambiente sociale. (…)
Il bullismo, infatti, non dipende esclusivamente dalla quantità di fattori temperamentali e familiari che favoriscono l’insorgere di comportamenti aggressivi. Gli atteggiamenti, le abitudini e i comportamenti del personale scolastico, in particolare degli insegnanti, sono determinanti nella prevenzione e nel controllo delle azioni di bullismo (…). Gli stessi atteggiamenti degli studenti, così come quelli dei loro genitori, possono giocare un ruolo significativo nel ridurre la dimensione del fenomeno” (D. Olweus, Psicologia contemporanea, n. 133/1996).
Sia in funzione preventiva, quando siano presenti comportamenti di tipo conflittuale o un clima relazionale che possono favorire il sorgere di fenomeni di bullismo, o comunque appena si è accertato il verificarsi di alcuni degli indicatori, è necessario attuare interventi mirati sul gruppo classe, gestiti in collaborazione con il corpo docente e d’intesa con le famiglie - ad esempio percorsi di “peer education” o di mediazione volta alla gestione del conflitto, gruppo di discussione, rappresentazioni e attività di role-play sull’argomento del bullismo.
Tali interventi sono molto utili per comprendere le dinamiche affettive che hanno originato i comportamenti disfunzionali. Inoltre consentono l’elaborazione del fenomeno e la ricerca di modelli nuovi applicabili, volti a modificare le regole instaurate e gli atteggiamenti informali, impliciti ed espliciti, del gruppo che supporta il bullo.
Laddove vi siano accertate situazioni di bullismo può essere utile anche intraprendere percorsi individualizzati di sostegno alle vittime, volti ad incrementarne l’autostima e l’assertività e a potenziarne le risorse di interazione sociale. Anche i prevaricatori possono essere destinatari di interventi mirati a smuoverne le competenze empatiche e a favorire una loro condivisione delle norme morali.
Peraltro, gli interventi mirati sul gruppo classe non dovrebbero essere sporadici, isolati dal contesto della vita quotidiana della classe, ma piuttosto ascriversi in un quadro complessivo di attenzione che interessi tutte le persone, le relazioni, le regole, le abitudini del contesto scolastico.
Sarebbe opportuno promuovere l’attivo coinvolgimento di tutte le componenti dell’ Istituzione Scolastica, contribuendo così a creare un ambiente scolastico caratterizzato da empatia, interessi positivi e coinvolgimento emotivo degli alunni.
A solo titolo indicativo:
- il dirigente scolastico:
- definisce e promuove una Politica Scolastica Antibullismo, rappresentata da un documento elaborato da tutte le componenti della scuola, che ne costituisca un punto di riferimento stabile, incluso nel Piano dell’offerta formativa, richiamato nel patto formativo sottoscritto dai genitori
- ne assicura la diffusione a tutte le componenti della scuola, unitamente al Regolamento d’Istituto e alle altre norme interne
- collabora con i soggetti esterni alla scuola per la prevenzione
- Il docente:
- valorizza nell’attività didattica modalità di lavoro di tipo cooperativo, spazi di riflessione e di drammatizzazione adeguati al livello di età degli alunni
- definisce con la classe regole semplici e certe (le regole possono essere scritte e affisse nell’aula)
- si mostra fermo nel condannare ogni atto di intolleranza e sopraffazione
- osserva regolarmente i comportamenti a rischio sia dei potenziali bulli sia delle potenziali vittime
- se ha assistito personalmente ad un episodio di bullismo o ne ha avuto notizia certa, registra l’accaduto nel registro di classe, informa subito i genitori con le modalità interne in uso (nota sul libretto personale dell’alunno ecc.), convocandoli a scuola per un colloquio. Di tutto è data immediata comunicazione al dirigente scolastico e al consiglio di classe, al fine di definire soluzioni specifiche condivise
- il consiglio di classe:
- stabilisce strategie di intervento, concordando comportamenti coerenti per prevenire e/o reprimere comportamenti prevaricatori o violenti, favorire un clima collaborativo all’interno della classe e nelle relazioni con le famiglie
- pianifica attività didattiche e/o integrative finalizzate al coinvolgimento attivo e collaborativo degli studenti, la conoscenza e l’approfondimento di tematiche che favoriscano la riflessione e la presa di coscienza della necessità dei valori di convivenza civile
- il Collegio Docenti: promuove scelte didattiche ed educative, anche in collaborazione con altre agenzie del territorio o in rete con altre scuole, per la realizzazione delle linee definite nel piano Antibullismo d’Istituto, valorizzando l’esperienza e apportando periodicamente le necessarie innovazioni
- i genitori:
- acquisiscono la conoscenza e la consapevolezza dell’esistenza e della gravità del fenomeno
- stabiliscono o riattivano canali di dialogo franco ed aperto con i propri figli, nella consapevolezza della difficoltà rappresentata dall’età evolutiva in cui essi si trovano
- rivedono con loro l’organizzazione del tempo scuola e del tempo libero, assicurandosi che in quest’ultimo siano esposti il meno possibile alla solitudine e alla mancanza di occupazioni dotate di senso
- percepiscono i docenti e il dirigente scolastico come alleati nel processo educativo, stabilendo con gli stessi confronto e collaborazione corretti e costruttivi
- di fronte alla possibilità che il proprio figlio sia coinvolto a diverso titolo in episodi di bullismo, stabiliscono tempestivamente la collaborazione con la scuola, anche accettando l’eventuale sanzione come un’opportunità di modificazione positiva e crescita del proprio figlio
- i collaboratori scolastici:
- partecipano attivamente ai percorsi ed alle iniziative messe in atto nella scuola per la promozione del benessere degli studenti e la prevenzione del disagio;
- nello svolgimento delle attività di vigilanza collaborano fattivamente al mantenimento di un buon clima relazionale
- gli studenti:
- sono coinvolti nella progettazione e nella realizzazione delle iniziative scolastiche, al fine di favorire un miglioramento del clima relazionale nelle classi; in particolare, dopo opportuna formazione, possono operare come tutor per altri studenti
- nella secondaria di II° i loro rappresentati, eletti negli organi collegiali d’Istituto o nella Consulta Provinciale, promuovono tutte le iniziative che favoriscano il protagonismo positivo degli studenti, la collaborazione e la giusta competizione (concorsi, tornei, progetti di solidarietà e di creatività).
- Come e quando applicare sanzioni disciplinari?
Gli episodi di bullismo accertati devono essere subito sanzionati, privilegiando il ricorso a sanzioni disciplinari di tipo riparativo, convertibili in attività a favore della comunità scolastica, anche in conformità con quanto indicato nella direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione n. 16 del 5 febbraio 2007 e nello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria– d.P.R. 21 novembre 2007 n.235 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al d.P.R. 24 giugno 1998 n. 249”(Testo in vigore dal 2 gennaio 2008).
Le competenze in materia disciplinare, se il comportamento trasgressivo è previsto dal regolamento disciplinare d’Istituto, redatto in conformità alle norme sopraindicate, spettano al Consiglio di classe.
Le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari vanno indirizzate all’Organo Regionale di Garanzia, presso l’Ufficio Scolastico Regionale.
Le sanzione disciplinari irrogate dalla scuola non sostituiscono né sono sostituite da eventuali sanzioni penali (vedi punto 3.2) se il comportamento violento e prevaricatore si configura come reato, né quelle civili per eventuali danni ingiustamente causati a cose o a persone; queste ultime colpiscono i genitori dei minori che hanno causato tali danni (responsabilità civile oggettiva) o gli adulti che li hanno in custodia. Gli insegnanti hanno una posizione analoga, ma non identica a quella dei genitori. Perché vi sia responsabilità dell'insegnante, l'atto illecito dev'essere commesso dall'allievo durante il tempo in cui è sottoposto alla sua vigilanza (art. 2048, 2° comma cod. civ.). Come il genitore, l'insegnante può liberarsi da responsabilità soltanto dimostrando di non avere potuto impedire il fatto.Un'ipotesi tipica di responsabilità dell'insegnante si ha quando il fatto si verifica mentre egli si è allontanato dalla classe. Ma la vigilanza dev'essere assicurata all'interno della struttura scolastica anche fuori dalla classe e spetta alla direzione dell'istituto scolastico fare in modo che gli studenti siano adeguatamente seguiti per tutto il tempo in cui si trovano all'interno dell'istituto stesso. Com'è noto alla responsabilità dell'insegnante si affianca quella dello Stato (art. 28 Costituzione), naturalmente allorché l'istituto scolastico sia statale. Il danneggiato può agire indifferentemente contro l'insegnante o contro lo Stato; di fatto, risponde sempre lo Stato, che può poi rivalersi contro l'insegnante, se questi ha agito con dolo (intenzione) o colpa grave (violazione grave dei doveri che incombono su di lui).
3-QUANDO LA SCUOLA NON PUO’ AGIRE DA SOLA
3.1 I Servizi Sociali
Il dialogo tra scuola e famiglia per la creazione di un intervento educativo sinergico è necessario e preliminare agli interventi dei servizi psico-socio-educativi presenti sul territorio.
La creazione di un ambito relazionale di scambio reciprocamente propositivo tra scuola e famiglia pone infatti le basi per una presentazione spontanea delle famiglie in difficoltà ai Servizi territoriali e ne facilita l’utilizzo delle risorse. La mancata presentazione spontanea pone, infatti, problemi nell’aggancio tra utenti e Servizi e rende ulteriormente difficile un supporto costruttivo e condiviso con le famiglie.
La scuola qualora rilevi una situazione psico-socio -educativa problematica deve convocare i genitori o gli esercenti la potestà ed informarli delle risorse territoriali a cui possono rivolgersi ed eventualmente della segnalazione che si intende effettuare ai Servizi territoriali.
Per quanto attiene l’obbligo e le modalità di segnalazione o di denuncia si rinvia a quanto puntualizzato dalla Magistratura (cfr.paragrafo 3.2).
La scuola deve quindi avere una mappa dettagliata dei servizi del proprio territorio per facilitare, promuovere e supportare la richiesta delle famiglie ai Servizi Psico-socio-educativi. Come noto l’ente locale dispone tendenzialmente di risorse socio-educative, mentre la competenza psicologica e psicoterapeutica è demandata all’Asl e all’Azienda Ospedaliera (cfr.paragrafo 4).
La fenomologia del bullismo è fortemente connotata dalla turbolenza relazionale dello sviluppo maturativo del ragazzo e dalle fisiologiche difficoltà genitoriali e,più in generale, del mondo adulto nel gestirne la risoluzione evolutiva. La competenza psicologica deve quindi essere costantemente salvaguardata e coinvolta nella gestione di tali problematiche che, per definizione, non si riducono alla sola dimensione socio-educativa.
Vi è inoltre una molteplicità di iniziative dei singoli ambiti territoriali che il privato sociale (cooperative, associazioni di volontariato sociale,...) co-progetta con l’ente locale, che possono utilmente porsi come risorse supportive sia nell’ambito scolastico sia in quello familiare.
- Il ruolo e i compiti dell’Autorità Giudiziaria: Procura Minorile, Tribunale Minorenni
Quando l’episodio di bullismo si configura come vero e proprio reato
Si conviene che il bullismo non sia reato, ma una forma di mala-educazione, nel senso di non-educazione o educazione distorta del minore al rapporto con gli altri e in particolare all’interazione con coetanei (e anche adulti) nelle formazioni sociali ove si svolge il suo percorso di crescita-formazione, segnatamente scuola, palestre, attività sportive, oratori , centri di aggregazione.
Esso si esplica con comportamenti e atteggiamenti costanti e ripetitivi di arroganza, prepotenza, prevaricazione, squalificazione, disprezzo, dileggio, emarginazione, esclusione ai danni di una o più persone, agiti da un solo soggetto (ma in genere con la complicità o connivenza di altri) o da un gruppo.
I comportamenti definibili “Bullismo” possono esprimersi nelle forme più varie e non sono definibili a priori; le caratteristiche che aiutano a individuarli e a distinguerli dallo scherzo, dalle intemperanze caratteriali, dai diverbi usuali nelle comunità giovanili sono, come esposto nel punto 1, la costanza nel tempo e ripetitività, la asimmetria, il disagio della/e vittima/e .
Il reato è una condotta non generica, ma tipica, cioè descritta in modo specifico e dettagliato dalla norma penale, in tutti i suoi elementi, oggettivi (che definiscono l’azione materiale sanzionata dalla legge) e soggettivi (che riguardano il dolo o la colpa di chi compie l’azione).
Esempio:
- se un ragazzo nasconde il giubbotto a un compagno e glielo ridà alla fine della lezione è uno scherzo o un dispetto , e spetterà all’insegnante , caso per caso, valutare se è un atto occasionale, o se è espressione di bullismo, e se e quali provvedimenti assumere;
- se un ragazzo prende di nascosto il giubbotto ( o gli occhiali, o il cellulare ) di un compagno e se lo porta a casa per tenerlo per sé o per venderlo o comunque per ricavarne un profitto, è reato di furto;
- se un ragazzo costringe con minaccia o violenza un compagno a consegnargli il giubbotto (o gli occhiali o il cellulare) , è reato di rapina
- se un ragazzo mette le mani addosso a una compagna o a un compagno e la o lo palpeggia contro la sua volontà è reato di violenza sessuale; se la compagna o il compagno sono consenzienti e il fatto avviene a scuola, forse è un problema di mancanza della più elementare disciplina scolastica che, se non viene subito affrontato con adeguati interventi, può poi degenerare in altri comportamenti non voluti che possono configurare reato di violenza sessuale .
Quali sono gli estremi per procedere alla denuncia penale o alla segnalazione all’Autorità giudiziaria?
La denuncia per reati procedibili d’ufficio
I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di denunciare all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferire, la notizia di ogni reato procedibile d’ufficio di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (art. 331 cod. proc. pen.).
Un analogo obbligo, detto di referto, hanno gli esercenti una professione sanitaria che prestano la loro assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere di ufficio (art. 334 cod. proc. pen.).
La denuncia e il referto rappresentano un preciso obbligo di legge e la loro omissione costituisce reato (artt. 361, 362, 365 cod. pen.).
Essi devono essere fatti anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito (art. 331 cod. proc. pen.).
I soggetti obbligati alla denuncia
Soggetti obbligati alla denuncia sono i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio.
Vi rientrano, pertanto, anche gli operatori scolastici, sia il personale docente che quello amministrativo.
Come presentare la denuncia
La denuncia di un reato va fatta per iscritto, nel modo più accurato possibile, e deve essere indirizzata alla Procura della Repubblica competente: alla Procura della Repubblica presso il Tribunale del luogo dove è avvenuto il reato, se indiziato del reato è un maggiorenne; alla Procura della Repubblica per i minorenni se indiziato è un minore.
Essa può essere presentata, più semplicemente, anche ad un ufficiale di polizia giudiziaria (carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili urbani, ecc.).
Ai sensi dell'art. 332 cod. proc. pen. per notizia di reato s’intende l’esposizione degli elementi essenziali del fatto, il giorno dell’acquisizione del fatto nonché le fonti di prova già note. Essa contiene, inoltre, per quanto possibile, le generalità, il domicilio e quant’altro utile ad identificare la persona alla quale il reato è attribuito, la persona offesa, e tutti coloro che sono in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto.
Procedibilità d’ufficio ed a querela di parte.
Per alcuni reati, la legge rimette alla persona offesa la scelta di richiedere la punizione del colpevole; tale scelta viene esercitata attraverso la querela (che è, praticamente, una richiesta di punizione).
In mancanza di querela, tali reati non sono procedibili, o meglio, i relativi autori non sono perseguibili dalla giustizia.
Sono punibili a querela di parte quei reati che sono stati ritenuti dal legislatore meno gravi, cioè non tali da destare particolare allarme sociale.
Esempi più ricorrenti: furto semplice (cioè non aggravato da particolari circostanze, quali, ad esempio, la violenza sulle cose, la destrezza, ecc.); ingiuria; diffamazione; percosse; lesioni da cui derivi una malattia con prognosi di guarigione fino a venti giorni.
Esempi invece di reati perseguibili d’ufficio: furto aggravato; rapina; estorsione; violenza privata; violenza sessuale; atti sessuali compiuti con persona di età inferiore a dieci anni; minacce gravi; danneggiamento aggravato.
E’ comunque opportuno che la scuola tenga contatti con il commissariato o la caserma CC di zona per avere indicazioni nei casi dubbi.
Ricapitolando, nei casi di reati perseguibili d’ufficio, gli operatori scolastici hanno l’obbligo di effettuare la denuncia all’autorità giudiziaria (o, più semplicemente, come detto, agli organi di Polizia territorialmente competenti).
Si sottolinea l’importanza di attenersi a questo semplice principio, evitando di entrare nella valutazione di merito del fatto accaduto, al fine, eventualmente, di evitare una denuncia: può accadere, infatti, che si ritenga trattarsi di episodio di lieve entità, non particolarmente grave, sporadico, occasionale, involontario. Si può essere portati, pertanto, a non denunciare l’accaduto magari “a fin di bene”, ritenendosi impropria o inadeguata, o comunque eccessiva una segnalazione all’autorità giudiziaria.
Ciò va decisamente evitato: la valutazione sul merito (e, quindi, sulla gravità o meno del fatto) compete all’autorità giudiziaria; l’obbligo di denuncia, in fondo, non è che un aspetto, un portato del “principio di legalità” che va non solo declamato a parole ma testimoniato nei fatti, soprattutto agli occhi degli studenti e delle loro famiglie, proprio come valore e riferimento educativo.
Nei casi, invece, di commissione di reati perseguibili a querela, non vi è obbligo di denuncia. Si suggerisce, comunque, in tali casi, opera di informazione e sensibilizzazione nei confronti delle vittime di reati e delle rispettive famiglie sulla possibilità e opportunità di presentare querela.
In questi casi, quando non vi sia la querela della persona offesa dal reato, è opportuno che la scuola valuti, unitamente al servizio sociale, se non ricorrono gli estremi, nelle azioni dei presunti autori del reato, di comportamenti denotanti una irregolarità della condotta e del carattere, con conseguente segnalazione civile alla Procura per i minorenni.
La scuola, infatti, è comunque “testimone” di ciò che avviene al suo interno e, dunque, anche delle situazioni di difficoltà, disagio, disadattamento, sofferenza dei propri studenti che, ancorché non prodotti da fatti-reato, ovvero prodotti da reati non procedibili, dovrebbero tuttavia mobilitare interventi di sostegno e di rieducazione da parte delle istituzioni.
In tal caso, pertanto, la segnalazione si presenta come situazione non obbligatoria, ma certamente opportuna e consigliata, ed è preferibile sia indirizzata ai servizi socio-sanitari del territorio.
La scuola può segnalare anche direttamente alla Procura per i Minorenni la situazione del minorenne che, con suoi comportamenti gravi, manifesti una “irregolarità della condotta e del carattere”, cioè un disadattamento sociale che faccia temere la caduta nella devianza vera e propria.
Si ritiene tuttavia che tale passo debba avvenire come ultima ratio, dopo che siano falliti i tentativi di recupero che la scuola dovrebbe attivare, prioritariamente, informando direttamente e coinvolgendo la famiglia e il servizio sociale competente per il luogo di residenza del ragazzo.
La segnalazione alla Procura dovrebbe, invece, avvenire solo dopo che questa prima fase di intervento è fallita, ed è preferibile, in tal caso, che la segnalazione venga trasmessa congiuntamente dal servizio e dalla scuola, e ciò sia per fare in modo che alla Procura pervenga fin dall’inizio un quadro abbastanza completo di informazioni sulla situazione complessiva del ragazzo e del nucleo familiare, e anche per evitare che la scuola venga poi vissuta dalla famiglia come persecutoria o ostile, fatto che potrebbe poi compromettere eventuali interventi di recupero , e creare un clima di diffidenza reciproca tra le varie componenti della vita scolastica
La Procura per i Minorenni, se ravvisa nella segnalazione gli elementi per chiedere l’apertura di un procedimento rieducativo, propone ricorso al Tribunale per i Minorenni.
Ciò che, in definitiva, rileva, e che va opportunamente evidenziato, è il corretto inquadramento della condotta di c.d. “bullismo” in una specifica figura di reato o meno.
In caso positivo, la fattispecie va trattata come condotta di reato, anche se inserita in un contesto di “bullismo”, con tutte le conseguenze di cui sopra in tema di denuncia.
In caso negativo, l’episodio potrebbe rivelare una condotta “pre-deviante”e,pertanto, vanno attivate le competenze e risorse di contrasto.
Ruolo e competenze del Tribunale per i Minorenni
Il Tribunale per i Minorenni ha competenza sia civile, che penale, che rieducativa.
Nella competenza civile emette, nell’ambito di procedimenti promossi in genere su ricorso della Procura per i Minorenni o di parte, provvedimenti di protezione dei minorenni nelle ipotesi di omissione o inadeguatezza di cure o di comportamenti pregiudizievoli da parte dei genitori (praticamente, il Tribunale per i minorenni è il “giudice della potestà genitoriale”).
Nella competenza penale giudica i minorenni che hanno compiuto dei reati.
Nella competenza rieducativa dispone progetti di recupero di minorenni che abbiano evidenziato irregolarità della condotta, cioè un grave disadattamento sociale che prelude alla vera e propria devianza .
Con riferimento alle problematiche di cui ci stiamo occupando, il Tribunale entra in campo nella competenza penale quando la Procura per i Minorenni, a conclusione delle indagini preliminari su un fatto qualificato come reato, chiede che il minore autore del reato sia rinviato a giudizio, cioè sia sottoposto a processo penale.
L’ordinamento tuttavia ha congegnato il processo minorile in modo da dare spazio, all’interno di esso, a interventi rieducativi che possano aiutare il minore a ravvedersi, e a evitare una condanna, e la condanna viene irrogata solo quando tutti questi interventi falliscono.
Nella competenza rieducativa, il TM, quando il PM chiede l’apertura di un procedimento rieducativo (detto, anche, in gergo, “procedimento amministrativo”) nei confronti di un certo minore, richiede al servizio sociale di accertare le cause del disadattamento del ragazzo (cause che possono anche dipendere, almeno in parte, da problematiche dei genitori), sente attraverso un giudice delegato il ragazzo e i genitori, e, se ritiene la necessità di interventi, dispone che il servizio sociale attui un progetto di sostegno che ,con il coinvolgimento del nucleo familiare, aiuti il ragazzo a riprendere un percorso di crescita corretto. Può anche disporre il collocamento del minore in comunità, e tale collocamento non è in questo caso una misura penale, ma un intervento rieducativo.
Se queste misure ottengono i risultati per i quali sono disposte, il procedimento si chiude dando atto del recupero del minore e con la revoca dei provvedimenti emessi , che comunque cessano con il compimento della maggiore età.
In alcuni casi, quando se ne ravvisa la necessità, se i progetti funzionano, e se il ragazzo consente, gli interventi di sostegno - purchè siano iniziati prima dei 18 anni - possono anche continuare oltre la maggiore età e fino al compimento dei 21 anni.
Purtroppo però il limite degli interventi rieducativi è che, se il ragazzo e la famiglia non collaborano, non vi sono sanzioni, e il TM può alla fine solo dare atto della impossibilità di rieducazione.
In definitiva, deve essere chiaro che gli interventi rieducativi, anche se disposti dall’Autorità giudiziaria, non possono raggiungere gli obiettivi per i quali sono disposti se non si riesce a ottenere la collaborazione degli interessati, cioè del minore e della sua famiglia.
Per ottenere ciò non si può far leva sull’imposizione coattiva, sia perché di fatto non ci sono nell’ordinamento gli strumenti coercitivi per ottenerla, sia soprattutto poiché il cambiamento personale può essere frutto solo di condivisione e motivazione autentiche.
Diverso è l’ambito penale, dove il processo, se è accertata la sussistenza del reato e la responsabilità dell'autore, e se falliscono gli interventi rieducativi, comporta alla fine la condanna alla pena prevista dalla legge.
4- I SERVIZI PUBBLICI DI SUPPORTO SUL TERRITORIO
In casi in cui il bullismo, individuale o di gruppo, sembra grave o i consueti interventi pedagogici appaiono inefficaci, può essere utile rivolgersi a psicologi scolastici o a servizi territoriali per una valutazione delle dinamiche di classe e la pianificazione di possibili interventi mirati.
Delle quattro Aziende Sanitarie Locali (ASL) presenti sul nostro territorio, l’ASL Città di Milano ha sviluppato una proposta specifica di contrasto e prevenzione del bullismo denominata “Stop al Bullismo”.Le altre Aziende Sanitarie offrono risposte diversificate, garantendo comunque ascolto e consulenza, al fine di trovare una risposta al problema “bullismo” che la scuola, l’insegnante, la famiglia o l’alunno stanno vivendo.
Di seguito le tipologie di intervento proposte e i riferimenti operativi.
ASL Città di Milano
- L’intervento di prevenzione e di contrasto al fenomeno delle prepotenze in ambito scolastico viene affrontato attraverso le attività di “Educazione alla Salute e Promozione del Benessere” rivolte a tutte le scuole di ogni ordine e grado. Il programma con la scheda di adesione viene inviata a tutte le scuole prima della chiusura dell’anno scolastico affinchè il Collegio Docenti possa deliberare l’adesione.
Fonte: http://www.milano.istruzione.lombardia.it/comunicazioni/All_4471_08.doc
Per informazioni e indirizzi aggiornati delle asl e dei Centri di Psicologia del Bambino e dell’Adolescente (CPBA)visitate il Sito web: http://www.milano.istruzione.lombardia.it/
Bullismo nelle scuole
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