Storia dello spettacolo
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Storia dello spettacolo
BREVE STORIA DELLO SPETTACOLO
LA NASCITA DEL TEATRO NELLA CIVILTA’ GRECA
Tra l'VIII ed il VII secolo a.C. finisce di compiersi in Grecia quel lunghissimo processo di trasformazione del rito in spettacolo. La teatralità perde progressivamente la sua matrice religiosa per secolarizzarsi e rendersi coerente con la società politica e civile. L'esistenza di un sistema democratico presupponeva l'esistenza del consenso politico da parte dei cittadini: il teatro diventa il massimo veicolo di controllo di questo consenso, diventa luogo di trasmissione del sapere, attraverso l'esplicitazione della religio, comune visione del mondo espressa ed enfatizzata proprio dalle opere teatrali. Non bisogna pensare al teatro greco come a una disciplina venduta ed assoggettata al potere: i valori che esso celebrava erano reali valori comuni e non principi surrettiziamente introdotti o commissionati dai potenti agli artisti perchè li introducessero nella società. Di fatto il teatro generava corporazioni professionali molto potenti, disegnava l'opportunità di nuove professioni. Il teatro greco raggiunge l'apogeo nel V secolo a.C. nell'Atene di Pericle. Non era una disciplina espressiva completamente autonoma: la sua effettuazione era connessa al tempo della festa. Molte erano nella Grecia antica le celebrazioni dedicate ai diversi culti, a dei ed eroi, ricordiamo: SATURNALI, ISTMICHE, NEMEE, PITICHE, LE FESTE ORFICHE E QUELLE DIONISIACHE.
In occasione di queste festività venivano allestite delle rappresentazioni che evocavano il dio celebrato. L'argomento della rappresentazione era mitologico.
La festa dionisiaca ateniese venne arricchita per iniziativa del tiranno ateniese Pisistrato, verso la fine del VI secolo a.C. (535 a.C.), dell'agone drammatico, una vera e propria gara che vedeva impegnati dei poeti che, oltre alla stesura del testo, curavano la regia dello spettacolo ed interpretavano dei personaggi.
La struttura della festa era più o meno questa: il pubblico si recava all'alba nel luogo della rappresentazione in maniera spontanea, portando con sé cibo e bevande. Il luogo della rappresentazione era una rozza arena, dotata di scena in legno e di tribune per il pubblico; spesso in prossimità o al suo interno vi era collocato l'altare del dio evocato. I PRIMI FATTI DEL MATTINO erano la messa in scena delle TRAGEDIE; poi veniva lasciato spazio al cibo: durante il pasto gli spettatori commentavano e discutevano ciò che avevano visto; nel pomeriggio si rappresentavano le COMMEDIE. Al tramonto dell'ultimo giorno, dopo la proclamazione del vincitore dell'agone drammatico, tutti rientravano nelle loro case.
Queste feste si tenevano solo nelle città principali, ciò non toglie che nacquero delle formazioni itineranti di piccoli professionisti che mettevano in scena, in forme ridotte e per un pubblico più semplice, le gesta del dio celebrato.
Responsabile organizzativo ed economico della festa e dell'agone drammatico era l'ARCONTE, il capo annuale della polis: a lui dovevano rivolgersi i drammaturghi che intendevano partecipare alla gara. Venivano da lui selezionati in numero di tre; alla spese provvedeva lo stato in collaborazione con un cittadino facoltoso. Lo Stato mette a disposizione di ogni drammaturgo una cifra minima fissata per legge; il coro con il suo istruttore, i musicanti, la scenografia sono invece a carico dello sponsor; il drammaturgo svolge funzioni di autore, regista ed interprete oltre che, spesso, di compositore. Il concorso economico pubblico-privato rimanda ad una distinzione fondamentale: quanto più il teatro tende ad essere veicolo per la trasmissione dei valori della religio tanto più l'intervento dello stato sarà importante e decisivo; quanto più lo spettacolo si laicizzerà, diventando intrattenimento, tanto più sarà importante l'intervento dei privati.
Il V secolo a.C. può essere considerato il secolo d’oro della drammaturgia e del teatro greco. È il secolo di Eschilo, Sofocle ed Euripide.
Eschilo nacque ad Eleusi, nel 525 a.c; fondamentale risulta essere la sua partecipazione diretta alle Guerre persiane, ossia le guerre da cui la Grecia uscì come paese libero, forte e dotato di un bagaglio culturale e di una visione dello Stato destinati a determinare gli assetti della cultura occidentale per millenni. Combattè le celebri battaglie di Salamina e Maratona.
È il classico autore che provvede a tutti gli aspetti della produzione teatrale: scrive il testo, cura la regia... Nelle sue opere al coro appaiono almeno due attori; cura con molta attenzione la maschera. Eschilo non recita le sue grandi tragedie nei teatri di pietra, recita ad Atene, nel Teatro di Dioniso, struttura in cui tutte le componenti architettoniche sono di legno, ma che già comprendeva uno spazio per l'orchestra; non recitava sollevato dai coturni.
Il suo lavoro sulla maschera ha una particolare rilevanza: era uno strumento di scena essenziale destinato a distinguere i personaggi femminili da quelli maschili. La maschera femminile era chiara, quella maschile scura. Ne cura con grande attenzione la realizzazione. La maschera consentiva di cambiare personaggio durante la scena: la sua realizzazione comportava da parte dell'artigiano, su suggerimento dell'autore, la caratterizzazione del personaggio in senso comico o tragico, maschile o femminile.... Le principali tragedie di Eschilo sono:
Orestea, Supplici, Persiani, Sette contro Tebe e Prometeo incatenato.
L’Orestea: Trilogia. 3 parti: - Agamennone , Coefore ed Eumenidi.
La prima parte finisce con la morte di Agamennone. Padre ha ammazzato la figlia, moglie ha ammazzato marito, padre della figlia.
Nella seconda parte, appare il protagonista Oreste che accorre alle urla strazianti del padre che stava morendo. Seppellisce il padre e si reca spesso a pregare il Padre. Un giorno trova la sorella Electra, la quale sapendo tutto dice tutto a Oreste. Scoperto corre a palazzo e uccide sia la madre Clitemnestra che il suo amante Egisto.
Spaventato dalla sua azione va da Apollo, che gli consiglia di fuggire, di andare ad Atene a parlare con Atena. Qui finisce la seconda parte.
La terza parte vede Oreste che va ad Atene e incontra la dea, la quale lo fa sottoporre a giudizio di un tribunale. Oreste va a giudizio e succede che i voti sono pari, Oreste è condannabile. Allora Atena prende le vesti di un giudice e vota per l’innocenza di Oreste e quindi viene assolto.
Troviamo padre che ammazza figlia, madre ammazza marito, figlio ammazza la madre, dei intervengono nelle faccende umane e aiutano/ostacolano/tifano; una dea che tifa ma che fa proclamare innocenza dell’individuo dagli uomini.
Ritroviamo comportamenti delle tribù arcaiche. Troviamo gli dei che giocano con uomini bambini. C’è un rapporto funzionale e non spirituale. Atena è colei che realizza il suo criterio di giustizia attraverso apporto di organizzazione sociale che è il tribunale.
Prima il giudizio della bontà di un uomo derivava solo dalla divinità; la civiltà ateniese dice che è la comunità attraverso i suoi rappresentanti che giudica. Legittimazione civile e sociale della società organizzata.
Umanizzazione della divinità, trasformazione del mondo divino in mondo umano.
Eschilo scrive anche un’altra tragedia, a causa della quale litiga con Pericle (molto importante nella società ateniese, possiede potere politico): I Persiani(Eschilo stesso aveva partecipato alla guerra contro di loro).
Racconta la guerra dalla parte degli sconfitti, ovvero dalla parte dei persiani; ambientata nella reggia dell’imperatore di Persia, con Re Dario appena morto per la notizia della sconfitta in guerra a Salamina; la moglie ne piange la morte e ricorda tutte le situazioni belle passate.
Eschilo vuole esaltare i persiani perchè poi verrebe esaltata di conseguenza la società ateniese. Ma da questo momento Eschilo non ha più fortuna a Atene.
In quest’opera gli dei non ci sono.
Prometeo incatenato: Prometeo scrive che gli dei odiano gli uomini ed offende Zeus e inventa il fuoco per evidenziare la grandezza dell’uomo. Allora Zeus manda Apollo che lega Prometeo in cima a una rupe per farlo mangiare dagli animali. Poi viene però slegato perché continua a insultare gli dei e viene ucciso.
Lo slegare indica la definitiva libertà dell’uomo dagli dei. Viene messa in crisi la visione divina. Da questo momento l’uomo è buono e la divinità cattiva.
Eschilo partecipò a molti agoni drammatici, a partire dal 498 a.C., ma vinse il suo primo premio solo 15 anni dopo. Raggiunse il successo nel 458 a.C. con la rappresentazione dell'Orestea.
Sofocle nasce ad Atene nel 497 a.C. da una famiglia ricca (al contrario di Eschilo).
Visse l'epoca più felice della democrazia ateniese, quella di Pericle, di cui fu grande amico. Di lui ci restano solo sette tragedie: Aiace, Antigone, Le Trachinie, Edipo Re, Filottete, Elettra ed Edipo a Colorno.
Procede nella riforma del teatro: riveste per la prima volta il solo ruolo di autore, astenendosi dalla recitazione; utilizza più attori oltre al coro, immettendo il terzo ed inizia a costituire un organico artistico cospicuo; privilegia il dialogo dei personaggi, dà notevole importanza alla scenografia, rompe definitivamente l’unità di luogo, ambientando le azioni in posti diversi: questi sono segnalati agli spettatoti dal ruotare di 2 prismi triangolari posti ai lati della scena, sulle facce dei quali sono rappresentati i luoghi interessati dall'azione. Utilizza la parte finale delle sue opere in modo sorprendente per il pubblico: la narrazione della vicenda che si snoda non suggerisce come questa andrà a finire, inventa cioè il colpo di scena. Con lui il teatro si avvia alla conquista di una specificità spettacolare ed espressiva autonoma dalla narrazione del mito e dal contesto religioso e pseudo-religioso. Prevede un nuovo professionismo della scena che parte dalla funzione di autore per arrivare alle più specifiche attività di messa in scena ed espressive.
Sofocle manifesta una intuizione moderna, riguardante la necessità di coltivare buoni rapporti con il potere politico.
-Antigone: questa giovane donna vive nella città di Tebe e ha 2 fratelli che non vanno assolutamente d’accordo, visto che addirittura si ammazzano. Antigone disobbedisce al re che le aveva ordinato di seppellire solo Eteucle e non Polinice. Il Re la scopre e decide di murarla viva e suo marito/fidanzato Emone (figlio del Re) decide di farsi murare con lei; l’indovino Tiresa dice di aprire il muro, il Re lo apre e vede (colpo di scena) Antigone impiccata e suo figlio (del RE) che si suicida con una spada. La divinità è presente quando Antigone decide di seppellire tutti e 2 i fratelli seguendo la legge divina.
Nelle tragedie chi si ribella agli dei fa sempre una brutta fine.
Eschilo, Sofocle e Euripide operano nel corso di 1 secolo.
-Edipo Re: la vicenda si svolge a Tebe e i personaggi sono Edipo e la vedova del re Laio, Giocasta; c’è pestilenza. Gli indovini consigliano di ingraziarsi gli dei, scoprendo come è morto Laio. E’ stato Edipo, che era anche suo figlio; Giocasta era quindi anche sua madre e ciò non era mai venuto a conoscenza di nessuno.
Per il dolore Edipo si strappa gli occhi.
Situazione di incesto, come nelle tribù. Incesto era pratica che però al temo dei greci non era più tollerata.
Gli Dei sono meno, ci sono invece sempre più indovini. sempre meno dei e + uomini capaci di autodeterminare il proprio destino.
Euripide nasce nel 485 a.C. ad Atene da un proprietario terriero. Con lui la tragedia consuma il definitivo distacco dal mondo del mito e degli dei. Il coro vede ridotta ulteriormente la propria funzione a favore dell'intreccio dell'azione tra i singoli personaggi, che aumentano di numero, dando definitivo spazio alla creazione teatrale come arte autonoma. È proprio nell'apogeo della teatralità che si manifestano i primi segni della corruzione della idea di stato, di cultura, di vita, di un sistema di rapporto con il divino che aveva segnato in modo originale l'esperienza ellenica.
Euripide è interprete di questa crisi: sulla scena allarga la funzione dei valori scenografici e d'effetto, introduce la macchina teatrale: un marchingegno mosso dagli uomini tendente a rappresentare l'irrappresentabile, precisa le tecniche della messa in scena. Le sue opere più importanti sono Medea, Le Troiane,Elettra e Le Baccanti.
I suoi personaggi sono figure sole, insidiate dalla vita. Che costituiscono una straordinaria anticipazione della modernità in concomitanza ad una profonda crisi del sistema ateniese.
-Medea: donna bella e intelligente, si innamora di Giasone, che cercava il vello d’oro, con il quale avrebbe governato il mondo; egli lo trova e inizia a titubare nei confronti di Medea e sposa un’altra donna, Creusa. Medea si vendica con una magia: gli abiti di Creusa e dei suoi figli bruciano e quindi muoiono; Giasone vede volare via Medea con un carro trainato da cavalli alati. Non ci sono dei, ma esseri umani ovunque; l’uomo assume dei poteri straordinari. Tutto all’interno della dimensione umana.
-Le Troiane: guerra di Troia, siamo verso la fine; le donne sono in un rifugio fuori città e scoprono che la città è caduta. La fine più brutta spetta alla moglie di Ettore, che diventerà schiava del figlio di Achille, che ucciderà anche sua figlia; Andromaca deve quindi vivere con un uomo che ha ucciso suo marito e suo figlio. Si è in una fase fortemente umanizzata. Finisce il periodo della classicità. In questo periodo si hanno anche gli scontri tra le varie città-stato greche (quelle del Peloponneso).
Ed è sempre in questo periodo che prende luogo la satira, maniera per scrivere poi le commedie.
La civiltà greca è indubbiamente in un periodo di decadenza, non crede più a se stessa e si prende in giro da sola; ride quindi di se stessa.
Vince quindi il desiderio di offrire ai cittadini distrazioni, divertimento.
Lo stato inizia a mostrare disinteresse nei confronti dell'agone drammatico e riduce il suo impegno economico; il suo posto viene preso dai privati, che lo usano per finalità personali, per lo più di autopromozione politica e come segno di distinzione dal punto di vista sociale ed economico. La collettività utilizza il teatro come divertimento, nel senso etimologico del termine divertire, ossia indirizzare altrimenti il corso della propria giornata o della propria vita, per dimenticare quanto non si ama ricordare. Il grande secolo della tragedia si compie, finisce il tempo dell'uomo-bambino, che vive a tu per tu con gli dei, e nasce quello di un uomo che conquista una condizione di coscienza sociale ed individuale moderna. Nel teatro greco, dopo Euripide, il solo grande autore sarà Aristofane e dopo di lui vivrà solo la commedia.
Aristofane nacque vicino ad Atene nel 445 a.C. e in città visse la fase cruciale del crollo della democrazia periclea. Realizza per primo il genere comico in teatro. E’ un conservatore aristocratico che assiste impotente al declino della grandezza della sua città. Assiste con dolore alle guerre del Peloponneso e al drammatico conflitto con Sparta ma nn rinuncia mai al suo spirito carnevalesco. Scrive una quarantina di commedie, di cui ce ne sono giunte una dozzina; alcune sono veri gioielli di sarcasmo, peraltro dotati di virtù liriche. Parla ai cittadini della contemporaneità e nn risparmia nessuno. Le sue sono sì opere comiche ma gli argomenti affrontati sono profondi e riguardano la pace, la condizione femminile, l’onestà politica, il rapporto tra bene e male: alla base della comicità si trovano come sempre gli istinti bassi che risultano però emblematici di condizioni e riflessioni più alte. Le sue più importanti opere giunteci sono: Gli uccelli, Le rane, I cavalieri, Le nuvole, Pluto, Le donne a Parlamento e Lisistrata. I cavalieri è una feroce satira contro il demagogo Cleone, adombrato dietro la figura dell’intrigante e astuto servo Paflagone: nella conquista dei favori di Popolo a lui si oppone il salsicciaio Agoracrito, che ne avrà ragione; ma il destino di Popolo nn cambia perché il salsicciaio nn è migliore di Paflagone. E’ un classico esempio di satira sulla contemporaneità politica. Le rane invece è un vero caso di polemica culturale, anzi addirittura teatrale: Dioniso, dio del teatro, è un grande ammiratore di Euripide e decide di riportarlo sulla terra dopo morto; per questo si consulta con Eracle, esperto di viaggi nell’aldilà, e decide di partire con il suo servo alla ricerca del grande drammaturgo scomparso. Lo trova nell’Ade, dopo aver attraversato il fiume infernale sulla barca del traghettatore Caronte e accompagnato da un coro di rane, ma con lui c’è anche Eschilo; Dioniso li mette allora alla prova e pesa con una bilancia speciale i loro lavori e si convince infine della superiorità artistica di Eschilo.
Il mondo che circonda Aristofane è un mondo in progressivo disfacimento: dopo di lui (morto nel 385 a.C.) esisterà solo la commedia.
Proprio nel momento di massima crisi del teatro greco si cerca di resuscitarne lo splendore attraverso la costruzione di grandiosi teatri, attraverso investimenti economici, per lo più ormai privati, che mai si erano manifestati.
Il professionismo teatrale dilaga: attori, tecnici e autori si riuniscono in potentissime corporazioni tese a garantire la continuità di privilegi sociali maturati dai loro predecessori in epoche culturalmente più felici; i ricchi e i principi commissionano loro opere di intrattenimento per le proprie feste private: il teatro nn è più il momento di autoriconoscimento della collettività, ma solo un’occasione di divertimento.
DALLA GRECIA CLASSICA ALL’EUROPA MEDIOEVALE CRISTIANA, ATTRAVERSO ROMA REPUBBLICANA E IMPERIALE
Il teatro greco muore della sua stessa grandezza, della sua complessità: la polis libera ed autonoma, fiera della sua specificità genera un progresso continuo ma un parallelo conflitto logorante, anche se spesso locale. Di questo logorio Atene morì.
Roma capisce la lezione: dieci secoli di storia testimoniano di una civiltà pragmatica, aristocratica, impegnata solo in grandi successi, dove spesso ricchezza e povertà convivono di malavoglia, in cui nasce il problema di tener quiete delle ingenti plebi urbane strappate alle campagne.
La struttura della teatralità romana era simile a quella greca: in occasione di feste e riti magici viene introdotto nella festa il ludo scenico. Roma aveva problemi assolutamente differenti rispetto a quelli di Atene. Atene è un sistema, necessita di coesione sociale, culturale e religiosa, deve educare i suoi cittadini perchè siano tali; Roma è un impero, questa coesione è una insidia, deve impegnare il tempo dei suoi servi perchè non possano concepire l'idea o il desiderio di essere diversi da ciò che sono. Possiamo definire il teatro romano un teatro circense. Lo spettacolo circense è fatto di una serie di spettacoli successivi posti in sequenza, molto spesso senza alcuna relazione, se non l'aspirazione a stupire il pubblico.
A Roma, nella tarda fase repubblicana e in epoca imperiale, le feste erano oltre 170 ogni anno e in occasione di ognuna si teneva uno spettacolo. Lo spettacolo romano era composito, nel senso che il teatro, limitato alla sola commedia, ne era solo una componente: ne erano invece componente essenziale i ludi gladiatori, la presenza di animali feroci, la morte e le attività sportive. La tragedia fu quasi assente ed ebbe un solo grande interprete, Seneca.
La preoccupazione principale era quella di tenere la plebe urbana impegnata e lontana da ogni rivendicazione di natura sociale.
Le donne presero a calcare le scene a esclusivo favore del loro impresario teatrale, esercitavano parallelamente l'attività della prostituzione. I teatri furono costruiti per rispondere a queste finalità. Queste forme perverse di spettacolo sono lo scenario che si presenta in occasione della rivoluzione culturale che travolge l'impero romano, una delle più grandi rivoluzioni della storia: l’avvento del cristianesimo. Il cristianesimo osteggiò lo spettacolo romano perchè non ne condivideva le forme perverse. Malgrado le numerose riforme apportate in successione dai vari imperatori a proposito dello spettacolo dopo l'ingresso del cristianesimo nella società romana, lo spettacolo di questa civiltà resta uno spettacolo marginale, fortemente sottomesso al potere politico. Le ragioni filosofiche consistono in una differente visione del corpo manifestatasi tra la tradizione greca e la nuova cultura cristiana: nella tradizione greca il corpo era al centro della teatralità; nel cristianesimo il corpo altro non è che il contenitore dell'anima, un ostacolo all'affermazione dello spirito e dei valori che il cristianesimo predica. La teatralità latina perfeziona particolari professionisti teatrali, quali quello del mimo e della pantomima: ne escono artisti di grande valore espressivo che devono fare i conti con un processo di marginalizzazione delle attività teatrali dalle caratteristiche irreversibili e talvolta violente.
IL TEATRO NELL'EUROPA MEDIEVALE CRISTIANA
Il periodo che segue la latinità è contraddistinto dall’egemonia culturale e politica del cristianesimo realizzato e della Chiesa di Roma. I rapporti tra cristianesimo e teatro sono inizialmente pessimi. L’opinione degli studiosi e degli storici fu quella che i secoli del Medioevo (400-1400) furono quelli del buio teatrale. Invece il cristianesimo nn solo tollerò il teatro, ma da un certo momento in poi lo cercò, ne ebbe bisogno. Il rito fondamentale e rinnovato del cristianesimo (la messa) è atto teatrale per eccellenza.
Nel mito le divinità erano il risultato della trasformazione progressiva di uomini, di superuomini e di eroi che avevano un tempo e un luogo di origine; il dio dei cristiani è eterno e nn ha luogo, è ovunque; gli dei del mito preclassico e classico sono figure mosse da sentimenti umani; col dio dei cristiani il rapporto è di natura eminentemente spirituale. Il rapporto dell’uomo con dio nn cambia però così radicalmente come si crede nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Si invocava e si invoca la divinità sostanzialmente perché si ha paura. Il rapporto con dio diventa, col cristianesimo, meno collettivo e più individuale: qualsiasi tempo è il tempo della preghiera, pur se esistono tempi, modi e luoghi canonizzati per quel tipo di azione.
Se Roma, Bisanzio (la nuova capitale dell’Impero) e l’area mediterranea accolgono in tempi più brevi il messaggio cristiano, in tt il resto del mondo allora conosciuto la parola di Dio penetra con maggior lentezza e difficoltà. Non solo: nelle aree di più problematica penetrazione, si organizzano sacche di resistenza alla nuova religione. Il problema è la Chiesa, cioè la struttura di governo temporale di una realtà spirituale planetaria: essa deve procedere all’evangelizzazione del mondo in tempi brevi e deve quindi concepire forme di integrazione tra i propri riti e le precedenti forme di ritualità presenti sul territorio. Il Natale ad es. si festeggiava anche prima di Cristo, il solstizio d’inverno che venne poi canonizzato dai romani come festa del Sole (Natalis Solis invicti). Nel lungo e faticoso processo di evangelizzazione dei culti pagani, la Chiesa di Roma decise di sostituire la festività dedicata alla rinascita del dio Sole con quella dedicata alla nascita del figlio di Dio. Il primo Natale cristiano ufficiale venne festeggiato nel IV secolo d.C. Emerge quindi come il tempo della festa resti immutato nei millenni, pur cambiando nome e ragione, nella sua collocazione annuale. Quindi la festa anche in epoca medievale sopravvive, anzi si canonizza secondo nuove caratteristiche immesse dal cristianesimo. Il Medioevo dura circa dieci secoli e quindi manifesta differenti tendenze a seconda delle epoche. All’inizio una componente fondamentale del professionismo teatrale è fatta da formazioni di giro: queste compagnie girano le feste dei paesi e dei villaggi, campano quasi di elemosina, si accorpano ai mercati; lo spettacolo è fatto di brevi commedie grossolane; i teatranti fanno sì che sopravviva una pratica antica, anche se ormai distaccata dalla nobiltà della grande commedia. Lentamente le corti riprendono a incuriosirsi di queste forme di spettacolo, selezionando gli artisti migliori, anche se l’argomento delle rappresentazioni, in omaggio alla nuova religione, è eminentemente sacro, evangelico o biblico. La sacra rappresentazione è quella che fa rincontrare i poeti col teatro: i migliori letterati si mettono a scrivere laudi, contrasti, vicende della vita di Cristo o dei Santi drammatizzate, offrendo, come ha sempre fatto il teatro, una interpretazione molto umana delle vicende divine. La lauda di Jacopone da Todi Donna de Paradiso è la ricostruzione del tormento di Maria allorché Gesù viene messo in croce. Il dolore di Maria si esprime in termini nn divini, ma assolutamente umani. Molte ricostruzioni di vicende evangeliche vengono realizzate in forma sofisticata e colta all’interno dei monasteri. In essi si approfondiva la filosofia cristiana in forma di rapporto con il territorio e con una relativa autonomia dalla Chiesa di Roma. Secoli dopo l’ordine benedettino nasce quello francescano, a opera di S. Francesco d’Assisi; quest’ordine ha un’importanza rilevantissima anche per la teatralità: Francesco dà vita a messe drammatizzate in occasione delle quali vengono ricostruiti ancora episodi della vita di Gesù, primo fra tt la nascita; si tratta di veri e propri presepi viventi, che vengono realizzati una volta all’anno in occasione delle festività natalizie. Queste teatralizzazioni della funzione rituale più sacra del cristianesimo nn vengono viste di buon occhio dalla Chiesa di Roma, ma Francesco sa che il processo di penetrazione della nuova fede necessita anche di queste concessioni popolari e tradizionali al gusto e alle abitudini della gente. La messa è atto teatrale per eccellenza. In occasione di essa una comunità omogenea culturalmente si riunisce ed evoca la divinità; questa divinità si manifesta concretamente (nella messa vi sn il corpo e il sangue di Cristo) e viene accolta dalla collettività terrena secondo modalità festive e rituali che, antropologicamente, richiamano l’arcaicità: il sacrificio e la pratica dell’antropofagia. Nella messa cristiana, così come nell’antico rito arcaico, viene evocato un soggetto che nn è presente e che nel corso della cerimonia si manifesta in corpo e spirito, in maniera credibile per coloro che osservano e partecipano al rituale: questa è l’essenza del teatro, specialmente prima che esso diventi a tt gli effetti spettacolo e quindi prodotto di consumo. Dopo l’anno 1000 la poesia letteraria torna ad avvicinarsi alla pratica teatrale, generando contaminazioni. Si creano forme parateatrali nelle quali la poesia viene detta o letta più che recitata e messa in scena drammaticamente. In questa pratica eccelle una figura particolare di uomo di scena e di poesia, il trovatore, originario del sud della Francia, è un artista con sensibilità e cultura precise, dotato del talento di scrivere versi e di esternarli a voce davanti a un pubblico che diventa quello più attento delle corti e dei cenacoli culturali. Siamo all’inizio del 1200. Nel Medioevo, quindi per dieci secoli, nn si costruiscono teatri di nessun tipo. Ciò comporta che la rinascita della pratica teatrale nn trova edifici adatti alla sua specifica espressività. Quindi il teatro comincia a riproporre grandiosi spettacoli nel tessuto urbano delle città, dando vita alle prime forme di teatro urbano. Le città hanno ormai caratteristiche architettoniche e urbanistiche diverse dal modello romano: esse vengono costruite con il preciso intento di somigliare a chi le abita. Nell’epoca dell’Umanesimo (1300 e 1400) il fenomeno del teatro urbano è assai diffuso e genera gioielli che nn avrebbero mai più avuto vita in seguito: protagonisti ne sn gli architetti o artisti con sensibilità figurativa, come pittori e scultori. Intere città diventano scene en plein air e vengono addobbate in modo sontuoso, a carico dei Signori delle stesse città, compresa la corte papale, che diventa uno dei maggiori committenti d’arte dell’Italia tardo medievale e successiva. L’azione teatrale si tiene in luoghi diversi della città, talora anche contemporaneamente: i temi sono una sorta di contaminazione tra la religiosità di tradizione medievale e una riscoperta dei miti classici. A Firenze si recitano drammi sacri, che si servono in larga misura di macchine teatrali, realizzate in forma sofisticatissima dagli architetti-ingegneri (apparatori); ma si rappresentano anche drammi festivi profani, come il celebre contrasto tra Quaresima e Carnevale. Con questi eventi si realizza un recupero di sensibilità pagana che è cmq una componente originaria dell’arte teatrale. Al teatro medievale bisogna riconoscere il merito di aver alimentato a lungo quella fiamma dell’arte della scena che pareva aver concluso il suo ciclo con la tarda romanità e con l’affermazione del cristianesimo. Addirittura il cristianesimo stesso, in forme diverse, ricorre al teatro nel processo di evangelizzazione dell’Europa. Nel ‘400 quindi le grandi folle cittadine sono di nuovo nelle piazze a vedere il teatro. Di lì a poco, in un’Europa che laicizza la propria tradizione cristiana, si ricominceranno a costruire gli edifici teatrali.
LO SPETTACOLO NEL RINASCIMENTO ITALIANO FINO ALLA CONTRORIFORMA
1500
Prospettiva applicata alla scenografia
Si conferma la cultura esoterica e magica
Nascita del melodramma
Vera protagonista è la festa barocca
Progressivo distacco culturale dei popoli dall’attività agricola e dalla campagna.
L’uomo rinascimentale e alchemico è fondamentalmente malinconico.
Mentre la città si afferma come centro del nuovo sistema culturale, l’arte recupera la dimensione agreste sotto forma di mito, nn solo per gli scenari naturali, ma anche e sopratt per la dimensione della sua umanità.
Protagonisti del teatro divengono i contadini e la gente semplice, che si contrappongono proprio al modello di uomo che il rinascimento andava formando.
Giovanni Della Casa scrive il Galateo.
Il Ruzante scrive i suoi testi in dialetto padano-veneto in parte reale e in parte fantastico, con la sua opera lancia un ponte interclassista tra umili e potenti. Conosce due fasi produttive: una dove si manifesta quella tendenza originalissima che si è detta, l’altra in cui cerca di percorrere il corso della commedia a imitazione della classicità latina. Alla prima fase appartiene il Parlamento, ambientato a Venezia. La Moscheta è invece il suo miglior tentativo di commedia classica, ispirata ai modelli latini di Plauto e Terenzio.
Qst tema del rapporto città-campagna, del conflitto tra semplicità e complessità torna anche in 2 importanti autori di pastorali: Agnolo Poliziano e Torquato Tasso. La pastorale è un genere teatrale contrassegnato dall’ambientazione bucolica. Tra gli autori di commedie vi sn invece Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli. Poliziano scrive veri e propri capolavori del genere pastorale: il più celebre è la Favola di Orfeo. In essa comincia a farsi strada quell’uso della partitura musicale come linguaggio autonomo e talora prevalente sul testo teatrale che prelude alla nascita del melodramma. Il principio ispiratore è quello dell’evasione dal mondo cittadino, concepita come evasione dal mondo urbano e di corte. Tasso ci lascia per il teatro una pastorale, l’Aminta; così come nell’Orfeo del Poliziano, la dimensione bucolica è evocata anche tramite la costruzione di intrecci amorosi. Queste opere contengono il sogno di una fuga dalla realtà per andarsi a rifugiare in un’altra che abbia però caratteristiche simili. Ariosto compone commedie teatrali: Cassaria, I suppositi, Il negromante, La Lena, legate come luogo di rappresentazione alla corte estense. In Cassaria cominciano a farsi strada dei caratteri comici, si cominciano a intravedere i pilastri dell’altra manifestazione fondamentale della teatralità italiana dell’epoca, cioè la Commedia dell’Arte. La Lena è la sua opera teatrale migliore, anche se nn ha lo spessore e la forza poetica del suo capolavoro, l’Orlando furioso che, pur nn nascendo per il teatro, ne nutrirà lo sviluppo per secoli, generando messe in scena indimenticabili. Machiavelli è autore di una famosa commedia nella quale riassume in termini poetici il suo pensiero espresso in altre opere, è La Mandragola. In essa si celebra l’assenza di moralismo e la corruttibilità di ogni essere.
L’altro argomento dell’epoca è quello della prospettiva. Ora accade che l’effetto prospettico venga raggiunto artificialmente su dimensioni ove può realizzarsi solo in maniera illusoria: quelle dell’edificio teatrale. Prospettiva scenografica: rendere evidente la tridimensionalità su una superficie piana. Tra gli artisti che si impegnano a realizzare scenografie teatrali vi è addirittura Raffaello Sanzio. La più complessa articolazione di soluzioni relative all’illusione prospettica si raggiunge però nel Seicento.
L’uomo del rinascimento riprende a costruire teatri: in quest’epoca ne vengono realizzati di formidabili e meravigliosi, che sn tutt’ora testimonianza della profondità della ricerca scenografica e spaziale applicata alla teatralità che si manifestò allora. Il più celebre è forse il Teatro Olimpico di Vicenza. Il teatro, dal Medioevo in poi pensato per occupare le corti, rientra nel suo edificio: ciò consente un’ampiezza di soluzioni sceniche e scenografiche, di artifici tecnici sino ad allora negati. La straordinaria attenzione agli aspetti formali e visuali della teatralità mette in un angolo la drammaturgia, per cui, mentre l’Italia esprime architetti, scenografi e apparatori, il resto d’Europa esprime geni ineguagliati della drammaturgia e della scena: Cervantes, Molière, Racine, Shakespeare. Il melodramma nasce invece alla fine del ‘500, dal tentativo d’ambiente fiorentino di restaurare, con i suoi caratteri originali, la tragedia greca, intesa come sintesi tra parola poetica, musica e danza. Sostanzialmente il risultato è quello di una teatralità nella quale la musica sopraffà la parola. Il melodramma raggiunge i suoi vertici con Claudio Monteverdi, di cui ci restano 3 opere: Orfeo, il Ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea. Ma vera regina di quest’epoca fu la festa, che nel ‘600 divenne a tutti gli effetti festa barocca. Roma ne fu la capitale. Nel Rinascimento fiorentino tra il ‘400 e il ‘500 le feste, specie quelle carnevalesche, conobbero una completa e complessa stagione, che contribuì alla costruzione del mito della Firenze rinascimentale come luogo ed età dell’oro della festa.
La festa barocca comprende gioco e spettacolo codificato e feste di strada. Eventi che coniugano lusso, potere e partecipazione popolare. Il barocco rinuncia alla parola a favore dello stupore, dell’inconsueto, del fantastico, come puro gusto sperimentale. La festa intesa come genere di spettacolo si afferma anche in altre città: fenomeno formale estremo ne fu la naumachia, vera e propria battaglia navale agita su bacini naturali o artificiali o addirittura in normali palazzi.
LA CACCIA ALLE STREGHE
L'affermarsi progressivo di ogni cultura dominante tenta di azzerare o di marginalizzare le conquiste, le convinzioni, le conoscenze, talora anche le testimonianze che citano le precedenti. È chiaro che la cultura dominata tenta di riorganizzarsi in sacche di resistenza, organizzando quelli che vennero definiti atteggiamenti eretici. L'esistenza di culture parallele che assorbono progressivamente piccola o grande parte della visione del mondo delle culture dominanti. L'esempio più chiaro è quello del Natale: si sa che quello cristiano venne celebrato ufficialmente in tutto il territorio evangelizzato del IV secolo d.C; di fatto però in quella ricorrenza qualcuno celebrava una cosa e altri un'altra anche se il nome della festa era lo stesso. Nelle società arcaiche, depositarie del potere erano le donne che avevano il compito di praticare e tramandare quelle conoscenze che oggi appaiono elementari. Si era in presenza di una società a segno fortemente patriarcale. E’ il passaggio dalla condizione nomade a quella stanziale, che prevede una forte conoscenza del territorio e una puntuale capacità di interpretarne i segni, che delinea il passaggio da una organizzazione sociale basata sulla figura della grande madre arcaica a una che pone al centro dell'organizzazione sociale il dio della guerra, il maschio. Il testimone del comando passa in mano agli uomini: il segno più chiaro di tutto ciò è l’esclusione delle donne dalla gestione delle pratiche di culto. Questo passaggio raggiunge la sua forma più piena e completa, nell'occidente mediterraneo, con l'organizzazione della società greca nell'Attica. In epoca rinascimentale questa sorta di controcultura magica o parallela si è solidificata attraverso oltre 2000 anni di storia. Le culture alternative venivano dette magiche, conservavano dignità parascientifica sufficiente da poter coltivare adepti e da mostrare efficacia di risultati. Nelle campagne e nei territori di confine la pratica medica restò alle donne. Come in ogni cultura, anche nella controcultura magica si venne affermando una forma “alta”, che veniva praticata dagli uomini e una bassa praticata dalla donne, le streghe. I maschi lavoravano al concetto di trasformazione dell'animo umano attraverso il limite simbolico reale dell'alchimia. Il mago metteva a disposizione del Signore della corte il suo sapere e da lui veniva finanziato al fine di trasformare il metallo in oro (alchimia). Ma questa trasformazione potrà avvenire solo se avveniva una analoga trasformazione dell'animo umano. Le streghe non ebbero mai udienza a corte e continuarono a praticare le loro arti in ambiti sociali marginali. È evidente che questo fenomeno, che produce numerose eresie religiose, entra presto o tardi nel mirino della Chiesa di Roma e di altre Chiese nazionali: si forma il Tribunale dell’Inquisizione. La preoccupazione della Chiesa cristiana era evidente: lasciare libero campo a questo tipo di intendimenti minava alla base i principi e l'organizzazione ecclesiastica ed era quindi meglio intervenire subito.
Le due inquisizioni principali furono quella romana e quella spagnola. L'inquisizione spagnola avvenuta ad opera del cardinale Torquemada ripristinò la tortura come metodo di indagine e diede vita al fenomeno della caccia alle streghe.
Parallelamente al tribunale dell'inquisizione risultò ancor più decisivo il progresso scientifico, che si affermò con tale irruenza da cancellare ogni pratica magica e misterica, anche se sopravvive un notevole interesse nei confronti dell'esoterismo. Appare evidente che lo scientismo non ha risolto le domande latenti che abitano la mente e il cuore degli uomini.
Tentare di definire rapporti, connessioni o addirittura identità tra teatro e streghe comporta la comune acquisizione di una premessa fondamentale: se è indubitabile che sia esistito e possa ancora esistere un teatro delle origini dobbiamo dare per scontato che sia esistito il sabba. Il teatro è festa, il sabba è festa. In entrambe le circostanze un gruppo si ritrova, conferma la propria identità ed integrità, celebra i suoi valori di riferimento. Possiamo sviluppare un percorso più lungo, lungo il quale si appalesano degli snodi. PRATICA ESOTERICA – EVOCAZIONE – RITO – SENSO DEL SACRO – FESTA. Definire il rapporto tra teatralità e stregoneria impone di addentrarsi in quella sorta di territorio di mezzo tra i due ambiti che è la pratica esoterica. Alla base della pratica esoterica sta una regola che consiste nel patto tacitamente o no stipulato tra i praticanti. Questa segretezza risponde in fondo al postulato di una segretezza immane diffusa nell’universo. Il segreto è il patrimonio comune della collettività: ciò che ci unisce determina la nostra appartenenza a un gruppo: in qualche modo quella religio che unificava il sentire della società arcaica.
Il tratto fondamentale della pratica esoterica è la chiusura verso l'esterno, condizione necessaria per giungere al secondo passaggio del ragionamento, che è quello dell'evocazione, altro tratto caratterizzante dell'esoterismo sono i segni simbolici che variano a seconda delle epoche e delle forme: le forme della pratica esoterica sono i riti di iniziazione. La condizione evocativa si manifesta richiamando ad uso e consumo degli astanti e del soggetto evocato, qualcosa o qualcuno che non è normalmente presente nel nostro mondo.
Le forme dell'evocazione spesso confinano e a volte coincidono con le forze dell'arte: il valore di ogni atto o operazione di natura artistica consiste nel suo porsi in relazione con il SEGRETO o addirittura consiste nel disvelarlo. Il tempo in cui il segreto viene disvelato od evocato è il tempo del rito. Il rito è l'atto che, seguendo regole rigide e sempre eguali, crea l'occasione tecnica di ACCOSTAMENTO AL SACRO. È evidente che per entrare in contatto con la dimensione del sacro è necessario che qualcuno faccia da tramite tra le due dimensioni: è il caso del sacerdote.
La funzione del momento rituale è quella di incanalare l'esperienza evocativa in una sorta di disegno di praticabilità quotidiana e di rassicurazione sociale. Attraverso il rito l'uomo affronta i momenti salienti della propria esistenza. Il rito adempie ad una funzione difensiva a livello individuale e collettivo. Il RITO è FESTA: LA FESTA è L'ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL RITO, che si qualifica come momento di passaggio e tempo in cui viene costruita o ricostruita l'identità collettiva. Ecco emergere le prime connessioni e identità tra la teatralità, forma archetipa del rito e la pratica esoterica. Le streghe lo facevano durante il SABBA, festa per eccellenza , ma anche durante i rituali della nascita, della cura del corpo, dei tempi divinatori. Le streghe attraverso questa ultima capacità dichiaravano la capacità di entrare in rapporto con il sacro. Esiste un altro elemento di identificazione tra teatro ed esoterismo: teniamo conto della organizzazione primigenia, ossia la tribù che si riuniva intorno al fuoco, FUNZIONE RELIGIOSA, PRATICA EVOCATIVA E TEATRALITA' AVVENIVANO CONTEMPORANEAMENTE E COSTITUIVANO UN UNICO RITO FESTIVO. Non sappiamo se le streghe andassero al sabba volando, se fosse una esperienza allucinogena se, e con che caratteristiche, si tenesse. STA DI FATTO CHE IL TEATRO è ARTE EVOCATIVA PER ECCELLENZA E QUESTO è ESATTAMENTE QUANTO ACCADE NEL SABBA: ENTRAMBI I MOMENTI PONGONO IN CONNESSIONE IL GRUPPO CON IL SACRO, CONSENTONO DI PARLARE CON L'ALDILA', CONSENTONO DI RICHIAMARE I MORTI.
Ecco l'elemento di comunione tra teatro e stregoneria, ecco l'elemento della festa come episodio di relazione con il sacro, con la diversità: il sabba e il teatro risultano lo strumento attraverso cui il sacro compie la propria irruzione nel quotidiano.
Vd esempio Shakepeare /Miller pag 56
LA COMMEDIA DELL'ARTE
Dà vita alla TEATRALITÀ SENZA LUOGO DI RAPPRESENTAZIONE E SENZA TESTO DA RAPPRESENTARE. La datiamo dalla metà del '400 fino a Goldoni, ossia fino alla fine del '700. La si disse FASE DEL TEATRO ALL'IMPROVVISO, un teatro di attore e non di autore, basato essenzialmente sull'improvvisazione e sull'invenzione dell'interprete. Gli attori erano soggetti che elaboravano per un pubblico semplice recite semplici, in grado di aiutarli a risolvere il problema della sopravvivenza. Nel silenzio della cultura marginale, essi lavorarono per due secoli, trasmettendosi saperi scenici, segreti del mestiere, furbizie circa l'opportunità o meno di rappresentare certe scene in certi luoghi. Ricostituiscono una categoria sociale e professionale ampia e agguerrita, vero medium diffuso dell'epoca, avendo elaborato conoscenze sul comportamento di scena messe alla prova da migliaia di rappresentazioni in ambienti ostili, disattenti, polemici. I loro spettatori erano contadini stanchi che rientravano dai campi, massaie che dovevano tornare a casa a preparare da mangiare....è chiaro che catturare l'attenzione di questo mondo, affascinarlo, tenerlo in piedi a guardare storie che lo riguardano marginalmente è difficilissimo. Ma questi attori ci riescono. È vero che la commedia dell'arte è teatro d'attore e ha una forte vena popolare. A metà del '500 è appena nata: prima c'era solo quel coacervo di itineranza, fame, desiderio di fare vita stravagante che era il professionismo teatrale. In commedia dell'arte quest'ultima parola sta per mestiere: è quindi un teatro di professionisti, un teatro che poteva essere fatto non dal poeta ma da soggetti che quello e solo quello facevano ogni giorno. In quanto tale la commedia dell'arte si costituisce professionalmente: le compagnie, a partire da metà del '500, sono regolarmente registrate presso uno studio notarile, sono composte a lungo dalle stesse persone, hanno un capocomico che funge da regista, maestro di recitazione, amministratore, quando serve da drammaturgo. Parallelamente a questo tipo di organizzazione si crea un mercato del teatro, nel quale diventa prodotto vendibile e ripetibile. Si tratta di un mercato grande e ricco. Sino a metà del '700 molte di queste compagnie restano a dividersi tra piccole feste paesane e altre, le più famose e migliori, girano per le corti europee. Molti attori diventano intimi di re, di signori, di grandi possidenti, grazie alla loro capacità di divertirli e così si arricchiscono. Tra i due estremi esiste un terzo polo che appaga il diffuso professionismo: si iniziano in Italia ad aprire luoghi pubblici, i TEATRI, in cui chiunque può assistere a spettacoli a pagamento.
Sull' IMPROVVISAZIONE bisogna sfatare un mito che per troppo tempo ha albergato nelle convinzioni degli storici del teatro: non è vero che questi attori andavano in scena senza avere idea di cosa sarebbe accaduto e che giungevano a configurare un lieto fine. I comici dell'arte memorizzavano parti lunghissime, facevano training fisico quotidiano per essere sempre in grado di esibirsi nel repertorio acrobatico, approntavano costantemente gi strumenti di scena, miglioravano i costumi, costruivano maschere, scrivevano testi, provavano lo spettacolo vero e proprio. La pratica dell'improvvisazione deriva da particolarissime abilità che questi attori mostravano allorchè erano chiamati a recitare in paesi lontani, in corti straniere dove era giunta la loro fama. Interi brani di spettacolo ed intere scenografie venivano sostituite da fasi dell'esibizione che non avevano particolare collegamento con il resto della storia narrata ma erano puri momenti di acrobatica o pezzi di repertorio parlato in cui gli attori immettevano riferimenti alla politica italiana o alla loro vita privata in quanto gli spettatori nn comprendevano ciò che dicevano. Il problema del REPERTORIO fu IMPORTANTISSIMO: quella dei comici dell'arte fu una COMMEDIA DEI CARATTERI ed i CARATTERI furono ben presto canonizzati (vecchio ricco e brontolone, servo astuto ed affamato, figlio giovane, scioperato e dissipatore...). Dopo qualche tempo i caratteri divennero MASCHERE e molte di esse vennero rese tipiche di questa o quella città (Brighella – BG; Arlecchino – VE; Pulcinella – NA). Ogni attore, a seconda della vocazione, del fisico ma soprattutto dell'età, si specializzava in un carattere, quindi in una maschera. Più complesso l'ASPETTO ESOTERICO della Commedia e dei suoi caratteri, a parte l'utilizzo da parte dei comici di alcuni testi di DALLA PORTA o la maggiore o minore vicinanza degli attori alle pratiche alchemiche od esoteriche (Vd es. Pulcinella e Arlecchino). Le DONNE RIAPPAIONO SULLA SCENA. Dopo il Concilio di Trento, Pio V ingaggia una fiera lotta contro la prostituzione a Roma, perseguita molte professioniste e queste trovano un nuovo lavoro nel teatro.
È alla prima metà del 700 che interviene Goldoni, il quale conferma la bellezza della commedia dell’arte recitata dai grandi attori. Riconosce che se invece rappresentata da chi non ne ha tanta voglia la commedia dell’arte muore. Come fare per non farla morire? Goldoni decide di scrivere le commedie; non si improvviserà più ma si dirà il testo precedentemente scritto.
Questo riforma in maniera significativa la commedia dell’arte, che nel 700 ritorna teatro d’autore.
Goldoni nasce nel 1707 a Venezia. Figlio di un vecchio avvocato, che non vede altra sorte per lui se non che continui la sua carriera. Non eccelle a scuola, allora giunto in età di scolarità media lo manda fuori da Venezia. Problema di Goldoni era l’estrema passione per le femmine, che lo faceva distrarre.
Una delle sue opere più famose si chiama le “baruffe chiozzotte”, tante storie che avvengono per le vie di Chioggia. Quando sarà in questa città, dopo essere andato a Rimini, entra a far parte di una compagnia teatrale. Padre lo recupera e lo manda a Pavia, al celeberrimo Collegio Ghisleri dove continua gli studi di avvocato. Anche qui continua il suo vizio e scrive una corposa poesia comica, dove denuncia i vizi e la corruzione morale delle donne pavesi. Questa fa il giro della città e lo cacciano. Torna quindi a Venezia. Nel frattempo muore suo Padre, unica fonte di sostentamento di Carlo. Nel 1731 diventa quindi avvocato e inizia ad esercitare la professione. Casualmente dovrà lavorare per il casellario giudiziale di Chioggia. Ma il ragazzo ha passione straordinaria per la scrittura e scrive due tragedie noiosissime, le quali vengono rappresentate in teatro x scarso successo, ma sufficiente per il quale gli venne da parte di una compagnia l’invito di diventare poeta ufficiale di questa compagnia. Decide di seguire questa strada, gira l’Italia, e scrive bellissime commedie per la Compagnia Imer. Segue la tournée di questa compagnia fino che a Genova s’innamora di una donna e la sposa. Entrambi seguono la compagnia. Successo riportato da commedie di Goldoni, convincono il più importante impresario teatrale veneziano, Menebac, di fare un’offerta a Goldoni. Questo aveva anche un teatro. E gli propone di fare poeta ufficiale di questo teatro. Incredibile salto di qualità lavorativa. A Goldoni la cosa non spiace affatto, anche perché gli da la possibilità di stare fisso nella sua città ed inizia un 15ennio nel quale Goldoni dà fondo alla sua straordinaria verve produttiva e scrive tutte le commedie note a noi oggi. La più importante è “L’Arlecchino servitore di due pardoni”, dove l’arlecchino era interpretato da Moretti, il più grande attore dei tempi.
Sono commedie fortemente popolari, scritte in dialetto veneziano che è solo una piccola storpiatura dell’italiano. Vuol fare capire che i personaggi sono veneziani ma chiunque capisce quello che viene detto. Caratteristica principale è un forte realismo; non fa altro che affacciarsi alla finestra e scrivere ciò che vede: es. l’ostessa che invita il cliente, il servo combina guai, il vecchio padre fesso, ecc… vede tutti questi episodi quotidiani della piccola borghesia veneziana che viveva vicino al popolo. Quindi tendenza fortemente realistica.
Successo strepitoso, ma accanto ha un detrattore: il conte Carlo Gozzi. Questo era un drammaturgo, il quale voleva scrivere in maniera diversa di come lo faceva Goldoni, voleva attingere a un universo di fantasia nel quale gli animali parlavano fra loro o con gli uomini, cercava il prevalere del fantastico sul realistico.
È facilissimo storpiare rappresentazioni teatrali, basta pagare qualcuno che fischi, tiri un uovo in scena e queste rappresentazioni vanno male. Gozzi mina criticamente e praticamente l’autorevolezza artistica di Goldoni. Per un momento Goldoni reagisce, poi capisce che non ne vale la pena. Intanto gli arriva una proposta straordinaria del Re di Francia: nomina a direttore principale della “Commedié Francais”, il più importante teatro europeo. Poi gli viene proposto anche il ruolo d’istitutore di lingua italiana delle sue 2 sorelle. Il tutto vivendo a Versaille.
Quindi decide di prendere sua moglie e di andarsene a Parigi, dove inizialmente le cose vanno molto bene. Scrive alcune opere importantissime, tra cui “Il Malato Immaginario”, storia di un ipocondriaco, elemento di straordinaria comicità.
Quando è a Parigi, arriva il 1789 e la cosa non è senza conseguente per Goldoni. Intanto perché tagliano la testa al suo datore di lavoro. Rivoluzione francese.
Il povero Goldoni, al quale non interessava la politica, è miracolosamente vivo, ma gli viene tolto tutto. Iniziano anni difficili, anche perché ha 82 anni, si ritrova senza casa e senza pensione (ridatagli da Napoleone dopo pochi anni), e nel 1792 muore.
Muore genio, che ha riformato la grande tradizione della commedia dell’arte, che quindi finisce. Si chiude definitivamente, ma resta in ogni caso un patrimonio. Resta, ma non è più praticata con le caratteristiche tradizionali.
IL TEATRO NELLE SOCIETA’ BORGHESI: PERCORSO TRA DUE RIVOLUZIONI
Con Vittorio Alfieri il teatro comincia a diventare strumento di lotta politica. Egli percepisce il problema di fondo europeo, che è quello della libertà e dell’indipendenza delle comunità nazionali, oppresse da regimi imperiali sopranazionali che nn riconoscono le specificità culturali e sociali dei singoli popoli.
Ma la figura che domina la cultura europea, teatrale e nn, della seconda metà del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento è quella del romantico Wolfgang Goethe.
Quando parliamo di teatro nelle società borghesi parliamo di modelli di teatro nazionale o di teatro psicologico.
Di fatto il teatro, sia nell’Ottocento che nel Novecento, diventa una voce contro, una forma di critica dall’interno dei contenuti della società che lo esprime. La borghesia è la prima classe dominante che ammette una critica che nasca dal proprio interno; questo fenomeno riduce gli spazi della controcultura tendendo piuttosto a popolarizzare il valore d’uso dello spettacolo, allargandolo progressivamente anche alle fasce più marginali della popolazione.
Specialmente in Italia, le forme di teatro che si affermano sono forme che possono essere condivise da fasce molto ampie di pubblico.
L’Ottocento è segnato dalla Rivoluzione francese scoppiata nel 1789 e andando da una rivoluzione all’altra, possiamo dire che finisca nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre.
La drammaturgia tende ormai a confondersi con la letteratura e nn esiste quasi più il drammaturgo puro. La drammaturgia c’è ma il meglio del secolo lo dà la letteratura; il teatro diventa un’altra cosa.
Gli USA, appena affacciatisi alla scena della storia e della cultura, inventano subito l’industria dello spettacolo (fine Ottocento: Broadway come centro pulsante del sistema teatrale americano).
La festa si riaffaccia all’Ottocento in epoca napoleonica. La pratica festiva si manifesta come veicolo del consenso e della formazione dei cittadini. Gli intellettuali della corte napoleonica capiscono che il teatro è il medium più diffuso ed efficace per raggiungere i cittadini, quindi moltiplicano le feste. Le componenti fondamentali dell’evento festivo napoleonico sono: la parata militare, il teatro, le lezioni di storia, cibo e vino gratuiti e infine la pirotecnica. Queste feste si tengono in tutti i paesi nei quali il regime napoleonico è arrivato e si è affermato. D’ora in poi tutti i regimi con un’adesione popolare traballante useranno la festa come strumento di manipolazione del consenso, privandola di quel suo tratto primigenio che era il costituirsi a momento di autoriconoscimento della collettività. La festa si trasforma così in show and political business.
L’Ottocento è anche il secolo del grande attore italiano. Questa eccellenza riposa sulla grande tradizione della Commedia dell’Arte. Con l’avvento dell’unità nazionale del 1861 si verifica un certo gradimento dello Stato nei confronti della stabilità organizzativa delle Compagnie, purchè recitino in lingua nazionale. Si verificano perciò i primi tentativi di stabilizzazione delle compagnie da parte delle Autorità pubbliche, attraverso la concessione di contributi e sovvenzioni. Come logica reazione, quasi ogni città e regione si inventa o recupera un teatro dialettale. Il grande attore italiano si muove pertanto tra lingua nazionale e dialetto, molto spesso eccellendo in entrambi. Si tratta di attori che talora si fanno anche autori. Siamo però alla vigilia di un fatto che cambierà la vita e la professione dell’attore teatrale e di tutto il sistema di funzionamento del teatro: la nascita e l’affermazione del cinematografo.
Nell’Ottocento si appalesano anche i primi grandi e organici teorici della scena, relativamente agli aspetti della regia, della recitazione e dell’uso delle tecniche scenografiche. Sono i veri filosofi rivoluzionari della teatralità (nn sono italiani). Il primo è Richard Wagner: in “Opera e dramma” del 1851 recupera l’idea di rappresentazione spettacolare come rito. Egli rimanda a un “metodo di lavoro per la creazione dello spettacolo”; arriva a definire il teatro come arte di sintesi di altre arti.
Il teatro, dopo secoli, possiede finalmente una sua teoresi estetica precisa e definita.
Ebbero rilevanti riflessi sul teatro e anche sul cinema il pensiero e l’azione di un altro grande teorico dello spettacolo, il russo Konstantin Stanislavskij. Egli arriva a sistematizzare i principi del lavoro dell’attore. Fonda nel 1898 il Teatro d’Arte di Mosca e, nel 1927, esplicita il suo metodo circa le tecniche della recitazione, ma soprattutto della preparazione alla recitazione; il metodo è semplice: l’attore nn deve interpretare ma vivere la sua parte. Il “metodo Stanislavskij” diviene nel Novecento una vera e propria Bibbia dell’arte scenica e avrà grandi influenze anche sul cinema.
La forma egemone del teatro nell’Ottocento e nel Novecento è l’opera lirica (il melodramma: melos e drama, cioè musica e azione scenica). Viene a comprendere anche forme particolari della teatralità, come la danza e il balletto.
Nella sostanza la realizzazione dell’opera lirica è oggi sottoposta a due tipi di direzione: quella scenica (il regista) e quella musicale (il direttore d’orchestra).
TEATRO E NUOVI SPETTACOLI: IL NOVECENTO
Nel 1895 nasce il cinema come metodo tecnico e nn ci mette molto a diventare la principale industria mondiale della comunicazione. Esistono produzioni cinematografiche nazionali europee ma gli americani sono più bravi. In pochi anni il cinema diventa il più efficace strumento di penetrazione dell’american way of life in tutto il pianeta. Italia e Germania, in pieno regime nazi-fascista, chiudono le frontiere al prodotto cinematografico statunitense; Mussolini cerca di organizzarsi e fonda nel 1937 Cinecittà come risposta a Hollywood. Egli crede alle capacità propagandistiche della nuova arte e ha ragione. Ancor prima della fine della guerra però la cinematografia americana invade l’Europa. Film di guerra, western, agiografie del modo di vivere americano, la comicità colta e il giallo rendono il cinema americano lo spettacolo principe del Novecento. In Italia nascono due filoni che affermano un modo straordinario di concepire la “via italiana al cinema” dopo il conflitto: il neorealismo e la commedia all’italiana.
Col trascorrere dei decenni la produzione americana diminuisce di quantità, ma gli investimenti economici sulle singole produzioni sono talmente rilevanti da non consentire di fatto alcuna reale concorrenza da parte delle altre cinematografie nazionali.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta entra nelle case degli europei un nuovo e formidabile medium, la televisione. Essa consente “la diretta” e scavalca il rapporto che la gente ha col teatro e col cinema perché con lei nn è più necessario andare in cerca di spettacolo, è lo spettacolo che va fin dentro le case.
I fenomeni che hanno segnato l’esperienza teatrale del Novecento sono: la definitiva consacrazione del ruolo della regia, l’affermazione del teatro americano nelle sue due fondamentali versioni (on e off Broadway), il rapporto tra teatro e lotta politica, la vicenda del finanziamento pubblico alle attività teatrali e la riappropriazione, da parte del teatro, della strada e degli spazi aperti.
Il desiderio di ridare vitalità a una disciplina artistica irrinunciabile, il bisogno segreto dell’uomo di essere davanti a un suo simile in carne ed ossa, fa sì che il teatro viva ancora. Ciò che contraddistingue il consumo di teatro oggi è il desiderio di sottolineare la propria diversità rispetto all’utente di cinema o di televisione.
Dario Fo e il Teatro La Comune: l’attore comincia, dinanzi a un pubblico pagante, a fare pelo e contropelo alla borghesia che in platea ride di se stessa. Poi esce da ogni circuito teatrale ufficiale e fonda il teatro La Comune. Fo rifiuta qualsiasi intervento economico a suo favore da parte delle Autorità dello Stato, teorizza la necessità per il teatro di essere libero da qualsiasi vincolo burocratico ed economico, tenta la via dell’autofinanziamento e dell’offerta volontaria da parte degli spettatori. Ovviamente nn ce la fa a resistere e per un certo periodo scompare dalla scena teatrale, pur rimanendo forse l’autore mondiale più rappresentato per molti anni.
Il teatro politicosvolge la sua funzione nel rivolgersi agli spettatori e far prendere loro coscienza di una condizione individuale o sociale che è da modificare. Ma il sogno del teatro che cambia la società nn può esistere, al contrario, è la società che lo condiziona. Figlio di questo mondo è il teatro statunitense, quello detto “on Broadway”, cioè quello ufficiale del musical, del varietà, dello show business, dello star system, straordinariamente professionale, visivamente e musicalmente perfetto. Bello e ben fatto ma troppo lontano dall’originaria funzione di momento di autoriconoscimento della collettività, forse troppo lontano dall’Europa, culla di quest’arte e della cultura in generale. La sua versione “off Broadway” riguarda alcune delle più importanti esperienze dell’avanguardia teatrale mondiale del dopoguerra. Produce personaggi straordinari, tocca vertici di ricerca formale assoluta nella riforma della coreografia e influenza le nuove esperienze del teatro europeo in maniera decisiva.
In ogni azione teatrale del Novecento si incontra la figura del regista.
La nn letterarietà del testo e il meccanismo economico di esclusione dell’autore dal processo creativo dello spettacolo, rendono nella contemporaneità, meno centrale la figura tradizionale del poeta a favore della centralità della figura del regista. Un caso molto diffuso è quello della riduzione teatrale: da un testo preesistente, di cui si sono acquisiti i diritti d’uso, il regista trae un nuovo testo adatto alla messa in scena. Ciò avviene spessissimo in ambito cinematografico. Ma cmq nn si arriva allo spettacolo se nn partendo da un testo. Se la funzione del regista resta la più importante, bisognerà considerare il fenomeno del teatro di gruppo come il più significativo e tuttora storicizzabile momento della contemporaneità della scena europea. Il teatro di gruppo si fonda su un comune lavoro di ricerca compiuto insieme da attori e regista che lavorano costantemente insieme alla ricerca di un comune sentire e di una comune espressività. Questo è il fenomeno più diffuso degli ultimi trent’anni.
L’intervento di natura economica e organizzativa dello Stato a favore del teatro e dello spettacolo in generale segna in tutto il mondo l’intera esperienza del Novecento, in particolare della seconda metà. Il dopoguerra introduce il concetto rivoluzionario del teatro come servizio pubblico. Il primo caso di teatro pubblico italiano è il Piccolo Teatro di Milano. Teatro pubblico vuol dire teatro pubblicamente diretto e amministrato. Teatro come servizio pubblico significa che un governo riconosce il teatro come bisogno e diritto dei cittadini e provvede a far sì che una quota della ricchezza da loro prodotta sia ad esso destinata.
L’ultimo recupero messo in atto dalla teatralità del Novecento è quello della strada e degli spazi aperti come luogo di rappresentazione. Questo recupero crea generi teatrali quali il teatro di strada e il teatro urbano.
Da “artisti che operano sulla strada” molti giovani si trasformano in “artisti di strada”. Il teatro di quegli anni conosce le esperienze dell’animazione e delle periferie urbane. Gli anni Ottanta vedono in Europa la rinascita del fenomeno del teatro urbano, le cui forme si relazionano con la plasticità e la mobilità delle scenografie architettoniche delle città: è l’apertura di una nuova fase che dura tutt’ora e che prevede la pratica della “messa in scena urbana”. E’ teatro urbano l’insieme delle forme che, partendo dai linguaggi del teatro di strada, utilizza anche l’espressività verbale e altre forme tipiche della messa in scena come la scenografia, la pirotecnica, l’illuminotecnica, gli effetti speciali e la danza. Il rapporto tra spettatori e teatro si fonda in questo caso sul principio della gratuità, una delle categorie fondanti della festa che è proprio l’assenza di finalità economiche. Il teatro urbano ammette le forme, i colori, i suoni e le luci della città. Il tempo del teatro urbano è la festa, in cui la collettività si riunisce liberamente rivelandosi a se stessa. Il teatro urbano è cerimoniale, iniziatico e parla il linguaggio dei simboli. E’ a tutti gli effetti teatro ma nn viene trattato come tale dalle Istituzioni. In Europa il fenomeno della teatralità urbana e di strada è rilevantissimo, specialmente in Francia e in Catalunya. Oggi l’attività di teatro di strada e dei suoi linguaggi festivi è fiorentissima a livello europeo e mondiale: ad essa sono legati eventi di rilevanza planetaria.
Fonte:
http://www.scienzeturismo.it/wp-content/uploads/2008/09/spettacolo-festa-e-territorio.doc
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