Storia il 700
Storia il 700
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Introduzione
Il ‘700 è un secolo dualistico: presenta infatti due caratteri che convivono. Gli storici parlano di ‘700 conservatore e ‘700 innovatore. Alla fine prevarrà quello innovatore, assieme alla rivoluzione francese e americana e alla rivoluzione industriale (fenomeni irreversibili).
La conservazione permane a lungo e tutt’ora, nella nostra realtà ideologica, molti aspetti hanno ancora riferimenti alla conservazione di fine ‘700 inizio ‘800.
Il ‘700 conservatore (4)
Il ‘700 conservatore ha il carattere dell’Ancien Régime, e cioè la conservazione della tradizione feudale. Diventa sinonimo di assolutismo (anche se innovatore), perché nel ‘600 razionalizza l’amministrazione del potere politico e dello stato.
Nel ‘700 invece l’assolutismo è sinonimo di conservazione, perché si divide su due forme politiche assolutamente inadeguate alle nuove richieste della società, che diventa sempre più dinamica e attiva, fa più richieste. Ciò che successe nel ‘600 fu che Luigi XIV, tramite l’assolutismo, aveva tradotto le richieste dei borghesi (nobiltà di toga), confermando la loro ascesa politica e il rafforzamento economico, per ridimensionare la nobiltà di spada.
Nel ‘700 l’assolutismo non è in grado di sostenere le innovazioni.
Il ‘700 innovatore
Il ‘700 innovatore ha come riferimento lo stato inglese. Ha tratti culturali, traducendosi nell’illusionismo, un pensiero razionalista che “rischiara le tenebre” del mondo conservatore dell’Ancien Régime, del mondo assolutista.
In campo economico l’innovazione ha il suo elemento chiave nella rivoluzione industriale e nell’affermazione del capitalismo.
L’aspetto politico è legato alle due rivoluzioni politiche che avranno un impatto mondiale: quella americana e quella francese.
La rivoluzione americana
La novità di questa rivoluzione non deriva dai contenuti politici, perché trarrà ispirazione dalla rivoluzione inglese per liberarsi dall’emancipazione della madrepatria.
La rivoluzione consiste nella liberazione di tredici territori coloniali sottomessi ad un rigido monopolio. Le colonie si proclamano indipendenti e combattono per l’indipendenza. Si parla del primo caso di decolonizzazionne.
Verrà a crearsi un nuovo tipo di stato, che consiste nel federalismo, ispiratori di tutti gli stati federali.
Questa rivoluzione si accosta a quella francese, che però ha un contenuto sociale che non è presente in quella americana. Nelle società coloniali non si sono grandi squilibri sociali come in Europa; toccano infatti solo minoranze al di fuori delle colonie (schiavi e indigeni). La schiavitù è considerata legittima e quindi non si pone come problema sociale dell’emancipazione.
E’ una rivoluzione politica per l’indipendenza.
Le colonie nel ‘700 (3)
Nel ‘600, nonostante la grande espansione coloniale, la potenza dell’Europa non è maggiore di quella asiatica, sono pari a India, Cina e Giappone. L’America invece è inferiore.
Tra il ‘700 e l’800 abbiamo l’inversione di tendenza: si afferma il primato europeo, che ne ‘900 scomparirà, a favore di USA, URSS e Cina. Abbiamo la massima potenza ed egemonia dell’Europa, che cambierà solo con la I guerra mondiale.
L’egemonia dell’Europa
L’aspetto fondamentale è legato alla sua superiorità tecnologica, che si traduce in superiorità militare, politica, economica, velocità di collegamenti (trasporti) e la forte capacità di produzione di beni, superiore al resto del mondo. L’Europa ha la capacità di imporsi e di dominare, di produrre più velocemente ricchezza. E’ stata in grado di procurarsi tutti i serviti necessari (banche, compagnie commerciali, industrie).
Ha un forte sistema economico, affermatosi prima in Europa e che poi si è espanso: il capitalismo, che comprende la proprietà privata e il mercato. Nel ‘700 c’è quindi una nuova fase di colonizzazione, di cui una grande esponente è l’Inghilterra (nell’800 è la più potente).
La ricchezza coloniale
E’ ancora legata fondamentalmente allo scambio di materie prime, come metalli preziosi, beni agricoli dalle grandi piantagioni (latifondi) e gli schiavi.
L’emancipazione delle tredici colonie è un episodio del tutto inusuale.
Le colonie americane
Le colonie sono tredici e vengono chiamate “di popolamento”, perché sono zone dove la popolazione autoctona non vive sulle coste, ma più arretrate nel continente, quindi bisogna popolare il territorio. Nel caso inglese il popolamento avviene in seguito alla guerra civile, quando gruppi religiosi non tollerati spesso preferivano migrare per seguire i loro ideali religiosi, senza però uscire dal dominio inglese. Le colonie furono per molto delle terre di prestigio, perché non avevano gli stessi interessi economici dell’India, dove c’era molto di più da sfruttare. Le colonie erano lo sfogo di migrazioni, a cui si aggiunsero altre popolazioni in seguito.
L’importanza delle colonie
La nascita del sistema coloniale inglese è più tarda rispetto a quella di Spagna e Portogallo. L’Inghilterra è sotto il controllo di Elisabetta I, che ha cominciato un’importante opera di modernizzazione del regno. Dal punto di vista economico le innovazioni sono tre. La prima consiste nella trasformazione dell’agricoltura da feudale a capitalista. Viene quindi favorito il capitalismo agrario, che si fonda sulla proprietà privata.
La seconda importante modernizzazione economica avviene nel settore artigianale: vengono incoraggiate nuove produzioni di beni (anche di lusso) per non far uscire moneta dal paese, come ad esempio vetro, seta orologi. Queste produzioni sono avviate da immigranti, come gli Ugonotti, spostatisi a causa di motivi religiosi.
Il terzo settore economico toccato è il commercio ed è anche quello fondamentale per l’arricchimento dell’Inghilterra. Il commercio più ricco è sicuramente coloniale, ma gli inglesi non possiedono colonie.
La politica di Elisabetta I
E’ di due tipi:
- A breve termine: la regina vuole inserirsi nel grande commercio coloniale, che però non è un metodo legale, perché dettato da ritmi rigidi. Comincia da iniziative private, ma tollerate, come il contrabbando, che molto spesso era legato alla pirateria. Ci sono anche i corsari, che partono con l’iniziativa della corona con veri e propri contratti e usufruiscono di tutte le strutture ufficiali, come porti, navi… I corsari agiscono per il paese nella piena legalità, dando una quota del bottino alla corona, rendendolo un guadagno netto.
- A lungo termine: per avere colonie bisogna cercare nuove terre, che comprendono tutta la fase di esplorazioni nel continente del nord. La prima colonia sarà la Virginia, conquistata nel 1585.
Le migrazioni
Nella fase delle rivoluzioni inglesi ci sono dei conflitti religiosi tra chiesa anglicana, con giustificazione dall’alto, e quella presbiteriana, con giustificazione dal basso (puritani). I puritani sono tenuti sotto rigido controllo dalla corona. Fino alla prima rivoluzione c’è il fenomeno della migrazione dei dissenzienti verso le Americhe per vivere più autenticamente la loro fede, facendo di questa nuova vita un viaggio religioso.
Nel 1620 sbarcano su suolo americano i Padri Pellegrini e anche loro chiedono al re un documento che legittimi il loro viaggio, se no le terre non possono essere considerate delle proprietà private. L’America infatti oggi è il paese del capitalismo, perché fondata sulla proprietà privata. I Padri Pellegrini daranno vita alla festa del Ringraziamento, cioè un’occasione per festeggiare il superamento del primo anno di vita nella terra nuova, ringraziando Dio per essere riusciti a sopravvivere.
Alla fine del ‘600 le colonie sono 13.
Le 13 colonie (6.2)
Nella metà del ‘700 la popolazione nera era molto alta (schiavitù). L’espansione verso ovest è difficile, perché ci sono gli indiani cacciatori che oppongono una strenua resistenza. E’ però semplice in altre direzione, grazie ai grandi laghi e ai numerosi fiumi, le risorse sono molte e le condizioni climatiche sono molto simili a quelle europee.
C’è una grande diversificazione tra le 13 colonie, ed è tuttora così. Le colonie si dividono in tre gruppi: nord, centro e sud.
Il nord
Tra il 1620 e il 1680 si ha il periodo di migrazione politico-religiosa. C’è una società rurale composta da piccoli proprietari terrieri. Dato che c’è una grande risorsa di legname, le società vicino alla costa si specializzano nell’industria cantieristica, costruendo il 50% delle navi inglesi.
Il sud
Questa è la zona più ricca e tutta l’economia era fondata su grandi proprietari latifondisti che usufruivano molto di lavoro schiavile nelle piantagioni (tabacco, cotone, riso).
Il centro
Ci sono condizioni climatiche molto simili al nord e la popolazione è più varia, meno omogenea, dove sono presenti francesi, olandesi, svedesi, sassoni. Ci sono zone con grandi e piccoli proprietari. La proprietà anche in queste zone si serve di schiavi.
I rapporti con la madrepatria (p. 109)
Il principio applicato è quello classico del monopolio della madrepatria. Tutte le merci da e per le colonie devono passare dalla madrepatria. Le merci più esportate e più importanti sono il tabacco, il pesce, il legname, l’olio di balena, il rhum e le pellicce e poco tempo dopo il cotone. Secondariamente c’è un blocco per i beni secondari, secondo il quale i beni devono arrivare dall’Inghilterra (a parte i prodotti dell’industria cantieristica, perché nella madrepatria mancano i beni di costruzione).
C’è anche una parte di contrabbando (il flusso più importante è tra le isole del centro America e la Spagna), ma la madrepatria non gli da molta importanza, perché non danneggia in modo particolare.
La politica (amministrazione)
L’Inghilterra sceglie un’amministrazione mista, che consiste nel calare dall’alto e quindi dipende direttamente dalla corona inglese. Gli amministratori sono i governatori e i consigli.
Le colonie però hanno anche un’amministrazione da basso con assemblee legislative, cioè un governo rappresentativo delle colonie. Hanno competenze legislative (fanno leggi) a livello locale, su problemi locali sui quali la madrepatria non può intervenire perché troppo lontana. Le colonie hanno quindi un’autonomia governativa in ambito locale.
La religioni
Le colonie mantengono viva la tolleranza e il pluralismo. Il re non impone la chiesa d’Inghilterra.
L’alfabetizzazione
La partecipazione spontanea dal basso viene dalla forte alfabetizzazione locale. La politica attiva può essere fatta solo da una popolazione altamente alfabetizzata. Viene insegnato a leggere molto prematuramente tra i protestanti, per leggere la Bibbia (il dovere di ogni fedele).
La forte coesione
Sono comunità molto compatte e motivate. Questa forte unione viene dal fatto di affrontare l’esperienza comune della sopravvivenza e dell’inizio di una nuova civilizzazione.
La maggior parte delle comunità hanno una forte motivazione religiosa, che viene dalla tradizione calvinista, cioè dal concetto di missione, dovere, realizzazione del volere di Dio in terra. Oggi si traduce nel dovere degli Stati Uniti di aiutare l’umanità nel compiere il proprio dovere.
I problemi
Non ci sono problemi tra le colonie e la madrepatria fino al 1763. I coloni si sentono sudditi inglesi, proclamano la loro fedeltà al re, ma sono gelosi della loro indipendenza locale. Nel 1760 sale al trono Giorgio III, che eredita anche una guerra: la guerra dei 7 anni (pag. 34) che ha luogo tra il 1756 e il 1763. Protagoniste dello scontro sono la compagine formata da Russia, Francia ed Austria e quella della Prussia e dell’Inghilterra, che si scontrano in America per il controllo dei territori del nord America. La guerra termina nel 1763 con due trattati. Quello più interessante è quello di Parigi. Vincono la Prussia e l’Inghilterra, confermando i possedimenti in Europa e l’Inghilterra si conferma conquistando le colonie francesi (Canada e Indie) e quindi anche la sua supremazia.
L’atteggiamento politico di Giorgio III
Giorgio III è tendenzialmente assolutista, ma in patria il suo ruolo è mitigato dal Bill of Rights. L’assolutismo quindi viene messo in pratica sulle colonie, dove non ha limitazioni. Questo atteggiamento è la prima causa del contrasto tra colonie e madrepatria. Il secondo motivo è la giustifica della rigidità regia con un trattato.
La guerra costa. Le colonie hanno beneficiato della guerra, perché le terre conquistate sono libere di essere occupate. La madrepatria ha speso molto per lo scontro, perché le colonie non possono avere un esercito, non spendendo niente e traendone tutti i benefici.
Le colonie non erano neanche tassate, e quindi il re chiede al parlamento di poter imporre dei dazi per coprire le spese militari. Lo zucchero era uno dei beni più contrabbandati e quindi a basso costo, con le tasse nel 1764 ne cresce il prezzo. Nel 1765 viene istituita una tassa di bollo.
Il boicottaggio
E’ la risposta delle comunità coloniali alle tasse. Hanno gli strumenti per farlo: le assemblee. L’alta alfabetizzazione ha permesso la nascita di giornali e modi di propaganda, quindi gli abitanti delle colonie sono ben informati riguardo a tutto ciò che succede. Il boicottaggio ha successo separatamente, le colonie non sono collegate tra loro, anche se possono avere la stessa reazione ai problemi.
La giustifica
I coloni usano come giustificazione il diritto inglese (Bill of Rights), che sancisce che le tasse possono essere applicate solo se approvate dal parlamento, rappresentante dei ceti. Quindi i coloni affermano che le tasse non possono essere approvate perché non hanno rappresentanti in parlamento.
Viene quindi imposto un ultimatum al sovrano: o il re accetta dei rappresentati coloni a Londra, o le assemblee amministrative devono essere paragonate al parlamento inglese (soluzione più estremista).
Altri problemi: la tassa sul tè
La situazione rimane senza soluzione: non c’è nessun passo decisivo da entrambe le parti.
Il 1773 è il secondo anno di svolta. Viene infatti imposta una nuova tassa. La corona impone che la compagnia delle Indie abbia il monopolio della vendita di tè nelle colonie, in cambio di quote versate direttamente alla corona. Dunque anche il prezzo del tè aumenta.
Le proteste di Boston sono molto dure: quando arriva il carico della compagnia delle Indie nel 1774 buttano tutto a mare. Questo episodio prenderà il nome di Boston Tea Party. La corona risponde con delle leggi durissime, considerate dalle colonie intollerabili. Colpiscono solo il Massachussets. Viene chiuso il porto di Boston, che era estremamente importante per tutta la colonia, che viene privata delle sue autonomie e tutti i giudici americani sono sostituiti da funzionari inglesi.
La guerra d’indipendenza del 1775
Le colonie decidono di riunirsi e di dare risposte unitarie alla corona. Nel 1774 indicono il primo congresso continentale, dove ogni colonia invia i propri rappresentanti per agire comunemente contro la madrepatria e decidono solo azioni comuni di boicottaggio.
Il secondo congresso del 1775 decide di formare un esercito coloniale che si opponga a quello inglese, dando il via alla guerra di indipendenza. Il comandante, George Washington, diventerà il primo presidente degli Stati Uniti. Il 4 luglio 1776 Washington stende la dichiarazione d’indipendenza, approvata dal congresso. La colonia del Rohd Island aveva dichiarato indipendenza qualche mese prima. Nascono gli Stati Uniti d’America, cioè 13 stati indipendenti uniti dal congresso, dalla scelta d’indipendenza.
L’organizzazione politica
Gli Stati decidono nel 1777 di darsi una costituzione: gli articoli di costituzione, che danno vita ad una confederazione. La costituzione stabilisce 13 stati con un debole legame unitario. Questi stati infatti devono ancora terminare la guerra, e per questo motivo vengono stabilite delle norme dell’esercito comune.
La guerra
Per i coloni è difficile, perché sono in inferiorità numerica (8000 contro 35000). Le sorti della guerra inizialmente sono negative e c’è bisogno di riscuotere tasse per armare l’esercito. Lo scontro ha una svolta quando altri stati intervengono a fianco degli americani. L’America ha infatti la solidarietà della nuova Europa, formata da illuministi, attivisti francesi e molti altri componenti del ‘700 innovatore. Anche nel parlamento inglese c’è una piccola parte liberale che ha simpatia per i coloni indipendenti. Si hanno quindi volontari che combattono con i coloni. L’intervento di Francia e Spagna, che si alleano con i coloni, è determinante, perché la Francia deve rifarsi da una sconfitta e la Spagna è interessata alle terre (la Florida è spagnola).
La vittoria decisiva convince l’Inghilterra alla resa, al trattato.
La conclusione della guerra
Nel 1783 viene emanato il trattato di Versaille, con cui l’Inghilterra accetta l’indipendenza delle colonie. L’Inghilterra è convinta non solo dalla sconfitta, ma nel 1770 vive la rivoluzione industriale e quindi un momento economico molto favorevole. E’ nell’interesse delle ex colonie mantenere un rapporto privilegiato con gli inglesi. Nasce quindi il principio di libero scambio e non più di dipendenza dalla madrepatria e quindi le relazioni economiche non sono gravemente compromesse.
I problemi della confederazione
La confederazione però non funziona, non ha vantaggi. Le 13 colonie si accorgono che devono risolvere troppi problemi che ogni singolo stato, da solo, non potrebbe risolvere.
Gli indiani
Nel 1763 la vittoria ha aperto la strada ai coloni verso ovest, territorio abitato da indiani, problema molto comune.
La politica estera
13 stati, 13 politiche estere diverse. Gli stati non avevano credibilità e forza per agire separatamente, anche solo contro l’Inghilterra.
Lo scambio (i rapporti) tra i 13 stati
Sul territorio americano c’erano 13 dogane diverse che impedivano lo scambio tra le colonie e quindi anche 13 monete diverse.
La nuova costituzione (pag. 112)
Il congresso si accorge di non avere strumenti per intervenire su questi problemi e decide quindi di formare una nuova costituzione.
Lo colonie sono fedeli al principio dal basso e quindi gli stati delegano 55 rappresentanti che formano un’assemblea costituente chiamata Convenzione Costituzionale.
Contemporaneamente c’è un ampio dibattito politico che mette in evidenza la necessità di cambiare il sistema politico, di passare da una confederazione ad una federazione. Alla fine predomina, nel 1787, la costituzione federale, ma la ratifica ufficiale arriva nel 1788, quando 11 stati su 13 approvano la federazione.
Il documento è molto snello, perché consta sei lunghi articoli più un settimo articolo di norme transitorie dalla vecchia costituzione. Sono considerati articoli perenni (attualmente in vigore), ma la costituzione può essere aggiornata, non cambiata. Questo metodo di modifica viene chiamato in progress. Dal 1788 a oggi è stata completata da ventisei elementi (aggiornamenti), l’ultimo dei quali nel 1971, con il diritto di voto ai diciottenni. Gli emendamenti possono essere annullati, ma nn gli articoli.
I poteri divisi della federazione
La federazione si basa sulla divisione dei tre poteri, sul bilanciamento e sui diritti.
- Le due Camere hanno il compito di creare le leggi (potere legislativo)
- La Camera dei Rappresentanti ha competenze nelle questioni finanziarie
- Il Senato ha il controllo della politica estera
- La Corte Suprema ha il potere giudiziario e controlla che le leggi dei singoli stati non siano in contrasto con la costituzione. Anche l’ultima istanza d’appello è nelle mani della Corte Suprema
- Il presidente ha il potere esecutivo ed ha il compito di eleggere i giudici della Corte Suprema, ha il potere esecutivo e presiede la Corte Suprema.
- Il Congresso ha il potere legislativo ed è composta dalla camera dei rappresentanti e il senato
Il presidente
I giudici, per mantenere la loro dipendenza, sono nominati a vita, in modo da avere assoluta libertà di decisione, anche se il presidente ha una certa influenza (le nomine). Il presidente però deve chiedere consenso al senato per l’approvazione di un uomo alla carica di giudice.
Il presidente viene eletto dal basso con il sistema dei grandi elettori (rappresentanti) e rimane in carica per quattro anni, mentre i senatori e i rappresentanti ogni sei anni, ma ogni due anni un terzo viene rinnovato.
In più il presidente ha un mandato più breve, perché ha poteri molto più forti:
- elegge i segretari di Stato e di consegna l’amministrazione
- presiede la Corte suprema e nomina i giudici
- comanda le forze armate e quindi ha il potere di decidere se entrare in guerra o in pace (sempre consultandosi con il Senato). I finanziamenti per la guerra arrivano dalla Camera dei Rappresentanti
- è il maggior esponente americano nella politica estera
- ha il potere di veto sulle leggi (blocco delle leggi) e quindi può intervenire sul lavoro delle assemblee. Il veto però è temporaneo e quindi la sospensione della legge non è a tempo indeterminato e può essere applicato solo se i motivi sono gravi.
A causa però dei poteri così forti del presidente, per controllarli il Congresso ha la possibilità di metterlo sotto accusa per violazione delle leggi della federazione quando esagera con lo sfruttamento.
Documento
Questo documento riporta uno statuto di Carlo II del 1681 e proclama la fondazione della colonia della Pennsylvania.
William Penn è un religioso puritano ed è il singolo a cui viene concessa la fondazione della colonia. Ha anche un basso titolo nobiliare. Gli viene accordata per l’espansione dell’impero inglese per aumentare il numero di vie economiche (beni pregiati da esportare) e per cristianizzare gli indigeni. Vengono poste delle condizioni: può potare un gruppo al suo seguito, il possesso perpetuo ed ereditario della colonia, e può applicare una giurisdizione locale (assemblee legislative) e quindi avere poteri legislativi locali.
Ci sono altre condizioni di concessione: Penn ha il diritto di controllare la libera entrata e uscita dalla colonia, perché così il re può imporre dazi e pedaggi sulle merci. In più il re concede il diritto di sfruttare tutte le risorse, sia in terra che in mare. Viene ribadita la disponibilità e la proprietà di chiunque abbia possedimenti sulla colonia, ma sempre con la dipendenza politica della colonia verso l’Inghilterra.
Penn riceve dal re il potere legislativo, relativo al diritto civile e penale (pubblico e privato), costituendo le assemblee legislative, e gli viene anche dato il potere esecutivo. Per conseguenza vengono concessi dal re i poteri giudiziari, perché Penn può eleggere magistrati.
Le leggi della colonia devono sottostare a delle regole: non possono contrastare con quelle inglesi, i rei possono far ricorso al tribunale della madrepatria , quindi il giudizio finale è comunque inglese.
Il sistema è comunque monopolistico, perché il commercio tra la colonia e l’Inghilterra obbedisce a delle leggi e ci sono dazi di vario tipo, dettati dalla madrepatria.
La Dichiarazione d’Indipendenza americana (13d, pag. 115)
Questo documento, redatto nel 1776, è la dichiarazione delle colonie inglesi di indipendenza verso la loro madrepatria, perché soggetti ad una dura tirannia del sovrano britannico Giorgio III. Già nel titolo si scorge la situazione politica delle tredici colonie, perché si dichiarano Stati Uniti, e quindi la decisione d’indipendenza è stata unanime. Nella prima parte della dichiarazione i rappresentanti delle colonie espongono subito le loro intenzioni: vogliono rendersi indipendenti dall’Inghilterra, giustificandosi con il fatto che tutti gli stati hanno, secondo le leggi naturali, il diritto di essere liberi da vincoli con altri paesi. Alla base della giustificazione ci sono i diritti naturali dell’uomo, che secondo il giusnaturalismo sanciscono che ogni uomo è uguale, e quindi ha gli stessi diritti inalienabili, quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Le basi dei pensieri sono rintracciabili nel pensiero di Locke, secondo cui ogni individuo ha dei diritti inalienabili, e il rapporto tra stato e società è sancito da un patto. Quando questo patto viene violato, il popolo ha il diritto di ribellarsi al sovrano e di ricercare la libertà. L’unica diversità è il concetto di ricerca della felicità come diritto naturale.
Le colonie si sono imposte degli organi regolatori, i governi, che possono essere modificati o distrutti se non compiono bene il loro lavoro, perché i loro poteri sono basati sui diritti naturali. Non bisogna però modificare i governi per cause minori, ma quando la situazione diventa dispotica allora è l’unica soluzione.
La parte centrale del documento descrive i motivi per cui le colonie chiedono l’indipendenza, cioè il mal governo di Giorgio III. Il re infatti era diventato un tiranno, e applicava l’assolutismo sulle colonie, non potendolo fare in Inghilterra a causa del Bill of Rights. Il sovrano non approvava leggi necessarie per regolare la vita nelle colonie, perché le avrebbe rese ancora più indipendenti, dando la possibilità di un autogoverno alle popolazioni e quindi facendo rinunciare al diritto di rappresentanza degli Stati nei corpi legislativi. In più le assemblee che si riunivano con lo scopo di contrastare la tirannia erano sciolte di continuo e quindi il potere legislativo locale torna in mano al popolo, che però non può applicarlo perché non ha rappresentanti nelle assemblee legislative (sono impediti dal re). Tra le leggi che Giorgio primo ha contrastato, c’erano anche quelle per facilitare la naturalizzazione degli immigrati nelle colonie e anche quelle di concessione delle terre. I giudici diventano dipendenti dal re per gli stipendi e la durata del loro incarico e sono stati mandati dei funzionari oltremare per tassare pesantemente le colonie. In più il re ha stanziato un esercito in tempo di pace e ha reso il potere militare più forte di quello civile, proteggendo i militi da eventuali conseguente giuridiche per soprusi sugli abitanti. Il commercio da e per le colonie diventa difficilissimo a causa di nuove tasse e il diritto di giudizio da una giuria viene negato. Molte leggi vengono annullate e le forme di governo vengono cambiate, i corpi legislativi vengono sospesi e il re diventa colui che può fare leggi a sua discrezione e riguardanti qualsiasi campo. Il re dichiara guerra e saccheggia i commerci via mare, catturando i coloni e facendoli combattere contro i gli abitanti delle loro stesse zone, anche a fianco degli indiani.
Secondo i coloni un tiranno non ha diritto di governare un popolo libero e quindi hanno mandato svariate petizioni in Inghilterra, che però non sono state prese in considerazione.
La conclusione del documento è l’esplicita dichiarazione d’indipendenza da parte degli Stati Uniti d’America, composti dalle tredici colonie, di cui i rappresentanti in un congresso generale hanno steso la dichiarazione, ribadendo il diritto di questi stati di essere liberi dalla tirannia, sciogliendo ogni vincolo politico che hanno con la madrepatria e appropriandosi del diritto di avere un esercito proprio.
L’Ancien Régime (pag. 69)
Il ‘700 (premessa)
Questo secolo presenta due tratti ben distinti: innovatore, riformatore ed il conservatore, tradizionalista.
La rivoluzione americana si situa nel ‘700 innovatore (cambiamenti profondi, contemporanei), ma con l’Ancien Régime si vede un aspetto conservatore del secolo.
Terminologia
Ancien Régime è un termine storico del 1790, cioè coniato ad un certo punto della storia dai rivoluzionari francesi. E’ il sistema politico in vigore prima della rivoluzione del 1789. Oltre ad essere un termine storico è anche un termine storiografico (utilizzato dagli storici) per indicare qualcosa di più complesso. E’ sinonimo di società preindustriale (contiene anche gli aspetti economici) e cioè la società che precede la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale, comprende quindi due rivoluzioni, e non una sola.
Il concetto storiografico ha anche una maggiore precisione cronologica, nel senso che i rivoluzionari sostenevano che tutto quello che c’era prima del 1789 è vecchio regime, quello che c’è dopo è nuovo regime e quindi è un cambiamento repentino. Per gli storici il passaggio avviene in tempi molto lunghi, perché dall’analisi effettuata non si può parlare di fine dell’Ancien Régime almeno all’inizio del ‘900.
L’Ancien Régime ha caratteri politici, economici, sociali e culturali, e noi useremo il secondo concetto.
La politica
L’Ancien Régime politico è individuato dai rivoluzionari francesi e si identifica con la monarchia assoluta. Il potere ha origine divina, i tre poteri sono in mano al sovrano e lo stesso non è soggetto alle leggi.
L’economia
Antico regime è sinonimo di paese con sistema feudale. E’ un’economia agricola, che è poco legata al mercato (autoconsumo, e quindi prevalentemente a scopo di sussistenza) e condizionata dai rapporti personali, in particolare quelli tra signori e contadini. C’è una serie di vincoli che ne limitavano l’uso e il reddito.
Vincoli d’uso e reddito
Il confronto spontaneo è quello con la proprietà privata, che non ha nessun vincolo (libera proprietà privata).
- Prelievi feudali (reddito): il principio è quello che i diritti feudali non scadono mai, perché sono ereditari sia per il signore che per il contadino. Nel ‘700 la grande proprietà feudale è stata in molti casi venduta, anche se era inalienabile. Era venduta ai borghesi o ai contadini. Con questo tipo di vendita i diritti feudali erano diversi, perché il borghese, assieme alla terra, comprava anche i titoli e quindi anche i diritti, mentre per i contadini la vendita non presuppone mai la scaduta del diritto feudale. Il contadino quindi, pur essendo proprietario, continua a corrispondere al signore un tributo, anche se minimo. Era infatti un tributo ordinario, e non quello che prima era una sorta di affitto.
La persistenza del diritto feudale permetteva al signore di richiedere tributi straordinari: quando il contadino decideva di vendere l’appezzamento doveva dare una parte del ricavato al signore, o anche quando il terreno passava per diritto di successione da padre a figlio.
- Usi civici o terre comuni (uso): i pascoli, la legna, la pesca, la caccia, la raccolta di frutti, erano condizionati dalle concessioni del signore ai contadini, che per successione si perpetuavano.
- Decima (uso): era un altro prelievo feudale, non del signore laico, ma della chiesa per antichissima tradizione.
- Corvées (reddito) (pag 74): prestazioni di lavoro gratuite ancora in vigore in alcune zone.
- Bassa giustizia o diritto di banno: era un diritto feudale relativo ai reati minori come il furto, il danneggiamento. La giurisdizione era controllata dal signore feudale, che poteva prelevare dai contadini tributi per scontare la pena.
- Alta giustizia: controllata dal re e dai magistrati, tassava i rei colpevoli di reati maggiori, cioè contro il re e contro lo stato.
In Europa il sistema feudale è ancora presente in Francia. I contadini devono ancora pagare anche tasse al re e quindi con le tre tasse il loro reddito era fortemente condizionato. Il Inghilterra era scomparso il sistema feudale, come anche in Italia centro settentrionale e in vaste regioni della Spagna e dell’Europa orientale. Era anche presente il lavoro servile del robot, cioè il lavoro della gleba, in Europa orientale.
La società per ceti o per ordini (4.4)
E’ la società dell’Ancien Régime di antica derivazione feudale. E’ gerarchica e il ceto più alto è il clero, poi vengono i nobili e poi tutti gli altri, e sono in ordine secondo la loro funzione: chi prega, chi combatte, chi lavora. La funzione determina anche il privilegio, ovvero un privilegio di funzione. La nobiltà aveva il privilegio della protezione, della difesa, che però poi è diventata una trasmissione di privilegi per nascita. Lo stato non privilegiato è quello di chi lavora, ovvero il terzo stato.
Il privilegio
Il privilegio è uno stato giuridico, perché se si appartiene alle categorie privilegiate si è esenti da alcuni impegni sociali (come ad esempio pagare determinate tasse) e quindi vengono definite delle disuguaglianze. Ad esempio, i privilegi della nobiltà erano le cariche, che permettevano di risiedere alla corte del re. I ceti privilegiati sono quelli che hanno anche il maggior prestigio sociale. Il clero non paga tasse e le può imporre, la chiesa è inviolabile in caso di guerra.
Il rapporto tra stato per ceti e stato assoluto
Lo stato assoluto rispetta i privilegi, perché il re è in primis un nobile, ma tende a ridimensionare il potere dei privilegiati: la nobiltà di toga ha come controllori gli intendenti, mentre quella di spada sono obbligati a risiedere a corte. Il re riconosce i diritti feudali e il prestigio sociale, tende a ridimensionare i poteri politici locali. Le cariche infatti sono revocabili.
Il re accetta la rappresentanza dei ceti, ma le da una funzione prettamente consultiva. Assolutismo e società feudale possono convivere tranquillamente, perché lascia intatti i diritti sui contadini di chiesa e signori. La società per ceti è però sostanzialmente statica, con scarsa mobilità.
L’Illuminismo (5)
L’Illuminismo è un aspetto innovatore del ‘700, infatti è un grande passaggio della cultura europea come lo sono stati il Rinascimento, l’Umanesimo e la rivoluzione scientifica. E’ stata una tappa fondamentale, perché l’Illuminismo ha introdotto un’etica laica nel pensiero umano, che ha preso molti spunti dall’etica religiosa. Questo movimento fa crescere un’etica universale, che vada al di là delle singole religioni
Su che pensieri si basa
L’aspetto fondamentale dell’Illuminismo è il valore dell’individuo, il rispetto della persona, il rispetto dei diritti personali e di conseguenza anche lo stato deve essere etico: non può abusare del suo potere per reprimere i diritti degli individui.
Questo pensiero è un’evoluzione del razionalismo e si basa sulla ragione. E’ una realtà “illuminata”, dove la ragione chiarisce le tenebre che erano il Medioevo e che quindi permette di progredire.
La ragione infatti permette l’evoluzione e quindi l’aumentare della civilizzazione. La laicità era invece dettata dall’indagine razionale, che non è sinonimo di pensiero anti-religioso, ma la religione assume una dimensione privata. La laicità trattata è infatti quella dello stato, perché si ritiene che la chiesa è diventata più mondana e lo stato si è irrigidito in alcune posizioni.
La questione religiosa
Quando si parla di religione si parla di deismo, infatti gli illuministi non si identificano in nessuna religione rivelata, ma ritengono che il problema del sacro, delle divinità deve rimanere nella dimensione privata e quindi essere solo un’esperienza interiore.
La filosofia
La forma più alta di sapere, che per l’Ancien Régime era la teologia, per gli illuministi è la filosofia, che rappresenta l’atteggiamento problematico dell’uomo davanti alla realtà. L’uomo si interroga su ciò che ci circonda e succede e farne poi un’analisi approfondita tramite la ragione. Questo è il motivo per cui la figura per eccellenza è l’intellettuale filosofo.
Cos’è l’illuminismo
Nasce in Francia e si diffonde in tutta Europa, ha radici nel pensiero scientifico e filosofico di metà ‘600 e inizio ‘700 inglese (Hobbes, Locke, Newton). Indaga in tutti i campi del sapere, proprio perché vuole riscrivere la storia del sapere ed il sapere stesso. La grande opera che gli intellettuali francesi scrivono è l’enciclopedia, divisa in diciassette volumi. Non viene fatta una distinzione fra sapere manuale e intellettuale.
Le cause della ricerca dei cambiamenti del pensiero
Ci si avvicina ad un mondo in cui il saper fare presuppone il sapere, quindi il sapere non è un gioco per ricchi come nei salotti del 1600, ma diventa lo strumento fondamentale per ogni singolo uomo per realizzare il meglio di sé e valorizzare la parte migliore di ognuno. Questo è il motivo per cui gli illuministi credevano nella scuola, e la scolarizzazione doveva rivolgersi ad un numero maggiore di persone. Per questo motivo l’illuminismo voleva portare ad un’ampia diffusione le proprie idee e voleva mettere a disposizione di tutte le persone questo nuovo approccio culturale, utilizzando i giornali e l’enciclopedia. Il primo giornale nasce nel ‘700 e traduceva in modo semplice la cultura, il sapere e la conoscenza, dando alle persone questa nuova identità di persone che agiscono perché sono informate.
I caffè nascono con l’illuminismo, che ha una vocazione didattica, e dato che non tutti potevano permettersi di comperare il giornale, la gente andava al caffè per leggerlo. In seguito nascerà quindi ciò che è l’opinione pubblica, ritenuta fondamentale per far progredire la realtà. Sono gli uomini che devono indirizzare le scelte sociali, politiche, economiche e creare l’opinione pubblica, cioè il pensiero dei cittadini capaci di pensare ed esprimersi politicamente. L’idea che la società non sia solo un insieme di individui, ma traduce interessi comuni; l’uomo va al di là del proprio individualismo, ma sa guardare la realtà in termini più ampi di interessi pubblici (pensare ed esprimersi collettivamente).
Rousseau (pag. 89)
E’ un filosofo che testimonia l’estrema varietà di posizioni dell’illuminismo. E’ ginevrino ed entrò in contatto a Parigi con i circoli intellettuali e collaborò alla creazione dell’enciclopedia. Scrisse anche vari libri e l’opera più importante è il pedagogico “Emilio” e il “Contratto sociale”. Secondo questi testi vige il patto di natura e gli uomini che entrano in società. Sono diversi però i contenuti dei passaggi e Rousseau aggiunge nuove problematiche alla politica, tra cui la democrazia diretta (fondamentale per la Svizzera).
Lo stato di natura
Per Rousseau è una situazione originariamente perfetta, idilliaca, in cui vigono lo stato di uguaglianza e libertà, ma non considera la proprietà privata come diritto naturale. Questa infatti, secondo lui, è nata come creatura della storia dell’uomo e quindi è un prodotto degli uomini. Non è stata un’innovazione positiva per l’uomo e quindi, generalizzando, l’incivilimento (il progresso) non rende necessariamente il genere umano migliore. Rousseau è quindi in contrasto con le posizioni positive illuministe. Guarda a volte in termini negativi il progresso veloce, accelerato. E’ molto moderno e cerca d mettere sull’attenti i suoi ascoltatori. Lo stesso con la proprietà privata: Rousseau non vede un elemento positivo in essa, perché ha causato guerre e scontri. Mette quindi in risalto la doppia faccia del progresso.
L’uomo ha quindi più che mai bisogno dello stato. Colui che vive in società, quindi un essere razionale e che lavora per migliorarsi, ha uno strenuo bisogno dello stato per regolarsi. Il patto, o per l’illuminista il contratto sociale, deve ricreare quella situazione di uguaglianza che la proprietà privata e il progresso minacciano.
Il contratto
Con questo gli uomini si riconoscono in una società e formano lo stato. E’ la messa in comune dei diritti individuali e quindi diventano diritti comuni, perché così gli individui creano il bene comune, cioè gli interessi particolari vengono incanalati vero un bene comune.
Il problema che Rousseau solleva è grande. Alla base dello stato deve esserci l’interesse comune, la volontà generale, che non è l’insieme della volontà di ogni singolo uomo, ma la razionalità dell’eticità dell’uomo in quanto essere collettivo e non come individuo. Lo stato diventa qualcosa di autoritario. Infatti Rousseau viene accusato di averci pensato, ma lui non si ferma a questo stadio, perché lo stato viene attenuato dalla democrazia diretta, che è il passaggio successivo al suo pensiero.
La democrazia diretta
Il popolo non concede mai pieno controllo allo stato, ma si tiene una quota di sovranità. Per Rousseau la democrazia diretta è assoluta.
In Svizzera la democrazia è semi-diretta, perché una parte del potere legislativo è delegato al sistema rappresentativo e l’altra al popolo.
La democrazia di Rousseau non delega mai niente e quindi è diretta, non c’è un sistema di rappresentanza e se ci fosse non avrebbe sovranità. Questo sistema è possibile in un ambito politico molto piccolo, infatti Rousseau pensa alla città di Ginevra come esempio. E’ ancora possibile solo nei cantoni primitivi.
Conclusioni
Rousseau ha messo a fuoco i problemi sostanziali dello stato democratico:
- rapporto rappresentanti e rappresentati (assenteismo)
- utilità sociale e interesse dei singoli
L’illuminismo giuridico
Passando ad altri aspetti, parliamo di illuminismo giuridico. Il tema del diritto è fondamentale per alcuni filosofi illuministi, per i quali il progresso deve anche passare attraverso l’affermazione di un diritto più moderno, quindi più rispettoso dell’individuo. Il tema centrale sarà la tortura e la pena di morte. Le leggi possono arrivare a condannare a morte un individuo? Il potere giudiziario può legittimamente utilizzare la tortura?
Il maggior esponente è Cesare Beccaria, illuminista italiano.
Questa modernizzazione va verso altri indirizzi, come, in campo giuridico, la prevenzione della delinquenza, della violazione delle leggi, il perfezionamento dei campi del diritto (come quello civile, penale, privato, pubblico) chiarendo e suddividendo gli ambiti del diritto e delle leggi.
Si comincia a leggere lo stato come un ente che crea situazioni di bene collettivo, la sicurezza (campagne contro alcol, droga, controlli delle armi).
Il pensiero economico (pag. 91)
Il ‘700 non è tutto chiuso nell’Ancien Régime, la sua economia non è solo feudale, am ci sono innovazioni anche in campo economico: la rivoluzione industriale inglese (1750-’70), con Adam Smith.
Anche in ambito francese si ha una corrente detta “fisiocratica” (pag. 90). E’ una corrente di pensiero economico che rivaluta il ruolo dinamico dell’agricoltura. Finora il mercantilismo aveva privilegiato lo scambio commerciale. La fisiocrazia rivaluta la funzione dell’agricoltura, dice che la popolazione non può crescere se non cresce la disponibilità di mercato (pag. 69).
La fisiocrazia
Mette l’accento su una base di un’economia agricola dinamica e quindi di far circolare liberamente le derrate alimentari. Ci sono maggiori possibilità di scambi e commerci, che il sistema feudale intralciava. Si produce per vendere e non solo per sussistenza. Cambia la mentalità.
Adam Smith mette in evidenza ciò che c’è di positivo nell’industrializzazione.
Conclusioni generali
L’Illuminismo come movimento cosmopolita (pag. 92) è l’atteggiamento per cui le idee, la scienza, il progresso siano patrimonio dell’umanità. Un esempio della trasmissione universale della conoscenza è stata la nascita della massoneria, nata con un’idea filantropica (amico dell’uomo). Nasce da una filantropia laica. Perché aiutare un altro uomo? Perché è uguale a me. C’è una certa uguaglianza che unisce tutti gli uomini. La filantropia era un motivo di attività della massoneria, oltre a coltivare la conoscenza e di diffonderla. La massoneria è una setta segreta.
Cosa significa libertà (Montesquieu), 1748
Secondo il nobile, “libertà” ha assunto in molti casi significati diversi, tra cui quello di fare ciò che si vuole nel governo democratico. Secondo Montesquieu però, il concetto di potere del popolo è stato confuso con quello di libertà del popolo. Infatti molti credono che libertà significhi fare quello che si vuole, ma la libertà politica è il poter scegliere cosa si vuole in uno stato, e non fare quello che si vuole senza leggi. Un uomo ha il diritto di scegliere a che leggi sottomettersi, e non evitare di sottomettersi ad alcuna, questo è il concetto del filosofo. Questa libertà si trova solo nei governi moderati, non come ad esempio quelli dispotici o assoluti. Per moderato si intende quando non c’è un abuso del potere, la libertà infatti ha dei limiti, anche se concettualmente sembra assurdo.
Montesquieu sottolinea l’importanza della divisione dei poteri per controllare il potere di uno, per rendere lo stato un governo senza abusi, moderato. I tre poteri sono quello legislativo, esecutivo e giudiziario. Gli ultimi due vengono distinti secondo il criterio di dipendenza dalla gente e di dipendenza dalle leggi (dal diritto civile).
La libertà politica del cittadino è quindi la protezione dello stesso, e quindi se i poteri fossero in qualche modo riuniti nello stesso organo politico, ci sarebbe la possibilità che questi sfocino in un controllo tirannico dello stato.
Montesquieu getta quindi le basi dei principi fondamentali delle costituzioni liberali e democratiche, affermando che tutti i cittadini (quelli che sono in grado di intendere e di volere) devono avere il diritto di voto per scegliere il proprio rappresentate politico, questa è libertà politica.
Assolutismo illuminato (o dispotismo illuminato)
E’ il governo di un principe che si avvale del suo potere assoluto per migliorare, attraverso una politica di riforme, le condizioni di vita dei popoli che gli sono soggetti. Storicamente l'assolutismo illuminato si sviluppò in alcuni paesi dell'Europa, in particolare quelli di area centro-orientale, tra gli anni quaranta e ottanta del XVIII secolo e venne favorito da un vasto movimento culturale che ebbe i suoi autorevoli esponenti negli illuministi francesi. I sovrani che più si identificarono con l'ideologia e la pratica dell'assolutismo illuminato furono Federico II di Prussia, Maria Teresa e Giuseppe II d'Asburgo, Caterina II di Russia e alcuni sovrani di stati italiani come il duca di Parma Filippo di Borbone, i re di Napoli Carlo e Ferdinando e i granduchi di Toscana Francesco Stefano e Pietro Leopoldo di Lorena. Si basa principalmente su riforme nelle amministrazioni locali, esautoramento di organi di autogoverno dei ceti privilegiati, introduzione del principio di tolleranza religiosa, viene assegnato un ruolo rilevante all'esercito e agli apparati burocratici. Si vengono quindi a definire i caratteri di uno stato che si muoveva nel senso della centralizzazione. L'abolizione della servitù della gleba, l'istituzione di nuovi strumenti di controllo e di prelievo fiscale, la soppressione dei vincoli alla libera circolazione delle merci, furono, fra gli altri, gli obiettivi che, nel governo dell'economia, l'assolutismo illuminato intese perseguire. Ma l'attività frenetica dispiegata dai sovrani e dai loro ministri non conseguì i risultati sperati. Una concezione spesso astratta e intellettualistica dei bisogni dei sudditi e dei rimedi necessari ad ammodernare le strutture dello stato si scontrò con realtà economicamente arretrate e caratterizzate da scarsa articolazione sociale o con l'incapacità dei sovrani illuminati di costruire solide alleanze con i gruppi sociali che dalle riforme avrebbero tratto vantaggi. Lo strapotere delle aristocrazie, il debole sviluppo di forze produttive di matrice borghese, i conflitti etnici e religiosi resero aleatoria una centralizzazione basata solo sugli apparati burocratici. Ne conseguirono oscillazioni e contraddizioni nella pratica delle riforme. L'ostruzionismo delle elite, ribellioni contadine e repressioni segnarono i decenni dell'assolutismo illuminato; contro il livellamento dei particolarismi territoriali e il ridimensionamento delle istituzioni ecclesiastiche insorsero i ceti e le masse dei fedeli, sì che alla fine degli anni ottanta molti sovrani erano divenuti dei despoti non più illuminati e i popoli guardavano con interesse a ciò che stava avvenendo in Francia.
I monarchi illuminati governavano in base ai principi dell'Illuminismo. Questo significa che i monarchi governavano con lo scopo di badare allo sviluppo di tutti i loro sudditi, non solo per compiacere la nobiltà.
Anche se i loro regni erano basati sulle idee dell'Illuminismo, il loro pensiero circa i poteri reali era simile a quello dei loro predecessori. I despoti illuminati credevano di avere ottenuto per nascita il diritto di governare.
Assolutismo illuminato e tolleranza religiosa (Giuseppe II), 1781
Questo documento esplicita la volontà di Giuseppe II di contrastare il cattolicesimo come religione di stato, in cui il sovrano riconosceva pari valore a tutte le confessioni e a cui seguirono la soppressione degli ordini contemplativi, il drastico ridimensionamento del clero regolare e la sua subordinazione al controllo dei vescovi e dello stato. Il re vuole la tolleranza religiosa in modo da dare a tutti i cittadini gli stessi diritti e in particolare quello di partecipare alla vita dello stato, e quindi non essere escluso dalla società.
L’idea di tolleranza deriva dall’illuminismo, secondo il quale ogni uomo ha il diritto di compiere un viaggio personale e interiore seguendo la propria religione, a patto che esso sia privato e che quindi lo stato rimanga laico. Questo di Giuseppe II infatti è uno stato assolutista illuminato, in cui il sovrano cerca di rendere migliore la vita dei propri sudditi, pur non rinunciando all’accentramento dei poteri e al suo controllo assoluto sulle cose.
Nel documento viene usato l’aggettivo “inalterabile”, quindi questi sei articoli sono inalienabili, così come la tolleranza religiosa. Infatti nel primo articolo viene precisato che tutti gli esponenti di religioni che non sono quella cattolica possono esercitare la propria, ma solo in un ambito privato.
Il secondo articolo sottolinea il fatto che queste religioni non devono essere troppo manifestate, come con campanili che fanno rumore, ma possono avere chiese e luoghi di culto dove vogliono nella piena libertà.
Il terzo conferma la libertà del culto di ogni religione nei luoghi dove già ne godevano.
Il re, nel quarto articolo, concede a tutti, indipendentemente dalla religione, il diritto di cittadinanza, di scolarizzazione e di lavoro sul suo territorio.
Chiunque, indistintamente, non sarà mai soggetto ad una conversione religiosa obbligata e nell’ultimo articolo si assicura che non verrà scelto nessuno per un posto di lavoro discriminandolo per la sua religione.
Fonte: http://www.myskarlet.altervista.org/Scuola/Il%20%27700.doc
Autore: non identificabile dal documento
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