Antico Egitto
Antico Egitto
Accenni Storici.
L'Egitto e le sue origini africane.
L'Egitto viene ritenuto la culla di una delle quattro grandi civiltà antiche che si svilupparono lungo le valli dei grandi fiumi dell'Africa e dell'Asia più di cinquemila anni fa: le altre tre sorsero in India e in Cina.
La civiltà egizia non si manifestò all'improvviso come una civiltà pienamente sviluppata priva di radici africane. La datazione con il carbonio dei reperti di orzo e grano trovati vicino ad Assuan nell'antico Egitto, attesta che un'agricoltura primitiva esisteva già attorno al 16.000 a.C.
Sebbene non esistano tracce tangibili delle origini di queste comunità neolitiche, le recenti scoperte archeologiche rivelano la possibile appartenenza a gruppi originari della regione del Sahara, un tempo fertile, che l'espansione del deserto costrinse a migrare verso le regioni del sud e dell'est.
Secondo le parole di Erodoto :" Così come l'Egitto era un "dono del Nilo", la cultura e la popolazione dell'Egitto furono inizialmente un "dono" degli altipiani dell'entroterra dell'Africa".
E' importante sottolineare le radici africane della civiltà egizia in modo da controbattere l'opinione che gli egizi fossero per razza, lingua, e anche geograficamente separati dall'Africa.
La rivoluzione urbana dell'Egitto.
Il graduale sviluppo di efficienti metodi di controllo delle piene, dell'irrigazione e della bonifica delle paludi contribuì a un significativo incremento della produzione agricola e ad una sostanziale cooperazione e organizzazione fra villaggi che potevano essere sparsi ovunque.
Tutto questo contribuì alla costituzione di centri amministrativi che si trasformarono poi in grandi città: fu una vera e propria rivoluzione urbana che trasformò l'Egitto in una delle grandi civiltà antiche.
Tra il 3500 e il 3000a.C le diverse comunità agricole lungo le rive del Nilo furono gradualmente unificate per formare dapprima due regioni, l'Alto e il Basso Egitto, che poi vennero riuniti nel 3100a.C da una figura leggendaria chiamata Menes, proveniente dalla Nubia.
Menes fu il capostipite di una lunga successione di faraoni, in tutto 32 dinastie, che governarono una società stabile e relativamente isolata durante i successivi 3000 anni.
Fino al 1350a.c il territorio dell'Egitto comprendeva non solamente la valle del Nilo, ma anche parti di territori che oggi appartengono a Israele e alla Siria.
Il controllo su una estensione così vasta richiedeva un sistema amministrativo efficiente e ramificato.
Le esigenze dell'agricoltura includevano non solo le bonifiche, l'irrigazione e il controllo delle piene, ma anche la distribuzione delle scarse terre arabili tra i contadini e la costruzione di silos per immagazzinare grano e altri prodotti agricoli.
Erodoto scrisse che:
" Sesostri ( faraone Ramsete II, 1300a.C circa) divise la terra in lotti e la distribuì in parti quadrate di uguale grandezza, dai cui prodotti esigeva un tributo annuo.
Se un appezzamento di un uomo veniva danneggiato dallo straripamento di un fiume il re mandava ispettori per quantificare l'estensione del danno, affinché potesse pagare in futuro un giusto adeguamento del tributo al quale la sua proprietà era stata assoggettata.
Forse fu così che venne inventata la geometria, la quale successivamente passò in Grecia. (Erodoto, Storie II, 109,2-3 ).
Erodoto parla anche della distruzione dei confini di questi lotti a causa degli straripamenti del Nilo, che richiedevano l'impiego di sorveglianti chiamati Harpedonaptai che significa : "coloro che tendono la fune" .Questi funzionari dovevano ricostruire i confini attraverso delle linee con gradazioni e con l'aiuto di un regolo e un compasso.
Esistevano altre occupazioni che richiedevano aritmetica e misurazioni pratiche.
Quando la civiltà egizia fu matura, le pratiche finanziarie e commerciali che esigevano una certa abilità nei numeri ebbero un'evoluzione.
L'istituzione di calendari e la creazione di un sistema unificato di pesi e misure furono frutto di una cultura dei numeri in evoluzione e l'alto livello di questa cultura matematica pratica si ritrova nella costruzione delle piramidi.
Fonti della matematica egizie.
Le fonti principali matematiche egizie sono costituite da due Papiri : il "Papiro di Ahmes" e il "Papiro di Mosca".
Il primo è così chiamato dal nome dello scrittore che lo compose, circa nel 1650a.C ed è anche conosciuto con il nome di "Papiro matematico di Rhind", dal nome del collezionista che lo acquistò nel 1858 donandolo poi al British Museum. Il secondo fu scritto nel 1850a.C e venne poi portato in Russia verso la metà del XIX secolo.
I due Papiri contengono una raccolta di 112 problemi (con relative soluzioni).
La frase di apertura del Papiro di Ahmes afferma che questo sarà "uno studio diretto di tutte le cose, la penetrazione di tutto l'esistente, la conoscenza di tutti gli oscuri segreti".
Mentre un esame del Papiro non conferma questo intento, esso rimane, grazie ai suoi 87 problemi e alle loro soluzioni, la fonte più completa sugli esordi della matematica egizia.
Il papiro di Mosca contiene 25 problemi e tra questi due risultati notevoli per la matematica egizia : la formula del volume di una piramide tronca a base quadrata e una importante soluzione del problema di ricavare quello che qualche commentatore ritiene sia l'area della superficie curva di un emisfero.
La registrazione dei numeri egizi.
Nell'antico Egitto si possono distinguere tre sistemi di numerazione differenti :
- Geroglifico ( pittorico )
- Ieratico ( Simbolico )
- Demotico ( popolare )
I primi due fecero la loro comparsa proprio agli inizi della storia egizia.
La notazione ieratica è utilizzata sia nel Papiro di Ahmes che in quello di Mosca.
La variante demotica era un adattamento popolare della notazione ieratica e divenne importante durante il periodo greco e poi in quello romano della storia egizia.
Quello a geroglifici era un sistema di scrittura pittorico dove ogni carattere rappresentava un oggetto.
Venivano utilizzati simboli separati per rappresentare potenze di dieci dalla 1 alla 7.
1 era rappresentato con un'unica asta verticale
10 con un pezzo di corda più lungo a forma di ferro di cavallo
100 con un giro di corda avvolto
1000 con un tratto simile ai fiori di loto
10000 era rappresentato con un dito a uncino
100000 con un girino
1milione con un uomo con le braccia alzate
10 milioni era rappresentato con un'unica asta verticale
Si può osservare che alcuni di questi geroglifici c'è l'idea di fondo della fune la cui lunghezza e forma determina la grandezza del numero rappresentato, in accordo con l'importante compito dei "tenditori di fune" dell'antico Egitto.
Il girino sembra essere stato il simbolo generico per i grandi numeri.
Un uomo con le braccia alzate come stupito forse sta a indicare la vastità o l'eternità.
Il sole nascente potrebbe essere stato associato a una delle divinità egizie più potenti : Ra, il dio-sole.
Si può rappresentare qualsiasi numero utilizzando l'insieme dei simboli riportati sopra
276=6+7*10+2*100
4622= 2+2*10+6*100+4*1000
Il fatto che questo sistema numerico non possedesse uno zero o un suo equivalente posizionale non creò difficoltà. Non era importante l'ordine in cui comparivano i geroglifici, ma la prassi era di sistemarli da destra verso sinistra in ordine di grandezza decrescente. Per addizionare due numeri si raccoglievano tutte le serie di simboli che comparivano in entrambi i numeri, sostituendoli con il simbolo immediatamente superiore quando era necessario. La sottrazione era il processo inverso dell'addizione : si otteneva la scomposizione sostituendo al geroglifico di grandezza maggiore dieci geroglifici del simbolo immediatamente inferiore.
La rappresentazione ieratica era simile per il fatto che era di tipo additivo e si basava sulle potenze di dieci, era però più economica dal momento che molti geroglifici identici venivano sostituiti da un numero minore di simboli o da un simbolo unico. Ecco qui rappresentata una versione di numeri ieratici :
Ecco un esempio di come gli Egizi scrivevano il numero 2765 :
Lo stesso numero poteva essere rappresentato anche in ordine inverso :
E' presente chiaramente l'idea di un sistema numerico in cifre. La notazione ieratica metteva a dura prova la memoria però era più economica, veloce, concisa e più adattabile ad uno scrittore con penna e inchiostro. Questo è il motivo per cui fu adottata abbastanza precocemente nell'antico Egitto.
Il numero 9999 mediante i geroglifici per esempio avrebbe richiesto 36 simboli, con la rappresentazione ieratica solo 4.
La graduale sostituzione della notazione a geroglifici con quella ieratica può aver ricevuto impulso dalla crescente popolarità del papiro come mezzo di scrittura. A partire dalla I dinastia vennero fabbricati sottili fogli di "carta" biancastra con l'interno del fusto di una pianta a forma di canna che cresceva nelle paludi lungo le rive del Nilo. I giovani fusti venivano tagliati , si toglievano le parti rigide esterne e il tenero midollo interno veniva disteso e battuto fino a quando si trasformava in fogli, mentre la linfa naturale della pianta agiva da collante. Una volta seccata al sole, la superficie destinata alla scrittura veniva raschiata per essere levigata e incollata in rotoli, dei quali il più lungo che si conosce misura più di 40 metri. Su questi rotoli gli egizi scrivevano con uno strumento simile a un pennello, utilizzando come inchiostro un'essenza nera a base di fuliggine e una rossa a base di ocra.
L'aritmetica egizia.
Il metodo di duplicazione e dimezzamento.
Uno dei grandi meriti del metodo egizio di moltiplicazione e divisione è il fatto di richiedere solamente una conoscenza preliminare dell'addizione e della tabella del 2. Il seguente esempio illustra come gli egizi eseguivano moltiplicazioni e divisioni. ( uso per semplicità la notazione odierna ).
Moltiplicare 17 per 13.
Lo scriba doveva prima di tutto decidere quale dei due numeri fosse il moltiplicando. Supponiamo il 17. Lo scriba avrebbe proceduto per moltiplicazioni successive di 17 * 2 cioè continuando a raddoppiare tutti i risultati e si sarebbe fermato prima di arrivare a un numero che superasse il moltiplicatore 13.
1 17
2 34
4 68
8 136
1 + 4 + 8 = 13 17 + 68 + 136 = 221
17 * 13 = 17 * ( 1 + 4 + 8) = ( 17 * 1 ) + ( 17 * 4 ) + ( 17 * 8 ) = 17 + 68 + 136 .
Ogni numero intero può essere espresso come la somma di potenze intere di 2, non si sa se gli egizi conoscessero questa regola generale sebbene la confidenza con la quale affrontavano tutte le forme di moltiplicazione con questo procedimento sembra indicare che ne erano consapevoli. Questo metodo di moltiplicazione costituisce la base del calcolo egizio. Nell'aritmetica egizia il procedimento della divisione era strettamente collegato al metodo della moltiplicazione. Nel papiro di Ahmes una divisione x/y viene preceduta dalle parole "fare calcoli con y per ottenere x". Uno scriba piuttosto che pensare di dividere ad esempio 696 per 29, si sarebbe detto: "partendo da 29, quante volte dovrei addizionare questo numero a se stesso per ottenere 696?" la procedura è quindi simile a un esercizio di moltiplicazione.
Dividere 696 per 29.
1 29 Lo scriba si sarebbe
2 58 fermato al 16 perché
4 116 il raddoppiamento
8 232 l'avrebbe portato oltre
16 464 il divisore 29.
16 + 8 = 24 232 + 464 = 696
29 * (8 + 16) = 29 * 8 + 29 * 16 = 232 + 464 = 696
Risultato 8 + 16 = 24
Quando uno scriba si trova di fronte al problema di non essere capace di ottenere nessuna combinazione di numeri nelle colonne di destra per arrivare al valore del dividendo, si dovevano introdurre le frazioni. Il metodo egizio di scrittura dei numeri non ammetteva nessun modo esplicito per esprimere le frazioni. Ma il modo con il quale superarono il problema fu ingegnoso.
La rappresentazioni egizia delle frazioni.
Nel 1927, lo srotolamento di un manoscritto di cuoio, coevo del papiro di Ahmes suscitò una grande eccitazione tra gli egittologi. Molti si aspettavano importanti scoperte. Immaginate il loro disappunto quando tutto quello che apparve fu una raccolta di ventisei semplici espressioni, come 1/10 + 1/40 = 1/8 riportate da uno scriba anonimo e inesperto. All'inizio il parere degli esperti fu di tipo pessimistico, ma gli esami successivi scardinarono questa opinione perché il contenuto del rotolo di cuoio ha aiutato a chiarire molti calcoli presenti nel papiro di Ahmes.
Il fatto di operare con frazioni unitarie è una caratteristica singolare della matematica egizia, assente in quasi tutte le altre tradizioni matematiche.
Solamente 6 degli 87 problemi contenuti nel papiro di Ahmes non le introducono. La grande importanza delle frazioni può essere spiegata con due argomentazioni: primo in una società che utilizzava denaro e in cui gli scambi venivano effettuati in natura c'era bisogno di fare calcoli precisi con le frazioni; un secondo motivo deriva dal carattere peculiare della matematica egizia: il procedimento di divisione per due comportava l'uso di frazioni.
Problema numero 25 del papiro di Ahmes
Dividere 16 per 3
- 3
2 6
4 12
2/3 2
1/3 1
3 + 12 + 1 =16
3 * ( 1 + 4 + 1/3 ) = 3 + 3 * 4 + 3 * 1/3 = 16
Il risultato è 1 + 4 + 1/3 = 5 + 1/3
Questo esempio chiarisce due importanti caratteristiche dei sistemi di calcolo egizi con le frazioni:
- Uno scriba per calcolare 1/3 di un numero doveva innanzitutto trovare i 2/3 di quel numero e poi dimezzare il risultato infatti tranne i 2/3 rappresentati da un apposito geroglifico, la matematica egizia non conosceva frazioni composte: tutte le frazioni venivano scomposte in una somma di frazioni unitarie.
- Per rappresentare frazioni unitarie, gli egizi utilizzavano il simbolo cioè " parte " e sotto di esso mettevano i simboli che corrispondevano al denominatore. Per esempio per 1/5 e 1/249 erano rappresentati così:
La tabella 2/n: costruzione.
La dipendenza da frazioni unitarie nelle operazioni aritmetiche, insieme al particolare sistema di moltiplicazione, fu la causa di una terza particolarità nel sistema di calcolo egizio: ogni moltiplicazione e divisione che richiedeva frazioni unitarie avrebbe ricondotto al problema di come moltiplicare per due le frazioni stesse. Moltiplicare per due una frazione unitaria con denominatore pari era una semplice questione di divisione per due del denominatore:1/40 * 2 = 1/20 Qui uso la notazione moderna, ma naturalmente dobbiamo pensare alla notazione con i geroglifici o ieratica.
Moltiplicare per due 1/3 non creava problemi di rappresentazione perché come abbiamo già detto la frazione 2/3 aveva il suo simbolo. Era al momento di moltiplicare per due frazioni unitarie con denominatore dispari diverso da 3 che creava problemi nel senso che non esistevano i geroglifici per rappresentarle. Non era ammissibile nel calcolo egizio scrivere 2 volte 1/n come 1/n + 1/n (nel senso di accostare due simboli uguali accanto). Nacque così il bisogno di un prontuario di calcolo che potesse fornire frazioni unitarie appropriate la cui somma fosse 2/n. All'inizio del papiro di Ahmes c'è una tabella di scomposizione di 2/n in frazioni unitarie per tutti i valori dispari da 3 a 101: non contiene nemmeno un errore aritmetico, nonostante i calcoli lunghi e complessi che deve aver comportato la sua costruzione. Con l'aiuto di un computer, è stato calcolato che ci sono circa 28000 combinazioni di diverse somme di frazioni unitarie che possono essere generate per 2/n con n = 3,5,7…
Alcune equivalenze fornite dalla tabella 2/n del Papiro di Ahmes:
2/5 1/3 + 1/5 Non si sa che procedura
2/7 1/4 + 1/28 sia stata adottata, tuttavia
2/9 1/6 + 1/18 nell'altro Papiro c'è una
2/15 1/10 + 1/30 indicazione per quanto
2/17 1/12 + 1/51 + 1/68 riguarda l'uso della formula
2/47 1/39 + 1/141 + 1/470
2/49 1/28 + 1/196 2/(p*q)=1/(p*(p+q)/2) + 1/(q*(p+q)/2)
2/51 1/34 + 1/102
2/55 1/30 + 1/330
2/57 1/38 + 1/114
2/59 1/36 + 1/236 + 1/531
2/97 1/56 + 1/679 + 1/776
2/99 1/66 + 1/198
2/101 1/101 + 1/202 + 1/303 + 1/606
L'ideatore di questa tabella arrivò a una particolare sottoserie di 50 espressioni con frazioni unitarie: una per ogni valore di n dispari. Le frazioni unitarie in questa serie sono ottimali, quantomeno in rapporto ai seguenti criteri di efficienza nei calcoli:
- Vi è una preferenza per i denominatori piccoli non maggiori di 900;
- Una preferenza per combinazioni con poche frazioni unitarie (nessuna espressione ne contiene più di quattro );
- Una preferenza per i numeri pari, specialmente per i denominatori della prima frazione unitaria anche se sono maggiori o possono aumentare il numero dei termini nell'espressione. Per esempio preferivano scrivere 2/17 = 1/12 + 1/15 + 1/68 piuttosto che 1/9 + 1/153
Moltiplicazione e divisione con frazioni unitarie.
Moltiplicare 1 + 1/3 + 1/5 per 30 + 1/3
1 1 + 1/3 + 1/5
2 2 + 2/3 + 2/5 = 2 + 2/3 + 1/3 + 1/15 = 3 + 1/15
4 6 + 2/15 = 6 + 1/10 + 1/30
8 12 + 1/5 + 1/15
16 24 + 2/5 + 2/15 = 24 + 1/3 + 1/15 + 1/10 + 1/30
2/3 2/3 + 2/9 + 2/15 = 2/3 + 1/6 + 1/18 + 1/10 + 1/30
1/3 1/3 + 1/12 + 1/36 + 1/20 + 1/60
2 + 4 + 8 + 16 + 1/3 = 30 + 1/3
(3+1/15) + (6+1/10+1/30) + (12+1/5+1/15) + (24+1/3+1/15+1/10+1/30) + (1/3+1/12+1/36+1/20+1/60) =
(3+6+12+24) + 1/5 + (1/15+1/15+1/15+1/10+1/30) + (1/3+1/3) + (1/10+1/30) + (1/12+1/36) + (1/20+1/60) =
45 + 1/5 + 1 + (1/10+1/30) + (1/12+1/36) + (1/20+1/60) =
46 + 1/5 + (1/12+1/36) + (1/10+1/30) + (1/10*1/2 +1/30*1/2) =
46 + 1/5 + 1/12 + 1/36 + 1/10 + 1/30+ [1/2* (1/10+1/30)] =
46 + 1/5 + 1/12 + 1/36 + 1/10 + 1/30 + 1/2*[2/15] =
46 + 1/5 + 1/12 + 1/36 + 1/10 + 1/30 + 1/15
Nel corso della moltiplicazione abbiamo le frazioni unitarie equivalenti di 2/5, 2/15, 2/9 e poiché la moltiplicazione in Egitto si basava sul raddoppiamento, era necessaria solamente la tabella 2/n, saper moltiplicare e dividere per due.
Per illustrare la divisione con le frazioni unitarie, prendiamo dal Papiro di Ahmes uno dei problemi più difficili del suo genere, il problema n.33 che può essere enunciato nel seguente modo:
La somma di una certa grandezza con i suoi due terzi, la sua metà e un suo settimo equivale a 37 Qual è questa grandezza?.
Metodo moderno:
(1 + 2/3 + 1/2 + 1/7)*X = 37
X = 37/(1+ 2/3+1/2+1/7) = 37* 42/97 = 1554/97 = (16*97 + 2) /97=16+ 2/97
Adesso enunciamo il problema nel seguente modo:
Dividere 37 per 1 + 2/3 + 1/2 + 1/7
Metodo egizio:
1 1 + 2/3 + 1/2 + 1/7
2 2 + 4/3 + 1 + 2/7 = 2+1+1/3+1+ 1/4+1/28 = 4 + 1/3 + 1/4 + 1/28
4 8 + 2/3 + 1/2 + 1/14
8 16 + 4/3 + 1 + 1/7 = 16+1+1/3+1+1/7 = 18 + 1/3 + 1/7
- 36 + 2/3 + 1/4 + 1/28
Osserviamo che ( 1 + 2/3 + 1/2 + 1/7)*16 = 36 + 2/3 + 1/4 + 1/28. Questa quantità è molto vicina a 37 che è il dividendo, quindi sorgono delle domande:
- Che cosa deve essere addizionato a 2/3+1/4+1/28 per ottenere 1? Con il metodo moderno sappiamo che è 1/21
- Per che numero il divisore 1 + 2/3 + 1/2 + 1/7 deve essere moltiplicato per avere 1/21? La risposta con l'algebra moderna è 2/97 o in frazioni unitarie è 1/56 + 1/679 + 1/776 quindi si ha:
(1+2/3+1/2+1/7)*(16+1/56+1/679+1/776)=
16*(1+2/3+1/2+1/7) + (1+2/3+1/2+1/7)*(1/56+1/679+1/776)=
36+2/3+1/2+1/4+1/28 + 1/21 = 36 + 1 = 37.
Rimane la domanda essenziale: come hanno fatto gli egizi ad affrontare i problema sollevati nei due punti precedenti usando solo gli strumenti di calcolo della loro aritmetica? La risposta ci viene fornita da uno studio di alcuni problemi del Papiro di Ahmes: i problemi dal 21 al 23 sono conosciuti come "problemi di completamento".
Problema 21: completare 2/3 1/5 fino a 1
Problema 23: completare 1/4 1/8 1/10 1/35 1/45 fino a 3
Questi problemi sono identici a quello della domanda espressa sopra di completare 2/3 1/4 1/28 fino a 1
Gli egizi adottarono un metodo per la soluzione che è analogo a quello odierno del minimo comune multiplo:
- Per prima cosa prendevano come numero di riferimento il denominatore della frazione unitaria minore e poi lo moltiplicavano per ogni frazione in modo da ottenere gli "ausiliari rossi" (chiamati perché lo scriba scriveva questi numeri con l'inchiostro rosso).
- Proseguivano calcolando di quanto la somma di questi ausiliari rossi fosse inferiore al numero di riferimento.
- La quantità mancante veniva espressa come una frazione del numero di riferimento per ottenere il completamento desiderato
- Se la quantità mancante risultava essere una frazione non facilmente riducibile, si cercava un altro numero di riferimento che desse ausiliari più convenienti.
Risolviamo con questo metodo il problema 21:
(utilizzo sempre la notazione moderna per capirci)
2/3 + 1/15 + x = 1
numero di riferimento = 15
2/3*15 = 10
1/15*15 = 1
15x = y
1*15 = 15
10 + 1 + y = 15 ; y = 4 ora bisogna esprimere 4 come frazione del numero di riferimento scelto cioè y = 4/15 = 2*(2*1/15) = 2*(1/10+1/30) (grazie alla tabella 2/n).
la soluzione è quindi 2*1/10+2*1/30 = 1/5+1/15.
Adesso possiamo risolvere il problema di completare 2/3 1/4 1/28 fino a 1 utilizzando questo metodo:
2/3 + 1/4 + 1/28 + x = 1
osserviamo che 28 non è un buon numero di riferimento dati gli ausiliari rossi che vengono
Viene scelto 42 come numero di riferimento
2/3*42 = 28
1/4*42 = 10+1/2
1/28*42 = 1+1/2
42x = y
1*42 = 42
28 +10+1/2+1+1/2 + y = 42; 40 + y = 42; y = 2
adesso dobbiamo esprimere 2 come frazione di 42 cioè 2/42 = 2*1/42 = 1/21.
Adesso troviamo per quale frazione deve essere moltiplicato 1+2/3+1/2+1/7 per ottenere 1/21 con il metodo egizio. In pratica dobbiamo dividere 1/21 per 1+2/3+1/2+1/7
Prima moltiplichiamo e poi invertiamo il risultato cioè:
1 1+ 2/3+1/2+1/7
2 2+1+1/3+1+1/4+1/28=4+1/3+1/4+1/28
4 8+2/3+1/2+1/14
8 16+1+1/3+1+1/7=18+1/3+1/7
- 36+2/3+1/4+1/28
1+4+16=21 (1+4+16)*(1+2/3+1/2+1/7)=
1+2/3+1/2+1/7+8+2/3+1/2+1/14+36+2/3+1/4+1/28=
(1+8+36)+(1/2+1/2)+(2/3+2/3+2/3)+(1/7+1/4+1/28+1/14)=
45 + 1 + 2 + 2*1/14 + 4*1/14 + 1/14 = 48+7*1/14 = 48 + 1/2
Risultato finale 1/(48+1/2) = 1/(97/2) = 2/97 = 1/56+1/679+1/776.
Applicazione delle frazioni unitarie: distribuzione del pane.
L'esclusivo uso di frazioni unitarie nella matematica egizia ha anche un fondamento pratico.
I primi sei problemi del Papiro di Ahemes riguardano la divisione di n pani tra 10 uomini con n=1,2,6,7,8,9.
Prendiamo il problema numero 6 che riguarda la divisione di 9 pani tra dieci uomini.
Approccio moderno:
Calcolare la parte di ciascun uomo cioè i 9/10 di un pane e poi dividere i pani in modo che i primi 9 ottengano ognuno i 9/10 di uno dei 9 pani; l'ultimo uomo viene lasciato con i rimanenti 9 pezzi da 1/10 di pane. Ovviamente l'ultimo uomo con questo metodo di distribuzione è svantaggiato.
Metodo egizio:
Consiste nel consultare prima di tutto la tabella di scomposizione per n/10 e scoprire che 9/10=2/3+1/5+1/30.
La divisione sarebbe proseguita nel seguente modo: 7 uomini avrebbero ricevuto ciascuno 3 pezzi che erano rispettivamente 2/3, 1/5, 1/30 di un pane; gli altri 3 uomini avrebbero ricevuto 4 pezzi così suddivisi: 2 pezzi da 1/3, un unico pezzo da 1/5 e uno da 1/30.
2/3 1/5 1/30 Questo è un metodo di distribuzione più
2/3 1/5 1/30 soddisfacente rispetto al precedente.
2/3 1/5 1/30
2/3 1/5 1/30
2/3 1/5 1/30
2/3 1/5 1/30
2/3 1/5 1/30
1/3 1/3 1/5 1/30
1/3 1/3 1/5 1/30
1/3 1/3 1/5 1/30
L'Algebra egizia: gli inizi dell'algebra retorica.
Le regole ideate dai matematici per risolvere i problemi riguardanti numeri di qualsiasi genere possono essere classificate in tre categorie. Durante le prime fasi dell'evoluzione matematica queste regole venivano enunciate oralmente, e consistevano in istruzioni molto dettagliate su ciò che si doveva fare per risolvere un problema, ecco che questo primo approccio veniva chiamato algebra retorica. Con il tempo questo tipo di approccio concedette il passo all'uso di abbreviazioni per la grandezze e le operazioni ricorrenti annunciando la comparsa di un' algebra sincopata. Nel corso corso degli ultimi cinquecento anni si è sviluppata l'algebra simbolica.
Gli Egizi diedero inizio all'algebra retorica.
Diamo uno sguardo al problema numero 72 del Papiro di Ahmes:
100 pani di pesu 10 devono essere scambiati con un certo numero di pani di pesu 45. Qual è questo numero? ( pesu = misura della leggerezza di una certa derrata, cioè la percentuale del numero di pani prodotti in rapporto a un certo quantitativo di grano; così più alto è il pesu più leggero è il pane ).
Metodo moderno:
45/10*100 = 450
Metodo egizio:
- Trovate l'eccedenza di 45 rispetto a 19: risultato 35.Dividete 35 per 10: risultato 3 + 1/2.
- Moltiplicate il risultato ( 3 + 1/2 9 per 100: risultato 350. Addizionate 100 a 350: risultato 450
- Quindi il cambio è 100 pani di pesu 10 per 450 pani di pesu 45
Spiegazione moderna del metodo egizio.
Siano x, y i pani di pesu rispettivamente p e q. Trovate y conoscendo x, p, q.
( q - p ) / p
[( q - p ) / p]x + x
y = [( q - p ) / p]x + x = (q/p)x
Dopo quattromila anni si osserva che quella che abbiamo in questo esempio è una forma di algebra derivante dalla conoscenza che y/x = q/p implica che ( y - x ) /x = ( q - p ) / p:
Problema numero 26 del Papiro di Ahmes:
Una grandezza e un suo quarto addizionati danno come risultato 15. Qual è questa grandezza?
Metodo moderno:
x + 1/4x = 15 quindi x = 12
Metodo egizio:
Lo scriba fece un ragionamento di questo tipo: se la risposta fosse 4, 1 + 1/4 farebbe 5. Il numero che deve essere moltiplicato per 5 per avere 15 è 3, quindi la risposta corretta è 4*3 = 12.
Lo scriba stava applicando il metodo dell'ipotesi falsa che è il sistema più antico e popolare per risolvere le equazioni lineari prima dell'apparizione dell'algebra simbolica.
La Geometria egizia.
Il termine geometria deriva da due parole greche che significano "terra" e "misura" per indicare che questa materia ebbe origine dalla misurazione dei campi e da altre applicazioni pratiche: fu proprio a causa della necessità di calcolare le aree dei terreni, il volume dei granai e delle piramidi che in Egitto nacque la geometria, assumendo un carattere tipicamente pratico.
I risultati maggiori raggiunti dalla geometria egizia sono:
- L'approssimazione dell'area del cerchio
- La deduzione della regola per calcolare il volume di una piramide tronca
Problema numero 50 del Papiro di Ahmes:
Un campo circolare ha il diametro di 9 kent. Qual è la sua area? ( 1 kent = circa 50 metri).
Metodo egizio: Sottraete 1/9 del diametro cioè 1 kent. Rimangono 8 Kent. Moltiplicate 8*8; il risultato è 64. L'area è quindi 64 setat ( cioè kent quadrati)
Scritto in termini simbolici il ragionamento appena fatto equivale a :
A = [ d - ( d/9)]² = (8d/9)² dove d è il diametro
Metodo moderno: A = πr² = ( 3,142)*( 4,5)² = 63,63 che è vicino al valore calcolato dallo scriba.
Nel metodo egizio c'è una implicita stima di π che può essere ricavata con una semplice equazione:
π(d²/4) = (8d/9)² risolvendo si ottiene:
π = 4*(8/9) ² = 256/81 = circa 3,1605
Come fecero gli egizi a trovare questa regola?
Questo è un problema unico tra gli 87 problemi del Papiro di Ahmes per il fatto che viene espresso in forma grafica annotata.
La prima figura rappresenta un quadrato con quattro triangoli isosceli agli angoli, ognuno con un'area di 9/2 kent quadrati ( o setat ). La rimozione di questi dà un ottagono regolare ( come si vede nella seconda figura ) con un lato di 3 kent.
L'area dell'ottagono è quindi uguale all'area del quadrato meno l'area totale dei triangoli rimossi cioè scritto con la nostra notazione si ha:
A = 9² - 4 * ( 9/2) += 81 - 18 = 63
Questo è il valore che si ottiene all'incirca stabilendo che d=9 nell'espressione
A = (8d/9)² . Quindi l'ottagono rappresenta una ragionevole approssimazione al cerchio inscritto nel quadrato.
L'area di un cerchio di diametro di 9 unità è approssimativamente uguale all'area di un quadrato con il lato di 8 unità.
L a regola egizia per ottenere l'area di un cerchio viene applicata ad esempio nel problema numero 41 del Papiro di Ahmes dove viene calcolato il volume di un granaio cilindrico con diametro di 9 cubiti e altezza 10 ( 1 kent = 100 cubiti ) :
V = (8d/9)²*h = 640 cubiti
Volume di un tronco di piramide a base quadrata.
Enunciamo il problema numero 14 del Papiro di Mosca:
Un tronco di piramide è di 6 cubiti in altezza verticale per 4 cubiti alla base per 2 cubiti alla sommità. Calcolare il volume di questa piramide.
Metodo egizio:
- Elevate al quadrato 4: risultato 16.
- Elevate al quadrato 2: risultato 4.
- Moltiplicate 4 per 2: risultato 8.
- Addizionate 16, 8, 4: risultato 28.
- Prendete 1/3 di 6: risultato 2.
- Moltiplicate 28 per 2: risultato 56
- Ecco che il volume è 56!
Espressione simbolica:
h = altezza; a = base; b = sommità; V = ( a² + ab + b²)*h/3
L'approccio egizio è equivalente alla rappresentazione simbolica ed è corretto!
La domanda che ci dobbiamo porre è come gli egizi siano arrivati alla formula corretta del volume del tronco di piramide? Ci sono tre spiegazioni principali: tutte partono dall'ipotesi che essi conoscessero la formula del volume della piramide completa, perché altrimenti non si spiegherebbe il fattore 1/3. ( Infatti il volume della piramide completa è V = a²h/3 cioè basta porre b=0 nella formula del volume del tronco di piramide )
- La prima spiegazione suggerisce che il tronco di piramide venisse ridotto in solidi più piccoli dei quali si calcolava il volume per poi fare la somma totale. La critica che si può fare a questa motivazione è che la riduzione della somma dei volumi di tutti i solidi alla formula finale avrebbe richiesto un grado di conoscenza algebrica e raffinatezza che probabilmente gli egizi non avevano.
- La seconda parte dal presupposto che gli egizi avessero scoperto in modo empirico che il volume di un tronco di piramide può essere calcolato come il prodotto dell'altezza di un tronco di cono h, e la media di Erone delle aree delle basi a² e b². La media di Erone di due numeri positivi x e y è data da (x + y + √xy)/3.
- Per finire c'è l'opinione che il volume venisse calcolato come differenza tra una piramide completa in origine e una più piccola rimossa dalla sua sommità. Questa sembra la spiegazione più plausibile delle tre visto l'approccio " concreto " che gli egizi avevano nei confronti della geometria.
Aspetto didattico.
Le frazioni egiziane.
Una frazione che viene scritta come somma di distinte frazioni unitarie è chiamata FRAZIONE EGIZIANA.
Abbiamo visto che gli egizi erano abilissimi nell'applicare questo procedimento di scomposizione anche se tutt'oggi non è stato ancora capito quale metodo adoperassero.
L'aspetto interessante è che le frazioni egiziane sono utili anche oggi per due buone ragioni:
- La prima ragione è pratica: supponiamo di voler dividere 5 sacchi di grano tra 8 persone; teoricamente ciascuna persona deve ricevere 5/8 di sacco di grano, ma praticamente prendere in modo esatto 5/8 di sacco di grano non è facile. Il problema si semplifica notevolmente usando le frazioni egiziane.
- La seconda è poter confrontare in modo molto preciso le frazioni usando proprio quelle egiziane.
Problema da proporre nelle scuole elementari o medie inferiori:
Supponiamo che Maria abbia 5 sacchi di grano da dividere tra 8 contadini che hanno lavorato nel suo campo. Maria vuole che ciascuno riceva esattamente la stessa quantità di grano. Osserva lo schema qui sotto
Come risolveresti questo problema in modo da fare delle parti o dei gruppi di parti esattamente della stessa forma e quantità in modo che ciascuna delle otto persone riceva la stessa quantità di grano?
SOLUZIONE:
Basta scomporre 5/8 = 1/2 + 1/8 così 4 sacchi vengono divisi a metà e l'ultimo sacco viene diviso in otto parti.
Quindi ciascuna persona riceve mezzo sacco di grano più un ottavo di sacco di grano.
VANTAGGIO: Prendere metà di sacco di grano è a livello pratico molto più semplice che prenderne i 5/8 e questa semplice operazione viene fatta su ben 4 sacchi! Solo un sacco va diviso in otto parti.
Esercizio: risolvi lo stesso esercizio cercando ora di dividere 3 sacchi tra 4 persone! Fai anche un disegno schematico e spiega i vantaggi a livello pratico rispetto al metodo tradizionale!
Confrontare le frazioni.
Quale frazione e più grande ad esempio tra 4/5 e 3/4 ?
Metodo dei decimali:
3/4 = 0.75
4/5 = 0.8 Quindi si vede che 4/5 > 3/4
Metodo delle frazioni equivalenti:
m.c.m (4,5) = 20
3/4 = 15/20
4/5 = 16/20 Quindi si vede che 4/5 > 3/4
Metodo delle frazioni egiziane:
3/4 = 1/2 + 1/4
4/5 = 1/2 + 1/4 + 1/20 qui si vede che 4/5 > 3/4 esattamente di 1/20
Osservazioni: Confrontare le frazioni usando quelle egiziane non è conveniente rispetto agli altri due metodi, anzi secondo il mio parere è più noioso e il rischio di commettere errori è maggiore. Tuttavia penso che sia un ottimo esercizio di calcolo per i ragazzi utile a imparare le tabelline, le operazioni con le frazioni e ad avvicinarli alle culture diverse dalla nostra.
Esercizio: Risolvi usando tutti e tre i metodi esposti precedentemente i seguenti esercizi:
Chi è maggiore 4/7 o 5/8 ?
Chi è maggiore 3/11 o 2/7 ?
Adesso dobbiamo capire se esiste un metodo per rappresentare una certa frazione come somma di frazioni distinte unitarie. Non si sa come facessero gli egiziani, comunque è stato dimostrato da Fibonacci che ogni frazione del tipo a/b < 1 è sempre scrivibile come somma di frazioni distinte unitarie.
Si dimostra anche che esistono infiniti modi di scomposizione.
DIMOSTRAZIONE:
Data una frazione a/b < 1:
- Se a = 1 ok è già una frazione unitaria
- Se a > 1, allora visto che a/b < 1 si ha a<b, in questa situazione si ragiona così:
- Si cerca la frazione unitaria 1/u¹ tale che 1/u¹ < a/b < 1/(u¹ -1) cioè si cerca la frazione unitaria più grande possibile, ma minore di a/b
- Si sottrae 1/u¹ da a/b e si trova una frazione rimanente R = a/b - 1/u¹.
- Se R è unitaria allora il procedimento è terminato e abbiamo scritto a/b come somma di due frazioni unitarie a/b = 1/u¹ + 1/u² con R = 1/u².
- Se R non è unitaria allora si ripete l'algoritmo fatto con a/b su R che sarà del tipo a'/b' con a' > 1 e a' < b'.
- Il procedimento termina quando si trova una frazione rimanente unitaria.
Adesso spiego perché il procedimento termina:
La serie di frazioni unitarie che viene fuori applicando questo algoritmo è strettamente decrescente cioè si arriva a scrivere:
a/b = 1/u¹ + 1/u² + … + 1/uⁿ con u¹ < u² <… < uⁿ
dove 1/u¹ < a/b < 1/(u¹ -1) quindi si ha che:
a/b - 1/u¹ = R PRIMO RIMANENTE sono tutte quantità positive quindi
R< a/b.
a/b = 1/u¹ + R se R non è unitaria ripeto l'algoritmo con R e trovo R' < R proprio per quello appena dimostrato cioè che la frazione rimanente è sempre minore della frazione di partenza che voglio scomporre. Quindi si può scrivere che R = 1/u² + R' < a/b = 1/u¹ + R e sapendo che R' < R e R < a/b si ricava che 1/u² < 1/u¹ procedendo così si arriva a dimostrare che
1/u¹ < 1/u² <… 1/uⁿ cioè una successione strettamente decrescente e quindi alla fine otterrò una frazione rimanente unitaria.
Esempio: Scomporre come somma di frazioni unitarie la seguente frazione usando il metodo descritto precedentemente.
521/1050
- 521/1050 < 1
- 1/3 < 521/1050 <1/2
- 1/u¹ = 1/3
- 521/1050 = 1/3 + R
- R = 521/1050 - 1/3 = (521-350)/1050 = 171/1050 = 57/350
- R non è unitaria allora ripeto l'algoritmo con R
- 1/7 < 521/1050 < 1/6
- 57/350 = 177 + R'
- R' = 57/350 - 1/7 = (57-50)/350 = 7/350 = 1/50
- R' è unitaria allora l'algoritmo è terminato
- 521/1050 = 1/3 + 1/7 + 1/50
Adesso faccio vedere che ciascuna frazione della forma a/b con a < b ha infiniti modi di essere rappresentata come somma di frazioni unitarie.
Tutto discende dal fatto che vale la seguente uguaglianza:
1 = 1/2 +1/3 + 1/6
ad esempio consideriamo 3/4 = 1/2 + 1/4 = 1/2 + (1/2+1/3+1/6)/4 quindi si ha che:
3/4 = 1/2 + 1/8 + 1/12+1/24 posso ripetere il procedimento appena applicato con ciascuna frazione unitaria, ottengo infiniti modi di scrivere 3/4.
Pietro Bonfigli
Fonte: http://www.matematicaeliberaricerca.com/download_area/free/egitto.doc
Antico Egitto
L’ Egitto si trova nell’Africa del nord ed è attraversata da un fiume lunghissimo e spettacolare che si chiama Nilo
Fu proprio lungo le coste di questo fiume che tra il IV ed il I millennio a.C., quindi per ben 3000 anni, si sviluppò la civiltà egizia, una delle più durature di tutta l’antichità.
La storia degli egiziani inizia intorno al 3300 a.C. Allora l’Egitto era diviso in due grandi aree: il Basso Egitto governato dai re con la corona rossa e l’Alto Egitto, in cui i re avevano la corona bianca.
Fu proprio in questo periodo che gli egiziani inventarono la scrittura geroglifica.
Stagione della semina e dei raccolti o “ peret “
(novembre-marzo): quando le acque si ritiravano, il terreno fangoso ricco di limo veniva arato e si seminava. Il lavoro era seguito con attenzione dagli scribi che segnavano ogni operazione.
Fu proprio sulle sue sponde che la civiltà Egizia potò svilupparsi; infatti per gli egiziani fu una vera fonte di inesauribile ricchezza, perché le sue terre erano fertili e coltivabili, a differenza del resto dell’Egitto dove invece prevaleva il deserto
Il Nilo è il fiume più lungo del mondo, nasce dal lago Vittoria, nel centro dell’Africa, scorre verso nord e sfocia nel mar Mediterraneo.
In base al ritmo delle piene del Nilo gli Egizi impararono a dividere l’anno in tre stagioni
Stagione dell’inondazione o “ akhet “
(luglio-novembre): il Nilo straripava e inondava i campi e talvolta anche le abitazioni, ma il terreno veniva ricoperto dal fertile limo.
Queste terre erano così fertili perché ogni anno, da giugno a settembre le abbondanti piogge facevano alzare il livello di acqua del fiume che si gonfiava fino ad inondare le terre circostanti. Poi, quando le acque si ritiravano, sul terreno rimaneva il limo, uno strato di terriccio nero, umido e ricco di sali. Così, le terre, divenute fertili erano pronte per essere seminate e garantivano ogni anno abbondanti raccolti.
Circa 1000 anni dopo, gli egiziani si trovarono a dover affrontare un periodo molto ma molto difficile: il Paese venne sconvolto da disastrose inondazioni, terribili carestie e disordini interni.
Ci vollero quasi due secoli per ritrovare la tranquillità: la capitale venne spostata a Tebe ed ebbe inizio il Regno Medio
Stagione della sete o “ chemu “
(marzo-luglio): sono i mesi più caldi e secchi, durante i quali si attendeva una nuova inondazione.
Si coltivavano il grano e l’orzo, da cui si ricavavano il pane e la birra e il lino per fabbricare i tessuti.
Si raccoglieva anche la frutta (fichi, datteri, melograni e uva) e gli ortaggi.
Per questo motivo gli egiziani divennero degli abili contadini. Essi impararono anche a costruire canali e dighe per portare l’acqua preziosa anche nelle zone più aride.
Il fiume ospitava anche molti animali come ippopotami, coccodrilli, anatre, quaglie….; fu per questo motivo che gli egiziani si dedicarono alla caccia, alla pesca e impararono a navigare su quel fiume che divenne la principale via di commercio.
Gli egiziani furono una civiltà molto religiosa. Essi erano politeisti, cioè adoravano molti dei.
C’erano gli dei che avevano lo stesso aspetto degli esseri umani, quelli con il corpo umano e la testa di animale.
Secondo gli egiziani, tutte le divinità avevano abitato la Terra prima degli uomini e possedevano una forza e un potere che nessuno poteva eguagliare, tranne il Faraone.
Iside, moglie di Osiride, essa aveva allevato con grande cura e amore i suoi figli. Per questo era la dea che proteggeva le madri ed i bambini.
Intorno al 3000 a.C., il guerriero Narmer unificò le due corone e divenne il primo faraone della storia egiziana.
Nacque così il Regno Egizio Antico che ebbe Menfi come capitale. Durante questo periodo vennero costruite le imponenti e spettacolari piramidi
Stagione della semina e dei raccolti o “ peret “
(novembre-marzo): quando le acque si ritiravano, il terreno fangoso ricco di limo veniva arato e si seminava. Il lavoro era seguito con attenzione dagli scribi che segnavano ogni operazione.
Seth fratello e nemico di Osiride, era il dio del deserto e delle tempeste di sabbia. Aveva il corpo umano e la testa di un asino.
Fu proprio in questo periodo che gli egiziani inventarono la scrittura geroglifica.
Horus figlio di Iside e Osiride aveva ereditato tutto l’Egitto e il compito di proteggere il Faraone. Horus aveva il corpo di un uomo e la testa di un falco.
Intorno al 1800 a.C. gli Hyksos, una pericolosa tribù straniera invase l’Egitto.
Ancora una volta però gli egiziani riuscirono a riunificate il Paese ed iniziò uno dei periodi più ricchi e splendidi di questa civiltà: il Regno Nuovo.
E’ questa l’epoca in cui regnarono il faraone Aken-Aton con la moglie Nefertiti, il figlio Tutankamon, Ramses II e molti altri personaggi importantissimi per la storia dell’Egitto
Thot secondo gli Egizi fu lui ad inventare il linguaggio: per questo era il dio della scrittura e della saggezza e proteggeva gli scribi. Aveva il corpo di un uomo e la testa di Ibis, un uccello del Nilo.
Hathor era la dea della danza, della musica, della felicità e dell’amore. Aveva il corpo di una donna ma sulla testa portava il disco della luna con le corna di vacca.
Gli Egiziani credevano che dopo la morte la vita continuasse in un luogo meraviglioso dove l’anima del defunto, che chiamavano Ka, avrebbe condotto un’esistenza simile a quella terrena.
Anubi era il signore dei morti e proteggeva coloro che preparavano le mummie. Aveva il corpo di un uomo e la testa di sciacallo
Il viaggio che il defunto doveva compiere per raggiungere questo fantastico mondo era però lungo, complicato e pieno di prove ed ostacoli da superare; richiedeva l’indispensabile aiuto degli dei: bisognava attraversare un fiume, poi superare sette cancelli, combattere con serpenti, coccodrilli e demoni…
L’ultima prova era quella più importante perché stabiliva se l’anima del defunto poteva o non poteva raggiungere il regno di Osiride: il dio Anubi poneva su un piatto della bilancia una piuma e sull’altro piatto il cuore del defunto. Se il cuore pesava più della piuma allora voleva dire che era carico di malvagità e per questo veniva divorato dal terribile mostro Ammit con la testa di coccodrillo. Se invece il cuore e la piuma avevano lo stesso peso allora era appartenuto ad un uomo buono la cui anima era degna della vita eterna.
Amon-Ra era il dio-sole creatore degli uomini. Amon-Ra è il protagonista di molti miti sulla creazione. Il più famoso narra che all’inizio esisteva un grandissimo oceano tutto buio. In mezzo a questo oceano a un certo punto emerse una montagna e contemporaneamente comparve il dio Sole che creò tutte le cose
Osiride regnava con bontà e giustizia su tutto l’Egitto insieme alla sorella e moglie Iside. Il fratello Seth, accecato dalla gelosia, con un astuto tranello lo uccise. Iside, però con l’aiuto del figliastro Anubi, lo riportò magicamente in vita. Per questo divenne il dio della morte, della rinascita e dell’aldilà. Osiride era anche il dio della terra, poiché aveva insegnato agli uomini a seminare e a raccogliere.
Anche gli Egizi erano politeisti, credevano cioè in molti dei: alcuni avevano forma umana, altri di animale.
Gli dei più antichi rappresentavano le forze della natura e potevano favorire o danneggiare i raccolti.
Alcune divinità come Iside, Osiride e Ammon-Ra erano adorate in tutto il regno ed erano considerate molto potenti; altre, invece, venivano venerate nelle singole città o nei villaggi.
Il faraone era il re dell’Egitto, il padrone di tutte le terre e di tutte le ricchezze del Paese: poteva decidere della vita e della morte dei suoi sudditi.
Il faraone svolgeva sostanzialmente tre compiti importanti:
- sovrano assoluto: organizzava il lavoro agricolo, studiando la costruzione dei canali e dei bacini per ampliare e zone da coltivare. Stabiliva i tributi e organizzava le scorte nei magazzini per i periodi di carestia. Infine organizzava spedizioni per gli scambi commerciali con altri Paesi;
- sacerdote massimo: tra i suoi doveri principali c’era quello di compiere cerimonie per “ringraziare” il Nilo; considerato egli stesso una divinità, il faraone aveva il compito di abitare sulla terra per garantire al suo popolo buona salute e abbondanti raccolti;
- comandante delle forze militari: doveva mantenere l’ordine e la pace nel Paese e difendere l’Egitto dai nemici.
- Spesso sulla corona del faraone c’era un cobra, simbolo del timore e del rispetto che i sudditi gli dovevano.
- Sulla testa del faraone, di solito si metteva il “nemes”, un particolare tessuto a righe oro e blu, simbolo della sua natura divina.
- Il faraone aveva due scettri: una frusta a tre frange, simbolo del suo potere sui campi e sulle persone, e un bastone ricurvo, simbolo di saggezza, per ricordare la sua funzione di guida per il popolo.
- Un altro oggetto molto importante era la croce anelata, simbolo della vita.
Le abitazioni
I palazzi dei nobili erano molto grandi, anche su due piani, con abitazioni per i servi, magazzini e giardini.
Le case delle altri classi sociali erano costruite con mattoni cotti al sole, poiché l’Egitto era privo di legname; le abitazioni avevano stanze quadrate con piccole finestre e il tetto piatto, a terrazza.
L’ abbigliamento
La corte del faraone era formata da persone riccamente vestite con abiti di lino, simbolo di freschezza e pulizia, e abbellite con gioielli preziosi.
Uomini e donne erano, truccati con una speciale polvere verde o grigia detta “Kol”.
Le persone comuni, invece, si vestivano con abiti realizzati in tela grezza.
Il cibo dei nobili
Nelle case dei nobili si mangiava pesce e frutta, sulle tavole reali c’erano anche il vino e la carne. Si mangiavano anche caramelle molto dolci fatte con miele, mandorle e datteri.
Si usavano soprattutto vasi realizzati in alabastro e ceramica smaltata, ma anche di vetro, materiale molto raro e pregiato.
Il cibo del popolo
La base dell’alimentazione della gente comune era il pane non lievitato, a cui si aggiungevano molte verdure(cetrioli, insalata, cipolle….) e frutta come meloni, datteri e fichi.
Raramente potevano permettersi di mangiare carne.
La bevanda più diffusa era la birra ricavata dalla fermentazione dell’orzo.
Si usavano vasi di terracotta, cesti intrecciati con foglie di palma o di papiro.
http://www.comprensivocassanomagnago2.it/egizi.doc
Antico Egitto
ASSASSINIO SUL NILO
La morte di Tutankhamon
di Spiteri Giuseppe
La storia è la ricostruzione degli avvenimenti del passato e le vicende degli uomini (vissuti anche migliaia di anni fa), fatta dagli storici dopo aver studiato con attenzione le tracce del passato: utensili, armi, antichissimi manoscritti e dipinti, resti di costruzioni spesso sepolti nel terreno e riportati alla luce grazie agli scavi degli archeologi. Queste tracce sono i documenti, le testimonianze, le fonti sulle quali lavora lo storico, per ordinarle sulla linea del tempo secondo un preciso ordine cronologico.
Gli antichi egizi, la cui storia abbraccia un periodo lungo più di 5000 anni (che comprende quattro fasi: Antico, Medio, Nuovo Regno ed Età Tarda – suddiviso in 30 dinastie-), ci hanno lasciato moltissime di queste tracce, numerosi templi, le piramidi, la sfinge e tanti altri monumenti sepolcrali faraonici, con all’interno moltissime raffigurazioni murali e scritte a carattere geroglifico descriventi le gesta del defunto (geroglifico: scrittura costituita da ideogrammi, ciascuno dei quali rappresentava un oggetto, un azione, un idea, secondo il principio dei "rebus”). Un ruolo importante per la ricostruzione della storia egizia, lo hanno avuto sicuramente gli scribi, specialisti della scrittura geroglifica, che all’interno del loro paese, utilizzavano prevalentemente il papiro (ricavato dall’omonima pianta), mentre negli scambi commerciali o diplomatici con l’estero, si servivano di tavolette in argilla (umida che poi facevano essiccare), perché più resistenti; registravano e scrivevano ogni cosa: i tributi che i sudditi versavano, le offerte fatte al tempio, le battaglie, i prigionieri e soprattutto le imprese dei loro re. Se un sacerdote egiziano voleva impressionare uno straniero con la propria civiltà, gli declamava la lista dei re. Erano talmente orgogliosi di loro, che scrivevano i loro nomi anche sulle pareti dei templi. Ecco perché si è riusciti a ricostruire non solo la loro storia e quella del loro popolo, ma soprattutto il loro modo di vivere, le loro credenze e anche le loro paure. Ogni volta che un egiziano usciva dai propri confini, cominciava per lui un’avventura audace e pericolosa; se fosse morto in terra straniera, lontano dai sacerdoti e dagli imbalsamatori, il suo corpo non sarebbe potuto essere mummificato ed ogni speranza di vita eterna sarebbe stata perduta. Gli antichi egizi credevano nella resurrezione ed il corpo, dopo la morte, era altrettanto importante che in vita; erano convinti che durante la notte, una parte dell’anima lasciasse il corpo, per visitare il mondo sotterraneo e farne ritorno solamente al sorgere del sole; ma l’anima per poterci ritornare doveva essere in grado di riconoscerlo. Per questa ragione, doveva essere conservato nelle migliori delle condizioni possibili. Senza il corpo intatto scemava ogni speranza d’immortalità e questa era la catastrofe peggiore che potesse colpire un antico egizio. Questo è il motivo per il quale praticarono la mummificazione, un complesso rituale religioso che richiedeva circa 70 giorni per la preparazione della salma. Nell’antico Egitto (nome che deriva dal greco Aegyptos), il Dio del regno dei morti era Osiride che fu ucciso dal fratello Seth, fatto in 14 pezzi e poi disperso su tutta la terra. La sorella e moglie di Osiride, Iside, trovò tutti i pezzi tranne uno (il membro virile), li riunì e li avvolse con strisce di tela, creando così la prima mummia. Partendo da questa leggenda, nacque così la pratica sofisticata che si sviluppò nell’arco di 3500 anni.
Secondo la religione degli antichi egizi, il faraone non era solo un uomo ed un re, ma motivati dall'identificazione con il figlio del dio sole RA, lo consideravano anche una divinità ed in quanto tale, egli era oggetto di culto (teocrazia). Potente, giusto, autorevole e rispettato, il faraone seppe essere il garante di una gerarchia sociale piramidale (seguito dai sacerdoti, gli scribi, i guerrieri, gli artigiani, i contadini e infine gli schiavi), che permise alla civiltà egizia di perdurare per oltre tremila anni dando esempio di grande organizzazione e capacità. Quando il re moriva, veniva vestito e dotato di un corredo (cibo, suppellettili, ornamenti, abiti, oggetti di valore che gli erano appartenuti, ecc.), per garantirgli la vita anche nell’aldilà, ma prima che morisse, veniva costruita per lui una tomba elaborata in grado di proteggerlo per l’eternità. Queste tombe si chiamavano mastabe, venivano intagliate nella pietra, che si trovava sotto la sabbia, cunicoli, labirinti e porte segrete per meglio proteggere il mausoleo dai saccheggiatori; poi venivano coperte da un’ampia e solida struttura in mattoni. Ma per alcuni egizi la sete di ricchezze superava la fede, non importava quanto complicati e nascosti fossero i passaggi all’interno della tomba, i ladri, che per intere generazioni vissero saccheggiando e vendendo gli oggetti preziosi rubati, riuscivano sempre a trovare il tesoro. Il motivo era semplice, spesso i predoni erano le stesse persone che le avevano costruite. Per evitare queste razzie bisognava creare un qualcosa di talmente massiccio, da risultare impossibile trovare la camera funeraria (dove erano concentrate la maggior parte delle ricchezze), pur conoscendo la sua esatta posizione. La soluzione fu la costruzione delle piramidi, che sono state il progetto più grandioso del mondo antico, che esistono da più di 4000 mila anni e non ci hanno ancora svelato tutti i loro segreti (le più grandi si trovano a Giza, vicino al Cairo, che si estende su un altopiano di duemila metri quadrati dove sorgono la piramide di Cheope alta 147 metri, Chefren alta 140 metri e Micerino alta invece 65 metri e sembra che il loro allineamento corrisponda a quello di tre stelle della costellazione di Orione.). Le loro dimensioni imponenti, dovevano anche servire per scoraggiare i ladri di tombe. Ma ironicamente furono proprio queste dimensioni a fornire un esplicito ed inequivocabile segnale, che indicava loro le ricchezze nascoste all’interno; considerata l’enorme superficie occupata dalle piramidi, i non graditi visitatori impiegavano più tempo a trovare la camera funeraria, ma prima o dopo riuscivano nel loro criminoso intento di trafugare i tesori. Era chiaro, che bisognava inventare un’altro tipo di sepoltura. Così a cominciare dal 1500 anni a.C. i faraoni del Nuovo Regno (1700-1070 a..C.), scelsero un modo diverso, per preservare le loro mummie reali, nascondendole in una valle desolata, non lontana dalla odierna Luxor: “La valle dei re”. Le tombe erano scavate nella roccia viva e poi ricoperte da montagne di detriti; ma anche qui purtroppo i sepolcri dei faraoni continuarono ad essere depredati e saccheggiati. Oggi, dopo anni di scavi archeologici, si contano 62 tombe, ma solo una non è mai stata spogliata dei suoi immensi tesori. E’ quella della figura più enigmatica della civiltà egizia, il re fanciullo Tutankhamon (Nebkheprura, XVIII dinastia), uno dei faraoni meno importanti, ma allo stesso tempo il più famoso.
A 3300 anni dalla sua morte, due investigatori americani ingaggiati da Discovery Channel, Greg Cooper e Mike King esperti di analisi del crimine, sostengono, dopo un’inchiesta condotta in maniera molto simile alle moderne indagini di omicidio, che il faraone non sia morto per cause naturali, ma che sia stato invece assassinato. Prima di addentrarci nei dettagli della loro inchiesta, vediamo di conoscere meglio Tutankhamon. Chi era? Perché è cosi famoso?
La sua fama è dovuta alla sensazionale scoperta fatta da Howard Carter, un disegnatore britannico con il pallino dell’archeologia, che dopo anni di ricerche nella valle dei Re, finanziati dal suo connazionale Lord Carnavon, quando ormai tutti gli scienziati asserivano che l’intera valle era stata svuotata di tutti i suoi tesori, scavando nel triangolo compreso tra la tomba di Ramses II, Ramses IV, e Merenpthah, portò alla luce la mattina del 4 novembre del 1922, il primo di 16 gradini che conducono alla sua tomba. La notizia della sua successiva apertura fece velocemente il giro del mondo, suscitando la meraviglia e le inevitabili polemiche di tutta la comunità internazionale, legate all’opera sacrilega degli archeologi. Così in seguito a tutta una serie di coincidenze che portarono alla morte diverse persone che in qualche modo erano venute a contatto con la tomba, nacque “la maledizione di Tutankhamon”. Come già detto, la sua, è l’unica tomba inviolata della storia egizia e se si pensa alle sue dimensioni ridotte, paragonate alle enormi ricchezze contenute in essa, riesce difficile immaginare cosa potessero contenere i più grandi sepolcri faraonici, prima di essere saccheggiati. Infatti, all’interno, vi sono stati trovati migliaia di oggetti preziosi, un trono d’oro, vasi di alabastro, bizzarre teste di animali d’oro (poste una di fronte all’altra come se facessero da sentinella alla tomba), due statue con grembiule e sandali d’oro, suppellettili di ogni genere dislocati nelle diverse stanze che la compongono e anche quattro carrozze che non potendo entrare intere, visto l’ingombro, vennero introdotte segate in vari pezzi. L’ingresso della camera sepolcrale era sbarrato da una parete tutta d’oro massiccio; dentro al sarcofago, tutto ricoperto d’oro di dimensioni enormi 5,20 C 3,35 C 2,75 metri, all’apertura nel 1926 (ci sono voluti circa quattro anni per sgomberare tutti i tesori) furono estratte e separate quattro bare una dentro l’altra, l’ultima contenente la mummia, con la sua magnifica maschera facciale d’oro ancora intatta, divenuta l’emblema della civiltà egizia.
Tutankhamon era probabilmente figlio di Akhenathen e di Kia (moglie minore del faraone) morta di parto proprio alla sua nascita. Akhenathen ( che per i primi anni regnò con il nome di Amenofi IV fu il faraone eretico che proprio quando l’Egitto aveva raggiunto il suo apogeo, grazie a più di 200 anni di stabilità politica e dopo avere adorato le stesse divinità per secoli, scosse il suo equilibrio religioso diventando monoteista. Spostò la capitale dalla gloriosa Tebe, in una zona vergine e desertica a circa 140 Km dalla moderna Cairo, in un posto che oggi si chiama Amarna e iniziò a costruire la sua città Akhetaton. Quindi proclamò di voler seguire un solo Dio: Aton, il dio sole. Per il re caddero gli dei familiari che per generazioni gli egiziani avevano adorato: Osiride il Dio dei morti, Anubi il Dio con la testa di sciacallo, Hator la dea dell’amore e della musica, Seth il dio malvagio fratello di Osiride che veniva rappresentato come un’animale indefinibile, forse perché oggi estinto (una via di mezzo fra un asino ed un cane) e tanti altri (si è calcolato che in Egitto fossero venerati circa tremila dei, in quanto non solo ogni nomo – provincia -, ma persino ogni villaggio aveva la propria divinità). Per Akenathen ormai, c’era solo il disco solare i cui raggi diffondeva la luce su tutti. Ma questi non furono i soli cambiamenti introdotti da Akenathen; da un giorno all’altro, lo stile dell’arte si trasformò da formale, in naturalistico. Se prima il ritratto del faraone appariva vigoroso e sensuale, venne poi rappresentato in maniera grottesca, forse per distaccare il re dal resto dell’umanità. Quando i primi egittologi scoprirono queste figure grottesche, percepirono subito un mutamento radicale negli usi e nei costumi degli antichi egizi. Akhenathen aveva anche modificato quel sistema politico che aveva prodotto ricchezza e stabilità in passato. Infatti il dominio egiziano sul vicino oriente era stato costruito su un grande esercito permanente comandato dal faraone stesso. La politica estera si basava per il vicino oriente su trattative commerciali e alleanze, che l’esercito faceva rispettare. In Nubia (il Sudan di oggi) al contrario, il metodo adottato fu quello della colonizzazione. Si trattava di un sistema che aveva arricchito notevolmente l’Egitto. Akhenathen fu guida religiosa, ma verso la fine del suo regno si distaccò dalla politica estera e così facendo, perse alcuni territori in Siria e in Palestina. L’Egitto, stava vivendo un periodo di eccezionali mutamenti. Proprio in questa epoca tumultuosa venne alla luce Tutankhaton, il futuro Tutankhamon.
Alla morte di Akhenaten, poiché con la moglie principale Nefertiti, egli non aveva avuto eredi maschi, a soli nove anni Tutankhaton sale al trono. Durante il suo regno, la rivoluzione religiosa posta in atto dal suo predecessore, venne totalmente annullata. Akhetaton venne abbandonata e Tebe con i suoi due grandi templi tornò ad essere ancora una volta il centro religioso del paese (mentre Menfi venne confermata capitale amministrativa) e i migliaia di sacerdoti trascurati nei 17 anni dall’esperimento di Amarna, poterono finalmente adorare gli dei dell’antico Egitto. Tutankhaton per accattivarsi il loro favore e quello del suo popolo, ripiegò su posizioni più concilianti rispetto al suo predecessore e modificò il suo nome in Tutankhamon che significa “simbolo vivente del dio Amon”. Accompagnato dalla giovane moglie Ankensenamon, riprese la residenza dei suoi antenati, stabilendo la corte a Tebe. Qui orfano giovanissimo iniziò il suo regno come re dell’Alto e Basso Egitto (il primo che comprendeva tutta la valle del Nilo da Assuan a Heliopolis, presso l'odierno Cairo, rappresentato col simbolo del giunco o con il loto e il secondo che occupava invece tutta l’area del delta del Nilo, rappresentato col simbolo dell'ape o con il papiro; praticamente gli egizi divisero la loro terra orientandosi al contrario perché si rivolgevano verso il sud geografico da dove nasceva il Nilo). Si occupò personalmente del restauro di molte statue divine e monumenti trascurati ormai da troppo tempo, propiziando ovunque l’attività degli artisti, incaricati di portare all’antico splendore i manufatti che testimoniavano la devozione egizia verso gli dei. Tuttavia i suoi veri sostenitori non furono i sacerdoti, ma i militari, che ritenevano indispensabile una convinta opera di pacificazione per risollevare la situazione internazionale del paese. Evidentemente all’inizio a prendere le decisioni di stato, non era il giovane re, ma quasi certamente Ay, promosso al rango di visir (la più alta carica del paese a determinare il destino dell’Egitto). Regnò solo per un decennio, troppo poco per dare prova di doti guerriere. Morì improvvisamente in maniera molto misteriosa alla giovane età di 18 anni. Ed ecco il punto dal quale sono partiti i due investigatori americani: perché è morto così giovane? Quali possono essere state le cause del suo decesso? Morte naturale? Incidente? Suicidio? Omicidio? Per trovare indizi e potere meglio analizzare il caso, hanno consultato esperti di egittologia e ricostruito insieme a loro la sua vita, attraverso le scritte e i dipinti murali della tomba e gli oggetti ritrovati al suo interno. Nel 1968 per la prima volta (fino a quel momento, non erano disponibili apparecchiature portatili) vennero eseguite sul corpo del faraone, da un ricercatore dell’università di Liverpool Ronald Harrison, cinquanta lastre radiografiche. Successivamente esaminandole, egli stesso aveva identificato una macchia scura alla base del cranio, segni che per lui erano quelli inequivocabili di un colpo inferto con un corpo contundente, che avrebbe provocato un’emorragia interna (successivamente calcificata), in grado di causare il decesso. King e Carter, ottenute le radiografie originali, per trovare conferma alle ipotesi del Dr Ronald Harrison, le mostrano ad esperti del settore: un medico, un neurologo ed un radiologo. Quest’ultimo fa notare che le zone scure delle RX potrebbero essere dovute, anche alla cattiva qualità delle lastre dell’epoca. Tuttavia, pur condividendo la versione di Harrison, aggiunge che, se come ipotizzato, un colpo alla nuca ha provocato una frattura, essa si è calcificata e ciò significa che il coagulo di sangue è rimasto lì per un certo tempo, forse qualche mese e che si deve essere vivi affinché avvenga la calcificazione. Ha però scoperto, che le vertebre del collo erano fuse, segno tipico di una malformazione muscolo scheletrica chiamata sindrome di Klippel- Feil, che non consente di girare la testa, senza dover muovere anche il busto e che rende molto vulnerabile chi ne soffre ad ogni trauma o caduta. Questa tesi è peraltro supportata dal fatto che in alcune raffigurazioni sugli oggetti vari, rinvenuti nella tomba il faraone è riprodotto appoggiato ad un bastone assistito amorevolmente dalla moglie Ankesenamon.
Ma anche la frettolosità della sua sepoltura, può essere identificato come un indizio. La tomba è piccola e i dipinti non sono curati come quelli di altre tombe faraoniche. Probabilmente il sepolcro in cui è stato sepolto, non era quello a lui destinato. I faraoni, appena saliti al trono, iniziavano a costruirsi la loro “dimora millenaria”, ma Tutankhamon non ne ebbe il tempo, poiché morì in giovane età. La sua tomba probabilmente fu preparata in soli 70 giorni, il tempo necessario agli imbalsamatori di preparare il suo corpo, per il suo lungo cammino verso l’eternità. Ma a chi la morte di Tutankhamon poteva giovare? Chi poteva avere la possibilità di avvicinarlo indisturbato e compiere questo presunto delitto? L’assassino come ai giorni nostri, va cercato tra i parenti, gli amici più stretti o comunque qualcuno che potesse trarre vantaggio dalla sua morte. Tracciato un profilo psicologico, che vede l’assassino come un arrampicatore sociale o un fanatico religioso, i principali indiziati sono: la moglie Ankhesenamon, il visir Ay, il comandante militare Horembed e il suo tesoriere Maya. Analizzando la posizione di quest’ultimo, che occupava un posto di rilievo nel governo di Tutankhamon, poiché amministrava le ingenti quantità di oro e di oggetti preziosi che arrivavano dalle scorribande dell’esercito nei paesi limitrofi, è quello che poteva avere meno interessi ad ucciderlo, poiché con il suo successore, la sua importante carica, poteva anche non essere riconfermata. Horembed era invece un uomo di umili origini, molto ambizioso e spietato, ma fedele servitore e rispettoso delle leggi. Passava molto tempo con lui per insegnargli le tecniche di caccia e ad usare le armi. Ma la storia comunque ci dice, che non abbia avuto vantaggi immediati dalla sua morte, quindi come potenziale assassino è da escludere. Ankesenamon moglie di Tutankhamon, era una delle sei figlie di Akhenaten e Nefertiti, quindi sua sorellastra. Dai dipinti murali rinvenuti nella tomba e dalle raffigurazioni sugli oggetti, sembra che il re e la regina fossero inseparabili, devoti l’uno all’altro e che piacesse loro stare insieme; per ragioni politiche la cerimonia delle loro nozze era avvenuta quando erano ancora bambini, ma aldilà di tutto esisteva sicuramente un profondo legame tra marito e moglie. L’unico movente potrebbe essere, che il faraone fosse incapace di generare eredi sani. Infatti in una sala della tomba sono state trovate due sarcofagi con all’interno due piccole mummie di feti (entrambe femmine) da aborti avuti da Ankesenamon stessa. Ma si conosce l’esistenza di una antica tavoletta trovata negli archivi della capitale ittita nella Turchia di oggi, in cui una regina (della quale non si menziona le generalità, ma che a molti archeologi lascia supporre sia Ankesenamon), supplicava il re ittita (tradizionalmente nemico dell’Egitto) di dargli in sposo, uno dei suoi tanti figli, per non essere altrimenti costretta a sposare un suo servitore. Quindi perché uccidere Tutankhamon e poi andare fuori dai confini dell’Egitto a mendicare per marito il figlio ad un suo nemico giurato? Tutto questo sembra non avere molto senso e potrebbe di fatto scagionare Ankesenamon. Come indiziato rimane solamente il vecchio visir Ay, che dopo la morte del giovane re, divenne suo successore, come ci confermano le raffigurazioni murali nella tomba di Tutankhamon, in cui presenzia alla sua cerimonia funebre indossando la corona di faraone e nel cartiglio sopra di lui, compare il suo nome (il cartiglio è una cornice ellittica che racchiude il nome dei faraoni, scritto in caratteri geroglifici). Ma come può Ay, che non era nobile, essere diventato faraone? La risposta è stata trovata in un negozio d’antiquariato nel 1931. Un egittologo s’imbatté in un anello con un doppio cartiglio, uno con il nome di Ankesenamon e l’altro quello di Ay. Il servitore che Ankesenamon aveva disperatamente cercato di non sposare, era lui; l’anello trovato dal prof. Newlarry (l’egittologo in questione) dimostra che Ay fu il successore di Tutankhamon in qualità di re, sposando la sua giovane vedova. Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Tutankhamon, tutta una serie di eventi ci suggerisce, che sia stato commesso almeno un altro crimine, approfittando della confusione del momento. Il re ittita, cui Ankesenamon aveva mandato la missiva, inizialmente diffidente perché temeva un tranello, alla fine si convinse e mandò uno dei suoi figli in Egitto, perché sposasse la regina. Ma egli non arrivò mai a destinazione; in una distesa desolata lungo il confine egiziano fu assassinato. Ad infittire questa già intricata rete di mistero si aggiunge anche il fatto, che di Ankesenamon dopo il matrimonio con Ay non si sa più nulla. Che fine ha fatto visto che in nessun dipinto viene raffigurata insieme a lui e in nessun geroglifico viene mai più menzionata? Siamo forse in presenza di un pluriomicida? Forse Ay si è macchiato di tutti questi crimini per accedere indisturbato al trono? Non si hanno certezze, ma è chiaro che Tutankhamon, Ankesenamon ed il giovane principe ittita dovettero morire tutti nel giro di pochi mesi e che Ay si ritrovò a fare il faraone. Ma alla fine dopo tutti i suoi sforzi, ricevette poche ricompense; a solo tre anni dalla sua ascesa al trono, morì e la sua tomba subì una spogliazione, la sua mummia fu distrutta, il suo ricordo venne cancellato e gli oggetti preziosi che aveva programmato di portare con se, vennero rubati. Il suo nome è quasi sconosciuto, ricordato solo come il successore di Tutankhamon. Per quanto riguarda il giovane faraone, gli antichi egizi odiavano a tal punto ciò che Akhenaten aveva fatto, che rimossero sistematicamente ogni traccia del ricordo del re; infatti il suo cartiglio non compare sulle pareti del tempio di Avilos (il meglio conservato) dove sono elencati tutti i re dell’antico Egitto ed è stato cancellato anche dalle colonne del tempio di Luxor, che egli stesso aveva fatto decorare. Ma nonostante questo, a 3300 anni dalla sua morte, il suo nome sopravvive, affascinando con l’alone di mistero che avvolge la sua morte, l’intera umanità…
Quelle fatte dai due investigatori americani, evidentemente sono solo ipotesi, che alla luce degli indizi trovati, sembrano alquanto realistiche. Forse più in là nel tempo, gli storici troveranno prove più concrete, che confrontate con quelle già in loro possesso, saranno la verifica della fondatezza delle tesi fin qui formulate. Nella frase appena espressa c’è l’essenza di quello che la storia è, una scienza che si avvale di ipotesi, tesi e verifica, per studiarla sono necessarie varie discipline. In questa breve relazione abbiamo potuto constatare, la fondatezza di quest’ultima affermazione; infatti, anche se passate inosservate, in essa, dall’analisi del periodo storico della civiltà egizia preso in esame e dalla descrizione degli sviluppi dell’indagine, sono comparse una ad una, quasi tutte le discipline elencateci in quell’occasione e che hanno dato un contributo importante per la ricostruzione della storia del faraone. Per renderci conto del ruolo svolto dalle varie discipline, posso provare a riassumerle brevemente.
La geografia (scienza che ha per oggetto la descrizione della terra, sia nelle caratteristiche fisiche, che climatiche), ci è servita per individuare in quale parte del mondo si trova l’Egitto, paese d’origine di Tutankhamon: in Africa settentrionale, sulla penisola del Sinai, ed è delimitato a nord dal Mar Mediterraneo, a est da Israele, dal Golfo di Aqaba e dal Mar Rosso, a sud dal Sudan e a ovest dalla Libia. Il clima secco caratteristico di quella zona ha favorito l’eccezionale conservazione dei papiri, mentre il Ghibly (vento che soffia in quella area geografica prevalentemente desertica) ha contribuito notevolmente all’erosione di alcuni importanti monumenti costruiti proprio nel deserto, come ad esempio le Piramidi e la Sfinge (colossale rappresentazione di un leone dalla testa umana, in cui si sono volute riconoscere le fattezze del faraone Khefren che sta a guardia della sua tomba.
La topografia (scienza che studia il territorio), ci ha dato indicazioni sulla morfologia del territorio dell’Egitto, quasi interamente desertico e con una sua unica riserva di acqua dolce, costituita dal Nilo, lungo le cui rive erano anticamente e sono tuttora concentrate, la maggior parte della terre coltivabili, della popolazione e dei centri urbani
La toponomastica (scienza che studia l’origine del nome del luogo) che ci dice che la parola Egitto deriva dalla parola Aegyptos, termine usato per la prima volta dal poeta Omero, che era la versione greca di ”Hikuptah”, che in babilonese indicava il tempio di Ptah a Menfi. Gli antichi egizi chiamavano invece il loro paese Kemet cioè “terra nera, riferendosi alla terra coperta dal nero limo lasciato dalle piene del Nilo.
La biologia (scienza che studia l’attività fisiologica dell’organismo degli esseri viventi) per stabilire mediante varie analisi ed esami di laboratorio (RX, TAC, DNA, ecc.) se e di quali malattie soffrisse Tutankhamon per morire così giovane (escludendo ovviamente la pista dell’omicidio). Nel 1968 oltre alle radiografie l'assistente di Harrison, R.C. Conolly (sierologo) analizzando un pezzetto di tessuto grande come la capocchia di uno spillo, riuscì a stabilire il gruppo sanguigno del sovrano: A2 (sottogruppo MN) decisamente un gruppo sanguigno poco comune. Si è anche stabilito che Tutankhamon non avesse enflagione delle arterie, né tumore al cervello e neanche la tubercolosi.
L’epigrafia (scienza che studia le iscrizioni incise, dipinte o espresse in qualunque altro modo su lapidi e monumenti) per analizzare i geroglifici presenti nei sepolcri, negli obelischi, sui templi, ecc. sparsi un po’ ovunque sul territorio egiziano.
La glottologia (scienza che studia i linguaggi nelle loro origini e nelle loro trasformazioni storiche) per lo studio della lingua parlata anticamente in Egitto, che ha dato un importante contributo agli egittologi, per decifrare i geroglifici.
L’architettura (scienza che studia l’insieme di manifestazioni architettoniche di un determinato periodo, legate da comuni caratteristiche di stile) per studiare i vari monumenti (templi, piramidi palazzi, obelischi, statue, colonne, ecc.) dislocati in tutto il territorio egiziano.
La matematica (scienza che studia i numeri, le loro relazioni ed il loro rapporto) per calcolare le datazioni dei vari eventi storici e poterli collocare nella loro esatta posizione cronologica; per calcolare la superficie quadrata, cubica e anche l’altezza dei vari monumenti sepolcrali o per studiare la numerazione egiziana che si basava su un semplice schema iterativo e di simboli, distinti per ciascuna delle prime sei potenze di dieci (dieci, cento, mille, ecc.). Si è anche scoperto che questo antico popolo conosceva il numero "p greco", le quattro operazioni, le equazioni quadratiche e il calcolo dell'area di quasi tutte le figure piane.
La fisica (scienza che studia i fenomeni naturali e le leggi che li regolano) per verificare la teoria di Robert Bauval fatta nel 1993 secondo la quale, quando le tre stelle della costellazione di Orione, Alnitak, Alnilam e Mintaka attraversavano il meridiano a Giza al tempo della loro costruzione, formavano una linea non completamente diritta nella parte alta del cielo meridionale che corrisponde esattamente alla pianta delle tre piramidi.
La chimica (scienza che studia la composizione e le proprietà dei corpi semplici e composti, i loro fenomeni di trasformazione e di combinazione e le leggi che li regolano). con l’esame del carbone 14 usato sicuramente sulla mummia di Tutankhamon e la termoluminescenza sugli oggetti rinvenuti nella tomba. Nell’antico Egitto erano già noti i sistemi d fabbricazione di vetro, ceramica, smalto, il modo di tingere fibre tessili con coloranti naturali, di preparare saponi, oli, resine (usate prevalentemente per l’imbalsamazione dei morti) e sostanze medicamentose.
Fonte: http://www.atlan.wide.it/storiaditutankhamon.doc
Antico Egitto
GATTI DIVINI
A cura di Sabina Malora
Nell’Antico Egitto gli animali spesso rappresentano le divinità. Per la maggior parte della sua storia però, l’associazione di una divinità con un animale, non rendeva quest’ultimo sacro né preveniva che fosse cacciato o allevato.
Tuttavia nel periodo tardo alcune specie di animali diventano sacre ed incarnano le caratteristiche delle divinità stesse.
Tra tutti gli animali sacri che furono mummificati e sepolti durante tutta la storia dell’Antico Egitto, i gatti avevano un posto di rilievo poichè gli fu accordato un rispetto del tutto particolare.
Il gatto, miw in antico egiziano, fu addomesticato per la prima volta in Egitto circa 4000 anni fa. Il gatto egizio è del tipo Felis silvestris libica, un animale che si lascia addomesticare facilmente.
Questi animali, venivano comunemente utilizzati per scacciare serpenti velenosi e roditori ed affiancavano gli uccellatori durante le battute di caccia nelle paludi del Nilo.
Lentamente tuttavia, questi divennero più che semplici animali domestici, ma vere e proprie divinità.
Gli individui di sesso maschile vennero infatti associati al dio solare; Ra è infatti rappresentato come un gatto nel mito in cui si racconta la sua lotta contro Apopi, serpente mostruoso che cerca di bloccare il corso del sole per tornare al caos primordiale delle origini.
Gli individui femminili invece sono associati alla dea Bastet, una divinità legata alla fertilità, protettrice dei bambini e della casa. Ci si riferiva a lei come Bastet se rappresentata come un gatto, mentre la si chiamava Bast quando si manifestava come una fgura femminile con il capo di un gatto.
Nell´Antico Regno Bastet sembra essere una divinità leonina e anche nei templi della XII dinastia e in quelli successivi, Bastet è identificata con una leonessa.
Il culto di questa divinità associata invece alla gatta si diffonde in modo particolare dalla XXII dinastia, verso il 950 a.C.; in questo periodo compaiono infatti una infinità di bronzetti che rappresentano sia una gatta accucciata che una gatta attorniata da vari micini.
Il culto degli animali faceva parte della vita di tutti
I giorni e gli egizi li rispettavano poichè credevano che questi fossero in diretto contatto con gli dei stessi.
I gatti erano oggetto di grande venerazione non solo in vita, ma persino nella morte.
Se qualcuno uccideva intenzionalmente o per errore uno di questi animali, veniva condannato a morte. Diodoro Siculo racconta addirittura che un cittadino romano, che uccise involontariamente un gatto, venne linciato dalla folla e persino in tempi di carestia, ci si assicurava sempre che gli animali sacri non soffrissero la fame.
Spesso venivano rappresentati sulle pitture tombali assieme ai propri padroni, a garanzia della continuità della vita insieme anche nell’aldilà. Talvolta addirittura veniva inciso il loro nome sopra la rappresentazione per assicurargli la vita eterna.
I gatti domestici però compaiono nelle rappresentazioni tombali a partire dal Nuovo Regno, verso il 1500 a.C. Nelle rappresentazioni dei periodi precendenti invece si vedono gatti selvatici che catturano uccelli nelle paludi. Il gatto delle paludi nilotiche appartiene alla specie Felis chaus nilotica e si confonde spesso con la lince. Il primo esempio di un gatto rappresentato in una pittura tombale sembra essere invece nella tomba di Khnumhotep III (XII dinastia - Medio Regno), a Beni Hasan. Il defunto è rappresentato nella palude mentre infilza dei pesci con uno spiedo aiutato dal suo gatto che sta appostato sopra un fascio di papiri pronto a scattare sulle prede.
Dal Nuovo Regno inoltre in alcuni casi, una gatta viene dipinta sotto il sedile della "signora della casa". La gatta rappresenta infatti il simbolo della sessualità femminile e, poichè la dea Bastet è legata alla fertilità ed alla gravidanza, esprime l´idea di una madre feconda.
Tali animali venivano mummificati per diversi motivi quali: la volontà delle persone di preservare per l’eternità il corpo del loro amato animale domestico oppure venivano posti nella tomba del loro defunto padrone per accompagnarlo nell’aldilà.
Quando un gatto moriva, i suoi padroni eseguivano lunghe lamentazioni in suo onore e si rasavano le sopraccigllia in segno di rispetto e di dolore.
Il processo di mummificazione per i felini era ben diverso da quello riservato agli umani: si rimuovevano gli organi, si riempiva l’addome con bende o piccoli sacchetti di sabbia, si posizionava il corpo dell’animale in posizione seduta e si bendava strettamente. Il volto dell’animale veniva infine dipinto con dell’inchiostro nero sulle bende. Particolare il fatto che la disidratazione del corpo avveniva naturalmente e raramente attraverso il sale natron.
Anche nelle tombe di questi animali venivano posizionate offerte, come ciotole di latte e roditori. Si credeva comunque che anch’essi godessero della vita eterna e l’aldilà era per i felini un luogo pieno di roditori e bocconi succulenti in cui potevano vivere e prosperare.
Poichè erano sacri alla dea Bastet, molti di questi animali vivevano, come sua rappresentazione terrena, all’interno del suo tempio a Bubastis o Tell Basta, città sacra alla dea, dove speciali addetti si prendevano cura di loro. Le mummie di questi felini venivano donate al tempio per ottenere il favore della dea. Nel tempio sono stati rinvenuti circa 300.000 esempi di queste mummie.
Frequentemente, questi animali presentano segni di fratture sul cranio, generalmente sull’osso occipitale, o la dislocazione delle vertebre cervicali, che indicano strangolamento. È evidente quindi che questi animali fossero talvolta intenzionalmente uccisi per essere mummificati, con lo scopo di soddisfare la crescente richiesta dei pellegrini che si recavano al tempio della dea, sperando così di ottenerne i favori. La dea infatti proteggeva i bambini e le donne durante la gravidanza. La contraddizione con l´uccisione rituale dei gatti è solo apparente: il rituale trasformava il gatto ucciso in un essere divino e quindi anche l´animale ne traeva un vantaggio.
Sorprendentemente si sviluppò un vero e proprio commercio di mummie di gatto con tanto di allevamenti in cui questi animali venivano cresciuti e poi uccisi in una combinazione di cultura, religione ma sopratutto guadagno.
Sebbene a Bubastis sia stato rinvenuto il numero maggiore di mummie di questi felini, vi sono anche diversi esempi a Saqqara, Tebe, Beni Hasan e Speos Artemidos.
In ognuna di queste città si sono sviluppate importanti necropoli, utilizzate per diversi secoli, in cui sono stati ritrovati centinaia di migliaia di gatti mummificati, sepolti in catacombe o in semplici fosse, con sepolture singole o multiple.
In particolare a Bubastis, i gatti sono stati ritrovati sepolti con le danzatrici del culto della dea Bastet. Questo potrebbe spiegarsi con l’associazione della dea con la musica e la danza. Un’iscrizione demotica, databile al periodo tolemaico racconta di Pipes, danzatrice a Bubastis: “ la tomba di Pipes la ballerina e coloro che vi riposano e il posto dove riposano i gatti”.
Sebbene sia molto difficile stabilire con precisione l’età di questi animali, dalle analisi svolte è possibile dividerli in tre gruppi: giovanili, se le epifisi sono ancora distaccate, sub-adulti quando si nota una parziale fusione ossea ed adulti. Nella maggior parte dei casi il numero di individui completamente adulti è nettamente inferiore rispetto agli altri due casi e, mediamente, si può stimare che i gatti “sacrificati” e mummificati non superano mai i due anni di età.
É interessante notare però che i gatti rinvenuti a Tell Basta sono molto più giovani rispetto a quelli rinvenuti nel resto del paese.
Questo si spiega facilmente pensando all’alta richiesta a cui era soggetto il complesso cultuale dedicatgo alla dea, in modo particolare in occasione di festività. : Erodoto racconta infatti che in occasione della festa di Bastet confluivano a Bubastis fino a 700.000 pellegrini. Per inviare le loro richieste agli dei, entità astratte che vivevano in cielo, i pellegrini sceglievano un animale associato alla divinità di riferimento, il gatto nel nostro caso, e pagavano una quota perché l´animale fosse ucciso, imbalsamato e sepolto.
Le mummie di gatti ritrovate nelle rispettive necropoli erano così numerose che nel XIX secolo, fino al 1860, furono spedite numerose in Inghilterra e in Francia per essere usate come concime nei campi.
Fonte: http://www.buonconsiglio.it/var/plain_site/storage/original/application/700128f14e1e3a94dcda09464f21830c.doc
Antico Egitto e il fiume Nilo
A cura di Alessandro M.,Guido R. e Lorenzo Sa.
Con una sostanziale coincidenza cronologica rispetto alla civiltà mesopotamica ma con una continuità e una stabilità maggiori, lungo le rive del medio e basso corso del Nilo sorse verso il 3000 circa a.C. e prosperò fino quasi alle soglie dell’era cristiana, la civiltà egizia.
Le novità che rendono specifica la civiltà dell’Egitto antico si possono ricondurre tutte a un’unica causa: la presenza del fiume Nilo.
La conformazione geografica dell’Egitto, un ampio territorio desertico spezzato longitudinalmente dal Nilo, fece sì ad esempio che tutta la popolazione si concentrasse e che tutta la vita civile si svolgesse, secondo schemi analoghi al nord come al sud, in una limitatissima fascia di terra lungo le due sponde del fiume. L’omogeneità delle forme e dei ritmi di vita e di lavoro, imposti dal ciclo periodico delle inondazioni del Nilo, si riflettè sui caratteri distintivi della civiltà degli Egizi, conservatrice, tradizionalista, gelosa delle proprie consuetudini. Infine, l’esiguità del territorio abitato, rese molto più agevole la difesa dello stato dai nemici esterni.
La storia dell’antico Egitto è scandita dal succedersi delle dinastie dei sovrani che venivano detti: faraoni, termine che indicava sia la persona del re
sia il suo palazzo , centro del potere politico ed economico dello stato.
Gli storici suddividono i 3000 anni di storia egizia secondo un numero progressivo da 1 a 30 attributo alle dinastie.
Le dinastie a loro volta vengono raggruppate in tre grandi periodi detti Antico, Medio e Nuovo Regno, separati da due periodi intermedi e seguiti da una età Tarda di lenta decadenza.
“Il Nilo è al suo servizio ed egli ne apre la caverna per dar vita all’Egitto’’- così dice del faraone un antico inno religioso egizio.
Per l’antico egizio il Nilo era tutto: sorgente di vita, di prosperità e di bellezza; la
sua stessa vita, con i ritmi e i lavori stagionali, era determinata dai cicli del Nilo.
Poco distante dal fiume vi è il deserto arido e improduttivo. D’estate il clima è torrido e il livello delle acque è basso. Ma proprio quando la vita sembra scomparire, le acque del Nilo cambiano colore, si gonfiano fino a straripare e ad invadere le campagne circostanti .
Poi, lentamente, le acque si ritirano lasciando un fertilizzante deposito melmoso:
il limo.
Fin dove le acque sono arrivate, l’egizio vede crescere in fretta la vegetazione.
Egli stesso semina il grano e ara la terra .
Il Nilo ha portato la vita,il ciclo della semina e della raccolta del grano riprende.
Ha portato il foraggio agli animali e ha rivestito le sue sponde di fiori di loto e di piante di papiro.
Tutto rinasce e rifiorisce. Il ciclo del Nilo, il suo annuale rigonfiarsi e il suo immancabile rientro nell’alveo è uno degli eventi centrali della vita dell’egizio.
“L’Egitto”, dice Erodono, “è un dono del Nilo”, ma chi assegnava alla terra i suoi periodi, all’anno le sue stagioni, chi portava le acque copiose e i raccolti fertili era il faraone, “Signore delle sponde del fiume”, come viene chiamato.
L’Egitto, il Nilo, la terra, le cose, le persone appartenevano a lui.
L’elemento unificatore dell’Alto e Basso Egitto, era il Nilo.
Alla fine del 4 millennio queste due regioni avevano costruito due confederazioni separate finché un re quasi leggendario, Menes, nel 3100 a.C. le unì sotto di sé e fondò l’impero Egizio.
I ritmi del Nilo influenzavano molti aspetti della vita nell’antico Egitto.
Ogni anno le acque straripavano inondando le terre coltivate.
Se però il livello del fiume saliva troppo, le acque potevano causare anche gravi danni, spazzando via le abitazioni.
Se il livello era troppo basso, l’intero paese soffriva invece la fame a causa dei raccolti insufficienti.
Gli antichi egizi chiamavano il loro paese “Kemet” o “terra nera”, mentre il vasto deserto che si estendeva oltre la striscia fertile era chiamato “Desheret” o “terra rossa”.
Hapi era il dio del Nilo. Il suo aspetto florido simboleggiava la generosità del fiume. Al Nilo sono collegati moltissimi miti. Per esempio nel tempio di Edfu è stata ritrovata una incisione che ritrae un combattimento fra Horus e il suo nemico Seth, che ha assunto le sembianze di un ippopotamo.
A seconda delle piene del Nilo, gli antichi egizi si dedicavano ad attività diverse. Per esempio, costruire piramidi e andare in guerra, era più opportuno farlo nella stagione delle piene quando coltivare la terra era impossibile, mentre la semina e i raccolti dovevano essere fatti prima che riprendessero le esondazioni.
Fonte: http://www.scuolerignanoincisa.it/p_librizio/capitoli_librizio/Il%20fiume%20Nilo.doc
Antico Egitto
Storia della carta
Materiali testuali per la produzione di un ipertesto
Prima della carta
Prima dell'invenzione della carta l'uomo scriveva i suoi messaggi su diversi tipi di materiali e superfici: ossa piatte, pietre, tavolette d'argilla, tavolette di cera, lamine di rame, di piombo, d'oro e d'argento, foglie di palma, tessuti di seta e lino.
Con il perfezionarsi della scrittura e col progredire della civiltà, questi materiali vennero sostituiti gradualmente da altri più maneggevoli: il papiro e la pergamena.
Il primo materiale veramente adatto per la scrittura fu il papiro utilizzato a partire del 3000 a.c. dagli antichi egiziani. molto simile alla carta, il papiro veniva fabbricato utilizzando una pianta semi-acquatica, a quel tempo molto diffusa lungo il fiume Nilo (in Egitto), in Siria, nell'antica Palestina ed in Sicilia. per ottenere la carta dal papiro il fabbricante doveva eseguire una serie di operazioni. Si doveva tagliava il gambo in lunghe e sottili strisce, poi le stenderle una accanto all'altra, successivamente ne disporre sopra un altro strato in senso perpendicolare, versare sopra dell'acqua per appiattire e rendeva liscio il tutto con uno strumento adatto (una specie di largo martello d'avorio), infine, mettere il foglio ad essiccare al sole.
La carta di papiro fu utilizzata almeno fino a quando non si diffuse l'uso della pergamena.
Un libro era costituito da tanti fogli attaccati l'uno accanto all'altro sino ad ottenere un lungo rotolo di carta sul quale era possibile scrivere. Nell'Antico Egitto colui che scriveva si chiamava scriba. Egli tracciava i segni della scrittura egizia antica -detti geroglifici- con dei bastoncini appunti intinti in sostanze colorate.
L’uso della pergamena
L'uso della pergamena è molto antico. Sembra che il suo nome derivi da Pergamo, una città dell'Asia Minore (l'attuale Turchia) che sorgeva presso l'odierna Smirne, dove pare ci fossero i più importanti laboratori di tale prodotto già a partire dal IV secolo a.C.
Per fabbricare la pergamena si usavano le pelli di alcuni animali.
La pergamena fu utilizzata per lungo tempo per scrivere documenti, codici e libri sacri (almeno sino al XIV secolo). La pergamena si ricavava dalle pelli di capra, agnello, pecora le quali venivano sottoposte a procedimenti che le pulivano dal pelo, dal grasso e dall'acqua.
Le pelli stese su telai venivano fatte essiccare completamente, ritagliate in pezzi rettangolari, i quali venivano poi uniti tra loro a formare un rotolo simile a quello del papiro oppure rilegati come un libro.
Con la pergamena era possibile costruire dei libri veri e propri. Prima avveniva la scelta delle pelli già preparate, poi il taglio della misura richiesta, si tracciavano le righe , si scriveva e si decoravano le pagine con miniature ed infine si rilegavano con copertine di cuoio spesso.
La pergamena aveva il vantaggio di essere molto resistente nel tempo ma di essere molto costosa. I fabbricanti, inoltre, data la lunghezza della preparazione ne potevano produrre quantità limitate. Fino a quando la produzione della carta non si diffuse, in Europa si continuò a scrivere su pergamena.
Chi inventò la carta
La carta fece la sua comparsa tra i vari popoli in tempi diversi.
Cinesi, Giapponesi, Arabi ed Europei non hanno percorso la stessa strada per scoprire, conoscere ed utilizzare l'importante scoperta della carta.
Alcuni documenti del II secolo. d.C. scoperti in Cina testimoniano che l'invenzione della carta è da attribuire ad un certo Ts'ai Lun il quale -nel 105 d.C.- scoprì in modo casuale come produrla.
L'arte di fabbricazione della carta si diffuse prima in Giappone verso VI secolo d.C.
In Giappone i fabbricanti migliorarono la tecnica di lavorazione utilizzando come materia prima la corteccia del gelso.
A seguito di una battaglia avvenuta nel 751 d.C. tra Arabi e Cinesi, vennero fatti prigionieri alcuni cinesi i quali furono condotti a Samarcanda. Poiché alcuni di essi sapevano come fabbricare la carta ne insegnarono la tecnica agli artigiani arabi.
In quei territori non crescevano gli alberi di gelso, quindi, i prigionieri cinesi utilizzarono le fibre del lino e della canapa ottenendole dagli stracci vecchi usati. Gli artigiani arabi ne diffusero la fabbricazione in tutto il loro impero.
In Europa la carta si diffuse attraverso la Spagna (a quel tempo occupata dagli Arabi)
e probabilmente in Italia attraverso la Sicilia anch'essa occupata dagli Arabi tra l'827 e il 1091 d.C.
Gli studiosi hanno infatti ritrovato il più antico documento italiano scritto su carta, esso risale al 1109 d.C. È attualmente conservato a Palermo presso l'Archivio di Stato. È probabile, dunque, che i primi mulini da carta (o cartiere) si trovassero in questa regione.
Dove si sviluppò la carta
I primi inventori della carta furono i Cinesi, essi ne diffusero la scoperta prima ai Giapponesi, e in seguito agli Arabi. Gli Arabi ne trasmisero la tecnica di fabbricazione in tutto il loro impero. In Europa essa si diffuse quasi contemporaneamente in Spagna e in Sicilia.
Dalla Spagna mediante i traffici commerciali si diffuse in Francia, dalla Francia in Germania e nel Nord Europa.
Dalla Sicilia si diffuse attraverso il resto della penisola italiana.
Dopo la scoperta dell'America la carta si diffuse anche in quel continente.
La cartina ti mostra l'area di diffusione della pianta del papiro. Essa comprende la Sicilia e il Medio Oriente, zona della Terra compresa tra l'Africa del Nord e l'Asia Occidentale. Tra gli stati più importanti nei quali cresceva abbondantemente il papiro ci sono l'Egitto, la Palestina (attuale Israele), la Siria.
In Italia vi furono importanti centri per la lavorazione della carta di stracci nel XIV secolo.
In quel periodo, e per tutto il XV e XVI secolo le cartiere italiane produssero la carta di migliore qualità in Europa. In particolare la carta per disegno era la preferita da tanti artisti dell'epoca.
Quando
Ricavare le date dai testi precedenti
Come si fabbicava e come si fabbrica oggi la carta
Il papiro è una pianta perenne originaria dell'Africa Centrale e della Valle del Nilo. Questa pianta cresce anche in Sicilia. Dal midollo contenuto nel fusto eretto gli antichi egiziani ricavavano le strisce per fabbricare i rotoli di papiro.
Il gelso utilizzato per ottenere la carta è un albero chiamato broussonetia papyrifera ed è originario dell'asia.
Ha chioma arrotondata, rami pelosi, foglie intere di colore verde- grigio. Dalla sua corteccia si estraggono le fibre per la carta.
La canapa è una pianta annuale originaria dell'Asia Centrale. E' composta da piante maschili e femminili alte fino a 3 - 4 metri. Dalle piante femminili si raccolgono i semi, mentre quelle maschili vengono tagliate, essiccate e poi messe a macerare nell'acqua. Le fibre piuttosto lunghe vengono liberate dalla parte legnosa più dura, "pettinate" ed infine filate.
Dalla canapa si ottengono tessuti piuttosto pesanti, ma più spesso si utilizza per produrre corde e spaghi in quanto è una fibra molto resistente.
Il cotone è una pianta che cresce nelle regioni a clima caldo-umido. Molte piantagioni si trovano in Asia, America, Russia, India, Cina, Nord Africa (specialmente lungo il corso del Nilo); in Italia viene coltivato solamente in Sicilia.
Il frutto del cotone è una capsula che, giunta a maturazione, si apre liberando un fiocco di peluria di colore bianco, giallo o rossiccio a seconda della varietà.
Il frutto, essendo formato da fibre lunghe può essere lavorato, cioè filato e tessuto immediatamente senza bisogno di trattamenti con acqua o altre sostanze.
ll lino è una pianta annuale originaria dell' Egitto e dell'Asia Minore (o Turchia). E' alta circa 1 metro e produce fiori di colore azzurro.
Le fibre si ricavano dallla corteccia del fusto che viene tagliato e messo ad essiccare e poi a macerare nell'acqua.
Le fibre vengono poi liberate dalle parti più dure e legnose, successivamente "pettinate" ed infine filate.
Con il lino si fabbricano tessuti molto sottili e leggeri. Nell'antichità era molto più usato del cotone.
La carta di un tempo si otteneva macinando gli stracci usati che si raccoglievano dalle case. Dovevano essere tessuti con fibre di lino, cotone o canapa altrimenti non si potevano utilizzare per fare la carta.
La pasta di stracci aveva il vantaggio di rendere la carta molto resistente e duratura nel tempo.
La pasta di stracci si otteneva riducendo in piccoli pezzi i tessuti e lasciandoli a marcire per molti giorni nell'acqua.
La carta dei nostri giorni si produce con la cellulosa. La cellulosa è contenuta in tutti i vegetali. La si ottiene soprattutto estraendola dagli alberi; riducendo a segatura il legno e facendolo poi bollire assieme ad altre sostanze chimiche fino a quando non diventa di colore bianco.
Il prodotto che si ottiene si chiama polpa di cellulosa.
I vegetali che si usano più frequentemente per ricavarne la cellulosa da carta sono: l' abete, il pino, il pioppo, il faggio, la betulla, la paglia di grano e di riso.
La pasta di legno è stata ottenuta per la prima volta nel 1844 da F. KELLER in Germania. La pasta di legno si ottiene riducendo i tronchi degli alberi a pezzi di circa un metro e poi facendoli sminuzzare da una macchina chiamata sfibratore. Le fibre ottenute, simili a segatura vengono poi fatte bollire a lungo, raffinate e mescolate sino a ridurle ad una pasta uniforme.
La pasta di legno (chiamata anche pasta meccanica) serve per produrre carta economica, cioè poco costosa e non raffinata. Infatti tende ad avere un colore giallo-grigiastro. La si usa soprattutto come carta per stampare giornali.
Per fabbricare la carta i Cinesi utilizzavano prevalentemente la corteccia dei gelsi e fibre di canapa. Provarono anche ad utilizzare germogli di bambù.
Ts'ai Lun ottenne la carta mescolando scorza d'albero di gelso, vecchi stracci e reti da pesca (tessute con fibre di canapa).
Per ottenere la carta Ts'ai Lun fece macerare scorza di gelso, vecchi stracci e reti di canapa nell'acqua, sfibrò con un mortaio l'impasto ottenuto e raccolse la pasta (o poltiglia) su un setaccio formato da sottilissime strisce di bambù. Fece, infine, essiccare completamente il foglio all'aria.
Nell'antica Cina si usava anche il bambù per produrre la carta.
L'invenzione della carta fu dapprima trasmessa ai Giapponesi ed in seguito giunse in Europa attraverso gli Arabi.
Gli Arabi, per triturare gli stracci di lino e canapa usavano dei magli di legno manuali. Gli stracci venivano sfibrati dentro a dei mortai di piccole dimensioni. Questo lavoro era affidato a degli operai i quali potevano produrre poca pasta di stracci in un giorno di conseguenza la carta -a quel tempo- era ancora un prodotto raro e costoso.
In Europa, come materia prima per la fabbricazione della carta si usavano esclusivamente stracci di lino e di cotone ricavati da vestiti, coperte, lenzuola, ormai inutilizzabili, i quali venivano raccolti dalle case ed inviati presso le cartiere. Si deve ai cartai italiani l'invenzione di un sistema meccanizzato per ridurre gli stracci in pasta usando l'energia idraulica del mulino a ruota idraulica.
Tecnologie
Il procedimento per fabbricare la carta rimase per alcuni secoli abbastanza simile a quello che gli Arabi avevano imparato dai Cinesi.
Tuttavia il progresso tecnologico permise nel corso dei secoli di meccanizzare e rendere meno faticoso il lavoro dei cartai.
Il maglio di legno (chiamato in seguito pestello) era una specie di grosso martello con la testa di legno al quale i cartai italiani applicarono delle lamelle di metallo che -sbattendo continuamente sugli stracci- permettevano di sfibrarli, cioè di renderli poltiglia più velocemente. Alcuni magli collegati assieme ad un albero a camme e ad una ruota idraulica formavano una pila a pestelli.
ll mortaio (detto in seguito pila) era la vasca in pietra o legno dentro alla quale si mettevano acqua e stracci tagliati sui quali ritmicamente cadeva il maglio (o pestello) a pestare fino a quando non si riducevano in poltiglia.
La forma era un setaccio composto da una cornice di legno che teneva tesi sottili fili di metallo incrociati come in un tessuto. Con questo telaio si raccoglieva la pasta di carta per darle la forma, appunto, di foglio. Sulla forma veniva spesso ricamata la filigrana.
Il tino era il grosso recipiente dentro al quale si trovava la pasta di stracci diluita nell'acqua. Nel tino si immergeva la forma per estrarne il foglio di carta.
Il feltro era un rettangolo si stoffa pesante che serviva per assorbire l'acqua contenuta nel foglio appena estratto dal tino. Fogli e feltri alternati si mettevano poi a schiacciare sotto la pressa per togliere più acqua possibile prima di farli asciugare.
La pressa era una macchina azionata dall'uomo, una specie di torchio che serviva a "strizzare" i fogli ancora bagnati togliendo -mediante schiacciamento- l'acqua in eccesso.
Già conosciuto nell'antichità il mulino ad acqua fu per lungo tempo poco utilizzato. Il mulino sorgeva sempre su un corso d'acqua (fiume o canale artificiale). Lo scorrere dell'acqua metteva in moto le pale della ruota la quale trasmetteva il movimento ad una serie di ingranaggi che si trovavano all'interno dell'edificio. Gli ingranaggi -a loro volta- servivano ad azionare la macina per il grano, il mantice per il fabbro o la sega per il falegname. Verso il XIII secolo i cartai italiani applicarono la sua energia idraulica alle cartiere (detti appunto mulini da carta).
Nel mulino da carta (o cartiera) la ruota idraulica era mossa dall'acqua del fiume o della canaletta che scorreva accanto all'edificio.
Alla ruota, mediante un ingranaggio era collegato un albero a camme in legno il quale mediante le sue sporgenze faceva sollevare ritmicamente la testa dei magli (o pestelli). Il movimento costante e ininterrotto dei pestelli permetteva di ridurre gli stracci in pasta senza bisogno di usare l'energia umana.
Il mulino ad acqua fu usato fino a quando fu inventata la macchina a vapore.
Nel mulino da carta (o cartiera) la ruota idraulica era mossa dall'acqua del fiume o della canaletta che scorreva accanto all'edificio.
Alla ruota, mediante un ingranaggio era collegato un albero a camme in legno il quale mediante le sue sporgenze faceva sollevare ritmicamente la testa dei magli (o pestelli). Il movimento costante e ininterrotto dei pestelli permetteva di ridurre gli stracci in pasta senza bisogno di usare l'energia umana.
Nel mulino da carta (o cartiera) la ruota idraulica era mossa dall'acqua del fiume o della canaletta che scorreva accanto all'edificio.
Alla ruota, mediante un ingranaggio era collegato un albero a camme in legno il quale mediante le sue sporgenze faceva sollevare ritmicamente la testa dei magli (o pestelli). Il movimento costante e ininterrotto dei pestelli permetteva di ridurre gli stracci in pasta senza bisogno di usare l'energia umana.
Il mulino ad acqua fu usato fino a quando fu inventata la macchina a vapore.
Verso la fine del XVII secolo fu inventata una nuova pila che venne chiamata "olandese" poiché era stata costruita in Olanda. era un recipiente ovale di pietra dentro al quale venivano messi gli stracci. All'interno di esso girava un cilindro ricoperto di lame sporgenti. Il cilindro veniva azionato da un ingranaggio mosso da un mulino ad acqua o da un mulino a vento. Sul fondo della pila si trovava una lastra metallica anch'essa laminata . Quando gli stracci passavano tra le lame del cilindro e quelle della lastra sottostante venivano sminuzzati e ridotti in poltiglia.
L'"olandese" aveva il vantaggio di sminuzzare gli stracci in meno tempo ed inoltre rendeva la "pasta" più omogenea.
La qualità della carta prodotta con la pila olandese era più raffinata, più "regolare", di migliore qualità.
Verso il XIII secolo i cartai italiani inventarono un nuovo sistema di collatura.
Si prendevano gli scarti delle pelli di animali, si facevano bollire e durante la cottura si formava una gelatina nella quale -dopo averla filtrata- si immergevano i fogli di carta per renderli impermeabili all'inchiostro.
La collatura rendeva la superficie del foglio più liscia e più resistente nel tempo.
Un'altra delle "invenzioni" dei cartai italiani fu la filigrana. Sul setaccio (o forma) veniva ricamato con un sottile filo metallico un segno di riconoscimento il quale, durante la fase di estrazione della pasta, lasciava impresso il suo stampo sul foglio ma era visibile solo in trasparenza. La filigrana serviva come segno di riconoscimento (come marchio) della cartiera.
Nel corso dei secoli erano aumentate le richieste di carta. La pergamena si usava sempre meno in quanto era molto costosa e si scriveva ormai tutto su carta.
L'invenzione della macchina per la stampa a caratteri mobili da parte di J. Gutemberg avvenuta in Germania nel 1454 diede avvio ad una sempre maggiore richiesta di carta in quanto la stampa poteva essere fatta solo su carta e non su altri materiali.
Il primo libro che Gutemberg stampò fu la Bibbia.
L'aumento costante della richiesta di carte per la stampa spinse alcuni inventori a preparare una macchina che fosse in grado di sostituire quasi totalmente il lavoro manuale dei cartai. Nel 1797 l'inglese N.L. Robert inventò la macchina continua. Essa diede avvio alla produzione della carta su scala industriale, cioè in grandi quantità. La macchina continua permetteva di trasformare la pasta di carta raffinata dalle olandesi in un unico nastro di carta. All'inizio la prima macchina era in grado di produrre un nastro largo 68 cm. e lungo 60 cm.
Per avere un'idea di cosa cambiasse con la prima macchina continua basti considerare che in 24 ore la macchina di Robert, anche se molto piccola, era in grado di fabbricare tanta carta quanto quella prodotta da 100 persone con 6 tini a disposizione.
La macchina continua si chiama così perché produce carta in continuazione, giorno e notte, non si ferma mai. Essa è stata migliorata nel tempo: è diventata più grande e soprattutto più veloce. Una continua moderna può produrre bobine (cioè rotoli) di carta di larghezza variabile dai 4 ai 7m. e ad una velocità elevata (circa 1000 m. al minuto). Mediamente una bobina pesa 50 quintali.
Una macchina continua moderna ha le dimensioni di un palazzo lungo circa 40 m. e alto 3 piani.
Una macchina continua moderna funziona in questo modo:
1-Nella cassa del raccoglitore dell'impasto dentro al quale si trova l'acqua viene versata la cellulosa già raffinata (cioè ridotta in poltiglia omogenea) e pronta per diventare carta.
2-L'impasto molto diluito viene versato sulla tavola piana, cioè un nastro di tela forata larga alcuni metri e lunga circa 30 che ruota velocemente attorno a due cilindri; sulla tela l'impasto diventa un lungo nastro di carta bagnato che via via si va sgocciolando attraverso i piccolissimi fori della tela.
3-Il nastro ancora bagnato passa attraverso i cilindri aspiranti i quali servono a togliere tutta l'acqua in eccesso dal nastro di carta.
4-Il nastro ora umido passa attraverso i cilindri essiccatori i quali funzionano come un ferro da stiro, cioè stendono e asciugano completamente il nastro di carta.
5-Il nastro viene, infine, avvolto nell' arrotolatore per formare la bobina (cioè un grosso rotolone) e tagliato della lunghezza richiesta.
Fonte: http://www.informaticaestoria.it/userfiles/file/Documenti/Materiali%20testuali.doc
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