Italia e le tre guerre d’Indipendenza

 


 

Italia e le tre guerre d’Indipendenza

 

Il ’48 in Italia e le tre guerre d’Indipendenza

Palermo e l’insurrezione

In Italia la rivoluzione del 48 ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi europei. Primo e fondamentale obiettivo comune a tutte le correnti politiche era la concessione di costituzioni o statuti. Fu la sollevazione di Palermo del 12 gennaio a determinare il primo successo in questa direzione, inducendo Ferdinando II di Borbone ad annunciare la concessione di una Costituzione nel Regno delle Due Sicilie. La mossa inattesa di Ferdinando II non bastò a spegnere il moto autonomistico siciliano ed ebbe inoltre l’effetto di rafforzare l’agitazione costituzionale in tutto il resto d’Italia.

La concessione delle costituzioni

Spinti dalla pressione dell’opinione pubblica e dalle continue dimostrazioni in piazza, prima Carlo Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di Toscana ed infine lo stesso Pio IX si decisero a concedere la costituzione. Le costituzioni del 48 avevano tutte un carattere fortemente moderato, ed erano ispirate al modello di quella francese del 1830. La più importante di tutte fu lo Statuto che fu promesso da Carlo Alberto, che prevedeva una Camera dei deputati, un Senato di nomina regia e una stretta dipendenza del governo dal Sovrano.

Milano e Venezia

Nei giorni immediatamente successivi si sollevarono anche Venezia e Milano. A Venezia il 17 Marco, una grande manifestazione popolare aveva imposto al governatore austriaco la liberazione dei detenuti politici, fra cui era il capo dei democratici l’avvocato Daniele Manin.  Il 23 Marco un governo provvisorio presieduto da Manin proclamava la Costituzione della Repubblica Veneta. A Milano l’insurrezione iniziò il 18 Marco, con un assalto al palazzo del governo e si protrasse per cinque giorni, le celebri “cinque giornate” milanesi. Borghesi e popolani combatterono fianco a fianco sulle barricate contro il contingente austriaco comandato dal maresciallo Radetzsky.
Ma furono soprattutto gli operai e gli artigiani a sostenere il peso degli scontri, che costarono circa 400 morti agli insorti. La direzione delle operazioni fu assunta da un “consiglio di guerra” composto prevalentemente da democratici e guidato da Carlo Cattaneo.  Gli esponenti dell’aristocrazia liberale finirono dopo molte esitazioni, ad appoggiare la causa degli insorti e il 22 Marco diedero vita ad un governo provvisorio. Il giorno dopo, Radetzsky, preoccupato per l’eventualità di un intervento del Piemonte, decise di ritirare le sue truppe.

La Prima guerra d’indipendenza

Il 23 Marzo, subito dopo il ritiro delle truppe austriache, il Piemonte dichiarò guerra all’Austria.
Diverse furono le ragioni che spinsero Carlo Alberto a questa decisione: la pressione congiunta dei liberali e dei democratici, che vedevano nella crisi asburgica un’occasione per liberare l’Italia dagli stranieri e l’aspirazione della monarchia sabauda ad ampliare verso est i confini del Regno. Anche in questo caso, com’era avvenuto per la concessione degli statuti, l’esempio di un sovrano finì con il condizionare le decisioni degli altri. Preoccupati dal diffondersi dell’agitazione democratica e patriottica che minacciava la stabilità dei loro troni, Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IV decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca e inviarono contingenti di truppe. La guerra piemontese si trasformò così in una guerra d’indipendenza nazionale.

 

Lo sfaldamento dell’alleanza antiaustriaca e la sconfitta di Custoza

Ma l’illusione durò poco. Carlo Alberto mostrò scarsa risolutezza nel condurre le operazioni militari. Particolarmente imbarazzante era la posizione di Pio IX, che si trovava in guerra contro una grande potenza cattolica. Il 29 Aprile il papa annunciò il ritiro delle sue truppe. Pochi giorni dopo, lo imitò il granduca di Toscana. A metà Maggio, Ferdinando di Borbone richiamò il suo esercito. Rimasero a combattere contro l’Austria, disobbedendo agli ordini dei sovrani, molti componenti dei corpi di spedizione militare. Rimasero i volontari toscani, guidati da Giuseppe Montanelli, che furono protagonisti a Curtatone e Montanara in una gloriosa battaglia. Dal Sud America accorse Garibaldi, che si mise a disposizione del governo provvisorio lombardo. Dopo alcuni successi modesti dei piemontesi, il 23-25 Luglio a Custoza, presso Verona, le truppe di Carlo Alberto furono nettamente sconfitte e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 Agosto fu firmato l’armistizio con gli austriaci.

Le battaglie dei democratici

Dopo la sconfitta del Piemonte, a combattere contro l’Impero Asburgico restarono solo i democratici italiani e ungheresi. Mentre in Ungheria lo scontro assunse il carattere di una vera e propria guerra nazionale, in Italia i patrioti democratici dovettero combattere una serie di battaglie locali. Il loro ideale di guerra di popolo che unisse la prospettiva della liberazione nazionale a quella dell’emancipazione politica e rinnovamento sociale contrastava con la ristrettezza della base su cui effettivamente potevano contare: la piccola e la media borghesia urbana (particolarmente gli intellettuali) e i ceti artigiani delle città. La stragrande maggioranza, i contadini, rimasero estranei alle loro battaglie. La situazione in Italia era ancora abbastanza fluida. La Sicilia era sotto il controllo dei separatisti. A Venezia Manin aveva nuovamente proclamato la Repubblica. In Toscana il granduca fu costretto dalla pressione popolare a formare un ministero democratico, capeggiato da Montanelli. A Roma, l’uccisione in un attentato del primo ministro pontificio Pellegrino Rossi, indusse il papa ad abbandonare la città e rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando di Borbone. Nel Gennaio 49, in tutti i territori dell’ex stato pontificio, si tennero le elezioni a suffragio universale per l’Assemblea Costituente. Il 9 Febbraio l’Assemblea proclamò la decadenza del potere temporale dei papi e annunciò che lo Stato avrebbe assunto il glorioso nome di “Repubblica Romana”, e avrebbe adottato come forma di governo la “democrazia pura”.

Brescia, la resa di Venezia e lo sfaldamento della Repubblica Toscana

Alla fine di Marzo, un’insurrezione avvenne a Brescia ma fu schiacciata violentemente. In Aprile, le truppe imperiali strinsero d’assedio Venezia, che avrebbe resistito eroicamente solo per 5 mesi e si sarebbe arresa per fame. In Maggio, Ferdinando di Borbone riuscì a riconquistare la Sicilia e gli austriaci occuparono il territorio delle Legazioni Pontificie, ponendo fine all’esperienza della Repubblica Toscana. Più lunga e gloriosa fu la resistenza della Repubblica romana. Il governo repubblicano romano, sotto la guida di Mazzini, si qualificò per l’energia con cui cercò di portare avanti l’opera di laicizzazione dello stato e di rinnovamento politico e sociale. Nel frattempo però, Pio IX nel suo esilio a Gaeta si era rivolto alle potenze cattoliche per essere ristabilito nei suoi territori. A questo appello rispose l’Austria, la Spagna, il Regno di Napoli e anche la Repubblica Francese. Il presidente Bonaparte inviò nel Lazio un corpo di spedizione che all’inizio di giugno attaccò la capitale. I Repubblicani (che avevano affidato i pieni poteri ad un triumvirato, Mazzini, Saffi e Armellini), organizzarono una difesa che, pur non avendo alcuna possibilità di successo, ebbe un valore altissimo di testimonianza morale. Il 4 Luglio fu promulgata la Costituzione della Repubblica Romana, che sebbene non sia mai entrata in vigore, divenne il documento simbolo degli ideali democratici. Mentre i francesi entravano a Roma, Garibaldi lasciò la città con qualche centinaio di volontari per raggiungere Venezia. Ma il 26 Agosto gli austriaci, dopo aver soffocato la rivolta in Ungheria, riuscirono a vincere anche la resistenza della città veneta.

La seconda restaurazione e Cavour

In Italia quindi, dopo il fallimento delle rivoluzioni del 49-49, il ritorno dei legittimi sovrani e il consolidamento dell’egemonia austriaca bloccarono ogni esperimento riformatore e frenarono pesantemente lo sviluppo economico dei vari stati. La vicenda politica del Piemonte fu ben diversa da quella degli altri stati, dove sopravvisse l’esperimento costituzionale inaugurato con la concessione dello Statuto Albertino. Il governo era presieduto da Massimo D’Azeglio, che portò avanti la modernizzazione dello Stato. Nel 1850 fu approvato un progetto di legge presentato dal ministro della Giustizia Siccardi, che riordinava i rapporti fra Stato e Chiesa. Questo progetto di legge vide emergere  la figura di un nuovo e dinamico leader: Camillo Benso conte di Cavour, aristocratico uomo d’affari, proprietario terriero e giornalista, direttore di un battagliero organo di stampa dal titolo “Il Risorgimento”.

La formazione di Cavour

Nato nel 1810, Cavour è cresciuto in un clima familiare aristocratico ma diverso da quello chiuso che caratterizzava la nobiltà piemontese. Suo padre apparteneva a quel settore ristretto dell’aristocrazia terriera e sua madre proveniva da una nobile famiglia di Ginevra, città cosmopolita, punto di incontro delle più importanti correnti culturali europee. Cosmopolitismo culturale e intraprendenza borghese furono le due componenti decisive nella formazione di Cavour, che già negli anni giovanili si avvicinò alle idee liberali. L’ideale politico di Cavour era quello di un liberalismo moderato, molto lontano dai valori della democrazia ottocentesca. Cavour era convinto infatti che l’ampliamento delle basi dello stato doveva essere attuato con gradualità nell’ambito di un sistema monarchico-costituzionale promotore di riforme e trasformazioni che, a suo giudizio, costituivano l’unico antidoto contro la rivoluzione e il disordine sociale. Rispetto al pensiero moderato della Francia orleanista, cui pure si ispirava, il liberalismo cavouriano aveva un piglio più moderno e pragmatico. Cavour entrò a far parte del governo d’Azeglio nel 1850 come ministro per l’Agricoltura e il commercio. Due anni dopo, D’Azeglio dovette dimettersi per contrasti con il re.
Prima ancora di diventare presidente del Consiglio, Cavour si era reso protagonista di una piccola rivoluzione parlamentare, promuovendo un accordo fra l’ala più progressista della maggioranza moderata (Il centrodestra) e la componente più moderata della sinistra democratica (Il centrosinistra). Dall’accordo, definito “connubio”, nacque una nuova formazione politica di centro.

Le iniziative di Mazzini e la spedizione di Sapri

Le sconfitte del 48-49 non avevano mutato nella sostanza la strategia di Mazzini e dei Mazziniani.
Dall’esilio di Londra Mazzini si adoperò per ritessere la rete dell’attività cospirativa: i risultati furono però fallimentari. Molti furono gli arresti e molte le condanne capitali. Particolare sensazione destarono le nove impiccagioni nella fortezza di Belfiore, presso Mantova. Il 6 Febbraio del 53, a Milano, poche centinaia di operai e di artigiani assalirono con armi improvvisate i posti di guardia austriaci. Ma il moto fu facilmente represso e ne seguirono nuovi arresti e nuove condanne a morte. Nel Giugno del 57, Pisacane, napoletano, si imbarcò a Genova con pochi compagni su un piroscafo di linea, se ne impadronì e fece rotta verso l’isola di Ponza, sede di un penitenziario borbonico. La spedizione si diresse verso le coste meridionali della Campania e sbarcò a Sapri, iniziando la marcia verso l’interno. Ma a questo punto, mancò l’adesione dei contadini. La colonna dei rivoltosi infatti, fu facilmente individuata e annientata dalle truppe borboniche a causa dell’ostilità delle popolazioni locali. Pisacane, per non cadere prigioniero, si suicidò.

La seconda guerra d’indipendenza

Nei primi anni di governo, Cavour non aveva tra gli obiettivi l’unità italiana. La sua azione fu piuttosto orientata ad ampliare i confini del Piemonte verso l’Italia settentrionale. La sua prima preoccupazione fu quella di portare il Piemonte dal rango di stato regionale a quello di media potenza europea. Un passo importante in questa direzione fu compiuto nel 55, quando il governo piemontese rispose positivamente all’invito che gli rivolsero la Francia e l’Inghilterra di associarsi alla guerra contro la Russia. Cavour inviò in Crimea un corpo di 18.000 uomini al comando di La Marmora.  In questo modo il Piemonte ottenne di poter partecipare come stato vincitore al congresso di Parigi nel 56 e di poter sollevare la questione italiana. Cavour protestò e denunciò il malgoverno dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie come causa di tensioni rivoluzionarie, e dunque, come minaccia alla pace e all’equilibrio europeo. Il Piemonte di presentava così come portavoce delle istanze di rinnovamento di tutta la borghesia italiana. Dalla partecipazione al congresso di Parigi, Cavour trasse la convinzione che per eliminare la presenza austriaca dall’Italia, bisognava assicurarsi l’appoggio della Francia. Per raggiungere il suo scopo, lo statista piemontese poteva contare non solo sulle ambizioni egemoniche di Napoleone III, ma anche sulla paura suscitata in lui dalle agitazioni mazziniane. Fu proprio il gesto isolato di un mazziniano ad affrettare i tempi dell’alleanza franco-piemontese. Nel gennaio del 58, Felice Orsini, attentò alla vita dell’imperatore ma fallì l’obiettivo. Il suo gesto diede spunto a Cavour per ribadire l’urgenza di una soluzione del problema italiano. Un aiuto in questo senso venne dallo stesso Orsini che, prima di salire sul patibolo, si dichiarò pentito per le conseguenze del suo gesto e scrisse due lettere all’imperatore per scongiurarlo di far propria la causa del movimento nazionale italiano. Cavour ebbe così la strada spianata verso la conclusione di un’alleanza franco-sabauda, che fu sancita in un incontro segreto fra il primo ministro piemontese e l’imperatore, che si svolse nel 58 a Plombieres.
Premessa indispensabile per la riuscita dei progetti di Cavour era comunque la guerra contro l’Austria. Il governo piemontese fece il possibile per far salire la tensione con lo Stato vicino: particolare effetto suscitarono le manovre militari al confine e l’armamento di corpi volontari – i Cacciatori delle Alpi – guidati da Garibaldi. Il governo asburgico finì con il cadere nella trappola inviando il 23 aprile del 59, un ultimatum al Piemonte, che Cavour respinse. Scoppiata la guerra, le truppe franco-piemontesi sconfissero gli austriaci a Magenta, a Solferino e a San Martino. Ma a questo punto, Napoleone III decise di interrompere la campagna e propose agli austriaci un armistizio, che fu firmato l’11 luglio 1859 a Villafranca, presso Verona. Con questo accorso, l’impero asburgico rinunciava alla Lombardia e la cedeva alla Francia, che l’avrebbe poi “girata” al Piemonte. Tra i motivi che spinsero Napoleone III al suo clamoroso ripensamento, c’erano le pressioni dell’opinione pubblica francese, impressionata dagli alti costi umani e finanziari della guerra.

La spedizione dei Mille

Due mazziniani siciliani esuli in Piemonte, Francesco Crispi e Rosolino Pilo, concepirono un progetto di una spedizione in Sicilia. Nei primi di Aprile del 1860, un’insurrezione scoppiò a Palermo. Crispi nel frattempo si adoperò per convincere Garibaldi ad assumere la guida della spedizione. Garibaldi era infatti l’unico fra i leader democratici che apparisse in grado di assicurare qualche possibilità di riuscita all’impresa. La spedizione fu preparata in fratta, con scarso equipaggiamento e pessimo armamento. Nella notte fra il 5 e il 6 maggio del 60, poco più di mille volontari presero il mare a Quarto presso Genova, dopo essersi impadroniti di due navi a vapore, il Piemonte e il Lombardo. Il volontari sbarcarono a Marsala, accolti con entusiasmo dalla popolazione. Il 15 Maggio e Calatafimi, le colonne garibaldine riuscirono a mettere in fuga un contingente borbonico. I volontari puntarono su Palermo. All’arrivo delle avanguardie garibaldine, la città insorse. Alla fine di Maggio, i contingenti governativi furono costretti ad abbandonare il capoluogo dove Garibaldi proclamò la decadenza della monarchia borbonica. Garibaldi il 20 luglio a Milazzo, potè muovere all’attacco delle truppe borboniche e sconfiggerle. Il clima di entusiasmo che aveva accolto i garibaldini al loro sbarco in Sicilia, si era presto dissolto quando i contadini avevano intravisto la possibilità non solo di liberarsi dal malgoverno borbonico ma anche dal secolare sfruttamento cui li condannava una struttura sociale arcaica e semi-feudale: erano così scoppiate una serie di violente agitazioni. Garibaldi e i suoi avevano cercato di venire incontro alle esigenze dei contadini. Fra i patrioti giunti dal Nord, che miravano ad una meta essenzialmente politica, e i contadini insorti, nacque una tensione e un attrito insanabile, sfociato in episodi di dura repressione (Il più famoso fu quando Bixio ai piedi dell’Etna fa fucilare alcuni ribelli). Garibaldi il 20 Agosto riuscì a sbarcare in Calabria. Il 6 settembre, Francesco II abbandonò la capitale per rifugiarsi a Gaeta. Il giorno dopo, Garibaldi fece il suo trionfale ingresso a Napoli. Nel frattempo, le truppe regie invasero l’Umbria e le Marche e sconfissero l’esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo. Il 21 Ottobre, in tutte le province del Mezzogiorno continentale e in Sicilia (successivamente anche nelle Marche e nell’Umbria) si tennero plebisciti a suffragio universale maschile. Agli elettori veniva lasciato scegliere se accettare o respingere l’annessione dello Stato sabaudo con la sua forma di governo. La maggioranza dei sì fu ampia. Garibaldi nel frattempo attese l’arrivo dei Piemontesi. Incontrò a Teano il 25 Ottobre Vittorio Emanuele II e gli concesse ogni responsabilità nel governo delle province liberate. Il 17 Marco 1861, Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia, per “grazia di Dio e volontà della nazione”. In Italia quindi lo Stato nazionale nacque dalla combinazione di un’iniziativa dall’alto (la politica di Cavour e della monarchia sabauda) e dal basso (le insurrezioni nell’Italia centrale e la spedizione garibaldina nel Sud). Va infine ricordato che l’unità non si sarebbe raggiunta, non in tempi così brevi almeno, senza l’aiuto di una serie di circostanze favorevoli a livello internazionale: la benevola neutralità della Gran Bretagna e l’appoggio di Napoleone III nella quella del 59. Fu soprattutto il ruolo della Francia a risultare decisivo.

La questione romana

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, moderati e democratici volevano il completamento dell’unità, ossia la riunione alla madrepatria di quei territori abitati da popolazioni italiane che erano rimaste fuori dai confini politici dello stato: il Veneto, il Trentino, la Venezia Giulia e in particolare Roma e il Lazio. In questo periodo, dopo la morte di Cavour; la Destra era preoccupata di inserire gradualmente l’Italia in rapporto con le altre potenze europee secondo una via diplomatica e quindi lunga; La Sinistra restava fedele all’idea della guerra popolare e vedevano nella lotta per la liberazione di Roma l’occasione per un rilancio dell’iniziativa democratica. Riguardo la questione romana, i primi governi dell’Italia unita cercarono di procedere sulla strada indicata da Cavour.
Cavour infatti credeva nella libertà religiosa e nella separazione fra Chiesa e Stato (libera Chiesa in libero Stato) e aveva avviato delle trattative con il Vaticano per cercare una soluzione. Ma le sue proposte e quelle del suo successore Ricasoli, si scontrarono con l’intransigenza di Pio IX. Ciò finì per ridare spazio all’iniziativa di Garibaldi, che rilanciò il progetto di una spedizione contro lo Stato pontificio. Napoleone III però fede capire di essere deciso a impedire con la forza un attacco contro Roma e intercettò il 29 Agosto del 62 i garibaldini sulle montagne dell’Aspromonte, dove lo stesso Garibaldi fu ferito e arrestato. I governanti italiani successivamente riannodarono le trattative con Napoleone III con la Convenzione di Settembre, in base alla quale si impegnavano a garantire il rispetto dello Stato pontificio, ottenendo in cambio il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. Il governo (Marco Minghetti) decise di trasferire la capitale da Torino a Firenze.

La terza guerra d’indipendenza

Nel 1866, una proposta di alleanza militare rivolta al governo italiano dal Bismark contro l’impero asburgico, presentò l’occasione di raggiungere un altro obiettivo per l’Italia: la liberazione del Veneto. La partecipazione dell’Italia fu decisiva per il conflitto e rese possibile la vittoria prussiana, sebbene la guerra si risolse in un clamoroso insuccesso per l’Italia. Dalla successiva pace di Vienna, l’Italia ottenne il Veneto. Rimanevano quindi la Venezia Giulia e il Trentino. La guerra aveva lasciato pesanti strascichi sul piano finanziario e aveva suscitato in vasti strati dell’opinione pubblica una vera e propria crisi morale. Garibaldi ricominciò a progettare una spedizione a Roma.
L’azione dei volontari avrebbe dovuto appoggiarsi su un’insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani, in tal modo da giustificare il colpo di mano presentandolo come un atto di volontà popolare. Ma Napoleone III inviò un corpo di spedizione nel Lazio e l’insurrezione a Roma fallì. Il 3 Novembre 67, le truppe francesi da poco sbarcate a Civitavecchia attaccarono a Mentana le forze garibaldine e le sconfissero. L’occasione per la conquista di Roma si presentò con la caduta del Secondo Impero e la guerra franco-prussiana. Dopo la battaglia di Sedan infatti, il governo italiano decise di mandare un corpo di spedizione del Lazio per concordarsi con Pio IX. Ma Pio IX rifiutò ogni accordo e il 20 Settembre 1870 le truppe italiane entravano nella città presso Porta Pia, accolti felicemente dalla popolazione. Pochi giorni dopo, un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza l’annessione di Roma e del Lazio. Il trasferimento della capitale da Firenze a Roma fu effettuato nel 1871, dopo che lo stato italiano ebbe regolato con una legge il complesso problema dei rapporti con la Santa Sede. Questa legge, fu della delle guarentigie (delle garanzie), in quanto con essa il Regno d’Italia si impegnava a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale. Al papa venivano riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di Stato: onori sovrani, facoltà di tenere un corpo di guardie armate, diritto di rappresentanza diplomatica. Nel complesso, la legge delle guarentigie attuava largamente il principio della libertà della Chiesa. Non per questo si attenuò l’intransigenza di Pio IX che vietò ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni: un ulteriore ostacolo che si frapponeva al processo di reale unificazione del paese.

 

Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/Guerre%20di%20indipendenza%20in%20Italia.doc

 

 

Italia e le tre guerre d’Indipendenza

M3. L’ITALIA NEL XIX SECOLO

PARTE PRIMA
L’ITALIA DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNITÁ
1. La Restaurazione in Italia
1.1 L’Italia dopo il congresso di Vienna
1.2 L’egemonia austriaca sul territorio della penisola

2. I moti insurrezionali del 1820-21 e del 1830
2.1 Le insurrezioni del 1820-21
2.2 I moti insurrezionali del 1830-31

3. Il ’48 in Italia e la prima guerra d’indipendenza
3.1 Le premesse
3.2 Il ’48 in Italia, la prima guerra d’indipendenza, i moti insurrezionali di Milano, Venezia, Roma

4. I diversi ideali unitari
4.1 L’ideale democratico di Mazzini
4.2 Le proposte moderate di Gioberti, Balbo e Cattaneo
4.3 La via diplomatica di Cavour

5. La seconda guerra d’indipendenza e la conquista dell’Unità
5.1 La seconda guerra d’indipendenza
5.2 Annessione delle regioni dell’Italia centrale
5.3 La spedizione dei Mille e la liberazione delle regioni del Mezzogiorno
5.4 La proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1961

PARTE SECONDA
L’ITALIA DALL’UNITÁ ALLA FINE DELL’OTTOCENTO
6. La fase di consolidamento dello Stato unitario
6.1 “Fatta l’Italia bisogna ora fare gli italiani”
6.2 Innanzitutto accentramento amministrativo

7. Il governo della Destra affronta i primi  gravi problemi dell’Italia unita (1861-1876)
7.1 Il governo della Destra
7.2 Il problema del bilancio da risanare
7.3 Il brigantaggio nel Meridione
7.4 Il compimento dell’Unità

8. La Sinistra al potere (1876-1900)
8.1 Le riforme della Sinistra
8.2 Una politica economica “protezionistica”
8.3 La politica estera italiana negli anni del governo della Sinistra
8.4 La riforma del codice penale: il “Codice Zanardelli

9. Nascita dei movimenti di massa alla fine del XIX secolo
9.1 Nascita del movimento operaio in Italia (le società di mutuo soccorso)
9.2 Il partito socialista italiano
9.3 Il movimento cattolico

10. L’Italia dei governi Crispi e Giolitti
10.1 I governi di Francesco Crispi (1887-’91 / 1893-‘96)
10.2 I governi Giolitti nel primo decennio del XX secolo

 

PARTE PRIMA
L’ITALIA DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNITÁ
1. La Restaurazione in Italia
1.1 L’Italia dopo il congresso di Vienna
La restituzione dei territori alle legittime dinastie, così come previsto dal congresso di Vienna, ebbe conseguenze negative per il nostro Paese; si ritornò, infatti, alla frantumazione politica del territorio precedente l’età napoleonica (vedi immagine). In questa condizione di notevole suddivisone, l’Austria mantenne un ruolo egemone, estendendo il suo controllo diretto sul Lombardo-Veneto e indiretto su gran parte del territorio. Vediamo nel dettaglio come venne suddiviso il territorio della penisola:
Regno Lombardo-Veneto
Su questo territorio si attuò un diretto controllo della potenza austriaca, tramite il governo del vicerè: l’arciduca Ranieri. Sul territorio del lombardo-veneto si mantenne il codice napoleonico, il sistema amministrativo di gestione del territorio, applicato dagli austriaci, consentì un discreto sviluppo economico e sociale.
Regno di Sardegna
Nel 1814 il regno di Sardegna venne restituito a Vittorio Emanuele I, questi, nel 1815, ottenne anche la Liguria e tutta la Savoia. Nonostante gli stretti vincoli di parentela con gli Asburgo d’Austria, i Savoia mostrarono, da subito, la volontà di mantenersi autonomi rispetto all’Austria. Nel regno di Sardegna si cercò di applicare un rigido sistema assolutistico senza nessuna concessione costituzionale. 
Ducato di Parma e Granducato di Toscana
In questi territori, nonostante gli stretti rapporti dinastici dei governanti con l’imperatore austriaco, si vive una discreta apertura verso le riforme costituzionali. 
Stato pontificio
Anche lo stato pontificio visse, con Pio VII, un periodo di rigido assolutismo e totale chiusura nei confronti di qualsiasi riforma costituzionale.
Regno delle due Sicilie
Dopo la cacciata di Murat, attuata dagli austriaci, il regno delle due Sicilie venne riassegnato a Ferdinando I di Borbone. Come per lo Stato pontificio e per il Regno di Sardegna, anche questo territorio vide una totale chiusura nei confronti delle riforme costituzionali. Oltre all’assolutismo politico si vive in questo territorio una grave arretratezza economica, amministrativa, sociale.

1.2 L’egemonia austriaca sul territorio della penisola
L’indiretto controllo dell’Austria sul territorio italiano si manifesta sia attraverso rapporti dinastici, sia grazie alla presenza dell’esercito austriaco sul territorio. Per i rapporti dinastici basta ricordare che il ducato di Parma venne assegnato a Maria Luisa d’Austria (figlia dell’imperatore austriaco Francesco I) e il Granducato di Toscana a Ferdinando d’Asburgo (fratello di Francesco I). La presenza di guarnigioni austriache armate si ha, poi, nel territorio dello Stato pontificio, ma anche a Napoli, all’interno del territorio appartenente al Regno delle due Sicilie.

2. I moti insurrezionali del 1820-21 e del 1830
2.1 Le insurrezioni del 1820-21
Partita dalla Spagna, si estese, nel 1820, un forte movimento insurrezionale nel Regno delle due Sicilie che costrinse Ferdinando I alla concessione di una Costituzione. Tuttavia gli insorti, guidati da Guglielmo Pepe, vennero ben presto sconfitti, anche grazie all’aiuto dell’esercito austriaco, e si ritornò al precedente regime assolutistico.
Nel 1821 anche in Piemonte si manifestano dei moti insurrezionali finalizzati ad ottenere una costituzione. Di fronte alla protesta popolare Vittorio Emanuele I abdica e la reggenza passa al fratello Carlo Felice; essendo però questi assente il nipote, Carlo Alberto, che ne assumeva la temporanea reggenza, firmò la nuova costituzione. Tornato Carlo Felice l’operato di Carlo Alberto viene sconfessato e la costituzione annullata.

2.2 I moti insurrezionali del 1830-31
Nel 1830 i moti insurrezionali partirono dalla Francia. Parigi venne coinvolta in una aspra lotta contro il potere assolutistico di Carlo X. Ben presto la protesta si estese ad altri paesi europei, Belgio, Polonia (questo paese cercò di ribellarsi all’occupazione russa, ma nulla potè contro le truppe dello Zar, senza nessun aiuto internazionale), Italia. Nel nostro paese i moti scoppiarono in Emilia Romagna, nel gran ducato di Modena e nel granducato di Parma, guidata da Ciro Menotti, questa protesta fu facilmente sedata dall’intervento dell’esercito austriaco.  

3. Il ‘48 in Italia e la prima guerra d’indipendenza
3.1 Le premesse
Negli anni che precedono i gravi contrasti del ’48 vanno acuendosi tre diverse tipologie di conflitti:

  • Tra aristocrazia e borghesia;
  • Tra borghesia capitalistica e classe operaia;
  • Per l’indipendenza tra popoli soggetti e dominatori.

Rispetto ai moti insurrezionali del 1820 e del 1830, i moti del ‘48 ebbero una maggiore estensione territoriale (solo l’Inghilterra, la Russia e la Spagna non furono coinvolte), una maggiore radicalità e violenza.
Gli scontri del 1848 arrivano dopo un biennio (1846-47) di grave crisi economica per l’Europa intera. Una crisi nata dall’agricoltura che ben presto si estese a tutta l’economia, una crisi che ebbe quale conseguenze carestie, miseria, disoccupazione, un diffuso malessere che trovò uno sfogo negli scontri del 1848.  

3.2 Il ’48 in Italia, la prima guerra d’indipendenza, i moti insurrezionali di Milano, Venezia,
      Roma
Già dai primi giorni del 1848 diverse regioni italiane vivono un notevole fermento, obiettivo comune è la concessione di carte costituzionali che prevedano un sistema rappresentativo parlamentare.
Il 12 gennaio 1848 una sollevazione popolare a Palermo costringe Ferdinando II a concedere la costituzione al Regno delle due Sicilie. Spinti dalla pressione del movimento popolare anche Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo II di Toscana e Pio IX per lo Stato pontificio concedono la costituzione di carattere moderato. Di particolare rilevanza è la concessione dello Statuto da parte di Carlo Alberto di Savoia, sarà questa legge a divenire la prima costituzione del Regno d’Italia, dopo l’Unità.  
Nei giorni immediatamente successivi all’insurrezione di Vienna, la popolazione di Venezia e Milano si sollevò contro l’occupazione austriaca. Il 23 marzo 1848 Daniele Manin proclama, a Venezia, la costituzione della Repubblica veneta. A Milano l’insurrezione inizia il 18 marzo e si protrae, con feroci scontri nelle strade, per cinque giorni, le truppe austriache preferiscono abbandonare la città (anche in previsione dell’eventuale intervento armato dei Savoia). I moti insurrezionali nel Lombardo-Veneto vennero visti dal Piemonte come l’occasione giusta per attaccare e sconfiggere l’Austria, condizione indispensabile per poter sperare in un possibile processo unitario. Così Carlo Alberto, dopo alcune esitazioni, risponde alla richiesta d’aiuto inviata dagli insorti di Milano e dichiara guerra all’Austria (24 marzo 1848). Molti volontari giungono da tutta Italia per unirsi all’esercito piemontese, Stato pontificio, Granducato di Toscana e Regno delle due Sicilie, garantiscono il loro appoggio. Dopo i primi entusiasmi Leopoldo di Toscana, Ferdinando II e il papa ritirano le loro truppe, per l’esercito piemontese lasciato solo la sconfitta è inevitabile, così avvenne, infatti a Custoza, in questo modo si conclude la Prima guerra d’indipendenza.
Il fallimento del tentativo unitario piemontese spinse i democratici, guidati da Mazzini, nel cercare d’ottenere mediante movimento di popolo ciò che non si era riusciti ad ottenere con l’esercito reale. I movimenti interessano diversi centri italiani: Roma, dove il papa è costretto alla fuga e dove viene proclamata la Repubblica romana; la Toscana dove Leopoldo viene cacciato; Venezia che continua a resistere contro l’Austria; in Sicilia con i separatisti. Di fronte a questi tentativi democratici Carlo Alberto decide di riaprire le ostilità con l’Austria, viene nuovamente sconfitto (Novara) e quindi decide di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Dopo la sconfitta di Carlo Alberto gli austriaci riuscirono a riportare l’ordine in tutta la penisola. Il papa chiese l’aiuto dei francesi per essere ristabilito sul trono dello Stato pontificio, e così avvenne. Nonostante la strenua difesa i repubblicani romani, guidati da Garibaldi, dovettero arrendersi, lo stesso Garibaldi con alcuni volontari scappò da Roma per recarsi a Venezia, in un vano tentativo di raggiungere l’ultima città che continuava a resistere.

4. I diversi ideali unitari
Nei movimenti insurrezionali italiani degli anni 1820 e 1830 era praticamente assente qualsiasi ideale unitario. I movimenti di lotta rivendicavano, innanzi tutto, delle costituzioni, ma sempre nell’ambito regionale. Solo negli anni successivi s’iniziò a considerare la possibilità di raggiungere l’obiettivo d’unità nazionale (un obiettivo che trova i suoi presupposti nella lingua comune e nella particolare struttura territoriale dell’Italia: una penisola).
Se l’obiettivo è comune, diverse sono le proposte per raggiungere tale obiettivo. In particolare troviamo tre proposte che troveranno applicazione nei decenni successivi e che, con modalità e pesi differenti, consentiranno all’Italia il raggiungimento dell’Unità:

  • La proposta democratico-popolare di Mazzini
  • La proposta moderata di tipo federalista
  • La via diplomatica del Piemonte di Cavour

4.1 L’ideale democratico di Mazzini
Il programma politico di Mazzini era chiarissimo: l’Italia avrebbe dovuto innanzitutto rendersi indipendente dalle potenze straniere e, quindi, una volta raggiunta l’unità si sarebbe data una forma di governo repubblicano. L’unica via per il raggiungimento di questo obiettivo era l’insurrezione popolare, di tutto il popolo, senza distinzione di classi. In questa prospettiva si collocano i movimenti che tra 1830 e il 1848 cercheranno inutilmente di far  sollevare il popolo in moti insurrezionali (strumento di propaganda diventa l’organizzazione la Giovane Italia). I moti mazziniani saranno destinati al fallimento, ne è un esempio la spedizione dei fratelli Bandiera in Calabria (1844), arrivati per sollevare il popolo contro l’oppressore, fu lo stesso popolo a farli arrestare considerandoli dei briganti.
Gli insuccessi dei tentativi mazziniani (Mazzini è costretto a vivere in esilio in questi anni, prima in Francia e quindi in Inghilterra) spingeranno verso la ricerca di soluzioni alternative a quella insurrezionale per ottenere l’unità del nostro Paese.
L’ideale democratico di Mazzini, la sua idea di insurrezione armata di popolo contro l’invasore troverà nella spedizione di Garibaldi in Sicilia (ostacolata da Cavour) la sua piena realizzazione.

4.2 Le proposte moderate di Gioberti, Balbo e Cattaneo
Accanto al radicalismo repubblicano di Mazzini si hanno in Italia, nel corso degli anni ’40 delle proposte politiche accomunate dal loro orientamento moderato. Gioberti (nel suo libro Del primato morale e civile degli italiani) e Balbo (autore de Le speranze degli italiani) riconoscono l’impossibilità di un’unità politica del nostro paese e quindi propongono, quale soluzione per l’Italia, un sistema federale di stati aventi quale guida morale il Papa (per questo detta proposta neoguelfa).
Anche Cattaneo si unisce a Gioberti e Balbo nel riconoscere nel federalismo l’unico possibile modello di stare assieme per le diverse regioni d’Italia, si distingue, però dai due per l’impronta repubblicana del suo pensiero. La confederazione immaginata da Cattaneo avrebbe dovuto essere del tutto laica e indipendente dalla Chiesa di Roma, sul modello degli Stati Uniti d’America. Secondo Cattaneo la confederazione italiana poteva essere il primo passo verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa

4.3 La via diplomatica di Cavour
I moti insurrezionali del ’48 e la prima guerra d’indipendenza ebbero quale conseguenza un’ulteriore restrizione delle libertà in quasi tutto il territorio italiano. Non così nel regno di Sardegna (protagonista della prima guerra d’indipendenza), qui, infatti, non solo Vittorio Emanuele II mantenne la carta costituzionale concessa da Carlo Alberto (Statuto albertino del 1848), ma avviò una politica di profonde riforme e modernizzazione che consentì al Piemonte di raggiungere, in pochi anni, livelli sociali ed economici simili a quelli dei paesi europei più avanzati.
Protagonista della politica di riforme e modernizzazione attuata nel regno di Sardegna nel decennio 1850-1860 fu Camillo Benso conte di Cavour. Sostenitore di un liberalismo moderato, Cavour comprese ben presto come fosse impossibile per l’esercito sabaudo sconfiggere l’Austria senza l’appoggio di una potenza straniera. Ecco perciò che cerca in tutti i modi di avvicinarsi alla Francia di Napoleone III (nel 1848 Luigi Napoleone viene nominato presidente della Repubblica francese, grazie ad un plebiscito viene istituito il nuovo impero, nel 1852, Luigi Napoleone viene nominato quindi imperatore con il nome di Napoleone III), l’occasione arriva nel 1858, dopo che Felice Orsini, un seguace di Mazzini, attenta alla vita dell’imperatore francese lanciando tre bombe contro la sua carrozza.
Cavour a questo punto propone all’imperatore un’alleanza franco-piemontese avente la funzione di contrasto al movimento repubblicano e, nello stesso tempo, in grado anche di limitare l’egemonia austriaca in Italia. I due statisti firmano quindi, in segreto, nella cittadina francese di Plombières degli accordi che prevedevano, tra l’altro, l’intervento della Francia a fianco del Piemonte, nel caso che questo venisse attaccato dall’Austria. È questa la via diplomatica scelta dall’astuto primo ministro piemontese per cercare d’unire il territorio italiano sotto il controllo della monarchia sabauda. I risultati non tarderanno ad arrivare.  

5. La seconda guerra d’indipendenza e la conquista dell’Unità
5.1 La seconda guerra d’indipendenza
Dopo gli accordi di Plombières, nel 1859, il Piemonte fece di tutto (ad esempio manovre militari al confine) per provocare l’Austria al conflitto. Il governo di Vienna cadde con facilità nella trappola, dopo aver inviato un ultimatum al governo piemontese e non avendo ricevuto risposta, dichiara guerra al Piemonte. Inizia in questo modo la seconda guerra d’indipendenza: le truppe franco-piemontesi hanno la meglio in diverse battaglie (Magenta, Solferino, San Martino). A questo punto gli austriaci firmano con i francesi l’armistizio (a Villafranca presso Verona) con il quale l’Austria cede la Lombardia alla Francia (che quindi la passa al Piemonte).

5.2 Annessione delle regioni dell’Italia centrale
Con la seconda guerra d’indipendenza iniziano dei moti insurrezionali in diverse regioni dell’Italia centrale. In questo caso, però, rispetto ai moti del 1848 è il movimento dei moderati che insorge a formare dei governi provvisori, che si pronunceranno per l’annessione al Piemonte. Così, nei primi mesi del 1860, Emilia, Romagna e Toscana decideranno, mediante Plebiscito, l’annessione al Piemonte. 

5.3 La spedizione dei Mille e la liberazione delle regioni del Mezzogiorno
Se la via diplomatica di Cavour risultò vincente per il Nord e il centro Italia, ben poco poteva fare per le regioni del Sud d’Italia governate dai Borboni (Francesco II di Borbone sale al trono nel 1859), ed è proprio nelle regioni del Sud che i movimenti insurrezionali di ispirazione repubblicana troveranno modo di rivalersi delle delusioni vissute fino ad allora.
Nell’aprile del 1860 scoppiano a Palermo dei moti insurrezionali di carattere popolare che spingono Garibaldi nell’organizzare la spedizione dei Mille per aiutare gli insorti. Cavour e Vittorio Emanuele II, pur essendo nettamente contrari all’impresa, nulla fanno in concreto per bloccarla.
Garibaldi è quindi libero di partire dal porto di Quarto, presso Genova, nella notte tra il 5 e i 6 maggio 1860, con poco più di mille uomini. Alcuni giorni dopo arrivano a Marsala e qui vengono accolti come dei liberatori dalla popolazione, che si unisce a loro nel combattere contro l’esercito borbonico. In pochi mesi la Sicilia è liberata dai Borbone. Superato lo stretto di Messina, Garibaldi e i suoi uomini passano quindi in Calabria e da qui verso Napoli dove giungono in settembre, Francesco II è costretto a fuggire.
Dopo Napoli, Garibaldi era intenzionato ad occupare anche il Lazio per puntare alla liberazione di Roma dal potere del papa, a questo punto, però, Cavour, anche per gli accordi presi con Napoleone III, non può più lasciar agire indisturbato l’eroe dei due mondi e così invia l’esercito sabaudo nel centro Italia per fermare lo stesso Garibaldi. Fortunatamente non fu necessario arrivare allo scontro armato, Garibaldi cede a Vittorio Emanuele II i territori liberati.              

5.4 La proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1961
Tra ottobre e novembre del 1860 tutte le regioni del Mezzogiorno, più Marche ed Umbria decidono, mediante plebiscito, l’annessione.
Il 17 marzo 1861 il nuovo parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia, la capitale è Torino.
Veneto, parte del Lazio e Roma non sono però ancora italiane. Bisognerà attendere ancora dieci anni (1870) per l’annessione di Roma, città simbolo della ritrovata unità di un Paese che era diviso da più di mille anni.       

 

PARTE SECONDA
L’ITALIA DALL’UNITÁ ALLA FINE DELL’OTTOCENTO

6. La fase di consolidamento dello Stato unitario
6.1 “Fatta l’Italia bisogna ora fare gli italiani”
"Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani", questa frase di Massimo D’Azeglio coglie efficacemente il più serio problema che si pose alla classe dirigente del nuovo Stato italiano. Alcuni dati ci mostrano chiaramente quale fosse la situazione dell’Italia unita:

  • 8 italiani su 10 sono analfabeti
  • solo il 3% parla la lingua italiana

Proprio l’estrema varietà e disuguaglianza della società italiana, assieme ad altre considerazioni condizionano le scelte relative alla forma più idonea di stato nazionale scegliendo per il regno d’Italia un assetto fortemente accentrato.
Un forte potere centrale si rese perciò necessario per:

  • neutralizzare la spinta delle forze democratiche e popolari che avevano contribuito a crearlo
  • fronteggiare il forte potere ostile della Chiesa Cattolica (che esercitava una capillare influenza specie su i contadini)
  • controllare un paese particolarmente diviso e privo, specie nel Mezzogiorno, di una classe dirigente borghese ampia e ramificata

6.2 Innanzitutto accentramento amministrativo
Dopo la prematura morte di Cavour nel 1861, la guida del governo passa al toscano Bettino Ricasoli, che affossa i cauti progetti di decentramento amministrativo, elaborati in quel tempo, ed estende a tutta l’Italia la legge Rattazzi del 1859, che generalizza il centralismo degli ordinamenti comunali e provinciali piemontesi.
Viene istituita la figura del Prefetto attorno alla quale ruoterà l’intera impalcatura dello Stato accentrato. Il prefetto è un alto funzionario non elettivo ma nominato dal ministero degli interni, che deve controllare non soltanto l’ordine pubblico, attraverso l’azione delle questure a lui subordinate, ma l’intera vita associata delle 59 province del Regno, dirigendo l’attività delle giunte e dei consigli elettivi, emanando decreti e regolamenti, esercitando una costante e pesante ingerenza sugli enti locali.
Questa tendenza uniformatrice e accentratrice viene confermata nel 1865 dalle leggi di unificazione legislativa e amministrativa, il sindaco non è elettivo ma di nomina regia. Accentrato è anche il sistema scolastico, retto da una legge del 1859 del ministro Gabrio Casati, che istituisce la scuola elementare obbligatoria (per due anni) e gratuita.
Lo Statuto albertino, che diviene la legge fondamentale del nuovo regno, assegna ampi poteri alla monarchia sabauda, e così i ministri non rispondono del loro operato al parlamento ma al re, che si riserva sempre la scelta dei ministri della Guerra e della Marina. Al re spettano anche le decisioni in materia di politica estera e la condotta della guerra, oltre al diretto controllo delle forze armate per mantenere l’ordine interno. Di nomina regia sono i membri del Senato nominati dal sovrano.
Si deve inoltre sottolineare come l’elettorato ha in questi anni un peso molto limitato, solo il 2% della popolazione ha diritto al voto.

7. Il governo della Destra affronta i primi  gravi problemi dell’Italia unita (1861-
     1876)
7.1 Il governo della Destra
Dal 1861 al 1876 l’Italia è governata da una parte della classe dirigente che viene chiamata Destra con riferimento alla sua collocazione nell’aula del parlamento. La Destra e composta da personaggi come Quintino Sella e Giovanni Lanza (piemontesi), Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi (toscani), Minghetti (emiliano), Stefano Jacini ed Emilio Visconti Venosta (lombardi).  Questi uomini sono soprattutto proprietari terrieri, spesso personalità di alta cultura, concepiscono la gestione dello stato quasi come una amministrazione di beni privati
I problemi principali con cui la Destra si dovrà confrontare sono diversi e tutti molto gravi:

  • la necessità di risanare un bilancio in rosso
  • brigantaggio nel meridione
  • l’unificazione da completare (nel 1861 non sono ancora annessi al regno italiano il Veneto e il Lazio, oltre a Trento e Trieste)
  • difficili rapporti con la Chiesa cattolica

7.2 Il problema del bilancio da risanare
Le diverse guerre risorgimentali per l’Unità erano costate molto al bilancio del Piemonte, per tale motivo il bilancio dello Stato italiano dei primi anni è nettamente negativo.
Il governo della Destra, con al ministero delle finanze Quintino Sella (in carica dal 1862 al 1865 e dal 1869 al 1873), si pose così, tra i primi e più importanti traguardi da raggiungere, il pareggio del bilancio. Per ottenere tale obiettivo decise di muoversi in tre direzioni:

  • contenimento delle spese
  • aumento delle entrate (aumento delle tasse)
  • vendita di beni demaniali dello Stato e degli enti ecclesiastici (soppressi nel 1866-67)

Se i provvedimenti per il contenimento della spesa non suscitarono grandi proteste, l’aumento delle tasse (anche perché si aumentarono più le tasse sui consumi che quelle sui beni) provocò notevoli proteste, in particolare nel meridione dove il pagamento delle tasse prima dell’Unità era molto ridotto, dato che i regnati borbonici non facevano nulla per migliorare le strutture pubbliche e la qualità della vita in genere. Anche la vendita dei beni degli enti ecclesiastici provocò notevoli proteste da parte della Chiesa.
Gli sforzi messi in atto diedero i loro risultati, nel 1875 si riuscì ad ottenere il pareggio del bilancio. Il liberismo economico favorì le imprese del Nord Italia, già abituate ad una economia di mercato, e sfavorì le imprese del Mezzogiorno cresciute in un regime protezionistico mantenuto dal regime borbonico, inizia in tal modo in questi anni quella che successivamente verrà definita “questione meridionale”.  

7.3 Il brigantaggio nel Meridione
Agli occhi dei contadini del Meridione (e ricordo che nel Meridione praticamente mancava una classe borghese intermedia, vi erano solo contadini e grandi proprietari terrieri) il nuovo Stato non solo non aveva migliorato le condizioni di vita ma le aveva peggiorate, in particolare introducendo nuove e più pesanti tasse (la più odiosa la tassa sul macinato del 1868) e rendendo obbligatorio il servizio militare per tutti. La sperata e tanto attesa distribuzione ai contadini delle terre espropriate agli enti ecclesiastici non arrivò mai, tali terre furono, infatti, acquistate dai grandi proprietari, i quali in tal modo, rafforzarono il loro potere. E’ in tale contesto che si sviluppa un movimento di protesta e rivolta nei confronti dell’ordine costituito, e che trova la sua espressione più cruenta nel brigantaggio.
Tale movimento, derivante dalla protesta popolare, trovò due grandi forze sostenitrici:

  • gli agenti borbonici, dispersi tra il popolo, mandati dagli ex regnanti in esilio a Roma
  • una parte considerevole del clero, che continuava a vedere nello Stato unitario un avversario da combattere

E’ così che bande di fuorilegge riescono a controllare intere zone dell’interno, attaccando spesso città e villaggi per saccheggiarli.
La lotta contro il brigantaggio dura fino al 1865-66, impegna nelle regioni del Mezzogiorno un corpo di spedizione di circa 120 mila uomini, pari a metà dell’intero esercito regolare, richiede la proclamazione dello stato d’assedio e il passaggio dei poteri ai tribunali militari che hanno la facoltà di fucilazione immediata nei confronti di chiunque opponga resistenza armata. Una durissima repressione militare segna così, fin dall’inizio, il rapporto fra il nuovo Stato e le popolazioni meridionali.

7.4 Il compimento dell’Unità
a. L’annessione del Veneto
L’occasione per l’annessione del Veneto viene offerta dall’iniziativa di Bismarck. Questi, con l’assenso dell’imperatore francese, coinvolge l’Italia nella guerra del 1866 contro l’Austria. La vittoria prussiana consentì al Veneto di riunirsi all’Italia. Tuttavia se il giovane regno può annettersi il Veneto deve ringraziare la schiacciante vittoria delle armate prussiane e non l’apporto militare italiano. L’esercito sabaudo, infatti, viene sconfitto sia in terra (a Custoza), sia in mare (a Lissa). Non è perciò senza motivo che alla conclusione delle ostilità l’Austria cede il Veneto non direttamente all’Italia, bensì alla Francia che, a sua volta, lo "gira" all’Italia.
b. L’annessione del Lazio e la “questione romana”
Solo Roma capitale poteva realmente ricongiungere il giovane Stato al suo passato prestigioso. Tuttavia l’ostilità del Papa, la cui ira poteva trasmettersi alla massa dei fedeli, e la protezione che la Francia (con Napoleone III) assicurava alla Santa Sede avevano un effetto di blocco.
I moderati della Destra al governo subito dopo l’Unità si trovano stretti fra i vincoli imposti dalla Francia, che esclude l’annessione di Roma all’Italia, e i democratici, che puntano a una sorta di riedizione dell’iniziativa garibaldina e godono dell’appoggio di ampi settori della Sinistra. I vari tentativi di conquistare Roma falliscono tutti finché la Prussia non ci viene ancora in aiuto, indirettamente questa volta, la vittoriosa guerra franco-prussiana nell’estate del 1870 provoca la caduta dell’imperatore francese Napoleone III, e con esso il maggiore ostacolo che si oppone al completamento dell’unità nazionale.
Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani vengono inviati a prendere Roma: con una breccia aperta nelle mura romane all’altezza di Porta Pia, il Regno d’Italia sancisce la conquista militare della sua capitale.
Le vicende conclusesi con l’abbattimento del potere temporale del papato non esauriscono la questione romana, che condizionerà a lungo i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Il tentativo di Cavour di risolvere il problema seguendo una linea separatista sintetizzata dalla formula "libera Chiesa in libero Stato" si scontra con l’intransigenza di Pio IX. Nel 1871 con una legge detta "delle guarentigie", l’Italia riconosce il papa come sovrano su un residuo lembo di territorio romano denominato Città del Vaticano, gli assegna una dotazione finanziaria annua, garantisce al clero ampie libertà e lo esime dal controllo delle autorità civili. Tale legge non viene però riconosciuta da Pio IX che si rifiuta di riconoscere lo Stato italiano proclamandosene implicitamente prigioniero politico. Nel 1870 il Concilio Vaticano I proclama il dogma dell’infallibilità del pontefice e nel 1874 un decreto della Santa Sede (il cosiddetto non expedit, "non è opportuno" in latino) vieta ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche e amministrative. Il nuovo stato italiano nasce così con l’opposizione manifesta del potere che ben più a lungo di ogni altro ha regnato sulla penisola: quello religioso e culturale della Chiesa cattolica.

8. La Sinistra al potere (1876-1900)
8.1 Le riforme della Sinistra
Alcune riforme che la Sinistra al governo riesce ad attuare sono sicuramente degne di nota:

  • allargamento della base elettorale
  • frequenza obbligatoria dell’istruzione di base (legge Coppino)
  • avvio di una prima legislazione in campo sociale
  • revisione del sistema delle tasse, con l’eliminazione della tassa sul macinato

a. Allargamento della base elettorale
Con la riforma elettorale del 1882 il governo della Sinistra riduce i limiti di censo (da 40 a 19 lire), e di età (da 25 a 21 anni), in tal modo avranno accesso al voto altri due milioni di cittadini maschi (nel corpo elettorale vi sarà, in tal modo, la prevalenza del ceto borghese), l’elettorato attivo passerà dal 2 al 7% della popolazione.
b. Frequenza obbligatoria dell’istruzione di base
Nel 1877 la legge Coppino introduce l’obbligo di frequenza (dai sei ai nove anni) nelle scuole elementari (fino alla classe terza), dando una prima risposta al grave problema dell’analfabetismo, anche se con risultati limitati e molto differenziati. Nel 1901 gli analfabeti scenderanno nei capoluoghi di provincia al 32%, rimanendo però al 52% nelle campagne.
c. Avvio di una prima legislazione in campo sociale
Tra il 1880 e il 1890 il parlamento italiano (anche sull’esempio di quello tedesco) avvia delle prime iniziative di legislazione sociale, riconoscendo, ad esempio, le società di mutuo soccorso (1886), e fissando a 9 anni e otto ore giornaliere i limiti del lavoro infantile (1886). Prevede, inoltre, la possibilità facoltativa di assicurarsi contro gli infortuni sul lavoro presso una Cassa nazionale di assicurazioni, solo nel 1898 il parlamento italiano emanerà una legge per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e getterà le prime basi di un sistema pensionistico volontario.
d. Eliminazione della tassa sul macinato
In campo tributario nel 1884 viene abolita l’odiata tassa sul macinato.

8.2 Una politica economica “protezionistica”
L’elemento caratterizzante la politica economica del governo della sinistra è l’abbandono del liberismo del governo precedente e l’adozione di una politica di tipo protezionistico. Una tale scelta è condizionata sia dall’avvio della “grande depressione” economica che caratterizzerà gli ultimi decenni del XIX secolo, sia dalla crescente concorrenza tra le diverse economie nazionali. Lo Stato italiano imporrà quindi, anche su sollecitazione di un grande fronte di forze economiche e sociali, nel 1887 una nuova tariffa doganale (che rimarrà in vigore fino al 1921) per proteggere soprattutto la produzione granaria e i settori industriali tessile e siderurgico, mentre lascia bassi i dazi sui prodotti stranieri dell’industria meccanica e chimica.

8.3 La politica estera italiana negli anni del governo della Sinistra
I rapporti di collaborazione con la Prussia iniziano nel 1866 a spese dell’Austria e sono finalizzati a completare l’Unita del Paese mediante l’acquisizione del Veneto. La paura di rimanere isolata in ambito internazionale (nel congresso di Berlino del 1878 l’Italia ha avuto ben poco peso, ma soprattutto ha l’impressione di essere isolata) la spinge ad aderire alla Triplice alleanza, con Austria-Ungheria e Germania, nel 1882.
Primi tentativi di espansione coloniale in Africa
La Triplice è la cornice entro la quale prendono corpo, per la prima volta, dei timidi tentativi di politica coloniale da parte dell’Italia. Nel 1882 viene occupata una striscia di territorio sulla costa meridionale del Mar Rosso. Con il governo di Crispi, del 1887, i possedimenti coloniali italiani vengono riorganizzati e ampliati e prendevano il nome di Colonia Eritrea (1890), allargatisi, poi, con il controllo della vicina Somalia. L’espansione coloniale italiana urtava però la sensibilità del vicino impero etiopico; fu così che Crispi cercò di ottenere una forma di accordo-protettorato sull’impero di Etiopia (o Abissinia), nel 1889 firma con l’imperatore (negus) d’Etiopia, Menelik, un trattato (trattato di Uccialli). Tale accordo venne però inteso diversamente dalle due parti, gli italiani, infatti iniziarono delle forme di penetrazione nei territori etiopici che furono decisamente respinti dagli etiopici. Questi contrasti culminarono con lo scontro disastroso di Adua (1896), sedicimila soldati italiani vengono praticamente annientati dalle forze abissine. La sconfitta costrinse Crispi alle dimissioni.  

8.4 La riforma del codice penale: il “Codice Zanardelli
Durante gli anni del governo della Sinistra viene varato un nuovo codice penale che segno una svolta per l’ordinamento giuridico italiano. Il codice, chiamato “Codice Zanardelli” dal nome del ministro della giustizia che lo fece approvare, rimase in vigore dal 1890 fino al 1930. Rispetto al codice precedente, presenta du importantissime novità:

  • l’abolizione della pena di morte
  • l’abolizione del divieto di sciopero.

E’ da sottolineare come l’Italia sia uno dei primi paesi europei ad abolire la pena di morte dal proprio codice penale.

9. Nascita dei movimenti di massa alla fine del XIX secolo
9.1 Nascita del movimento operaio in Italia (le società di mutuo soccorso)
Le prime organizzazioni che si affermano nel mondo del lavoro sono società di mutuo soccorso (nel 1885 il loro numero è di quasi cinquemila). Tali società si incaricano di raccogliere fondi per gli aiuti ai soci malati o invalidi. Spesso a capo di queste società vi sono esponenti dell’aristocrazia che danno a tale attività un carattere filantropico e paternalistico.

9.2 Il partito socialista italiano
Negli anni successivi all’Unità, si diffondono in Italia idee insurrezionali di stampo anarchico sul modello di quelle professate da Bakunin; ben presto, però, il completo fallimento derivante dalla messa in pratica di tale idee e il diffondersi del pensiero marxista, spinge alcuni appartenenti ai gruppi anarchici ad abbandonare la pratiche insurrezionali, per fondare un partito che partecipasse alla vita amministrativa e politica del Paese. Tra i principali rappresentanti di una tale tendenza vi è Andrea Costa (1851-1910), che alle elezioni del 1882 viene eletto deputato, il primo deputato socialista eletto al parlamento italiano.
In questo periodo vi sono numerosi movimenti di protesta tra i braccianti agricoli (danneggiati anche dalla crisi economica e produttiva a livello mondiale); il movimento di protesta che si attua nel Polesine viene chiamato “la boje” (dal modo di dire dialettale usato dai braccianti in lotta “la boje, la boje e do boto la va de fora”), le lotte dei braccianti riescono ad ottenere dei miglioramenti salariali.
Nonostante gli interventi repressivi si va diffondendo sul territorio nazionale una vasta rete di organizzazioni (dalle leghe bracciantili alle cooperative e ai sindacati urbani) che si battono per gli interessi e i diritti della classe lavoratrice.
Le diverse componenti del movimento socialista della penisola confluiscono verso la fine del secolo in un nuovo partito (soprattutto per iniziativa di Filippo Turati e del filosofo Antonio Labriola), che nel 1895 prenderà il nome Partito socialista italiano.
Nato come federazione di associazioni sindacali e politiche, mutualistiche, cooperative e culturali, nel giro di pochi anni il partito socialista italiano assume la fisionomia di un moderno partito politico fondato sul principio dell’adesione individuale. Una sua  peculiarità, rispetto altri partiti socialisti europei, è data dall’ampio spettro dei consensi, raccoglie, infatti il favore non soltanto dei lavoratori urbani, ma anche dei braccianti agricoli della Valle Padana.

9.3 Il movimento cattolico
a. L’Opera dei congressi
Fedeli alle direttive di Pio IX (ricordo il suo non expedit del 1874) e perciò ostili a ogni tentativo di conciliazione con lo stato italiano, i cattolici più "intransigenti" fondano l’Opera dei congressi, una organizzazione, saldamente controllata dal clero, che si propone quale fine l’impegno nel sociale. Proponendosi in opposizione e alternativa alle organizzazioni socialiste e allo Stato laico.
b. L’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII
Solo con l’avvento al soglio pontificio di Leone XIII (1878), la Chiesa mostra qualche segno di apertura nei confronti dello Stato italiano; durante il pontificato di Leone XIII aumento l’impegno dei cattolici nel sociale, si rafforzano così, soprattutto nella Lombardia e nel Veneto società di mutuo soccorso, cooperative agricole e artigiane ispirate alla nuova dottrina sociale cattolica. La nuova posizione della Chiesa nei confronti dei problemi sociali si concretizza, da un punto di vista dottrinale, nell’enciclica Rerum novarum pubblicata del pontefice Leone XIII nel 1891.
Nell’enciclica, tra gli altri, sono sottolineati i seguenti punti:

  • necessità di una conciliazione fra lavoratori e imprenditori
  • condanna dello sfruttamento capitalistico
  • condanna del socialismo e della lotta di classe
  • sostegno allo sviluppo dell’associazionismo popolare e operaio dei cattolici

Si sviluppa, in tal modo, un diffuso movimento che si pone in alternanza e in concorrenza con i socialisti.

10. L’Italia dei governi Crispi e Giolitti
10.1 I governi di Francesco Crispi (1887-’91 / 1893-‘96)
Nell’ultimo decennio del XIX secolo la figura di spicco nella scena politica italiana è Francesco Crispi; questi ricopre la carica di Primo ministro negli anni 1887-’91 e 1893-’96. Gli anni del governo Crispi si caratterizzano per due aspetti:

  • in politica estera per le iniziative coloniali (probabilmente anche per emulazione delle altre grandi potenze europee e della Germania in particolare, Crispi nutriva una grande ammirazione per Bismarck)
  • in politica interna per le iniziative repressive, finalizzate a mantenere l’ordine pubblico

Delle iniziative e degli esiti in campo coloniale abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. Per quanto attiene le attività repressive attuate negli anni di fine secolo, è necessario studiare il fenomeno con attenzione. 
Verso la fine del XIX secolo, lo sviluppo industriale in Italia, pur essendo in ritardo rispetto a  quello di altri paesi, raggiunse delle discrete dimensioni. Contadini e operai cominciarono in quegli anni a prendere coscienza della loro condizione (anche per il diffondersi delle idee socialiste), e ad organizzarsi in associazioni finalizzate ad ottenere delle migliori condizioni di vita anche attraverso forme di lotta estreme.
In questi anni si svilupparono diversi focolai di protesta (in particolare in Sicilia nel 1894 e nella Lunigiana).
Il governo come risposta a queste forme di protesta proclama lo stato d’assedio in Sicilia e, nello stesso tempo, fa approvare dal parlamento (1894) un insieme di leggi che si pongono quale obiettivo il ristabilirsi dell’ordine pubblico; per raggiungere una tale meta si decide di limitare la libertà di d’espressione, in particolare vengono limitate:

  • la libertà di stampa
  • la libertà di associazione
  • la libertà di riunione

Nell’ottobre del 1894 si dichiara fuorilegge il Partito socialista.
Il sistema repressivo messo in atto dal governo Crispi, non solo non riesce a smantellare la rete organizzativa legata al Partito socialista, ma fa si che diversi intellettuali democratici si avvicinino con simpatia al partito dichiarato “fuorilegge”.

10.2 I governi Giolitti nel primo decennio del XX secolo
a. I principi ispiratori della politica interna giolittiana 
Chiamato dal re alla carica di primo ministro nel 1903, Giolitti mantiene tale carica, anche se non in modo continuativo, per un decennio.
La linea di governo di Giolitti si caratterizzerà, in un periodo di aspre lotte tra le classi sociali, per due aspetti:

  • la necessità di prestare attenzione alle richieste e alle aspirazioni delle classi lavoratrici, solo in questo modo si sarebbe potuto garantire stabilità e progresso per tutto il Paese
  • il sostegno dato alla nuova borghesia industriale, solo garantendo un sostegno a questa classe emergente l’Italia poteva garantirsi un futuro tra le grandi potenze europee

Si spiega in questo modo la sua preoccupazione per conciliare gli interessi dei proletari con quelli della nuova classe borghese industriale. Il non prendere delle posizioni chiare in favore di una classe o dell’altra finì per attirargli le antipatie sia dei socialisti che lo accusarono di conservatorismo, sia dei ceti borghesi, che lo accusarono di assumere un atteggiamento demagogico. 
Durante i suoi governi Giolitti seppe mantenere un costante equilibrio tra le parti antagoniste (scrive lo statista italiano, lo Stato deve essere “...... disposto a lasciare a tutte le classi la possibilità di far conoscere e di far valere le proprie aspirazioni e di difendere, nell'ambito delle leggi, i propri legittimi interessi."), promuovendo da un lato delle leggi favorevoli alla classe lavoratrice, e, dall’altro, una politica tesa a promuovere l’industria italiana che era nata da poco.

b. Le riforme dei governi Giolitti 
Nella corso del suo decennio di governo Giolitti sostenne una serie di notevoli riforme in campo sociale e della sanità pubblica:

  • miglioramento della legislazione in favore dei lavoratori vecchi, infortunati ed invalidi
  • norme più umane relative al lavoro delle donne e dei fanciulli (una legge stabilisce che le donne possono rimanere a casa dal lavoro per un mese dopo il parto)
  • viene esteso l’obbligo di istruzione fino al dodicesimo anno d’età
  • viene stabilito il diritto al riposo settimanale
  • passaggio dai privati allo Stato del controllo sull’assicurazione sulla vita (l’Istituto Nazionale per le Assicurazioni sulla vita, INA)
  • distribuzione gratuita di chinino per combattere la malaria 

e a sostegno dell’agricoltura e della nascente industria:

  • importanti lavori di bonifica e di irrigazione
  • lavori pubblici per estendere la rete stradale e ferroviaria

Tra le diverse leggi varate durante i governi Giolitti, una è particolarmente importante, si tratta della legge che (nel 1912) stabilisce il suffragio universale maschile. Fedele ai propri principi ispiratori, Giolitti riuscì a far approvare una legge che estendeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi. Tale riforma riusciva finalmente, per la prima volta, a coinvolgere nella vita politica una larga parte del popolo.

c. La politica estera italiana durante l’età giolittiana (la guerra libica) 
L'azione diplomatica del governo italiano negli ultimi anni del XIX secolo era stata caratterizzata dalla fiducia nella Triplice alleanza. Crispi e suoi collaboratori erano conviti che le questioni di politica estera si potevano risolvere con il sostegno degli alleati della Triplice.
Giolitti comprese pero ben presto che senza l’approvazione della Francia e dell’Inghilterra qualsiasi impresa coloniale sarebbe risultata fallimentare, cercò, perciò, di stabilire nuovi rapporti con le due potenze.
Con la Francia cercò di risolvere i contrasti, che tanto danno avevano arrecato all'economia dei due Paesi, e nel contempo concordò un'eventuale espansione francese nel Marocco in cambio del consenso ad una eventuale penetrazione italiana in Tripolitana e Cirenaica, territori ormai solo debolmente controllati dalla Turchia.
Accordi simili furono firmati con l'Inghilterra e con la Russia. Tutto ciò indeboliva la Triplice, ma rafforzava la posizione italiana in Europa e favoriva la pace facendo dell'Italia un elemento moderatore nei contrasti già in atto fra l'Austria e la Germania da una parte e l'Inghilterra, la Francia e la Russia dall'altra.
Quando nel 1911 l'Italia riprese l'attività coloniale, sbarcando sull'ultima parte dell'Africa settentrionale non ancora occupata dalle potenze occidentali, l'impresa aveva dunque avuto un'accurata preparazione diplomatica. Si giustificava la nuova impresa coloniale con l’aumento della popolazione in Italia che aveva bisogno di nuove area al di fuori del territorio nazionale, come stava mostrando il triste fenomeno dell’emigrazione negli Stati Uniti e nei paese dell’America del Sud.
Per la guerra in Libia fu allestito un corpo di spedizione di 34.000 uomini e il 3 ottobre 1911 iniziarono le ostilità. La guerra non fu così semplice come si era sperato, ma alla fine l’Italia riuscì ad ottenere dalla Turchia il riconoscimento del possesso della Tripolitania e della Cirenaica e si impegnava a far cessare la guerriglia.
L'occupazione della nuova colonia, cui fu mantenuto l'antico nome romano di Libia, non portò all'economia italiana grossi vantaggi. Quell'ampia fascia di territorio africano era infatti prevalentemente desertica e assai povera di materie prime ad eccezione di vastissimi giacimenti di petrolio, che però furono scoperti soltanto successivamente all'indipendenza del Paese (1952).

d. I lati oscuri della politica giolittiana
Pur di rimanere protagonista della scena politica Giolitti non esitò a destreggiarsi tra i diversi partiti dell’opposizione, cercando di accontentare un po’ tutti con atteggiamento simile al “trasformismo” di Depretis. Non solo, sembra che lo statista pur di mantenere un alto consenso elettorale sia ricorso alla corruzione e all’intimidazione. Un tale atteggiamento, attuato soprattutto nell’Italia del Sud, fu denunciato da Gaetano Salvemini che definì Giolitti “ministro della malavita” con un chiaro riferimento alla presunta complicità con mafia e camorra finalizzata ad ottenere voti.
Per non lasciarci con questa immagini negativa di quello che, dopo Cavour, è stato probabilmente il più grande statista italiano, dobbiamo ricordare che è grazie a Giolitti che la politica italiana si è aperta alla gente, egli è riuscito a dar voce a quelle forze reali del Paese che non avevano voce, e che, probabilmente, si sarebbero incanalate verso uno scontro sociale che sicuramente avrebbe danneggiato gravemente la società italiana nel suo insieme, indipendentemente dalla classe d’appartenenza.  


Sono considerati beni demaniali tutti quei beni che sono di proprietà dello Stato.

Pur essendo piuttosto complesso il concetto di liberismo, possiamo accontentarci di definirlo come una scelta politica che privilegia, in campo economico, il libero mercato, rispetto all’intervento statale.

Andrea Costa conosce a Parigi la socialista russa Anna Kuliscioff e, anche grazie al suo influsso, si convince della necessità di dar vita ad un partito che partecipasse alla vita politica del paese, è così che nel 1881 fonda il Partito socialista rivoluzionario di Romagna.

 

Autore Marino Martignon

Fonte: http://www.insegnareitaliano.it/documenti/Laboratorio%20docenti/storia/Martignon/Storia%20contemporanea/5_ST_M3_09_09%20L%27Italia%20nel%20XIX%20secolo.doc

 

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