Rivoluzione industriale
Rivoluzione industriale
Il Contesto Storico
La Macchina A Vapore.
L'industria Tessile
Industrie Metallurgiche E Siderurgiche
Il Carbone
Il Lavoro
Il Proletariato Urbano.
La Vita Degli Operai
La Protesta Operaia
Urbanizzazione E Vita Nelle Campagne
Enclosures
Aumento Demografico..
Urbanesimo
La Rivoluzione Industriale
Il Contesto Storico
L’Inghilterra dà l’avvio nel '700 a quel processo di trasformazione globale e radicale dell’organizzazione economica e sociale che va sotto il nome di "Rivoluzione industriale" e che segna in modo determinante la storia europea e mondiale condizionandone ogni forma di organizzazione civile e di esperienza di vita. Con il ‘700 giunge a piena risoluzione la catena di conflitti apertisi nel ‘600 con la crisi sia del sistema e del modello conoscitivo tradizionale sia delle certezze che a quello erano collegate. Questo secolo, di profonda e generale trasformazione, vede prevalere quella Alla base di questo processo vi è un complesso di fattori e cause: la disponibilità di materie prime, la capacità di organizzare efficacemente sforzi e risorse accumulate in precedenza e di indirizzare a buon fine le tensioni emergenti tra le diverse classi sociali, la disponibilità della classe dominante ad assecondare e guidare l’innovazione, la disponibilità infine degli intellettuali (scienziati e tecnici in particolare) ad applicare le loro conoscenze alla soluzione di problemi pratici.
Il metodo d’indagine scientifico - matematico, empirico e razionale, derivato dalle scienze naturali, è dal ‘700 applicato a tutto lo scibile. Nessun settore dell’esperienza umana è escluso dalla verifica e dal vaglio critico operato dalla ragione, che diventa criterio superiore di verifica di ogni affermazione e come principio di ogni azione.
La cultura del ‘700 presenta dunque una caratteristica peculiare e fondamentale: essa è cultura per l’azione, conoscenza finalizzata all’attuazione pratica vuoi di un oggetto (come il telaio meccanico), vuoi di un meccanismo organizzativo, di un sistema giuridico e costituzionale da realizzare al più presto nel concreto, per guidare l’evoluzione "naturale della realtà. Il ‘700 è il secolo in cui nasce il concetto stesso di "progresso".
Le prime macchine a vapore costituirono una risposta all’esigenza di ottenere un più efficace drenaggio e prosciugamento dei pozzi delle miniere. Infatti dopo una prima fase di disboscamento selvaggio per recuperare il legno con cui venivano alimentate le fornaci e quella successiva di sfruttamento delle miniere di carbone a cielo aperto, il combustibile per far funzionare le manifatture e le ferrovie doveva essere cercato in profondità. Le miniere di carbone al di sotto della falda acquifera venivano spesso allagate e le pompe per prosciugarle, azionate da cavalli, non riuscivano a sollevare l’acqua oltre i 10 m di dislivello. In questo quadro è evidente l’esigenza di macchine che permettessero, attraverso una maggiore razionalizzazione del lavoro e una diminuzione dei rischi delle miniere, di aumentare la produttività.
La Macchina A Vapore
Già nel 200 a.C. le potenzialità del vapore erano ben conosciute. Erone di Alessandria, ad esempio, matematico fisico ed ingegnere greco, fu l’ideatore di una turbina a vapore, l’eolipila, con la quale volle evidenziare la forza motrice del vapore acqueo. Tale apparato è fondamentalmente costituito da un arganello idraulico dotato di beccucci orientati nello stesso senso da cui fuoriesce vapore anziché acqua e funziona ruotando in senso inverso rispetto a quello di fuoriuscita del vapore, secondo il principio di azione e reazione che muove ancora oggi le turbine a reazione delle centrali termoelettriche.
A partire dal XV secolo, diversi uomini di scienza si cimentarono nella costruzione di macchine in grado di compiere lavoro sfruttando la potenza del vapore
Con Leonardo da Vinci si approdò a conoscenze circa la forza motrice del vapore fino a quel momento ignorate; la dimostrò con l’"Archituono": una grande pentola piena di acqua che, dopo qualche ora passata sul fuoco, esplodeva in mille pezzi.
Anche Giambattista dalla Porta, nel 1606, creò un apparecchio molto semplice che faceva uscire dell’acqua da un recipiente grazie alla sola forza del vapore.
Con la diffusione delle armi da fuoco, avvenuta verso la fine del XVI secolo, vennero costruite macchine in grado di macinare i minerali necessari alla preparazione della polvere da sparo, come la turbina a vapore ideata da Giovanni Branca nel 1629.
Dimostrata la quantità di pressione esercitata dall’aria atmosferica, equivalente 1,033 kg per 2 cm, grazie all’esperimento di Evangelista Torricelli nel 1643, cominciarono ad essere sfruttate anche le grandi forze messe in gioco dalla pressione atmosferica; nel 1650, Otto von Guericke costruì i famosi "emisferi di Magdeburgo".
Nel 1681, In Inghilterra, il francese Denis Papin, sotto la protezione dello scienziato R. Boyle, ideò la prima pentola a pressione, la cui peculiare caratteristica fu quella di funzionare a vapore e di avere una valvola di sicurezza di cuoio. Il principio base del funzionamento della locomotiva a vapore fu quindi noto. Nel 1690, Papin brevettò il "digestore", una pentola a vapore migliorata rispetto alla precedente.
Dal 1698 in poi diverse miniere inglesi installarono l’impianto di sollevamento idrico mediante la pressione del vapore ideato da Thomas Savery, scienziato che come molti altri era stato influenzato a fare altri esperimenti sul vapore dopo l’esperienza di Papin.
L'industria Tessile
Verso il 1760 l'industria attraversava un periodo espansionistico e si erano già susseguite diverse macchine tessili, come la navetta volante di Kay, che rendeva molto più rapido il lavoro di tessitura, e la cardatrice di Bourn, ma l'invenzione più importante fu brevettata nel 1769 da Arkwright, che consisteva di un telaio di legno alla sommità del quale erano disposte in senso orizzontale quattro bobine portanti il nastro. Da ciascuna bobina questo passava attraverso due coppie di rulli, divisi in quattro sezioni corrispondenti alle bobine; la seconda coppia di rulli si muoveva più rapidamente della prima, allungando così il filo, che veniva poi passato sotto il braccio di un'aletta attaccata a un fuso sul fondo della macchina ed era avvolto sulla bobina portata al fuso. La velocità della bobina era regolata rispetto a quella del fuso per mezzo di un freno, costituito da un pezzo di filato di lana avvolto intorno alla sua base; l'avvolgimento del filato si basava quindi sullo stesso principio della ruota sassone alla quale Arkwright si era ispirato, persino nell'espediente, piuttosto grossolano, di mettere degli spilli sull'aletta per permettere al filatore di guidare il filo in modo uniforme sulla bobina. La macchina era stata inizialmente studiata per essere azionata da un cavallo, ma in principio si usò la forza motrice dell'acqua: da qui il nome di telaio ad acqua. Parecchi miglioramenti furono apportati tra il 1769 e il 1775; uno dei più importanti, brevettato nel 1772 da Coniah Wood, fu l'introduzione di una barra mobile al posto degli aghi che servivano a guidare il filo durante l'avvolgimento. Più tardi il suo movimento fu reso automatico per mezzo di una ruota o camma e successivamente venne aggiunta un'altra coppia di rulli.
Quasi contemporanea di questo tipo di telaio fu la macchina azionata a mano che non traeva ispirazione da precedenti esperimenti. Si trattava di una macchina per grossa filatura o "jenny" che riproduceva i movimenti dell'operazione manuale; pare che la sua invenzione sia da attribuirsi a James Hargreaves, un testimone di Stanhill, vicino a Blackburn, che la realizzò nel 1764 brevettandola però solo nel 1769, poche settimane dopo il brevetto di Arkwright.. Avendo però Hargreaves venduto alcuni esemplari della macchina prima di quella data, il suo braccetto fu considerato nullo. Le bobine riempite di filo ritorto venivano sistemate sul fondo di un telaio provvisto di parecchi fusi, e un nastro di ognuna di esse veniva collegato al fuso corrispondente, passando tra due guide che formavano una barra scorrente avanti e indietro sul telaio. Il filatore estraeva il nastro muovendo la barra all'indietro per un certo tratto. Indi le guide venivano premute insieme per tener fermo il filo, mentre continuavano senza interruzione il movimento all'indietro della barra e la rotazione della ruota che muoveva i fusi. Quando si era raggiunto un punto di torcitura sufficiente, la barra veniva nuovamente spinta in avanti e i fusi girati lentamente per avvolgere il filato. Il filatore, frattanto, tirava una leva che abbassava una corda, detta "tenditore", per far scendere il filo in posizione da poter essere avvolto. Questa macchina subì parecchi miglioramenti, non appena venne in uso, specialmente per opera di Haley, Houghton e Tower.Il telaio ad acqua produceva un filato forte e ben ritorto, adatto alla maglieria e per l'ordito nei tessuti di cotone. Il filato ottenuto con la giannetta, dapprima usato per l'ordito e la trama, fu poi ritenuto più adatto solo per la trama; la macchina successiva, il filatoio intermittente di Crompton, sarebbe stata adatta per produrre entrambi i filati, tuttavia non fu brevettata e l'unico modello originale sembra sia in Francia.
La più antica in Inghilterra (attualmente nel Chadwich Museum, a Bolton) risale al 1802 o a qualche anno più tardi e si ispira alla macchina brevettata da Kelly. Crompton, che aveva iniziato gli esperimenti nel 1774 - la macchina cominciò a funzionare nel 1770 - combinò i rulli del telaio ad acqua con il carrello mobile della giannetta, sistemando i fusi sul carrello e i rulli al posto dei fusi nella giannetta. Il filatore tirava indietro il carrello con la stessa rapidità con la quale i rulli estraevano il nastro, fino a che erano stati ricoperti i 5/6 dell'intera distanza; indi i rulli venivano fermati e fatti funzionare come il fermaglio della gianneta, mentre il carrello continuava a retrocedere a una velocità molto minore e i fusi continuavano a ruotare. Alla fine dello stiramento si faceva compiere ai fusi qualche giro in senso opposto per liberare il filato. Il carrello veniva di nuovo riavvicinato ai fusi e, girando lentamente nel senso originario, avvolgevano il filato con l'aiuto del tenditore, come nella giannetta.
CONSUMI DI LANA E DI COTONE PREZZI DEL FILATO DI COTONE
Anno |
Lana |
Cotone |
|
Anno |
Prezzo |
1695 |
40 |
1 |
1786 |
38 |
|
1741 |
57 |
2 |
1790 |
30 |
|
1772 |
85 |
3 |
1795 |
19 |
|
1799 |
98 |
50 |
1800 |
9.5 |
|
1805 |
102 |
60 |
1805 |
7.1 |
|
1840 |
260 |
430 |
1807 |
6.9 |
|
1860 |
410 |
950 |
1829 |
3.2 |
|
|
|
|
1832 |
2.1 |
|
(Dati in milioni di libbre) |
(Dati in scellini/pence per libbra) |
Industrie Metallurgiche E Siderurgiche
SettoreMinerario
Nel corso del '700 l'industria mineraria inglese fu un campo di importanti innovazioni tecnologiche, come l'uso delle pompe per prosciugare l'acqua nelle gallerie sempre più profonde o il sistema di trasporto su rotaia del materiale dai giacimenti sotterranei alla superficie. A sollecitare l'industria carbonifera fra il '700 e l'inizio dell' 800 fu soprattutto il processo di urbanizzazione e la conseguente necessità di riscaldamento delle case, che venne assicurato appunto dal carbone; solo in un secondo tempo il carbone fu massicciamente impiegato nella produzione industriale e nelle ferrovie. L'industria del ferro in Inghilterra fu a lungo alimentata, prima della costruzione della rete ferroviaria, dalle esigenze belliche e dallo sviluppo della marina militare, ma anche di quella mercantile.
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Il consolidamento dell'apparato industriale interno fece lievitare la domanda di articoli di metallo (dalle macchine agricole e tessili agli utensili domestici ai materiali per costruire), mentre l'avvio dell'industrializzazione in altri Paesi, dopo le guerre napoleoniche, aprì un dinamico mercato di esportazione. Industria carbonifera e industria siderurgica si influenzarono reciprocamente, in quanto la produzione di combustibile rappresentò per la siderurgia una spinta al progresso tecnico, e per altro verso l'estendersi della produzione di ferro stimolò quella del carbone. Come risulta dalle tabelle 1 e 2, il balzo in avanti nella produzione carbonifera e siderurgica avvenne circa cinquant'anni dopo quella del cotone: tra il 1830 e il 1850 la produzione del carbone arrivò quasi a triplicarsi e quella del ferro fu più del triplo
PRODUZIONE DI CARBONE PRODUZIONE DI FERRO
ANNO |
QUANTITÀ' |
|
ANNO |
QUANTITÀ' |
1550 - 1560 |
170 |
1740 |
16 - 25 |
|
1680 - 1690 |
2500 |
1760 |
20 - 26 |
|
1700 |
2500 |
1788 |
61 |
|
1750 |
5000 |
1796 |
109 |
|
1770 |
6205 |
1806 |
235 |
|
1780 |
6425 |
1825 |
382 |
|
1800 |
10000 |
1830 |
630 |
|
1829 |
16250 |
1840 |
1155 |
|
1850 |
44000 |
1850 |
2249 |
|
(dati in migliaia di tonnellate inglesi) |
(dati in migliaia di tonnellate) |
Il Carbone
Il carbone deriva da un lento processo di fossilizzazione delle foreste che rimasero sepolte in seguito a sconvolgimenti della crosta terrestre. Questo viene chiamato carbon fossile naturale e viene classificato in base al periodo in cui ha avuto inizio il processo: antraciti che sono i fossili più antichi con un elevato potere calorifico, litantraci che sono fossili di formazione più recente, sono i più comuni, e hanno un potere calorifico inferiore, ligniti che sono carboni non perfettamente fossilizzati e il torbe di ancor più recente formazione con potere calorifico via via inferiore. Nel 1709 Abraham Derby ideò un sistema di cottura del carbon fossile che lo rendeva più puro e quindi più utilizzabile (carbon cotto ,coke).I nuovi sistemi di lavorazione messi a punto da Henry Cort nel 1784 risolsero i residui problemi tecnici ,liberarono definitivamente le fonderie dal vincolo con le aree boschive, consentendo di utilizzare il coke in tutto il ciclo di lavorazione. Per l'Inghilterra ,che disponeva di grandi giacimenti di carbon fossile, per lo più ubicati in prossimità delle miniere di ferro, fu l'avvio di una crescita prodigiosa. Nacquero grandi complessi industriali che producevano barre e laminati di ferro in quantità prima inimmaginabili e di elevata quantità. L'Inghilterra ,che fino ad allora are stata importatrice di ferro (soprattutto della Svezia),divenne largamente autosufficiente e la sua produzione siderurgica e metallurgica consentì un rapido sviluppo dell'industria meccanica ,che produceva ad esempio, i telai e i filatoi meccanici impiegati nel ramo tessile al posto di quelli precedenti costruiti in legno ,che erano meno precisi e meno resistenti, incapaci di reggere all'impiego di più potenti forme di energia. Grazie a queste innovazioni, il ferro nelle sue varie forme di ghisa, acciaio, ferro dolce, diventò di largo uso e soppiantò il legno in molte applicazioni. La nuova età industriale, tuttavia, si pose davvero sotto il segno del carbone e del ferro, solo con l'avvento generalizzato delle costruzioni ferroviarie, intorno agli anni Trenta del XIX secolo.
Il Lavoro
Con la Rivoluzione industriale si modifica radicalmente il lavoro.
La classe operaia, come siamo abituati ad intenderla oggi, è il prodotto di un lungo processo che procede parallelamente all'affermazione dei metodi di produzione capitalistica. Nell'Inghilterra pre-industriale i lavoratori erano distinguibili a seconda del prestigio e dell'importanza economica, derivanti dalla loro qualifica. La diffusione del capitalismo industriale provocò, invece, il declino dei vecchi mestieri: pochissimi artigiani riuscirono ad emergere e la maggior parte perdette il suo lavoro a causa della concorrenza delle manifatture e fu costretta ad emigrare in città, entrando così a far parte di quella massa indistinta che costituiva la manodopera per le fabbriche. Macchine come la water-frame e la mule-jenny contribuirono a questo processo rendendo la produzione veloce, abbondante e sempre migliore, insomma decisamente superiore a quella che potevano offrire gli artigiani o i contadini, che, spesso, durante l'inverno si occupavano di attività commissionate loro da mercanti, che fornivano le materie prime e gli strumenti necessari e rivendevano il prodotto finito. Gli operai lavoravano per salari bassissimi, in ambienti insalubri, subendo orari massacranti: si afferma il regime dell'orologio che imponeva ritmi di lavoro prima mai utilizzati. In questo periodo si svilupparono addirittura delle vere e proprie teorie per la razionalizzazione del lavoro: la corrente conosciuta come Utilitarismo proponeva al capitalista come unico parametro di giudizio l'utile e lo autorizzava a uno sfruttamento sistematico dei dipendenti.I grandi industriali, per poter migliorare i profitti, decisero di far specializzare ciascun operaio in una singola fase del lavoro in modo da evitare dispersioni e perdite di tempo. In molti si opposero a questa tendenza cercando di mettere in luce come essa rovinasse inevitabilmente i lavoratori, privandolì della loro dignità. Il fatto che la manodopera fosse composta anche da donne e da bambini e vivesse nelle workhouses, miseri alloggi costruiti vicino ai centri produttivi, creò generazioni di persone degradate fisicamente e moralmente e senza una concezione propria della famiglia. E' però proprio in questo periodo che iniziarono le prime forme di protesta da parte dei lavoratori per ottenere qualche miglioramento alla loro condizione, ma il Governo si mosse più per soffocare questi moti che per risolvere i problemi che ne erano alla base.
Con l'avvento della rivoluzione industriale ed il mutare delle condizioni di lavoro, nasce la classe operaia, il cosiddetto proletariato urbano. Questo, privo di protezione ed esposto al rischio permanente della disoccupazione, dal momento che l'abbondante manodopera permetteva agli imprenditori di licenziare quando volessero, era sottoposto a condizioni di lavoro durissime. Le macchine, che non erano più alimentate da energia umana, ma da fonti esterne, non avevano teoricamente più bisogno di soste ed imponevano ritmi di lavoro costanti. Un operaio dunque compiva meccanicamente lo stesso lavoro per 12/ 16 ore al giorno, in pessime condizioni igieniche e con un salario appena sufficiente per vivere. Questi lavoratori erano dei veri e propri "schiavi", imprigionati in afose fabbriche alte otto piani fino a sera, senza un attimo di riposo salvo i tre quarti d'ora del pasto. Il fatto che il lavoro dell'operaio consistesse semplicemente nella prolungata esecuzione di facili e monotone operazioni e non servisse più essere dotati di forza fisica, allargava la possibilità di impiego anche a donne e bambini, pagati ancora meno degli uomini.. Fino alla metà del sec. XIX i tre quarti circa della manodopera impiegata nella fabbriche tessili inglesi erano donne e ragazzi fra i dieci e i diciotto anni. I dati seguenti si riferiscono agli operai dell'industria cotoniera inglese nel 1835:
Uomini |
Donne |
Giovani (13-18 anni) |
Bambini |
58.053 |
67.824 |
65.486 |
28.771 |
Tutta la vita dell'operaio veniva assorbita dalla fabbrica, dove il ritmo di lavoro era automaticamente imposto dalla macchina. Egli finiva col diventare uno strumento di produzione, asservito ad un meccanismo produttivo sul quale non poteva esercitare alcun controllo. Inoltre le terribili condizioni di vita portavano all'aumento del degrado e della criminalità nei tetri, malsani e sovraffollati centri industriali, dove l'assenza di servizi pubblici e di misure igieniche era quasi totale: si trattava di veri e propri agglomerati di case, sorte senza ordine, senza un piano preciso, senza il minimo rispetto per l'uomo e per la natura. Di solito intere famiglie abitavano in un'unica stanza, chiamata "cellar", senza finestre o con piccole prese d'aria. Nelle strade buie, fangose e malsane della Londra del XVIII sec., dove si conduceva una vita particolarmente squallida e misera, si diffondevano la delinquenza organizzata, il borseggio, la prostituzione, il gioco d'azzardo e l'alcoolismo, così come testimoniano molti scrittori ed artisti del periodo. Stanchi delle loro condizioni di vita gli operai ben si ribellarono, dando vita a varie forme di protesta.
La classe operaia, come siamo abituati ad intenderla oggi, è il prodotto di un lungo processo che procede parallelamente all'affermazione dei metodi di produzione capitalistica. Nell'Inghilterra pre-industriale i lavoratori erano distinguibili a seconda del prestigio e dell'importanza economica, derivanti dalla loro qualifica. La diffusione del capitalismo industriale provocò, invece, il declino dei vecchi mestieri: pochissimi artigiani riuscirono ad emergere e la maggior parte perdette il suo lavoro a causa della concorrenza delle manifatture e fu costretta ad emigrare in città, entrando così a far parte di quella massa indistinta che costituiva la manodopera per le fabbriche. Macchine come la water-frame e la mule-jenny contribuirono a questo processo rendendo la produzione veloce, abbondante e sempre migliore, insomma decisamente superiore a quella che potevano offrire gli artigiani o i contadini, che, spesso, durante l'inverno si occupavano di attività commissionate loro da mercanti, che fornivano le materie prime e gli strumenti necessari e rivendevano il prodotto finito. Gli operai lavoravano per salari bassissimi, in ambienti insalubri, subendo orari massacranti: si afferma il regime dell'orologio che imponeva ritmi di lavoro prima mai utilizzati. In questo periodo si svilupparono addirittura delle vere e proprie teorie per la razionalizzazione del lavoro: la corrente conosciuta come Utilitarismo proponeva al capitalista come unico parametro di giudizio l'utile e lo autorizzava a uno sfruttamento sistematico dei dipendenti. I grandi industriali, per poter migliorare i profitti, decisero di far specializzare ciascun operaio in una singola fase del lavoro in modo da evitare dispersioni e perdite di tempo. In molti si opposero a questa tendenza cercando di mettere in luce come essa rovinasse inevitabilmente i lavoratori, privandoli della loro dignità. Il fatto che la manodopera fosse composta anche da donne e da bambini e vivesse nelle workhouses, miseri alloggi costruiti vicino ai centri produttivi, creò generazioni di persone degradate fisicamente e moralmente e senza una concezione propria della famiglia. E' però proprio in questo periodo che iniziarono le prime forme di protesta da parte dei lavoratori per ottenere qualche miglioramento alla loro condizione, ma il Governo si mosse più per soffocare questi moti che per risolvere i problemi che ne erano alla base.
La Vita Degli Operai
La vita degli operai era completamente regolata in base ai ritmi della produzione: gli operai lavoravano per molte ore consecutive e disponevano di pochissime pause. Spesso erano costretti a mangiare mentre lavoravano per seguire le macchine che si trovavano in edifici malsani, poco areati e spesso poco illuminati. Inoltre non sempre i lavoratori vivevano nei pressi della fabbrica, benché si diffuse sempre più l'abitudine di costruire delle case intorno alle industrie in cui i salariati potessero dimorare.
La risposta ad un mercato ricettivo, capace di stimolare la produttività e pronto ad assorbire una maggiore quantità di manufatti, venne soprattutto dalle macchine. mentre queste ultime si imponevano nella produzione, il reperimento della manodopera restò difficoltoso. Esisteva tuttavia una riserva potenziale di forza-lavoro, costituita in primo luogo dai lavoratori agricoli occasionali, ma soprattutto dai poveri, dai vagabondi, dai ragazzi ospitati in gran numero nelle workhouses. La presenza di ragazzi nelle fabbriche fu una costante del processo di industrializzazione, con effetti disastrosi per la società sul lungo periodo: individui disfatti sul piano fisico (malformazioni, malattie professionali, sviluppo stentato) e sul piano morale (mancata istruzione, lontananza dalla famiglia).
Il lavoro di fabbrica è un lavoro meccanizzato scandito secondo ritmi regolari, monotoni e uniformi, misurati su un tempo astratto, che introduce una dimensione diversa dal passato, quando il ciclo delle stagioni e del tempo metereologico, la molteplicità delle funzioni svolte da ogni lavorante, l'assenza di una precisa disciplina del lavoro, davano all'attività dei singoli un'impronta diversa, più individualizzata. Con la meccanizzazione si introduce uno stretto rapporto tra tempo e lavoro, una regolarità dei ritmi uguale per tutti, una disciplina di fabbrica su cui sovrasta l'orologio. A questa disciplina la classe operaia venne educata con difficoltà, attraverso regolamenti, norme restrittive, controlli e punizioni.
La Protesta Operaia
Molti lavoratori, prima indipendenti, opposero una ferma resistenza alle innovazioni tecnologiche e al tentativo da parte dei capitalisti di ridurli al semplice ruolo di comuni salariati che spesso, invece di occuparsi dell'intera produzione di un oggetto, si limitavano a ripetere fino allo sfinimento la stessa operazione. Lo sfruttamento economico e la repressione politica impedirono ogni tipo di protesta legale spingendo così un gran numero di lavoratori ad agire clandestinamente e con violenza: tra il 1811 e il 1812 alcuni lavoratori sempre più declassati ed immiseriti diedero vita a molti episodi di terrorismo economico: il luddismo. L'origine del movimento veniva fatta risalire a un mitico Ned Ludd, che nel 1779 diede il via al sabotaggio della produzione meccanizzata rompendo un telaio. La grande ondata di agitazioni luddiste cessò con arresti e processi di massa terminati con ben 13 condanne a morte. Per scoraggiare la formazione di associazioni combattive e di opposizione una legge del 1793 legittimò unicamente le cosiddette Friendly Societies, che non avevano finalità di lotta, ma solo di mutuo soccorso contro la disoccupazione e gli infortuni, grazie ai contributi versati dai soci.
Urbanizzazione E Vita Nelle Campagne
Il XVIII-XIX secolo furono testimoni di grandi cambiamenti, che rivoluzionarono la società e l'economia inglese . La rivoluzione industriale portò nuovi condizioni di vita sia nelle zone urbanizzate sia nelle regioni rurali. L'agricoltura è sempre stata alla lunga il più importante settore economico in Inghilterra nel diciottesimo secolo ma i cambiamenti che avvennero a quel tempo nelle tecniche agricole e nei rapporti sociali tra la popolazione contadina crearono le condizioni senza le quali la rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile. Questi cambiamenti ebbero inizio prima del 1700 e continuarono fin dopo il 1800, dove accaddero tanti altri passi decisivi. In alcune parti della campagna furono create grandi fattorie sin dai tempi dei Tudor, così quelle fattorie, che si basavano principalmente sull'allevamento ovino, divennero sempre più fonte di lucro. Ma in molte aree il medioevale sistema di strisce di campo liberi (medioeval freefield strip system of farming) era ancora praticato.
Dopo la grave depressione del secolo XVII cominciarono a manifestarsi in Europa, all'incirca dagli anni 1720-1730, i primi concreti sintomi di uno sviluppo produttivo e quindi di una ripresa economica, che, pur tra rilevanti oscillazioni e profondi squilibri, assumerà forme sempre più ampie e decise. Il fenomeno più significativo fu l'incremento demografico, che nel corso del secolo portò la popolazione dai circa 118 milioni ai 187 con un ritmo di crescita particolarmente accelerato dopo il 1750. Lo determinarono diversi fattori, trai quali - insieme ad un certo processo in campo sanitario - un miglioramento dell'alimentazione con conseguente aumento delle capacità di resistenze alle fatiche e alle malattie, una sensibile diminuzione dalle carestie e delle epidemie (anche se attorno al 1760 una carestia piuttosto grave colpì Italia, Francia, Spagna ed Inghilterra ), l'abbassamento del tasso di mortalità e l'aumento delle natalità, nonché la cessazione delle guerre lunghe e sanguinose.
L'incremento demografico, rilevante soprattutto nell'Europa occidentale, in Austria e in Prussia, ma assai più contenuto nell'Europa orientale dove le condizioni generali di vita si erano ormai avviate verso una fase di staticità se non addirittura di involuzione, agì a sua volta da forte stimolo su tutta l'attività economica, determinando, come mai era accaduto in passato, un intenso sviluppo dei settori produttivi e moltiplicando tra l'altro la domanda di beni alimentari al punto da procurare un reale sconvolgimento in tutta la vita delle campagne. L'aumento della popolazione spinse infatti ad uno sfruttamento intensivo dei campi, portò alla ricerca di nuove terre da coltivare, sollecitò l'uso di più razionali tecniche agricole unitamente all'avvio di nuove colture
Il progresso e l'espansione del settore agricolo finì per incoraggiare un processo di accaparramento dei terreni destinati agli usi comuni. Un ristretto gruppo di capitalisti e grossi proprietari riuscì a concentrare nelle proprie mani estesi latifondi e quindi grandi possibilità di ricchezza, a scapito però di molti piccoli proprietari terrieri e contadini tra i quali si manifestò presto un diffuso pauperismo, Ciò accade in particolare in Inghilterra, dove il fenomeno si era manifestato fin dal tempo della "gloriosa rivoluzione" (1688) dando l'avvio ad una rilevante trasformazione delle zone destinate alla raccolta della legna e al pascolo gratuito (openfields: campi aperti) in possessi privati e recintati (enclosures), subito sottoposti dai proprietari ad un intenso sfruttamento produttivo in virtù di una serie di leggi specifiche - gli Enclosures Acts - che tendevano a sviluppare e potenziare il diritto di proprietà.
Enclosures
La chiusura dei cosiddetti open fileds (campi adibiti a libero sfruttamento) fu la principale conseguenza della nuova riforma agricola inglese, volta a riproporre una sorta di regime feudale. I latifondi, infatti, furono consegnati a nobili che, in tal modo, monopolizzarono l'intero settore agricolo. E furono proprio gli Enclosures Acts a proporre e salvaguardare questa nuova struttura organizzata, volta a potenziare il diritto di proprietà. Ma, sebbene la produzione agricola ottenne un notevole beneficio da tale riforma, essa costrinse molti contadini inglesi ad abbandonare i campi e a recarsi nelle città in cerca di lavoro.La vita nei grandi centri urbani, però, non era certo migliorata..
Il passaggio dalla campagna alla città, dall'iniziale speranza alla delusione nei confronti della moderna società volta esclusivamente alla produzione e al guadagno, le campagne desolate e il decadimento della vita rurale ispirarono molti scrittori del tempo. E' il caso di Goldsmith (1770) in The desert village che descrisse in modo molto crudo e malinconico le regioni agricole ormai abbandonate . Un secolo più tardi Dickens sottolineava invece come la vita del cittadino inglese non fosse migliorata, anzi fosse quanto mai monotona. In Hard times (1845) descrive una tipica città inglese del nord industrializzato: Coketown.
Aumento Demografico
Durante il diciottesimo secolo avvenne un'importante diminuzione della mortalità e un notevole aumento delle nascite e in tal modo la popolazione crebbe in modo vertiginoso. Gli storici non sono sicuri sulle reali cause di ciò che accadde. Alcuni pensano che il calo del tasso di mortalità fu resa possibile dalla scomparsa dei topi portatori di malattie quali la peste, altri ritengono che sia stato causato dai miglioramenti delle condizioni igieniche, da migliori materiali da costruzione e dallo sviluppo delle conoscenze mediche. Ma la maggior parte degli storici sono concordi nell'affermare che l' aumento della popolazione non sarebbe potuta avvenire in Inghilterra se le fattorie non avrebbero prodotto più cibo.
Prima del diciottesimo secolo molti villaggi e piccole cittadine produssero tutto il cibo di cui ebbero bisogno ma ora che alcune città stavano diventando sempre più grandi, divenne lucroso per gli abitanti dei villaggi aumentare la produzione e vendere le merci in sovrabbondanza alle città. La possibilità di guadagno attraverso il commercio del cibo inutilizzato incoraggiò alcuni grandi proprietari terrieri a sperimentare nuovi metodi di agricoltura e di raccolto. Iniziarono a coltivare più trifogli e rape che furono utilizzati come foraggio per pecore e per il bestiame, e che allo stesso tempo nutrivano il terreno. Perciò non persisteva più la necessità di lasciare alcun appezzamento inutilizzato o uccidere l' intero bestiame in inverno.
Lord Townsend, conosciuto come "Rapa Townsend" per i suoi enormi campi coltivati a rape usava quello che era conosciuto come la rotazione a quattro corsi di raccolto di Norfolk : il primo anno il campo dovrebbe essere coltivato con trifogli, il secondo con frumento , il terzo con rape e il quarto con orzo. Questo sistema dava ottimi raccolti. Jethro Tull migliorò l' aratro cosicché potesse scavare più in profondità e inventò il trapano per semenze, una macchina per seminare in fila in modo più uniforme. Il nuovo e miglior foraggio e nuovi metodi di allevamento di animali portò a bestiami più grandi e più in salute. Nel 1795 il numero medio di pecore vendute nel mercato di Smithfield a Londra era quasi triplicato dal 1710. Tutti questi cambiamenti ebbero una cosa in comune: potevano essere portati a termine solo con considerevoli capitali. Erano completamente incompatibili con il primitivo sistema dei campi liberi (open-field system), che non era adatto per l' uso di macchinari. I campi dovevano esseri circoscritti da recinti o da siepi. Ma le recinzioni enclosures non erano nuove. Ma mentre le recinzioni del tempo dei Tudor erano state fatte con l' obbiettivo di trasformare la terra coltivata in pascolo per le pecore, ora trasformavano i campi aperti in grandi e compatte fattorie nelle quali i nuovi ritrovati scientifici potevano essere effettuati con maggior profitto.
Non era difficile per il nobile, lui stesso un membro del Parlamento o amico intimo di un membro del Parlamento, chiedere al Parlamento di far passare Enclosure Acts. Questi permettevano alla nobiltà e ai pochi ricchi proprietari terrieri di racchiudere la maggior parte delle terre del villaggio in campi privati (private farms). Molti contadini non potevano permettersi di recintare la loro porzione di terra, così dovettero venderla ai grandi proprietari terrieri per una somma irrisoria. Altri contadini che non potevano dimostrare che avevano la precedenza sulle terre, perdettero il diritto su una porzione della terra che avevano coltivato per anni, così perdettero tutto. Vagavano per cercare lavoro, ma ce n' erano tanti in queste condizioni, così il salario era molto basso.
Urbanesimo
Il rapido incremento demografico, non trovando adeguato sfogo in impegni di lavoro nelle campagne, dove al contrario la politica delle "enclosures " aveva finito per allontanare i contadini, mutò radicalmente le precedenti forme di aggregazione sociale, spopolando le campagne e popolando le città: si verificò così il fenomeno dell'urbanesimo.
Di fronte alla prospettiva della disoccupazione e della povertà, ai contadini non restava infatti altro che cercare la soluzione dei propri problemi economici nell'ambito della nuova organizzazione industriale: essi, pertanto, si riversarono nelle zone dove più numerose sorgevano le fabbriche nella speranza, spesso illusoria, di trovare lavoro. Sotto tale aspetto la rivoluzione industriale fu nello stesso tempo effetto e causa della disgregazione del tessuto sociale rurale ormai dominato da pochi grandi proprietari, circondati solo da uno scarso numero di fittavoli, mezzadri e coloni. Anche la vita delle città mutò radicalmente dal momento che nelle capitali e nelle metropoli industrializzate si verificò in un breve giro di anni un fortissimo aumento della popolazione. Londra alla fine del Settecento raggiungeva le 900.000 unità, seguita da Parigi con quasi 600.000. Napoli, la terza città europea, passava nel giro di un secolo da meno di 200.000 abitanti a ben 400.000. Berlino, a sua volta, triplicava addirittura la sua popolazione, né Mosca e Varsavia erano da meno. Non meraviglia dunque che - mentre le città dovevano dare vita ad un impianto urbanistico ampiamente ristrutturato - le amministrazioni si trovassero a dover affrontare compiti difficilissimi, come quello dell'approvvigionamento delle derrate alimentari in quantitativi tali che spesso le campagne circostanti non erano in condizione di fornire, neppure nei periodi di massima resa. A causa di una penuria di alimenti pressoché generalizzata, si determinavano di quando in quando periodi di gravissima crisi come quello verificatosi in tutta l'Italia centro-meridionale durante le carestie del 1763-64, allorché in un anno nella sola Napoli morirono d'inedia ben 40.000.
Fonte: http://www.atuttascuola.it/allegati/storia/Rivoluzione.doc
Rivoluzione Autore Elena Gajeri - Marisa Iandolo
Rivoluzione industriale
1700
La prima rivoluzione industriale
Paesaggio industriale dei primi ottocento
Nella seconda metà del Settecento in Inghilterra avviene una trasformazione molto importante. Gli inventori costruiscono delle macchine a vapore e alcune persone iniziano ad usare queste macchine per lavorare il cotone. Le macchine fanno in poco tempo il lavoro di molte persone. Le macchine portano a un grande sviluppo dell'industria. Queste nuove macchine cambiano il modo di lavorare e di vivere. Per questo motivo, questi cambiamenti sono chiamati rivoluzione industriale.
La rivoluzione industriale porta profondi cambiamenti
- nelle città
- nelle campagne
- nella società
- nelle attività produttive.
Il lavoro a domicilio
Prima della rivoluzione industriale, le famiglie contadine facevano oggetti nelle loro case, come ad esempio vestiti o strumenti per la casa.
Nel settecento erano molte le famiglie contadine che costruivano oggetti in casa, soprattutto i vestiti. I mercanti per guadagnare più soldi davano alle famiglie contadine i telai per tessere i tessuti e le materie prime (ad esempio lana e cotone). I contadini facevano molti vestiti e i mercanti li compravano a prezzi molto bassi. Poi vendevano questi vestiti a prezzi molto più alti nelle città. In questo modo i mercanti guadagnavano molti soldi.
Le fabbriche
La fabbrica moderna è il risultato della trasformazione dei sistemi artigianali con cui gli uomini per secoli avevano prodotto oggetti strumenti e beni di consumo.
I nuovi macchinari, molto più ingombranti di quelli precedenti, non trovano più posto nelle piccole case dei contadini, ma vengono concentrati in stabilimenti sempre più grandi; questi stabilimenti, all’inizio, si trovavano nelle campagne. Le prime fabbriche usavano in fatti l’energia idraulica dei fiumi. Dopo l'invenzione della macchina a vapore, le fabbriche si trasferiscono in città, vicino alle grandi vie di comunicazione e ai centri di smercio. In città si concentra così anche la manodopera necessaria per far funzionare le fabbriche: gli operai.
Ricorda:
La rivoluzione agraria aveva lasciato molti contadini senza lavoro. Questi contadini abbandonano quindi le campagne e cercano un nuovo lavoro nelle fabbriche.
IL LAVORO NELLE FABBRICHE
Alla fine del ‘700 in Inghilterra molti contadini sono costretti ad abbandonare il lavoro nei campi e andare in città a lavorare nelle fabbriche.
Nelle fabbriche lavorano molte persone tutte insieme. Il lavoro degli operai è molto pesante: gli operai lavorano 15/16 ore al giorno e sono pagati molto poco. Gli operai possono riposare solo la domenica, non hanno vacanze e se sono ammalati non sono pagati. Le condizioni di lavoro sono molto difficili.
Per questo gli operai cominciano presto a mettersi insieme in associazioni per migliorare la loro vita: gli operai chiedono orari di lavoro più corti e condizioni di lavoro migliori, più sicurezza ed un pagamento migliore.
Prima della rivoluzione industriale
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Dopo la rivoluzione industriale |
Tutti i lavori vengono fatti con la forza dell’uomo |
Molti lavori vengono fatti dalle macchine |
Le botteghe degli artigiani possono essere sia in campagna che in città |
Le fabbriche sono vicine alle città |
Gli artigiani lavorano nella loro bottega: c’è un maestro più esperto che insegna il lavoro da fare agli apprendisti che imparano il lavoro. Ogni artigiano sa fare il suo lavoro dall’inizio alla fine. |
Nelle fabbriche lavorano tantissime persone. |
Nelle fabbriche lavorano anche donne e bambini. Le donne e i bambini sono pagati meno degli uomini.
I bambini nelle fabbriche
Nelle fabbriche i bambini cominciano a lavorare all’età di 6-7 anni. Questi bambini sono utilizzati come “attaccafili”, cioè devono aggiustare i fili di cotone, pulire i pavimenti o pulire le macchine.
I bambini iniziano il lavoro alle 5 o alle 6 di mattina e escono alle 7/8 di sera.
Durante il giorno i bambini e gli altri operai stanno chiusi nelle fabbriche dove c’è una temperatura di 26-30 gradi. Nelle fabbriche lavorano tante persone in uno spazio molto piccolo, con poca aria e finestre piccole. Molti bambini si ammalano o si feriscono (=si fanno male) con le macchine.
C’è solo un intervallo di mezz’ora per la colazione e un altro intervallo di mezz’ora per il pranzo. Se i bambini arrivano alla fabbrica in ritardo o fanno qualche sbaglio vengono picchiati dai sorveglianti(=persone che comandano gli operai e controllano il loro lavoro).
(testo tratto da A. Londrillo: “Viaggio nella storia” ed. Mursia, Milano 1993 III vol., pag.36)
Ora di inizio del lavoro |
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Ora di termine del lavoro |
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Ore totali di lavoro |
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I bambini iniziano a lavorare all’età di…… |
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Temperatura nelle fabbriche |
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Le città
La rivoluzione industriale trasforma le città. Molti villaggi si trasformano in vere e proprie città industriali. Ad esempio a metà del ‘700, Manchester era un piccolo centro agricolo, agli inizi dell'800 è ormai una città di 142.000 abitanti.
Molte persone vanno a vivere in città per lavorare nelle fabbriche. Le città diventano più grandi e occupano la campagna intorno alle città.
Muratori e piccoli impresari diventano ricchi perché costruiscono nuovi quartieri attorno alle fabbriche e alle periferie delle grandi città.
Le città si popolano a velocità incredibile, a tal punto che diventano in molti casi inabitabili, poichè si aggravano i problemi già presenti prima della rivoluzione industriale: mancanza dei servizi elementari (acquedotti fogne e ospedali), scarsa illuminazione, insufficiente pulizia delle strade.
Nelle città nascono i quartieri dei ricchi e i quartieri degli operai.
Nei quartieri dei ricchi ci sono banche, negozi, parchi e giardini. I ricchi hanno delle belle case con tante stanze: una sala grande, la cucina, la camera da letto e il bagno. Le case dei ricchi hanno la luce a gas e l’acqua.
I quartieri degli operai sono vicini alle fabbriche. Le case degli operai sono piccole e tutte uguali. Nei quartieri degli operai si vive male:
- il fumo delle fabbriche non fa respirare bene
- non c’è luce
- non c’è il riscaldamento
- non c’è il bagno
- non c’è l’acqua
- non ci sono le fogne
- tante famiglie vivono in una sola stanza
Queste condizioni di vita fanno ammalare e morire molte persone, soprattutto i bambini.
La città industriale inglese di Scheffield in un dipinto di William Ibbit.
Il nuovo sistema
economico e produttivo
Con la rivoluzione industriale sorgono due nuove figure, quella dell'operaio e quella dell'imprenditore capitalista.
Gli imprenditori capitalisti di solito erano stati mercanti o grandi proprietari terrieri e dalle attività mercantili o agrarie avevano ricavato il capitale, cioè le ricchezze necessarie per costruire le fabbriche.
Come mostra il disegno, con la produzione industriale si ottengono due risultati: - innanzitutto materie prime, macchinari, lavoro umano vengono trasformati in prodotti da commerciare;
- inoltre attraverso la vendita l'imprenditore capitalista realizza più denaro di quello che ha investito all'inizio del processo produttivo: aumenta il suo capitale e ottiene perciò un profitto. Egli può quindi comprare altre materie prime e nuovi macchinari, assumere più operai per produrre più prodotti: così il suo capitale aumenta sempre di più.
La società
La rivoluzione industriale porta grandi cambiamenti anche nella società.
- Innanzitutto porta a un forte sviluppo della popolazione, cioè a un grande aumento della popolazione;
- in secondo luogo molte persone vanno a vivere in città: urbanizzazione.
- Inoltre la società industriale porta alla nascita di due nuove classi sociali: i capitalisti industriali e il proletariato.
Il proletariato
Le condizioni di vita degli operai in città sono assai più dure di quelle dei contadini delle campagne. I salari sono talmente bassi che entrambi i genitori sono costretti a lavorare per sopravvivere. Anzi mettono al mondo molti figli, affinchè, appena possibile, lavorino anch'essi. Gli operai poveri si chiamano proletari, perché la loro unica ricchezza è la prole, cioè i figli.
I bambini, abbandonati a se stessi, non ricevono nessuna istruzione e a sei anni vengono assunti in fabbrica. Molte ragazze si prostituiscono per alleviare la miseria delle famiglie.
Questa stampa di DORE' rappresenta la lettura
della Bibbia in un ricovero notturno per poveri.
La borghesia
La borghesia divenne la classe più importante dell'intera società nei diversi paesi europei e il loro modo di vivere era simile ovunque. Dire borghese significava dire denaro: si diventava borghese grazie alla ricchezza, indipendentemente dall'origine che poteva essere anche molto umile.
Non tutti i borghesi avevano gli stessi mezzi finanziari: i più ricchi erano i banchieri e gli industriali (alta borghesia); venivano poi i professionisti, che con i magistrati e i professori costituivano la media borghesia; infine piccoli commercianti e impiegati, che spesso riuscivano a stento a condurre una vita decorosa, formavano la piccola borghesia.
Famiglia borghese ne "Il balcone" di E. Manet
Fonte: http://www.cde-pc.it/documenti/inter/testi/rivoluzione%20industriale.doc
Rivoluzione industriale
LA BELLE EPOQUE
QUADRO GENERALE:
La Belle époque è un periodo storico, culturale e artistico che va dalla fine dell'Ottocento e si conclude una trentina d'anni dopo con lo scoppio della prima guerra mondiale.
L'espressione Belle Époque (L'epoca bella, I bei tempi) nacque in Francia prima della prima guerra mondiale per definire il periodo immediatamente anteriore (1880- 1914). Essa nasce in parte da una realtà storica (fu davvero un periodo di sviluppo, spensieratezza, fede nel progresso) e in parte da un sentimento di nostalgia.
In effetti questo periodo è caratterizzato da importanti riforme, scoperte, innovazioni, cambiamenti sia in campo socio- politico- economico che artistico, letterario, scientifico.
Parigi volle celebrare l’inizio del xx secolo con l’Esposizione Universale del 1900, una gigantesca fiera che accoglieva le meraviglie tecnologiche create dalla rivoluzione industriale e tutti i prodotti esotici che un commercio ormai di dimensioni mondiali era in grado di far affluire dai più remoti angoli della terra. Per un anno Parigi accolse un enorme massa si persone proveniente da tutti i paesi del mondo, facendo sfoggio dei suoi larghi boulevards, di quella meraviglia della tecnica che è la tour Eiffel, dell’atmosfera leggera e affascinante di Montmarte con tutti i suoi artisti, dei locali notturni in cui imperversava il can can, un nuovo ballo riservato al pubblico maschile, del maestoso teatro dell’ Operà che offriva opere liriche ed operette per tutti i gusti.
L’Europa era in pace da circa 30 anni. Le guerre, se c ’erano, erano lontane: in Cina, in Africa, alle pendici dell ’Himalaya.
La Germania, sotto la guida di Bismark, si era fatta garante di una politica di equilibrio internazionale per assicurare alla nazione tedesca il progresso e l’industrializzazione.
Questa pace era anche stata solennizzata dall’ iniziativa di De Couberten che aveva convinto le nazioni a far rinascere le antiche olimpiadi.
Alle nazioni europee, ormai, il proprio territorio nazionale non bastava più e, dal momento che era impensabile espandersi a danno dei propri vicini, tutte desideravano diventare “potenze imperiali”.
L ’Inghilterra e, anche se in misura minore, la Francia, il Belgio e la Spagna, ritenevano che un impero coloniale fruttava enormi quantità di denaro, dava lustro all ’ esercito e conferiva prestigio alla monarchia.
Germania e Italia erano quindi affannosamente alla ricerca dei pochi territori rimasti liberi in Africa e tutti si azzannavano per conservare o estendere i loro possedimenti.
Del resto ciò era considerato un ’attività nobilissima, vista la generale convinzione che Africani e Asiatici fossero “razze inferiori” alle quali il dominio europeo poteva solo giovare.
Tutti, borghesi e operai, condividevano una incontrollabile fiducia nel progresso.
Per i borghesi esso si identificava con i traguardi raggiunti dalla tecnica dalla scienza e soprattutto dalla medicina, che stava vincendo malattie mortali come il colera e le febbri puerpelari.
Per i proletari il progresso era altrettanto a portata di mano, perché essi erano convinti che , pur attraverso grandi sacrifici, le loro durissime lotte sociali avrebbero inevitabilmente determinato il trionfo del socialismo e poi del comunismo. Al termine delle lotte li aspettava una società senza classi, in cui sarebbe stata abolita la proprietà privata e tutti avrebbero condiviso i vantaggi delle nuove scoperte.
Nella Belle Epoque, tra il 1900 e il 1914, si stavano deteriorando i sentimenti di collaborazione tra i popoli e di solidarietà internazionale che avevano ispirato l ‘età del risorgimento.
La corsa al primato commerciale e industriale, la gara per la conquista delle colonie, lo stesso orgoglio per il progresso raggiunto stavano creando un ondata di nazionalismo che aveva come obbiettivo la guerra tra le nazioni.
L ’Europa dei nazionalismi si divise così in due schieramenti opposti: Germania , Austria e Italia unite dalla Triplice Alleanza; Gran Bretagna, Francia e Russia legate alla Triplice Intesa .
IL NUOVO SECOLO E LA SOCIETA’ DI MASSA
-NELLA BELLE EPOQUE LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE PROSEGUE UTILIZZANDO TRE FONTI DI ENERGIA
All ’inizio del Novecento la Seconda rivoluzione industriale non era affatto finita, anzi, era in pieno svolgimento.
Nuove invenzioni si aggiungevano a quelle degli ultimi venti anni dall’ Ottocento, mentre quelle vecchie venivano perfezionate.
I centri economici più importanti si stavano però spostando sul piano geografico, dove c ’ era abbondanza di materia prime e dove era più sviluppata e attiva la ricerca .
Mentre cominciava a declinare il primato dell’ Inghilterra, che non rinnovava i suoi impianti industriali ormai invecchiati e aveva perso lo slancio inventivo iniziale, emergevano in Europa la Germania e oltreoceano gli Stati Uniti, che diventarono la prima potenza industriale del mondo. Altre nazioni , come l ’ Italia ,la Francia , il Belgio, l ’Austria e la Russia seguivano ad una certa distanza.
La Germania deteneva la supremazia della chimica definita “la regina delle scienze” per la sua capacità di rinnovare e trasformare i settori diversi dell’ industria (dalla metallurgica alla farmaceutica) e poteva contare sull ‘ energia del carbone (da cui sfruttava sia giacimenti in terra tedesca sia quelli ,anch’essi ricchissimi, delle due regioni strappate alla Francia nel 1870, dopo la vittoria della guerra franco- prussiana ,l ’Alsazia e la Lorena ).
Gli Stati uniti mostravano una velocità e un senso pratico nell ‘applicare e diffondere tutte le invenzioni europee e le numerose invenzioni americane. Essi erano riusciti a sfruttare in modo intensivo il petrolio, sia come nuova ed importante fonte di energia sia per l’industria che per i motori, sia come base per la produzione di vernici, colle, gomme, solventi, ecc.
Ulteriore importante e rivoluzionaria fonte di energia era inoltre quella elettrica che, grazie a cascate naturali ed artificiali che alimentavano enormi centrali copriva il fabbisogno sia per uso civile che per uso industriale.
In soli quarant ’ anni le ex colonie inglesi si erano trasformate in una società ultra moderna, grazie ad un insieme di fattori tutti positivi:
- possiede tutti i climi e tutti gli ambienti della Terra,
- territorio sconfinato,
- grande disponibilità di materie prime,
- efficienza di trasporti e vie di comunicazione.
Allo sviluppo economico si affiancò inoltre uno straordinario incremento della popolazione che, grazie all ‘ arrivo di milioni di immigrati, in particolare europei, era salita dai 23 milioni di abitanti del 1850, ai 75 milioni di abitanti del 1900.
-CLASSI SOCIALI
La rivoluzione industriale e la diffusione delle nuove attività in Europa produssero profonde trasformazioni nella società europea.
- i “ricchissimi”: vivevano nel lusso e godevano di ogni privilegio. I loro palazzi custodivano tesori d ’arte degni dei più grandi musei, come dimostravano le residenze viennesi e parigine dei grandi finanzieri Rothschild. Alcuni di essi, soprattutto in America, guadagnavano talmente tanto e così in fretta da decidere di regalare il proprio denaro destinandolo a costose opere umanitarie e sociali, come fecero per esempio Andrew Carnegie e John Rockefeller, rispettivamente signori dell ’acciaio e del petrolio. Vi erano inoltre molti industriali europei che promuovevano lo sviluppo delle arti, della letteratura e della scienza, finanziando giovani studiosi e artisti promettenti.
- la borghesia: questa classe sociale, nata durante la rivoluzione industriale, era composta da persone abili e prive di scrupoli negli affari, che spesso provenivano dalle categorie degli artigiani o dei piccoli proprietari terrieri. Se in principio vi era una netta differenza tra la borghesia industriale e la tradizionale aristocrazia, nel corso del secolo la separazione tra le due classi sociali scomparve, e sempre prevalse di più la nuova borghesia, con i suoi valori di libertà e di intraprendenza economica e con il suo stile di vita tipicamente urbano.
Questa era formata da imprenditori, grandi commercianti e banchieri.
Durante la Belle epoque la borghesia aveva messo a punto uno stile di vita estremamente confortevole anche dal punto di vista materiale.
L ’importanza delle famiglie borghesi dipendeva dal quartiere in cui sorgevano le loro case, dal piano in cui si trovava il loro appartamento, dalle dimensioni dell ‘ abitazione, dal numero di domestici, dalla ricchezza dell ‘abbigliamento , dalla qualità e intensità dei rapporti sociali.
In base a questi elementi la borghesia si divideva in:
- “GRANDE BORGHESIA”: formata dagli industriali e dai banchieri, viveva in sontuose ville o prestigiosi palazzi patrizi.
- “MEDIA BORGHESIA”: le famiglie dei professionisti , degli uomini d ‘affari, degli alti funzionari statali. Abitava in belle case, immerse nel verde, nelle zone residenziali del centro.
-“PICCOLA BORGHESIA”: formata invece da piccoli commercianti, piccoli artigiani e impiegati.
Affollava i sobborghi punteggiati da piccole case con giardinetto.
Per condurre una vita adagia non era necessario appartenere alla classe dei “ricchissimi”, bastava far parte agli strati medio- alti della classe borghese; ciò garantiva almeno tre domestici fissi e una governante, due vacanze l ‘anno in località alla moda, la possibilità di alloggiare in grandi alberghi, il poter coltivare hobbies, il circondarsi di begli oggetti, di praticare sport esclusivi come il golf e il tennis e ,naturalmente, di divertirsi.
Le grandi capitali offrivano teatri e sale da concerto, raffinati ristoranti ed eleganti caffè in cui chiacchierare ascoltando musica e gustando prelibatezze.
La borghesia era convinta che la società industriale costituita negli ultimi quarant‘anni rappresentasse la forma permanente del mondo.
- la piccola borghesia impiegatizia: comprendeva strati sociali e professionali diversi, accomunati solo dal fatto di vivere esclusivamente, o quasi, della propria occupazione. Era costituita da impiegati, commessi e tecnici.
Questa nuova classe sociale è nata tra la fine del XIX e l ‘inizio del XX secolo poiché lo sviluppo industriale e tecnologico aveva creato nuovi posti di lavoro.
Le persone appartenenti a questa classe erano definite i “colletti bianchi”, così definiti per distinguerli dai “colletti blu” degli operai.
Con la crescita delle amministrazioni sociali e la gestione sempre più complessa dell ‘industria il loro numero aumentò.
Percepivano uno stipendio, non molto diverso dal salario degli operai, non svolgevano attività manuali, avevano un alto livello d ‘istruzione e potevano modificare la propria condizione sociale ed economica (mobilità sociale).
Per queste ragioni la piccola borghesia impiegatizia rifiutava ogni contatto con il mondo operaio, viceversa, tendeva ad imitarne lo stile di vita, i comportamenti e l ‘abbigliamento.
- il proletariato industriale: questa classe sociale, in particolar modo quello specializzato, in questo periodo cominciò a godere di qualche vantaggio poiché gli imprenditori compresero che, se si voleva guadagnare di più, bisognava vendere e produrre di più. Di conseguenza masse sempre più estese dovevano avere a disposizione più denaro per comprare; gli industriali , in questo modo, accettarono di concedere aumenti dei salari.
Anche le condizioni di lavoro migliorarono: la giornata lavorativa aveva cominciato ad accorciarsi; il lavoro minorile era diminuito, anche se non dappertutto; l ‘occupazione era divenuta più stabile.
Gli operai fondarono inoltre con i propri risparmio cooperative edilizie che fornivano alloggi a prezzi molto più bassi di quelli del mercato.
Tutte queste agevolazioni si tradussero in un tenore di vita più alto: sulle tavole delle famiglie operaie comparvero per la prima volta con una certa regolarità uova, carne, latte, burro, zucchero e di tanto in tanto anche il pesce, il caffè e la cioccolata. Fu inoltre possibile vestirsi in modo più decoroso e permettersi piacevoli divertimenti domenicali fuori città.
A permettere questo tenore di vita contribuiva il lavoro domestico della donna, in questo modo la casalinga assicurava un attenta gestione economica, permettendo di mettere da parte piccoli risparmi, senza dover rinunciare a mangiare e vestirsi meglio.
NASCE LA “SOCIET DEI CONSUMATORI”.
Gli oggetti prodotti dalla seconda rivoluzione industriale ebbero la caratteristica di entrare nelle case e di trasformare la vita quotidiana.
Nel campo dei prodotti consumati dalle famiglie, infatti, la prima rivoluzione industriale aveva migliorato il generale tenore di vita della popolazione sotto due soli aspetti: l ‘aumento della produzione agricola e le innovazioni nella produzione tessile.
Aveva cioè immesso sul mercato a condizioni d ‘acquisto più favorevoli generi alimentari e tessuti, che sono seni di consumo immediato o beni semidurevoli.
La Seconda rivoluzione industriale, invece, cominciò a offrire beni di consumo durevoli come il telefono, il grammofono, la macchina fotografica, l ‘automobile, la bicicletta, la macchina da cucire, la macchina da scrivere….
Questi elementi ,oltre che migliorare le condizioni di vita delle persone, determinarono la nascita di una nuova dimensione dell ’esistenza :il tempio libero.
Il pubblico rispose a questa nuova possibilità di vita manifestando il desiderio di possederli e dando luogo a una società di consumatori di cui industriali e commercianti dovevano semplicemente assecondare la spontanea propensione dell ‘acquisto.
I fattori che avevano spinto gli industriali a moltiplicare la produzione di beni di consumo erano molteplici e uno legato all ’altro:
- una tecnologia in rapido sviluppo, strettamente collegata all ’industria e alla sua espansione;
- una crescita demografica senza precedenti, alla quale si accompagnò un ‘ imponente urbanizzazione;
- un grande sviluppo della classe impiegatizia che, unito a un significativo aumento del reddito pro capite, favorì la nascita di clienti anche fra i ceti meno privilegiati;
- un dominio coloniale vastissimo dove l ‘industria aveva creato nuovi marcati interamente controllati dall’Occidente.
Gli Stati Uniti furono i primi a soddisfare questo desiderio provvedendo rapidamente a migliorare le tecniche di distribuzione.
Nei maggiori centri urbani impiantarono grandi magazzini in cui si poteva trovare di tutto, dalla spilla alla balia all ‘automobile; i centri più piccoli e le zone rurali furono raggiunti attraverso la vendita per corrispondenza; inoltre, per consentire l ’acquisto alle fasce meno abbienti, furono escogitate tutte le possibili forme di pagamento rateale, che indebitarono le famiglie ma, contemporaneamente, resero accessibile a chi aveva un reddito medio- basso una quantità prima impensabile di prodotti costosi.
Alcune di queste innovazioni furono introdotte rapidamente anche in Europa.
La produzione non era più diretta a un ristretto pubblico di ricchi e di benestanti ma alla società di massa , così denominata per la possibilità di libero accesso ai beni di consumo da parte di tutte le categorie sociali della popolazione.
LA PUBBLICITà
Molto presto industriali e commercianti capirono che, per allargare il mercato dei consumatori, avevano bisogno della pubblicità, cioè di un operazione realizzata attraverso tutti i possibili mezzi di comunicazione di massa con l ‘obbiettivo di far conoscere al pubblico i loro prodotti.
Negli Stati Uniti le prime pubblicità attraverso manifesti stradali comparvero subito dopo la Guerra di secessione, cioè intorno al 1870. Esse incrementarono a tal punto le vendite che nel1900 il denaro investito dai produttori americani in questo settore era aumentato di dieci volte rispetto a trent’anni prima. Anche questa idea fu poi imitata rapidamente dagli europei.
La pubblicità nacque in modo artigianale, limitandosi a descrivere l ‘uso e il funzionamento di un certo prodotto.
Ai primi del Novecento l ’industria pubblicitaria modificò radicalmente le abitudini e i gusti della gente manipolando le une e gli altri a proprio vantaggio. Contemporaneamente, però, essa svolse una funzione costruttiva perché contribuì validamente allo sviluppo economico, e una funzione creativa perché offrì nuove occasioni espressive ad artisti, disegnatori e grafici.
Inizialmente erano gli stessi produttori e commercianti a elaborare messaggi per informare la potenziale clientela dell’esistenza dei propri prodotti. Con il passare del tempo, però, l’attività pubblicitaria assunse proporzioni talmente grandi e complesse da diventare un’attività commerciale a sé stante che doveva essere svolta da specialisti. Nacquero perciò gli agenti pubblicitari: il loro compito consisteva nel convincere i consumatori non solo della bontà di una determinata marca, ma addirittura di aver bisogno di un prodotto di cui non avevano mai sentito esigenza.
Queste erano formate da squadre di disegnatori o “cartellonisti”, scrittori, esperti di mercato.
Nel compiere quest’opera di manipolazione crearono veri e propri capolavori e segnarono la nascita di una nuova forma d’arte.
I pubblicitari individuarono un potente strumento di diffusione di massa da affiancare ai manifesti stradali, le pagine di giornali, che furono invase da annunci a pagamento. In pochi anni i guadagni provenienti da questa iniziativa divennero una voce così rilevante delle entrate di quotidiani e settimanali da creare un fenomeno che ebbe conseguenze impreviste.
La proposta dei giornali, infatti, cominciò a essere sempre più fortemente condizionata dai contributi degli inserzionisti, finché proprietari e direttori, nel timore di perderli, non osarono più contrastarne gli interessi.
Poiché gli inserzionisti maggiori erano gli industriali, i giornali cominciarono a schierarsi in modo sempre meno obbiettivo contro gli scioperi e ogni altra rivendicazione dei lavoratori influenzando pesantemente l’opinione pubblica, rappresentata dai loro numerosissimi lettori.
In molti casi, a partire dagli Stati Uniti, questo atteggiamento segnò una limitazione della libertà di stampa: una limitazione non più determinata dalla censura di Stato, ma indotta in modo strsciante dalle leggi del mercato.
I lavoratori capirono di avere contro un nuovo e temibile nemico e cominciarono a definire i giornali ”stampa borghese” e “stampa dei padroni”.
ANCHE LO SPORT DIVENTA DI MASSA ED ENTRA A FAR PARTE
DELLA SOCIèTà DEI CONSUMATORI
Nella Belle èpoque nacque lo sport di massa, così come lo intendiamo oggi, cioè una serie di competizioni seguite da un gran numero di spettatori, organizzate e sponsorizzate da enti pubblici o privati e destinate a diventare un fenomeno di consumo.
L ’interesse popolare si concentrò sulle corse ciclistiche e automobilistiche e sulle competizioni aeree, in cui i piloti dei trabiccoli volanti si sfidavano ad oltrepassare il canale della Manica o a sorvolare il deserto.
Altrettanto entusiasmo suscitarono le partite di rugby o di calcio (e negli Stati Uniti di baseball ), il pattinaggio sul ghiaccio, il tennis e il golf (nati in Inghilterra).
In questi anni rinacquero anche le antiche OLIMPIADI che, dopo un avvio stentato, attirarono nel Novecento un numero sempre maggiore di appassionati.
Quest’ iniziativa era stata decisa dal barone francese Pierre de Coubertin, il quale, affascinato dalle norme di questi giochi :la tregua sacra, anche in caso di guerra, la purezza morale degli atleti e il dovere di battersi lealmente, era profondamente convinto del valore educativo dello sport e della sua capacità di creare legami di solidarietà e di stima tra gli atleti, indipendentemente da sesso, razza e religione, al fine di contrastare, così, gli odi e le inimicizie creati dai governi.
Nel 1892 Pierre de Coubertin fondò il Comitato Olimpico, al quale parteciparono dodici nazioni e decise che le prime Olimpiadi dell’era moderna si sarebbero tenute ad Atene nel 1896.Alle prime Olimpiadi parteciparono 285 atleti dilettanti provenienti da 13 Paesi diversi. La manifestazione decollò definitivamente nell’edizione del 1908 a Londra, con la partecipazione di 2000 atleti, tra i quali 36 donne. Le Olimpiadi di Berlino del 1936 furono caratterizzate dalla vincita degli atleti di colore statunitensi sui bianchi europei, avvenimento molto importante in un’epoca in cui Europa e Stati Uniti sono già contagiati dal razzismo.
IL “ TAILORISMO ” E LA CATENA DI MONTAGGIO
Mentre le nuove tecniche di distribuzione e la pubblicità ampliavano la massa dei consumatori, gli industriali dovevano produrre di più e più a buon mercato per soddisfare le richieste che avevano contribuito a creare.
Nel 1909 l ’industriale statunitense Henry Ford costruì una nuova automobile, chiamata “ Modello T ”, che per le sue caratteristiche non si rivolgeva più all ‘élite degli acquirenti di lusso, ma a quella che gli americani chiamavano middle class, classe media, cioè ai borghesi piccoli e medi della città e, soprattutto, agli agricoltori e allevatori delle campagne.
Il “Modello T” aveva dimensioni molto minori di una macchina di lusso ed era composta da un numero limitato di pezzi; il suo prezzo al pubblico era quindi già accessibile in partenza. Tuttavia, per renderlo veramente competitivo, bisognava trovare il modo di abbassare ulteriormente i costi di fabbricazione.
A questo scopo nel 1913 Ford introdusse nella sua fabbrica la catena di montaggio, che non era altro che un nastro mobile lungo il quale veniva disposta a intervalli regolari una serie di operai, ciascuno dei quali doveva compiere un unico tipo di operazione (per esempio stringere un bullone) senza mai interrompere il ritmo della catena.
Con questo sistema Ford fu in grado di realizzare la produzione in serie. Essa gli consentì di immettere sul mercato 2 milioni di automobili all ‘anno che, attraverso un bombardamento pubblicitario senza precedenti, furono vendute anche negli angoli più remoti degli Stati Uniti.
Introducendo la catena di montaggio Ford non aveva fatto altro che applicare la nuova organizzazione del lavoro ideata dall ‘ingegnere statunitense Frederick Taylor e da lui chiamata “ taylorismo”.
Essa partiva dall ‘idea che, frazionando in una serie di mini- operazioni estremamente semplificate, il lavoro veniva eseguito meglio e più velocemente, i costi diminuivano, il numero dei prezzi prodotti aumentava e, di conseguenza, scendeva il prezzo di vendita e salivano i profitti.
IL LAVORO ALLA CATENA DI MONTAGGIO è MASSACRANTE, MA FORD COMPENSA GLI OPERAI
Il tipo di lavoro alla catena di montaggio e i ritmi imposti dal nastro mobile erano così ripetitivi e massacranti, che rendevano gli operai simili a robot. Non potevano allontanarsi neppure un momento dal nastro per tutto il turno e lo stesso Ford racconta nelle sue memorie che ciò li costringeva a soddisfare i loro bisogni corporali restando in piedi davanti ai pezzi.
Rendendosi conto della fatica alla quale sottoponeva i suoi operai, Ford cercò con successo di esaltarne lo spirito di corpo attraverso una serie di privilegi che gli distinguevano dagli operai di qualsiasi altra industria: ridusse l ‘orario giornaliero a 8 ore (contro le 10 consuete), concesse loro aumenti salariali nettamente superiori a quelli delle altre industrie e distribuì a fine anno premi di produzione a tutti a patto che si raggiungessero gli obbiettivi prefissati.
SI ESTENDE IL SUFFRAGIO UNIVERSALE MASCHILE
La società del Novecento non fu caratterizzata solo dalla formazione di masse di consumatori, ma anche dalla partecipazione delle masse alla vita politica, causata soprattutto dal peso crescente assunto dal Movimento operaio nei Paesi industrializzati e dalle sue durissime lotte.
Nel 1890 il suffragio universale maschile, cioè il diritto di voto esteso a tutti i maggiorenni maschi, senza limitazioni di reddito né di livello di istruzione, esisteva soltanto in Francia, in Germania e in Svizzera.
Tra il 1890 e il 1914 esso fu conquistato anche in Spagna, in Austria, nei Paesi scandinavi e in Italia, dove fu introdotto nel 1912. Inghilterra e Olanda furono le ultime ad adeguarsi, e lo introdussero solo negli anni Venti.
NASCONO I PARTITI DI MASSA
Il suffragio universale ebbe l‘effetto di mutare la natura dei partiti. I partiti ottocenteschi erano stati “partiti di notabili”, cioè piccoli raggruppamenti nati intorno a un personaggio eminente che ne tracciava la linea di comportamento, come nel caso di Cavour e della Destra storica.
Nel Novecento, invece, essi si trasformarono in partiti di massa, rappresentativi di tutti i gruppi sociali, allo scopo di inquadrare larghi strati della popolazione in strutture locali (sezioni) guidate da un unico gruppo dirigente.
I primi a proporre questo nuovo modello di partito furono i socialisti, e in misura minore, i cattolici. Il partito elaborava programmi elettorali, sceglieva i deputati da inviare in Parlamento, svolgeva opera di propaganda e forniva un’educazione politica ai propri iscritti.
I nuovi partiti assunsero due forme:
- classista, se rappresentava gli interessi di una sola classe (nata dal movimento dei lavoratori);
- non classista o interclassista, se costituiva un punto d’incontro di gruppi diversi (es. partiti repubblicano e democratico negli Stati Uniti).
LA LOTTA DI CLASSE NELLA BELLE EPOQUE
Nonostante il notevole sviluppo economico permanevano, in questo periodo storico, gravi problemi sociali determinati da una non equa distribuzione della ricchezza e da notevoli dislivelli sociali non solo tra classi ma anche all’interno della stessa classe, tra le varie categorie di lavoratori.
Questo provocò delle importanti tensioni sociali che sfociarono, nei primi anni del Novecento in tutta Europa, nella lotta di classe del proletariato. Vennero organizzati scioperi e manifestazioni di piazza ed un numero sempre maggiore di operai aderì ai movimenti socialisti ed ai sindacati.
Le proteste riguardavano:
- i salari troppo bassi rispetto all’inflazione, cioè rispetto all’aumento dei prezzi che diminuiva il valore del denaro ed aumentava il costo della vita;
- la meccanizzazione del lavoro industriale (catena di montaggio), con conseguente riduzione della richiesta di mano d’opera specializzata e della mano d’opera in genere (spettro della disoccupazione);
- la richiesta di legalizzare i sindacati;
- la richiesta di ottenere una legislazione sociale più equa, che prevedesse meno ore di lavoro, pensioni, assistenza sanitaria in caso di malattia, ecc.
- la richiesta di suffragio universale maschile.
Il padronato era seriamente preoccupato dalla crescita di potere dei movimenti operai e, soprattutto, non voleva perdere i privilegi di cui godeva.
Nel 1905 in tutta Europa, Russia compresa, scioperarono in massa tutte le categorie di lavoratori ed il padronato, temendo il blocco totale dell’economia, decise di effettuare la serrata, cioè la chiusura a tempo indeterminato dei luoghi di lavoro sospendendo anche il salario dei lavoratori, chiese l’intervento dell’esercito per sparare sui manifestanti e chiese ai governi di varare leggi antisciopero.
I governi, dal canto loro, vararono le leggi antisciopero che proteggevano con l’esercito i “crumiri”, cioè gli operai che non volevano scioperare, e prevedevano il carcere per i “picchetti”, cioè i lavoratori che, durante gli scioperi, impedivano l’ingresso dei “crumiri” nei luoghi di lavoro.
Vararono , però, anche una legislazione sociale, al fine anche di frenare la crescita dei partiti socialisti, che prevedeva l’obbligo scolastico elementare (in tutta Europa), proibiva il lavoro minorile (per i bambini in età scolare), prevedeva assistenza in caso di malattie e infortuni, riduceva la giornata lavorativa a otto ore (in Italia nel 1904 dopo uno sciopero generale) e introduceva il suffragio universale maschile che, nel 1914, si estese a tutti i paesi europei.
Nel frattempo già dal 1889 i partiti socialisti si erano organizzati nella Seconda Internazionale che aveva istituito a Parigi, il Primo maggio come giornata mondiale di lotta finalizzata all’ottenimento della giornata lavorativa di otto ore.
Le concessioni previste con la Legislazione sociale misero in crisi i partiti socialisti che si divisero al loro interno in :
- socialisti riformisti, che prevedevano forme di lotta dure al fine di ottenere riforme pacifiche dai governi, cercando così un dialogo con gli stessi e volevano allargare la base elettorale anche al mondo contadino ed alle minoranze;
- socialisti rivoluzionari, seguaci di Marx e di Engels, che volevano abbattere il sistema borghese con una rivoluzione violenta e si rivolgevano esclusivamente al proletariato industriale.
- Gli anarchici, seguaci di Bakunin, contrari sia ai riformisti che ai rivoluzionari, che rifiutavano qualsiasi forma di autorità. Nel corso dell’Ottocento trovarono seguaci tra gli intelletuali, che compirono poi attentati contro re e ministri: Nel Novecento, invece, furono sostenuti da i più poveri tra gli emigrati europei negli usa e dai popoli slavi.
Anche i cattolici, da canto loro, erano interessati al miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia e dei lavoratori in genere, senza però sostenere strategia di lotta violente e rivoluzionarie.
Così vennero organizzate cooperative di mutuo soccorso e società di risparmio, finanziate in parte dalla Chiesa ed in parte dai lavoratori stessi, che provvedevano all’edilizia popolare, all’assistenza ai disoccupati, agli orfani, agli infortunati.
Gruppi di operai cattolici aderirono a queste iniziative e diedero poi vita ai partiti cattolici, che ottennero una larga base elettorale.
Karl Marx, economista tedesco fondatore dei socialismo, da cui derivò poi il comunismo, esprime le sue teorie nel “Il capitale”, sua opera principale. Egli sostiene che:
la società borghese non avrebbe mai posto fine allo sfruttamento della classe operaia, nonostante riforme a favore della stessa;
- la società borghese doveva essere sostituita con quella socialista, più giusta ed equa;
- la società socialista sarebbe stata costruita dalla classe operaia.
- la società socialista si sarebbe fondata sull’abolizione della proprietà privata e sul principio della proprietà collettiva dei mezzi di produzione al fine di porre fine definitivamente allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Tutto questo si sarebbe potuto realizzare solo con una rivoluzione violenta.
LA DONNA NUOVA
Durante gli anni che precedettero la Prima guerra mondiale cominciò a mutare la condizione delle donne appartenenti alla classe operaia e ai ceti medi.
Le donne operaie cominciarono a godere di qualche vantaggio poiché, verso la fine del XIX secolo, erano state approvate leggi sociali che avevano lo scopo di diminuire lo sfruttamento infantile e femminile.
Furono ridotte le ore di lavoro, proibito il lavoro in miniera, quello notturno e domenicale e nacquero le prime forme di protezione della maternità. Tuttavia la manodopera femminile continuò a essere sottopagata.
Nel settore terziario invece, si crearono nuove opportunità di lavoro per la donna, poiché la Seconda rivoluzione industriale aveva creato per loro nuove opportunità di lavoro.
Amministrazioni pubbliche, aziende private, ospedali, poste, banche e negozi pullulavano di segretarie, dattilografe, infermiere e commesse.
Un vero e proprio boom riguardò l ’insegnamento elementare, che divenne prevalentemente femminile, soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti.
Le donne, quindi, cominciavano a EMANCIPARSI, cioè a diventare autonome dal punto di vista economico, indipendente dal matrimonio.
Lo sviluppo femminile fu ben visto dai padroni poiché allargava il mercato a nuove consumatrici.
Nacque la stampa femminile e le donne raggiunsero una maggiorew libertà nella moda, nella vita sociale e nei rapporti con l ‘altro sesso.
Fonte: http://cursa.ihmc.us/rid=1181058236170_1985108678_5168/La%20Belle%20Epoque.doc
La prima rivoluzione industriale
Le origini della civiltà moderna sono da ricercare in quel fenomeno che, originatosi nella seconda metà del Settecento e prevalentemente in Inghilterra, prende il nome di rivoluzione industriale, che portò all’affermarsi del sistema economico capitalistico e della classe borghese. Molti sono i fattori che contribuirono a creare l’ambiente adatto allo sviluppo della prima industria.
Nei primi cinquant’anni del XVII secolo il commercio inglese rafforzò le sue posizioni su scala mondiale. Diminuirono i rischi legati al commercio d’oltremare e aumentarono i profitti. La politica del governo inglese. Tesa a ridurre il potere delle grnaid compagnie privilegiate, consentì inoltre l’ingresso nel settore di uomini nuovi e il diffondersi della libera iniziativa. Londra, al centro di questi traffici, sviluppò una rete sempre più estesa di banche e assicurazioni e assunse il ruolo di capitale finanziaria di tutta Europa. Molti storici hanno considerato il commercio estero come il fattore più significativo della diversità inglese, tanto da metterlo al primo posto tra i fattori della rivoluzione industriale. Certo è che il controllo del mercato internazionale fornì alle prime fabbriche inglese la possibilità di un rapido e poco costoso approvvigionamento del cotone grezzo, la materia prima essenziale alla nascita della moderna industria tessile garantendo allo stesso tempo un ampio mercato di vendita per i prodotti inglesi. Lo sviluppo commerciale favorì la formazione di uomini dotati di mentalità imprenditoriale, cioè disposti al rischio in prima persona e di spirito di iniziativa.
Parallelo allo sviluppo del commercio, fu lo sviluppo delle vie di comunicazione non solo marittime ma anche interne: grazie a nuove tecniche di costruzione, si progettarono strade, ponti, ferrovie ferrovie e canali navigabili che resero accessibile il trasporto delle merci verso altri mercati.
Per trasportare i prodotti sempre più rapidamente si ricercarono e inventarono nuovi mezzi di trasporto. E’ del 1814 l’invenzione della locomotiva di Stephenson che portò alla nascita della ferrovia. In una decina d’anni, tutte le principali città inglesi furono collegate da una rete ferroviaria.
La rivoluzione agricola giocò un ruolo altrettanto importante. Le campagne subirono un processo di riorganizzazione in grandi proprietà dove un unico proprietario si serviva di manodopera salariata per produrre, prevalentemente per la vendita.
Tali cambiamenti contribuirono ad avviare e sostenere il processo di industrializzazione su vari piani. Innanzitutto si poté sopperire al fabbisogno alimentare di una popolazione in rapida crescita. Infatti, la produzione su larga scala permise di utilizzare nuove tecniche di coltivazione, tra cui la rotazione delle colture, che aumentarono il rendimento del terreno. In secondo luogo, contribuì alla formazione di un mercato interno che si rivelerà un’importante fonte di domanda per i prodotti inglesi. Molti industriali inoltre provenivano dal mondo rurale dei piccoli e medi produttori o da quel settore ricevettero in molti casi i capitali necessari per impiantare le prime industrie. Decisivo fu inoltre il ruolo della rivoluzione agricola nel favorire (con la riduzione delle opportunità per i piccoli proprietari e i contadini autonomi) quel massiccio esodo dalle campagne che consentì lo sviluppo del proletariato industriale.
Strettamente intrecciata alle trasformazioni del mondo rurale fu la rivoluzione demografica. Dai 6 milioni di abitanti del 1740 si passò agli oltre 14 milioni nel 1830. L’aumento della popolazione nel XVIII sec. dipese innanzitutto dalla diminuzione della mortalità grazie alla scomparsa della peste e di altre malattie infettive, dall’aumento della disponibilità di prodotti alimentari, dall’abbassamento dell’età per il matrimonio e un aumento della natalità. La rivoluzione demografica rese quindi disponibile una manodopera numerosa e a basso costo alla nascente industria, una manodopera che, uscendo dal ciclo dell’autoconsumo, divenne sempre più dipendente dal mercato per il soddisfacimento dei propri bisogni alimentari.
Ma furono sicuramente le invenzioni degli ultimi decenni del Settecento che favorirono lo sviluppo della produzione di manufatti e l’avvento del sistema di fabbrica con un conseguente sconvolgimento dei metodi di produzione e delle forme di organizzazione del lavoro. Tra queste invenzioni ci fu una nuova macchina per filare, la jenni. Le nuove macchine filatrici provocarono una profonda modificazione dell’organizzazione del lavoro. Prima la filature e la tessitura si svolgevano specialmente nelle campagne: erano attività a domicilio svolte quasi sempre all’interno della famiglia, dalle donne e dai bambini. La jenni, consentendo ad un solo operario di azionare contemporaneamente 18 fusi anziché uno consentì una maggiore produzione che fece diminuire il prezzo del filo e conseguentemente dei tessuti. Al tempo stesso si diffuse la moda del cotone, che l’Inghilterra poteva facilmente procurarsi in India. La produzione tessile si spostò quindi ben presto dalla casa alla fabbrica, l’edicio dove il capitalista radunava le sue macchine e dove ora confluirono lavoratori di più famiglie. Alla filatrice meccanica si affiancò all’inizio dell’Ottocento la tessitrice meccanica: queste macchine erano mosse da motori idraulici, delle specie di mulini a vento che ne facevano funzionare contemporaneamente parecchie. La svolta decisiva si ebbe quando il motore idraulico fu sostituito dal motore a vapore, la macchina di James Watt inventata intorno al 1764 e applicata alle macchine filatrici fin dal 1785 . Nelle fabbriche le macchine svolgevano ora molte operazioni che prima erano compito dell’artigiano. All’operaio erano riservati movimenti semplici e ripetitivi ma non per questo meno faticosi. Inoltre, i padroni delle fabbriche cercavano di attuare al massimo la divisione del lavoro, ovvero ad affidare al singolo operaio solo una operazione di tutto il ciclo produttivo perché questo era economicamente più conveniente. Alla maggior parte degli operai di fabbrica non era richiesta alcuna particolare abilità, per questo motivo molti lavori potevano essere svolti indifferentemente da uomini, donne o bambini. La macchina instancabile e inanimata stabiliva il ritmo del lavoro degli operai. Le condizioni di lavoro degli operai erano molto difficili. L’orario poteva prolungarsi per 16-18 ore ed era inoltre sottoposto a rigidi regolamenti che rendevano la vita di fabbrica simile a quella del carcere. Erano costantemente sorvegliati dall’occhio del padrone che poteva anche ricorrere a mezzi di punizione fisica.
Il successo della meccanizzazione in campo tessile spinse altre industrie ad adottare nuove macchine e a cercare di applicare ad esse il motore a vapore. Quest’ultimo doveva essere alimentato con carbone, mentre la costruzione delle macchine richiedeva l’impiego del ferro. Il primo effetto fu dunque lo sviluppo delle miniere di carbone e ferro. Anche il rapido sviluppo ferroviario aumentò notevolmente la richiesta di minerali: basti pensare che per costruire un solo chilometro di ferrovia erano necessarie 200 tonnellate di ferro.
Il sistema della fabbrica porto a concentrare l’attività lavorativa principalmente nei centri urbani che crebbero in misura considerevole. I livelli disumani di sfruttamento in fabbrica, la precarietà del posto di lavoro e tutti i problemi connessi al processo di inurbamento ( sovraffollamento delle città, pessime condizioni igieniche, alimentazione scarsa e povera) portarono i lavoratori alla consapevolezza di un destino comune e alla formazione di una coscienza di classe contrapposta a quella dei nuovi imprenditori capitalisti, quella del proletariato industriale. Di fronte alla nuova realtà industriale, che ormai si era allargata anche in Francia e in Germania, cominciarono a formarsi movimenti di protesta, i movimenti anarchici e quelli socialisti che intravedevano i limiti del sistema industriale e liberista proponendo riforme per prevenire la crisi della società.
Fonte: http://eugen.altervista.org/cartella/La_prima_rivoluzione_industriale.doc
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