La crisi del XIV secolo
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La crisi del XIV secolo
LA CRISI DEL XIV SECOLO (sintesi ed integrazione)
Il 1300 fu un secolo di crisi complessiva della società europea: crisi demografica, economico-sociale, politica e religiosa.
Per questo motivo il XIV secolo è stato considerato dagli storici come il secolo della transizione, cioè del passaggio dal Medioevo all’Età moderna.
In questo secolo in sostanza le strutture politiche, economiche, sociali e culturali del Medioevo cominciarono a crollare, preparando l’avvento della società moderna.
Schematizzando si possono così riassumere gli aspetti salienti della crisi del 1300:
A) crisi demografica;
B) crisi economica;
C) crisi politico-istituzionale e sociale.
A) CRISI DEMOGRAFICA (1315-1450)
Dopo la grande crescita demografica fatta registrare tra il Mille e il XIII secolo (la popolazione europea alla fine del ‘200 si aggirava intorno ai 70-80 milioni di abitanti), con il 1300 la tendenza si invertì e si ebbe un vero e proprio crollo demografico: il declino iniziò più o meno intorno al 1315-17, in concomitanza della prima e più grave carestia di questo secolo difficile, e durò fino alla metà del secolo successivo.
Secondo gli storici le cause più importanti del fenomeno furono essenzialmente tre:
1) incidenza delle numerose carestie che si ebbero nella prima metà del secolo;
2) incidenza di numerose epidemie e soprattutto della peste del 1347-51: la peste fu naturalmente la causa più grave della elevata mortalità;
3) incidenza delle devastanti guerre e delle rivolte sociali che attraversarono il secolo, soprattutto la Guerra dei 100 anni.
CARESTIE
Prima ancora che si manifestasse l’epidemia di peste, già la prima metà del ‘300 fece registrare alcune gravi carestie che misero a dura prova le popolazioni europee. Anche a causa di un peggioramento climatico, di cui parleremo a proposito dell’economia, si verificò una crisi agricola che produsse una situazione di perdurante penuria di alimenti, che a sua volta contribuì a peggiorare le condizioni di salute di una popolazione che già tradizionalmente era sottoalimentata (rispetto ai parametri di oggi).
PESTE
Giunta dall’Oriente, seguendo l’itinerario dei mercanti, la cosiddetta peste nera del 1347-1351 si abbatté sull’Europa, provocando una vera e propria catastrofe, cioè sterminando circa un terzo della popolazione. Infatti, dopo la fase più acuta della pandemia (= epidemia diffusa dappertutto) di peste, gli europei scesero da 70-80 a circa 50 milioni.
La peste inoltre si installò stabilmente a livello endemico (= il bacillo mise radici nel territorio ed era quindi sempre presente, anche nei periodi in cui la malattia non si manifestava in forma eclatante) nel continente.
Infatti nuove pestilenze si diffusero con frequenza impressionante in questa o quella regione nei decenni e nei secoli successivi (fino al ‘700), pur senza assumere mai più le dimensioni continentali della prima grande ondata.
D’altra parte l’azione virulenta della peste non fece altro che moltiplicare enormemente una mortalità media già elevata, provocata anche da altre malattie infettive (come il tifo, il vaiolo, la dissenteria ecc.) che erano endemiche da secoli.
GUERRE
Le guerre a loro volta contribuirono all’aumento della mortalità in due modi: direttamente con il numero dei caduti nelle operazioni militari (ad esempio nel ‘300 iniziò anche la Guerra dei 100 anni); indirettamente, in misura molto maggiore, con le devastazioni che esse provocarono e con la propagazione di malattie portate dai soldati.
Gli eserciti di transito infatti erano soliti saccheggiare e devastare i territori, determinando così ulteriori cause di mortalità.
Occorre precisare che queste tre cause non provocarono soltanto il calo della popolazione europea del XIV secolo, ma furono sempre alla base di tutte le crisi demografiche dei secoli che precedettero l’avvento dell’età industriale (XVIII; XIX e XX secolo).
Inoltre tali fattori non possono essere considerati separatamente in quanto interagirono tra loro determinando un vero e proprio circolo vizioso, in cui è difficile stabilire quale sia la causa e quale invece l’effetto.
Infatti le carestie potevano essere sia causa sia effetto delle pestilenze, dal momento che una popolazione debilitata e denutrita era sicuramente più esposta alla diffusione dei contagi, ma a loro volta le pestilenze, con la loro elevata mortalità, contribuivano a mettere in crisi la produzione agricola (alcuni storici hanno considerato la peste causa delle carestie stesse, in quanto determinò una vera e propria decimazione della popolazione contadina).
Inoltre le guerre provocavano carestie e pestilenze, ma l’insufficienza dei beni alimentari e la crisi economica generavano da parte loro ulteriori motivi di conflitti e guerre.
B) CRISI ECONOMICA
Il 1300 fu un secolo in cui si verificò, in conseguenza degli eventi appena descritti, anche una grave “crisi economica”, che investì i diversi settori dell’economia europea, che nei precedenti tre secoli aveva conosciuto invece un periodo di grande espansione (= crescita).
In primo luogo questa crisi si manifestò, come abbiamo avuto modo di accennare a proposito della peste, nel campo agricolo.
La crisi agricola del ‘300 fu sicuramente connessa alla diffusione della peste e delle altre malattie, ma ebbe anche cause di carattere più generale:
1) peggioramento del clima, che nei primi decenni del ‘300 divenne più freddo e più umido, e danneggiò così i raccolti, riducendo la produzione agricola.
2) Sovraffollamento e calo del rendimento medio dei terreni: nei tre secoli precedenti la popolazione era cresciuta ininterrottamente ma non si erano verificati contemporaneamente significativi progressi sul piano delle tecniche agricole e quindi della produttività dei terreni. Anzi, l’eccedenza relativa della popolazione aveva costretto a mettere a coltura anche i terreni marginali meno fertili, per rispondere alla maggiore domanda alimentare, ma ciò aveva determinato un abbassamento del rendimento medio delle superfici coltivate: in questo modo si era accentuata la differenza tra popolazione e risorse agricole disponibili. Con il crollo demografico si verificò lo spopolamento e l’abbandono dei campi, soprattutto di quelli a minor resa, ma ciò contribuì ad aumentare la penuria dei beni alimentari.
3) Peggioramento della condizione ecologica complessiva in quanto, dissodando terreni e tagliando boschi, non erano state compiute nel contempo opere di sistemazione idrogeologica a protezione dei campi che, una volta abbandonati o sotto-utilizzati, cominciarono ad allagarsi, a franare ecc. Anche questo aspetto contribuì ad aggravare la crisi dell’agricoltura europea.
Tuttavia, per un tragico paradosso, il grande crollo demografico creò, nel giro di qualche decennio, un certo aumento del benessere per i sopravvissuti: questo relativo vantaggio economico cominciò già a delinearsi sul finire del XIV secolo e continuò per tutto il secolo successivo.
Ad esempio i lavoratori salariati, essendo diventati “merce rara” a causa della scarsità della popolazione, riuscirono in genere ad ottenere salari più elevati, mentre i contadini poterono abbandonare i terreni meno fertili e coltivare solo quelli con rendimento più elevato.
D’altro canto tutte le famiglie, essendo ridotte di numero, ebbero mediamente a disposizione più proprietà, si moltiplicarono inoltre le possibilità d’impiego e le coppie poterono sposarsi prima e procreare di più.
Questa condizione relativamente positiva fu alla base della notevole espansione economica e demografica che si verificò soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘400 in poi.
Ritornando al ‘300, occorre precisare che non si ebbe solo la crisi agricola ma anche una crisi complessiva di tutta l’economia, dal momento che i diversi settori del sistema erano collegati ed interdipendenti.
La crisi agricola infatti influenzò negativamente il commercio e le attività artigianali e manifatturiere in genere: i contadini, infatti, tradizionali acquirenti dei prodotti artigianali, si erano sensibilmente ridotti di numero ed avevano subito inoltre un abbassamento medio dei loro redditi. Ciò comportò la crisi della produzione e del commercio: d’altra parte diminuirono non solo i beni di largo consumo ma anche i prodotti di lusso, poiché i redditi dei proprietari terrieri erano diminuiti anch’essi.
La crisi del commercio ebbe quindi come effetto una forte contrazione del settore artigianale e manifatturiero.
A tutto questo si aggiunsero anche alcuni clamorosi fallimenti bancari, che si verificarono soprattutto a Firenze e a Siena, dove l’attività bancaria aveva conosciuto uno sviluppo eccezionale: tra il 1342 e il 1345, alcune famiglie storiche legate all’attività bancaria e finanziaria (come quelle dei Bardi, dei Peruzzi, degli Acciaiuoli), avendo concesso enormi prestiti a sovrani, pontefici e principi (come il re inglese e quello di Napoli) e a grandi aziende mercantili e manifatturiere, non riuscirono a recuperare più le somme prestate, quindi fallirono, trascinando nel fallimento manifatture, commerci ed attività artigianali.
D’altra parte la totale mancanza di regole e di una qualsiasi autorità economica internazionale consentiva ai principi e ai monarchi di giocare continuamente con la svalutazione o la rivalutazione delle monete, a seconda delle convenienze e delle circostanze.
Ad esempio quando i sovrani avevano troppi debiti con creditori esteri spesso ricorrevano alla svalutazione della moneta, in modo tale che il valore reale della somma da restituire diminuiva: ma così facendo essi scaricavano il peso del debito sui loro sudditi, i quali erano costretti a consegnare i loro soldi ricevendo in cambio monete nuove aventi un valore inferiore.
I grandi fallimenti degli anni ’40 determinarono un cambiamento nella politica economica e finanziaria delle grandi famiglie imprenditoriali: esse cercarono infatti di ridurre le dimensioni delle loro imprese e soprattutto di differenziare al massimo i loro investimenti, che non furono più concentrati in un’unica attività ma furono invece dirottati in settori diversi ed autonomi della produzione, della commercializzazione e della distribuzione dei prodotti, in modo tale che un’eventuale crisi in un determinato settore non provocasse la bancarotta degli altri.
Sarà questa ad esempio la strategia seguita da una grande famiglia imprenditoriale fiorentina, quella dei Medici, che riuscì ad imporsi e ad espandersi anche grazie al fallimento delle famiglie concorrenti.
C) CRISI POLITICO-ISTITUZIONALE-SOCIALE
Il ‘300 vide la crisi definitiva ed irreversibile dell’antica funzione universale, cioè sovranazionale, delle due istituzioni simbolo del Medioevo, la Chiesa e l’Impero (cfr contenuti importanti da riprendere: guelfi-ghibellini // Enrico VII di Lussemburgo e Dante // Ludovico il Bavaro, Ficino e Ockham // Carlo IV di Boemia e la Bolla d’oro)
La Chiesa cattolica in particolare entrò, fin dal tempo del conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo IV, in una specie di tunnel senza via d’uscita, passando prima attraverso il periodo avignonese (sottomissione della Chiesa al sovrano francese), e poi attraverso lo Scisma d’occidente che, iniziato nel 1378, si prolungò fino alla metà del 1400.
In questi circa 150 anni, il prestigio ed il potere della Chiesa medioevale decaddero notevolmente: l’influenza del papato sulle questioni europee divenne sempre più limitata e, alla fine di questo lungo periodo di crisi, lo Stato pontificio si trasformò in una entità politica e religiosa prevalentemente “italiana”, nel senso che ormai riusciva a condizionare soltanto le vicende della penisola.
Anche l’Impero germanico, erede del Sacro Romano Impero, perse del tutto quella funzione politica sovranazionale a cui aveva aspirato e che in qualche modo aveva esercitato nei secoli precedenti: l’imperatore non era in grado di condizionare più nessuno, nemmeno nella stessa area tedesca, dove regnava un frazionamento politico estremo.
Infatti l’Impero era frantumato in alcune centinaia di realtà statali di vario tipo, quasi del tutto indipendenti, su cui cioè la sovranità dell’imperatore era più nominale che reale.
In questo contesto di crisi dell’autorità imperiale si affermò soprattutto la dinastia degli Asburgo, che divenne la casata egemone: non potendo esercitare un potere centralizzato su tutta la Germania, gli Asburgo si preoccuparono soprattutto di organizzare e rafforzare i domini diretti della loro famiglia, che erano concentrati in Austria e nelle regioni confinanti.
Essi inoltre, per ampliare i loro territori, ricorsero spesso ad un’accorta ed oculata politica matrimoniale, nel senso che, attraverso matrimoni con principi e sovrani, riuscirono ad acquisire nuovi regni, estendendo così la sfera d’influenza della dinastia.
Gli ultimi due imperatori che cercarono velleitariamente di condizionare le vicende politiche italiane furono Enrico VII di Lussemburgo e Ludovico di Baviera (il Bavaro), che entrò in conflitto con il papa avignonese: i loro tentativi tuttavia si rivelarono fallimentari.
LE RIVOLTE SOCIALI DEL XIV SECOLO
La crisi agricola ed economica del 1300, unitamente alle conseguenze sociali negative della Guerra dei 100 anni, provocò una serie di gravi e ripetute sommosse popolari, sia nelle campagne che nelle città; la fame e la disperazione delle masse sfociarono quindi in violente rivolte, che presero di mira gli esponenti del potere politico e religioso del tempo, che nulla avevano fatto per alleviare i gravi disagi delle masse, anzi si erano preoccupati soprattutto di tutelare i propri privilegi.
Nel corso del secolo si ebbero almeno due grandi ondate di rivolte: la prima si verificò nel 1358 ed interessò soprattutto la Francia, devastata dalla Guerra dei 100 anni: qui i moti contadini si saldarono con la rivolta del popolo e della borghesia parigina contro il re e la nobiltà, ritenuti responsabili della disfatta militare nella prima fase della guerra.
Le rivolte rurali francesi presero e mantennero nel tempo il nome caratteristico di jacquerie: anche nei secoli successivi il fenomeno della jacquerie continuò e si manifestò a più riprese in quanto espressione di un costante disagio contadino.
La seconda ondata si ebbe all’inizio degli anni ’80 e coinvolse anche l’Inghilterra: qui la rivolta si combinò con motivazioni religiose ed evangeliche (i Lollardi di J. Wycliff).
In Italia l’episodio più significativo fu il famoso tumulto dei ciompi (i lavoratori della lana) del 1378 a Firenze, che si concluse con una violenta repressione.
IL FALLIMENTO DEI MOTI SOCIALI
Queste rivolte popolari fallirono completamente e dappertutto per una serie di ragioni:
1) in primo luogo mancò ai ribelli una chiara e consapevole strategia politico-militare, nel senso che le loro azioni distruttive e violente furono soprattutto delle esplosioni spontanee, disorganizzate e disordinate: non vi furono veri capi politici e militari capaci di elaborare un progetto organico e di finalizzare le rivolte verso uno scopo preciso;
2) i motivi religiosi spesso si mescolarono confusamente con richieste di tipo economico e sociale e tra istanze evangeliche da un lato ed esigenze sociali dall’altro non si raggiunse mai una sintesi politica coerente.
Anche per tali motivi le rivolte furono represse abbastanza facilmente da parte del potere.
Fonte: http://urbanicorsob.files.wordpress.com/2008/09/la-crisi-del-xiv-secolo.doc
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