La restaurazione e il congresso di Vienna
La restaurazione e il congresso di Vienna
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La restaurazione e il congresso di Vienna
LA
RESTAURAZIONE
IL CONGRESSO DI VIENNA
A Vienna, dal 1 novembre 1814 all'8 giugno 1815 si riunirono a congresso le  "potenze" che avevano sconfitto Napoleone I: Gran Bretagna, Impero  Asburgico, Prussia e Russia, fra i quali riuscì a inserirsi, contro  la loro volontà, il rappresentante francese Charles de Talleyrand, che ebbe un ruolo di primo  piano.
  Il compito era quello di  costruire un nuovo ordine europeo dopo la Rivoluzione francese e il periodo  napoleonico.
I PRINCIPI. I principi applicati furono due:
- Il principio di equilibrio: vale a dire che nessuna potenza poteva rafforzarsi troppo rispetto alle altre
- Il principio di legittimità: secondo il quale era giusto restituire il trono ai sovrani che governavano prima del sovvertimento napoleonico (Ferdinando VII di Borbone in Spagna, Fedinando IV di Borbone a Napoli, Pio VII nello Stato della Chiesa e Luigi XVIII in Francia).
Il congresso cercò dunque di contrastare ovunque le idee della Rivoluzione francese: da ciò la svolta inaugurata da quel momento ha preso il nome di Restaurazione, nel senso di ritorno all'antico.
IL NUOVO ASSETTO ITALIANO. Il perno della situazione europea era ora l'Austria, rappresentata da Metternich, che ottenne tutti i territori perduti e soprattutto nella penisola italiana il suo controllo risultava quasi totale:
- La Repubblica di Venezia (cancellata dopo ilTrattato di Campoformio) entrò nel nuovo Regno Lombardo-Veneto
- Il ducato di Parma e Piacenza, quello di Modena e di Toscana furono tutti affidati a sovrani della famiglia Asburgo
- L'Austria mantenne una forte influenza sul Regno delle due Sicilie
A parte lo Stato Pontificio, solo il Piemonte (Regno di Sardegna) era di fatto immune dalla tutela austriaca.
LA SANTA ALLEANZA. Ai  margini del Congresso, lo zar russo, Alessandro I, si fece promotore di un accordo che  prese il nome di Santa  Alleanza, a cui aderirono l'imperatore austriaco Francesco II e il re di Prussia Guglielmo III.
  I tre sovrani cristiani (uno ortodosso, l'altro cattolico, il terzo protestante)  si impegnavano a ostacolare le idee  liberali, considerate nemiche della religione e dell'ordine costituito.
  La Santa Alleanza, nei decenni  successivi, si rivelerà un vero e proprio strumento di polizia internazionale  e, in sostanza, il simbolo delle forze della reazione in Europa.
PREGI E LIMITI DEL CONGRESSO.  Il merito del Congresso fu quello di riuscire a mantenere per qualche  decennio l'equilibrio in Europa. La Gran Bretagna, rassicurata  dall'ordine e dall'equilibrio europeo, puntò da quel momento ad ampliare il  proprio ruolo coloniale e a rafforzare il suo carattere di grande potenza  marittima e commerciale
  Il limite fu quello di non  parlare nè di popoli nè di identità nazionali: infatti le aspirazioni a una  maggiore libertà e, nel caso di Italia, Polonia, Germania e area balcanica, all'autonomia  e all'indipendenza nazionale erano sempre più diffuse e non più  comprimibili.
  Esse sarebbero emerse negli anni  a venire, fino ad esplodere nella "rivoluzione europea" del 1848.
L'OPPOSIZIONE ALLA RESTAURAZIONE
LE QUESTIONI NAZIONALI  IRRISOLTE. L'Italia (formata da  più Stati), la Germania (politicamente frammentata) e la Polonia (spartita fra Russia, Prussia e  Austria), in cui Napoleone aveva  avviato la costituzione di Stati unitari (anche se subordinati agli interessi  francesi), oltre al Belgio (di  religione cattolica, costretto a convivere con l'Olanda calvinista) e alla Grecia (sottomessa all'Impero turco-ottomano),  svilupparono, all'indomani del Congresso un sentimento patriottico a  nazionale che conquistò strati sempre più ampi dell'opinione pubblica.
  L'idea di base era quella dell'unità  nazionale, secondo la quale ogni nazione doveva avere la possibilità di  cistituirsi come stato autonomo e indipendente, che i cittadini potessero  percepire come propria patria.
ROMANTICISMO E NAZIONE. Il nazionalismo fu uno dei temi cruciali diffusi dal Romanticismo.
  La nazione a cui guardavano i  Romantici è un popolo che ha storia, tradizioni, lingua e cultura non soltanto comuni ma anche specifici, cioè diversi da quelli degli  altri popoli.
  Inoltre, come ogni uomo deve  affermare la propria libertà individuale, allo stesso modo ogni popolo deve  difendere e valirizzare la propria identità nazionale, affermandola contro  chiunque voglia limitarla o soffocarla.
  Fu in nome di questi ideali di  libertà e di nazione, che la maggior parte degli intelluati romantici assunse  posizioni liberali e democratiche, schierandosi contro l'ordine imposto dal  Congresso di Vienna e contro l'assolutismo.
IL LIBERALISMO. La  principale teoria politica della prima metà dell'Ottocento fu il liberalismo, nato nel Seicento con il pensiero  del filosofo inglese John Locke e diffusosi nel Settecento grazie a Montesquieu e sopratto  alle rivoluzioni francese e americana. 
  I  liberali auspicavano uno Stato che garantisse ai cittadini le fondamentali  libertà politiche ed economiche. 
  Tali libertà dovevano essere  riconosciute e tutelate da una Costituzione, cioè da una legge dello Stato che:
- Stabilisse i diritti dei cittadini
- Stabilisse il limite del potere del sovrano
- Affidasse una quota significativa dei poteri statali a un Parlamento eletto dai cittadini (suffragio riservato ai più abbienti, per timore che il popolo attentasse alle libertà e agli interessi borghesi)
IL LIBERISMO ECONOMICO. il  progetto politico del liberalismo prevedeva anche dirette implicazioni  economiche, descritte dalla teoria detta del liberismo, nata nel Settecento ad  opera del filosofo Adam Smith.
  Secondo le tesi liberiste:
- I Governi avrebbero dovuto abolire dazi e dogane, lasciando che la libera concorrenza favorisse lo sviluppo economico (teoria del libero mercato già sostenuta da Smith)
- A industriali e commercianti doveva essere lasciata piena libertà d'azione anche nella regolamentazione dei rapporti di lavoro con gli operai
IL
RISORGIMENTO
I MOTI DEL 1820-1821
LE SOCIETA' SEGRETE. Nella  situazione creatasi con la Restaurazione, gli oppositori scelsero di  organizzarsi in società segrete o sètte, come la Carboneria in Italia, l'Eterìa in Grecia, i Comuneros in Spagna etc.
  Le società segrete, formate da  intellettuali, ufficiali e studenti, volevano promuovere cospirazioni o  insurrezioni che costringessero i sovrani a concedere la Costituzione,  oppure avevano anche l'obiettivo (come in Italia, Polonia e Grecia) dell'indipendenza  nazionale.
  Esse svolsero un ruolo storico  importante, anche se presentavano debolezze come:
- La segretezza dei programmi, noti solo ai capi delle organizzazioni
- La rigida gerarchia (modellata sull'esempio della Massoneria, società segreta diffusasi nel Settecento e attiva nella promozione delle idee illuministiche)
- La chiusura verso l'esterno
Tutte precauzioni per sfuggire ai controlli della polizia, che finirono però per impedire a queste organizzazioni di radicarsi nella società.
L'OPPOSIZIONE IN ITALIA.  In Italia l'opposizione alla Restaurazione fu affidata anche a movimenti di  opinione.
  In Lombardia essa era animata da intellettuali, commercianti ed esponenti della borghesia  che si raccolsero attorno al periodico "Il Conciliatore", una rivista letteraria attenta a  tematiche civili e sociali. A Milano esisteva poi una rete di cospiratori  affiliati alla Carboneria, in collegamento con i patrioti piemontesi (oppositori di Vittorio Emanuele I) che erano intellettuali illuministi,  funzionari statali, aristocratici borghesi e ufficiali dell'esercito, duramente  penalizzati dalle epurazioni compiute dal sovrano.
I MOTI DEL '20-'21 IN SPAGNA. La prima rivolta dopo il Congresso di Vienna ebbe luogo in Spagna, a Cadice e poi si estese ad altre città. Ferdinando VII di Borbone fu costretto a:
- Ripristinare la Costituzione liberale del 1812
- Abbandonare una politica assolutistica
I MOTI DEL  '20-'21 IN ITALIA. In Italia, sull'esempio spagnolo, la prima ribellione  scoppiò nel luglio 1820 a Napoli, guidata dapprima da  due ufficiali, Morelli e Silvati, e poi da Guglielmo Pepe, ex generale dell'esercito  napoleonico. Il re delle Due Sicilie, Ferdinando I, fu costretto a concedere  una Costituzione.
  A Palermo invece gli insorti rifiutarono la  Costituzione concessa dal re e spinsero la rivolta (appoggiata dai baroni)  fino a proclamare l'indipendenza dell'isola. 
  Ma il moto separatista siciliano  fu stroncato pochi mesi dopo dalle truppe napoletane.
  Nel marzo del 1821 la ribellione  scoppiò in Piemonte, guidata dal  conte Santorre di Santarosa che confidava nell'appoggio di un principe di casa Savoia, Carlo Alberto, che nutiva  notoriamente idee antiaustriache, e che aveva ottenuto la reggenza in seguito  all'abdicazione di Vittorio Emanuele I e all'assenza in quei giorni del nuovo  re Carlo Felice.
  Il 14 marzo Carlo Alberto,  nella sua qualità di reggente, concesse una Costituzione sul modello spagnolo.
  Ma Metternich, nel Convegno di Troppau riuscì a convincere Francia e Russia dell'utilità di applicare il  principio di intervento per schiacciare le rivolte e non mettere a  rischio l'ordine sancito dal Congresso di Vienna.Così, già nel marzo 1821, le truppe  austriache entrarono a Napoli abbattendo il governo costituzionale.
  La stessa sorte tocco ai  rivoluzionari in Piemonte dove il re Carlo Felice sconfessò l'operato del nipote Carlo Alberto  e chiese aiuto all'Austria che sedò la rivolta.
  Fu invece il re francese Luigi  XVIII a muovere il suo esercito per stroncare il moto spagnolo.
  IL SUCCESSO DELLA GRECIA. L'unico paese che riuscì a portare a compimento la sua lotta per l'indipendenza  (sotto il protettorato della Russia) fu la Grecia, all'epoca sotto la  dominazione turco-ottomana. Malgrado la forte opposizione di Metternich, infatti, ostile a ogni ribellione popolare, Russia, Francia e Inghilterra colsero il vantaggio  che avrebbero potuto trarre dall'indebolimento ell'impero ottomano e si  schierarono con gli insorti greci.
  Il caso della Grecia era il primo, forte scricchiolio  dell'edificio faticosamente costruito a Vienna nel 1815.
IL FALLIMENTO DELLA RUSSIA. In Russia insorse un gruppo di ufficiali nel dicembre 1815 e per questo chiamati poi decabristi (dicembre in russo), in occasione dell'insediamento del nuovo zar Nicola I. Essi chiedevano:
- Maggiori aperture verso la cultura occidentale
- Un'attenuazione della censura
- Una modernizzazione economica e politica dell'impero zarista, il più retrivo e anacronistico d'Europa
La reazione dello zar non si fece attendere: molti insorti furono condannati a morte, altri vennero deportati in Siberia.
I MOTI DEL 30-31
LA FORZA DELLE IDEE. I primi moti del 1820-1821 erano falliti per:
- La debolezza politica dei cospiratori
- Il loro isolamento rispetto alla popolazione.
La repressione però poco poteva contro il dilagare del sentimento patriottico e nazionale: la forza delle idee non era contrastabile semplicemente con strumenti polizieschi, e infatti, all'inizio degli anni '30 ci fu una nuova fase di insurrezioni.
LA RIVOLUZIONE PARIGINA. La scintilla rivoluzionaria scoccò a Parigi, dove la Restaurazione aveva allora il  volto di Carlo X. Egli, salito al trono, aveva attuato una politica  reazionaria, favorendo aristocrazia e clero e opponendosi a  qualsiasi riforma; per frenare le opposizioni aveva abolito la libertà di  stampa e sciolto il Parlamento.
  Il popolo insorse e il re fu  costretto ad abdicare e fuggire. La borghesia scelse come nuovo re Luigi  Filippo d'Orleans:  nacque così la “monarchia di luglio”, con Filippo che concesse una Costituzione  più liberale e in politica estera scelse la politica del non-intervento
LE RIVOLTE IN BELGIO E POLONIA. Contando sulla politica di non-intervento francese (che in realtà li aiutò):
- Il Belgio insorse con successo: si staccò dai Paesi Bassi e creò il Regno del Belgio.
- Esito ben diverso ebbero I moti in Polonia, dove I patrioti contavano sull'appoggio francese che però non arrivò, per non entrare in contrasto con la Santa Alleanza. Nessuno si mosse perciò quando le truppe dello zar Nicola I scatenarono contro la Polonia una feroce repressione.
L'INSURREZIONE IN EMILIA ROMAGNA. In Emilia nel febbraio 31 scoppiò una insurrezione guidata da Ciro Menotti. Lo scopo era:
- Liberare il Ducato di Modena dal giogo austriaco di Francesco IV
- Ottenere l'indipendenza dell'Italia centrale, dove lo Stato della Chiesa costituiva un grosso ostacolo pere l'unificazione italiana
Francesco IV subito sembrò appoggiare il moto (sperando di allargare il proprio  territorio): si formarono così governi liberali a Modena, Parma, Reggio Emilia e Bologna.
  Poi però Francesco IV con un brusco voltafaccia  fece arrestare Menotti e assieme al papa Gregorio  XVI chiese l'intervento dell'esercito  austriaco. 
  Ciro Menotti fu giustiziato e molti patrioti  incarcerati.
IL SIGNIFICATO STORICO DELLE RIVOLUZIONI DEL '30-31. Nel 1833 Metternich convocò un congresso della Santa  Alleanza nel quale, benchè prive del sostegno francese, Austria, Russia e Prussia riaffermarono la  volontà di repressione verso tutti I moti rivoluzionari.
  Era chiaro però che, a parte in questi tre  Paesi, il crescere di una più matura coscienza civile nei popoli rendeva sempre  più anacronistica la forma di  governo  dell'ancien regime. 
I PROGETTI POLITICI
L'OBIETTIVO DELL'UNITA' NAZIONALE. Il fallimento dei moti del 20-21 aveva evidenziato
- L'inadeguatezza delle società segrete
- Il bisogno di programmi politici in grado di ottenere il consenso dell'opinione pubblica
Inoltre si allargavano le prospettive: non  bastava più ottenere una costituzione o un governo liberale ma occorreva  realizzare un obiettivo più ambizioso: l'unità nazionale.
  Vennero elaborate diverse proposte su come  raggiungere l'unità e l'indipendenza, e i due schieramenti  fondamentali furono quello liberal-moderato e democratico, che differivano  per:
- I mezzi da usare
- La forma di governo da dare alla futura Italia unita
I LIBERALI MODERATI. I liberali moderati ritenevano che:
- Occorreva rinunciare alle azioni insurrezionali care alla carboneria. A prendere l'iniziativa doveva essere un sovrano, con i mezzi tradizionali della politica (accordi, alleanze ecc)
- Bisognava escludere soluzioni democratiche o popolari; l'Italia unita doveva essere una monarchia parlamentare, retta da un sovrano, il cui potere fosse bilanciato dagli ordinamenti previsti da una Costituzione
Vincenzo Gioberti: Fra i moderati si distinse Vincenzo Gioberti, il quale voleva risolvere il problema dell'unità costituendo una confederazione di Stati italiani, ciascuna governata dal proprio principe, sotto la presidenza del Papa, cosa che avrebbe permesso di superare l'ostacolo dello Stato della Chiesa nel centro della penisola.
Cesare Balbo: Cesare Balbo, altro autorevole  esponente moderato, accettò l'idea di Gioberti, ma propose alla guida della confederazione la dinastia dei Savoia; egli vedeva infatti nel Regno di  Sardegna l'unico stato in grado di sfruttare le circostanze favorevoli del  contesto europeo.
  Proprio questa, grazie all'apporto di Cavour,  si sarebbe rivelata la linea vincente del Risorgimento italiano.
I DEMOCRATICI. I democratici ritenevano invece che:
- Il Risorgimento italiano dovesse realizzarsi attraverso un'azione rivoluzionaria popolare
- L'Italia futura non avrebbe dovuto essere una monarchia costituzionale ma una repubblica democratica, basata sul principio della sovranità popolare.
Giuseppe Mazzini: Aveva della nazione una concezione di tipo  religioso, riassunta nel motto “Dio e popolo”. Per lui il Risorgimento  doveva essere sostenuto da una profonda fede:  una “fede” tutta laica e terrena, di una forza ideale che occorreva diffondere  a tutto il popolo e che fosse in grado di  svolgere un'opera di educazione morale e civile del popolo, guidandolo  all'obiettivo dell'insurrezione generale.   Il passo successivo sarebbe stato l'instaurazione di una Repubblica democratica il cui organo fondamentale doveva essere un Parlamento eletto a suffragio universale.
  A tale scopo fondò prima la Giovine Italia e poi la Giovine Europa.
Carlo Cattaneo: illustre illuminista lombardo, fondò e diresse per molti anni la prestigiosa rivista “Il Politecnico”. Come Mazzini, pensava che l'indipendenza dovesse venire “dal basso”. Auspicava però un'Italia organizzata come federazione di Stati, sul modello degli Stati Uniti.
IL 1848 IN EUROPA
UN ANNO SPARTIACQUE. La data del '48 è diventata proverbiale per indicare cambiamenti profondi e improvvisi. Nonostante tutte le rivoluzioni del '48 siano state sconfitte, infatti, esse segnarono uno spartiacque fondamentale: si era definitivamente conclusa l'età della restaurazione, che prevedeva il mantenimento dello status quo e l'esclusione dei ceti borghesi e popolari dalla vita politica. Era nata una fase storica nuova, contrassegnata dall'Europa delle Nazioni e della grande industria.
LA CRISI ECONOMICA DEL '45-'47. Per cogliere I motivi che scatenarono il “Quarantotto” bisogna partire dal contesto sociale ed economico in cui essa maturò.
- Una grave crisi economica partì dall'Irlanda, dove la popolazione si nutriva quasi esclusivamente di patate, falcidiate da una malattia che provocò una carestia; la crisi si allargò ad altri Paesi, con conseguente aumento del prezzo del grano e dei generi alimentari e quindi riduzione dei consumi.
- La giovane industria europea si trovò così per la prima volta di fronte al fenomeno della sovrapproduzione, con effetti disastrosi per gli imprenditori e gli operai.
Quindi nel '48:
- I contadini delle campagne erano in fermento
- Gli operai reclamavano pane e lavoro
- I commercianti, vedendo le merci invendute, erano in preda al panico
IL QUARANTOTTO FRANCESE. La scintilla ancora una volta  scoccò in Francia, dove regnava in modo autoritario il “re di luglio” Luigi  Filippo. 
  La borghesia,  inasprita dalla crisi economica, tolse il proprio appoggio al re e si alleò con  le classi lavoratrici. Luigi Filippo abdicò, fuggì in Inghilterra e il  potere fu assunto da un governo repubblicano. 
  I moderati però, atterriti dalla  prospettiva di una rivoluzione sociale che consegnasse il potere al popolo,  favorì l'elezione a presidente della Repubblica di Luigi Bonaparte, nipote del grande Napoleone,  ritenuto in grado di riportare la sicurezza e l'ordine in una situazione ancora  incandescente. 
  Egli infatti, dopo un primo periodo di regime  di tipo autoritario, nel 1852, per consolidare il suo potere, si proclamò imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone  III.
  Cominciò così per la Francia la stagione del Secondo  Impero.
LA RIVOLUZIONE NELL'IMPERO ASBURGICO. Il 3 marzo si sollevò Budapest,  che reclamava l'autonomia dall'Austria.
  Il 13 marzo a Vienna si sollevarono borghesi, operai e studenti, che costrinsero Metternich a fuggire e l'imperatore Ferdinando  I a concedere l'elezione di  un'assemblea costituente a suffragio universale.
  A quel punto si sollevarono Praga, Venezia (che proclamò la Repubblica veneta) e Milano  che alla fine delle “cinque giornate”  costrinse Radetzky a ritirarsi dalla  città.
LA RIVOLUZIONE IN PRUSSIA E GERMANIA. Dopo le ribellioni in Prussia, una folla di rivoltosi si scontrò a Berlino con l'esercito, fino a costringere il re Guglielmo IV a convocare un'Assemblea costituente.
IL RIFLUSSO DELL'ONDATA  RIVOLUZIONARIA. L'ondata rivoluzionaria del '48 era appena cominciata, ma  stava già per concludersi. 
  La vittoria elettorale di Luigi Bonaparte in Francia spinse i liberali  moderati di Austria e Germania ad allearsi con i gruppi più conservatori,  togliendo appoggi preziosi alla "primavera dei popoli".
  Lo scontro che si era acceso,  infatti, non era solo fra conservazione e progresso ma fra ordine e rivoluzione  sociale dei nuovi ceti operai. 
  Una rivoluzione dunque non solo politica ma sociale.
  Non bisogna dimenticare che in quel  momento s'aggirava per l'Europa lo spettro del comunismo, il cui Manifesto, di Carl Marx e Friedrich  Engels, fu pubblicato giusto alla vigilia dei primi moti. 
  Fu precisamente la paura  della democrazia, vista come anticamera della rivoluzione sociale, a  unire i conservatori seguaci di Metternich e i liberali più moderati, e fu  questa loro alleanza a determinare il fallimento dei moti del '48.
  Le due rivoluzioni  (politica e sociale) furono dunque domate ovunque e le conquiste del  Quarantotto andarono perdute. Tutte tranne una: fu ottenuta infatti la solenne  abolizione per legge della servitù della gleba nell'impero asburgico.
  La rivoluzione del '48, benchè  sconfitta, pose pertanto fine all'Ancien Regime, all'assolutismo e ai loro  metodi di esercizio del potere; e diede vita a una nuova fase storica: la  storia dell'Europa contemporanea.
IL 1848 IN ITALIA
IL BIENNIO RIFORMATORE. Il1848 in Italia fu preceduto da una fase di riforme che destarono molte speranze nei patrioti.
- Pio IX rinnovò lo Stato Pontificio con alcuni provedimenti liberali come l'attenuazione della censura sulla stampa e l'amnistia per i reati politici, diventando così il simbolo di un comune sentimento antiaustriaco
- Riforme si ebbero anche in Toscana, a opera di Leopolodo II e in Piemonte dove era salito al trono Carlo Alberto
- Nel Regno delle due Sicilie Ferdinando II, dopo essersi opposto a lungo ai cambiamenti, si convinse dopo la rivolta di Palermo (12 gennaio 1848) e concesse nel Regno napoletano una Costituzione; malgrado ciò la Sicilia proclamò in marzo l'indipendenza dal Regno di Ferdinando.
IL MESE DELLA RIVOLUZIONE. Sula scia della rivolta di Palermo, scoppiarono altre rivolte in Italia, che portarono a concedere una Costituzione:
- Leopoldo II in Toscana
- Carlo Alberto in Piemonte (LO STATUTO ALBERTINO)
- Pio IX nello Stato della Chiesa
Ben presto però dalla liberalizzazione della vita sociale e politica si passò alla lotta aperta contro lo straniero, al Risorgimento della nazione italiana. Così la rivoluzione scoppiò:
- A Venezia, dove, cacciati gli austriaci, fu proclamata la Repubblica di San Marco, retta da un governo provvisorio guidata da Daniele Manin (repubblicano molto lontano da Carlo Alberto).
- Alla notizia della fuga di Metternich da Vienna, insorse Milano (borghesi, operai ma anche contadini pressati agli inasprimenti fiscali asburgici), che dopo 5 giornate di duri combattimenti, le "cinque giornate di Milano", sconfisse le truppe austriache del generale Radetzsky, che si rifugiarono nel cosiddetto "quadrilatero": Mantova, Peschiera, Verona, Legnago.
LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA. La  liberazione di Milano, la momentanea debolezza dell'Austria, le altre  rivoluzioni scoppiate e l'appoggio dei moderati convinsero Carlo Alberto, che dichiarò guerra all'Austria.
  L'entusiasmo fu generale e lo  appoggiarono con l'invio di truppe:
- Leopoldo II di Toscana
- Ferdinando II da Napoli
- Migliaia di volontari accorsi da tutta Italia
- Le truppe pontificie che, inviate per salvaguardare i confini, disubbidirono agli ordini per partecipare alle operazioni contro gli austriaci
Questo  conflitto prese il nome di prima guerra di indipendenza.
  Il 26 marzo Carlo Alberto  entrò trionfalmente a Milano e a giugno un plebiscito decise l'unione  della Lombardia al Piemonte.
Nel frattempo gli altri sovrani italiani (Pio IX in testa) erano:
- Impauriti dalle conseguenze di uno scontro con l'Austria
- Irritati dall'espansionismo di Carlo Alberto
Così ritirarono il proprio appoggio. Ferdinando II attuò anche una svolta reazionaria.
Radetzky, ricevuti gli attesi rinforzi:
- Riconquistò una per una le città del Veneto
- Sconfisseduramente i piemontesi a Custoza
- Costrinse Carlo Alberto a uscire da Milano
Pochi giorni dopo Carlo Alberto firmò l'Armistizio di Salasco.
L'INIZIATIVA PASSA AI DEMOCRATICI. Il fallimento della "guerra regia" non scoraggiò i democratici, che reagirono energicamente
- Nello Stato della Chiesa Pio IX, investito dal dissenso popolare fu costretto a fuggire; venne eletta a suffragio universale un'assemblea costituente che proclamò la Repubblica romana, dichiarando la fine del potere temporale del papa. La nuova Repubblica si diede una avanzata Costituzione democratica e un governo retto da un triumvirato (Mazzini-Saffi-Armellini); il comando delle truppe venne affidato a Giuseppe Garibaldi
- In Toscana, fuggito il granduca Leopoldo II, si costituì un governo provvisorio.
I democratici, che sognavano un Repubblica con capitale Roma, potevano sperare:
- La sconfitta di Carlo Alberto dimostrava la validità delle tesi mazziniane di una rivoluzione popolare
- La fine di Metternich poteva forse cancellare il ruolo severo dell'Austria di custode della Restaurazione
LA SCONFITTA DELLE REPUBBLICHE DEMOCRATICHE. Carlo Alberto cercò la rivincita decise di riprendere la guerra contro l'Austria, ma:
- Il suo esercito, demoralizzato e disorganizzato, fu sconfitto definitivamente a Novara
- Egli dovette abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II
- Il nuovo re firmò con Radetzky l'armistizio di Vignale
Come conseguenza di ciò:
- Ferdinando II riconquistò la Sicilia
- Luigi Bonaparte (per ottenere in consenso dei cattolici e del clero francese) inviò truppe in aiuto di Pio IX, che aveva invocato l'aiuto delle potenze cattoliche. Nonostante la strenua rsistenza dei volontari repubblicani, Roma fu conquistata dai reazionari.
- Dopo un lungo assedio, cadde anche la Repubblica di Venezia.
QUALI PROSPETTIVE PER IL FUTURO? I moti del '48 erano falliti per:
- Le divisioni interne ai movimenti liberali
- Le diffidenze reciproche fra i sovrani
- Il prevalere di interessi autonomistici
- L'improvvisazione politica e l'impreparazione militare
Tuttavia i progetti unitari e nazionali avevano avuto l'appoggio sia del ceto borghese sia delle masse popolari. Decisiva fu inoltre la volontà del nuovo sovrano Vittorio Emanuele II di non abrogare lo Statuo Albertino. Il Regno di Sardegna si era rivelato l'unico Stato in grado di contrastare l'Austria, ma la Prima guerra di indipendenza aveva dimostrato la necessità di cercarsi un alleato: l'unica scelta possibile era il nuovo regime francese.
LE DIVERSE ITALIE ECONOMICHE
UNO  SGUARDO GENERALE.L'Italia di questi  decenni era un paese economicamente arretrato e assai poco industrializzato.  La popolazione era oppressa in gran parte da una diffusa povertà e, presa dai  problemi della sopravvivenza quotidiana, poco  o nulla alfabetizzata, doveva  necessariamente rinunciare alla partecipazione politica.
  Va  precisato però che la fisionomia economica dell'Italia a metà Ottocento non  era affatto uniforme.
LE DIVERSE ITALIE RURALI.
Il Lombardo-Veneto e il Piemonte erano le aree più sviluppate della penisola:
- C'era una moderna agricoltura mista (cereali integrati con l'allevamento del bestiame)
- Si coltivavano: frumento, mais, riso, lino e canapa
- C'erano aziende agricole medie e grandi, gestite da un'imprenditoria dinamica
- Accanto ai proprietari prosperavano i fittavoli, che avevano tutto l'interesse a far rendere al meglio i terreni
- I fittavoli si giovavano poi del lavoro dei braccianti, operai agricoli ingaggiati in cambio di un salario
In Toscana, Umbria e Marche:
- Resistevano forme più arcaiche di conduzione agricola, in particolare la mezzadria. Il mezadro lavorava la terra del proprietario (podere) facendo a metà di tutto. Ciò assicurava cura e impegno per le terre ma consentiva solo bassi livelli i produttività.
Le regioni centro-meridionali:
- Erano caratterizzate dal latifondo: grandi estensioni di terreno, quasi sempre coltivate a grano; appartenevano a famiglie nobili o enti ecclesiastici, che poco o nulla si accontentavano della terra e si accontentavano di spremere, dal lavoro dei contadini, la più alta resa possibile.
- Era poi diffusa anche la piccolissima proprietà contadina, sempre in difficoltà.
- Nele fertili pianure di Palermo, Catania, Reggio Calabria e nella costiera amalfitana si ricavavano ricchi raccolti (vite, olivi, agrumi)
Comune alle diverse "Italie rurali" era una produzione agricola quasi solo orientata all'autoconsumo, con limitatissimi scambi fra gli Stati della penisola. Mancava in sostanza un mercato nazionale.
GEOGRAFIA DELL'INDUSTRIA  ITALIANA. Commerci, manifatture e industrie erano poco presenti nell'Italia  di metà Ottocento e, in generale, si impiantarono là dove l'agricoltura stava  facendo i maggiori progressi: dunque nell'Italia settentrionale, specialmente  in Lombardia e Piemonte. 
  Il primo nucleo di  industrializzazione nel nord Italia fu la seta, di cui l'Italia era il  maggior produttore mondiale dopo Cina e Giappone.
  L'industria del sud (tessile, alimentare, dei cantieri navali e delle maioliche a  Napoli) benchè fosse quantitativamente meno sviluppata (mancanza di capitali,  povertà delle polazioni, mancanza di strade e ferrovie), non era molto più  arretrata dal punto di vista qualitativo. 
CAVOUR E IL PIEMONTE
IL REGNO SABAUDO. Vittorio Emanuele II, nonostante le sconfitte del '48, capì che non si poteva più tornare indietro e perciò non abrogò lo Statuto Albertino, facendo del regno sabaudo un'eccezione tra gli Stati italiani e un punto di riferimento per i patrioti della penisola.
Lo Statuto Albertino prevedeva:
- Un Senato di nomina regia
- Una Camera dei deputati eletta a suffragio ristretto. Nel '49 erano in maggioranza i deputati progressisti (oggi diremmo "di sinistra") che volevano proseguire la guerra con
- l'Austria.
Il  Governo moderato, presieduto da Massimo  D'Azeglio, non riuscì infatti a farle  approvare la pace con l'Austria.
  Il Re  così sciolse la Camera e col "proclama di Moncalieri"  chiese al suo paese di favorire la formazione di un Parlamento più conciliante.  Così fu e venne ratificato il trattato di pace con l'Austria.
  D'Azeglio  però non si arrese e lottò (come il suo successore Cavour) affinche tutte le  decisioni del governo dovessero essere approvate dalla Camera, e non dal Re, come  prevedeva lo Statuto Albertino.
DA D'AZEGLIO A CAVOUR. Nel "decennio di preparazione" in cui il Regno di Sardegna si preparò ad assumere la guida dell'unificazione:
- Lo Stato fu riorganizzato in senso liberale. Con le "leggi Siccardi" vennero aboliti gli anacronistici privilegi del clero (tribunale ecclesiastico e diritto d'asilo)
- Cadde il governo D'Azeglio
- Il nuovo governo fu guidato da Camillo Benso conte di Cavour, leader moderato, fautore di un liberalismo che accelerasse il progresso economico, civile e politico del regno
Cavour ottenne una solida maggioranza parlamentare con la tattica detta del "connubio":
- Costituì in Parlamento una salda alleanza fra la destra liberale (da lui capeggiata) e la sinistra moderata di Urbano Rattazzi
- Isolò così l'estrema destra clericale, la sinistra più radicale e le ingerenze della corte
LA MODERNIZZAZIONE DEL PIEMONTE. Cavour si dedicò in primo luogo alla modernizzazione dell'economia piemontese:
- Liberalizzò i commerci
- Diede avvio a molte opere pubbliche: canali per rilanciare l'agricoltura e la ferrovia per sostenere la crescita dell'industria siderurgica e meccanica, dislocata in Liguria. Tutto ciò contrastava fortemente con l'immobilismo dei Borbone in meridione e con la politica passiva austriaca nel lombardo-veneto.
- Per realizzare la modernizzazione Cavour utilizzò tutto il peso dell'intervento dello Stato, tanto da fare andare in deficit il bilancio statale.
- Svecchiò la burocrazia a favore di un ceto borghese più dinamico e moderno
Completò  la politica ecclesiastica avviata da D'Azeglio: l'istruzione venne laicizzata e  resa pubblica; diversi organi religiosi vennero soppressi e i loro beni incamerati; il governo aveva potere d'intervento anche nelle nomine vescovili.
  Nei  rapporti con la Chiesa egli seguiva il criterio liberale, basato sull'autonomia  delle due sfere, religiosa e civile. Era il principio della "libera Chiesa in libero Stato", poi solennemente affermato nel 1861.
UN FARO PER LA SOCIETA' ITALIANA. Falliti nuovi tentativi insurrezionali organizzati dalle frange mazziniane e democratiche, la politica mazziniana dell'unificazione "dal basso" con sbocco repubblicano, appariva ormai irrimediabilmente compromessa. Solo la politica di Cavour sembrava in grado di portare a compimento la "rivoluzione italiana".
LA  POLITICA ESTERA DI CAVOUR. Cavour era  convinto che per risolvere la questione  italiana sarebbe stato necessario coinvolgere altri stati europei, in primis Francia e Inghilterra, le potenze più  interessate a modificare gli assetti politici del Congresso di Vienna.
  Egli  decise quindi di inserire il Piemonte nel vivo della diplomazia europea.
L'occasione gli si presentò con la guerra di Crimea(1854-1855) che vedeva:
- Da una parte la Russia dello zar Nicola I
- Dall'altra un'alleanza di Impero Ottomano con Francia e Inghilterra che si erano opposte al tentativo russo di espansione nei Balcani, ai danni del Sultano, e avevano dichiarato guerra allo zar.
Cavour, vinta l'opposizione di Re e Parlamento, inviò in Crimea 15.000 uomini guidati dal generale La Marmora, che si fecero onore nella battaglia della Cernaia.
La Russia fu sconfitta, e Cavour fu invitato al Congresso di pace di Parigi.
In quella sede il Piemonte:
- Non ottenne vantaggi territoriali
- Ma Cavour sollevò di fronte agli stati europei il problema italiano (egemonia austriaca al nord e oppressione borbonica al sud che impedivano riforme e fomentavano agitazioni) e ottenne l'interessamento soprattutto di Napoleone III che voleva favorire le aspirazioni indipendentiste di Italia e Germania per poterle attrarre nell'orbita francese
L'ALLEANZA CON LA FRANCIA.  Anche l'attentato che Felice Orsini (mazziniano  esule in Francia) fece a Napoleone III servì a Cavour per dimostrare la gravità  delle tensioni nella penisola.
  Nel luglio 1858, con un incontro  segreto, Cavour e Napoleone III stipularono gli accordi di Plombieres. 
  Tali  accordi prevedevano un'alleanza militare che sarebbe entrata in azione in caso  di attacco diretto dell'Austria al Regno di Sardegna.
Dopo l'eventuale conflitto la penisola sarebbe stata divisa in 3 parti:
- Un Regno dell'Alta Italia (comprese le province pontificie) affidato a Vittorio Emanuele II
- Un Regno dell'Italia centrale (meno il Lazio, lasciato al Papa), affidato a Gerolamo Bonaparte
- Un Regno dell'Italia meridionale, retto da un erede di Gioacchino Murat e quindi legato alla corona francese
I tre Stati sarebbero stati legati tra loro in una Confederazione presieduta dal Papa (Napoleone voleva garantrsi il favore dei cattolici francesi)
Per compensare l'appoggo militare, il Piemonte avrebbe ceduto a Napoleone III la regione alpina della Savoia e la città di Nizza.
Rimaneva ora a Cavour un ultimo problema: farsi dichiarare guerra dall'Austria.
VERSO IL CONFLITTO CON L'AUSTRIA. Subito dopo gli accordi, Napoleone si pentì,  pressato dagli altri Stati che temevano uno sconvolgimento degli equilibri  internazionali.
  Anche nel Regno Sabaudo le concessioni fatte a Napoleone a  Plombieres non piacquero a molti.
  Ma l'Austria compì un passo avventato: visto che il Piemonte stava  ammassando uomini e mezzi sul confine, mandò a Torino un duro ultimatum. 
  L'ultimatum fu respinto e il 26 aprile 1859 l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna.
LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA.  Cominciò così la seconda guerra di indipendenza.
  Le armate austriache passarono il Ticino e furono duramente  sconfitte dall'esercito franco-piemontese a Palestro, Montebello e Magenta.
  L'8 giugno 1859 Vittorio  Emanuele II entrò trionfalmente a Milano a fianco di Napoleone III.
  Nel frattempo Garibaldi, con i Cacciatori delle Alpi,  liberava Como, Varese, Bergamo e Brescia.
  Successivamente  gli Austriaci vennero sconfitti a San Martino (dai  piemontesi) e a Solferino (dai francesi).
  Le  perdite furono enormi da entrambe le parti e all'armarono l'opinione pubblica  internazionle: nacque allora la Croce rossa internazionale (poi riconosciuta nel 1864).
  In  tutti i Regni settentrionali i sovrani  fuggirono e nacquero governi provvisori, che immediatamente chiesero  l'annessione al Regno di Sardegna.
  In  Umbria e nelle Marche la rivolta fu invece repressa duramente dalle truppe  papaline.
L'ARMISTIZIO DI VILLAFRANCA. Napoleone era preoccupato:
- Dall' ostilità con il papato
- Dall'appoggio popolare alla monarchia sabauda che avrebbe potuto ostacolare la creazione nelle zone libere i previsti regni filofrancesi
- La formazione, al contrario, di un forte stato vicino a lui
- La riorganizzazione dell'esercito austriaco che avrebbe comportato una nuova guerra
- La minaccia che la Prussia si alleasse conl'Austria
Così Napoleone III, senza preavvisare l'alleato piemontese, l'11 luglio 1859 si incontrò segretamente con Francesco Giuseppe a Villafranca, dove firmò un armistizio che prevedeva:
- La cessione da parte dell'Austria della Lombardia alla Francia, che poi l'avrebbe consegnata al Regno Sabaudo
- Il ritorno sui loro troni, in cambio di ciò, dei Re spodestati nell'Italia centrale
Questo armistizio fu una  pugnalata per le speranze italiane. Cavour protestò con Napoleone, ma visto che Vittorio  Emanuele II intendeva accettare l'armistizio si dimise.
  Gli accordi di pace vennero ratificati a Zurigo.
IL REGNO SABAUDO SI ALLARGA. La pace lasciava irrisolte due questioni:
- Il rientro dei sovrani sui troni dell'Italia centrale era osteggiato dalle popolazioni che elessero assemblee rappresentative che votarono l'adesione di queste regioni al Piemonte (con l'appoggio nascosto dell'Inghilterra che voleva limitare il potere francese)
- Napoleone III non poteva esigere l'annessione di Nizza e Savoia vista l'interruzione della guerra
A sbloccare questa situazione giunse il ritorno al Governo di Cavour che ottenne l'assenso di Napoleone all'annessione al Piemonte degli stati dell'Italia Centrale, in cambio della cessione alla Francia di Nizza e della Savoia.
Plebisciti attentamente preparati sancirono così l'annessione al Piemonte di Emilia e Toscana.
Il Regno Sabaudo quindi adesso comprendeva:
- Il Piemonte
- La Liguria
- La Sardegna
- La Lombardia
- L'Emilia-Romagna
- La Toscana
Mancavano all'appello:
- Il Veneto e Venezia
- Roma
- L'Umbria
- Le Marche
- Il Lazio
- Il Mezzogiorno e le isole
A completare il successo di  Cavour, con le nuove elezioni, ci fu la vittoria dei moderati, a  discapito delle forze mazziniane e repubblicane. 
  Queste forze però erano destinate  a riprendere presto l'iniziativa, proprio grazie a Garibaldi.
L'IMPRESA DEI MILLE E IL REGNO D'ITALIA
LA  SICILIA NEL MIRINO. In questo contesto  Cavour doveva fare molta attenzione a non compromettere la situazione  internazionale, in quanto aveva ottenuto l'appoggio di Francia e Gran  Bretagna presentandosi come il garante, nella penisola, dell'ordine e della  legalità.
  Con  l'attendismo di Cavour contrastava il fervore dell'opinine pubblica e potè  così riprendere fiatol'iniziativa di democratici e mazziniani, fondatori di  un Partito d'azione che auspicava:
- Uno Stato di forma repubblicana
- Elezioni democratiche
- Libertà di stampa e di pensiero
Intanto sul trono delle Due Sicilie, morto il padre Ferdinando II, era salito il  giovane Francesco II, che sordo a ogni  richiesta aveva confermato il dispotismo dei predecessori, alimentando  gravissime tensioni interne.
  Nel marzo 1860 Mazzini scrisse una lettera ai  Siciliani invitandoli a insorgere: la prima rivolta, scoppiata a Palermo, guidata da Francesco Crispi, e, repressa, divampò poi nei  centri minori e nelle campagne.
  Sollecitato dai mazziniani  siciliani, Giuseppe Garibaldi cominciò ad arruolare volontari e il Governo Sabaudo non intervenne a  fermarlo per due motivi:
- Nel clima di quei mesi sarebbe stato difficilissimo opporsi all'azione di Garibaldi e dei democratici
- Vittorio Emanuele II era segretamente favorevole all'impresa (tanto che finanziò l'acquisto delle armi)
L'IMPRESA DEI MILLE. Tra  il 5 e il 6 maggio 1860 un migliaio di volontari (intellettuali, operai e  artigiani), sotto la guida di Garibaldi,  salpò da Quarto,  presso Genova, su due vecchi bastimenti, il Piemonte e il Lombardo (ufficialmente rubati, in realtà procurati dal Regno di Sardegna).
  L'11 maggio i Mille sbarcarono a Marsala, sotto la protezione delle navi  inglesi e Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia assumendo i  poteri in nome di Vittorio Emanuele II.
  Il 15 maggio le truppe  garibaldine sconfissero quelle borboniche a Calatafimi, guadagnandosi l'appoggio delle popolazioni  locali: nel giro di poche settimane i Mille divennero un vero e proprio  esercito. A muovere i contadini in massa per la prima volta, non fu l'obiettivo  dell'unificazione ma la volontà di appropriarsi della terra, liberandosi  da ingiustizie secolari.
  A Bronte i contadini massacrarono i nobili  locali, provondo di repressione spietata del luogotenente garibaldino Nino Bixio, che avvicinò così alla causa  garibaldina nobili e borghesi.
  Dopo l'occupazione di Palermo, Garibaldi  sconfisse i borbonici a Milazzo,  passò lo stretto e sbarcò in Calabria.
  Per salvare il salvabile Francesco II ripristinò la Costituzione  del 1848, ma non servì a nulla.
  Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli, accolto da liberatore.  Il giorno prima Francesco II si era rinchiuso nella fortezza di Gaeta.
La conquista di Garibaldi parve incredibile agli occhi del mondo. In realtà il Regno delle Due Sicilie era una struttura così antica e deteriorata che un piccolo urto fu sufficiente per farla disintegrare.
VITTORIO EMANUELE II RICEVE UN REGNO IN DONO. La vittoria di Garibaldi rappresentava però un problema per Cavour:
- Garibaldi infatti aveva ridato forza all'iniziativa dei repubblicani e quindi c'era il rischio che in metà della penisola si instaurasse una repubblica democratica
- Se avesse proseguito fino ad occupare lo Stato Pontificio e Roma, come era sua intenzione, avrebbe certamente provocato l'intervento di Francia e Austria
Era dunque necessario intervenire e sbarrare al più presto a Garibaldi la strada per Roma. 
  Un grande esercito piemontese  entrò nello Stato Pontificio, sconfisse le truppe papaline a Castelfidardo e proseguì  la sua marcia su Napoli.
  Garibaldi intanto aveva  nuovamente sconfitto i borbonici sul fiume Volturno.
Il 26 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II incontrò  personalmente Garibaldi a Teano (Caserta): il generale rimise  ogni potere nelle mani del monarca sabaudo. 
  Dieci giorni dopo Garibaldi  attese invano che il Re rendesse omaggio ai suoi uominischierati davanti alla  Reggia di Caserta: deluso si ritirò nell'isola di Caprera.
  Con due distinti plebisciti,  le popolazioni dell'ex Regno delle Due Sicilie e quelle di Marche e Umbria (ex pontificie) approvarono l'annessione al Regno di Sardegna.
All'inificazione, ottenuta grazie al contributo decisivo dei democratici, mancavano ancora:
- Roma
- Il Lazio
- Il Veneto
17 MARZO 1861: SI PROCLAMA L'UNITA' D'ITALIA.
Il 17 marzo 1861, a Torino, il primo Parlamento dell'Italia unita, a  schiacciante maggioranza liberale, proclamò solennemente la nascita del Regno  d'Italia.
  Pochi giorni dopo, il 6 giugno,  morì Cavour, lasciando il giovane Regno orfano della sua guida illuminata di  statista.
LA DESTRA STORICA AL POTERE
I GRUPPI POLITICI. Nel Parlamento del nuovo Regno si confrontavano due gruppi politici distinti:
- Nei banchi di destra sedevano i moderati, liberali conservatori, seguaci di Cavour
- Nei banchi di sinistra sedevano i democratici e i progressisti, molti di ispirazione mazziniana e garibaldina e dunque di idee repubblicane
Le prime elezioni politiche (27 gennaio 1861) diedero la maggioranza parlamentare alla Destra (chamata poi dagli studiosi "Destra storica" per distinguerla dai movimenti conservatori e reazionari di epoche successive), un gruppo omogeneo, formato da nobili e ricchi borghesi con obiettivi economici e sociali comuni.
Destra e Sinistra storiche erano  in realtà due schierameni meno distanti della Destra e della Sinistra attuali. 
  Entrambi i gruppi:
- Condividevano l'ideologia liberale
- Tendevano, poco democraticamente, a escludere il popolo dalle decisioni più importanti
Essi però differivano in quanto:
- La Destra storica rappresentava gli interessi dei grandi proprietari terrieri e degli imprenditori agricoli centro-settentrionali, i quali appoggiavano pienamente la politica liberista del Governo
- La Sinistra storica aveva invece il suo elettorato nella media e piccola borghesi delle professioni e del commercio
ACCENTRAMENTO  O DECENTRAMENTO. L'Italia unita era in  realtà un Paese ancora diviso da barriere secolari fatte di tradizioni e  culture diverse (solo 650mila cittadini sapevano parlare la lingua  italiana; 21 milioni parlavano una miriade di dialetti).
  Come  unificare l'Italia? Emersero due linee:
- Quella del centralismo intendeva accentrare tutti i poteri nelle mani del Governo ed estendere le leggi del Regno di Sardegna alle nuove regioni annesse
- Quella del decentramento (proposta dal ministro Marco Minghetti) prevedeva la formazione di un nuovo istituto, le Regioni (intermedio fra i Comuni, le Province e lo Stato), alle quali il ministro proponeva di concedere una certa autonomia, in quanto lo Stato andaa costruito con gradualità
Prevalse la soluzione dell'accentramento, per paura, in questo contesto ancora fragile, delle spinte democratiche e repubblicane ancora molto forti in alcune zone del Mezzogiorno.
IL RUOLO DEI PREFETTI. Così  il 22 dicembre 1861 il governo Ricasoli estese a tutta l'Italia la legge comunale e provinciale esistente nel Piemonte.
  Le 59 province del Regno  vennero sottoposte al controllo di un prefetto nominato dal ministro dell'interno. Anche i sindaci erano di nomina regia e sottoposti al controllo  prefettizio.
  La figura chiave era dunque  quella dei prefetti, rappresentati del governo in ogni provincia, che controllavano  l'ordine pubblico, la sanità, la scuola, la nomina dei sindaci e dei deputati.
  Non a caso la gran maggioranza  dei prefetti era piemontese.
LA "PIEMONTESIZZAZIONE" DELL'ITALIA. A tutto il Regno fu esteso lo Statuto Albertino, che permise a Vittorio Emanuele II di continuare a esercitare notevoli poteri anche perchè il Senato era tutto di nomina regia.
La giustizia:
- Non era considerata un potere autonomo ma un ordine sottoposto al controllo del governo
- Nel 1865 vennero promulgati un nuovo codice civile e un regolamento di pubblica sicurezza
La scuola:
- Nel 1862 fu estesa a tutto il Regno la Legge Casati (già dal '59 nel Regno di Sardegna) che prevedeva 4 anni di scuola elementare gratuita e obbligatoria (solo il 10% sapeva leggere e scrivere)
L'esercito:
- Fu reso obbligatorio il servizio militare anche nel resto d'Italia
- Ciò generò proteste soprattutto al Sud, che perdeva braccia indispensabili alla coltivazione dei campi.
Il Commercio:
- Venne estesa a tutto il Regno la politica liberista
- Furono quindi soppresse tutte le barriere doganali
SI CONCLUDE IL RISORGIMENTO
L'UNITA' DA COMPLETARE. Quando fu proclamato il Regno d'Italia, abbiamo visto che mancavano all'appello, perchè ancora sotto il dominio austriaco:
- Il Veneto
- Il Trentino
- Il Friuli
Rimanevano ancora inoltre nelle mani del Pontefice:
- Roma
- Il Lazio
A Destra come a Sinistra era unanime il desiderio di vedere completata l'unità, ma vi erano divergenze sui mezzi da adottare:
- La Destra preferiva un'azione diplomatica che tenesse conto degli equilibri europei
- La Sinistra e i mazziniani volevano una nuova "guerra del popolo"
LA TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA.  Nel  1866, quando scoppiò la guerra  austro-prussiana, il Regno  d'Italia non si lasciò sfuggire l'occasione di allearsi con la Prussia.
  Questa guerra combattuta contro  gli austriaci fu chiamata Terza guerra di indipendenza.
  L'esercito italiano,  largamente impreparato, venne duramente sconfitto a Custoza e a Lissa.
  Solo i Cacciatori delle Alpi, un corpo di volontari  al comando di Giuseppe Garibaldi, ottennero  una vittoria.
  Ma gli Austriaci furono  duramente sconfitti dai Prussiani a Sadowa e quindi l'armistizio che seguì  obbligò Garibaldi ad arrestare la sua  avanzata a malincuore, col celebre telegramma "Obbedisco".
Dal successivo trattato di pace di Vienna l'Italia ottenne:
- Il Veneto
- Il Friuli occidentale
In mano austriaca dunque erano rimasti:
- Il Trentino
- Il Friuli orientale, che comprendeva Gorizia e Trieste
La convinzione che questi territori appartenessero naturalmente all'Italia diede vita al cosiddetto "irredentismo", il movimento di liberazione delle terre "non redente" dal dominio straniero, destinato a trascinarsi fino alla vittoria nella Prima guerra mondiale.
LA QUESTIONE ROMANA. Senza Roma capitale l'unione d'Italia non era completa, ma tale risultato sembrava sbarrato da più motivi:
- Napoleone III conservava a Roma un corpo militare allo scopo di proteggere il potere temporale temporale sullo Stato della Chiesa, ormai ristretto A Roma e Lazio
- Quasi tutta la popolazione italiana era di religione cattolica e molto forte risultava la compenetrazione tra Chiesa e società molte associazioni assistenziali, culturali e caritative erano in mano della Chiesa e metà degli insegnanti della scuola pubblica era costituita da sacerdoti
- La dottrina cavouriana della "libera Chiesa in libero Stato" si scontrava all'epoca con l'idea che il cattolicesimo fosse la naturale religione di Stato e dovesse dunque godere di privilegi e favori. Impensabile dunque che il Papa cedesse Roma dopo che lo Stato gli aveva tolto l'Umbria e le Marche
- La mentalità conservatrice a cui Pio IX si era via via orientato. Fin dal 1861 Pio IX negò ai cattolici la partecipazione alla vita del Ragno d'Italia con lo slogan "nè eletti nè elettori"
- Nel 1864 poi il Papa emanò un Sillabo, cioè un elenco di "pestilenze" che affliggevano l'umanità: in primis quella dell'autonomia dello Stato dalla Chiesa
- Davanti alle garanzie diplomatiche più volte offertegli circa la libertà della Chiesa in Italia, Pio IX oppose un netto rifiuto
I TENTATIVI FALLITI DI  GARIBALDI. Tra i più decisi a ottenere Roma vi erano i democratici, tra cui Mazzini e Garibaldi. Con lo  stesso stratagemma dei volontari, per non turbare la Francia, il Regno  consentì a Garibaldi di riunire in Sicilia circa 2.000 camicie rosse, per poi  marciare alla conquista di Roma. Ma Napoleone III dichiarò che avrebbe  difeso il Lazio con le sue truppe e così il Re si dissociò dall'iniziativa.
  Il governo della Destra avviò  così trattative segrete con Napoleone III e giunse alla Convenzione di Settembre,  che prevedeva:
- Il ritiro delle truppe francesi dal Lazio entro due anni
- L'impegno, in cambio, del Governo italiano a spostare la capitale da Torino in un'altra città, come segnale della definitiva rinuncia all'annessione di Roma
Perciò nel giugno 1865, nonostante numerose proteste, il Parlamento deliberò il trasferimento della capitale a Firenze.
Garibaldi non rinunciò però alla conquista di Roma e nel 1867 marciò verso la città con un migliaio di volontari, ma il Re questa volta, temendo una definitiva rottura dei rapporti con la Francia, non lo appoggiò; non insorsero neanche i cittadini romani, e i garibaldini furono sconfitti a Mentana dalle truppe franco-pontificie.
LA CADUTA DI NAPOLEONE III. Bisognò attendere la sconfitta della Francia a Sedan (2 settembre 1870) nella guerra franco-prussiana, e la  conseguente caduta di Napoleone  III, per una nuova spedizione alla volta di Roma, dove le truppe  francesi ancora presenti erano già state richiamate il patria.
  Fallito l'ultimo tentativo di  un'annessione pacifica, il 20 settembre 1870 un  gruppo di bersaglieri, al comando di La Marmora, si aprì a cannonate un varco  nele antiche mura aureliane, presso Porta Pia, ed entrò a  Roma.
  Il 13 marzo 1871 il Governo  italiano emanò una serie di norme, la "Legge delle Guarentigie",cioè delle  "garanzie", che prevedevano per il Papa:
- Inviolabilità e piena autorità sul Vaticano
- Diritto di rappresentanza diplomatica
- Introito annuo di 3.225.000 lire (pari a 14 milioni di euro attuali) per il mantenimento della sua persona e dei Palazzi
Ma Pio IX:
- Rifiutò categoricamente la legge
- Si dichiarò prigioniero politico
- Con il "Non expedit" ("non bisogna") esortò i cattolici a non partecipare alla vita politica del nuovo Stato
Il 20 settembre 1870 pose fine al millenario potere temporale dei Papi, ma non alla "questione romana", destinata a risolversi solo nel 1929 con i Patti Lateranensi.
SOCIETA' ED ECONOMIA DELL'ITALIA UNITA
L'ITALIA: UN PAESE PREVALENTEMENTE AGRICOLO. Al momento dell'Unità, gli italiani erano prevalentemente contadini (70%), mentre gli operai erano una ristretta minoranza (18% ).
- Al Nord erano molto diffusi i braccianti. Le grandi aziende capitalistiche si servivano infatti di manodopera salariata, mal pagata e senza fissa dimora
- Nel Centro Italia prevaleva la figura del mezzadro, con condizioni contrattuali più sfavorevoli rispetto al passato (più resa per i proprietari e aumento degli oneri di affitto)
- Al Sud la proprietà era in mano ai latifondisti, che facevano coltivare i terreni a braccianti e giornalieri, i cui redditi a stento garantivano la sopravvivenza
IL BRIGANTAGGIO NEL  MEZZOGIORNO. I contadini del Sud avevano sostenuto l'impresa dei Mille  nella speranza di una riforma agraria volta alla ridistribuzione  delle terre. 
  La realtà dopo l'Unità fu però  ben diversa, in quanto la Destra Storica:
- Non era interessata a una riforma agraria
- Inasprì il sistema fiscale
- Rese obbligatorio il servizio militare
Per reazione, migliaia di  lavoratori rurali, armati di schioppo, presero la via delle montagne e si organizzarono  in bande di briganti. In  pochi mesi il brigantaggio si estese all'intero Mezzogiorno, finanziato dai  Borboni in esilio, che speravano in un ritorno al potere.
Queste bande saccheggiavano e  uccidevano, soprattutto i cosiddetti "galantuomini", borghesi  che con l'Unità si erano appropriati delle terre demaniali. 
Distruggevano poi gli archivi comunali, per evitare la chiamata alle  armi e i passaggi di proprietà.
Il brigantaggio era dnque una rivolta popolare, segno di un malessere profondo che doveva  essere affrontato con riforme strutturali volte a migliorare le condizioni di  vita delle masse contadine. Ma la soluzione scelta dal Governo di  Torino fu ben diversa. 
Venne inviato nel Mezzogiorno un esercito  di 100.000 uomini (la metà dell'esercito nazionale) che represse duramente la guerriglia, a prezzo di 18.000 morti.
L'OBIETTIVO ECONOMICO DELLA  DESTRA STORICA. All'unificazione politica della Penisola bisognava  affiancare quella economica. 
  Secondo la Destra, sostenitrice elle dottrine liberiste,  era necessario creare un unico, grande mercato  nazionale, in modo che le merci potessero circolare più facilmente  in tutta la penisola. Quindi:
- Si abolirono quindi i dazi e le barriere doganali interne
- Furono unificate le tariffe doganali verso l'estero
- Vennero adottati dazi d'entrata molto bassi per le merci straniere
Tali scelte, come vedremo, esposero l'economia italana a una forte concorrenza estera.
UNA RETE FERROVIARIA NAZIONALE.  Per rendere efficiente il nuovo mercato nazionale occorreva far viaggiare le merci rapidamente e a costi non  troppo alti. 
  La ferrovia però non esisteva  negli ex domini pontifici e borbonici. 
  Così tra i primi obiettivi del  Governo vi fu la realizzazione di un'efficiente rete  di comunicazioni stradali e ferrovie, a livello nazionale. 
  Per la costruzione di queste  infrastrutture però si utilizzarono quasi solo tecnologie e materiali  importati dall'estero, e non si innescò quindi un effetto di crescita  industriale interna.
GLI EFFETTI DEL LIBERISMO  ECONOMICO. La politica liberista della Destra, aperta agli scambi  internazionali, favorì lo sviluppo delle coltivazioni specializzate dirette  all'esportazione e un'agricoltura di tipo capitalistico al Nord e in Emilia  Romagna; grazie alle nuove vie di comunicazione, i prodotti industriale del  Nord giunsero fino alle aree più remote del Sud.
  Purtroppo però il liberismo fece crollare l'industria al Sud,  meno sviluppata e incapace di reggere la concorrenza. Il Sud fu, di fatto, condannato ad essere una regione  agricola.
  Il liberismo decretò anche la fine dell'artigianato locale e dell'industria a domicilio,  che con la tessitura del lino e della canepa dava lavoro a più di 300mila  contadini. Con la diffusione della tecnologie e dei suoi bassi prezzi, questi  contadini vennero così privati del loro tradizionale lavoro integrativo e  dovettero occuparsi come operai salariati nelle fabbriche. 
  Ciò toccò anche la produzione dei generi alimentari: la fabbricazione  di latticini e salumi e la produzione di farina, vino, olio, strumenti da  lavoro agricoli e materiali da costruzione, venne a poco a poco assorbita dalle  nuove industrie meccanizzate.
DEFICIT E IMPOSTE. Per  costruire ferrovie, organizzare la nuova burocrazia e fornire i servizi più  indispensabili, il nuovo stato unitario doveva spendere  somme enormi.
  Il bilancio statale era  paurosamente in deficit ma il raggiungimento del pareggio  di bilancio pareva fondamentale; le dottrine liberiste infatti  esigevano un equilibrio fra entrate e uscite.
  Per ottenere ciò non bastavano  però i prestiti contratti con l'estero nè un'amministrazione oculata delle  uscite: l'unica via possibile era inasprire la  pressione fiscale.
  La Destra scelse di aumentare non tante le imposte dirette (in base al reddito), ma quelle indirette, gravanti sulle singole merci di consumo  (farina, sale, fiammiferi...), che gravarono enormemente sui poveri, la  maggioranza della popolazione.
  Fu adottato poi il corso forzoso della moneta (cioè fu sospesa la convertibilità delle  banconote in metallo prezioso), oggi normale ma nell'800 operazione scorretta.  Con il corso forzoso la lira si svalutò (vantaggio per lo Stato che vide  alleggerire i suoi conti), ma aumentò l'inflazione,  per cui aumentò il costo della vita a danno della gente comune.
LA TASSA SUL MACINATO.  Tutto ciò aggravò le misere condizioni dei contadini e degli operai,  determinando una grave tensione sociale.
  La situazione peggiorò quando,  nel 1869, entrò il vigore una nuova imposta, la "tassa sul macinato",  da versarsi in proporzione alla farina macinata nei mulini e alla quale era  impossibile sfuggire.
  Nacque così un vasto moto di rivolta, soprattutto nelle campagne del  centro-nord, e la risposta del Governo fu repressiva:  reparti dell'esercito, guidati da Raffaele  Cadorna, repressero le rivolte nel sangue.
SI ESAURISCE LA DESTRA STORICA. Nonostante queste tensioni, nel 1875 la Destra riuscì a raggiungere il pareggio di bilancio, grazie soprattutto all'ottimo ministro delle finanze Quintino Sella.
L'Italia vide accrescere il proprio prestigio internazionale, ma pagò un prezzo troppo alto:
- Il popolo peggiorò il proprio tenore di vita
- La gente si sentiva ignorata dal governo centrale
La politica della Destra si era rivelata deficitaria, soprattutto
- Nello stimolare lo sviluppo industriale
- Nel porre rimedio all'aretratezza delle campagne
Anche i borghesi erano delusi dai risultati raggiunti.
Si erano create le premesse affinchè la Destra moderata d'ispirazione cavouriana, dopo un quindicennio di governo, fosse sostituita alla guida del Paese dalla Sinistra Storica.
LA SINISTRA AL POTERE
FINISCE IL RISORGIMENTO E SI APRE UNA PAGINA NUOVA. Con l'annessione del Veneto, di Roma e del Lazio, i problemi dell'unità nazionale erano finiti, ma ora  bisognava aiutare il paese a crescere e a svilupparsi. Sarà questo l'obiettivo della Sinistra storica.
  Il peso  eccessivo delle tasse imposte dalla Destra aveva allargato la distanza fra  i gruppi dirigenti e la società italiana.
  La Destra inoltre non rappresentava gli interessi e i bisogni del nuovo ceto industriale, che voleva:
- L'abbandono del liberismo, a favore di una politica economica in grado di "proteggere" l'industria italiana dalla concorrenza internazionale
- La riduzione delle tasse sui consumi (per evitare prodotti invenduti)
- Il miglioramento della situazione economica dei lavoratori
Gli interessi degli industriali e quelli dei lavoratori finivano così per coincidere, e fu proprio ciò a dare la maggioranza alla Sinistra nelle elezioni del 1876.
Gli obiettivi della Sinistra infatti erano:
- Sviluppo industriale
- Miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori
- Estensione del diritto di voto
- Decentramento amministrativo
LO SVILUPPO DELL'INDUSTRIA. Presidente del Consiglio divenne Agostino Depretis, che aveva basato i suoi comizi su:
- Allargamento del suffragio
- Elettività dei sindaci
- Allentamento e redistribuzione del carico fiscale
- Obbligatorietà dell'istruzione elementare
Lo stato cominciò allora a distribuire cospicue sovvenzioni: nacquero così la Pirelli (1872), la Terni (1884), le officine metallurgiche Breda e la prima centrale termoelettrica (il centro di Milano fu il primo d'Europa a essere illuminato elettricamente).
IL PROTEZIONISMO. Il dato saliente della politica economica della Sinistra fu l'abbandono del liberismo e l'adozione di una politica protezionista.
L'imposizione di tasse doganali ebbe però effetti contrastanti:
- Agevolò l'industrializzazione italiana
- Bloccò le campagne del sud alla coltivazione di cereali (coltura più facile)
- Aumentò e aggravò il divario fra Nord e Sud, al punto che proprio in quegli anni si iniziò a parlare di "questione meridionale"
Non a caso in quel periodo crebbe il fenomeno dell'emigrazione, soprattutto verso le Americhe.
LE PRINCIPALI RIFORME. Fra le principali riforme della Sinistra ricordiamo:
- La Legge Coppino (1887) che introdusse l'obbligo della frequenza scolastica
- La riduzione e poi l'abolizione dell'odiata tassa sul macinato
- Una nuova legge elettorale che aumentò i votanti dal 2% al 7% della popolazione
- Una prima legislazione sociale che limitava il lavoro dei fanciulli e prevedeva un'assicurazione per gli infortuni sul lavoro
LA  "QUESTIONE SOCIALE". Prese corpo  in quegli anni l'interesse per l'Italia  reale, che diede avvio ad alcune grandi inchieste,  che misero in luce l'arretratezza di alcune zone del paese. 
  Si  cominciò così a parlare di "questione sociale",  anche per l'influsso crescente, in Italia, delle idee socialiste e di quelle anarchiche.
  Nel 1892, per iniziativa di Turati, Costa e Labriola nacque a Genova il Partito dei lavoratori italiani, poi  ribattezzato Partito  Socialista Italiano (1895).
Anche il mondo cattolico avvertiva l'esigenza di rinnovare i suoi strumenti di intervento nella società e diede vita a una rete di banche popolari e di cooperative di natura solidaristica e interclassista; iniziative che rafforzarono la presenza cattolica, soprattutto nelle campagne; presenza che sarà ulteriormente rafforzata dalla Rerum Novarum di Leone XIII.
PRUDENZA  E TRASFORMISMO. Nonostante tutto ciò, le differenze sociali erano rimaste uguali, e il cauto riformismo della Sinistra prevedeva sempre la gestione del potere nelle mani di un'oligarchia  composta da proprietari terrieri, industriali, grandi commercianti e  professionisti, tutti accomunati dall'ideologia liberale.
  La  "rivoluzione" auspicata dalla sinistra dunque non ci fu: lo dimostra anche il fatto che molti deputati della  Destra confluirono nella Sinistra. Così Depretis potè contare su una larga  maggioranza parlamentare, procurandosi di volta in volta l'appoggio di deputati  conservatori. 
  Tale  disinvolto sistema di governo venne chiamato "trasformismo" e si attirò molte critiche, in quanto veicolo di  corruzione e di clientelismo.
LA  TRIPLICE ALLEANZA. Il campo in cui la  Sinistra si mostrò veramente rivoluzionaria rispetto alla Destra fu quello  della politica estera, che aveva sempre confermato l'alleanza con la Francia  contro l'Austria. 
  Nel  1881 però la Francia occupò la Tunisia, suscitando forti proteste da parte dell'Italia che mirava  a un'espansione coloniale in quei territori.
  Per  reazione, e per rompere l'isolamento diplomatico dell'Italia, i governi della  Sinistra conclusero, nel 1882, un trattato con la Germania e  l'Austria-Ungheria, chiamato Triplice alleanza. 
  Si  trattò di una scelta dolorosa perchè all'Austria si riconosceva implicitamente  il possesso dei territori "irredenti" Trento e Trieste.
L'ESPANSIONE  COLONIALE. Sempre nel 1882 il Governo  italiano acquistò dalla Società Rubattinoi territori intorno alla baia di Assab, sul Mar Rosso, in Etiopia. 
  Da  quella zona partì il primo tentativo di espansione coloniale dell'Italia in  Africa.
  Il negus,  l'imperatore etiopico, reagì all'espansione e annientò a Dogali una colonna militare italiana.
  Depretis  interruppe ogni tentativo di espansione coloniale, ma in Italia era ormai  attiva e operante la miccia del nazionalismo.
L'ITALIA DA CRISPI ALLA CRISI 
  DI FINE SECOLO
FRANCESCO  CRISPI. Alla morte di Agostino Depretis  divenne presidente del consiglio l'avvocato Francesco  Crispi,  principale consigliere politico di Garibaldi durante l'impresa dei Mille: era  stato dunque un politico rivoluzionario e repubblicano, ostile al  moderatismo di Cavour e ai Savoia.
  Poi  negli anni Ottanta era cambiato e aveva a poco a poco assunto posizioni  monarchiche, probabilmente influenzato da Otto von Bismarck, il "cancelliere di ferro"  che lui apprezzava molto.
  Egli  quindi, sulla scia di Depretis:
- Allargò cautamente la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica
- Assunse misure protezionistiche in economia
- Coltivò ambizioni coloniali
- Promosse una serie di riforme sociali, per esempio la riduzione dell'orario di lavoro
- Fu però più autoritario di Depretis e represse violentemente i moti operai di fine secolo
LE RIFORME DI CRISPI. Nei suoi 4 governi, dal 1887 al 1896, il suo autoritarismo non gli impedì dunque di operare delle riforme:
- Aumentò la presenza dello Stato nella vita civile, sociale ed economica del Paese
- Allargò ulteriormente il suffragio
- Fece sì che i sindaci (fino ad allora di nomina regia) venissero eletti direttamente dal popolo
- Abolì la pena di morte
- Cancellò il reato di sciopero
- Si impegnò molto per la costruzione di un sistema sanitario pubblico
- Cercò di mettere sotto il controllo governativo gli enti ecclesiastici di beneficenza
- Varò misure protezionistiche più rigide di quelle di Depretis, tanto da causare una vera e propria "guerra doganale" con la Francia
- Rafforzò i rapporti commerciali con la Germania e l'Austria-Ungheria, a fronte della Triplice Alleanza
LE AMBIZIONI COLONIALI. Nonostante la sconfitta a Dogali del 1887, forte dell'appoggio di Germania e Austria-Ungheria, Crispi non volle rinunciare alla conquista del corno d'Africa.
L'imperatore etiope Menelik, siglò con l'Italia il Trattato di Uccialli (1889), che stabiliva il protettorato italiano su diverse zone dell'Etiopia, della costa somala e su alcune città eritree.
Nel 1885 però l'Italia,  prendendo come pretesto un'interpretazione discordante del trattato, spinta  dagli spiriti dei nazionalisti, riprese la penetrazione  in Etiopia. 
  Il negus Menelik si oppose con  le armi e nel 1886 sconfisse pesantemente le truppe itaiane ad Adua.
  Questa  sconfitta inaspettata provocò disordini e manifestazioni, e Crispi fu costretto  a dimettersi.
LA CHIESA TORNA IN CAMPO. La Chiesa, di fronte alle esigenze delle grandi masse, cambiò profondamente atteggiamento.
Nel 1891, Leone XIII con l'enciclica Rerum Novarum:
- Riconobbe ai lavoratori il diritto di battersi per i propri diritti e per condizioni di vita migliori
- Invitava i cattolici a partecipare alla vita politica, in contrapposizione con il Non expedit
Nacquero inoltre:
- Società di mutuo soccorso
- Associazioni di carità
- Casse rurali impegnate a finanziare i mezzadri e i piccoli contadini
LA CRISI ECONOMICA. La rigida politica protezionistica di Crispi:
- Da una parte riuscì a difendere l'industria italiana dalla concorrenza straniera
- Dall'altra danneggiò fortemente l'economia delle regioni meridionali e del Veneto, che vivevano delle esportazioni dei loro prodotti agricoli
Aumentarono così le disuguaglianze economiche e il malcontento, e con essi le tensioni sociali. Nelle zone più colpite i disoccupati cominciarono ad emigrare verso Argentina, Brasile, Uruguay e Stati Uniti: circa 5 milioni di italiani tra il 1876 e il 1915.
IL SOCIALISMO SI ORGANIZZA. Nelle regioni in cui c'era una situazione economica distorta, si sviluppò il movimento operaio e nel 1992 nacque il Partito socialista italiano.
Fino ad alora a interpretare e rivendicazioni sociali egli operai e dei contadini erano stati gli anarchici, che avevano:
- Come obiettivo la distruzione dello Stato
- Come strumento politico la violenza
I socialisti invece:
- Avevano l'obiettivo di far pressione sulle classi borghesi, affinchè riformassero lo stato in senso più equo e solidale
- Il tutto attraverso politiche sociali a vantaggio delle classi lavoratrici
LA SVOLTA AUTORITARIA. Dopo Crispi tornò al potere la Destra che, spaventata  dall'integrazione delle masse lavoratrici nella vita dello stato e dalle loro  rivendicazioni, rispose con una chiusura netta.
  Nel 1898, a Milano, mentre al  governo c'era il generale Pelloux,  una folla che dimostrava contro l'aumento del prezzo del pane fu dispersa a cannonate.
  Questa svolta autoritaria fu però  bloccata dalle elezioni del 1900, quando l'elettorato  premiò i socialisti, i radicali, i repubblicani   e i liberali riformisti: l'opinione publica italiana non aveva gradito  la svolta repressiva e cercava nuove strade per affermare la democrazia in  Italia.
Un mese dopo le elezioni, l'anarchico Gaetano Bresci uccise a Monza il re Umberto I, che ai suoi occhi incarnava l'Italia della repressione.
DUE IMPERI IN DIFFICOLTA' 
  AUSTRIA E RUSSIA
LA  CRISI DELL'IMPERO ASBURGICO. Nella seconda  metà dell'Ottocento, come abbiamo visto, l'Impero asburgico, un mosaico di popoli,  aveva subito un lento declino, a causa del "risveglio delle nazionalità".
  Negli  anni Sessanta:
- La guerra d'indipendenza italiana si concluse con la perdita del Lombardo-Veneto
- La guerra con la Prussia determinò la fine dell'egemonia asburgica nel mondo tedesco, e l'Impero si riorganizzò intorno ai poli Austriaco e Ungherese
- I gruppi etnici più numerosi dell'Impero, come gli slavi, non tolleravano il potere dell'Ungheria, che era per loro un ingiustificato privilegio
I  PROBLEMI DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE. La  struttura economica dell'Impero, specialmente nelle regioni meridionali, era  sostanzialmente agraria e gravata da antichi vincoli feudali. Anche l'industria era limitata. 
  Quindi  le scelte imperialiste, come quella che aveva portato all'annessione della  Bosnia-Erzegovina (1908), non erano dettate da una logica economica (espansione  del mercato) bensì geopolitica. 
  In  sostanza, erano un segno di debolezza.
  La burocrazia, un tempo  preparata ed efficiente, col crecere della complessità della vita sociale ed  economica, ad un certo punto smise di essere il lubrificante che faceva  "girare" il motore dello Stato e si trasformò in un freno per lo  sviluppo sciale ed economico.
Nonostante tutto ciò, alle soglie del Novecento l'Impero Austro-Ungarico si presentava ancora come una grande potenza, interessato ad espandersi nella penisola balcanica, dove convergevano anche gli interessi russi e dove le nazionalità slave ceravano di approfittare dell'indebolimento dell'Impero ottomano.
LA  RUSSIA, UN PAESE ARRETRATO. La Russia alla  fine dell'Ottocento era un gigante addormentato. Era un paese  essenzialmente rurale (75% della popolazione) e per di più arretrato e  pocomeccanizzato, quindi incapace di alti rendimenti. Inoltre la proprietà  della terra si concentrava nelle mani della grande nobiltà assenteista,  penalizzando la piccola proprietà contadina.
  Nonostante  ciò lo zar cercò di avviare un processo di  industrializzazione, soprattutto intorno  alle due aree urbane di Mosca e San Pietroburgo; uno sforzo  imponente che pagò la dipendenza finanziaria dai capitali stranieri.
  Un  ruolo strategico ebbe la costruzione della linea ferroviaria Tansiberiana,  che collegava Mosca al Pacifico. Essa rappresentò un vero e proprio volano  dell'industrializzazione. 
  La  consegenza di questa trasformazione dell'economia russa fu la nascita di un proletariato industriale, che viveva in condizioni miserabili e che formò la base umana su cui si fondò il socialismo  russo.
L'OPPOSIZIONE  ALLO ZARISMO. L'opposizione allo zarismo  era in quel momento egemonizzato da due forze molto diverse per  estrazione sociale e propositi politici.
  I populisti:
- Erano per lo più giovani intellettuali
- Volevano superare lo zarismo nei suoi tratti più inumani nei confronti delle masse contadine
- Rifiutavano però la modernizzazione capitalistica di cui lo zar si era fatto promotore, considerandola estranea alla cultura russa
Gli anarchici:
- Rifiutavano ogni forma di autorità e di potere a favore della libertà integrale dell'individuo
- Consideravano dunque lo zarismo un male assoluto, l'incarnazione del male in quanto potere assolutistico
- Nel 1881 giunsero a uccidere lo zar Alessandro II, interrompendo la stagione di timide riforme da lui avviate
LA RESTAURAZIONE AUTOCRATICA. I due zar che succedettero a Alessandro II, Alessandro III e Nicola II (1894-1918):
- Abbandonarono la via della modernizzazione
- Inasprirono la repressione, con l'aiuto della polizia, per reprimere anarchici, populisti e socialisti (che si unirono nel Partito Operaio Socialdemocratico russo)
- Perseguitarono le minoranze etniche e religiose dell'Impero. Ne fecero le spese soprattutto gli ebrei, contro i quali si scatenarono sistematici pogrom ("devastazioni"), per la prima volta appoggiate dallo zar che voleva usare gli ebrei come capro espiatorio per distogliere la popolazione dai problemi reali del paese
Questa politica finì per allontanare dallo zar anche le simpatie della borghesia liberale.
LA  GUERRA RUSSO-GIAPPONESE. Nicola II volle recuperare il terreno perduto nella spartizione coloniale del globo, e l'obiettivo principale erano i Balcani,  che avrebbero consegnato allo zar il tanto agognato sbocco al Mar Mediterraneo.
  All'inizio  del Novecento tuttavia cadde sotto le mire russe anche l'Asia Orientale, e ciò  provocò uno scontro con un avversario insormontabile: il Giappone.
  Contrariamente  alle prospettive di una facile vittoria, la Russia andò incontro a una cocente sconfitta, che aprì la  strada alla rivoluzione.
LA RIVOLUZIONE DEL 1905. La guerra contro il Giappone:
- Fece emergere le reali condizioni del paese
- Provocò una prima insurrezione popolare
Nel  gennaio 1905, a San  Pietroburgo, una manifestazione di  migliaia i persone, riunite davante al Palazzo d'inverno per chiedere diritti  politici e provvedimenti contro la carestia, fu dispersa con le mitragliatrci. La rivolta è nota anche come "domenica di sangue".
  Questa  violenta repressione non placò la protesta ma la estese, al punto che a San Pietroburgo si riunirono 2 milioni di  persone che chiedevano:
- Elezioni politiche
- Un'assemblea costituente
Gli operai intanto si erano riuniti in consigli di fabbrica, i Soviet, che si candidavano a esercitare un vero e proprio contropotere.
Lo zar, alla fine, pressato anche dai ceti borghesi e dagli intellettuali, che auspicavano un avvicinamento alle potenze occidentali, accettò:
- Di convocare un Parlamento (Duma)
- Di indire elezioni con ampio suffragio (anche se solo maschile)
Gli operai, però, decisero di mantenere in vita i Soviet, e fecero bene: lo zar infatti riuscì a far eleggere una Duma completamente aservita alla sua volontà, cui subito revocò poteri e autonomia.
L' IMPERIALISMO
DAL  COLONIALISMO ALL'IMPERIALISMO. Fin dal XVI  secolo Francia, Gran  Bretagna e Spagna avevano iniziato a dai vita a colonie.
  Sui  nuovi territori:
- O si trasferivano europei in cerca di fortuna (America del Nord)
- O venivano sottomesse e sfruttate le popolazioni locali (Sudamerica)
Fino  alla prima metà dell'Ottocento i paesi colonialisti gestivano i loro  possedimenti per lo più attraverso trattati di "collaborazione". 
  Così  fece l'Inghilterra con l'India, dove la penetrazione non avvenneper via militare ma  attraverso la Compagnia  delle Indie, un'impresa mercantile che giunse a dominare tutto il subcontinente indiano e ad avere un potere  talmente vasto che la corona britannica, preoccupata, glielo revocò.
Negli anni  Settanta dell'Ottocento la Spagna aveva perso quasi tutti i possedimenti.
  Francia e Gran Bretagna, rimaste sole a contendersi  l'egemonia coloniale:
- Si impegnarono in una espansione senza precedenti
- Con spedizioni militari
- Insediando nei territori occupati governatori che dipendevano direttamente dalla madrepatria
Il vecchio colonialismo lasciò così posto al nuovo imperialismo.
Alla base di questo processo vi furono:
- Interessi economici
- Bisogno di prestigio
- Volontà di primeggiare sulle altre potenze
I  RAPPORTI DI FORZA FRA LE POTENZE EUROPEE.
  La Gran Bretagna fu la maggiore potenza imperialista perchè:
- Possedeva il maggior numero di colonie (in Europa, America, Africa, Asia, Oceania)
- Era la maggior potenza industriale del pianeta
La Francia si stava espandendo:
- Nel Sud-Est asiatico
- Nelle coste mediterranee dell'Africa
- Nelle zone africane in cui non c'era ancora la Gran Bretagna
La Spagna e il Portogallo avevano ormai pochissime colonie.
All'Olanda apparteneva quasi tutta l'Indonesia.
Erano al momento escluse dal gioco:
- La Russia, che voleva espandersi nei Balcani ma era debole economicamene
- L'Italia e la Germania, che avevano appena completato la loro unificazione
- L'Impero Austro-Ungarico, alle prese con le spinte irredentiste interne alle dodici etnie che lo abitavano
L'INIZIO  DELL'IMPERIALISMO. Gli storici hanno individuato nel 1876 la data chiave  dell'avvio dell'imperialismo: in  quell'anno gli Inglesi entrarono nell'amministrazione del Canale di Suez insieme alla Francia. Sei anni dopo, nel 1882, rompendo l'accordo con la  Francia, gli Inglesi occuparono l'Egitto. 
  E  nel 1914 metà del mondo apparteneva a qualche Stato europeo.
  La  matrice culturale e politico-filosofica va cercata nel nazionalismo, declinato in senso  aggressivo, che affermava il diritto del più forte a scapito del più debole. 
  Molto  diverso quindi dal nazionalismo che aveva ispirato la lotta di liberazione  nazionale di tanti popoli oppressi.
AL SERVIZIO DELLA GRANDE INDUSTRIA. Dagli anni '60 dell'Ottocento la produzione industriale subì una nuova accelerazione (diffusione energia elettrica, scoperta del petrolio ecc), collegata allo sviluppo imperialistico, di cui era causa ed effetto, in quanto:
- Il possesso e lo sfruttamento di miniere, giacimenti e foreste forniva materie prime a basso prezzo
- L'abbondanza della manodopera forniva agli imprenditori forza lavoro a basso costo
- La dominazione diretta trasformava i paesi sottomessi in grandi mercati di sbocco delle merci prodotte in patria
- Il controllo di una grande area consentiva di aggirare la concorrenza internazionale
UNA VALVOLA DI SFOGO ALLE TENSIONI SOCIALI. Con l'industrializzazione aumentò la diffusione:
- Del benessere materiale
- Della profilassi medica
- Dell'assistenza sanitaria
Tutto ciò provocò un aumento della popolazione, visto positivamente dalle potenze imperialistiche, in quanto potevano incrementare le masse lavoratrici e gli effettivi degli eserciti.
La costruzione di un Impero fu considerata dunque una valvola di sfogo:
- Della crescente pressione demografica
- Delle crescenti tensioni sociali causate dallo squilibrio tra crescita economica e aumento delle disuguaglianze
Quindi l'imperialismo permetteva:
- L'importazione di beni alimentari a basso prezzo, permettendo una migliore ridistribuzione del reddito (ricchezza distribuita a tutti)
- L'emigrazione della forza lavoro eccedente
A tutto ciò si univa l'orgoglio nazionale e la convinzione di svolgere un ruolo determinante sul palcoscenico del mondo.
Fonte: http://www.itisalbenga.it/download/appunti/Storia/RIASSUNTO%20RISORGIMENTO.doc
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