Adolf Hitler vita e biografia

 


 

Adolf Hitler vita e biografia

 

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Adolf Hitler: l’ascesa al potere 1924-1933

 

Landsberg, Germania. Sette dicembre 1924. Adolf Hitler esce dal carcere per salire su un’auto sportiva di un amico. Nel novembre del 1923 era stato arrestato per lo sfortunato putsch della birreria, col quale aveva cercato di rovesciare la neonata repubblica di Weimar. Per quell’azione sconsiderata era stato condannato a cinque anni di reclusione ( poi diventati solo uno ) e il suo partito nazista dichiarato fuori legge. Ma Hitler non era il tipo che cedeva tanto facilmente. In prigione aveva scritto un libro, il Mein Kampf, dettato ad un compagno di cella, in cui riportava i suoi progetti per la Germania e per se stesso. Egli era ancora deciso a rovesciare il governo e ad instaurare un Reich forte ed aggressivo sotto il suo comando. Per cinque anni quindi, dal 1924 fino al 1929, attendendo il momento giusto per passare all’attacco, il futuro dittatore riorganizzerà e potenzierà il partito nazista reclutando nuovi seguaci e tenendo numerosi discorsi. Dopo il 1929 invece passò all’offensiva dimostrandosi un’abile oratore capace di dividere i propri avversari e di seminare zizzania sul loro conto. Obiettivo di Hitler era di concentrare su di se le due massime cariche politiche della Germania, cancelliere e presidente, e successivamente diventare il Fuhrer, unica guida di tutto il paese. Tutti questi progetti e molti altri erano ovviamente raccolti nel Mein Kampf dove c’era una sorta di elenco di tutto ciò che egli avversava: il marxismo, il capitalismo, la borghesia e gli intellettuali. Contro tutti questi mali esistevano solo due soluzioni: un’unica razza pura tedesca sotto il suo comando e la conquista di uno spazio vitale, da ottenere a spese dell’Unione Sovietica. Poche settimane dopo il suo rilascio Hitler si incontrò col primo ministro bavarese, Heinrich Held, ed ottenne la revoca del decreto che dichiarava il partito nazista e il suo giornale fuori legge. Fu l’inizio della riscossa per il Fuhrer. Il 26 febbraio 1925 tramite il suo giornale incitò gli ex membri del partito a dimenticare i vecchi rancori ed a riunirsi a lui nella lotta contro il Marxismo e gli ebrei. Tenne anche un primo discorso proprio nella birreria dove era fallito il putsch. Gli amici ed i suoi sostenitori notarono immediatamente che i mesi di prigionia lo avevano cambiato: era più forte e deciso. Ma soprattutto infondeva negli altri quella sicurezza e quel coraggio di cui era dotato. Tutti i cinquemila sostenitori del partito nazista accorsi per ascoltare le parole della loro guida furono entusiasmati e galvanizzati dal discorso di Hitler e pronti a seguirlo nella lotta contro la repubblica.


Ora Hitler doveva sbarazzarsi di due uomini, accolti come sue pari alla fondazione del partito, per poter diventare il solo leader incontrastato: Erich Ludendorff, un generale della prima guerra mondiale, e Ernst Rohm, comandante di un’organizzazione paramilitare. Il primo fu liquidato con la scusa degli scarsi risultati da lui ottenuti alle elezioni presidenziali del marzo 1925 (diverrà un acerrimo avversario dei nazisti), il secondo fu allontanato per le divergenze col futuro dittatore riguardo il controllo delle SA, l’organizzazione paramilitare nazista organizzata da Rohm. Quest’ultimo pretendeva che le SA, note anche come camicie brune, rimanessero sotto il suo totale controllo mentre Hitler pensava che esse dovessero per prima cosa servire il loro Fuhrer e il partito nazista. A causa di questa opinione contrastante Ernst dette le dimissioni e partì per la Bolivia.
Intanto, nel febbraio 1925, furono organizzate delle improvvise elezioni per la morte del presidente socialdemocratico Friedrich Ebert. Erano sette i candidati per il prestigioso posto fra cui spiccavano tre favoriti per la vittoria finale: Otto Braun, socialdemocratico, Wilhelm Marx, del centro, e Karl Jarres, del partito nazionalista. I nazisti erano rappresentati da Lunderdorff. Vinse Jarres seguito da Braun. Ma siccome nessuno dei due aveva ottenuto la maggioranza si dovette procedere ad una seconda votazione. Nel frattempo i Nazionalisti avevano scaricato Jarres preferendogli Paul von Hindenburg, un vecchio feldmaresciallo di settantotto anni considerato da tutti un eroe nazionale.


Fu una mossa astuta. Hindenburg vinse le elezioni con un vantaggio del 3,3 per cento sui socialdemocratici. Intanto nell’agosto dello stesso anno il ministro degli esteri Stresemann riuscì a negoziare con successo il ritiro delle truppe francesi dalla Ruhr, il cuore industriale della Germania.
Ritornando alle vicende del rinato partito nazista proprio nel 1925 si verificò un moto di ribellione che porterà alla creazione di due fazioni. Fautori e guide di questa opposizione furono Gregor Strasser, un piccolo farmacista bavarese incaricato da Hitler di coordinare le attività naziste nella Germania settentrionale, ed il suo segretario Joseph Goebbels. Essi si lamentavano del fatto che il programma politico del partito mancava di contenuti ideologici riassumibili per lo più nei concetti antisemiti e socialisti. Inoltre pensavano che il pensiero del partito fosse più importante del suo capo. I rivoltosi si riunirono ad Hannover ed approvarono quasi all’unanimità un nuovo programma ideato da Strasser. Fu l’inizio della ribellione. Hitler che non amava molto i progetti politici, venuto a conoscenza della situazione, montò su tutte le furie. Contestare un qualunque punto del programma equivaleva a rendersi colpevoli di tradimento verso il nazismo ed il suo capo assoluto. Deciso a ribadire la propria autorità, indisse una riunione a Bamberga con tutti i capi del partito per il 14 febbraio 1926. Parlò per quattro ore ribadendo le sue idee e respingendo quelle avversarie senza però mai nominare direttamente Strasser o Goebbels, come tutti si aspettavano. Tutto fu ristabilito e Gregor tornò fedele al Fuhrer. Goebbels invece fu conquistato dal discorso di Hitler e, dopo aver abbandonato il suo alleato bavarese, divenne uno dei suoi seguaci più fedeli.
Ristabilito l’ordine interno il gerarca nazista organizzò il 3 e 4 luglio a Weimar una manifestazione per festeggiare la Giornata del Partito. Il tre, 2000 nazisti marciarono per la città accompagnati da una banda musicale mentre il 4 dopo una serie di dibattiti si tenne il discorso di Hitler sulla politica e sulla perdita di prestigio della Germania in campo internazionale. L’oratoria era l’arma vincente del dittatore. Egli preparava i suoi discorsi fin nei minimi dettagli. Annotava su dei fogli i punti principali e studiava i gesti con i quali avrebbe accompagnato le parole. Adottava persino stili diversi a seconda delle persone che doveva intrattenere: con i suoi sostenitori era impetuoso e veemente mentre con la gente comune era controllato e pacato. Con l’eloquenza riusciva a catturare chiunque.
Intanto una figura assumeva sempre più potere all’interno del partito: quella di Joseph Goebbels. Abilissimo oratore come Hitler era laureato in letteratura ed aveva abbracciato la fede nazista nel 1924. Hitler ammise più tardi che solo Goebbels riusciva a catturare completamente la sua attenzione. Egli fu quindi scelto dal Fuhrer in persona per riorganizzare il distretto nazista a Berlino, diviso dalle fazioni e da lotte interne. Joseph si dette immediatamente da fare ed impose la sua autorità in meno di due settimane. Organizzò raduni di massa. Sguinzagliò le SA messe a sua disposizione da Hitler per dare la caccia ai comunisti. Fondò un giornale con cui attaccava gli avversari politici del partito. Nel giro di pochi mesi il distretto era diventato forte e compatto e le adesioni al partito aumentate vertiginosamente. Con questa abile mossa Hitler prese due piccioni con una fava. Riorganizzò un distretto allo sfascio e contrastò anche l’acerrimo rivale Strasser che non aveva abbandonato del tutto i suoi antichi progetti di rivolta.


In quello stesso anno al raduno di Weimar ne seguirono molti altri di cui il principale fu a Monaco. La coreografia era stata studiata come sempre nei minimi dettagli. L’arrivo del Fuhrer fu preceduto da una parata delle SA accompagnata dalla banda musicale del partito e dalla consegna di un programma ad ogni spettatore. Quando Hiler salì sul palco la folla, si zittì. Egli iniziò a parlare con veemenza e decisione gesticolando spesso con le mani. Il pubblico che lo ascoltava con interesse rimase affascinato dalle parole del dittatore che focalizzò il suo discorso sul problema dello spazio vitale e sulla creazione di una razza pura germanica, uniche soluzioni alla crisi in cui erano caduti i tedeschi. Hitler poté ritenersi soddisfatto del lavoro che lui ed i suoi collaboratori avevano eseguito nel 1927. Con la fine dei congressi, infatti, le adesioni al partito erano aumentate del cinquanta per cento portandosi così ad oltre 50.000. Inoltre la schiera dei suoi seguaci più stretti si era arricchita numericamente. Restava però ancora un grave problema da risolvere: i fondi con cui continuare a combattere la repubblica. Anche se efficaci i raduni che Hitler organizzava sempre più frequentemente erano molto costosi e gravavano sulle casse del partito. Per ovviare a questo problema il gerarca nazista faceva raccogliere offerte fra il pubblico durante le manifestazioni e vendeva stemmi del partito e bandierine rosse con la svastica. Anche gli ingressi erano a pagamento.
L’anno successivo si tennero delle nuove elezioni a maggio. Hitler, avendo rinunciato alla cittadinanza austriaca, era un apolide e non potè presentarsi. Al suo posto scelse Strasser, Goebbels e Goring. Quest’ultimo era stato un asso dell’aviazione durante la prima guerra mondiale ed era fuggito in Svezia dopo lo sfortunato putsch della birreria. Ritornato nel 1927 si era riaffiancato a Hitler dopo una breve parentesi come consulente della Lufthansa, la nuova compagnia aerea tedesca di stato. Ma l’esito delle elezioni si rivelò un’amara sconfitta per il Fuhrer. I nazisti ottennero solo 800000 voti ed appena dodici dei 491 seggi del Reichstag. Anche i nazionalisti persero terreno nei confronti dei socialdemocratici. Dopo questi sorprendenti risultati il panorama politico tedesco appariva sempre più caotico e confuso poiché i socialisti ed i comunisti non avevano ottenuto la maggioranza e la destra, che era rimasta al governo fino a quel momento, si era indebolita. Nonostante tutto però la Germania recuperava credito e prestigio in campo internazionale grazie al suo ministro degli esteri Stresemann. Con una serie di incredibili colpi diplomatici aveva fatto ritirare le truppe francesi dalla Ruhr, aveva permesso l’ingresso nella Società delle Nazioni, aveva ratificato il trattato di Berlino, che garantiva i confini fra Germania ed Unione Sovietica. Tutto questo non era visto di buon occhio dai nazisti che basavano la loro politica sul malcontento generale e sulla perdita di prestigio dei tedeschi a livello internazionale. Ma anche l’economia nazionale dava segni di ripresa. Grazie ai capitali stranieri le industrie avevano ripreso a marciare a ritmi elevati e la produzione aveva raggiunto livelli accettabili, superiori a quelli del 1914. Il tenore di vita era notevolmente migliorato ed i salari aumentati. La disoccupazione rimaneva però ancora molto preoccupante. L’automazione delle fabbriche sempre più diffusa aveva incrementato il milione di senza lavoro che nel 1932 diventeranno addirittura sei.
Dopo i risultati delle elezioni del 1928 furono in molti ad affermare che il nazismo era definitivamente crollato. Ma Hitler non la pensava allo stesso modo. Ormai aveva imposto la sua autorità assoluta su tutti i componenti del partito ed aveva riunito sotto il suo comando una schiera di persone fedelissime che avevano abbracciato unicamente la fede nazista e le sue idee. Ovviamente sicuro della vittoria il dittatore manteneva alto il morale dei suoi seguaci preparandosi all’attacco finale.
La scintilla che permise al Fuhrer di salire al potere è da ricercare negli accordi stabiliti fra gli Alleati e il ministro degli esteri tedesco Stresemann, ormai prossimo alla morte, durante la conferenza annuale della Societa delle Nazioni a Ginevra. Il nuovo patto chiamato Young dal nome del banchiere americano Owen D. Young prevedeva una riduzione delle riparazioni di guerra che la Germania doveva pagare ai vincitori del primo conflitto mondiale a “solo” 121 miliardi di marchi. Inoltre i francesi si sarebbero ritirati dalla Renania entro il giugno del 1930, con quattro anni di anticipo. Anche se rappresentava un grande passo avanti rispetto agli accordi precedentemente stipulati, il piano Young fu malvisto dai tedeschi. Ribadiva, infatti, che la responsabilità dello scoppio della prima guerra mondiale era da attribuire alla sola Germania ed obbligava a pagare ingenti risarcimenti in denaro fino al 1988. Ma cosa più grave ricordava l’odioso trattato di Versailles e rievocava negli animi vecchi risentimenti e rancori mai del tutto dimenticati.


Era un momento favorevole per instaurare nella popolazione le idee sovversive naziste e Hitler lo intuì prontamente. Si alleò con i nazionalisti di Hugenberg, anch’essi avversi alla repubblica e scontenti del piano Young, ricevendo così i fondi per incominciare una campagna politica a livello nazionale per la promulgazione della Legge contro l’Asservimento del Popolo Tedesco. Il progetto si rivelò però un insuccesso. I nazisti e i nazionalisti potevano contare soltanto su 85 seggi del Reichstag contro i 406 dei loro avversari e persero miseramente. Hitler allora propose alla popolazione un referendum: se la maggioranza avesse votato a favore la legge sarebbe stata approvata. Ma anche questo tentativo naufragò di fronte agli scarsi risultati raggiunti: appena il quattordici per cento dei tedeschi appoggiò infatti il Fuhrer che per salvare l’onore ed il prestigio agli occhi della gente abbandonò i nazionalisti.
Ma nonostante la dura sconfitta la popolarità del Fuhrer era aumentata notevolmente e le iscrizioni al partito diventavano sempre più numerose per l’aggravarsi della situazione economica. Un altro successo del 1929 fu l’elezione del nazista Wilhelm Frick a ministro degli Interni del gabinetto della Turingia. Hitler si concesse persino il lusso di acquistare una casa signorile a Monaco che arredò personalmente e ivi vi trasferì la sede del partito.
Nel 1930 continuava a tenere discorsi provocatori contro la repubblica. Non essendoci elezioni in vista gli altri partiti non davano peso alle parole del futuro dittatore che poteva parlare ai suoi sostenitori senza alcun intralcio. Per dare una scossa alla situazione e dimostrare la fragilità del governo sguinzagliò le SA per le strade contro ebrei, comunisti e avversari politici. Bisognava dimostrare alla popolazione che si stava combattendo e che se molti uomini erano disposti a morire per la causa nazista voleva dire che questa era giusta. Non fu comunque facile tenere a bada le camicie brune e frenare il loro slancio. Bisognava evitare che esse scatenassero una guerra civile più che una semplice pressione. Le SA pensavano, infatti, che la repubblica sarebbe stata rovesciata con l’uso delle armi ed in seguito esse si sarebbero sostituite all’esercito regolare. Hitler però non la pensava così. Nonostante questi atti di violenza era deciso ad arrivare al potere legalmente, senza troppi spargimenti di sangue. La situazione cominciò presto a degenerare e le autorità iniziarono a prendere severi provvedimenti contro l’esercito paramilitare nazista. In Baviera fu messo fuori legge mentre in Prussia fu vietato ad ogni funzionario statale di aderire al partito nazionalsocialista.


Con queste azioni “terroristiche” le SA dimostrarono la fragilità e l’inefficienza del governo di Weimar. Intanto il Fuhrer ristabiliva l’ordine fra i suoi collaboratori riconciliandosi con l’eterno rivale Gregor Strasser. Suo fratello Otto invece continuava ad essere una spina nel fianco poiché a Berlino controllava diversi giornali. Hitler, deciso a ribadire la propria autorità all’interno del partito, ordinò quindi a Goebbels di estromettere Strasser.


Intanto nel marzo del 1930 il governo tedesco subì un duro colpo: le dimissioni del cancelliere Hermann Muller. L’abile politico tedesco si lamentava del fatto che il Reichstag non appoggiava mai le sue proposte. Hindemburg che di norma non si intrometteva nelle vicende politiche fu costretto ad intervenire per evitare il peggio e dovette nominare un nuovo cancelliere. Nella scelta del successore di Muller i militari giocarono un ruolo fondamentale convincendo l’anziano presidente a rinunciare al sistema parlamentare e ad eleggere un cancelliere non legato ad una maggioranza. Il sistema politico tedesco dopo questa decisione mutò radicalmente: i cancellieri ora promulgavano tutte le leggi non attraverso il parlamento ma grazie a decreti straordinari concessi dal presidente. Il Reichstag poteva comunque vanificare i decreti presidenziali o richiedere la destituzione del cancelliere attraverso un voto di maggioranza. Per evitare simili possibilità Hindemburg poteva concedere un decreto di scioglimento del parlamento che avrebbe portato i partiti a dover affrontare nuove elezioni. La scelta del successore di Muller cadde su Heinrich Bruning, un parlamentare del Partito cattolico di centro. Per circa due anni riuscì a governare grazie al tacito consenso dei socialdemocratici che, seppur non partecipando direttamente al suo gabinetto, non promossero mai una mozione di sfiducia impauriti dalla possibilità che le nuove elezioni potessero portare ad un governo di destra. Questa decisione non favorì di certo i socialdemocratici a causa della politica economica di Bruning che aggravò ancora più drasticamente la situazione tedesca. Ciò gli alienò il favore delle masse che vedevano la disoccupazione dilagare a dismisura. Anche Hindenburg incominciò a pentirsi della sua scelta. Non tanto per gli insuccessi riportati in ambito politico quanto per la riluttanza di quest’ultimo ad allearsi con la destra. Sempre consigliato dalla sua cerchia di amici militari, ed in particolar modo dal generale Kurt von Schleicher, il presidente decise alla fine di maggio di destituire Bruning. Schleicher si era affermato in ambito militare nello stato maggiore tedesco durante la prima guerra mondiale occupandosi di logistica. Alla fine del conflitto si occupò dei rapporti fra l’esercito ed il governo presiedendo uno speciale ufficio sottoposto solo al ministero della Difesa. Grazie a questa rilevante posizione riuscì ad inserirsi nella ristretta cerchia di militari consiglieri di Hindenburg. Fu sempre lui ad influenzare la scelta del nuovo cancelliere: Franz von Papen, un aristocratico poco più che cinquantenne. Sicuramente la scelta di Schleicher fu molto opportunistica. Papen, un vecchio amico del generale, non aveva le conoscenze necessarie per guidare il governo e si sarebbe dovuto quindi affidare  ai suoi consigli per le questioni più complesse. Inoltre, per assicurarsi un ruolo attivo nel nuovo governo, Schleicher si riservò anche la carica di ministro della difesa dopo aver rinunciato al suo grado di generale per poter accedere al ministero. Il nuovo cancelliere si mise subito al lavoro per procurarsi una maggioranza parlamentare. Da un lato non gli era necessaria potendo contare sui decreti straordinari per promulgare le leggi. Dall’altro gli avrebbe però consentito di evitare il pericolo di un voto di sfiducia. Ma il centro cattolico si rifiutò categoricamente di appoggiarlo poiché lo riteneva coinvolto nell’estromissione dal governo del loro collega Bruning. Papen decise quindi di seguire la volontà del presidente schierandosi con la destra e quindi con i nazisti. Per ottenere l’appoggio dei nazionalsocialisti, Papen accettò le richieste di Hitler di togliere il bando alle sue camicie brune e di indire nuove elezioni nazionali. Ottenne rapidamente il consenso di Hindenburg e approfittò di alcune sommosse scoppiate in Prussia, il più vasto dei diciassette stati federali, per richiedere l’uso dei decreti straordinari del presidente ed il permesso di sciogliere il governo prussiano. Le nuove elezioni furono tenute a luglio e sancirono il successo della politica di Hitler ed il crollo dei partiti moderati di centro. Provati da anni di privazioni e di disoccupazione, i tedeschi si dimostrarono disposti a seguire qualsiasi ideologia estremista che promettesse un rapido cambiamento della situazione. Ciò permise ai nazisti ed ai comunisti di schiacciare in modo evidente le forze moderate che persero centinaia di migliaia di voti. Il partito di Hitler, assicurandosi il 37,4% dei consensi popolari e riuscendo ad occupare ben 230 seggi al Reichstag, divenne il più forte della Germania. Il Fuhrer tentò subito di sfruttare i successi elettorali appena ottenuti a suo vantaggio richiedendo la cancelleria in quanto leader del partito più forte tedesco. Papen non era disposto a perdere la carica appena ottenuta e cercò di addolcire Hitler offrendogli il posto di vice-cancelliere nel suo gabinetto e alcuni ministeri per i suoi collaboratori più stretti. Anche Hindenburg rifiutò la richiesta, nutrendo una profonda avversione per il capo nazista, e si dimostrò d’accordo con Papen sulle eventuali concessioni da elargire al posto della carica di cancelliere. Ma Hitler, conscio che accettando la proposta dell’anziano presidente non avrebbe raggiunto nessuna carica di rilievo, rifiutò furibondo. Senza l’appoggio dei nazisti il governo si trovò in grave difficoltà. Papen poteva contare solo sul 10% dei consensi del Reichstag e si sarebbe trovato subito di fronte ad un voto di sfiducia non appena il parlamento si sarebbe riunito. Per evitare una simile eventualità, Hindenburg decise di concedere al cancelliere uno speciale decreto che gli avrebbe permesso di sciogliere il Reichstag quando più lo avrebbe ritenuto opportuno. Anche le elezioni che sarebbero dovute seguire alla mozione di sfiducia furono annullate. Pur di mantenere in carica Papen Hindenburg scelse di violare apertamente la costituzione concedendo al gabinetto il potere di governare in modo quasi assoluto, attraverso i suoi speciali decreti.


Fu comunque tutto inutile. Quando a settembre si riunì il parlamento i comunisti promossero un voto di sfiducia. Papen tentò di opporsi utilizzando il suo speciale decreto ma la votazione andò avanti. I risultati furono terrificanti: 512 voti contrari e solo 42 a favore dell’attuale gabinetto. Hindenburg tentò lo stesso di opporsi all’evidenza affermando che il parlamento era stato sciolto prima che la votazione fosse terminata. Ma Papen di fronte ad una simile opposizione non trovò il coraggio di violare la costituzione e furono immediatamente indette nuove elezioni per l’inizio di novembre. Hitler si poteva ritenere più che soddisfatto dell’andamento della situazione. Era riuscito a scalzare Papen dal potere e aveva la possibilità di incrementare la forza del suo partito grazie alle nuove elezioni. Ovviamente l’obiettivo era la cancelleria, come Hitler ammise ai suoi aiutanti più fidati. Ma le cose andarono ben diversamente e le speranze del Fuhrer si trasformarono ben presto in effimere illusioni. I nazisti persero molto terreno rispetto alle elezioni di luglio. Molti degli elettori che avevano appoggiato la causa nazista erano rimasti delusi dal fatto che Hitler non fosse riuscito ad occupare nessun rulo di prestigio. Anzi aveva anche rifiutato la carica di vice-cancelliere che agli occhi del popolo rimaneva comunque un ruolo importante e non privo di potere come invece appariva ad Hitler. Complessivamente i nazisti ottennero 196 dei 584 seggi del Reichstag, perdendone 34 rispetto alle elezioni precedenti. L’unico partito che seppe approfittare della situazione fu quello comunista che forte dei 100 seggi ottenuti divenne la terza forza politica della Germania.
In linea di massima la situazione al Reichstag rimaneva praticamente immutata. Solo i socialdemocratici persero effettivamente molti voti e i loro seggi scesero a 121. La situazione si fece precaria per Papen. Anche se il suo partito aveva incrementato la sua forza alle nuove elezioni, quasi il 90% della popolazione rimaneva contraria al suo gabinetto. Il cancelliere decise quindi di presentare le proprie dimissioni pur rimanendo in carica fino alla nomina del suo successore. Hindenburg cercò comunque di far cambiare idea a Papen cercando di formare una coalizione che potesse ottenere la maggioranza al Reichstag. Con molto ottimismo contattò Hitler su una sua possibile partecipazione al gabinetto Papen. Ovviamente non ci fu alcun accordo perché Hitler pretese, persistendo nella sua linea del tutto o niente, che la carica di cancelliere venisse affidata a lui. Assicurò anche al presidente che avrebbe pensato a cercare la collaborazione di altri partiti per appoggiare la sua candidatura. Hindenburg, offeso da simili richieste, rispose che gli avrebbe concesso tre giorni per cercare degli alleati che lo sostenessero in un governo parlamentare. In più si riservò il diritto di scegliere personalmente i ministri degli Esteri e della Difesa. Erano condizioni impossibili. I due ministeri su cui il presidente aveva messo il proprio veto erano fra i più importanti. Inoltre tre giorni non sarebbero mai bastati per riuscire a discutere qualsiasi genere di accordi con altri partiti. Hitler, temendo che Hindenburg mirasse a screditarlo davanti al popolo dandogli un’opportunità di arrivare al potere che lui non sarebbe mai riuscito a sfruttare, rifiutò. Papen si dimostrò quindi pronto ad accettare nuovamente l’incarico nonostante la sua popolarità fosse in continuo ribasso. Nei pochi mesi in cui era stato al potere non aveva certo contribuito a favorirsi il favore della massa. Anzi, le sue manovre economiche ebbero il risultato di aggravare la situazione disastrosa in cui milioni di tedeschi si trovavano, aumentando anche il numero dei disoccupati. La sua scarsa abilità politica era ormai chiara a tutti e il governo, che doveva poggiare sui continui decreti speciali di Hindenburg, appariva agli occhi di molti quasi come una dittatura. L’unico risultato di una nuova riunione della camera sarebbe stato un altro voto di sfiducia. Schleicher capì subito quanto stava succedendo. Uomo di intrighi, molto abile a muoversi nell’ombra per ottenere i suoi scopi, non era affatto soddisfatto del lavoro compiuto da Papen. Aveva appoggiato la sua nomina sperando di avvalersi di lui come uno strumento per i propri obiettivi ma una volta al potere Papen aveva dimostrato un’indipendenza notevole nei suoi confronti, acquistando sempre più fiducia in sé stesso. In più il cancelliere era anche diventato un buon amico del presidente ed era tenuto da quest’ultimo in grande considerazione. Schleicher decise di intervenire direttamente per cambiare il corso degli eventi. Intuì che lasciando Papen in carica le forze politiche del paese si sarebbero riunite contro il governo. Il rischio era la guerra civile e la Germania, attraversando un momento così critico, ne sarebbe uscita distrutta. Poco prima delle elezioni un accordo tra nazisti e comunisti riguardo a uno sciopero dei trasporti a Berlino era bastato a paralizzare la capitale.
Ora c’era il rischio di una paralisi totale i cui effetti si sarebbero fatti sentire subito sull’economia del paese. Scheleicher incominciò così a dissociarsi dalle scelte politiche di Papen per mettere in atto il suo piano. Dichiarò, forte di uno studio del suo ministero della difesa, che in caso di guerra civile l’esercito non sarebbe mai riuscito ad opporsi alle truppe paramilitari di nazisti e comunisti. Con questo stratagemma riuscì a togliere al cancelliere l’appoggio del gabinetto ingraziandosi nel frattempo Hindenburg riguardo ad una sua possibile candidatura alla cancelleria. Papen si dimostrò ancora debole di carattere ed esasperato dalla pressione che la situazione comportava presentò le sue dimissioni al presidente che, riluttante, le accettò. Il giorno seguente la carica di cancelliere passò nelle mani di Schleicher, l’ultimo a detenerla prima dell’avvento di Hitler.


Kurt von Schleicher era una figura nota nell’ambiente politico tedesco ma non aveva mai svolto ruoli di primo piano, se si esclude i pochi mesi di ministero sotto il governo Papen. Abile oratore riusciva facilmente durante un discorso ad influenzare le opinioni degli altri avvicinandole alle sue. Da molti veniva considerato un freddo opportunista disposto a tutto pur di migliorare la propria posizione. Queste tesi venivano avvalorate dai molti voltafaccia fatti da Schleicher, anche a persone che gli erano vicine, per non mettere in pericolo il proprio status. In realtà il nuovo cancelliere non era altro che un militare convinto. Non gli interessava una restaurazione della monarchia ma si adattò alla situazione esistente. Per lui l’esercito doveva servire da garante al governo per mantenere il controllo dello stato e la sicurezza tedesca nei confronti dei paesi confinanti.


Schleicher, appena conquistato il potere, si trovò di fronte al solito problema di ottenere una maggioranza in parlamento che evitasse un voto di sfiducia. La scelta del neo cancelliere ricadde sui nazisti. Con i loro 196 deputati erano la forza di maggior peso nel Reichstag ed ottenere il loro appoggio sarebbe stato un significativo passo in avanti verso un governo più stabile. Ben conscio che qualsiasi trattativa diretta con Hitler sarebbe risultata infruttuosa Schleicher rivolse la sua attenzione su Gregor Strasser. Secondo per importanza solo ad Hitler nel partito, veniva considerato da tutti un politico meno radicale e con un maggior senso pratico per gli affari, essendo stato un farmacista. Ma ciò che faceva di Strasser la pedina giusta per gli scopi di Schleicher era la sua grande capacità di valutare i fatti in modo molto realistico. Il numero due nazista non era per nulla soddisfatto della lina politica del tutto o niente di Hitler e capì subito dopo le elezioni di novembre che non sarebbero mai riusciti ad ottenere il potere attraverso una maggioranza diretta in parlamento. Dalle elezioni svoltesi a luglio era stato perso molto terreno e Strasser si rammaricava che Hitler continuasse a non accettare almeno una fetta di potere fintanto che i nazisti potevano contare su un appoggio delle masse ancora elevato. Ulteriori elezioni avrebbero avuto il solo effetto di peggiorare la situazione e di far crollare il morale tra le file naziste.


Schleicher e Strasser si incontrarono in segreto il 4 dicembre per discutere della situazione. Purtroppo la loro conversazione rimarrà un mistero perché nessuno dei due ha lasciato alcuna testimonianza. Nonostante le precauzioni prese, Hitler venne a sapere della trattativa e il giorno seguente durante un vertice dei leader nazisti all’Hotel Kaiserhof, sede berlinese del partito, Strasser espose i suoi timori al suo diretto superiore. Se il parlamento si fosse sciolto i nazisti non sarebbero stati in grado di reggere ad una ulteriore campagna elettore ed avrebbero subito altre pesanti perdite. Hitler stroncò senza mezzi termini le argomentazioni di Strasser, accusandolo di tradimento. Decise anche di ribadire la propria leadership nel partito tenendo un discorso ai suoi deputati. Davanti a quasi duecento persone ribadì che scendere a compromessi avrebbe significato tradire l’onore del loro movimento. Il potere sarebbe stato raggiunto senza nessuna alleanza e solo quando sarebbe stato lui stesso ad ottenere la carica di cancelliere. Alla fine dell’orazione i deputati si piegarono alla volontà di Hitler ed alla sua linea politica di assoluta opposizione. Il Fuhrer pensava di aver risolto ogni dissidio all’interno del suo partito quando l’otto dicembre ricevette una lettera che lo fece tremare. Strasser dava le sue dimissioni da capo dell’apparato organizzativo del partito. Le cause, scrisse, che lo portarono ad un simile gesto erano da ricercarsi nelle continue intromissioni di Hitler nel suo lavoro, che non gli avevano permesso di esercitare liberamente il proprio compito amministrativo sulle unità regionali naziste. In realtà il motivo di un simile distacco è molto più semplice: Strasser non era più disposto a seguire la linea politica del tutto o niente di Hitler che equivaleva ad una sfida contro il destino. La lettera veniva chiusa, nonostante tutto, con una frase rassicurante: “come sempre, tuo devoto”. Hitler rimase paralizzato dalla paura. Riusciva bene ad immaginare cosa avrebbe potuto scatenare un simile gesto. Temeva che durante l’incontro di pochi giorni prima Schleicher avesse offerto a Strasser la carica di vice-cancelliere nel suo gabinetto. Se il numero due nazista avesse accettato, il partito si sarebbe rotto in due parti spazzando quella unità che da sempre contraddistingueva i nazisti. Inoltre il suo ex luogotenente aveva anche una grande influenza nei Gau (distretti) del nord e molti deputati sarebbero stati disposti a seguirlo. Hitler passeggiò per ore per il proprio studio in preda al terrore che simili eventualità si potessero realizzare. Improvvisamente perse la fiducia in se stesso, la convinzione di essere l’uomo inviato dal destino per risollevare le sorti della Germania. “Se il partito dovesse sgretolarsi” disse a Joseph Goebbels” terrò fede alla mia promessa e mi finirò con un colpo di pistola”. Durante il lungo discorso ai suoi seguaci tenuto pochi giorni prima, aveva minacciato che in caso di disobbedienza di uno qualsiasi dei suoi collaboratori si sarebbe suicidato. Per fortuna di Hitler non ci furono altre defezioni. Per coprire l’assenza di Strasser, che nella sua lettera aveva annunciato di partire per una vacanza, Hitler dichiarò ai giornalisti di avergli concesso una licenza di qualche settimana per malattia. Anche se la crisi si era risolta nel migliore dei modi essa dimostrava che il partito nazista stava perdendo la sua compattezza. Il potere appariva sempre più lontano, sicuramente più di quanto non fosse pochi mesi prima quando il potere contrattuale di Hitler era ai massimi livelli. La fine dell’anno 1932 vedeva quindi il partito nazionalsocialista vacillare per colpa di una strategia politica errata dovuta al carattere del suo leader. La vera svolta che cambiò le sorti della Germania e del mondo intero non sarà merito di Hitler, della sua bravura in campo politico, della sua capacità di infiammare le folle sfruttando la situazione disperata in cui verteva la Germania. Il potere giungerà nelle mani del Fuhrer dopo un mese, quello del gennaio 1933, di intrighi e complotti in cui Hitler avrà solo un ruolo di secondo piano. Sarà il succedersi degli eventi, inaspettati per lo stesso leader nazista, a consegnarli la cancelleria su un piatto d’argento, proprio nel momento di maggior difficoltà per il suo partito.


Il 1932 terminava quindi lasciando la Germania in una situazione politica ancora confusa, non certo migliore di quella degli ultimi anni. L’unico aspetto positivo era la lenta ma pur sempre graduale ricrescita economica. Il valore di azioni ed obbligazioni erano in netto rialzo, quasi del 30%. La disoccupazione era leggermente diminuita anche se rimaneva ancora di diversi milioni di persone. Tutto ciò andava ovviamente a discapito della politica estremista nazista che puntava molto sulla sfiducia dei cittadini dovuta alla depressione economica. Agli inizi di gennaio 1933 Hitler rimaneva comunque la persona di maggior rilievo in ambito politico e il suo partito, nonostante i rovesci dell’anno precedente, contava il maggior numero di rappresentanti al Reichstag. La fiducia nelle sue capacità erano intatte nonostante il “tradimento” di Strasser ed egli si considerava ancora l’uomo inviato dal destino per creare una nuova Germania, forte e potente. La sua era una missione quasi “divina” e il potere assoluto stava alla base del suo progetto. Solo così avrebbe potuto trascinare la nazione verso una nuova alba di grandezza. La divisione del potere avrebbe solo creato degli intralci, dei rallentamenti al compimento dei suoi piani. La Germania si sarebbe riscattata ad est occupando, usando le stesse parole di Hitler, uno “spazio vitale” ai danni dell’Unione Sovietica, degli odiati bolscevichi. Il successo era garantito dalla convinzione della superiorità della razza ariana nei confronti delle altre. Il Fuhrer infatti credeva fermamente nella divisione dell’umanità in diverse etnie costantemente in lotta tra di loro. Il diritto alla sopravvivenza spettava solo al vincitore di questa lotta che agli occhi di Hitler erano ovviamente i tedeschi. I popoli non ariani andavano semplicemente distrutti senza pietà e al primo posto della lista c’erano gli ebrei che si erano amalgamati con il resto della società tedesca, occupando posizioni di rilievo e minando la sua solidità e compattezza. L’ultimo elemento contro cui il dittatore si scagliò durante tutta la sua carriera politica era il marxismo che divideva il popolo in diverse classi in lotta contro di loro. La Germania avrebbe potuto uscire dalla  grave crisi in cui era caduta solo risolvendo questi problemi sotto la sua guida. L’obiettivo era un Reich millenario libero dalle etnie impure che avrebbe dovuto dominare su tutta l’Europa. Lo sviluppo sarebbe stato garantito dalle inesauribili risorse sottratte all’Unione Sovietica, l’unico vero ostacolo che Hitler frapponeva tra sé ed il dominio totale. Questa ideologia, praticamente un credo, si poteva trovare nel “Mein Kampf”, quasi una Bibbia per i nazisti. Ma gli avversari politici sottovalutarono la portata delle mire di Hitler. Il dittatore evitava di trattare degli elementi più estremi della sua ideologia in pubblico. Sapeva moderare con incredibile abilità il contenuto dei suoi discorsi ed il suo lessico adattandoli alle esigenze dei suoi interlocutori. Con i suoi “fedeli” parlava apertamente dei suoi progetti per la Germania dopo la conquista del potere. Con il popolo manteneva un atteggiamento molto più moderato. Parlava certamente degli ebrei come razza inferiore colpevole delle disgrazie tedesche, condannava i comunisti ed i loro atteggiamenti ma non trattava mai dei suoi progetti di guerra totale che avrebbe attuato una volta ottenuto il potere assoluto. Gli altri politici lo consideravano per lo più un esagitato, che sarebbe crollato tanto velocemente come era nato. Molti lo considerarono uno strumento quasi inoffensivo per i propri fini. Pochi lo temettero davvero comprendendo la sconfinatezza dei suoi obiettivi. Quasi nessuno aveva letto il “Mein Kampf”, in pratica la confessione dei suoi ideali, considerando la lettura del libro una inutile perdita di tempo. Hitler, dopo il fallito tentativo di rovesciare la repubblica del 1923, aveva cambiato strategia decidendo di raggiungere il potere nel rispetto della costituzione e della democrazia. Evitò così di rendere noti alla popolazione i suoi ideali estremisti ed il suo acceso antisemitismo scagliandosi invece contro i repubblicani che avevano deciso l’armistizio nella guerra del 15-18 pugnalando così l’esercito tedesco alle spalle nonostante non fosse stato ancora del tutto sconfitto sul campo. Il trattato di Versailles rimaneva ancora una ferita aperta nell’orgoglio dei tedeschi, più che per le sanzioni economiche per il fatto che attribuiva l’intera responsabilità del conflitto alla Germania. Seguendo quindi una linea tutto sommato legale (pur con i molti interventi di stampo terroristico delle SA) Hitler era riuscito in circa otto anni a trasformare un minuscolo partito di destra nel più forte movimento politico tedesco. C’erano stati molti momenti difficili durante questo cammino ma Hitler non perse mai la fiducia in sé stesso, la concezione di essere l’uomo della provvidenza per una Germania ferita. Sarebbe riuscito a trasformare la realtà adattandola ai suoi ideali ed ai suoi progetti. La sua era quasi una visione messianica in cui non c’era spazio per una qualsiasi possibilità di insuccesso.
“Il 1933 sarà il nostro anno. Glielo posso mettere per iscritto” asserì Hitler alla festa di capodanno ad uno dei suoi maggiori sostenitori, Ernst Hanfstaengel. La lotta quindi continuava e il successo sarebbe presto arrivato. Bisognava comunque agire con prudenza perché il partito stava attraversando una fase difficile. Bisognava evitare che il governo Schleicher cadesse immediatamente perché le dissanguate risorse finanziare del partito non sarebbero riuscite a reggere ad un’altra estenuante campagna di propaganda per le elezioni. I deputati nazisti contribuirono quindi a bloccare un voto di sfiducia proposto da comunisti e socialdemocratici. La vera svolta che fece uscire Hitler da un vicolo cieco in cui lui stesso aveva voluto finire giunse il 4 gennaio. In gran segreto (anche  il suo autista personale Otto Dietrich era all’oscuro di tutto) il Fuhrer si incontrò con l’ex cancelliere Franz von Papen. L’obiettivo di quest’ultimo era chiaro: riprendere il suo posto al governo vendicandosi di Schleicher che prima gli aveva consegnato il potere e poi glielo aveva sottratto. Papen propose ad Hitler di formare un governo nuovo appoggiato da una coalizione tra nazisti e conservatori e che si sarebbe servito dell’appoggio di Hindenburg e dei suoi speciali decreti. La proposta era allettante, anche se la divisione del potere non rientrava nei piani di Hitler. Bisognava però arrivare alla cancelleria prima che fossero indette nuove elezioni per evitare ulteriori perdite alle urne. Questo il Fuhrer lo sapeva bene e la chance che Papen gli offriva, se ben sfruttata, avrebbe potuto condurre ad ottimi risultati. Sapeva bene comunque che l’anziano Hindenburg si era sempre opposto ad un suo gabinetto ma sperava di riuscire a sfruttare l’influenza di Papen sul presidente ai propri fini. Su questo importante fattore si basava la strategia del nuovo alleato di Hitler: l’avversione di Hindenburg verso il leader nazista gli avrebbe permesso di ritornare cancelliere contando sull’appoggio dei deputati nazisti. Papen promise che avrebbe nominato due nazisti ai ministeri degli interni e della difesa, due posizioni di rilievo che avrebbero dato al partito nazionalsocialista il controllo delle forze armate. Hitler non era comunque disposto a ricoprire un ruolo di secondo piano e reclamava per sé la cancelleria forte del grande appoggio popolare di cui godeva. Alla fine non si decise niente ma i due politici decisero di reincontrarsi per continuare le trattative. Il giorno seguente la notizia dell’incontro appariva già su molti giornali berlinesi, nonostante le forti precauzioni prese da Hitler. I nazisti cercarono di sminuire l’importanza di un simile avvenimento e i due politici tedeschi affermarono di essersi incontrati solo per discutere della possibilità di un ampio fronte nazionalista. Schleicher non dette peso alla notizia pensando che Papen non avesse il coraggio di muoversi contro di lui. Il generale considerava il proprio ex protetto poco più che un fantoccio, incapace di ordire cospirazioni e impacciato nel difficile mondo politico tedesco. Ma Papen stava attuando un piano ben preciso ed era deciso ad andare fino in fondo. Si incontrò con Hindenburg riferendogli che Hitler era disposto ad appoggiare un gabinetto di coalizione assieme alle forze conservatrici. Il presidente intuì che una simile opportunità implicava la caduta di Schleicher poiché i nazisti non lo avrebbero mai appoggiato. Sarebbe stato Papen a dover ricoprire l’ambita carica di cancelliere, forte dell’appoggio del presidente.


Rilanciato dagli avvenimenti degli ultimi giorni Hitler si immerse completamente nella campagna elettorale nel Lippe, uno dei più piccoli stati federali che contava solo 100000 abitanti. Era il momento ideale per rilanciare la credibilità del partito: le dimensioni ridotte del territorio rendevano possibile una intensa campagna elettorale che non avrebbe pesato troppo sulle risorse finanziarie naziste, ormai agli sgoccioli. Tra il 4 e il 15 gennaio, giorno delle elezioni, Hitler tenne quindici discorsi e altri importanti esponenti nazionalsocialisti completarono l’opera di propaganda con 23 comizi. Bisognava sfatare l’impressione ormai diffusa che il nazionalsocialismo fosse in declino e che presto sarebbe crollato. Un'altra sconfitta alle urne sarebbe stata fatale ma la sorte giocò  ancora una volta a favore dei nazisti. Il Lippe era l’ideale per rilanciare il partito e Hitler lo sapeva bene. Le dimensioni ridotte del territorio permettevano di sostenere una campagna di propaganda senza precedenti con discorsi giornalieri in tutto lo stato. La popolazione era costituita per lo più da protestanti, il 95% circa, che vivevano per lo più in campagna. Il partito nazista non aveva mai riscosso molti consensi nelle zone altamente industrializzate la cui popolazione votava solitamente o per i socialdemocratici o per i comunisti. Nel Lippe le fabbriche erano quasi inesistenti e le poche che c’erano erano piccole aziende che producevano mobili. I nazisti contribuirono a rendere più imponente la loro campagna elettorale facendo affluire nel minuscolo stato migliaia di SA dalle regioni circostanti. Ai discorsi le camicie brune contribuivano ad accrescere la spettacolarità con inni entusiastici e applausi scroscianti. I raduni erano di una pomposità quasi sconcertante, soprattutto se paragonati a quelli degli altri partiti. Hitler puntava molto sull’effetto scenografico per accendere gli animi dei suoi interlocutori. Le SA incominciavano ad intrattenere il pubblico circa un’ora prima del comizio suonando inni marziali e marciando per la città fino al luogo prestabilito per il raduno. Quindi si disponevano su due file creando tra di esse un corridoio in cui sarebbe passato l’oratore accolto con altre canzoni marziali che accrescevano l’importanza del suo arrivo. La strada verso il successo elettorale nel Lippe non era comunque tutta in discesa. L’ostacolo più grave era rappresentato dalle ormai esaurite casse del partito, provate dalle numerose elezioni dell’anno precedente (le due del Reichstag, le due presidenziali e le elezioni parlamentari per lo stato prussiano). Negli anni precedenti Hitler aveva potuto sempre contare su una grande disponibilità di denaro per finanziare la propaganda durante le elezioni. Nel periodo della scalata al potere, che aveva visto l’ascesa del partito nazista, le iscrizioni erano in rapido aumento e molti donavano anche più della quota prestabilita, sicuri che presto si sarebbe giunti al potere. I capovolgimenti degli ultimi mesi avevano invece fatto precipitare il numero delle iscrizioni. In molti smisero di pagare la propria quota presi dallo sconforto e dalla delusione per le ultime sconfitte. Anche i raduni, con il loro biglietto di ingresso più volte ridotto, non garantivano più una stabilità economica al partito. Hitler dovette finanziare  la campagna del Lippe anche attraverso le proprie entrate personali sui diritti del suo Mein Kampf.


Gli avversari politici di Hitler cercarono in tutti i modi di ostacolare i nazionalsocialisti screditandoli agli occhi della gente. In particolar modo puntavano il dito su una presunta “scissione” del partito ad opera di Gregor Strasser che secondo fonti bene informate stava tramando alle spalle del Fuhrer per entrare nel gabinetto Schleicher con il ruolo di vice cancelliere. Molti esponenti nazisti delusi dalla inconcludente strategia di Hitler simpatizzavano infatti per il suo ex luogotenente, considerato un politico più concreto e dinamico. I timori sembrarono concretizzarsi quando divenne pubblica la notizia dell’incontro tra Hindenburg e Strasser. Il 12 Goebbels scrisse nel suo diario: “Strasser sta complottando. È stato dal presidente.  … Questo è quello che io chiamo un traditore. L’ho sempre pensato e Hitler ne è molto scosso”. La situazione in effetti si stava facendo complicata e la tensione all’interno del partito si poteva tagliare con un coltello. Ad aggravare le cose lo stesso giorno apparve su un quotidiano regionale una lettera di un nazista dissidente che accusava il partito e i suoi più alti esponenti. Arrivare al potere passando per le urne era una strategia completamente sbagliata, scrisse con toni aspri e decisi. Ma soprattutto i funzionari del partito non erano in grado di adempiere ai loro compiti perché erano scelti non in base alle loro effettive qualità ma solo per la loro sottomissione ai massimi dirigenti. In pratica non erano altro che dei semplici esecutori di ordini. Goebbels si affrettò a sminuire la portata della denuncia affermando che si trattava di un caso isolato ma la compattezza nazista sembrava essersi sgretolata definitivamente.
I risultati premiarono comunque gli sforzi di Hitler, almeno in apparenza. Con il 39,5% dei voti era riuscito ad imporsi sugli altri partiti ed a conquistare la maggior parte dei 21 seggi dell’assemblea legislativa. Ma se non ci si ferma ad analizzare solo la superficie del risultato si può vedere come esso non sia stato poi così eccezionale. I nazisti non riuscirono a sconfiggere le forze di sinistra. Anzi, i socialdemocratici guadagnarono rispetto alle elezioni di novembre quasi del 3%. I voti in più che i nazisti ottennero furono sottratti al Partito nazionale tedesco che perse quasi il 4%. In definitiva il rapporto tra destra e sinistra rimaneva invariato ed in sostanziale equilibrio. L’aumento di consensi rispetto alle ultime elezioni per il Reichstag fu dovuto quasi esclusivamente alle incredibili risorse che Hitler profuse nella campagna elettorale. Un giornale cattolico scrisse: “Perché un simile incremento di voti? Perché nessun partito in Germania possiede o può impiegare a) così tanti soldi, b) così tanti oratori, c) così tante tende, auto e altoparlanti da eguagliare l’azione nazista nel Lippe in modo tale da sottoporre ogni circoscrizione elettorale alla stessa enorme pressione usata per assicurare un simile successo”. Ma i nazisti urlavano comunque alla vittoria come un segnale di ripresa del partito. Il risultato era un evidente indice di gradimento del popolo che si era riaffiancato al partito nazista nella lotta contro il sistema repubblicano e il marxismo.
Hitler approfittò immediatamente della situazione per chiudere una volta per tutte il caso Strasser e ridare così solidità al suo partito. Tenne un discorse di tre ore ai Gauleiter difendendo con toni aspri e decisi la sua strategia politica che aveva portato al successo nel Lippe. Poi attaccò direttamente Strasser accusandolo di tradimento e rendendolo responsabile degli scarsi risultati ottenuti alla fine del 1932. Chi si fosse schierato con il traditore sarebbe stato disonorato per sempre. Tutti furono conquistati e giurarono nuovamente fedeltà ad Hitler. Goebbels era entusiasta: “Il caso è chiuso … tutti hanno abbandonato Strasser”. In effetti il docile farmacista uscì definitivamente di scena.
Non si hanno prove che egli stesse realmente complottando contro il Fuhrer ed è difficile credere ad una simile ipotesi. A Strasser mancava infatti quello charme e quel carisma necessari per poter opporsi ad Hitler e vedeva ancora nel leader nazista l’unica figura nell’ambiente politico tedesco in grado di far risorgere la Germania. Decise quindi d’accordo con Goring di ritirarsi per due anni dalla vita politica ed accettò un modesto lavoro in una casa farmaceutica. Ciò non impedì che durante la famosa purga del giugno 1934, nota come “notte dei lunghi coltelli”, egli venisse assassinato da un commando di SS.
La situazione per il partito nazista a metà gennaio prospettava un futuro difficile che sarebbe stato caratterizzato da altri insuccessi. Si facevano sempre più insistenti le voci riguardo ad irregolarità finanziarie, dovute alle ristrettezze economiche. Molti giornali furono costretti a chiudere e pagare i giornalisti che lavoravano per quelli ancora esistenti diventava un problema. Le SA si dimostrarono sempre più insoddisfatte della politica di Hitler e premevano per una linea più rivoluzionaria per rovesciare l’attuale repubblica. La tensione sfociò in una violenta ribellione, guidata dal comandante delle SA della Franconia centrale, Wilhelm Stegmann. Quasi tutte le camicie brune sotto il suo comando, circa 6000, lo seguirono nella speranza di cambiare le cose. Ma Hitler reagì espellendo i dissidenti dal partito e denunciandoli come traditori agli occhi della gente. Le parole del Fuhrer non furono sufficienti e le diserzioni si estesero a macchia d’olio anche alle regioni circostanti. L’organizzazione paramilitare nazista si stava lentamente sgretolando e se Hitler non fosse riuscito ad ottenere la cancelleria il 30 gennaio, eliminando così dissidi e contrasti, sarebbe crollata definitivamente entro pochi mesi.
Intanto il leader nazista proseguiva per la sua strada, sorretto come sempre da una fede cieca nei suoi ideali. Il 18 gennaio si avvalse dell’aiuto di un produttore di champagne, Joachim von Ribbentrop, per incontrare nuovamente Papen. Hitler attaccò immediatamente pretendendo per sé la cancelleria, forte della vittoria ottenuta nel Lippe tre giorni prima. Le sue parole caddero però nel vuoto poiché il suo interlocutore continuava a premere per un gabinetto Papen appoggiato dai nazisti. Il colloquio terminò con un nulla di fatto e i due si lasciarono nuovamente senza un preciso appuntamento per proseguire le trattative.


Hitler era ben conscio che il destino suo e del suo partito non dipendevano ormai interamente dalle sue capacità. Un ruolo determinante lo avrebbe avuto Papen, lo strumento necessario per ingraziarsi Hindenburg, e Schleicher. Molto, adesso, sarebbe dipeso dalle loro decisioni, dettate spesso dal carattere e dalle ambizioni private. Era una situazione delicata e difficile e nello stesso tempo unica ed imperdibile. Se ben sfruttata avrebbe permesso di raggiungere il potere eliminando così tutti i dissidi interni del partito. Hitler sapeva bene che si sarebbe giocato tutto in pochi giorni ma piuttosto che assistere alla lenta disgregazione del suo movimento decise di rischiare, nonostante il successo dipendesse più dalle decisioni dei suoi nemici e alleati che dalle sue. D’altronde ai suoi occhi le possibilità erano solo due: o il pieno successo della sua missione o il fallimento più completo. Non esisteva una via di mezzo, un compresso accettabile. O tutto, o niente.
Gli occhi di entrambi i complottatori erano ora puntati su un solo uomo: Schleicher. Buona parte delle possibilità di successo dipendevano dalle sue reazioni. Se avesse subodorato qualcosa sicuramente avrebbe cercato di correre in qualche modo ai ripari. Ma il cancelliere guardava con indifferenza agli avvenimenti della prima metà di gennaio. Cercava di mantenere un atteggiamento moderato nei riguardi del Reichstag assicurando la nazione che il suo era solo un cancellierato di transizione e che si sarebbe impegnato a combattere la disoccupazione creando nuovi posti di lavoro. Ruppe sistematicamente con la linea politica del suo predecessore Papen cercando di favorire la ripresa economica in modo più diretto attraverso finanziamenti governativi e non con delle semplici agevolazioni alle imprese. Cercò anche di ingraziarsi le masse abolendo un provvedimento che diminuiva i benefici per i disoccupati ed un altro che dava il potere ai datori di lavoro di ridurre in alcuni casi i salari sotto il minimo fissato. In privato Schleicher non nascondeva, però, le sue preoccupazioni. Il Reichstag, con il suo spauracchio del voto di sfiducia, rimaneva ancora un problema. In più Hindenburg non sembrava intenzionato a concedergli lo speciale decreto di scioglimento che gli avrebbe permesso di coprirsi le spalle.
Bisognava trovare un modo per darsi lustro in campo politico e, soprattutto, di fronte agli occhi della gente. Una azione che gli avrebbe permesso di riscuotere il favore delle masse e quindi di guadagnare prestigio e magari anche l’appoggio del presidente. Il suo piano era semplice: sfruttare il diritto sulla parità di armamenti appena ottenuto per mettere fine alla impotenza militare della Germania. Sperava in sostanza di elevarsi al salvatore dell’orgoglio tedesco in campo internazionale dopo le miserie subite dalla sconfitta della prima guerra mondiale. L’esercito si sarebbe dovuto ricostituire passo dopo passo fino alla ripresa della leva universale. Il progetto era ambizioso ma la sua realizzazione poneva il cancelliere di fronte a molti problemi da risolvere, primo fra tutti le notevoli risorse economiche necessarie per attuare un programma di riarmo in un arco di tempo limitato (circa due anni). Inoltre sulla sua testa pendeva sempre, come una spada di Damocle, la minaccia di un voto si sfiducia, soprattutto perché Hindenburg, simpatizzando ancora per Papen, non sembrava intenzionato a concedergli il risolutorio decreto di scioglimento.
A Schleicher restava poco tempo per porre fine al suo isolamento politico poiché il Reichstag si sarebbe riunito già il 31 gennaio. Se la situazione fosse rimasta invariata un voto di sfiducia sarebbe stato pressoché inevitabile. Al suo gabinetto si sarebbero opposti sicuramente i Socialdemocratici, che accusavano Schleicher di aver caldeggiato Papen nella destituzione del gabinetto prussiano, e i comunisti, che puntavano a destituire il cancelliere per approfittare delle seguenti elezioni ed incrementare ancora il loro vantaggio a discapito dei nazisti. Da soli questi due partiti potevano contare su 221 deputati, quasi il 40% del totale. Senza tener conto che molte altre formazioni politiche di minor importanza si schieravano apertamente contro il governo e che i loro voti avrebbero sicuramente contribuito a promuovere un eventuale voto di sfiducia.
Schleicher capì subito che aveva bisogno di Hitler. Solo lui poteva garantire al suo governo una parvenza di stabilità e scongiurare quindi una prematura caduta. Sperava che i nazisti sarebbero scesi a compromessi con lui pur di evitare lo spettro di nuove elezioni che avrebbero causato al partito altre perdite alle urne. Era anche convinto di potersi servire con facilità di Hitler, distruggendo nello stesso tempo il mito dell’opposizione ad oltranza al governo che aveva fruttato fino a quel momento molti voti ai nazisti. Nei suoi obiettivi non rientrava comunque la distruzione del partito nazista: se ciò fosse avvenuto molti dei suoi esponenti sarebbero migrati verso l’ala comunista, considerata da Schleicher il pericolo numero uno per la Germania.


Il piano ad una prima analisi sembra ben congegnato. In effetti se il governo si fosse sciolto sicuramente i nazionalsocialisti avrebbero perso altro terreno, specialmente nei confronti dei loro avversari diretti: i comunisti. Schleicher sapeva che Hitler era ben conscio della situazione che il suo partito stava affrontando: difficoltà economiche e dissidi interni non ancora mitigati. Era convinto che Hitler avrebbe preso la sua proposta come una sorta di ancora della salvezza, per limitare i danni e guadagnare il tempo necessario per risollevare il partito. Sta proprio qui il fondamentale errore che farà naufragare i propositi di Schleicher. La sua sicurezza, il suo orgoglio, e il suo sottovalutare l’avversario lo avrebbero tradito entro pochi giorni. Hitler non era un politico comune e non sarebbe mai sceso a compromessi, sempre spinto dalla convinzione di essere l’uomo del destino, il salvatore della Germania. In più alle spalle del cancelliere stava complottando anche Papen. Schleicher lo sapeva bene ma non dette alcuna importanza alla cosa, disprezzando le capacità politiche del suo ex protetto. Hitler e Papen invece giocarono bene le loro carte ma buona parte del merito del loro successo deve essere attribuito a Schleicher stesso.


Anche la situazione interna fra i suoi collaboratori non era favorevole al cancelliere. Alla sua nomina invece di eleggere dei nuovi ministri a lui fedeli confermò tutti quelli già in carica, per la maggior parte dei tecnici conservatori che male si adattavano alla sua linea politica. I suoi modi bruschi e la sua arroganza gli alienarono la loro fiducia e questo non contribuì certamente all’immagine di un governo finalmente compatto che stava cercando di creare.
Intanto, mentre Schleicher restava convinto delle sue illusioni, Hitler si diede da fare per raggiungere al più presto i suoi scopi e ancora attraverso von Ribbentrop organizzò un incontro con Papen per il 22 gennaio. Entrambe le parti sapevano che il colloquio sarebbe stato decisivo, anche perché vi partecipavano il segretario presidenziale Otto Meissner e il figlio del presidente, Oskar. Entrambi avevano una grande influenza su Hindenburg e riuscire ad ingraziarseli fu una delle mosse vincenti di Papen. Mentre Goring si intratteneva con Meissner, Hitler si separò dal gruppo per conferire in privato con Oskar. Il dialogo tra i due non è ben chiaro perché entrambi non hanno lasciato testimonianze scritte di questo avvenimento. Sicuramente Hitler sfruttò appieno le sue qualità oratorie perché durante il viaggio di ritorno il giovane Hindenburg confidò al segretario del padre che l’ascesa di Hitler era ormai inevitabile. Anche Goring seppe farsi valere conquistando l’appoggio di Meissner. Quest’ultimo era un uomo molto astuto che badava soprattutto alla sua posizione sociale, più che ai doveri che la carica ricoperta gli addossava. Appena capì che Schleicher sarebbe presto finito in disgrazia cercò di assicurarsi l’appoggio dei più probabili candidati alla cancelleria e soprattutto il sostegno di Hitler.
Il Fuhrer poteva ritenersi più che soddisfatto del lavoro compiuto quella sera. Meissner ed Oskar erano le persone fra i consiglieri più fidati di Hindenburg e, partecipando alla maggior parte dei colloqui, potevano “ammorbidirlo” circa una sua eventuale candidatura alla cancelleria. Anche Papen ritenne che la parte maggior parte dei problemi fossero stati risolti dopo il colloquio del 22 e decise di conferire con il presidente già il giorno seguente. La sua proposta di destituire Schleicher trovò subito l’approvazione dell’anziano generale, che ormai non nutriva più alcuna stima nei confronti del cancelliere. Ma quando Papen, appoggiato da Meissner, propose la nomina di Hitler riservandosi solo la poltrona di vice cancelliere, Hindenburg rifiutò categoricamente.
Nel frattempo mentre i cospiratori si trovavano a colloquio dal presidente Schleicher apprese dell’incontro della sera precedente a casa di Ribbentrop. Fu un duro colpo scoprire che anche Meissner ed Oskar stavano ora tramando alle sue spalle. Il loro appoggio avrebbe dato a Papen un forte vantaggio nei suoi confronti presso Hindenburg. I suoi rapporti con il presidente erano già molto tesi e se anche i suoi due consiglieri più fidati si fossero schierati contro di lui presto la sua posizione sarebbe stata in pericolo. Non avrebbe infatti mai ottenuto dal presidente il decreto di scioglimento e sarebbe stato costretto a subire un voto di sfiducia dai risultati terrificanti. Per scongiurare una simile eventualità fissò un appuntamento con Hindenburg nel pomeriggio dello stesso giorno, poche ore dopo il colloquio del suo rivale. Schleicher voleva scoprire se poteva ancora contare sulla fiducia che gli era stata promessa al momento della sua elezione a cancelliere. Alla sua nomina infatti il presidente gli aveva accordato il suo appoggio completo, esattamente come era avvenuto per il suo predecessore. Kurt espose rapidamente a Hindenburg il motivo della sua visita: quando il Reichstag si sarebbe riunito il 31 gennaio nulla avrebbe potuto evitare un voto di sfiducia. Chiese quindi il decreto necessario per sciogliere la camera e il rinvio delle elezioni, da tenere entro due mesi, oltre il termine prestabilito dalla costituzione. Per appoggiare le sue richieste tentò di focalizzare l’attenzione del suo interlocutore sulla leggera ripresa economica in corso determinata dalle sue manovre economiche. Hindenburg lasciò cadere le richieste del cancelliere nel vuoto lasciando intendergli che prima voleva pensarci con calma e che poi ne avrebbero riparlato. Schleicher si trovava ora con le spalle al muro, senza alcuna possibilità concreta di reagire. A dir il vero una possibilità esisteva e gli era stata fornita dal “suo” ministero della difesa. Nella costituzione repubblica si trovava un errore poco evidente ma scoperto verso la fine del 1932 da alcuni esperti: al momento della sua stesura nessuno aveva pensato alla possibilità di una maggioranza negativa. In pratica i partiti che univano le loro forze per promuovere un voto di sfiducia non costituivano in seguito una maggioranza che potesse sostenere il governo dopo la sua caduta.  Appoggiandosi a questa lacuna, il gabinetto del Wurttemberg aveva rifiutato una mozione di sfiducia alla fine del 1932 ed era riuscito a restare in carica. Per suoi consiglieri militari questo era l’unico modo che il cancelliere avesse per rimanere in carica. In più offriva anche due fondamentali vantaggi: 1)non andava contro la costituzione (almeno apparentemente) e quindi non avrebbe attirato le ire dei repubblicani 2)non necessitava di un evidente appoggio da parte del presidente ma solo di un suo tacito consenso. Contro ogni aspettativa Schleicher non si aggrappò a questa ultima chance con ostinazione. Anzi, la rifiutò categoricamente senza però additare alcuna motivazione.


Qualunque cosa pensasse, ora Schleicher si trovava in una situazione precaria. Era completamente isolato politicamente e non era riuscito a farsi degli alleati ne fra i partiti di destra ne tra quelli di sinistra. L’ambasciatore francese Francois-Poncet scrisse a Parigi in quei giorni: “Preso nel vortice delle correnti che attraversano la Germania il generale non sa scegliere; l’impressione che dà è che prima di impegnarsi voglia osservare quale corrente vincerà”. E ancora: “ … al momento la Germania necessita di uomini che creino una corrente e non che ne seguano una”. Schleicher probabilmente si stava già rassegnando all’idea di dover abbandonare la sua carica dopo il mancato appoggio da parte di Hindenburg. È difficile spiegare i motivi di una simile rassegnazione per un uomo abituato all’intrigo ed al doppio gioco come lui. Sicuramente il tradimento da parte del presidente, che gli aveva promesso tutto il suo appoggio il giorno della nomina, doveva averlo molto scosso. Entrambi erano ufficiali prussiani che consideravano l’onore e la parola data dei fondamenti sacri su cui si basava il codice cavalleresco prussiano. Ormai si aspettava di perdere il potere a giorni e, per salvare la Germania da un terzo gabinetto Papen, era disposto a cedere la cancelleria ad Hitler.
La notizia della rottura tra Hindenburg e Schleicher incominciò ad apparire su molti giornali. Temendo che ciò portasse nuovamente alla nomina di Papen, il capo del comando dell’esercito Kurt von Hammerstein si incontrò con il presidente il giorno 27 per metterlo in guardia che un simile provvedimento avrebbe potuto portare alla guerra civile. Le sue parole non trovarono però alcuna risposta.
Il giorno seguente, il 28 gennaio, conscio che ormai non aveva nessuna altra alternativa, Schleicher decise di affrontare nuovamente Hindenburg. Sicuro che si sarebbe opposto alla richiesta di un decreto di scioglimento, avrebbe presentato le sue dimissioni. Al colloquio il cancelliere espose i suoi pensieri sulla situazione attuale della politica tedesca. Caldeggiò la permanenza al potere del suo gabinetto e si oppose strenuamente ad un reinsediamento di Papen, malvisto dal popolo. Ma ormai il vecchio presidente non lo ascoltava nemmeno. Lasciatolo “sfogare” gli negò il decreto e, ringraziandolo per i servigi resi alla patria, gli presentò una lettera di dimissione già compilata. Schleicher, come d’accordo, sarebbe rimasto in carica fino alla formazione del nuovo governo. Dopo una breve discussione sul testo i due si salutarono per l’ultima volta.


Nel pomeriggio di quello stesso giorno Hindenburg ricevette anche la visita del suo protetto cui affidò il compito di sondare alcuni partiti riguardo la formazione di un nuovo governo. In realtà Papen si stava muovendo in quella direzione da almeno una settimana. Aveva avuto principalmente contatti con Hugenberg e Franz Seldte, leader dello Stahlelm, un’organizzazione paramilitare con oltre 300.000 membri. L’obiettivo era quello di creare una coalizione nazionalista con Hitler come cancelliere. Convincere Seldte non fu difficile. Il suo partito non era di grossa dimensione e l’opportunità che gli veniva offerta era un’occasione d’oro per occupare un posto di rilievo nel nuovo governo. Hugenberg si dimostrò invece meno malleabile. Di carattere chiuso ed egocentrico, era un uomo ancorato saldamente alle sue idee dalle quali non si discostava mai. Trattare con lui era molto difficile a causa della sua ristrettezza di vedute che non gli forniva mai una visione d’insieme degli argomenti su cui si stava trattando. Era raro sentirlo ammettere di aver sbagliato. Francois-Poncet lo definì “uno dei peggiori spiriti della Germania”. Papen doveva meditare attentamente il tipo d’approccio da avere nei suoi confronti se non voleva mandare a monte il suo piano.
La sera precedente, il 27 gennaio, ci fu un incontro tra Hitler, Frick, Goering e Hugenberg. La questione principale del loro incontro era il possesso dei due ministeri degli interni, quello nazionale e quello prussiano. I nazisti reclamavano il controllo di entrambi ma Hugenberg si dimostrò titubante a concedere a Hitler due cariche così importanti. Se da un lato infatti il ministero degli interni nazionale non aveva un grande valore, dall’altro quello prussiano permetteva il controllo della polizia nel più grande stato tedesco. Spaventato dalla possibilità che Hitler ottenesse il controllo sui quasi 50.000 uomini delle forze di polizia Hugenberg pretese che il ministero fosse affidato a un non nazista. Irato il leader nazista interruppe l’incontro e tornò al Kaiserhof Hotel, dove alloggiava. Fu necessario l’intervento di Papen il giorno seguente perché le trattative venissero riprese.


Mentre le trattative con Hugenberg erano in corso, Hitler e Papen ricevettero la visita di Fritz Schaffer, segretario dei popolari bavaresi ed “emissario” dei partiti cattolici di centro. Impauriti che le recenti voci di un possibile ritorno dell’ex cancelliere al potere diventassero realtà, i leader cattolici proposero di formare una nuova coalizione insieme con i nazisti ed nazionalisti in modo da formare una efficace maggioranza al Reichstag. In questo modo il nuovo gabinetto sarebbe stato di tipo parlamentare e non presidenziale. Una simile ipotesi incontrò però le resistenze di Hitler. Ritirando il loro appoggio, i cattolici avrebbero potuto far crollare il governo in qualsiasi momento. Il leader nazista aspirava invece a diventare cancelliere presidenziale, libero dai vincoli del parlamento. La proposta di Schaffer non si conciliava quindi con i piani di Hitler che rifiutò. Anche Papen si dimostro poco recettivo nei confronti del collega cattolico. Promise comunque a Schaffer che avrebbe riferito la sua proposta al presidente.
Ora i due ostacoli principali erano le residue reticenze di Hindenburg e le trattative ancora in corso con Hugenberg. Quest’ultimo fu infine convinto con la promessa di ricevere, in cambio delle concessioni fatte ad Hitler, alcuni ministeri fra cui quelli dell’agricoltura e del tesoro. Le resistenze del presidente furono infine vinte la sera del 28. Tutti i suoi consiglieri più fidati erano ormai a favore di un insediamento del leader nazista alla cancelleria e i continui rifiuti di Papen ad accettare di nuovo l’incarico non davano molte altre alternative ad Hindenburg. Papen cercò anche di rassicurarlo sminuendo le richieste dei nazisti. Affermò che la maggior parte dei ministri era disposta a restare in carica anche sotto un gabinetto Hitler. Gli unici due dicasteri su cui il presidente desiderava intervenire direttamente erano quelli degli esteri e della difesa. Fu quindi particolarmente contento che l’attuale ministro degli esteri, il barone Konstantin von Neaurath, avesse deciso di rimanere al suo posto anche dopo la caduta del governo. Il ministero della difesa, diretto da Schleicher, aveva invece bisogno di una nuova guida. Dopo alcune proposte di Papen respinte, Hindenburg decise di affidare la carica al generale Werner von Blomberg, l’inviato tedesco alla conferenza tedesca sul disarmo che si stava tenendo in Svizzera. Con questa scelta non si resero conto di fare un grosso favore ad Hitler. Da alcuni mesi, infatti, von Blomberg si stava avvicinando all’ideologia nazista e aveva espresso spesso il desiderio di vedere il leader nazista alla guida del governo, deluso dalla lenta rinascita militare di Schleicher.
Ormai i giochi sembravano fatti e Papen strappò a Hindenburg la promessa che il nuovo cancelliere, Hitler, avrebbe giurato la mattina seguente, il 30 gennaio. Il presidente dette anche la sua approvazione per la nomina dei nuovi ministri. Quattro di essi - Finanze, Affari Esteri, Poste e Comunicazioni – sarebbero rimasti gli stessi del governo attuale. A Hugenberg venivano affidati i dicasteri dell’Agricoltura e del Tesoro. Von Blomberg ottenne la carica di ministro della Difesa. Seldte avrebbe occupato il ministero del Lavoro. I nazisti invece, oltre ad Hitler alla cancelleria, occuparono le cariche di ministro degli Interni con Frick e quello dei Trasporti con Goering, che sarebbe anche diventato primo ministro prussiano. Papen invece si riservò la carica di vice-cancelliere. Come si può vedere dalla lista Hindenburg non si accorse di uno stratagemma adottato dal suo interlocutore. Sapendo infatti che il presidente avversava un gabinetto Hitler di tipo presidenziale, dato che avrebbe concesso al Fuhrer troppo potere, lasciò vacante il posto di ministro della Giustizia assicurando che esso era riservato ad un esponente del partito cattolico di centro. Le trattative, lasciò intendere Papen, erano ormai a buon punto e presto i cattolici avrebbero appoggiato il governo. Hindenburg fu così rassicurato e il piano dei cospiratori poteva considerarsi praticamente riuscito. In seguito sarebbe stato semplice fingere qualche intoppo nelle trattative. Il presidente, a questo punto, non avrebbe potuto far mancare il suo appoggio al cancelliere e gli avrebbe dovuto fornire gli speciali decreti che già aveva concesso a Schleicher e a Papen.


La mattina del giorno seguente von Blomberg arrivò alla stazione di Berlino dalla Svizzera. Sulla banchina si trovavano due uomini ad attenderlo: von Hammerstein, che doveva condurlo da Schleicher, e Oskar von Hindenburg, che lo doveva accompagnare alla cancelleria per prestare giuramento. Questo fu l’ultimo tentativo compiuto dall’ormai caduto cancelliere per opporsi a Papen. Anch’esso comunque fallì miseramente poiché von Blomberg decise di seguire il colonnello Oskar, in quanto rappresentante del comandante supremo delle forze armate. La notizia che Schleicher avesse tentato di entrare in contatto con il futuro ministro della difesa fece temere un tentativo di colpo di stato militare. Papen si preoccupò d’affrettare i suoi piani e il primo a prestare giuramento fu proprio von Blomberg, andando così contro la costituzione che prevedeva la destituzione di un ministro prima dell’elezione del suo successore (il ministro della difesa rimaneva Schleicher, al momento del giuramento). Subito dopo fu il turno di Hitler e, di seguito, di tutti gli altri ministri. Alle undici e mezzo circa era tutto finito ed il gabinetto Hitler era ormai una realtà.
Nonostante un simile avvenimento furono in pochi a rendersi conto della gravità di ciò che era appena successo. A parte i partiti politici che si schierarono per lo più contro la scelta di Hindenbug, furono i cittadini a dare poco peso all’insediamento di Hitler alla cancelleria. Un simile avvenimento non era certo una novità. I pochi che si accorsero della gravità di un simile gesto si appellarono ad Hindenburg perché ricordasse la sua promessa di non consegnare il potere nelle mani dell’ormai prossimo dittatore. Ma ormai il presidente aveva deciso e difficilmente sarebbe tornato indietro.


La sera i festeggiamenti dei nazisti per la nomina di Hitler si susseguirono tutta la notte nell’intera Germania. A Berlino Hitler rimase affacciato alla finestra del suo nuovo studio a salutare la gente piena di gioia per la vittoria appena ottenuto. Lungo la Wilhelmstrasse migliaia di persone assistettero alla parata di 25.000 SA, organizzata per celebrare degnamente l’evento. Una simile vittoria non faceva altro che rinforzare in Hitler la convinzione d’essere l’uomo della provvidenza. Ormai si sentiva invincibile, nulla lo poteva fermare. Era addirittura convinto che Dio fosse dalla sua parte, che non lo avrebbe mai abbandonato nel cammino che restava ancora da percorrere. Ora che aveva raggiunto il potere, promise a sé stesso che non lo avrebbe mai più lasciato. La tendenza a giocare sempre il tutto per tutto si era ormai radicata profondamente nel suo modo di fare e non lo avrebbe mai più lasciato. Presto gli avrebbe portato sfolgoranti vittorie, ma alla fine lo avrebbe tradito.
Anche Hindenburg quella sera osservava la felicità dei nazisti in una stanza dell’ala vecchia del Reichstag. Forse stava pensando a quello che sarebbe accaduto al suo Paese in pochi anni sotto la guida di Hitler. Papen e Hugenberg, invece, non si preoccuparono minimamente di ciò che avevano causato. Anzi, erano convinti di giostrare con il nuovo cancelliere per i loro scopi. “Nel giro di due mesi lo costringeremo in un angolo così fortemente che le sue ossa scricchioleranno” affermò un raggiante Papen, assistendo al compimento del suo piano.
Il giorno seguente Hindenburg ricevette un telegramma, quasi una visione del futuro della Germania, da parte del generale Erich Ludendorff, suo capo di stato maggiore durante la prima guerra mondiale: “Nominando Hitler cancelliere del Reich tu hai posto la nostra sacra madre patria nelle mani di uno dei più astuti demagoghi di tutti i tempi. Io prevedo che quest’uomo diabolico sprofonderà il nostro Reich nell’abisso e procurerà al nostro popolo immani sofferenze. Le generazioni future malediranno il tuo nome”.

 

CONCLUSIONE

Oggi, quasi 70 anni dopo l’ascesa del nazismo in Germania, molti sono convinti che nulla avrebbe potuto fermare Hitler nel suo cammino verso il potere assoluto. Generalmente si crede che il dittatore, operando in una repubblica, fosse stato eletto democraticamente e che godesse, al momento della sua elezione, dell’appoggio di quasi tutti i suoi concittadini. Altri, invece, pensano che il Fuhrer avesse raggiunto il controllo completo sulla sua nazione grazie ad un colpo di stato militare.
Queste convinzioni sono completamente errate. Non ci fu alcun putsch militare, nessuna elezione dai risultati strabilianti. Hitler sembrava invece destinato a tornare nell’ombra dopo un'ascesa fulminea che aveva trasformato il minuscolo partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi nella più importante realtà politica tedesca dei primi anni trenta. Il destino della Germania si giocò invece in un arco di tempo molto ristretto: i 31 giorni del gennaio 1933. Come spesso avviene furono poche persone a decidere le sorti di un intero popolo. Tra queste, nonostante le apparenze, non c’è Hitler. Il suo ruolo nelle vicende che lo portarono al potere fu solo marginale. Per lo più dovette limitarsi a guardare i suoi alleati ed avversari politici che, con le loro decisioni, avrebbero influenzato il futuro del partito. Questo non vuol dire che una parte del merito non spetti comunque al Fuhrer. Se non si possiedono determinati requisiti è impossibile arrivare ai vertici della politica in così poco tempo. L’abilità oratoria, il suo grande carisma che ne faceva un leader incontrastato, la cieca fiducia nella sua missione furono determinanti ai fini del successo. Più volte aveva rischiato di perdere tutto per poter andare avanti. Fu proprio questa caratteristica che faceva di Hitler un politico fuori del comune. I leader degli altri partiti non rischiarono mai quanto lui per raggiungere i loro obiettivi. Giocarsi in pochi giorni il lavoro di anni richiede una grande fiducia nelle proprie capacità, una fede incrollabile, quasi un cieco fanatismo. Solo lui possedeva tutto ciò. L’azzardo fu la sua arma vincente nei primi anni e la sua condanna all’oblio negli ultimi. Se c’era da fare una scelta, Hitler cercava sempre la soluzione più difficile, ma che, se tutto fosse andato secondo i piani, gli avrebbe permesso una vittoria schiacciante e definitiva. Tutta la sua vita politica fu caratterizzata da simili scelte. La rioccupazione militare della Renania del 7 marzo 1936, che avrebbe potuto scatenare violente reazioni da parte dei francesi, fu un successo. Così come l’attacco alla Francia attraverso le Ardenne ideato da Manstein o le fasi iniziali dell’Operazione Barbarossa. Tutte decisioni prese da Hitler dettate più dal suo “istinto” che dalla logica. Ma la cieca fiducia in sé stesso determinò anche alcune delle sconfitte che segnarono il suo destino, come l’assedio di Stalingrado o la fallimentare offensiva a Kursk nel 1943.
A decidere il futuro della Germania furono invece tre sole persone: Hindenburg, Papen e Schleicher. È inutile, oggi, a quasi settanta anni di distanza, cercare un colpevole per quegli avvenimenti. Giudicare adesso il loro operato, alla luce di ciò che divenne Hitler dopo la sua ascesa al potere, è troppo facile. Allora le cose erano meno evidenti di come appaiono ora. I tre politici tedeschi vanno invece accusati di aver cercato più il loro interesse che il bene della patria. Spesso si lasciarono guidare dai loro sentimenti e dal desiderio di vendetta nel prendere decisioni molto importanti. Papen ideò tutto il suo piano solo per vendicarsi di Schleicher. Hindenburg, che aveva in fin dei conti l’ultima parola in quanto presidente, si lasciò guidare solo dall’antipatia che provava per Schleicher. Quest’ultimo probabilmente fu l’unico che non perseguiva alcun interesse personale. Sembra quasi che fosse stato travolto dagli eventi di gennaio, senza che potesse far molto per cambiare la situazione. Tutti e tre compirono comunque un gravissimo errore: sottovalutare Hitler. Quando si decide di colpire un nemico, si deve studiarlo a fondo per capirne i punti di forza e le debolezze. Papen e Schleicher pensavano invece di poter giostrare con il leader nazista a loro piacimento. Lo consideravano un mezzo per attuare i loro fini. Hindenburg lo chiamava con disprezzo “il mio caporale”. Hitler, che a differenza dei suoi avversari non aveva neanche finito gli studi, approfittò magistralmente della situazione. Intuì cosa pensavano di lui i due politici tedeschi e ne approfittò. Lasciò credere a Papen di poterlo controllare ma quando alla fine raggiunse il potere si sbarazzò di lui senza alcun problema.
La nascita del Terzo Reich era quindi evitabile perché non dipendeva completamente da Hitler. Fu dettata da una serie di coincidenze che unite crearono la fortuna del leader nazista. Schleicher poteva tranquillamente continuare a detenere il potere, ma i suoi limiti in campo politico e i modi bruschi nei confronti del presidente spianarono la strada alla cospirazione che lo avrebbe destituito. Hindenburg si lasciò influenzare facilmente nelle sue scelte e fu quasi una marionetta nelle mani del suo protetto Franz. Papen avrebbe potuto mantenere la cancelleria, se lo avesse voluto, grazie all’amicizia che lo legava al presidente. Oltre a questi fattori la sorte sembrò schierarsi dalla parte di Hitler. Le elezioni nel Lippe giunsero proprio quando si rendeva necessario risollevare il morale fra le file del partito. Gregor Strasser gli rimase fedele nonostante l’espulsione dal partito e suo fratello Otto non rappresentò mai una minaccia. L’incontro a Colonia con Papen gli diede una possibilità concreta di giungere al potere proprio quando il suo partito stava perdendo forza.
Anche inglesi e francesi contribuirono, seppur molto indirettamente, all’iniziale ascesa di Hitler. Il trattato di Versailles era una ferita aperta nel cuore di ogni cittadino della Germania. Scaricava, infatti, la colpa per lo scoppio della guerra sul solo popolo tedesco. Aveva anche piegato economicamente la nazione portando una disoccupazione impressionante e una inflazione mai più eguagliata in tutta l’Europa. I debiti di guerra costringevano i tedeschi a consegnare parte della loro produzione industriale ed agricola ai paesi vincitori. Tutti questi fattori contribuirono a creare un malcontento generale verso il governo, incapace di far fronte ai problemi derivanti dalla crisi economica. La campagna politica di Hitler, che prometteva sostanziali miglioramenti, e la sua ideologia, che trovava negli ebrei e nel marxismo un capro espiatorio alle difficoltà in cui verteva la Germania, ebbe quindi molto successo. Tantissime persone provate dalle privazioni causate dal trattato votarono per i nazisti, agli inizi del 1930, contribuendo così alla loro ascesa. Il documento era così duro che gli Stati Uniti si rifiutarono di ratificarlo. Un membro della commissione americana commentò: “Questo non è un trattato di pace, vedo almeno una dozzina di guerre in esso”.
Decine d’anni di studi hanno confermato che l’ascesa di Hitler non era inevitabile. Essa deve farci riflettere ancora oggi sull’importanza di affidare il potere alla persona giusta. La storia ora potrebbe essere decisamente diversa se un pugno ristretto di uomini avesse lasciato da parte i desideri personali e avesse pensato solo al bene della nazione.

 

Fonte: http://ipertestiscuola.altervista.org/storia/personaggi/hitler.zip

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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