Isaac Newton vita opere biografia
Isaac Newton vita opere biografia
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VITA
Sir Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 4 gennaio 1643 – Londra, 31 marzo 1727) è stato un matematico, fisico e alchimista inglese. Presidente della Royal Society, è considerato una delle più grandi menti di tutti i tempi.
Noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica (è noto agli scolari di tutto il mondo l'aneddoto di Newton e la mela), Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere. Pubblicò i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687, nella quale descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale o infinitesimale.
Progetto del cenotafio di Newton (Etienne-Louis Boullée 1784)
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CONTRIBUTO ALL’ASTRONOMIA
- fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti.
- Contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica.
- A lui si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti.
- Intuì che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche, ma anche iperboliche e paraboliche.
- Grazie ai suoi studi, il Sistema Copernicano, già aggiustato da Keplero, veniva dotato di una solida base matematica
- Realizzò un tipo di telescopio a specchio ancora oggi molto usato, ormai il piccolo cannocchiale di Galileo è andato in pensione
- Grazie alle sue formule, si scoprì che il pianeta Saturno subiva degli influssi gravitazionali da parte di un altro pianeta. Venne così scoperto Urano, che a sua volta portò alla scoperta di Nettuno e in ultimo, dopo molti anni d’osservazione, al piccolo Plutone.
- Nel terzo libro dei Principia, chiamato Sul sistema del mondo, Newton espone la legge di gravitazione universale che agisce, in ogni luogo e per ogni corpo. Essa afferma che due corpi con massa m e M, che si trovano ad una distanza R tra loro, si attraggono con una forza F che è direttamente proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza R. La formulazione matematica della legge è:
F = G . M . m /R²
Newton non pubblica nel 3º libro la legge di gravitazione nella formula algebrica sopraindicata, ma la illustra con una serie di teoremi o proposizioni relativi al moto dei pianeti.
G è una costante, costante di gravitazione universale, il cui valore 6,67 . 10 -11 N m²/ Kg ² fu calcolato sperimentalmente per la prima volta dal fisico inglese Henry Cavendish (1731/1810).
Da questa formula si può capire che:
- quanto maggiori sono le masse m e M dei corpi, tanto maggiore è l’intensità della forza
con cui si attirano;
- più aumenta la distanza R, più diminuisce la forza con cui si attirano. Per questo motivo il
Sole esercita su Mercurio una forza di attrazione maggiore di quella che esercita sulla Terra, molto minore è quella su Plutone
- Newton per primo dimostrò come, attraverso la legge di gravitazione universale, si possano calcolare le orbite dei pianeti (o di qualsiasi altro corpo).
- Successivamente spiegò esaurientemente il moto delle comete.
LA MELA DI NEWTON
La tradizione vuole che Newton fosse seduto sotto un albero di mele quando una mela cadde sulla sua testa e gli fece capire che la forza gravitazionale terrestre e celeste sono la stessa cosa. Questa in realtà è un'esagerazione di un episodio narrato da Newton stesso secondo il quale egli sedeva ad una finestra della sua casa e vide una mela cadere dall'albero e si chiese: “ Come mai la luna non cade?” Si ritiene che anche questa storia sia stata inventata dallo stesso Newton più avanti negli anni, per dimostrare quanto fosse abile a trarre ispirazione dagli eventi di tutti i giorni.
INFLUSSI
Le idee di Newton ebbero una rapida diffusione in Inghilterra anche grazie a persone come Edmund Halley. In Francia rimase a lungo diffusa la teoria cartesiana dei vortici che, rispetto a quella di Newton, aveva il vantaggio di essere comprensibile intuitivamente e senza matematica. Inoltre la gravità era giudicata dai cartesiani come una forza occulta e la sua accettazione non fu facile. Importante in questo campo fu la "propaganda" del filosofo illuminista Voltaire che, nel suo Elementi della filosofia di Newton e nelle sue Lettere filosofiche, si dimostrò un difensore di Newton e con i suoi scritti contribuì all'accettazione di queste teorie. L'esperimento decisivo venne compiuto nel 1736. Dato che le teorie newtoniane prevedevano che la terra fosse schiacciata ai poli mentre quelle cartesiane prevedevano che fosse allungata, nel 1735 partirono due spedizioni per verificare la forma effettiva della Terra, una era diretta in Perù mentre l'altra era diretta in
Scandinavia. Il risultato dell'esperimento fu inequivocabile: la terra è schiacciata ai poli come Newton aveva previsto. Poco dopo altri successi confermarono nuovamente la teoria newtoniana e fecero cadere definitivamente quella cartesiana, come l'apparizione della cometa di Halley nel 1759 come previsto da Halley in base alle teorie newtoniane. Poco dopo Francesco Algarotti pubblicò Il newtonianesimo per le dame, la prima opera divulgativa delle teorie di Newton. La meccanica celeste divenne in seguito straordinariamente precisa e quando nel 1846, grazie ai calcoli teorici di John Couch Adams e Urbain Le Verrier, l'astronomo Johann Galle riuscì a scoprire il pianeta Nettuno, raggiunse il suo apice. Nell'immaginario popolare Newton divenne l'eroe intellettuale per eccellenza, colui che aveva ricondotto la Natura ai principi razionali. Il filosofo tedesco Immanuel Kant fu influenzato dalla visione newtoniana del mondo. L'ammirazione per Newton è ben testimoniata dai vari omaggi che molti artisti gli fecero: il poemetto di Alexander Pope e il suo epitaffio, il quadro di William Blake che lo rappresenta come divino geometra e il progetto utopistico di Etienne-Louis Boullée del suo cenotafio (1784).
LIMITI
Il metodo newtoniano aveva anche lui dei difetti. Si erano scoperte delle irregolarità nel moto di Mercurio che non trovavano spiegazione, così come il forte spostamento verso il rosso delle righe spettrali di molti oggetti celesti come le galassie (di cui ai tempi non si era ancora compresa la vera natura). Questo spostamento indicava che questi oggetti si allontanavano sempre più velocemente in proporzione alla loro distanza. Agli inizi del XX secolo le pecche del sistema newtoniano trovano la soluzione. Albert Einstein (1879-1955) formula la Teoria della Relatività. Infatti nella teoria della relatività lo spazio ed il tempo assoluti non esistono più e sono rimpiazzati da un'entità chiamata spazio-tempo dove lo spazio e il tempo si influenzano a vicenda. Questa considerazione porta a dei cambiamenti nelle leggi del moto e della meccanica classica che però a basse velocità (relativamente alla velocità della luce di 299.729 km/s) sono praticamente impercettibili. Fu possibile migliorare il calcolo dei moti di tutti gli astri. Einstein però dovette sciogliere uno dei dogmi che dai tempi di Galileo erano considerati assoluti dal mondo scientifico. Galileo infatti sosteneva che se si faceva un esperimento in luoghi diversi, anche su una nave in movimento, il risultato di tali esperimenti sarebbe stato lo stesso. Einstein invece scoprì che il risultato poteva variare in base alla velocità, soprattutto se questa era prossima a quella della luce.
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Isaac Newton vita opere biografia
Isaac Newton
Vita e opere
Isaac Newton, nato nel Lincolnshire nel 1642, fu ammesso nel 1661 al Trinity College di Cambridge. Tornato al paese natale nel 1665-66 per sfuggire alla peste, vi compì le sue fondamentali scoperte di ottica (la luce bianca è una mescolanza di raggi di vari colori), di matematica (il calcolo delle flussioni) e di meccanica (la forza centripeta che "incurva" le orbite dei pianeti è la stessa forza di gravità per cui cadono i corpi terrestri). Tornato a Cambridge iniziò la sua brillante carriera accademica; nel 1669 ottenne la cattedra di matematica; assunse incarichi pubblici, contrapponendosi all'assolutismo di Giacomo II e legandosi agli ambienti whig (fu amico di Locke). Alla fine del secolo ricoprì incarichi importanti nella Zecca inglese e nella Royal Society. Morì nel 1727.
Tra le sue opere ricordiamo: i Philosohiae naturalis principia mathematica (1687) in cui pone i principi fondamentali della dinamica e dimostra la legge della gravitazione universale; l'Ottica, in cui studia empiricamente i fenomeni luminosi e li spiega mediante un ipotetico modello corpuscolare della luce (1704).
La parte delle sue ricerche pubblicata è forse quella che a Newton appariva meno interessante. Egli dedicò attenti studi all’alchimia e alla teologia, ma gran parte di questi studi sono andati perduti in un incendio nel 1690. Questi studi probabilmente sono complementari a quelli a noi giunti, in quanto vede nel sistema del mondo la prova dellìesistenza di un artefice divino, la base di una “teologia dedotta da fenomeni naturali”.
2 La fisica newtoniana
«Nature, and nature's laws lay hid in night: / But God said, Let Newton be! and all was light» ("La natura e le leggi naturali giacevano nascoste nell'oscurità della notte / ma Dio disse: che sia Newton! e tutto fu rischiarato"). Questi versi del poeta inglese Alexander Pope, in cui luce e oscurità divengono metafore della conoscenza scientifica e dell'ignoranza, bene documentano la straordinaria influenza innovatrice che Newton esercitò sulla cultura del XVIII e XIX secolo, realizzando il nucleo essenziale della scienza meccanica classica in voga fino all’avvento della fisica atomica. Notevole è quindi il suo contributo scientifico e filosofico, riconosciuto anche dai suoi contemporanei. Oltre ai sui celebri studi sulla luce (che avrebbe natura corpuscolare) e a quelli sul calcolo infinitesimale, Newton dà un impulso importante alla fisica. In particolare, stabilisce le definizioni di alcuni concetti chiave:
- quantità di materia o massa: Newton distingue la massa (la quantità di materia contenuta in un corpo) dal peso (varia a seconda della posizione di un corpo rispetto ad altri corpi, ad esempio un uomo in relazione al centro della Terra);
- quantità di moto: «la quantità di moto è la misura del medesimo ricavata dal prodotto della velocità per la quantità di materia»;
- forza insita o inerzia: «forza insita della materia è la sua disposizione a resistere; per cui ciascun corpo, per quanto sta in esso, persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo». Il principio di inerzia, le cui prime formulazioni si devono, a Galilei (e Cartesio), entra a far parte, come uno dei principi-cardine, della fisica newtoniana;
- forza impressa: forza che muta lo stato di quiete o moto rettilineo uniforme iniziale;
- forza centripeta: «è la forza per effetto della quale i corpi sono attratti, o sono spinti, o comunque tendono verso un qualche punto come verso un centro». Di questo genere «è la gravità per effetto della quale i corpi tendono verso il centro della Terra; la forza magnetica, per effetto della quale il ferro va verso la calamita; e quella forza, qualunque essa sia per effetto della quale i pianeti sono continuamente derivati dai moti rettilinei (inerziali) e sono costretti a ruotare secondo le linee curve (le orbite)».
Da questi elementi Newton fa seguire le tre leggi della dinamica alla base della fisica classica: il principio di inerzia, la proporzionalità tra accelerazione e forza, il principio di azione e reazione.
Newton inoltre ritiene che le nozioni fondamentali della fisica (tempo, spazio, moto) vadano considerate non in relazione ai sensi (secondo una visione relativistica) ma come concetti legati a determinazioni puramente quantitative, matematiche, ossia assoluti.
Spazio, tempo e moto assoluti vengono.a costituirsi così come grandi nozioni a priori della scienza, alla cui definizione hanno contribuito sia le intuizioni dei predecessori (Galilei, Gassendi, Cartesio), sia però anche sollecitazioni e stimoli di natura metafisica e teologica, ampiamente studiati dal filosofo.
Newton offre così risposte valide ai due grandi dubbi emersi con la dottrina copernicana:
a. che cosa "sostiene" e "fa muovere" i corpi celesti (in assenza delle sfere cristalline)?
b. perché i corpi "cadono'' verso il "basso" (in assenza di un "basso" e di un centro assoluti)?
Nel 1666, riflettendo sulla gravità, Newton intuì che se la Luna non si allontana dalla Terra (lungo la tangente) è perché essa “cade” continuamente verso il nostro pianeta, attratta da una forza centripeta. Basandosi sulla legge galileiana della caduta dei gravi e sulla terza legge di Keplero (attrazione reciproca dei corpi), Newton determinò matematicamente la forza in questione: essa è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra la Luna e la Terra; inoltre è presente una costante universale G (Legge di gravitazione universale: G m1 m2 / d2 ).
Questa relazione è generalizzabile non solo a tutti i corpi del sistema solare, ma anche a quelli esterni a esso, come le comete. Non solo, questa legge si può estendere a qualunque corpo: venivano così unificate la fisica celeste e quella terrestre. Questa legge descrive il “come”, ossia secondo quale regola matematica le masse si attraggono mutualmente. Essa però non descrive il perché lo facciano, cioè quale sia l’essenza della forza gravitazionale che le fa avvicinare.
Dal punto di vista filosofico, il cosmo è nato in seguito a un disegno intelligente. L’ente che produsse e che regge l’universo non è un’anima o una ragione immanente, ma un Dio trascendente, dotato di intelligenza matematica e causa dell’ordine dell’universo. Dio è eterno e infinito, non nel senso che egli si colloca fuori del tempo e dello spazio, piuttosto nel senso che è infinitamente esteso e dura eternamente. Dio non coincide però con il tempo “eterno” e con lo spazio “infinito”; piuttosto, esistendo sempre e dovunque, Dio fonda lo spazio e il tempo, che riflettono perciò l’ubiquità e l’eternità divine.
3 La riflessione sul metodo scientifico
Newton conduce a più completa maturazione il processo di matematizzazione dell'indagine naturalistica avviato da Galilei. Ciò anche grazie allo sviluppo del calcolo infinitesimale proposto proprio da Newton.
Al tempo stesso Newton insiste, in termini che richiamano Bacone, sull'importanza dell'osservazione scientifica e della pratica sperimentale: sono gli esperimenti, infatti, che convalidano le teorie scientifiche, e anzi ne rappresentano l'unica efficace verifica. Le prove sperimentali di una teoria, tuttavia, non verificano mai in modo assoluto la teoria stessa: la scienza, per il filosofo inglese, non porta mai a una conoscenza incontrovertibile della natura, ma deve accontentarsi di un’elevata probabilità, in quanto risulta sempre rivedibile. Il lavoro dello scienziato consiste pertanto nel fare osservazioni ed esperimenti e nel trarne induttivamente teorie di ordine generale, attraverso cui descrivere lo svolgimento dei fenomeni naturali.
Alla base del metodo newtoniano troviamo anche un altro importante principio: il postulato della fondamentale semplicità e uniformità della natura, postulato al quale lo scienziato deve attenersi nella spiegazione dei fenomeni naturali.
L'affermazione dell'origine sperimentale e induttiva delle teorie scientifiche si accompagna, in Newton, a una forte critica del procedimento ipotetico o, più precisamente, delle concezioni e degli impieghi inadeguati di esso: «hypotheses non fingo», "io non immagino ipotesi". In certe condizioni, lo scienziato inglese infatti considera legittimo il ragionamento ipotetico: il ricorso a ipotesi e congetture non nuoce all'accertamento della verità quando, secondo le indicazioni baconiane, è strettamente collegato all'esame del materiale osservativo e serve a suggerire nuove soluzioni, da sottoporre poi al controllo sperimentale. Newton contesta invece l’idea, tipicamente scolastica, di convalidare dialetticamente le ipotesi, attraverso cioè la confutazione delle ipotesi rivali. Non è un metodo accettabile affermare “è così perché non è in altro modo”. Questa posizione assume il senso di una difesa del lavoro dello scienziato sperimentale e dei risultati della ricerca scientifica. Infatti, se la validità di una teoria potesse davvero venire provata per via indiretta (cioè attraverso la confutazione di tutte le immaginabili ipotesi rivali), allora nessuna teoria scientifica, per quanto ampiamente confermata dall'esperienza, potrebbe mai venire convalidata, essendo sempre possibile congetturare ipotesi alternative.
La critica di Newton alle ipotesi ha anche un secondo, e filosoficamente più rilevante, bersaglio. Si tratta dell’idea, anch’essa aristotelica, che una conoscenza sia effettivamente scientifica solo se spiega l'essenza ultima della realtà, la causa fisico-ontologica dei fenomeni. A questa modalità di spiegazione, che rinvia a "cause" o "forze" (definite "occulte" perché non manifeste all'osservazione), Newton oppone l'idea che la scienza debba sottrarsi alla pratica inconcludente di immaginare ipotesi sperimentalmente non controllabili sulla natura delle cause e debba invece volgersi alla descrizione, in forma di leggi matematiche, dei fenomeni osservabili.
Da Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Bianchi, De Pasquale, O’ Brien, I filosofi e le idee, vol. 2, Bruno Mondadori, Milano, 2006, pp. 473-8 con modifiche.
Fonte: http://bellodie.altervista.org/filo4a_file/Newton.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
La tesina é rivolta a studenti del primo liceo classico o del terzo liceo scientifico.
Conoscenze necessarie per la corretta comprensione della trattazione sono:
Metodo sperimentale
Grandezze vettoriali e grandezze scalari
Somma e scomposizione di vettori
Sistema di riferimento cartesiano ortogonale
Definizione di derivata prima
Cinematica del punto materiale: velocità e accelerazione
Per la parte applicativa vengono utilizzati i concetti di quantità di moto e del secondo principio nel caso di moto rotazionale
Indice:
Cos’è dinamica
Cenni storici: Isaac Newton
Definizione operativa di forza
Il secondo principio della dinamica
Massa inerziale
Massa e peso
Il primo principio di Newton come caso particolare del secondo
Sistemi di riferimento inerziali
Altra forma del secondo principio (limiti del secondo principio)
Applicazioni:pendolo semplice, composto e di torsione
Cos'è la dinamica
La dinamica studia il moto dei corpi in relazione alle cause che lo producono. Problema fondamentale della dinamica è quello di determinare completamente le caratteristiche del moto quando siano note le cause che lo generano.
La risoluzione del problema fondamentale della dinamica per un punto materiale è possibile grazie a tre principi sui quali tutta la dinamica è fondata, nella nostra trattazione ci occuperemo in particolare del secondo principio.
Cenni storici: Isaac Newton
Isaac Newton è il fisico che con la pubblicazione della sua principale opera "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica" (Principi matematici della filosofia naturale) (1687) continuò il lavoro di Galilei, fornendo le basi fisico-matematiche per lo sviluppo della meccanica moderna.
Isaac Newton nasce a Woolsthorpe nel Lincolnshire, nel 1642, l'anno stesso della morte di Galileo.
Studia al Trinity College di Cambridge, ove, nel 1665 consegue il baccellierato.
Nel 1669 diviene professore di matematica all'Università di Cambridge.
La sua attività scientifica spazia dalla chimica alla matematica, dalla metallurgia all'ottica, dalla meccanica all'astronomia.
Una leggenda diffusa da Voltaire racconta che l’idea della gravitazione è venuta in mente a Newton osservando la caduta di una mela: egli si sarebbe allora domandato che cosa sarebbe accaduto se la mela fosse caduta da un albero alto quanto la Luna. In realtà la scoperta di Newton non nacque tanto da una illuminazione improvvisa quanto piuttosto dal perfezionamento di tentativi anteriori. Già Copernico aveva riconosciuto
la gravità come una forza che attrae tra loro i corpi celesti e Huygens aveva dato la formula della forza centrifuga .
Newton fece i suoi calcoli e trovò allora la conferma definitiva del suo principio. Solo dopo di cio’ egli si decise a comunicare al mondo la sua scoperta.
"Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” segna il passaggio definitivo dalla rivoluzione scientifica alla nascita della fisica classica.
Il metodo considerato da Newton è un metodo "INDUTTIVO" (dal particolare al generale).
Il suo scopo è quello di trovare leggi meccaniche e matematiche capaci di descrivere tutto l’universo fisico dall’infinitamente piccolo (corpuscoli luminosi dell’ottica), all’infinitamente grande (orbite astrali dei pianeti).
Il suo tentativo è quello di matematizzare tutti i fenomeni naturali e le forze che li governano, indipendentemente dalle possibili applicazioni tecniche (studi teorici).
Seguendo un metodo geometrico-matematico egli parte a definire gli assiomi della meccanica:
1) La quantità di materia (massa) è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il volume.
2) La quantità di moto è la misura del medesimo ricavata dal prodotto della velocità per la quantità di materia.
3) La qualità insita della materia (massa inerziale) è la disposizione a resistere alle cause del moto, per la cui sola esistenza ciascun corpo di per sè persevererebbe nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
4) La forza impressa è un azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
5) La forza centripeta è la forza per effetto della quale i corpi sono attratti, o sono spinti, o comunque tendono verso un qualche punto come verso un centro.
Tali assiomi non sono dimostrabili ma vengono e devono essere accettati poiché conformi all’esperienza.
Osserviamo come Newton nel quarto assioma dà una definizione qualitativa della forza e nel terzo di massa inerziale (o meglio di forza d’inerzia).
Nei due paragrafi successivi proveremo a definire la forza e la massa inerziale come grandezze fisiche.
Definizione operativa di forza
Come accennato sopra la definizione di forza data da Newton e’ una definizione di tipo qualitativo.
Vogliamo dare una definizione quantitativa della forza assegnandogli il ruolo di grandezza fisica, cioè vogliamo misurare tale forza. Cominciamo con l'osservare che tutti i corpi, abbandonati a se stessi ad una certa altezza dal suolo, si pongono in movimento cadendo lungo la verticale. In accordo con la definizione qualitativa di forza precedentemente data, si interpreta questo fatto dicendo che tutti i corpi che cadono sotto la nostra osservazione sono soggetti a una forza particolare, che chiameremo forza-peso o forza di gravità (fig. 1).
Se si sospende un corpo all'estremità di una molla elicoidale fissata all'altra estremità, si vede che esso non è più in grado di "cadere", e quindi di porsi in movimento sotto l'azione della forza-peso. Che questa però continui ad agire è dimostrato dall'allungamento subito dalla molla (fig. 2).
Fig. 1
Fig. 2
In generale, tutte le volte che una forza, di qualunque natura essa sia, agisce su di un corpo vincolato, si possono riscontrare in questo deformazioni più o meno grandi. Possiamo quindi dire che una forza può produrre un duplice effetto: può determinare una variazione di velocità, e quindi un'accelerazione, in un corpo libero sul quale essa agisca (effetto dinamico) oppure può causare una deformazione in un corpo di cui vincoli opportuni impediscano il movimento (effetto statico).
Il secondo tipo di effetto, in particolare, fornisce un metodo per la misurazione statica delle forze. Questa possibilità nasce dalla constatazione che una buona molla di acciaio, caricata con un dato corpo, subisce un determinato allungamento e che questo, se la deformazione non supera un certo limite, si riproduce quante volte si vuole sempre uguale, quando alla molla venga applicato sempre lo stesso carico e la molla venga tenuta sempre nello stesso punto della Terra. Conseguentemente, se un corpo B determina nella stessa molla d'acciaio lo stesso allungamento prodotto da un corpo A, saremo autorizzati ad affermare che le forze-peso agenti su A e B sono eguali (fig. 3).
Ora, caricando la molla con entrambi i corpi A e B, si trova che l'allungamento è doppio di quello che si aveva singolarmente con i due corpi (fig. 4).
Analogamente, se si carica la molla contemporaneamente con tre corpi A,B e C su cui agiscono forze-peso uguali,cioè che determinano singolarmente nella molla allungamenti eguali, noteremo che l'allungamento della molla d'acciaio è triplo di quello ottenuto caricando separatamente la molla con i corpi A,B e C (fig. 5 e 6).
Fig. 6
L'entità dell'allungamento della molla ci dà dunque una misura dell'intensità della forza-peso, un allungamento doppio, triplo, quadruplo.. di quello determinato da un dato corpo corrispondendo ad una forza-peso due, tre quattro.. volte maggiore di quella agente sul corpo di riferimento: abbiamo così a disposizione un metodo per la misurazione statica delle forze, per attuare il quale occorrerà munire la molla di un indice mobile su di una scala graduata e collegato all'estremo libero della molla stessa (fig. 7) e inoltre, fissata in modo arbitrario l'unità di forza, tarare la scala in modo da leggere su di essa direttamente il valore della forza applicata. Lo strumento così costituito fungerà da dinamometro, cioè da apparecchio per la misurazione statica delle forze. Effettuata la taratura, infatti, l'uso dell'apparecchio non sarà limitato alla misurazione delle forze-peso ma potrà essere esteso a qualsiasi tipo di forza.
Fig. 7
É importante ribadire che il metodo per la misurazione statica delle forze è fondato sulla riproduzione dell'effetto, e, perché ciò si verifichi, occorre che, qualunque sia il carico applicato alla molla, la deformazione di questa si annulli completamente quando la causa deformante cessa di agire. Solo così la deformazione della molla, per un determinato carico, assume sempre lo stesso valore. Una molla che si comportasse sempre in questo modo si direbbe ideale.
Nella misurazione della forza effettuata con il dinamometro da noi costruito abbiamo fissato in modo arbitrario l'unità di forza, potremmo allora pensare di tarare tale strumento in maniera assoluta scegliendo un peso-campione e definendo unità di misura di una forza la forza peso di tale campione (misurata con la deformazione della molla) in un particolare luogo della terra. In realtà tale scelta ci porterebbe non pochi problemi dovuti soprattutto all’imprecisione insita nella deformazione della molla, nel fatto che tale deformazione tende a variare con il tempo (ripetibilità della misura) e nel fatto che il valore del peso e’ diverso nei vari punti della terra (taratura degli strumenti)
Per tale motivo si e’ preferito utilizzare la massa come unita’ di misura fondamentale nel Sistema Internazionale. Facciamo rilevare che, sotto l'azione di una forza, l'asse di una molla elicoidale assume una particolare orientazione nello spazio: Pertanto questo ente che abbiamo chiamato "forza" è caratterizzato non solo da una intensità, ossia dal valore letto sulla scala di un dinamometro, ma anche da una direzione e da un verso: la direzione è quella assunta dall'asse di una molla in condizioni di equilibrio, il verso è quello individuato dal senso secondo cui si produce l'allungamento. Dunque una forza è effettivamente una grandezza vettoriale che gode di tutte le proprietà che possono attribuirsi ad un vettore.
Dai cinque assiomi della meccanica discendono i tre principi della dinamica di Newton:
1) Principio d’inerzia: ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme salvo che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse.
2) Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa e avviene lungo la linea retta secondo la quale è stata impressa.
3) Principio di azione e reazione: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria ossia le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte.
Andiamo nel dettaglio del secondo principio.
Il secondo principio della dinamica
Per verificare il secondo principio di Newton analizziamo il movimento di un corpo al quale applichiamo una forza nota eseguiamo alcuni esperimenti con la slitta a cuscino d’aria.
Alla slitta è collegato un peso (M) tramite un filo inestensibile che scorre con attrito trascurabile su una carrucola; la caduta del peso mette in moto la slitta inizialmente in quiete.
Sulla slitta sono posti altri pesi identici a quello appeso al filo; per aumentare la forza applicata, toglieremo un peso dalla slitta e lo aggiungeremo al primo, al capo del filo. I pesi sono tutti uguali e, per semplicità assumeremo come unità di forza il peso di uno di essi; questo equivale a porre la forza F = N quando vi sono N pesi al capo del filo.
Iniziamo l’esperimento con F = 1 e registriamo il moto.
Rileviamo lo spostamento ogni 0.2 s, di seguito mostriamo la tabella che segue la legge oraria del moto: in essa sono riportati gli intervalli di tempo, gli spazi percorsi e a fianco di tali valori sono riportate le velocità medie calcolate ogni 0.2 s.
Fig. 8
t |
s |
|
0.5 |
0 |
|
0.7 |
2.4 |
12 |
0.9 |
5.6 |
16 |
1.1 |
9.7 |
20.5 |
1.3 |
14.5 |
24 |
1.5 |
20.1 |
28 |
1.7 |
26.6 |
32.5 |
1.9 |
34 |
37 |
2.1 |
42 |
40 |
2.3 |
50.9 |
44.5 |
2.5 |
60.7 |
49 |
Il grafico mostra che la velocità è proporzionale al tempo,ossia che il moto è uniformemente accelerato; il rapporto relativo all’intero intervallo Δt = 1.8 s ci permette di calcolare l’accelerazione media. Si ottiene a= 20.5 mm/s2.
Ripetiamo ora l’esperimento usando forze pari a 2, 3, 4: è possibile concludere che l’accelerazione aumenta a mano a mano che cresce la forza applicata nella slitta; le misure eseguite permettono di calcolare l’accelerazione i cui valori sono riportati nella tabella seguente:
F |
a |
1 |
21 |
2 |
42 |
3 |
62 |
4 |
83 |
Come si vede a e F sono direttamente proporzionali.
Quindi i risultati del nostro esperimento sono coerenti con l'enunciato del secondo principio di Newton secondo il quale il modulo dell'accelerazione è proporzionale al modulo della forza impressa alla massa m.
F = k m a
Nel Sistema Internazionale si è ritenuto conveniente porre k=1 ottenendo così
( 1 ) F = m a
Negli esperimenti finora eseguiti il corpo in movimento, ossia la slitta, poteva muoversi soltanto in una direzione prefissata, dunque forza ed accelerazione agivano nella stessa direzione per i vincoli da noi imposti. Se al posto della rotaia usiamo il tavolo a cuscino d’aria, potremo verificare che il corpo a cui è applicata una certa forza si muove con un’accelerazione che ha la stessa direzione e lo stesso verso della forza, anche questo concordemente con l'enunciato del secondo principio di Newton che possiamo esprimere in forma vettoriale
( 2 ) F=ma
La (2) esprime in ogni istante la relazione fra valori istantanei della forza ed accelerazione.
Se al corpo sono applicate più forze l’accelerazione risultante è ancora data dalla ( 2 ) dove Frappresenta la somma vettoriale delle forze applicate al corpo.
Massa inerziale
Se ripetiamo la serie di prove eseguite con un numero totale di pesi diversi, vediamo che il rapporto tra forza ed accelerazione assume un valore differente; in particolare se il carico della slitta aumenta, anche m aumenta.
Tale m, secondo la definizione di Newton viene detta massa inerziale (in realtà egli come precedentemente detto parlava di forza d'inerzia) o semplicemente massa.
Il concetto di massa permette di tradurre in numeri il fatto che per impartire una data accelerazione a corpi diversi occorrono in generale forze diverse: per arrestare in un certo intervallo di tempo una boccia da bowling con una certa velocità è necessaria una forza maggiore di quella che occorre per fermare nel medesimo tempo una pallina da ping pong dotata di uguale velocità.
La ( 2 ) ci suggerisce anche un criterio per confrontare masse di corpi diversi: infatti diremo che due corpi hanno masse uguali se, sotto l’azione di forze di uguale intensità si muovono con la stessa accelerazione. Se invece due corpi hanno masse diverse,a parità di forza applicata, le loro accelerazioni saranno inversamente proporzionali alle rispettive masse; possiamo così verificare sperimentalmente che la massa è una grandezza additiva, ossia che la massa di due corpi riuniti è pari alla somma delle rispettive masse.
A questo scopo, per esempio possiamo misurare le accelerazioni di due slitte identiche, ad ognuna delle quali è associato lo stesso numero di pesi, prima separate e poi sganciate e sempre sottoposte alla stessa forza.
La massa di un corpo non dipende dalla sua forma né dalla sua temperatura, né dal fatto che il corpo stesso sia solido liquido o gassoso.
Tale indipendenza dalle altre grandezze fisiche suggerì a Newton di interpretare la massa di un corpo come una misura della quantità di materia in esso contenuta.
Tale interpretazione è stata , però, i seguito abbandonata ed oggi si preferisce definire la massa nel modo suggerito dalla ( 2 ), ossia come rapporto tra forza ed accelerazione
m=
Come il metro ed il secondo , anche l’unità di misura della massa è considerato unità di misura fondamentale nel SI. Questo significa che l’unità di massa è definita per mezzo di un campione convenzionale in modo indipendente da altre unità di misura.
L’attuale campione di massa è un cilindro costituito da una lega di platino ed iridio che è conservato nell’ufficio pesi e misure di Sevres presso Parigi, la cui massa è per definizione uguale ad un chilogrammo (kg).
Dall’unità di massa si ricava immediatamente l’unità di forza, definita, in base alla ( 2 ), come quella forza che esercitata nella direzione dello spostamento impartisce alla massa di un kg un’accelerazione di 1 m/s2.
Questa nuova unità è detta newton e viene abbreviata con la lettera N; in formula
Massa e peso
Poiché tutti i corpi in caduta libera si muovono con la stessa accelerazione, il secondo principio suggerisce un’importante relazione tra la massa ed il peso di un corpo.
Infatti, se ammettiamo che l’accelerazione di caduta libera g è l’effetto dell’applicazione della forza peso Fp ad un corpo di massa m, la relazione ( 2 ) si traduce nell’uguaglianza
Fp = mg. (3)
Quest’ultima ci dice che il peso di un corpo è proporzionale alla sua massa ed al valore dell’accelerazione di gravità del luogo in cui esso si trova.
Come si vede a differenza della massa il peso non è una proprietà intrinseca del corpo, ma dipende anche dal valore dell’accelerazione di gravità nel luogo considerato.
Sulla terra, come sappiamo, g vale circa 9,8 m/s2, mentre sulla luna i corpi pesano circa 1/6 di quanto pesano sulla terra e su una nave spaziale che viaggia a motori spenti tutti i corpi sono privi di peso, come hanno sperimentato direttamente i cosmonauti.
La ( 3 ) permette di definire l’unità pratica di peso: poiché la forza di 1 newton impartisce alla massa di 1 kg l’accelerazione il cui modulo è 1 m/s2, mentre il suo peso le impartisce un’ accelerazione il cui modulo è pari a g, il peso di un corpo di massa 1 kg é pari a g newton; tale peso prende il nome di kilogrammo-peso, abbreviato Kgp. Questa unità di misura é largamente usata nelle utilizzazioni pratiche, anche se l’omonimia con l’unità di misura della massa può creare confusione.
Il difetto principale della definizione di questa unità consiste nel fatto che l’accelerazione di gravità assume valori differenti nelle varie località della Terra a seconda della latitudine ed anche dell’altezza sul livello del mare.
Si assume che il kgpsia pari al peso di un corpo della massa di un chilogrammo, che si trova in una località in cui il valore di g è dato esattamente da :
g = 9,8062 m/s2
questo valore standard corrisponde all’accelerazione di gravità al livello del mare per una località posta a 45 gradi di latitudine.
Poiché g non è costante, in generale il peso di un corpo di massa pari ad un kg non è esattamente uguale ad un kgp; la differenza è dell’ordine di una o due parti su mille, e può venire trascurata quando non sia richiesta una grande precisione
Per quanto riguarda la misura del peso abbiamo già descritto il dinamometro. Per quanto invece riguarda la bilancia a due piatti si noti che, mentre il dinamometro misura il peso direttamene attraverso la deformazione della molla, la bilancia a piatti confronta il peso del corpo posto su un piatto con quello dei corpi campione posti sull’altro.
Allora poiché g assume lo stesso valore in corrispondenza di entrambi i piatti, se non agisce alcuna altra forza oltre al peso, questi saranno in equilibrio quando la massa del corpo è uguale alla somma delle masse campioni. In altra parole, la bilancia a piatti misura la massa e non il peso.
Così,per esempio, un corpo di massa pari ad un kg farà segnare un peso di 9,8 N sulla Terra e di circa 1,6 N sulla Luna, se per la misura useremo la bilancia a molla. Se invece useremo la bilancia a piatti, il risultato sarà lo stesso in entrambi i casi: infatti sulla Luna risulta ridotto nella stessa proporzione sia il peso del corpo sia quello delle masse campioni; per ricavare il peso, dovremo allora moltiplicare la massa ottenuta per il valore dell’accelerazione di gravità nel luogo dove è avvenuta la misura.
Il primo principio di Newton come caso particolare del secondo
Se consideriamo il secondo principio di Newton nel caso particolare in cui la forza impressa è uguale a zero ricaviamo che:
F=0 ma=0 a=0,
=0 v=cost
Cioè vediamo che il primo principio della dinamica non è altro che un caso particolare del secondo per un corpo al quale non è applicata una forza (o per il quale la risultante delle forze applicate risulta nulla).
Un corpo persevera nel suo stato di quiete (|v|=0) o di moto rettilineo uniforme (v=cost) se nessuna forza ne perturba lo stato.
Possiamo fare delle verifiche sperimentali di tale principio.
Se lanciamo con una leggera spinta una boccia su un piano da gioco liscio ed orizzontale, osserviamo che la sua velocità diminuisce a poco a poco fino ad annullarsi. Inoltre l’esperienza mostra che a parità di spinta iniziale, il tempo impiegato dalla boccia per fermarsi, dipende dalla natura del piano: quanto più questo è liscio e duro, tanto più a lungo durerà il moto.
Tali osservazioni suggeriscono che la causa del rallentamento va cercata in una forza che si genera nella zona di contatto tra la boccia ed il piano; questa forza è un esempio di forza d’attrito.
In realtà il primo principio di Newton era già stato enunciato da Galileo. Questi aveva eseguito alcuni esperimenti nei quali una pallina rotolava lungo un piano inclinato e risaliva lungo un secondo piano la cui inclinazione poteva essere variata a piacere. Galileo aveva osservato che la pallina non risaliva mai alla stessa altezza da cui era partita, ma si fermava un po’ più in basso, e comprese che la causa di questo fatto andava cercata nell’attrito.
Egli , allora pensò che in assenza d’attrito la pallina risalirebbe fino alla quota iniziale e questo equivaleva ad affermare che il cammino percorso sul secondo piano doveva essere tanto più lungo quanto minore era l’inclinazione del piano stesso; egli giunse così alla conclusione che in assenza di attrito e con il secondo piano in posizione orizzontale, la pallina non si fermerebbe più: il suo moto sarebbe rettilineo uniforme e perpetuo.
Sistemi di riferimento inerziali
Una limitazione cruciale dei primi due principi di Newton riguarda la scelta del sistema di riferimento: i principi non sono validi in tutti i sistemi, ma soltanto in certi sistemi di riferimento particolari.
E’ evidente che, se questi principi sono validi in un dato sistema di riferimento, essi non possono essere validi in un secondo sistema di riferimento che si muova di moto accelerato rispetto al primo.
Per esempio, nel sistema di riferimento del suolo, una palla in quiete sul pavimento di una stazione ferroviaria rimane in quiete; ma, nel sistema di riferimento di un treno che si muove di moto accelerato uscendo dalla stazione, una palla inizialmente in quiete sul pavimento di una carrozza, ha un’accelerazione “ spontanea” verso la parte posteriore del treno, in contraddizione apparente con il primo principio di Newton.
I particolari sistemi di riferimento per i quali è valido il primo principio di Newton, sono detti sistemi di riferimento inerziali.
Nell' esempio precedente il sistema di riferimento del suolo può essere approssimato ad un sistema di riferimento inerziale, al contrario di quello del treno in accelerazione.
Come si fa per sapere se un dato sistema di riferimento è inerziale oppure no ? Si può stabilirlo soltanto facendo una prova. Si prende un corpo libero cioè un corpo isolato da tutte le forze esterne e se ne osserva il moto: se il corpo persiste in uno stato di moto rettilineo uniforme il sistema di riferimento è inerziale.
E’ importante notare che, se un certo sistema di riferimento è inerziale, qualsiasi altro sistema di riferimento in modo traslatorio rettilineo uniforme rispetto al primo sarà anch’esso inerziale, mentre qualsiasi altro sistema di riferimento in modo accelerato rispetto al primo non sarà inerziale.
Infine si deve risolvere una questione importante: quali dei sistemi di riferimento usati in pratica per le misurazioni ordinarie sono inerziali ? Per la descrizione dei fenomeni ordinari il sistema di riferimento usato è quello solidale con il suolo con l’origine delle coordinate fissa in qualche punto della superficie della terra. Sebbene grossolane esperienze indichino che questo sistema di riferimento è inerziale ( per esempio un carro ferroviario in quiete su un binario orizzontale rimane in quiete) , esperienze più precise indicano che questo sistema di riferimento non è inerziale.
Una famosa esperienza di questo tipo è l’esperienza del pendolo di Foucault. Quando un lungo pendolo sospeso ad un filo privo di torsione viene posto in oscillazione avanti ed indietro, l’osservazione indica che il pendolo si sposta gradualmente di lato, cioè, che il piano di oscillazione ruota gradualmente rispetto alla terra.
Naturalmente , la pallina del pendolo non è un corpo libero, poiché su di essa si esercitano sia la forza di gravità sia la trazione del filo di sospensione; ma nessuna di queste due forze è capace di causare il moto rotatorio trasversale che si osserva.
Quindi, questo moto indica che il primo principio di Newton non è valido nel sistema di riferimento della Terra. La spiegazione è che la Terra ruota attorno al proprio asse: ruota rispetto ad un sistema di riferimento inerziale. Poiché il moto rotatorio ha un’ accelerazione centripeta, un sistema di riferimento solidale con la Terra ha un’accelerazione e non è un sistema di riferimento inerziale. Perciò il moto rotatorio del piano di oscillazione del pendolo di Foucault è dovuto alla rotazione della Terra : il pendolo tende ad oscillare in un piano fisso, ma la terra ruota sotto di esso.
Quantunque un sistema di riferimento solidale con il suolo non sia esattamente inerziale, il valore numerico dell’accelerazione centripeta dei punti della superficie della terra è piuttosto piccola, per cui, per la maggior parte degli scopi pratici essa si può trascurare e si può considerare che un sistema di riferimento solidale con il suolo sia inerziale con buona approssimazione.
Altra forma del secondo principio (limiti del secondo principio)
Si definisce quantità di moto di una particella di massa m, in moto con velocità v, la grandezza
q= mv .
Essendo espressa dal prodotto di una quantità scalare positiva per una grandezza vettoriale, essa è un vettore avente la direzione ed il verso del vettore velocità e modulo pari al prodotto mv della massa per il modulo della velocità.
Con l'introduzione della grandezza q il secondo principio della dinamica può mettersi sotto un'altra forma. Ricordando infatti che la derivata del prodotto di una quantità costante per una quantità variabile è eguale al prodotto della grandezza costante per la derivata della grandezza variabile, la formula potrà scriversi:
F=ma=m (dv/dt)=d(mv)/dt
e quindi
F= dq/dt.
In particolare, per F=0 è dq/dt=0 e quindi q= costante.
Introducendo la quantità di moto, alla seconda principio della dinamica possiamo dare allora la seguente formulazione : in presenza di forze non equilibrate (F≠0) la risultante delle forze eguaglia istante per istante la derivata temporale della quantità di moto.
Il procedimento che ci ha condotti a riscrivere il secondo principio della dinamica in questa nuova forma ci indurrebbe a pensare che le equazioni
F=m (dv/dt)
F= dq/dt
siano del tutto equivalenti.
In realtà ciò è effettivamente vero (almeno con ottima approssimazione) nell'ambito della meccanica classica. La meccanica relativistica ritiene invece che l'unica forma corretta del secondo principio sia quella espressa nella seconda forma. Questa conclusione è una conseguenza del fatto che, contrariamente a quanto noi abbiamo supposto, la massa di una particella non si considera costante, ma variabile al variare della sua velocità.
Fonte: http://www.lemur.it/Sissis/Newton%202%20con%20applicazioni.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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