Archimede vita scoperte opere biografia

 

 

 

Archimede vita scoperte opere biografia

 

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Archimede (Siracusa 287-212 a.C.)

a del cerchio egli  mostra come approssimare l’area di un cerchio con quella di un poligono regolare e ne ricava una sorprendente stima di π:

 3,1408 » 3+10/71 < π <  3+10/70 » 3,1428.

 

Ma Archimede non si accontenta di  questi dati numerici approssimati: egli  cerca la precisione.  Nell’antichità le uniche formule di area esatte note erano quelle delle figure delimitate da segmenti rettilinei, come il quadrato. Il famoso problema della quadratura del cerchio nasceva dunque  essenzialmente dalla necessità di conoscere l’area di quest’ultimo. D’altra parte  effettuare questa costruzione con gli strumenti euclidei, ossia con riga e compasso, appariva come un’impresa disperata. Archimede si avvalse allora di un nuovo strumento, di sua invenzione: una spirale, che da lui ha preso il nome. Essa è la traiettoria di un punto che si  muove sul piano combinando un moto traslatorio ed un moto rotatorio, entrambi uniformi (ossia con velocità costante). Una volta tracciata  questa spirale sul foglio – il che è possibile per via meccanica – Archimede poté quadrare il cerchio con riga e compasso. L’idea di ricorrere a particolari curve per risolvere problemi geometrici, in realtà, non era nuova. Già Menecmo, un secolo prima,  vi aveva pensato: aveva infatti  introdotto le coniche per realizzare la duplicazione del cubo.

 

Per verificare la correttezza della sua costruzione, Archimede ha comunque bisogno  di un metodo per il calcolo dell’area del cerchio. A tal fine mette a frutto il metodo di esaustione,  creato da Eudosso. Questo prevede un algoritmo di approssimazione indefinita che contiene in nuce i principi del calcolo integrale.  Con la stessa  tecnica Archimede determina le aree delimitate da archi di parabole (Quadratura della Parabola).

 

Una volta  nota l’area del cerchio – sia pur in maniera approssimata - Archimede può calcolare il volume e l’area della superficie dei principali solidi di rotazione, cui dedica i trattati Sulla sfera e sul cilindro e Conoidi e sferoidi: i suoi risultati, non potendo essere numericamente esatti, sono di natura comparativa. Così egli prova, ad esempio, che la superficie della sfera è pari a quattro volte l’area del suo cerchio massimo (Libro I, proposizione XXXIII), ed è anche pari a 2/3 della superficie totale  del cilindro circoscritto. Egli  utilizza alcuni risultati tratti dagli Elementidi Euclide: per dimostrare che il volume S della sfera è pari a 2/3 del volume Ci del cilindro circoscritto, egli dimostra prima che S è pari a  quattro volte il volume del cono avente come base il cerchio massimo ed altezza il raggio della sfera; questo è sua volta pari alla metà del volume Co del cono che ha la stessa base e ha l’altezza pari al diametro della sfera. Dunque, riassumendo, S = 2 Co. Archimede quindi applica la Proposizione 10 del Libro XII degli Elementi di Euclide, secondo la quale Co = 1/3 Ci, e conclude.

 

Molte delle formule che Archimede dimostra nei suoi scritti geometrici  erano state  da lui  intuite prima sulla base dell’evidenza fisica, ad esempio immaginando di porre in equilibrio oggetti  aventi le forme  desiderate con altri di  volume noto. Questo suo metodo di ricerca ci viene rivelato da una sua opera minore, intitolata Sui Teoremi Meccanici, scritta sotto forma di una lunga lettera ad Eratostene, e ritrovata solo nel 1906 dal filologo danese J.L. Heiberg.

Il trattato detto Arenario o Psammite, dedicato al suo amico Gerone, tiranno di Siracusa, riguarda l’astronomia e l’aritmetica: oltre a presentare il  primo sistema eliocentrico della storia, quello ipotizzato da Aristarco di Samo,  esso contiene importanti osservazioni sui grandi numeri (come i granelli di sabbia contenuti nell’intero universo, cui si riferisce il titolo):  viene studiato il modo di rappresentarli nella poco agevole notazione greca (non posizionale).

 


Archimede  dimostrò che, supponendo i limiti del mondo molto al di sopra di quanto comunemente ritenuto, il cinquantaduesimo termine della progressione geometrica di ragione dieci era più che sufficiente a rappresentare il numero di granelli che il mondo, considerato di forma sferica, poteva contenere.
Questo numero, “1 seguito da 51 zeri”, oggi si scrive con la formula

x = 1051.

Includendo anche il cielo delle stelle fisse, Archimede arrivava ad una stima di 1063.
Con la “numerazione greca” era però possibile scrivere come numero massimo il nostro 100.000.000. Archimede immaginò un modo tendente a perfezionare la numerazione greca.
Egli considerò come unità tale numero massimo, cioè 10.0002, ed adoperando il sistema antico, con questa unità riuscì a rappresentare i numeri fino a 10.0004, cioè fino a numeri con sedici cifre. Assumendo questo ultimo numero come unità e reiterando il procedimento, arrivò ad esprimere i numeri fino a 10.0006, cioè fino a ventiquattro cifre, e così di seguito.
Sostanzialmente, Archimede divideva i numeri in periodi di otto cifre, riuscendo così a rappresentare un qualsiasi numero.
Più tardi, Apollonio, filosofo della Scuola Alessandrina, ridusse i periodi di otto cifre  a periodi di quattro cifre: il primo era quello delle unità, il secondo quello delle miriadi o decine di migliaia, il terzo quello delle doppie miriadi o centinaia di milioni e così via.
I due metodi rimasero però ad esclusivo uso dei dotti.

Nell’Arenario viene anche enunciata la cosiddetta proprietà archimedea dei numeri naturali, secondo la quale ogni numero  naturale quanto si voglia grande ammette un successore. L’opera è permeata dell’idea di infinito, che  sta alla base dei processi iterativi indefiniti:  questi verranno ripresi da Cantor alla luce del concetto di  numero transfinito.

 

Archimede trovò 13 tipi  di poliedri semiregolari, ossia di poliedri le cui facce sono tutti poligoni regolari, ma di tipo diverso.  Ad esempio, nel  tetraedro troncato, il primo della figura, le facce sono triangoli equilateri ed esagoni regolari.

 

 


Questi poliedri sono oggi detti archimedei. Sono ottenuti tagliando i poliedri regolari con piani disposti simmetricamente intorno al centro della sfera circoscritta.

Le principali opere a contenuto fisico sono:

  • Sull’equilibrio dei  piani, un trattato di statica in cui vengono calcolati i baricentri di molte figure geometriche, e viene enunciato il principio della leva;
  • Galleggianti, contenente il famoso principio di Archimede;

 

  • Catottrica, uno studio sugli specchi, andato perduto, del quale riferisce Teone di Alessandria.

Ad Archimede vengono attribuite anche invenzioni di utilità pratica, come l’argano per tirare in secco le navi, oppure macchine da guerra, come le catapulte e gli specchi ustori, che, secondo una leggenda,  permisero ai Siracusani di  respingere il primo attacco inferto alla loro città dalla flotta romana del console Marcello durante la Seconda Guerra Punica. La seconda incursione avrebbe segnato la fine dell’indipendenza della città, ultima roccaforte greca, e avrebbe portato all’uccisione dello stesso Archimede.
Si narra che lo scienziato avrebbe  conquistato l’amicizia del tiranno Gerone, prima che per i suoi meriti militari, smascherando un orafo, che aveva tentato di affibbiare al re una corona d’oro contenente, in realtà, una parte di argento. L’immersione dell’oggetto nell’acqua avrebbe rivelato, secondo il principio di Archimede, che il peso specifico era minore del dovuto.
Questo episodio, puramente immaginario, è ricordato  in uno scritto di Leon Battista Alberti e, in epoca più recente, da Vincenzo Monti nel suo poema dedicato al matematico Lorenzo Mascheroni.

Nel maggio del 1543 Tartaglia pubblica a sue spese un primo libro in latino di opere di Archimede:
a) De centris gravium, libri duo
b) Tetragonibus
c) De insidentibus aquae, liber unus
Nel 1565 esce, attribuito postumo a Tartaglia, un secondo volume dei Galleggianti, dal titolo Archimedis de insidentibus aquae, Liber primus  et secundus. In realtà pare che la traduzione in latino dei due libri di Archimede sia stata opera del frate belga Guglielmo di Moerbeke, 1525.

 

Curiosità

 

Marco Tullio Cicerone, nell’epoca in  cui era questore in Sicilia, scoprì, presso una delle porte della città di Siracusa, una tomba dimenticata, nascosta dalla vegetazione,  e sovrastata da una colonnina,  su cui erano incisi una sfera ed un cilindro. Immediatamente la riconobbe come la tomba di Archimede.

 

  • Gottfried Wilhelm Leibniz disse: “Chi capisce Archimede e Apollonio, ammirerà meno le conquiste dei più grandi matematici dei tempi successivi.”

 

Una pagina del trattato “Le Spirali”
Galilei descrive un’invenzione di Archimede: la coclea

 

 

Il metodo di esaustione in un trattato  giapponese del 1687

 

Fonte:

http://www.dm.uniba.it/ipertesto/archimede/archimede.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

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