Storia arte e cultura nel 1800
Storia arte e cultura nel 1800
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I CARATTERI FONDAMENTALI DELLA RESTAURAZIONE IN EUROPA
La Restaurazione, il periodo che comprende la storia europea dal 1815 al ‘30, è caratterizzata dalla reimposizione, anche contro la volontà dei popoli, di forme di governo e amministrazione precedenti la Rivoluzione Francese (1790), applicando il principio di legittimità sancito dal Congresso di Vienna; disconoscendo le nuove grandi tendenze spirituali, le idee di libertà politica e di nazionalità, in modo da fallire, in definitiva alle aspirazioni di fondere la vecchia con la nuova Europa. Furono pertanto ristabiliti sui troni europei le dinastie antecedenti il 1790. Contemporaneamente l’azione politica delle potenze vincitrici aveva l’intento di vigilare e contrastare i possibili tentativi di rivalsa della Francia e di mantenere lo status quò, impedendo ogni destabilizzazione dell’ordine ricostituito.
Tre erano le direttrici lungo le quali si sarebbe orientata la Restaurazione:
- Ricostituzione dell’ordine precedente la rivoluzione francese secondo il principio di legittimità;
- Nuovo assetto politico dell’Europa dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo del Giugno 1815, con egemonia delle nazioni vincitrici;
- Costituzione di un sistema d’alleanze per mantenere a lungo il ricostituito assetto, con un occhio di riguardo ad eventuali tentativi di rivalsa francese.
Ma troppi erano stati i mutamenti nella società del tempo (la certezza del diritto e l’uguaglianza formale dei cittadini) e troppo in profondità si erano radicate le idee rivoluzionarie da consentire un tale progetto. La situazione si sarebbe risolta in un compromesso fa antico e nuovo; fra il ritorno al potere dei conservatori e il notevole sviluppo dei borghesi (Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e Italia settentrionale).
La stagione della Restaurazione, coincideva con la sconfitta di Napoleone e si proponeva la ricostituzione del vecchio ordine infranto. Alla base si pose il principio di legittimità, abilmente proposto dagli stessi francesi al congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815), che riallocava i troni su base dinastica (diritto divino dei sovrani, a contrapporsi ai principi rivoluzionari della volontà del popolo).
Furono ristabilite le reggenze al potere prima del 1790, con l’intento di mantenere la situazione per un lungo periodo. Per ottenere il risultato era necessaria un’opportuna rete d’alleanze, con l’intento di vigilare sui tentativi di rivalsa francesi.
- La Santa Alleanza (Francia, Prussia, Russia e Austria)
- Quadruplice Alleanza (Inghilterra, Prussia, Russia e Austria).
Queste diedero inizio al concerto europeo, un dialogo politico periodico fra le potenze.
Con criteri settecenteschi intere regioni passarono da uno stato all’altro, come compensi di guerra, senza considerare principi di nazionalità e con effetti diversi a seconda dei singoli paesi interessati.
In Gran Bretagna prevalse l’ala destra del partito conservatore, che produsse una politica rivolta a favorire gli interessi della grande proprietà terriera, inasprendo le tensioni sociali che portarono a numerose agitazioni operaie.
Prussia, Russia e Austria confermarono i vecchi assolutismi settecenteschi (politiche autoritarie appoggiate da interventi militari).
La Spagna vide il misero riconoscimento di una costituzione conservatrice e la repressione di tutte le correnti liberali.
Il Regno dei Paesi Bassi e in alcuni stati della Confederazione germanica i regimi furono parzialmente rappresentativi con Parlamenti eletti a suffragio ristretto.
In Francia, invece, il nuovo re Luigi XVIII promulgò una costituzione liberale proclamando l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, garantì in forma limitata i diritti fondamentali e un Parlamento bicamerale, che provocò lo scontento dei legittimisti più intransigenti che organizzarono un partito – ultras - che alla morte del re, avrebbero portato al trono il fratello Carlo X, capo riconosciuto degli ultrarealisti.
In Italia fu particolarmente dura nel Regno di Sardegna (l’unico autonomo dall’influenza austriaca), dove fu bloccata la legislazione e altre riforme napoleoniche. Nel Regno delle Due Sicilie e nello Stato Pontificio le spinte reazionarie furono in parte frenate dalla presenza di correnti moderate.
Nel Lombardo-Veneto autoritarismo e buona amministrazione caratterizzarono la dominazione austriaca. Agricoltura e industria ne trassero benefici così come la rete interna di comunicazioni, che la resero la più avanzata d’Italia economicamente.
2 IL CONGRESSO DI VIENNA E LA SANTA ALLEANZA
Il Congresso di Vienna fu proposto dal cancelliere austriaco: Metternich, dopo la caduta dell’Impero napoleonico ad opera delle potenze vincitrici (Inghilterra, Russia, Austria e Prussia), per portare in Europa un equilibrio politico che impedisse il sorgere di nuove rivoluzioni.
Inaugurato nell’Ottobre 1814 e terminò i propri lavori nel Giugno 1815. Nell’occasione furono sanciti i principi della Restaurazione, per la ricostruzione di un equilibrio solido e duraturo, su proposta del Principe di Taylerrand, delegato francese che si seppe inserire nella partita politica, sulla base del “principio di legittimità”.
Parteciparono ai lavori moltissime delegazioni diplomatiche, ma le decisioni più importanti furono prese dalle quattro maggiori potenze vincitrici della guerra a Napoleone: Gran Bretagna (Castlereagh), Russia (Nasselroad delegato dello zar), Prussia (il cancelliere Hardenberg) e Austria (Metternich).
Riuscì, ad inserirsi nella riunione anche la Francia, grazie all’abilità di Taylerrand che permise alla sua nazione di rimanere un pilastro del nuovo equilibrio europeo. Il principio di legittimità che ispirò il congresso, suggerito dal delegato francese si riveriva ad una legittimità dinastica, basata sul diritto divino dei sovrani (contrapposta ai principi rivoluzionari del potere per volontà del popolo). Sulla base di quanto furono ristabiliti sui troni quei sovrani che erano al potere prima del 1790:
la Francia nonostante la sconfitta,conservò l’integrità territoriale
La Prussia ottenne la Sassonia e alcuni territori nella zona del Reno;
L’infinità dei vari stati tedeschi furono ridotti di numero e riuniti in una Confederazione germanica (vedi Austria);
La Russia annesse: una fetta rilevante della Polonia, che costituì un regno autonomo unito all’impero Russo; Finlandia, Polonia e Bessarabia;
L’Inghilterra non ebbe in Europa vantaggi territoriali rilevanti (Malta e alcune isole), ma entrò in possesso di molte colonie francesi e olandesi (Colonia del Capo, Isola di Ceylon). Rafforzò quindi la sua presenza nel Mediterraneo e nei mari in genere, mantenendo la supremazia navale e l’egemonia economica;
Spagna e Portogallo mantennero le vecchie monarchie;
L’Austria perse Belgio e Lussemburgo che con l’Olanda formarono i Paesi Bassi, ma tornò in possesso di:
Lombardo-Veneto;
Trentino e Tirolo;
Della Repubblica Indipendente di Venezia;
Il diritto di mantenere guarnigioni nel Granducato di Parma e Piacenza;
una notevole influenza militare nelle due Sicilie e Legazioni Pontificie;
Ottenne la presidenza della Nuova confederazione germanica.
Per il mantenimento del nuovo ordine fu istituita, per idea dello zar d’Alessandro I, la Santa Alleanza (chiamata così per i suoi riferimenti mistico-religiosi), come appendice del Congresso di Vienna. Vi aderirono: Francia, Russia, Prussia e Austria, ma non l’Inghilterra, che non si riconosceva nei presupposti religiosi dell’accordo.
Si propose di mutuare le regole principali della religione cristiana per creare quei vincoli di fratellanza per i sovrani considerati padri dei loro popoli. Fu trasformata dal Metternich come strumento d’intervento per stroncare ogni tentativo di restaurazione liberale in Europa.
Per tutta risposta la stessa Inghilterra propose un secondo trattato – la Quadruplice Alleanza (- con Russia, Prussia e Austria) che impegnava a vigilare sulle ambizioni di rivalsa francesi.
Le due alleanze prevedevano consultazioni periodiche tra le potenze, nacque così il cosiddetto concerto europeo, un dialogo costante fra le potenze.
3 LA CULTURA DEL ROMANTICISMO E LA POLITICA
Durante l’età della Restaurazione in tutta Europa si diffuse la cultura romantica, nata in Germania negli ultimi decenni del ‘700 (Hamann e Herder). Si contrapponeva al razionalismo settecentesco, esaltando la spontaneità dei sentimenti, la libera creatività e i valori di tradizione, nazione e patriottismo.
- Presto si diffuse in Inghilterra coi romanzi storici di Walter Scott;
- in Francia nella versione cattolica e tradizionalista di Chateaubriand;
- In Italia spiccherà soprattutto la “scuola Lombarda” che ebbe nella rivista “Il Conciliatore” un veicolo culturale molto innovativo e vide il suo esponente di spicco in Alessandro Manzoni.
Dal 1815 si affermò un po’ ovunque come un riferimento comune della cultura europea dalla poesia al romanzo, dalla musica alla pittura. La sensibilità romantica fu un fenomeno di costume per i giovani intellettuali, diventò un modo di muoversi, vestirsi, nuova visione dell’abbigliamento, dall’accostamento dei colori all’indossare un abito. Per alcuni si tradusse anche in una riscoperta religiosa, in particolare un riavvicinamento al cattolicesimo con le sue gerarchie e suoi culti tradizionali, per altri non significò un ritorno al passato e alle tradizioni, ma un nuovo concetto di libertà, collegato con il sistema dei valori di chi combatteva contro la restaurazione. Per Francia, Spagna e Gran Bretagna, l’idea di nazione e di patriottismo poteva esprimersi compiutamente grazie alla storia unitaria, ma molti altri paesi che dovevano riconquistare la loro indipendenza, come Polonia, Italia e Grecia, il sentimento patriottico assumeva un carattere rivoluzionario e nazionalistico.
4 IL CONCETTO DI NAZIONE E LO SVILUPPO DEL LIBERALISMO
I concetti principali che emersero dalla Restaurazione furono due:
- nuovo ideale di nazione, come entità omogenea che accorpa un tutt’uno di persone che condividono cultura, lingua, tradizioni e religione;
- contrapposizione tra legittimisti (ritorno all’antico regime) e liberali-democratici (desiderosi di un sistema rappresentativo e di una costituzione).
Il liberalismo poteva basare le sue tesi su un aspetto ideale e un materiale:
- gli ideali di libertà illuminista di Locke (Il Re regna ma non governa, il cittadino non è prevaricato dal governo e può essere certo del mantenimento dei suoi diritti fondamentali) e Montesquieau (La libertà è il bene fondamentale che permette il godimento di tutti gli altri beni. È l’uomo a formare lo stato, non viceversa);
- le realtà istituzionali americane e inglesi, frutto dell’evoluzione delle idee rivoluzionarie in Francia, America e Inghilterra
Se sul piano teorico le differenze tra liberali e democratici erano nette, su quello pratico trovavano il loro punto d’unione negli obiettivi comuni:
- lotta ai principi della Restaurazione;
- parlamenti elettivi con regimi costituzionali;
- la garanzia dei diritti fondamentali.
Il modello politico liberale proponeva la tolleranza e la libertà d’opinione, la divisione dei poteri, la rappresentatività elettiva limitata ad un’elite di cittadini, sull’esempio del modello britannico (rispettato della proprietà privata, della libera iniziativa, assicurazione dei diritti fondamentali come la libertà di pensiero, stampa e associazione; esercizio della rappresentatività solo tra aristocratici e borghesi.
Il modello politico democratico invece prevedeva il principio fondamentale della sovranità popolare, espressa attraverso il suffragio universale come unico modo per assicurare una giustizia sociale; sull’esempio della rivoluzione francese.
Ad aumentare la coesione fra democratici e liberali contribuì un nuovo sentimento nazionalista dovuto dall’eccessivo accanimento degli stranieri invasori nei territori occupati e un forte supporto culturale-filosofico romantico. Il nuovo impulso nazionalista trovò concretezza in numerosi episodi di sommosse di democratico-liberali di cittadini, nati in un certo territorio, che parlano la stessa lingua e che hanno costumi e tradizione comuni capaci d’esprimere una volontà comune.
5 LE SOCIETÀ SEGRETE NELL’EPOCA DELLA RESTAURAZIONE
Nei paesi sottoposti alla Restaurazione la lotta per l’affermazione degli ideali liberali, democratici e nazionali, assunse forme illegali e segrete. A prendere parte a queste organizzazioni furono soprattutto i militari ed ex-burocrati che erano stati epurati dai loro incarici precedenti con l’avvento della Restaurazione. Ma gli stessi legittimisti se ne servirono per combattere gli avversari politici e per privilegiare le proprie politiche.
Le società segrete più note erano ispirate a principi democratici e liberali, presero ispirazione dalla Massoneria, nata nel Medioevo come corporazione di mestiere e divenuta nel ‘700 centro di diffusione degli ideali laici ed illuministi. La più importante fu la Carboneria(ma anche gli Adelfi e i Filadelfi) presente soprattutto in Spagna e Italia, con ideali di liberalismo democratico moderato.
Le strutture erano di tipo verticistico e gerarchicizzato (ogni adepto aveva una propria collocazione e dei propri compiti, funzione dello stato sociale e del grado ricoperto). Il numero elevato di militari aumentava la disponibilità di forza armata capace di fornire il braccio armato per la realizzazione pratica dei moti(come in Spagna nel‘20, grazie ai Comuneros, o in Piemonte e Lombardia nel ’31).
Ma una mancanza di coordinamento e d’intenti generalmente provocò i fallimenti delle sollevazioni che organizzarono. Ad esempio, i carbonari siciliani chiedevano la costituzione e l’autonomia dal Regno di Napoli; i carbonari napoletani volevano, anch’essi, la Costituzione, ma il controllo dell’isola siciliana; i carbonari veneti e Piemontesi volevano la costituzione francese del ’14 e l’indipendenza dall’Austria e si proponevano di costituire un regno dell’Italia Settentrionale.
Fa una timida apparizione anche un’organizzazione chiamata Federazione Italiana che per la prima volta propose ideali d’unità nazionale.
6 LE RIVOLUZIONI E I MOTI DEGLI ANNI VENTI IN EUROPA
L’ondata rivoluzionaria partì dalla Spagna, dove la restaurazione fu durissima causando una profonda crisi economica e aggravata dalle rivolte nelle colonie, uno dei paesi in cui era più dura la repressione. Con una situazione economica allo strenuo e, nel 1820, durante l’imbarco di nuove truppe per il sud America, alcuni reparti ammutinarono sotto il comando di Raffael Riego dei Comuneros. Il Re Ferdinando VII fu costretto a concedere la Costituzione di Cadige del 1812, continuando però ad osteggiare la frangia liberale, poco invisa ad una massa contadina pilotata dalla Chiesa.
Così da riuscire a breve a riprendere il potere, grazie all’intervento della Francia nel ’23.
Anche in Portogallo il Re Giovanni VII fu costretto a concedere una Costituzione.
Quindi scoppiarono rivolte, anche nel Regno delle Due Sicilie e in Piemonte e Lombardia. Entrambi i progetti insurrezionali sarebbero falliti.
Dopo poco anche il Portogallo mise fine alla fase liberal-democratica.
L’ultima rivoluzione europea fu quella in Russia del moto decabrista nel ‘25. Esigui gruppi d’intellettuali e ufficiali dell’esercito cercarono d’imporre dottrine liberali, provando soprattutto ad ammutinare l’esercito. La rivolta scoppiò a Sanpietroburgo in occasione dell’insediamento del nuovo ZAR Nicola I. Provocò reazioni durissime e una violenta repressione delle truppe zariste ripresero il controllo della situazione.
L’unica rivoluzione che si concluse positivamente fu quella dell’indipendenza greca dal dominio turco, favorita dall’avvallo delle potenze europee contrarie alla presenza turca nel continente. La partecipazione popolare rappresentò l’elemento vincente della rivolta. La setta patriottica Eteria organizzò l’insurrezione nel ‘21 scatenando una serie di durissime repressioni ottomane da causare forte sdegno nell’opinione pubblica europea. Inghilterra, Francia e Russia intervennero per equilibrare l’appoggio egiziano ai turchi. Nel ‘27 la flotta turco-egiziana si scontrò con quella “alleata” e fu sconfitta La vittoria decretò l’indipendenza della Grecia (e l’autonomia della Serbia, Moldavia e Valacchia) e l’annessione d’alcuni territori dell’Impero ottomano, da parte della Russia.
7 L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA
In America Latina le colonie spagnole e portoghesi portavano a compimento la loro indipendenza, sfruttando le difficoltà in cui verteva la situazione europea.
Dal ‘700 questi paesi fungevano da magazzino di materie prime e prodotti agricoli (zucchero, cacao, tabacco, caffè). Grandi monoculture in ampi territori, coltivate da schiavi neri africani, di proprietà di pochi ricchi con una stratificazione sociale:
- latifondisti bianchi d’origine europea;
- creoli, bianchi d’origine europea discendenti dei primi coloni;
- meticci locali di ceto medio-basso, artigiani e commercianti dipendenti dai creoli;
- indios, i locali più poveri;
- i neri, solitamente schiavi.
L’organizzazione delle rivolte indipendentiste fu proposta dagli stessi creoli che volevano liberarsi dal controllo e sfruttamento dei funzionari spagnoli.
La prima fase della lotta cominciò quando Napoleone invase la Spagna. Al posto dei governatori s’insediarono delle rappresentanze locali creole. Il percorso verso l’indipendenza, s’interruppe nel ‘14-’15 in coincidenza con la sconfitta di Napoleone e la Restaurazione. Il ristabilito trono spagnolo inviò truppe regolari contro i ribelli.
La seconda fase cominciò subito dopo, nel 1816. Appoggiata dalla Gran Bretagna interessata a subentrare alla Spagna negli interessi commerciali, vide l’organizzazione di autentiche operazioni militari, distribuite su due fronti: al nord un esercito guidato da Bolívar e a Sud nelle province del Rio de la Plata (attuale Argentina) un contingente guidato da San Martin(ufficiale spagnolo passato agli insorti). Tra il ‘16 e il ’19 i ribelli resero indipendenti Argentina, Cile e Colombia.
La terza fase, nel ’20. La Spagna travolta dalla rivoluzione liberale bloccò l’invio di nuove truppe. I rivoluzionari (appoggiati da Inghilterra e USA) completarono l’emancipazione con l’intento di creare una confederazione sullo stile americano.
Il progetto si scontrò però con l’impreparazione politica delle classi sociali locali e i contrasti territoriali, sorti fra i nuovi stati durante la lotta di liberazione. Si verificò, altresì, un’ulteriore frammentazione tra gli stati liberati (la Gran Colombia che si divise in Venezuela, Colombia ed Equador; ecc.). La situazione economica era molto difforme da quella statunitense. Tre secoli di sfruttamento avevano orientato la politica economica all’esportazione in Europa bloccando, di fatto, lo sviluppo del mercato interno succube di quello europeo. Alla fine gli squilibri sociali risultarono aggravati, ovunque era presente povertà e analfabetismo; solo su piano dei diritti civili ci furono dei progressi: fu abolita la schiavitù e le discriminazioni razziali si attenuarono, ma i nuovi organi rappresentativi non riuscirono ad assumere una fisionomia politica stabile. L’amministrazione dei territori era particolarmente difficile, anche a causa della scarsezza d’infrastrutture e dei grandi spazi tipici del continente. Questa situazione porterà spesso a situazioni di malcontento e a sommovimenti rivoluzionari che favoriranno repressioni militaresche con l’ascesa al potere di governi autoritari.
8 LO SVILUPPO DEGLI STATI UNITI NELLA PRIMA METÀ DEL ’800
Gli Stati Uniti all’inizio del ’800 occupavano solo una piccola striscia di costa Atlantica, e presentavano una netta separazione territoriale-politica.
stati del Sud, grandi piantagioni lavorate da schiavi neri africani con un’economia dedita quasi esclusivamente all’agricoltura;
stati del Nord, coi primi insediamenti industriali e dotati di una buona rete di trasporti basati su uno sviluppo economico tipicamente liberista.
L’espansione americana avvenne lungo due direttrici principali: Ovest e Sud.
Per posizione geografica erano naturalmente incentivati all’espansione verso ovest; con lo Spirito della Frontieraondate successive di pionieri aggiornarono periodicamente i confini dello Stato spaziando con libera iniziativa (proprio dal necessario individualismo nascerà lo spirito americano), anche se frequentemente il governo centrale li appoggiava militarmente nei frequenti conflitti con le tribù indiane(nativi nomadi con cui la convivenza non fu mai facile, che dopo una serie di sanguinosi conflitti furono costretti in riserve territorialmente sempre più esigue).
L’espansione a Sud, fu propiziata grazie all’acquisto della Louisiana nel 1803 da una Francia indebitata dalle guerre napoleoniche; e della Florida dalla Spagna, in difficoltà per le lotte d’indipendenza in America latina.
Un tentativo d’espansione a Nord, fu segnato dall’insuccesso militare contro il Canada appoggiato dalla Gran Bretagna.
L’evoluzione politica del sistema americano era favorita dall’inesistente radicamento aristocratico nel paese, in breve si affermò lo spirito di frontiera anche nella politica, le istituzioni procedettero ad un costante processo di democratizzazione sul modello dello stile britannico: competizione dei partiti aperta con scelta della rappresentatività(a suffragio limitato).
La scena politica fu dominata dal contrasto tra federalisti e repubblicani.
- I federalisti con leader Washington, esprimevano gli interessi della borghesia urbana, favorevoli ad un’economia protezionista che prevedeva il rafforzamento del potere centrale.
- I repubblicani di T. Jefferson, esprimevano gli interessi degli agricoltori del Sud favorevoli ad una politica liberista (per incentivare l’esportazioni) e assertori di un sistema federalista con ampie autonomie locali.
Dopo un ventennio di supremazia federalista, salirono al potere i repubblicani di Jefferson nel 1800 e vi rimasero per quasi 30 anni, risentendo del profondo mutamento avvenuto nella seconda metà degli anni ‘20.
Scomparsi di scena i federalisti, i repubblicani si divisero in:
- whigs (liberali), eredi del programma federalista;
- democratici desiderosi di un’ampia democratizzazione.
Furono proprio i democratici ad affermarsi nel ‘28, con Jackson che abbassò i dazi doganali e allargò il diritto di voto svincolandolo dai criteri di censo.
La lotta d’indipendenza nei paesi latino-americani offrì l’occasione agli USA di scalzare la Gran Bretagna e imporre la propria egemonia economica-politica sul continente. Il presidente Monroe nel 1824 dichiarò che tutto il continente era americano e ogni eventuale tentativo di colonizzazione sarebbe stato considerato atto ostile. Questo fu uno dei motivi per cui le potenze europee evitarono gli aiuti alla Spagna.
Negli anni successivi l’espansione avvenne con l’annessione del Texas. Lo Stato apparteneva al Messico, dopo una forte immigrazione americana si autodichiarò prima indipendente, poi manifestò il desiderio di annettersi agli USA(1845). Ne seguì una guerra col Messico (’45-’48) che si concluse con una netta vittoria americana. Ulteriore espansione del neonato Stato avvenne poco dopo con l’acquisto della California (dal Messico), particolarmente importante per i suoi giacimenti auriferi.
9 LE RIVOLUZIONI E I MOTI DEL 1830-1831 IN EUROPA
Fra il ‘30-‘31l’Europa fu attraversata da una seconda ondata rivoluzionaria, simile a quelli degli anni ’20, ma che riuscì a mettere in crisi i principi della Restaurazione. Primo e più importante fatto si verificò in Francia, dove il Re Carlo X, successo a Luigi XVIII, tentò di ristabilire un rigido autoritarismo assecondato dagli ultras, limitando le libertà costituzionali in favore di privilegi per clero e aristocrazia. Il Parlamento cercò di varare una serie di riforme per rafforzare i propri poteri di fronte al sovrano, ma queste furono sistematicamente bloccate, fino a che lo stesso Carlo X tentò un vero e proprio colpo di stato emanando ordinanze con le quali:
- sospendeva la libertà di stampa
- scioglieva la Camera appena eletta;
- modificava a proprio favore la legge elettorale.
Contro il Re si schierarono in molti: democratici, intellettuali liberali, ma soprattutto la ricca borghesia e persino l’aristocrazia illuminata. Il popolo parigino nel Luglio ‘30 scese in piazza, costringendolo ad abbandonare la capitale e nominando al suo posto Luigi Filippo d’Orléans che s’ispirò dall’inizio a un liberalismo moderato, e in politica estera per un moderato appoggio alle forze liberali in Spagna e Portogallo.
La Rivoluzione Di Luglio aprì nuovi fronti in Europa, a partire dal Belgio (che era allora unificato con l’Olanda in un unico stato). Il paese cattolico, dopo l’annessione al Regno dei Paesi Bassi decisa al congresso di Vienna si trovò succube dei protestanti olandesi. Lo scontento provocò un’insurrezione a Bruxelles nell’Agosto ’30 che portò all’intervento di Francia e Gran Bretagna, che ne ottennero la discussione questione a una conferenza internazionale, che sancì l’indipendenza belga, con la nuova monarchia affidata a un principe di Sassonia.
Altre insurrezioni, con esiti negativi, si verificarono in Italia settentrionale(Parma, Modena e Bologna) e Polonia (che in un primo tempo conquistò l’indipendenza dall’impero russo, ma che poi fu sottoposta ad un’opera di repressioni e di “russificazione”).
Verso la prima metà degli anni ‘30 si configurò una divisione in Europa:
- nuove monarchie liberali: Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia;
- vecchie monarchie autoritarie: Austria, Prussia e Russia.
10 IL REGNO DI LUIGI FILIPPO IN FRANCIA
Filippo Luigi d’Orleans, Re dopo i moti del ’30, attuò una politica interna liberal-moderata, e in politica estera, per il non intervento nelle insurrezioni scoppiate in altre zone(soprattutto quelle più distanti). Varò una nuova Costituzione:
- allargava il diritto di voto;
- rafforzava il controllo del Parlamento sull’esecutivo;
- realizzava una netta separazione tra Stato e Chiesa (laicizzazione).
Il suo indirizzo politico s’identificava con gli interessi dell’alta borghesia degli affari, questo non gli consentiva d’avere un adeguato consenso. L’esecutivo trovò l’opposizione di aristocrazia (ultras legittimisti) e clero, ma anche quella degli stessi rivoluzionari democratici che, organizzatori della sommossa di Luglio erano diventati i veri padroni dell’ordine sociale. Quest’ultimi provocarono insurrezioni nel paese chiedendo a gran voce una politica più radicale e liberista. L’instabilità dell’esecutivo provocò una variazione di rotta nella politica di Luigi Filippo in senso conservatore, con la nomina a capo del governo di Guizot(teorico del giusto mezzo fra legittimisti e rivoluzionari). Il nuovo primo ministro limitò la libertà di stampa e di associazione, con lo scopo di ristabilire l’ordine pubblico. Per riprendere in mano le redini del potere fu incrementata la repressione energica dei malcontenti attraverso un incremento dei poteri ai rappresentanti pubblici. In questo modo la classe dirigente contribuì ad accrescere quel malcontento da qualche tempo avvertito e che vedeva una netta contrapposizione tra un paese legale (quello della classe dirigente, onnipotente) e il paese reale (quello della popolazione, inerte). Se da un punto di vista sociale la politica di Guizot fu un fallimento, da quello economico, favorì soprattutto la gran borghesia degli affari, contribuendo a sviluppare il paese, ma anche ad aumentare ulteriormente il divario fra le classi ricche e povere; provocando insanabili malcontenti che avrebbero portato a breve ad ulteriori cambiamenti dello scenario francese.
11 L’INGHILTERRA NELL’ETÀ DELLE RIFORME (prima metà 800)
Fra gli anni‘20 e’40 l’Inghilterra visse una stagione decisiva nella sua storia liberale.
Le riforme più significative si ebbero quando nelle file del partito conservatore prevalse la componente meno radicale con: Canning, artefice della politica britannica al di fuori dall’equilibrio del congresso di Vienna, e Peel grande riformatore. Numerose furono le riforme in campo sociale:
- concessione ai lavoratori di unirsi in libere associazioni. Sorsero numerose unioni di mestiere (Trade Unions) organizzate dagli operai per la tutela dei diritti e per le rivendicazioni economiche(i primi sindacati);
- Nel ‘28-29 riconoscimento della parità dei diritti alle differenti religioni (protestanti della Chiesa Anglicana e cattolici soprattutto irlandesi).
Ma il nodo fondamentale era quello della riforma elettorale che vedeva allargarsi considerevolmente la base attiva rendendola adatta all’evoluta situazione economica del paese. All’inizio degli anni ’30, una coalizione fra whigs e tories liberali, affrontò il problema delle circoscrizioni elettorali, che penalizzava i grossi centri abitati. Ad accelerare i termini della politica riformatrice contribuì l’ascesa al trono del nuovo Re Guglielmo IV, favorevole all’indirizzo liberale.
Furono approvate ancora, numerose e importanti riforme:
- lavoro nelle fabbriche (10 ore massime giornaliere);
- poveri(erogazione di indennizzi da statali);
- una nuova riforma elettorale che avrebbe ulteriormente allargato la base attiva (benché rimasero ancora fuori dal sistema le classi più povere, il sistema inglese era il più moderno ed efficiente d’Europa).
In questo panorama estremamente favorevole alla concertazione sociale, i leaders delle Trade Unions, nel ‘38 elaborarono un documento - la Carta del popolo (da cui movimento cartista) - con il quale si chiedeva:
- il suffragio universale maschile;
- la garanzia della segretezza del voto;
- l’abolizione dei criteri di censo per l’eleggibilità.
Il movimento cartista rimase attivo per molti anni, ma non riuscendo ad ottenere nessuno dei suoi obiettivi finì con l’esaurirsi spontaneamente.
Tra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40, con l’appoggio del partito liberale, si abbattevano i dazi doganali che, se da una parte salvaguardavano la produzione nazionale, dall’altro bloccavano l’economia e sfavorivano le classi più povere. In questo modo, la ricca borghesia, vedeva soddisfatta la propria richiesta di rimozione degli ostacoli che si opponevano principalmente all’esportazione dei prodotti.
Nel ‘46 con l’abolizione del dazio sul grano, si decretava la vittoria del liberismo.
12 CONFLITTI ED EQUILIBRI INTERNAZIONALI 1830-1848
La contrapposizione nata dopo i moti del ’30 in Europa tra monarchie illuminate e autoritarie, aveva creato una frattura evolutiva tra i due schieramenti.
Inghilterra e Francia dimostrarono dinamismo politico e sociale.
Austria, Russia e Prussia si chiusero ad ogni innovazione, con rifiuto per ogni organo rappresentativo e ciascuno la propria caratteristica:
- Per la Russia, il problema principale era la disastrosa situazione economica-sociale che provocava continue rivolte contadine;
- L’Austria doveva fronteggiare le spinte autonomiste delle diverse etnie.
- La federazione germanica ebbe vita a sé. Il conservatorismo aristocratico unito ad un forte nazionalismo finirono col rappresentare un elemento di coesione e di sviluppo dell’economia (e della borghesia) che trovò il suo risultato più brillante nel breve con l’unione doganale del ‘34 (Zollverein –a differenza del liberismo inglese prevedeva l’abbattimento delle barriere interne). Il sistema oligarchico teutonico rappresentò un punto di forza per lo sviluppo del paese, un primo passo per l’unione politica del Reich.
In politica internazionale gli anni furono segnati dall’intesa tra Inghilterra e Francia, entrambe ostili alle mire espansionistiche russe nei Balcani(contro i turchi). La questione d’Oriente: l’Egitto, di Mohammed Alì, volle rendersi indipendente dalla Turchia. La Russia desiderosa d’ottenere vantaggi per la navigazione(stretti: Dardanelli e Bosforo)si schierò con la Turchia; nacquero due guerre turco-egiziane:
- primo scontro(‘32-33) culminò con un tentativo di mediazione degli anglo-francesi e si concluse con una vittoria diplomatica russa;
- secondo scontro(‘39-‘40)segnò la rottura tra l’intesa anglo-francese. L’Inghilterra appoggiò la Turchia, in funzione antirussa, mentre la Francia l’Egitto per rafforzare la sua posizione nel Mediterraneo. Le sorti del contrasto arrisero all’Inghilterra (anche per un cedimento politico della Francia) e terminò con la conferenza di Londra del ’41.
- l’Egitto rimase turco e la Russia rinunciò ai privilegi marittimi sugli stretti.
La politica estera francese, del ministro Guizot, impedì il rappacificamento con l’Inghilterra. Il suo timore d’ulteriori sviluppi rivoluzionari lo riaccostò alle forze conservatrici per finire con l’assumere il ruolo di custode dei privilegi della monarchia. Ruolo che si concretò appieno nell’intervento nella guerra civile in Svizzera. Nel ‘45 i cantoni cattolici, si staccarono da quelli protestanti, la Francia si schierò coi primi, la Gran Bretagna con i secondi. L’intervento non fu necessario a causa della secca sconfitta interna dei secessionisti(la nuova Confederazione. Elvetica aveva forma democratica: una nuova Costituzione e un parlamento elettivo).
13 I FATTORI DINAMICI DELLO SVILUPPO ECONOMICO EUROPEO NEL 1° 800
La prima metà del ‘800 offre una realtà contraddittoria sul piano economico.
- una realtà preindustriale trainata dall’inarrivabile Inghilterra;
- una realtà alle prese con una serie di segnali che porterà, negli anni ’30, all’affermarsi del capitalismo europeo.
L’economia dell’Europa continentale era essenzialmente agricola, in uno stadio tecnicamente ancora arretrato, malgrado alcune innovazioni introdotte da poco come la rotazione delle colture e le prime macchine agricole. L’arretratezza era dovuta anche all’eccessiva frammentazione del mercato, alla scarsità di vie di comunicazione e l’elevato numero di barriere doganali. Altro elemento critico furono le carestie del ’16-‘17 e del ’46-‘47(con effetti devastanti soprattutto sulla poverissima Irlanda).
Nonostante ciò, si verificarono numerosi fattori di dinamicità rispetto al passato.
La crescita demografica che in mezzo secolo fece salire del 50% la popolazione europea( dovuta al calo della mortalità, ai progressi della medicina e nell’igiene).
Il lento ma costante allargamento del mercato favorì il commercio (che con la colonizzazione divenne internazionale).
Il progresso scientifico che portò numerose innovazioni e scoperte e l’introduzione della macchina a vapore, sia come strumento di locomozione (trasporti) che di lavoro. L’invenzione della locomotiva(Stephenson) favorì le comunicazioni con la rete ferroviaria (soprattutto in Gran Bretagna, Usa e Belgio) e: siderurgia e meccanica.
14 INDUSTRIALIZZAZIONE E NASCITA DELLA CLASSE OPERAIA
L’età della Restaurazione mostrò all’Europa come fosse improponibile la concorrenza coi prodotti dell’economia liberista inglese. La scarsità dei capitali e l’inadeguatezza del sistema bancario contribuivano a divaricare il tenore di vita europeo rispetto a quello britannico.
Nacquero centri d’industria moderna, soprattutto nel settore tessile e meccanico, nelle zone ricche di materie prime o sorgenti d’energia (idrica o carbonifera). Lo sviluppo fu favorito soprattutto laddove proliferava la borghesia imprenditoriale, che favoriti dalla buona congiuntura economica degli anni 30 avevano dato il via alla prima rivoluzione industriale.
Il Belgio(supportato dall’Inghilterra)fu il primo e più importante esempio di stato industrializzato.
La Francia ebbe una crescita più lenta, (sviluppo nei settori laniero e cotoniero). Ad impedire un decollo più rapido fu la presenza di piccola e media proprietà contadina che teneva legati alla terra capitali e forza-lavoro.
La Germania a metà del secolo era ancora indietro, ma gettava le premesse per il futuro. Svantaggiata dallo strapotere aristocratico e dalle numerose barriere doganali, giocava tutte le sue carte nella costruzione di una rete ferroviaria e nello sviluppo dell’istruzione (chimica, siderurgia e ingegneria).
Al di fuori di questi paesi l’industria moderna era praticante sconosciuta.
Con la nascita dell’industria, prendeva forma un nuovo conflitto sociale: quello tra borghesi e proletari, imprenditori e salariati (proletari = proprietari di prole).
Quella dell’operaio di fabbrica era una figura sociale nuova, che a differenza dei vecchi artigiani mancava di qualifica ed era privo d’abilità tecniche proprie. Le loro condizioni di vita peggiorarono soprattutto a causa degli enormi costi d’avviamento dell’attività. Lavoravano anche donne e ragazzi, gli orari massacranti, i salari molto bassi. Le condizioni di vita nei nuovi centri urbani erano carenti d’igiene e inadatte a sopportare veloci variazioni di densità di residenti.
Le classi dirigenti, tentarono timide aperture riformiste per rimediare la drammaticità di tali condizioni; ma la risposta migliore per la tutela della nuova figura professionale provenne dall’interno: nasce l’associazionismo degli operai stessi.
Le prime forme di protesta assunsero i toni singolari del luddismo(violenza contro apparati produttivi). In seguito, quando le associazioni si strutturarono opportunamente, nacquero nuclei sindacali, come le Trade Unions in Inghilterra, le corporazioni di mestiere in Germania e le società di mutuo soccorso in Francia (queste ultime con intenti più paternalistici che tutelativi); con l’intento di tutelare la nuova figura sociale.
L’emergenza sulla questione operaia e lo sviluppo delle associazioni di categoria, portò all’ordine del giorno delle nazioni in via d’industrializzazione la ricerca della gestione politica e sociale del confronto.
15 LE ORIGINI DEL SOCIALISMO E LE SUE DIVERSE MATRICI IDEOLOGICHE
Le nuove idee rivoluzionarie che presero forma l’industrializzazione, erano troppo innovative pur non riuscendo a concrearsi in ambito istituzionale, gettarono le basi per la realizzazione del primo grande partito di massa della storia.
Accettata l’industrializzazione come unica strada per lo sviluppo, la nascita del proletariato, porterà lo sviluppo di nuove idee: socialiste, indispensabili per ridisegnare le tutele del proletariato, con l’esigenza di strutturare contrappesi politici-sociali. Precursori dell’ideologia socialista furono l’inglese Owen e il francese Saint-Simon.
Owen pensava che il sistema industriale potesse offrire il meglio delle sue potenzialità anche senza sfruttare i lavoratori. Ricco industriale, intraprese un tentativo di costituzione di una piccola comunità socialista; ma nella realtà realizzò un’industria modello in cui agli operai furono offerte tutele per quel tempo inimmaginabili. L’eccessiva ambizione del suo progetto finirono con l’isolarlo e limitarlo alla battaglia istituzionale per lo sviluppo delle Trade Unions in Inghilterra.
Saint-Simon vedeva la realtà industriale come l’unica strada percorribile dalla società ottocentesca, teorizzò una società liberata da ogni parassitismo e governata da tecnici e produttori(influenza economica nella politica).
In Francia si svilupparono numerose correnti filosofico-utopistiche:
- Fourier che auspicava una comunità in cui i lavoratori scegliessero il lavoro secondo le proprie inclinazioni;
- Cobet e Blanqui, che vedevano nell’insurrezione popolare l’extrema ratio per affidare il pieno governo al popolo(le prime idee rivoluzionarie);
- Blanc precursore del socialismo riformista, per cui la soluzione dei mali del capitalismo dovevano essere superati dall’intervento di uno stato moderatore;
- Proudhon teorico dell’esigenza rivoluzionaria per contrastare il capitalismo.
Le ideologie socialiste si svilupparono anche nei pensatori tedeschi. Nel ’47 a Londra, fu fondata la Lega dei comunisti, fu affidato a Karl Marx e Friedrich Engels, l’incarico di stenderne il Manifesto programmatico. Marx e Engels proposero il loro socialismo scientifico che univa a una carica rivoluzionaria un solido fondamento economico. Nucleo centrale delle teorie era la visione materialista della storia, come cioè fosse stata caratterizzata da un susseguirsi di lotte di classe dovute ad interessi economici, che trovava la sua attualizzazione all’interno del nuovo sistema industriale, nel nuovo conflitto tra borghesia e proletariato. Erano i proletari ad essere in numero maggiore e a trovarsi nelle condizioni d’inferiorità, per risolvere questa incongruenza l’unica soluzione era la rivolta popolare (niente da perdere se non “le proprie catene”). Una rivolta che avrebbe dovuto estendersi a tutte le nazioni; cerando una rivoluzione internazionale (“proletari di tutto il mondo unitevi”). In questo clima di sommossa universale, il proletariato avrebbe sopraffatto la borghesia e, preso il potere, avrebbe governato inizialmente con una dittatura(per contrastare i prevedibili tentativi di rivalsa borghese) per fondare poi una nuova società libera da ogni privilegio e vincolo economico e politico.
La società comunista: senza stato, privilegi, classi.
16 Il 1848 IN EUROPA: ASPETTI GENERALI
A metà del ‘800 non si poteva più rimandare la risoluzione del problema politico delle richieste delle forze progressiste (liberali, democratici e socialisti), che erano quelle tipiche degli ideali rivoluzionari: libertà politiche, istituzioni rappresentative e indipendenza nazionale. La situazione del ’48 mostrò:
- L’anacronismo dei principi restauratori;
- una nuova spinta nazionalista e indipendentista soprattutto per quelle etnie senza nazione come: Italia, Ungheria e Germania e Polonia;
- allargamento dei consensi alle rivolte delle grandi masse popolari.
Il proliferare tra gli intellettuali delle idee socialiste, soprattutto quelle di Marx, favorì una naturale evoluzione degli ideali nazionali. I nuovi moti insurrezionali che ne nacquero furono organizzati secondo lo schema base di “giornate rivoluzionarie” con dimostrazioni popolari nelle capitali, per sfociare in rivolte. La popolarità delle nuove idee consentì di trovare anche quell’appoggio popolare che era mancato nei moti del ’20 e del ’30, causandone l’insuccesso.
Nel ‘48 l’ondata rivoluzionaria fu d’eccezionale proporzioni, sia dal punto di vista territoriale che d’intensità. Tutta l’Europa ne fu interessata, ad eccezione l’Inghilterra con episodi particolarmente violenti, nella repressione in Russia, dove lo sviluppo del dialogo politico era da sempre impedito.
17 LA RIVOLUZIONE DEL 1848 E L’EVOLUZIONE VERSO IL SECONDO IMPERO
Il centro d’irradiazione dei moti fu la Francia. La debolezza dimostrata dalla monarchia orleanista e del Ministro Guizot era messa in discussione da: democratici, bonapartisti e socialisti che chiedevano riformismo incisivo.
A causa dei divieti, il nuovo strumento di protesta fu il “banchetto”, riunione privata. Fu proprio la proibizione di uno di questi, il 22 febbraio a Parigi, ad innescare la scintilla. Il Re inviò la guardia nazionale (corpo volontario di cittadini per l’ordine pubblico), che anziché sedarlo si unì agli insorti. Fu inviato allora l’esercito che fu sconfitto dopo due giorni di scontri, costringendo Luigi Filippo all’abbandono del trono. Gli insorti organizzarono un nuovo governo repubblicano, d’ispirazione democratica (con la rappresentanza di alcune componenti operaie socialiste) che proponeva un’Assemblea Costituente da eleggere a suffragio universale. I primi passi della 2° repubblica si mossero in un clima di generale entusiasmo.
In politica interna fu seguita una certa moderazione:
- nuovi giornali;
- abolita la pena di morte per i reati politici;
- definizione dell’orario massimo di lavoro in 10 ore;
- sancito il principio del diritto al lavoro (gli ateliers nationaux, cooperative con lo scopo di realizzare il pieno impiego; nella realtà riuscirono solo a rappezzare alcune situazioni eclatanti occupando manodopera in lavori di pubblica utilità).
In politica estera s’impegnava a rispettare l’equilibrio europeo, dichiarando di non volere esportare la rivoluzione.
Nonostante l’entusiasmo popolare, le elezioni (a suffragio universale) per l’assemblea costituente, dell’Aprile ’48, videro la vittoria dei repubblicani moderati. Invano i democratici tentarono di riprendere l’iniziativa creando nuove sollevazioni.
Il nuovo esecutivo per ripristinare l’ordine, chiuse gli ateliers e obbligò i giovani disoccupati ad arruolarsi nell’esercito, misura che provocò l’insurrezione di giugno dei lavoratori di Parigi, che fu duramente repressa.
I tempi erano ormai maturi per una nuova svolta conservatrice nella 2° Repubblica. Nel novembre ’48 l’approvazione di una nuova Costituzione d’ispirazione Americana porterà ad un ulteriore rafforzamento del centro moderato-conservatore che porterà, nel dicembre ’48, all’elezione di Luigi Napoleone Buonaparte. La situazione sociale rimaneva alquanto agitata, per togliersi dallo stallo il nuovo capo dell’esecutivo rafforzò progressivamente il proprio potere. Nel dicembre ‘51 Luigi Napoleone Bonaparte organizzò il colpo di Stato che con un plebiscito popolare ratificava la restaurazione dell’Impero: Luigi Napoleone Bonaparte diventava imperatore con il nome di Napoleone III.
18 RIVOLUZIONE DEL 1848 NELL’IMPERO ABURGICO E IN GERMANIA
Dopo l’insurrezione parigina, i moti si propagarono in gran parte dell’Europa.
Nell’impero asburgico e nella confederazione germanica i malcontenti per la crisi economica si aggiunsero alle questioni nazionaliste.
La prima insurrezione, a Vienna nel marzo ’48, fu la causa delle dimissioni del cancelliere Matternich, simbolo della Restaurazione, e provocò la diffusione del fenomeno in tutto l’Impero al punto che la situazione a fine primavera sembrava fatale. L’imperatore Ferdinando I dovette abbandonare la capitale e promettere un Parlamento.
Il primo ad insorgere fu l’Ungheria dove l’ala democratica-radicale creò un governo nazionale, fu istituito un nuovo parlamento eletto a suffragio universale e organizzato un esercito.
A Praga il governo provvisorio che avrebbe voluto presiedere un congresso di tutti gli stati dell’Impero per chiedere l’autonomia. Ma l’aggravarsi della situazione interna, tra i rivoltosi (antiche rivalità tra slavi, che miravano ad una confederazione jugoslava; e magiari, desiderosi di costituire una grande Ungheria), appena prima del congresso, consentì la riscossa austriaca che ristabilì l’ordine imperiale.
Lo stesso esercito croato si unì a quello austriaco per fermare gli ungheresi. Poco dopo la repressione, Ferdinando I abdicava per il nipote Francesco Giuseppe, che capì la necessità di un’apertura ai democratici e promulgò una costituzione moderata che prevedeva un parlamento a suffragio ristretto e con poteri limitati.
Nella confederazione germanica (fu richiesta un’assemblea costituente) dopo l’insurrezione di Berlino del Marzo ’48. Il re di Prussia fu costretto a concedere:
- un parlamento;
- libertà di stampa.
Ma, una volta eletta la Costituente di Francoforte, apparve evidente la scarsità del suo potere e la subordinazione allo stato più forte tra i confederati, cioè la Prussia, che intanto aveva provveduto a sedare duramente una rivolta interna. Nell’assemblea di Francoforte l’argomento all’ordine del giorno era la questione nazionale, con due correnti: la “grande Germania” (unificazione degli stati tedeschi sotto l’impero Asburgico) e la “piccola Germania” (unificazione degli stati germanici in un’unica nazione attorno alla Prussia). Prevalse la tesi piccolo-tedesca. Nel ‘49 Federico Guglielmo IV, Re di Prussia, dimostrò la sua disapprovazione per le correnti liberali-democratiche rifiutando la corona imperiale, perché offertagli da un’assemblea nata da un’insurrezione popolare. Fu la fine ingloriosa della Costituente di Francoforte che si sciolse nel giugno 49 riconsegnando la confederazione germanica ad una monarchia autoritaria.
19 LE TRASFORMAZIONI SCIENTIFICHE, ECONOMICHE E SOCIALI ALLA METÀ DEL '800
Le rivoluzioni del ’48 erano terminate con una restaurazione delle monarchie conservatrici, ma il ceto che si affermò definitivamente fu la borghesia (nonostante la presenza limitata nelle classi dirigenziali), che rappresentava, l’unica forza capace di riformare la società europea e di promuoverne lo sviluppo economico, con individualità, libera iniziativa e concorrenza.
Lo sviluppo borghese provocò un fenomeno culturale, capace di disegnare uno stile di vita, con alla base valori fondamentali etica, l’austerità, moderazione e il risparmio.
Particolare cura fu dedicata all’abbigliamento e all’arredamento (nell’imitazione aristocratica).
Al centro dell’etica borghese c’era la famiglia (punto di riferimento da contrapporre alla difficoltà della lotta quotidiana), strutturata su un modello patriarcale fortemente gerarchizzato e con uno stato di decisa sovraordinazione dell’uomo sulla donna.
Nasce una nuova una corrente filosofica, il POSITIVISMO(capostipite Comte): la scienza come strumento per la soluzione a tutti i problemi della società e l’unica fonte la verità storica. Si sviluppano le scienze naturali: la biologia, la fisica(studi sull’elettricità), la chimica. Maggiore rappresentante dello spirito positivista fu Charles Darwin che con la sua “teoria sull’evoluzione e sulla selezione naturale” aveva sentenziato che gli esseri umani sono il risultato di una lotta quotidiana all’adattamento naturale dove solo la specie forte (capace d’adattarsi) sopravvive(sposava i presupposti borghesi ed infliggeva un duro colpo all’autorità religiosa rafforzando le direttici che da tempo cercavano di laicizzare lo Stato).
Superata la crisi del ‘47 l’economia conobbe una fase d’espansione, che migliorò le condizioni di vita e premise di incrementare la produttività. Importanti risultati si ottennero anche in agricoltura, ma il perno del boom economico era l’industria che si potenziò notevolmente. Le applicazioni della meccanica e la macchina a vapore contribuirono a grandi svolte; ma gli elevati costi di avviamento degli impianti frenarono l’industrializzazione nei piccoli e poveri Stati, favorendola soprattutto laddove la disponibilità di risorse e capitali consentivano la nascita di grandi apparati e società per azioni creando uno sviluppo selettivo. Il nuovo slancio industriale provocò due periodi di crisi nel ‘57 e nel ‘67; dovute a problemi di sovrapproduzione: le prime crisi economiche cicliche, che il “mercato” riuscì ad assorbire.
A favorire lo sviluppo industriale furono soprattutto alcune importanti innovazioni:
- Smantellamento dei privilegi corporativi;
- Diffusione della carta-moneta come sistema di pagamento e di misura;
- Soppressione quasi totale delle barrire doganali(liberismo);
- Scoperta di nuovi giacimenti di materie prime (Francia, Germania e Belgio);
- Sviluppo delle infrastrutture: strade, porti e vie di comunicazione;
- Sviluppo dei mezzi di comunicazione (ferrovizzazzione dell’Europa);
- Forte sviluppo dei sistemi di telecomunicazione premoderni, come il telegrafo;
- Nascita delle banche commerciali (banche miste) con la funzione di convogliare i risparmi verso impieghi a lungo termine (investimenti industriali); assumendo la forma delle banche contemporanee.
20 IL MOVIMENTO OPERAIO DOPO IL ’48. LA 1° INTERNAZIONALE E LA SUA CRISI
La scientificità delle nuove concezioni proposte da Marx, si affermarono sulle altre ideologie socialiste così da rappresentare la dottrina ufficiale del movimento operaio. I nuovi partiti socialisti che nasceranno in questo periodo saranno ritenuti responsabili d’ogni agitazione e complotto, finendo col rappresentare il nemico di tutti i governi conservatori. Il movimento operaio attorno cui si coagularono non era ovunque egualmente sviluppato.
In Gran Bretagna, era strutturato solidamente e riconosciuto istituzionalmente. La sinistra liberale rappresentava in parlamento le Trade Unions in costante evoluzione.
In Francia, i pochi nuclei si dividevano tra le idee comuniste di Blanqui e quelle libertarie-democratiche di Proudhon (cooperazione spontanea di piccole realtà autogestite), che s’adattavano alla società francese (piccoli proprietari terrieri).
In Italia i primi timidi tentativi d’organizzazione operaia erano orientati ad una miscela ideologica tra le idee di Proudhon e quelle di Mazzini.
Nella Confederazione Germanica, si stava formando rapidamente una solida classe operaia, trovò in Vassalle un leader autorevole che credeva nella possibilità per gli operai di potere entrare nello stato borghese dall’interno e trasformandolo attraverso il suffragio universale.
Il fallimento dei moti del ’48 costrinse Marx e Engels a rivedere le proprie tesi. Marx dedicò tutto il suo tempo allo studio dell’economia e realizzò nel ‘67 il “Capitale”. Dottrina fondamentale del socialismo, che proponeva un’attenta analisi dell’economia politica e individuava nel nuovo soggetto emergente, il proletariato, l’attore della rivoluzione.
Base teoria è il concetto di valore-lavoro, secondo cui il valore di scambio di una merce è dato dal tempo impiegato per produrla. Il lavoro stesso diventa quindi una merce compravenduta. L’uomo-lavoro era un normale prodotto, che faceva arricchire il borghese, creando una sperequazione progressiva che provocava un allontanamento tra le classi. Per Marx il capitalismo doveva rappresentare solo una fase storica, avrebbe dovuto esaurirsi in breve, perché il suo sviluppo avrebbe portato alla concentrazione dei capitali in poche mani, acuendo le divisioni di classe, realizzando dapprima una crisi di sovrapproduzione (aggravata dal mancato assorbimento dei prodotti, stagnazione dei consumi), quindi alla rivolta delle classi oppresse. Le stesse leggi del capitalismo l’avrebbero portato alla sua dissoluzione.
Nel ‘64 i movimenti operai europei cominciarono a organizzarsi nell’intento di aumentare la propria visibilità; fu costituita a Londra la PRIMA INTERNAZIONALE SOCIALISTA, cui parteciparono i rappresentanti di molti paesi e il cui statuto fu redatto dallo stesso Marx che fu preso a modello dai vari partiti socialisti europei.
La vita dell’internazionale fu contrastata sia per indirizzi ideologici che per struttura organizzativa:
- Contrasti ideologici: le prime fratture arrivarono dalla contrapposizione tra Bakunin e Marx. Il Russo era un convinto assertore dell’anarchismo socialista, secondo cui lo Stato era la causa della non libertà dell’individuo. Stato e Religione erano gli strumenti attraverso cui la classe dominante esercitava il potere sulle altre e le sottometteva. Liberate le masse da religione e stato, il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente. Per Marx, invece, religione e stato altro non erano che sovrastrutture originate dalla struttura principale: cioè dallo sfruttamento delle classi operaie. L’eliminazione dello Stato avrebbe dovuto essere una conseguenza della rivoluzione proletaria, che dopo una fase transitoria di dittatura del proletariato (per sedare ogni eventuale rigurgito borghese), avrebbe dovuto evolvere naturalmente in uno stato senza alcune distinzioni sociali;
- Contrasti organizzativi: Bakunin riteneva che l’internazionale doveva essere organizzata come una confederazione di partiti socialisti con forte decentramento organizzativo locale. Marx, privilegiava un’organizzazione degli obiettivi e strategie secondo un modello accentratore, dove la dirigenza fosse ben strutturata.
Lo stesso Marx, a causa delle conflittualità interne, e conscio dell’inadeguatezza dei tempi per il progetto finì col sancire la fine della Prima Internazionale nel ’76 poco dopo il trasferimento della sede da Londra a New York.
21 L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE A SOCIETÀ E STATO DEL ’800
La chiesa a metà del ‘800 fu presa tra due fuochi:
- Stati nazionali votati ad un tentativo di laicizzazione;
- Proliferare di ideologie anticlericali dei partiti socialisti.
la Chiesa assunse un atteggiamento molto critico nei confronti del capitalismo. Se il pericolo socialista appariva ancora piuttosto distante, quello liberista della religione relegata a credenza popolare, non poteva essere accettato in alcun modo.
Il mondo cattolico e il Papa Pio IX tentarono di riaffermare l’ortodossia cattolica, con provvedimenti significativi:
- Nel ‘54 proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione;
- Nel ‘64, il Papa emanò la Quarta Cura e il Sillabo nei quali elencava, le incongruenze della società industriale: criticando ferocemente il liberalismo, la democrazia e il socialismo;
- Nel ‘70, durante il Concilio Vaticano I, proclamò il dogma dell’Infallibilità del Papa sulla morale e in materia di fede.
Pochi Stati europei sposarono la politica pontificia e negli anni la Santa Sede rimase sempre più isolata. Quando, nel settembre 1870, le truppe italiane entrarono a Roma, nessuno stato straniero si mosse in favore del pontefice.
Nel tentativo di contrastare il degrado della società capitalistica e per ammornidire l’intransigenza della curia presero forma i primi esperimenti d’associazionismo cattolico, con l’intento d’arginare l’ondata innovatrice che stava travolgendo l’Europa. Movimenti cristiano-democratici, come quello in Germania di Ketteler proponevano un intervento dello Stato nelle questioni sociali e nell’economia, sotto forma d’iniziative assistenziali, per tutelare la situazione dei lavoratori.
22 L’INGHILTERRA LIBERALE
Nel ‘48, il Regno Unito era la più progredita nazione europea in: economia, politica e struttura sociale. Nucleo principale dell’ulteriore evoluzione fu giocato nell’importanti battaglie per l’allargamento del voto e nel rafforzamento degli organi rappresentativi. L’Inghilterra di metà ‘800 proponeva:
- Quasi la metà degli occupati nell’industria;
- la più vasta rete ferroviaria d’Europa;
- elevatissima produzione di materie prime;
- controllo marittimo e commerciale del mediterraneo;
- struttura istituzionale più progredita del continente.
Il sistema parlamentare si consolidò così da fornire alle camere la quasi totalità dei poteri (alla corona rimase il ruolo simbolico d’unificatrice nazionale, manifestata platealmente con il regno della regina Vittoria ‘37-1901).
Fondamentale per la democratizzazione fu la battaglia per l’allargamento al voto.
Fino agli anni ’60 la scena politica era dominata dalla figura moderata di Palmestorn, che affidò la battaglia agli intellettuali radicali, come J.Stuart Mill. Nel ’65 alla guida dei liberali arrivò Gladstone che dimostrò un eccesso di moderazione, che provocò una crisi di governo in favore dei conservatori di Disraeli nel ‘66. Nel ‘67 con la “Reform Act” si allargò il voto a tutti i lavoratori urbani con un certo reddito, riconoscendone così il peso nella società industriale inglese. Nonostante il coraggio dimostrato, il nuovo consenso della base progressista, favorita dalla riforma elettorale, riportò al governo il partito liberale. Con Gladstone, tra il ‘68e il ‘74, l’Inghilterra conobbe un periodo di grandi riforme:
- fu incrementata e migliorata l’istruzione pubblica (ridimensionando la Chiesa);
- fu affermato il sistema di assunzione nel pubblico impiego per concorso;
- abolita la pratica del voto palese che aveva rappresentato per anni una arma di ricatto dell’aristocrazia terriera, per le popolazioni delle campagne.
23 LA RUSSIA ALLA METÀ DEL ’800
L’Impero russo era il paese più arretrato d’Europa. La salita al trono del nuovo Zar fece sperare in un’ondata riformatrice. Ad un inizio confortante seguirono violente sommosse che posero fine ad ogni speranza, per fare ripiombare la Russia nell’oscurantismo dove nessuna opposizione politica era consentita.
- privo d’istituzioni rappresentative;
- elevato tasso d’analfabetismo;
- governato da un grande appartato burocratico –poliziesco;
- l’economia poggiante per il 90% sull’agricoltura in condizioni semi-primitive; era fondata sulle Mir: comunità di villaggio dove assemblee dei capifamiglia assegnavano i fondi da coltivare ed esigevano le imposte in natura per lo Stato. Persisteva la servitù della gleba, che legava indissolubilmente i contadini alla terra (compravenduti assieme ad essa).
Nonostante quest’arretratezza ferveva un’intensa vita intellettuale (Tolstoj, Dostojevskij, Gogol, ecc) che favoriva la contaminazione con le idee continentali. S’ingenera una divisione culturale fra due gruppi d’intellettuali:
- gli occidentalisti, favorevoli al cattolicesimo, ai modelli politici e sociali dei paesi europei;
- gli slavofili inclini alla religione ortodossa, alle tradizioni slave, e alle istituzioni comunitarie tipiche della società russa.
L’avvento al potere del nuovo Zar, Alessandro II, alimentò forti speranze di rinnovamento. Il nuovo zar attuò importanti innovazioni: nella burocrazia, nella scuola, nel sistema giudiziario, fece un’amnistia per detenuti politici, ma soprattutto legò il suo nome all’abolizione della servitù della gleba (1861) con la quale i servi acquisirono libertà personale e riconoscimento giuridico ed ebbero la possibilità di riscattare le terre coltivate così da trasformarsi in piccoli proprietari terrieri. Ma l’impreparazione strutturale con cui fu messa in atto la suddivisione delle terre procurò numerosi scontenti. I nuovi liberi incolparono delle incongruenze della manovra attuativa agli aristocratici, trasformando la situazione in una polveriera; autentici moti insurrezionali scoppiarono ovunque. La nuova situazione d’instabilità, costrinse lo zar ad una sterzata conservatrice, che rafforzando i poteri polizieschi dell’esercito provocò la repressione sanguinosa sia dei contadini sia dei polacchi sia rivendicavano la propria indipendenza.
Si accentuò, nuovamente, la frattura fra stato e borghesia intellettuale che aveva permesso l’opera riformatrice d’Alessandro II. Fra le nuove generazioni andarono diffondendosi forme di rifiuto totale dell’ordine costituito che porterà alla nascita di correnti politico-filosofiche come il nichilismo (individualismo anarchico e radicalmente pessimista) e il populismo (tentativo paternalistico d’educazione del popolo avvicinandosi ad esso). Movimento complesso, il populismo riuniva vaste aree di consenso: socialisti e occidentalisti democratici, tentarono di promuovere l’utopia di un socialismo agrario che facesse leva sul proletariato delle campagne.
Il clima di confusione e di fermento costrinse lo Zar a dichiarare fuorilegge il populismo e ad aumentare le repressioni poliziesche; lo scontro sociale manifestò il suo culmine nel ‘81 con l’uccisione d’Alessandro II da parte di un anarchico.
24 IL SECONDO IMPERO E LE GUERRE DI NAPOLEONE III
La situazione francese della metà del ’800 è anomala rispetto agli altri paesi.
Il – bonapartismo –proponeva, una mediazione tra:
- centralismo autoritario basato sulla forza delle armi;
- moderato riformismo sociale paternalismo sottoposto a verifica popolare.
Grazie allo sviluppo borghese la situazione economica era soddisfacente con progressi del settore bancario e la costruzione di ferrovie e opere pubbliche.
Caratteristica predominante dal punto di vista amministrativo fu ribattezzata tecnocrazia: la tendenza cioè ad affidare compiti di governo ai tecnici (esperti d’economia, finanza, ingegneria, medicina).
L’entusiasmo che accompagnò il consenso al nuovo imperatore ripropose una nuova ondata nazionalistica che troverà sfogo nelle nuove idee politiche imperialiste, che videro Napoleone III impegnarsi al fianco dell’Inghilterra, nel ‘53-54, nella questione d’Oriente. Interessato allo scacchiere mediterraneo, sostenne l’impero ottomano insidiato dalla Russia.
Una coalizione d’Anglo-franco-piemontesi intervenne nella guerra in Crimea (‘54) assicurando, con la Conferenza di Parigi del 1855, l’integrità dell’impero ottomano e la neutralizzazione del Mar Nero. La vittoria procurò un guadagno d’immagine alla Francia, che sfruttò abilmente per subentrare all’Austria nei territori italiani. A tal proposito si alleò con il Piemonte nella prima guerra d’Indipendenza italiana nel 1859. Al termine del conflitto benché vittoriosa, la Francia uscirà indebolita vittima dei forti contrasti fra la politica imperiale e l’ala cattolica conservatrice (che ben conosceva i piani dei nazionalisti italiani, che prevedevano l’annessione dello Stato della Chiesa al futuro regno d’Italia), che portò ad una lenta evoluzione liberale dell’Impero, interrotta però nel ‘70 dalla guerra franco-prussiana.
25 L’ASCESA DELLA PRUSSIA E LA POLITICA DI BISMARK
In Germania le redini del governo erano rimaste saldamente in mano alla monarchia e aristocrazia conservatrice, con un Parlamento che godeva di poteri assai scarsi, che determinò, a differenza degli altri: La Via Prussiana allo sviluppo.
Nella seconda metà del ’800 la Prussia si ripropose alla guida della confederazione germanica, forte soprattutto del suo notevole sviluppo industriale e dell’integrazione con gli altri stati tedeschi uniti dall’unificazione doganale (Zolverein). Lo sviluppo d’industria e della borghesia fu sostanzioso soprattutto nella parte occidentale del territorio, la Renania e la Westfalia, mentre nel resto del paese era ancora presente un’economia prevalentemente agricola basata sui ricchi latifondisti, gli Junkers. Questi, mantenevano, grazie all’antico sistema elettorale, molto potere sulla vita politica dello Stato formando un piccolo ma potente gruppo sociale. Punti di forza erano:
- un’alta diffusione d’istruzione elementare e una grande cultura romantica;
- grande apparato di vie di comunicazioni (soprattutto strade e canali, un po’ meno ferrovie) che favorivano i grandi scambi commerciali.
Per rendere la Prussia una potenza assoluta mancava solo il rafforzamento militare. A ciò rimediò il cancelliere Bismark, nominato dal nuovo sovrano Guglielmo I nel 1862. S’impegnò a far realizzare il progetto di un nuovo e fortissimo esercito a dispetto della contrarietà del Parlamento con lo scopo di risolvere il problema dell’unità nazionale con l’uso della forza. Ostacolo principale era l’Austria con cui i rapporti s’acuirono tra il ’64 e il ’65 quando, dopo essersi impegnate nella sottrazione d’alcuni territori alla Danimarca, finirono per arrivare alla guerra per disaccordi sulla loro amministrazione. Prima di provocare il casus belli, il Bismark si alleò con il neonato Regno d’Italia assicurandosi anche la neutralità della Russia e della Francia. Con l’Austria si schierarono molti stati minori della confederazione tedesca intimoriti dallo strapotere prussiano. La guerra contro l’Austria del ‘66 durò solo poche settimane e terminò la grande sconfitta austriaca a Sadowa. Grazie alla mediazione di Napoleone III si arrivò alla Pace di Praga nell’Agosto ’66 nella quale l’Austria subì come unica mutilazione quella del Veneto, passato al regno d’Italia, e dovette accettare lo scioglimento della vecchia confederazione tedesca. Gli stati a Nord del fiume Meno entrarono a fare parte di una nuova Germania del Nord, sotto Guglielmo I; mentre quelli a Sud del meno rimasero indipendenti. Il trionfo di Bismark gli garantì un enorme rafforzamento anche in politica interna, molti deputati oppositori liberali si schierarono dalla sua parte formando il nuovo partito nazional-liberale. Così facendo la borghesia liberale rinunciava a guidare il processo d’unificazione nazionale a favore dell’aristocrazia conservatrice.
26 LA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA E L’UNIFICAZIONE TEDESCA
Per l’unificazione del Reich mancava solo l’annessione degli stati a Sud del Meno. L’ostacolo principale era la Francia di Napoleone III. Solo dopo la vittoria dei sull’Austria s’era reso conto della potenza militare e politica del nuovo stato teutonico.
L’occasione di scontro si presentò relativamente ad una questione dinastica alla corte di Spagna. A causa dell’instabilità e della vacanza del trono, gli iberici proposero la reggenza ad un principe prussiano, cosa che la Francia non poté che votarsi alla guerra. Dopo un’abile provocazione politica del Bismark, la Francia dichiarò guerra alla Prussia nel Luglio ‘70. Nonostante l’entusiasmo, le forze armate francesi inferiori per numero e organizzazione a quelle tedesche, furono duramente sconfitta di Sedan nel ‘70, portò l’invasione del paese. I prussiani nella reggia di Versailles, simbolo del potere monarchico francese, proclamarono Guglielmo I imperatore della Germania unificata (Deutscher Kaiser). Con autoritarismo Bismark, nel trattato di Francoforte del ‘71, costrinse la Francia al pagamento di forti indennità di guerra e a mantenere truppe tedesche nel proprio territorio fino al pagamento completo dell’indennizzo; inoltre a cedere Alsazia e Lorena, due province di notevole importanza economica e strategica. La sconfitta si tramutò in un’umiliazione avvertiva, anche tra gli strati sociali inferiori, provocando la nascita di un forte senso di rivincita, nacque così il revanscismo (da revanchè = rivincita) quel sentimento di rivalsa, che caratterizzò la politica francese sino alla prima guerra Mondiale.
27 LA COMUNE DI PARIGI
Nella primavera del ‘71, mentre ancora si negoziava la pace con la Prussia, la Francia dovette affrontare una grave crisi interna. Nella Parigi, diventata una metropoli operaia, le idee socialiste avevano fatto proseliti e l’umiliazione di Sedan fece scoppiare un moto rivoluzionario che vide l’organizzazione di una nuova Guardia Nazionale, e l’elezione di un’assemblea costituente per una riscossa nazionale. L’insurrezione non riuscì a coinvolgere i contadini e gli abitanti dei centri minori che, alle elezioni dell’assemblea consegnarono la vittoria alle forze conservatrici. Al governo andò Thiers che come primo proposito cercò d’arrivare ad una dignitosa firma della pace. Ma il risultato particolarmente gravoso delle trattative e la precarietà della situazione interna, provocarono l’inasprimento della frattura tra le forze progressiste della capitale e quelle conservatrici delle campagne. Ne nacque una nuova insurrezione a Parigi, che fu lasciata sola a se stessa. Nella città l’unica autorità riconosciuta era la guardia nazionale, controllata da radicali di sinistra. Quando il governo centrale le ordinò di posare le armi la città si rifiutò di obbedire ed indisse libere elezioni per il Consiglio Della Comune. Con le elezioni del marzo ‘71, l’esperienza della comune assunse gli aspetti della rivoluzione radicale, della sfida all’autorità precostituita. Per quanto divisi al loro interno i dirigenti della Comune crearono al primo esperimento di democrazia diretta mai visto in Europa.
- Fu abolita la distinzione tra esecutivo e legislativo;
- tutti funzionari divennero eleggibili e revocabili;
- l’esercito fu sostituito da milizie popolari;
- alcuni stabilimenti industriali furono affidati a cooperative di lavoro.
Il limite maggior dell’esperienza della Comune era rappresentato dal suo totale isolamento dal paese. Senza l’appoggio delle campagne (favorevole alle forze conservatrici) e del resto del Paese, era impossibile proseguire. La fine definitiva della Comune si dovette ad una spietata repressione militare dall’esercito (favorita dalla complicità tedesca), nel maggio ‘71.
Il movimento rivoluzionario francese si trovava così di nuovo sconfitto e decimato; la III repubblica nasceva sotto l’impronta conservatrice di Thiers.
LE DIFFERENZE ECONOMICHE E SOCIALI IN USA E LA GUERRA DI SECCESIONE
Gli Usa alla metà del ‘800 erano in grande espansione. La grande immigrazione europea aveva contribuito all’incremento demografico favorendo soprattutto lo sviluppo industriale nel Nord, ma anche l’agricoltura al Sud e l’Ovest erano in grande progresso. La situazione presentava un paese diviso in tre parti:
- Nord-Est, la zona più industrializzata del paese, dove era maggiore l’ondata migratoria. Regnava uno spiccato capitalismo dominato da grandi gruppi industriali e finanziari;
- Nel Sud, una società prettamente agricola con grandi proprietari terrieri che sfruttavano schiavi, soprattutto di colore, nelle piantagioni;
- L’Ovest invece era una terra in costante mutamento, una conquista quotidiana che cresceva i suoi abitanti con lo spirito della frontiera, che privilegiava: iniziativa individuale, uguaglianza, indipendenza.
Il grosso della battaglia politica e sociale si giocò sul problema dell’esportazione dal Sud all’Ovest schiavismo, che mal si sposava con i principi d’eguaglianza dei pionieri.
La competizione politica si giocava da qualche tempo tra due partiti:
- Democratico, che raccoglieva il consenso degli agricoltori del Sud, s’ispirava al liberismo e auspicava una confederazione con una notevole autonomia amministrativa locale. Favorevoli allo schiavismo e alla sua esportazione;
- Whigs (successivamente partito repubblicano) che raccoglieva il consenso dei grandi gruppi industriali del Nord, s’ispirava al protezionismo e all’accentramento statale, appoggiava apertamente una politica antischiavista.
Quando nel ‘60 divenne presidente il repubblicano Abramo Lincoln, la spaccatura tra i due schieramenti politici si tramutò in una guerra civile che vide configurarsi una coalizione tra Nord e Ovest, contro il Sud. Nel ‘61 dieci Stati del si staccarono dagli USA per riunirsi in una Confederazione Indipendente del Sud con capitale Richmond in Virginia. La secessione rappresentava un grave problema per la solidità del Paese, perché metteva in crisi quei valori di convivenza democratici che erano alla base dell’ordinamento. La guerra civile vide all’inizio un predominio delle forze confederate (guidate dal Generale Lee), che speravano nell’aiuto militare britannico (principale acquirente del cotone americano), ma gli stati del Nord-Ovest (guidati dal generale Grant) confidarono sulla superiorità numerica e sulle ingenti risorse economiche. Le sorti della guerra finirono per subire una brusca inversione nel 1863 che provocò l’occupazione degli stati del Sud nel 1865. Pochi giorni dopo la fine della guerra fu assassinato il Presidente Lincoln da un fanatico sudista.
Nel 1863 fu decretata l’abolizione della schiavitù, anche se, di fatto, la situazione non mutò nella sostanza assumendo i connotati dell’operazione di facciata. Lo status degli schiavi non cambiò, ma per tutta risposta, tra gli estremisti del Sud, si verificò la nascita di numerose associazioni clandestina di discriminazione razziale (nasce del Ku Klux Klan). L’estremismo provocò un timore nei bianchi che condizionò fortemente l’elettorato, tanto da riportare la vittoria al partito democratico.
La vittoria dei democratici nelle elezioni del 1870, restituì una situazione dei neri uguale a quella di una decina d’anni prima: lo schiavismo.
29 DAL GIAPPONE FEUDALE AL GIAPPONE MODERNO
In Giappone l’imperatore (mikado) era più che altro un capo religioso ed esercitava un potere simbolico. Il governo del paese era da più di due secoli nelle mani di una dinastia di feudatari, i tokugawa, che si trasmettevano la carica di shogun per vie ereditarie, specie di sovrani assoluti che legavano con un vincolo di vassallaggio i feudatari (daimyo) e sotto i samurai (la piccola nobiltà di un tempo, dedita al mestiere delle armi). L‘unica attività economica e produttiva di rilievo era l’agricoltura.
Non esistevano, di fatto, contatti con il mondo Occidentale, solo gli USA, a metà ‘800, chiesero l’apertura di relazioni commerciali. L’iniziativa fu seguita dalla Gran Bretagna, Francia, Russia e trovò il Giappone del tutto impreparato alla situazione. L’imperatore accettò di firmare accordi che, di fatto, assicuravano agli occidentali ampie possibilità di penetrazione economica (TRATTATI INEGUALI 1858).
L’impatto con l’Occidente provocò conseguenze e fu vissuto come un’intromissione autoritaria. L’umiliazione spinse daimyo e samurai ad una rivolta contro lo shogun, che terminò con l’insediamento di un imperatore quindicenne Meiji Tenno.
La restaurazione Meiji (1868), grazie all’apporto di una ben istruita élite dirigente nobile-borghese produsse una modernizzazione accelerata dell’intera società giapponese, coinvolse l’economia e la legislazione, il sistema politico e i rapporti sociali, e che consentì al Giappone di compiere in pochi anni la transizione dal feudalesimo allo Stato moderno. La Restaurazione Meiji, rimase un caso unico al mondo, senza alcuna partecipazione delle classi inferiori, una “rivoluzione dal alto” i cui i dirigenti tradizionali si sono spogliati dei loro antichi diritti, senza perdere la loro posizione privilegiata. Spostando i loro capitali, trasformarono un’oligarchia feudale in una industriale e finanziaria.
30 LA RESTAURAZIONE IN ITALIA (1815-’21)
La restaurazione in Italia arrestò qualsiasi esperimento riformatore iniziato sotto il dominio napoleonico confermando l’Austria potenza egemone nella penisola. Nei vari staterelli italiani, furono ripristinate le monarchia prerivoluzionarie.
In Piemonte il Re, Vittorio Emanuele I:
- revocò la legislazione napoleonica;
- epurò l’amministrazione pubblica;
- privilegi all’aristocrazia;
- l’istruzione alla Chiesa e discriminazioni contro le minoranze religiose.
Nello Stato Della Chiesala linea intransigente del consiglio cardinalizio, guidato dal Cardinal Consalvi, prevalse sulla moderazione del Papa PioVII, producendo una politica fortemente accentratrice, soprattutto dopo la morte del pontefice nel 1822.
Il Regno Delle Due Sicilie era in una condizione simile allo Stato Della Chiesa, ma l’influenza austriaca era ancora più forte. La linea moderata del primo ministro Luigi De Medici dovette misurarsi col forte conservatorismo del sovrano Ferdinando I. Ma grazie all’appoggio austriaco, il primo ministro riuscì a portare a termine una politica di monarchia illuminata. Lo stato fu unificato amministrativamente nel ’16, assumendo il nome di Regno Delle Due Sicilie, nonostante le proteste indipendentiste siciliane, con una politica che avrebbe impedito uno sviluppo e una modernizzazione.
Granducato di Toscana: Guidato da Ferdinando III di Lorena particolare attenzione furono dedicate al progresso agricolo, nonostante fosse sempre presente la mezzadria ed una notevole arretratezza. Il dibattito politico era tollerato, facendone il centro di riferimento dei liberali italiani per parecchi decenni.
Ducato di Parma e Piacenza: furono mantenuti gli ordinamenti giuridici e amministrativi del periodo napoleonico, e il governo di Maria Luigia mantenne la sua linea di moderata modernizzazione e buon governo economico.
Ducato di Modena: Guidato da Francesco IV d’Asburgo. Fu guidato da un oscillante e contraddittorio governo che portò il ducato ad una situazione tale da sfociare in episodi d’aperta reazione.
Regno del Lombardo-Veneto: una miscela d’autoritarismo e buon’amministrazione caratterizzarono la dominazione austriaca. Continuò ad essere la regione più avanzata economicamente, nonostante contrariamente a molte realtà europee furono mantenuti e aumentati i dazi doganali che rallentarono lo sviluppo. Da ricordare:
- Avvio di un’agricoltura moderna;
- Nascita dei primi nuclei d’industria;
- Sviluppo di una buona rete di comunicazione intera;
- istruzione pubblica e vivace attività culturale. Nasce “Il Conciliatore”, rivista con influenze romantiche e idee liberali, quindi presto censurata dall’Austria.
31 I MOTI DEL 1820-1821
Le ondate rivoluzionarie degli anni ’20, termineranno con insuccessi per l’immaturità dei progetti e l’impreparazione delle classi sociali che avrebbero in guidato la svolta riformatrice, nonché dalla indifferenza dei contadini (sempre troppo influenzati dagli aristocratici e della Chiesa). A soffocarle militarmente furono decisivi gli interventi delle grandi potenze europee, ed in particolare dell’Austria.
L’ondata che partì dalla Spagna a breve coinvolse anche l’Italia.
Regno Delle Due Sicilie. Ai primi di Luglio le guarnigioni di Nola e Avellino, per opera di due ufficiali: Morelli e Salviati, inalberarono il vessillo rivoluzionario (azzurro, rosso e nero) e al grido di “Viva il re e viva la Costituzione” si mossero verso Napoli al comando del generale Guglielmo Pepe. L’8 Luglio l’esercito rivoluzionario entrò a Napoli e il 13 Luglio Ferdinando I° concesse la Costituzione di Cadige. Ma anche in questo caso si presentarono gli stessi problemi spagnoli: divisioni interne tra liberali e democratici, ostilità del re e intransigenza austriaca, questione indipendentista siciliana che vide a Palermo una violenta ribellione cui parteciparono congiuntamente popolazione e aristocrazia locale. La difficoltà della situazione e la vastità della rivolta provocò l’invio di un corpo militare austriaco che riuscì a reprimerla.
Sfruttando l’impegno militare austriaco, nel ’21, si attivarono anche le società segrete in Piemonte e Lombardia – in particolare la Federazione italiana. Guidati da Santorre di Santarosa un progetto insurrezionale mirava all’ammutinamento di reparti sabaudi. Punto di forza, doveva essere il tacito assenso del principe Carlo Alberto, probabile erede al trono. La rivolta scoppiò ad Alessandria e si estese in tutti i territori. Vittorio Emanuele I, piuttosto che concedere la Costituzione, preferì abdicare a favore del fratello Carlo Felice che era fuori sede. La reggenza di Carlo Alberto, vide la concessione della Costituzione, immediatamente bloccata dal ritorno di Carlo Felice. I rivoluzionari furono battuti dall’esercito regolare(rafforzato con austriaci) presso Novara, decretando la fine dell’esperienza rivoluzionaria.
L’esito negativo soprattutto allo scarso consenso delle masse contadine e agli interventi militari austriaci interessati a mantenere intatto l’equilibrio conservatore.
Nel ‘20, con i congressi di Troppau e di Lubiana, l’Austria decise per l’intervento armato nei confronti degli scontri in Italia meridionale e compì violente repressioni ai moti costituzionali piemontesi e in particolare in Lombardia. Riportato l’ordine in Italia, col congresso di Verona del ’22 la Santa Alleanza, la Francia, che voleva riequilibrare il rafforzamento austriaco, risistemò la situazione in Spagna.
32 I MOTI DEL 1831
La rivoluzione di Luglio a Parigi risveglio i democratici italiani organizzando moti con rivendicazioni nazionali. Elementi di novità furono: la base organizzativa borghese (Ciro Menotti) e aristocratica liberarle, un discreto consenso popolare, il tentativo, inattuato, di coordinare le insurrezioni in un moto nazionale.
L’entusiasmo che accompagnò le prime vittorie finì col lasciare posto alle divisioni tra democratici, che volevano allargare il conflitto allo Stato della Chiesa e liberali che proponevano un’unificazione diplomatica, che favorirono la repressione austriaca.
Il Carbonaro Menotti s’appoggiò al duca Francesco IV di Modena (le cui mire erano di usare i moti per diventare sovrano del Regno d’Italia). Quando il progetto dovette trovare la sua realizzazione definitiva, il duca intimorito dalla reazione austriaca abbandonò l’impresa e fece arrestare alcuni capi della congiura. Ma la macchina organizzativa era ormai in moto, le prime sollevazioni scoppiarono nel febbraio ‘31 a Bologna e si estesero rapidamente alle legazioni pontificie (Romagna, Pesaro Urbino); quindi nel Ducato di Parma e Modena costringendo alla fuga Francesco IV.
Nelle Legazioni Pontificie fu costituito un governo delle province unite con Capitale Bologna e un corpo di volontaricol compito di marciare su Roma.
L’esito generale del moto fu condizionato negativamente dal contrasto tra le singole città (problemi campanilistici) e le divisioni tra democratici e moderati, così da consentire agli austriaci di reprimere le agitazioni alla fine di Marzo del ’31.
33 MAZZINI: FORMAZIONE, IDEE E INIZIATIVE
La formazione di Mazzini ha nel suo centro il fallimento dei moti delle società segrete (di cui lui fece parte) che lo portarono ad elaborare un pensiero politico originale.
Formato tra gli esuli politici a Marsiglia, Mazzini fu influenzato dai più autorevoli democratici italiani, incentrò il suo progetto unitario su principi laico-religiosi e con slanci tipici del pensiero Romantico.
“Da Dio gli uomini e i popoli hanno ricevuto una missione da compiere, per attuare il progresso. Ai diritti dell’uomo occorre sostituire i doveri dell’uomo. È dovere del popolo insorgere contro l’oppressione straniera e raggiungere la libertà. L’Italia ha la funzione di fare partire questa iniziativa che unirà i vari popoli con i principi di libertà e fratellanza. Con la missione, la nuova realtà politica dovrà diventare:
- indipendente e unitaria;
- libera;
- repubblicana.
Solo nella sua forma repubblicana si attua il governo del popolo, l’unico governo legittimo. Tale progetto potrà attuarsi attraverso rivoluzioni popolari simultanee, che abbatteranno i principi, mentre nella lotta d’indipendenza si uniranno tutti i popoli assoggettati agli stranieri. La Giovane Italia dovrà anticipare la Giovane Europa di libere e democratiche repubblicane nazioni”.
Alla base del suo credo c’era il dualismo. Dio-popolo e Pensiero-azione.
La Giovane Italia, nata in Francia nel 1831 dallo stesso Mazzini, aveva un’organizzazione completamente diversa dalle vecchie società segrete; di segreto manteneva solo l’identità degli aderenti, ma il programma era ben definito e la propaganda era destinata a diffusione alla luce del sole. Per la prima volta, l’adesione non era limitata a classi sociali, ma auspicava una partecipazione popolare.
Il metodo d’azione per il raggiungimento degli obiettivi era individuato in una rivoluzione coordinata, sia a livello nazionale, che a livello sovranazionale.
I moti organizzati dal Mazzini e la sua Giovane Italia furono cronologicamente:
- 1831 nel Regno delle Due Sicilie. Un’azione nata dalle file dell’esercito avrebbe dovuto sollevare le popolazioni locali, ma fu scoperta dall’esercito fedele al re
- 1833 in Piemonte e Liguria. Un corpo di volontari sarebbe dovuto penetrare nella Savoia dalla Svizzera, e contemporaneamente una insurrezione avrebbe dovuto avere luogo a Genova(dov’era impegnato il giovane Giuseppe Garibaldi, arruolato appositamente in Marina);
- 1843 nelle legazioni Pontificie un altro tentativo, che avrebbe dovuto prevedere una partecipazione popolare che non arrivò mai;
- 1844 nel Regno delle Due Sicilie. Due ufficiali di marina, i fratelli Bandiera, sbarcarono in Calabria con pochi commilitoni con l’auspicio di creare una sollevazione popolare contro i Borbone; ma il progetto si scontrò con l’indifferenza dei contadini e i Bandiera furono fucilati.
Nonostante i nobili intenti delle idee mazziniane, tutte le iniziative militari che videro protagonista la Giovane Italia fallirono gli obiettivi, i motivi sono da ricercare nella straordinaria innovatività, che necessitava di tempo per potere essere metabolizzata.
Il fallimento dei moti che dal ’21 al ’44 fiorirono in Italia, vide la crisi irreversibile delle società segrete sullo stile carbonaro e contribuì ad alimentare le critiche ai propositi repubblicani; evidenziando la necessità di:
un atteggiamento moderato di confronto politico;
un’alleanza militare con il Piemonte per l’unificazione nazionale.
Apparve altresì chiara l’impossibilità d’affidarsi a sovrani stranieri per la realizzazione dell’unità.
34 LO SVILUPPO DEGLI STATI ITALIANI FRA IL 1830 E IL 1848
Il decennio ‘30-‘40 trascorse in Italia sotto la continuità della restaurazione.
Nel regno di Sardegna, Carlo Alberto nel ’31, si era da tempo orientato verso i legittimisti e le posizioni clericali con cui, ebbe una stretta alleanza e in politica estera manifestò ostilità verso la Francia. Al tempo stessorealizzò importanti riforme.
Nel ’31 fu istituito un Consiglio Di Stato di nomina regia (dotato di funzioni consultive); nel ’37 e nel ’41 furono promulgati i nuovi codici: civile e penale e nel ’43 il codice commerciale. Furono aumentate le vie di comunicazione (rete ferroviaria) e nell’istruzione. In generale, il clima in Piemonte, fu d’apertura all’idee liberali che ne fecero il perno della politica italiana.
Nel Gran Ducato di Toscana fu governato in modo moderatamente illuminato e tollerante, ma che per la negativa influenza austriaca, non riuscì a realizzare quello sviluppo liberale di cui si sentiva la necessità. L’aspetto più importante relativo al granducato era da ricercare nel fermento intellettuale che produsse numerose iniziative di rilievo, come il Congresso Degli Scienziati Italiani, dove, sebbene non si parlasse di politica, gli argomenti trattati riguardavano importanti sfere della vita pubblica: economia, agraria, istruzione pubblica, ecc. che finirono per influenzare la crescita intellettuale dell’opinione pubblica.
Nell’Italia degli anni ’40 l’economia aveva subito progressi limitati, insufficienti ad abbassare il divario con gli altri paesi d’Europa in via d’industrializzazione propendendo per la necessità di eliminare le barriere doganali (nel ‘47 Piemonte, Toscana e Stato della Chiesa sottoscriveranno gli accordi preliminari per la lega doganale italiana per facilitare la crescita.
Il sistema agrario rimaneva legato alla conduzione dell’antico regime, per questo era molto arretrato, solo in alcune zone del Nord (Lombardia) aveva avuto uno sviluppo soddisfacente. Ancora più deficitaria era la situazione industriale che era presente solo in pochi centri, di profondo divario tra Nord e Sud.
Solo il Lombardo-Veneto e il Piemonte realizzarono uno sviluppo soddisfacente (per vie di comunicazione, il sistema bancario, lo sviluppo dei porti e la marina mercantile).
Nel ’46-’47, sulla base di nuovi moti rivoluzionari, molti sovrani italiani si decisero a concedere alcune riforme realizzando il BIENNIO DELLE RIFORME.
L’evento decisivo fu la salita al soglio pontificio di Papa Pio IX, accolto con grande entusiasmo per le pur limitate riforme, fu individuato come il leader dell’ideologia neoguelfa. Concesse amnistie per i prigionieri polititi, Consulta di Stato, fu attenuata la censura sulla stampa, e istituita una Guardia Civica. Nonostante le riforme fossero d’importanza relativa finirono con l’infervorare gli spiriti, tanto che nel luglio ’47 gli austriaci, appellandosi ad una clausola del congresso di Vienna decisero per l’intervento militare per ristabilire l’ordine. Occuparono Ferrara provocando un rafforzamento del sentimento antiaustriaco. Il governo inglese criticò duramente l’intervento. Nell’autunno ’47 il moto riformatore dilagò in tutta la penisola accompagnato da tumulti. I sovrani, preoccupati di un nuovo rafforzamento dei progressisti a danno dei moderati, si videro costretti a concedere ulteriori riforme. Carlo Alberto varò un nuovo ordinamento amministrativo che rendeva elettivi i consigli comunali. Alla fine del ’47 tutti gli stati della penisola erano consapevoli della necessità dell’unificazione, ad eccezione del Regno delle Due Sicilie dove arretratezza culturale e influenza austriaca erano troppo forti.
35 MODERATISMO, NEOGUELFISMO, FEDERALISMO
L’esigenza di trovare un accordo con la corrente cattolico-liberale era avvertita come fondamentale per dare solidità ai movimenti e al futuro governo nazionale. La vera novità degli anni ‘40 fu l’emergere dell’orientamento moderato, che si differenziava nettamente dal tradizionalismo conservatore legittimista e dal radicalismo repubblicano di Mazzini. La soluzione del problema italiano era risolvibile attraverso programmi gradualisti e indolori, senza l’uso della rivolta armata. Uno dei tentativi della politiche moderata era da ricercare nel tentativo di conciliare la causa liberale e patriottica con la religione cattolica.
Una corrente cattolico-liberale era da tempo attiva sul territorio, battezzata con il NEOGUELFI. Ai Neoguelfi si contrapposero i NEOGHIBELLINI d’orientamento repubblicano e anticlericale, i cui maggiori esponenti furono: Guerrazzi e Niccolini.
Il Neoguelfismo conobbe il suo momento di maggiore popolarità con il libro di Gioberti (abate torinese che aveva subito l’influsso di Mazzini), Del Primato Civile e Morale degli Italiani. Proponeva un federalismo di Stati fondato sull'autorità superiore del Papa e sulla forza militare del Regno di Sardegna.
Cesare Balbo nel ‘44 riprese le teorie di Gioberti evidenziando, mettendo in evidenza ufficialmente l’impedimento della presenza austriaca l’unificazione.
Nel ’46 Giacomo Durando, rilanciava l’idea di una monarchia federalista, con un’Italia divisa in tre: Una settentrionale; una centrale e una meridionale.
Elemento comune delle idee di Gioberti, Balbo e Durando, era dunque l’ipotesi federalista. Il fallimento dei moti del ’45 nelle legazioni pontificie contribuì ad evidenziare, nei moderati come D’Azeglio l’inconsistenza dei propositi rivoluzionari.
Ma la tendenza al federalismo e il riformismo graduale non era patrimonio esclusivo della scuola moderata, esisteva anche una corrente democratico-radicale, sviluppatasi in Lombardia, che credeva molto in quelle prerogative. Capofila di questa corrente era Carlo Cattaneo, direttore della rivista “Il politecnico”, con un programma politico incentrato sul riformismo politico-economico dei singoli stati. Obiettivo finale era una confederazione repubblicana sul modello Usa, con ampi spazi d’autonomia ai singoli fosse per la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa.
36 IL 1848 IN ITALIA E LA PRIMA GUERRA D’INIDIPENDENZA
Spinti dai nuovi eventi europei, anche in Italia si manifestò un rafforzamento dei radicali-democratici, che favorì l’acuirsi degli ideali nazionali avvertiti ormai anche dalla maggior parte dell’opinione pubblica.
Negli anni tra il 46-’48 molti sovrani italiani concessero moderate costituzioni liberali. Ma l’impreparazione dell’establishment politico non fu in grado di opporre un’adeguata resistenza all’ennesima ondata restauratrice degli austriaci.
I moti italiani del ’48 furono influenzati da quelli di Francia, Austria e Germania e dall’entusiasmo della politica riformista di Pio IX nel biennio delle riforme (’46-47). Entrambi auspicavano la concessione di Costituzioni e l’organizzazione del sistema politico su base Parlamentare e orientamento moderato.
Già nel Gennaio 1848 una sollevazione a Palermo costrinse Ferdinando II a concedere la Costituzione. La più rivoluzionaria fu quella piemontese proposta da Carlo Alberto - STATUTO ALBERTINO - che nonostante mantenesse una forte predominio del potere monarchico, prevedeva un sistema bicamerale con:
- una Camera Dei Deputati, elettiva;
- un Senato di nomina regia.
Gli altri moti attesero l’abbrivio della rivolta di Vienna nel mese di Marzo.
A Venezia la popolazione scacciò gli austriaci ed instaurò il governo provvisorio della Repubblica Veneta, presieduta da Daniele Manin.
A Milano dopo duri scontri (le cinque giornate di Milano), le truppe austriache del generale Radetzky, furono costrette a ritirarsi nel Quadrilatero di Peschiera-Verona-Legnago-Mantova, mentre i liberali costruirono un Governo Provvisorio.
Nel Marzo’48 il Piemonte, spinto dalla pressione liberale-democratica e dall’aspirazione sabauda ad allargare i confini verso est, dichiarò guerra all’Austria: Prima Guerra d’Indipendenza. Si unirono al Piemonte anche le truppe di Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IX trasformando l’evento in una guerra nazionale benedetta dal Papa e combattuta congiuntamente da tutte le forze patriottiche. Carlo Alberto dimostrò scarsa abilità militare suscitando l’irritazione dei democratici e la diffidenza degli altri sovrani.
Particolarmente imbarazzante era la posizione di PIO IX che si trovava in guerra contro una potenza cattolica. Minacciato dall’Austria di uno scisma della chiesa locale, in Aprile, il Papa richiamò le sue truppe, seguito a breve dagli altri sovrani.
A fianco del Piemonte, rimasero solo i volontari degli eserciti dei diversi stati (tra i quali Garibaldi). Nonostante alcune vittorie iniziali - Curtatone e Montanara - nel Luglio ’48 l’esercito sabaudo fu sconfitto a Custoza e pochi giorni dopo venne firmato l’armistizio con gli austriaci.
37 LOTTE DEMOCRATICHE E NUOVA RESTAURAZIONE (1848-49).
Nel biennio ’48-49 il rafforzamento democratico e degli ideali nazionali conclamarono l’avversione verso gli austriaci. Le rivoluzioni italiane del periodo fallirono, soprattutto a causa delle fratture fra:
- democratici e radicali che vedevano nell’insurrezione armata e nell’allargamento del conflitto allo Stato della Chiesa l’unica soluzione al problema italiano;
- liberali e moderati spaventati dalla minaccia rivoluzionaria e votati a privilegiare le scelte diplomatiche e evitare in un primo tempo, lo Stato della Chiesa.
La situazione era piuttosto frammentaria.
La Sicilia restava divisa dalle Regno, sotto il controllo dei separatisti che si erano dati un proprio governo e una costituzione democratica.
Venezia era rimasta la Repubblica di Manin.
In Toscana il granduca, spinto da pressioni popolari, fu costretto a formare un governo moderatamente democratica.
Nello Stato Pontificio, una sollevazione popolare indusse il Papa alla fuga. Furono indette elezioni a suffragio universale (eletti anche Mazzini e Garibaldi )per un’assemblea costituente della Repubblica Romana.
I nuovi moti che percorsero il paese ridiedero animo ai rivoluzionari caldeggiando una nuova guerra anti austriaca.
Nel 1849 Carlo Alberto ripresa la via delle armi, si trovò di fronte un esercito ben organizzato e superiore per mezzi e uomini. Le truppe di Radetzky impartirono a quello sabaudo una pesantissima lezione a Novara, provocando l’abdicazione di Carlo Alberto in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
La firma dell’armistizio segnò l’avvio di una durissima ondata restauratrice in tutti gli stati italiani, che nonostante una strenua resistenza cedettero alla potenza asburgica.
La resistenza più gloriosa fu quella della Repubblica Romana stroncata solo dall’intervento delle truppe francesi, chiamate dal Papa.
Poco dopo capitolava anche Venezia e le piccole repubbliche del centro.
Terminata la campagna d’Italia, l’Austria poté dedicarsi alla questione interna che vedeva una Ungheria che aveva approfittato della situazione per proclamare la Repubblica Ungherese. Con l’aiuto militare della Russia (preoccupata dalla persistenza di focolai rivoluzionari ai propri confini), la Repubblica Ungherese fu attaccata congiuntamente dai due lati e costretta a soccombere.
Con il ritorno dei vecchi sovrani scomparve ogni impulso riformatore provocando con un nuovo blocco allo sviluppo e all’industrializzazione.
Il Lombardo Veneto fu sottoposto ad una pesante occupazione militare e ad una forte pressione fiscale a danno degli imprenditori (che impedì lo sviluppo dell’industria e delle infrastrutture).
Nello Stato Pontificio Pio IX non tenne in alcun conto chi lo esortava alla moderazione e riorganizzò lo stato sul modello teocratico-autoritaristico.
Nel Regno delle due Sicilie fu ristabilito un governo strettamente conservatore con l’innalzamento di nuove barriere doganali così da rallentare ancor lo sviluppo economico, contribuendo ad acuire i sentimenti indipendentisti siciliani.
Unico stato nazionale in cui la situazione poté evolversi fu il Piemonte dove sopravvisse lo Statuto Albertino.
Il Regno del nuovo re, Vittorio Emanuele II, incominciò con un duro scontro con una Camera elettiva, composta per la maggioranza da radicali e democratici. Quando i deputati radicali si rifiutarono di ratificare la Pace di Milano con gli austriaci, che prevedeva il pagamento di un forte indennizzo di guerra, il sovrano in accordo con il Governo di D’Azeglio che, con grande autorità e consci della delicatezza della situazione, si rivolsero direttamente agli elettori. Questi si dichiararono favorevoli ad una maggioranza più moderata, che accettò di sottoscrivere il trattato evitando di scatenare nuova repressioni, preservando l’esperimento moderato-liberale che consentirà al Regno un ulteriore sviluppo politico.
Solo in questo modo fu possibile a D’Azeglio portare avanti l’opera di modernizzazione del paese, palesata nella tappa fondamentale del ’50 con il voto delle Leggi Siccardi, che riordinavano i rapporti tra Stato e Chiesa.
Convinti della necessità di una laicizzazione dello Stato, questi accordi riuscivano a mediare una situazione delicata, ponendo fine ad anacronistici privilegi del clero, ma consentendo alla Chiesa di mantenere alcuni privilegi.
38 CAVOUR E IL PIEMONTE
Gli insuccessi rivoluzionari della prima metà del ‘800 aprirono la strada ai liberali, che per raggiungere l’unità nazionale riproponevano un riformismo politico. La debolezza dimostrata negli stati italiani aveva evidenziato la necessità di creare un nuovo accordo tra i liberali e i democratici attraverso una politica moderata. La vera rivoluzione che avrebbe dovuto scuotere il paese doveva essere quella economica. Questa era la base portante della politica del nuovo uomo forte: Camillo Benso Conte di Cavour.
Fu lui uno dei mediatori che portò al successo delle leggi Siccardi. Aristocratico, grande economista e intellettuale era cresciuto con forti contaminazioni straniere e con grande apprezzamento per la democrazia inglese. Il suo ideale politico era quello di un liberalismo moderato, che prevedeva un allargamento della base elettiva, necessario all’evoluzione industriale del periodo. Modernismo e garanzie per la proprietà privata e l’attività individuale erano alla base del suo indirizzo economico.
Entrò a fare parte del governo D’Azeglio nel 1850 e nel 1852 divenne capo dell’esecutivo, anche grazie al connubio: un’alleanza politica tra la le componenti più moderate della destra e quelle della sinistra, il cui capogruppo era Urbano Rattazzi. Così spostando il timone verso sinistra allargò il consenso, ponendo le basi per un’ampia governabilità, requisito indispensabile per consentirgli di:
- realizzare le riforme interne per l’ammodernamento;
- riorganizzare la guerra contro gli austriaci.
In Politica Economica propose una ferra linea liberoscambista:
- Dal 1851 al ’54 stipulò trattati commerciali con Francia, Belgio e GB e abolì gran parte dei dazi doganali, compreso sul grano, così da favorire l’agricoltura;
- Sviluppo delle infrastrutture: fece realizzare grandi opere pubbliche, il potenziamento della rete ferroviaria favorì l’industria: meccanica e siderurgia.
In questo modo il Piemonte cavouriano, in un decennio, diventava il modello politico e economico di riferimento in Italia. Il rinnovamento provocò il rientro di molti esuli attorno i quali si svilupperanno le idee portanti per la prossima unificazione.
Il prezzo del rinnovamento era stato scaricato sull’ inasprimento fiscale che colpì soprattutto le classi medio-basse fortemente penalizzate.
39 INIZIATIVE MAZZINIANE E REPUBBLICANE NEGLI ANNI ‘50
Nonostante gli insuccessi delle rivoluzioni ’48 Mazzini non mutò le proprie strategie rivendicando nuovi intenti rivoluzionari, mentre all’interno dei democratico-repubblicani il malcontento indirizzò verso una linea meno intransigente.
Trasferitosi in esilio volontario a Londra, organizzò nel 1850 un Comitato nazionale italiano con l’intento di una nuova sommossa. Nel 1852 la polizia austriaca scoprì i congiurati e portò a termine operazioni poliziesche molto dure che decimarono le organizzazioni. Mazzini tentò lo stesso la carta dell’insurrezione nel 1853.
A Milano i rivoltosi non riuscendo a coinvolgere le popolazioni locali furono duramente sconfitti dall’esercito austriaco.
Ma Mazzini proseguì fondando nel 1853 a Ginevra il Partito d’azione cercando di coinvolgere gli operai e artigiani delle città del Nord, mentre Ferrari e Pisacane cercarono di proporre soluzioni alternative. Influenzati dalle neonate idee marxiste, nel ‘51 introdussero il tema del socialismo, che oltre alla dottrina, prevedeva il coinvolgimento delle masse popolari nella lotta per l’unificazione e l’indipendenza.
Pisacane era convinto che la strada da seguire per realizzare questo coinvolgimento era da ricercare nella crisi gravissima della situazione meridionale.
SPEDIZIONE DI SAPRI: nonostante le divergenze ideologiche Pisacane organizzò col Mazzini una spedizione in Italia meridionale nel 1857. Pisacane al comando di un piccolo gruppo di ribelli, infoltito dai detenuti liberati dal penitenziario dell’isola di Ponza si diresse verso Sapri per iniziare la marcia verso l’interno. L’inpossibilità di coinvolgere le masse contadine provocò un nuovo e clamoroso fallimento.
A questo punto parve evidente che per raggiungere l’unità d’Italia occorreva trovare l’appoggio di una potenza militare. Un nuovo movimento indipendentista, La Società nazionale di Manin indicò nel Piemonte l’unico stato alleato per raggiungere scopo.
40 LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA
In politica estera Cavour mirava a rafforzare il Piemonte avvicinandolo alle democrazie più moderne. Un passo importante in questa direzione fu compiuto nel ‘55 quando si alleò con Francia e Inghilterra contro la Russia per la guerra in Crimea, inviando un corpo militare al comando del generale La Marmora.
La vittoria della guerra non portò alcun vantaggio concreto, ma permise allo statista di affrontare in sede internazionale la questione italiana alla conferenza di Parigi del ’56. Ma lo scarso successo diplomatico convinse Cavour a modificare gli equilibri politici per raggiungere il proprio scopo, lavorando su due fronti:
- appoggiare i movimenti insurrezionali;
- cercare un’alleanza con l’unica nazione desiderosa di cambiare lo status quo: la Francia di Napoleone III. L’alleanza con i francesi avvenne segretamente nel ’58 con gli accordi di Plombieres, e nascondevano i reali intenti di Napoleone. Riorganizzare l’Italia in tre stati distinti confederati sotto la propria diretta influenza e la presidenza del Papa:
- Stato Settentrionale sotto il dominio Sabaudo;
- Stato Centrale con Toscana e legazioni pontificie, retto da un parente di Napoleone III;
- Stato Meridionale sotto la dinastia dei Borbone.
Ma a Cavour premeva soprattutto liberarsi dell’Austria e siccome l’accordo sarebbe stato valido solo in caso d’aggressione, i piemontesi organizzarono manovre militari ai confini con l’impero per provocare il casus belli.
Gli austriaci nel ‘59 intimarono l’ultimatum ai piemontesi di smobilitare l’esercito. La risposta negativa dell’esercito sabaudo sancì l’inizio delle ostilità della SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA. L’esercito congiunto dei Franco-piemontesi attaccò in Lombardia a Montebello, e a Magenta aprendosi la strada verso Milano. Un successivo contrattacco austriaco fu respinto il 24 Giugno a Solferino e San martino. A questo punto invece di proseguire nelle manovre militari, Napoleone III (pressato dal malcontento che in patria aveva causato il costo economico ed umano della Guerra) decise, unilateralmente, di concludere la guerra e firmare l’armistizio di Villafranca, che prevedeva per il Piemonte l’annessione della sola Lombardia.
Risentito Cavour diede le dimissioni in favore del generale La Marmora. L’episodio segnò la fine dell’alleanza tra il Piemonte e Napoleone III. La vittoria mutilata suscitò lo sdegno dei democratici, favorendo una nuova ondata rivoluzionaria in tutta Italia, che costrinse molti sovrani ad abbandonare i loro scranni.
I nuovi governi rivoluzionari si pronunciarono per l’annessione al Piemonte.
La situazione di crisi interna costrinse Napoleone III al non intervento così da permettere a Cavour, tornato al governo nel ‘60, di negoziare le annessioni in cambio di Nizza e della Savoia alla Francia.
41 GARIBALDI E LA SPEDIZIONE DEI MILLE
La situazione politico-territoriale italiana dopo la seconda guerra d’indipendenza (annessione al Regno della Lombardia) avrebbe soddisfatto di fatto gli ideali programmatici dei liberali e dello stesso Cavour, ma non i democratici che chiedevano l’unificazione della penisola. Il Piemonte forte della vittoria sull’Austria assumeva la conformazione territoriale di uno stato nazione, proponendosi come l’unica entità militare capace raggiungere l’intento unificatore. Per l’attuazione del programma, scartata l’ipotesi militare nelle legazioni pontificie, per le complicanze internazionali che sarebbero seguite, tornò d’attualità l’iniziativa nel Regno delle due Sicilie, dove era appena salito al trono il giovane e inesperto Francesco II.
Furono due mazziniani siciliani esuli in Piemonte, Crispi e Pilo, a organizzare il progetto di spedizione nell’isola. L’idea era organizzare un’insurrezione in loco coinvolgendo le popolazioni locali, per passare poi ad invadere i territori peninsulari, per arrivare sino allo stato pontificio. Base di partenza imprescindibile era di predisporre un manipolo di uomini capeggiato da un’abile guida militare con il beneplacito del Piemonte.
Nell’Aprile ’60 fu fatta scoppiare una rivolta a Palermo. Mentre Pilo si precipitò in Sicilia per prendere la testa del moto, il Crispi convinse Garibaldi (il capo militare più prestigioso e l’unico democratico in grado di riunire i consensi dell’eterogeneo schieramento unificatore) ad assumere la testa dei volontari.
Garibaldì partì da Quarto, il 6/5/1860, alla testa di un contingente di un migliaio di volontari, sbarcò a Marsala pochi giorni dopo. Sconfisse le truppe regolari a Marsala, Calatafimi, e Palermo, dove per la prima volta, l’arrivo delle avanguardie garibaldine provocò una sollevazione popolare che ne favorì il compito. A Palermo fu organizzato un governo provvisorio guidato da Crispi che tentò di ratificare riforme sociali (terre ai contadini, riduzione del carico fiscale). Dopo l’arrivo di forze Piemontesi, Garibaldi si scontrò nuovamente con i borbonici a Milazzocostringendoli ad abbandonare l’isola.
42 L’UNIFICAZIONE ITALIANA, I PLEBISCITI E LA PROCLAMAZIONE DEL NUOVO REGNO
In poche settimane l’impresa garibaldina del ‘60 in Sicilia assunse le dimensioni dell’epopea. La facilità con cui avevano sgretolato l’esercito borbonico avevano costretto il Cavour e le altre potenze internazionali, a rivedere la loro strategia. Temendo una svolta radicale, il governo piemontese inviò sull’isola Giuseppe La Farina col compito d’influenzare l’opinione pubblica in favore di un’annessione al Piemonte. Il tentativo si scontrò con la decisione di Garibaldi e Crispi di rimandare ogni discorso politico a dopo la conquista dei territori borbonici. A complicare la situazione pensarono gli stessi contadini siciliani, che forti dell’entusiasmo, volevano spartirsi le terre dei ricchi. La situazione produsse una frattura fra i liberatori, che non volevano lasciare sfogo al clima di aperta anarchia che si prospettava, e i liberati. Questo provocò disordini in tutta la regione. Spaventati i proprietari terrieri s’allearono con i democratici, mostrandosi favorevoli all’annessione al Piemonte.
Per ripristinare l’ordine, il Piemonte organizzò un intervento repressivo-poliziesco guidato da Nino Bixio, mentre nell’estate ‘60, Garibaldi salpava alla volta della Calabria. Senza quasi trovare resistenza da parte del disgregato esercito borbonico, entrò trionfalmente a Napoli. Situazione che di fatto avvantaggiava i democratici napoletani, desiderosi d’organizzare un’azione contro lo Stato Pontificio, che avrebbe provocato la reazione di Napoleone III.
La spinosità della questione costrinse il Cavour all’intervento militare per anticipare i democratici. Dopo avere informato la Francia, l’esercito piemontese penetrò nello stato della Chiesa, sconfisse le truppe pontificie nella battaglia di Castelfidardo e dichiarò l’annessione delle Marche e Umbria al Regno. In questo modo l’iniziativa tornava nelle mani dei moderati di Cavour e Garibaldi non poteva opporsi se non a rischio di una guerra fratricida. Al condottiero non rimase che attendere l’arrivo delle truppe piemontesi, a Teano, alle quali lasciare il controllo prima di ritirarsi in volontario esilio a Caprera.
A giocare a favore del partito dell’annessione giocò anche il fenomeno del brigantaggio che sconvolse i territori meridionali. I plebisciti indetti nell’ottobre’60 sancirono la volontà d’annessione al regno piemontese dei territori Delle Due Sicilie.
Il 17 Marzo ‘61 il Parlamento proclamava Vittorio Emanuele II Re d’Italia.
43 BISMARK, POLITICA INTERNA ED ESTERA
Il cancellierato di Bismark, iniziato nel 1862, fu un’ammirevole e abile opera politica che influenzò la politica nazionale tedesca ed internazionale della fine dell’ottocento.
La politica interna s’incentrò sul RIFORMISMO CONSERVATORE, mentre la politica esteraruotò attorno al MITO DELLA FORZA, Machtpolitik (indirizzo che avrebbe contagiato tutti gli stati europei).
Alla base delle sue prerogative bismarkiane c’era lo sviluppo bellico e il ritorno al protezionismo. La Germania dell’ultimo quarto del XIX secolo poteva vantare:
- una popolazione molto elevata, molto maggiore di quella inglese;
- un esercito micidiale;
- uno sviluppo industriale che la collocava tra le prime potenze al mondo;
- una struttura per l’istruzione invidiabile;
- un’avanzata ricerca scientifica;
- una rete di vie di comunicazione efficiente;
- un’efficiente sistema bancario.
POLITICA INTERNA. La struttura istituzionale della confederazione germanica era molto complessa, anche se tutto ruotava attorno allo strapotere prussiano e alla centralità del governo e del cancelliere.
- Il potere legislativo era tenuto da una Camera, il REICHSTAG eletta a suffragio universale;
- un Consiglio Federale composto da rappresentanti dei singoli stati che influenzava i governi locali con competenze amministrative.
Ma le grandi scelte dipendevano dal cancelliere e dal governo centrale: unici responsabili di fronte all’imperatore.
Il potere del governo era basato sul un solido blocco sociale comprendente: finanzieri, industriali e Junkers. La base di consenso fu ulteriormente rafforzata dalle scelte protezionistiche adottate dal Bismark dopo il ’79.
Nonostante lo squilibrio tra i poteri istituzionali si sviluppò un vivace dibattito politico, favorito in parte anche dall’elevato efficienza del sistema dell’istruzione, grazie al quale nacquero forti movimenti di massa.
- Nel ‘71 nasce il CENTRO, partito d’ispirazione cattolica, che posava la sua base consensuale su una realtà molto ricca e composita;
- nel ’75 nasce l’SPD, il partito social-democratico tedesco che aveva la sua base consensuale nella massiccia adesione operaia. Nel giro di pochi anni diventerà un modello per il movimento operaio europeo.
Per governare secondo le proprie prerogative s’imponeva al Bismark di combattere duramente contro entrambe le compagini d’opposizione.
Il cancelliere si preoccupò soprattutto di contrastare il Centro perché ritenuto più pericoloso. Gli orientamenti filocattolici erano fortemente radicati nella gran parte della popolazione (soprattutto in quelle realtà non prussiane che ancora mal ne digerivano il predominio). Lo scontro tra il cancelliere e i cattolici raggiunge l’acme tra il ‘72-’75 con l’emanazione di una serie di misure per ampliare la laicizzazione dello Stato accompagnate da altre che limitavano le libertà dei religiosi.
Ma la risposta all’azione del cancelliere fu negativa. Per reazione s’irrobustirono i consensi delle forze cattoliche, tanto da costringerlo ad un’inversione di marcia. Nel ’87 una nuova legislazione riequilibrò le sfere di competenza fra Stato e Chiesa.
Risultato parimenti negativo fu ottenuto nella battaglia contro i socialdemocratici.
Già nel ’78 il varo delle LEGGI ECCEZIONALI pose gravi limitazioni ai socialdemocratici, che si trovarono ad operare in una situazione di semiclandestinità. Ma anche in questo caso la SPD vide accrescere i consensi nel giro di pochi anni.
Ma l’opera di Bismark non fu solo repressiva nei confronti del movimento operaio. Sebbene il vero proposito fosse quello d’inquadrarlo nello Stato, in una posizione subalterna, negli anni ’80 furono varate una serie di concessioni:
- leggi di tutela dei lavoratori;
- assicurazioni obbligatorie per la vecchiaia e gli infortuni sul lavoro.
Questo favorì il rafforzamento del movimento sindacale che spalleggiò la socialdemocrazia.
La suddivisione delle spese di tali riforme fu ripartita tra: imprenditori, Stato e operai. POLITICA ESTERA. Dopo la vittoria nella guerra franco-prussiana il cancelliere divenne il custode dell’equilibrio europeo. Forte della sua supremazia nel continente, cercò d’imporre una politica statica, cercando sempre d’impedire alla Francia di riprendere vigore, contando sulla tendenza inglese a non impegnarsi in Europa al di fuori dei propri interessi e alla sottoscrizione di un articolato sistema d’alleanze.
Nel 1873 fu stipulato il Patto dei Tre Imperatori, tra Germania, Austria, Russia (a cui s’accoderà anche l’Italia).
L’accordo aveva l’anello debole nell’antica rivalità fra Austria e Russia nei Balcani, dove la crisi dell’Impero Ottomano consentiva nuove mire espansioniste. Nel ’77 la Russia dichiarava Guerra alla Turchia, schierandosi in favore delle popolazioni slave della zona insidiate dagli ottomani. La vittoria dei russi scatenò una reazione diplomatica dell’Austria e dell’Inghilterra (preoccupata dell’interesse russo sugli stretti dei Dardanelli e del Bosforo).
Per evitare la nascita di nuovi conflitti, il cancelliere convocò un congresso a Berlino nel ’78 nel quale furono ridimensionati i vantaggi per i russi e fu accontentata parzialmente anche la Francia, alla quale fu lasciata mano libera per un futuro intervento coloniale in Tunisia (che avrebbe portato ad un conflitto con l’Italia).
Nel ’81 il rinnovo del Patto coincise con la suddivisione dei Balcani in zone d’influenza. Ma Bismark consapevole della debolezza dell’alleanza, si mobilitò per controbilanciarla, stipulando nel ’82, un altro trattato - la Triplice Alleanza - tra: Germania, Austria e Italia. Anche quest’ultimo accordo portava con sé elementi di fragilità dovuti all’inimicizia storica tra gli ultimi due contraenti.
Nonostante l’articolata impalcatura diplomatica si ripresentarono presto nuovi contrasti nei Balcani, tra la Russia e l’Austria nel ‘85-’86. Conscio dell’impossibilità di convivenza fra gli alleati, Bismark optò per due contratti bilaterali:
- mantenne bloccata l’alleanza con l’Austria;
- stipulò nel 1887 con la Russia il TRATTATO DI CONTRASSICURAZIONE che impegnava:
- la Russia a non unirsi alla Francia in caso d’attacco alla Germania;
- Germania a non unirsi all’Austria in caso d’attacco alla Russia.
44 LA TERZA REPUBBLICA IN FRANCIA (SINO AL 1914)
Dopo la sconfitta di Sedan, ad opera dei prussiani nel ’70, la Terza Repubblica francese muoveva i suoi primi passi con un’impronta molto conservatrice. Nonostante il carico dei trattati di pace, la riscossa economica non tardò ad arrivare.
- Nel ‘72 fu reintrodotto il servizio di leva obbligatorio;
- nel ’73 fu ultimato il pagamento dei danni di guerra.
Alla fine degli anni ’70 la situazione economica si era riassestata e la politica estera s’indirizzava verso il colonialismo.
In POLITICA INTERNA la situazione era caratterizzata dalla contrapposizione tra:
- i legittimisti, favorevoli a un ritorno monarchico;
- gli orleanisti che auspicavano un ritorno degli eredi di Luigi Filippo.
Un accordo in extremis tra orleanisti e repubblicani moderati portò al varo di una Costituzione nel 1875 che prevedeva un sistema bicamerale con: una camera e un senato che eleggeva un Presidente della Repubblica con ampi poteri. La nuova costituzione rappresentava un modello di democrazia moderna per l’intera Europa. La manovra politica rafforzò i repubblicani, che nelle elezioni del 1876 sconfissero i conservatori. Nella file della nuova maggioranza si fecero strada gli opportunisti legati all’esigenze dell’elettorato medio (commercianti, impiegati) che si contrapponevano ai radicali di Clemanceau, i quali auspicavano un indirizzo maggiormente riformista. Il prevalere della linea moderata sfavorì lo sviluppo democratico, producendo un sistema istituzionale con il Presidente della Repubblica fortemente limitato dalle camere.
Con il nuovo direttivo fu avviata un’operazione di laicizzazione dello stato. Dal 1880 al ’85 fu resa obbligatoria l’istruzione pubblica elementare e consentito il divorzio. Questo processo provocò una reazione delle forze clerico-conservatrici che riuscirono ad indebolire l’esecutivo. La corruzione ormai diffusa mise in crisi il già debole sistema istituzionale, così da fare nascere nell’opinione pubblica una crescente richiesta di restaurazione autoritaria e un conseguente rafforzamento della destra.
Significativo, di questo fenomeno, fu il caso Dreyfus. Vittima di una violenta campagna antisemita, l’ufficiale ebreo fu condannato per spionaggio, sulla base di prove inventate. Nonostante la comprovata innocenza, le alte sfere militari si rifiutarono di revisionare il processo; provocando una profonda spaccatura nell’opinione pubblica. Nel ‘99 alla revisione del processo, nonostante la comprovata innocenza, fu confermata la condanna.
L’indignazione fu tale che alle elezioni del ’99 i moderati uscirono nettamente vincitori. Alla vittoria elettorale seguirono le rivincite politiche sui conservatori. Riprese con concretezza la battaglia contro i privilegi del clero che portò nel 1905 alla rottura diplomatica tra lo Stato e la Santa Sede.
Tra il 1906-’10 Clemanceau realizzò alcune importanti riforme:
- limitazione dell’orario di lavoro;
- obbligo del riposo settimanale;
- istituzione delle pensioni d’anzianità.
Ma non riuscì a fare ratificare un’imposta sul reddito. Usciti vincitori dalla battaglia anticlericale i radicali si trovarono comunque invischiati in un processo d’involuzione moderata che bloccava le riforme.
Alla fine degli anni ’10 l’opera del governo mostrava un nuovo spostamento verso il centro, che porterà la Francia alla Prima Guerra mondiale con una politica che privilegerà il riarmo e il rafforzamento dell’esercito.
45 L’INGHILTERRA NELLA SECONDA METÀ DEL XIX SECOLO
Gli ultimi decenni del XIX secoli videro un alternarsi di governi Wings e Tories con un’accesa competizione sulle riforme sociali e nelle politiche coloniali.
Gli anni ’70 in Gran Bretagna erano incominciati all’insegna del liberalismo del governo Wings di Gladstone. Le misure del governo permisero alla popolazione di vivere con un tenore di vita superiore a quella di chiunque altro, equivalente solo a quella degli americani. A tale prosperità contribuì anche la politica coloniale che trovò un periodo particolarmente fortunato con l’avvento al potere, nel 1874 del Tories Disraeli, che decise di adattare la politica britannica allo stile bismarkiano.
Il primo ministro si mosse abilmente all’interno di un percorso fatto di alternanza fra azioni di forza e concessioni. Diede la priorità, in politica estera, al colonialismo (in particolare il consolidamento in India), cercando altresì, in politica interna, il consenso della base popolare non esitando a concorrere coi i liberali sul terreno delle riforme sociali. L’esperimento di conservatorismo popolare, fu però interrotto nel ‘80 a causa delle difficoltà economiche, dovute agli effetti della crisi del ’79, e ad alcune sconfitte militari nelle colonie, che permisero il ritorno di Gladstone.
Il liberale cercò di dare nuovo impulso alle riforme sociali approvando nel ’84 un allargamento del corpo elettorale. Ma ci fu minore incisività rispetto al primo mandato, soprattutto a causa della questione irlandese. L’Irlanda, divisa dal resto del paese dalla sua fedeltà al cattolicesimo, non era stata interessata dall’evoluzione economica-industriale. Già con la crisi agricola del ’73 la reazione indipendentista irlandese si fece particolarmente insistente, arrivando ad esercitar una forte pressione sul Parlamento. Per fronteggiare il problema Gladstone tentò:
- nel 1881 di attuare una riforma agraria;
- nel 1886 propose una Home Rule (autogoverno).
L’ultima proposta provocò parecchi malcontenti sia nell’opposizione che tra le fila dei liberali. Significativa fu la scissione da parte dell’ala più a sinistra del partito, capitanata da Joseph Chamberlein, che diede vita agli unionisti (coloro che erano contro l’indipendenza dell’Irlanda). La divisione interna provocò la caduta del governo Gladstone nel 1886.
Alla fine del secolo il governo fu saldamente in mano alla coalizione tra conservatori e liberali unionisti con Chamberlain ministro delle colonie.
La linea politica del nuovo esecutivo era tutta all’insegna della continuità nell’impegno colonialista e sul riformismo sociale (ma non riuscì ad essere efficace da intaccare i privilegi delle classi più agiate).
Tra il 1897-1905 furono varate:
- le leggi sulle responsabilità imprenditoriali, in materia d’infortuni sul lavoro;
- e alcune misure atte a favorire il collocamento dei disoccupati.
A mettere in crisi il governo conservatore fu il progetto di reintrodurre il protezionismo con una tariffa imperiale che sconvolgeva la tradizione liberoscambista consolidata da qualche tempo. Alle elezioni del 1906 tornarono al potere i liberali, di Loyde George con un governo che per la prima volta nella storia vedeva l’ingresso alla camera di rappresentanti laburisti.
Il nuovo esecutivo riavviò la politica riformista con ulteriori innovazioni:
- massimo orario di lavoro fissato a otto ore per i minatori;
- istituzione di uffici di collocamento;
- assicurazioni d’anzianità a carico dello Stato.
Per sopperire alle spese necessarie per le riforme e per la corsa agli armamenti si cercò d’introdurre una politica fiscale su base della progressività, che avrebbe colpito i grandi patrimoni. Il rifiuto della ratifica, col conseguente apposizione del veto della Camera dei Lord (che per tradizione non votava leggi finanziarie), scatenò un conflitto istituzionale nel 1909.
Per aggirare il problema, i liberali presentarono una proposta di legge - Parliamentary Bill - che impediva ai Lords di respingere leggi di carattere finanziario. Nel 1911 grazie all’intervento di re Giorgio V, i Lords accettarono la legge fiscale.
Il successo politico non riportò però la tranquillità nel paese. Gli elevati costi delle grandi riforme non avevano provocato alcun miglioramento elle condizioni di vita delle classi più basse; e i nazionalisti irlandesi erano stati quasi dimenticati. Nel 1911 fu proposta una nuova Home Rule che prevedeva una parziale autonomia irlandese. La soluzione scontentò sia gli unionisti, che gli abitanti dell’Ulster (a maggioranza protestante) che organizzarono un movimento armato il Sinn Fein (cioè "noi stessi") che chiedeva a sua volta l’indipendenza dall’Irlanda. Il progetto, fu approvato nel ‘14, ma non trovò applicazione per la Guerra mondiale.
46 LIBERISMO, PROTEZIONISMO E CRISI AGRARIA
Nel trentennio finale del ‘800 l’economia capitalistica subì una nuova trasformazione, così da fare parlare di Seconda Rivoluzione Industriale.
A cambiare furono soprattutto i rapporti tra la produzione e il potere statale e tra i poteri nazionali e quelli internazionali, che segnò il declino di alcune ideologie portanti del ‘800, come il declino della libera concorrenza (liberismo).
Nel ‘73 si ripresentò una nuova crisi di sovrapproduzione (Grande Depressione) che fece sentire gli effetti per un paio di decenni.
Le nuove dimensioni del mercato e la crisi dei prezzi sollecitarono nuove soluzioni. Nacquero le grandi associazioni industriali (holding) e i cartelli delle grandi imprese (monopoli) che controllavano interi settori.
Nel nuovo sistema economico giocarono un ruolo fondamentale le banche. Per non perdere competitività nell’intermediazione finanziaria gli stessi istituti di credito dovevano creare macrostrutture finendo con l’ingenerare uno stretto legame tra finanza e industria (capitalismo finanziario).
Parallelamente nacquero grandi gruppi d’interesse che aumentarono il loro peso politico rinsaldando le complicità fra imprenditori e politici.
Per favorire i gruppi d’interesse i governi innalzarono nuove tariffe doganali.
- In Germania il Bismark già nel ’79;
- In Russia nel ’81;
- In Italia nel ’87;
- In Francia nel ’92;
- gli USA che avevano sempre mantenuto le tariffe le innalzarono ulteriormente nel ‘90.
In conseguenza di ciò, la Gran Bretagna, l’unica fedele alla tradizione liberoscambista, fu doppiamente danneggiata: calò le proprie esportazioni e vide crescere le industrie straniere, cosicché Germania e USA la sorpassarono in alcuni settori strategici come chimico e elettrico. Alle perdite subite l’Inghilterra reagì con un rafforzamento dell’impegno coloniale.
Il settore nel quale la crisi del ’73 influì maggiormente fu l’agricoltura che negli ultimi anni s’era sviluppata grazie all’uso di fertilizzanti e una prima meccanizzazione. I progressi interessarono, però, solo alcuni paesi, come l’Inghilterra e la Germania. Nei paesi più arretrati gli scompensi si acuirono ulteriormente quando entrarono sul mercato i prodotti americani e russi e nel ’79 i prezzi calarono enormemente. Le nuove tensioni sociali aumentarono le ondate migratorie. I nuovi emigranti, soprattutto slavi e latini trovarono nell’America la loro meta privilegiata.
Per tentare di porre un rimedio alla crisi agraria, ciascun paese ripropose l’introduzione di tariffe doganali, in particolare per i cereali. Queste misure economiche tamponarono gli effetti della crisi ma finirono con l’accrescere gli scompensi sociali scaricandosi sulle tasche delle classi più povere, rendendo meno urgenti gli spunti organici che sarebbero stati necessari per un rinnovamento.
47 LO SVILUPPO SCIENTIFICO NELLA SECONDA METÀ DEL XIX° SECOLO
La grande rivoluzione scientifica dell’ultimo trentennio del ‘800, fu nella produzione industriale in larga scala, per usi domestici, delle invenzioni. Si stabilisce un legame inscindibile tra tecnologia e industria: scienziati diventano titolari o azionisti di grandi industrie.
I settori che maggiormente si evolsero furono l’elettrico e il chimico. Lampade a incandescenza, ascensore, motore a scoppio, pneumatici, biciclette, automobile ecc. furono inventate in questo trentennio e fecero sentire i propri effetti mutando le abitudini e i comportamenti di milioni di uomini.
Di particolare importanza gli studi sulle onde elettromagnetiche che portò:
- Hertz alle applicazioni per le macchine elettriche;
- Marconi alle applicazioni per la telegrafia;
- Ronteg alle applicazioni dei raggi X per scopi medici;
Tutti i settori produttivi furono interessati dall’ondata di rinnovamento; gli sviluppi maggiori ci furono nell’indotto dell’elettricità e nella chimica. Le nuove tecniche chimiche permisero di produrre l’acciaio a prezzi molto bassi così da consentire di passare dall’età del ferro a quella dell’acciaio. Tale cambiamento favorì lo sviluppo delle ferrovie, del settore navale, dell’utensileria, ma anche delle strutture civili dei grandi edifici e ponti.
Nel 1889 fu eretta la torre Eiffel il simbolo dell’età dell’acciaio.
Ma anche altri settori della chimica moltiplicarono considerevolmente le produzioni: carta, vetro, concimi, medicinali, saponi, esplosivi, gomme, ceramiche, ecc.
- Nel 1875 il chimico svedese Nobel depositò il brevetto della dinamite;
- Dunlop inventò il pneumatico nel 1888.
L’industria alimentare trovò il suo sviluppo nella scoperta di sistemi di conservazione ed inscatolamento e nuovi processi di refrigerazione che consentirono di limitare le situazioni di pericolo d’approvvigionamento nei periodi di carestia.
Se la prima rivoluzione industriale era basata sulla macchina a vapore e sul carbone, la seconda era incentrata sul motore a scoppio (alimentato a petrolio) e l’elettricità.
Il primo motore a scoppio fu realizzato da Klaus Otto, Daimler e Benz lo montarono su un autoveicolo (1885); nel 1897 Diesel inventò il primo motore a nafta. Lo sviluppo dell’auto, fu tuttavia piuttosto lento e solo all’inizio del ‘900 si videro macchine sul mercato.
L’elevato prezzo d’estrazione e produzione del petrolio orientò gli indirizzi energetici verso l’elettricità, che divenne l’energia del nuovo secolo. Era nota da oltre un secolo, ma le tecniche per la produzione, il trasporto e l’uso, furono perfezionate alla fine del ‘800; tra il ’60 e ’80 furono sperimentate le macchine per la generazione, l’accumulo e la distribuzione dell’energia elettrica.
Ma l’invenzione epocale fu la lampadina di Thomas Edison che rendeva le potenzialità dell’elettricità disponibili all’uomo comune. La sua commercializzazione avrebbe provocato uno sviluppo produttivo enorme ed un impatto rivoluzionario sulle abitudini di vita. Oltre agli usi civili ed industriali, l’elettricità si prestava come elemento basilare per altre importanti invenzioni innovative: il telefono, il grammofono e il cinema, invenzioni che avrebbero sconvolto i linguaggi simbolici e comunicativi.
Non meno importanti fu lo sviluppo della medicina che si basò su quattro pilastri:
Diffusione delle pratiche igieniste, con effetti sulla prevenzione delle malattie
- Sviluppo della microscopia ottica, che consentì d’individuare microrganismi causa di importanti epidemie di malattie come il colera, la peste;
- Sviluppo della farmacologia, l’isolamento di composti chimici e no, capaci d’agire sui processi fisiologici. Nel 1860 fu scoperto l’acido acetilsalicilico dal quale nascerà l’aspirina;
- Nuova ingegneria sanitaria che permise di razionalizzare i centri di cura.
La conseguenza diretta più evidente dell’impulso tecnologico fu un nuovo boom demografico, dovuto principalmente al miglioramento delle condizioni di vita e sull’allungamento delle prospettive di sopravvivenza.
48 I CARATTERI DEL COLONIALISMO E DELL’IMPERIALISMO NEL ‘800
L’imperialismo rappresenta in genere, la tendenza degli stati a proiettare all’esterno i propri interessi economici, la propria immagine e cultura. Il suo uso spesso si accompagnò all’utilizzo della forza.
Dopo una prima colonizzazione, ad inizio del ’800, operata soprattutto da privati, alla fine del secolo, la nuova ondata, assunse sempre più le forme della politica nazionalista volta alla ricerca dell’interesse politico ed economico. La ricerca delle materie prime in grandi quantità e a prezzo nullo, nonché di nuovi mercati commerciali per superare la crisi economica del ‘73. La febbre coloniale s’inserì anche in una politica globale mirante all’equilibrio fra superpotenze, cosicché il terzo mondo si trovò presto spartito in sfere d’influenza.
Spagna e Portogallo già da tempo avevano praticato un’aggressiva politica coloniale. In Inghilterra l’indirizzo si rafforzò negli anni ’70 con il governo tories di Disraeli, soprattutto per non cedere alla tentazione d’abbandonare la politica liberoscambista.
La Francia ritornò a muoversi solo alla fine del XIX° secolo.
Il colonialismo, rappresentò pertanto la risposta di alcune della grandi potenze alle nuove richieste economiche e politiche che maturarono alla fine del ‘800.
Dal punto di vista amministrativo si distinguono:
- le colonie (amministrate direttamente dagli stati occupanti);
- i protettorati (che conservavano formalmente gli ordinamenti preesistenti).
L’Inghilterra e la Francia estesero enormemente i già grandi possedimenti, ma si unirono anche realtà tradizionalmente prive di una precedente politica coloniale, come: Germania, Italia, Belgio, Olanda.
Ma la vera novità nel panorama mondiale fu giocato da: Giappone e Stati Uniti.
Accanto a motivazioni economiche si ponevano anche pregiudiziali ideologiche. L’Inghilterra, per bocca di Disraeli, si ergeva a , nazione eletta,dispensatrice della vera cultura e della vera morale. In questo modo, l’uomo bianco si arrogava il diritto di redimere le popolazioni selvagge.
Fu questo il grande periodo dei mitici esploratori:
- Livingstone che per primo raggiunse lo Zambesi;
- Burton e Speke che raggiunsero le sorgenti del Nilo;
- l’americano Stanley che raggiunse il Congo.
L’Europa esportò nel terzo mondo tecnologia ed economia; e più in generale la propria civiltà, anche se questo comportò l’uso sistematico della violenza.
Gli effetti più evidenti si verificarono soprattutto nel continente africano, il più impreparato alla colonizzazione. Se da un punto di vista strettamente economico la colonizzazione ebbe dei vantaggi (l’introduzione di nuove tecnologie, la costruzione d’infrastrutture, l’avvio di attività commerciali) da un punto di vista culturale gli effetti furono devastanti, soprattutto in quelle realtà così impreparate come nel caso del continente africano. La cultura primitiva, fu in gran parte spazzata via.
Nei paesi asiatici gli inglesi furono un po’ più tolleranti dei francesi con le culture locali e i sistemi preesistenti, ben strutturati si difesero meglio dalla contaminazione.
L’effetto indesiderato, nel lungo termine, dell’ingerenza europea nel terzo mondo, fu di creare i presupposti culturali per il risveglio dei nazionalismi locali che porteranno alle future lotte per l’indipendenza.
49GLI EUROPEI IN AFRICA. ESPANSIONISMO E SPARTIZIONI. LA GUERRA ANGLO-BOERA
La corsa alla spartizione dell’Africa incominciò negli anni ’80 e prese il via per iniziativa dei francesi, seguiti a ruota dagli inglesi ecc. Le azioni militari s’innescarono anche per spirito competitivo fra le diverse potenze coloniali. All’inizio del ‘900, tutti i territori africani erano stati colonizzati, a eccezione della Libia, Etiopia e Marocco.
Nel 1870 gli stati europei controllavano appena un decimo dell’Africa:
- i francesi: Algeria e Senegal;
- i portoghesi: Angola e Mozambico;
- gli inglesi: La colonia del Capo.
Quando gli europei si decisero a colonizzare poco era rimasto delle civiltà locali a causa delle deportazioni schiaviste e della decadenza commerciale del continente. La popolazione era di religione mussulmana, con esclusione dell’Impero Etiopico, di professione cristiana. Elementi di coesione politica erano del tutto assenti, e gl’indigeni, che vivevano in villaggi primitivi, erano dediti alla caccia e alla pastorizia.
Negli anni ’70 Tunisia ed Egitto si erano gettati in programmi di sviluppo che avevano dissestato le finanze e costretto ad aumentare i carichi fiscali ingenerando malcontenti tra le popolazioni locali. Francia e Inghilterra cercarono dapprima delle opzioni diplomatiche per salvare i paesi dalla bancarotta, quindi optarono per la guerra.
Ad innescare la corsa alla colonizzazione fu l’occupazione francese della Tunisia nel 1881 e quella inglese dell’Egitto nel 1882 (che aveva acquistato una grande importanza per l’apertura del Canale di Suez, da parte degli inglesi, nel 1869).
Ottenuto il via libera dal Bismark al congresso di Berlino nel 1878, la Francia costrinse il Bey tunisino a sottomettersi al loro protettorato. Per reazione in Egitto nacque un movimento nazionalista guidato da Arabì Pascià che provocò la risposta militare inglese. Nell’estate ’82 l’Egitto divenne una semicolonia britannica. Gli inglesi si allargarono nel Sudan, dove trovarono la resistenza di un movimento integralista islamico che li costrinse alle ostilità sino al ‘98.
Per reazione la Francia organizzò la rincorsa alla conquista dell’Africa Nera.
Il Belgio, s’era già inserito nelle operazioni quando nel 1876 occupò il Congo, ricco di giacimenti minerari.
Per evitare conflitti fra le potenze colonizzatrici, Bismark indisse una conferenza a Berlino (’84) nella quale si stabilirono norme per le occupazioni, secondo il principio dell’effettiva occupazione dei territori con l’ufficializzazione agli altri stati europei (l’occupante dichiara agli altri il possesso di…).
La Germania si vide riconosciuto il protettorato sul Togo e Camerum.
La Francia aveva il numero maggiore di territori, ma gli inglesi preferirono concentrarsi sull’africa Sudorientale, d’importanza fondamentale per il commercio con le isole dell’oceano Indiano. Partendo dalla Colonia del Capo, risalirono la costa orientale sino al Kenya e all’Uganda con l’intento di saldare i possedimenti del sud con quelli del nord. Nella zona dell’alto Nilo si verificò una situazione delicatissima tra inglesi e francesi, nel 1898 che comunque finì con un nulla di fatto militare, ma che costrinse le due nazioni a trovare nuove vie diplomatiche per evitare conflitti.
La guerra Anglo-boera.
Un caso particolare di verificò nell’africa meridionale, dove l’imperialismo europeo si scontrò con un forte nazionalismo dei primi colonizzatori locali, cioè i boeri. La situazione portò ad un conflitto fra due popoli bianchi e cristiani.
I boeri erano discendenti dei colonizzatori olandesi che nel XVII secolo avevano occupato Capo di Buona Speranza. Passati sotto la corona inglese al tempo di Napoleone, cercarono di sfuggire alla situazione fuggendo verso il Nord. In questo modo crearono le repubbliche indipendenti dell’Orange (1845) e del Transvaal (1852). La scoperta d’importanti giacimenti minerari e diamantiferi risvegliò l’interesse inglese che lasciò mano libera alla classe imprenditoriale della Colonia del Capo. Promotore di una scelta politica aggressiva fu Cecil Rhodes, padrone della British South Africa Company, che mise il suo potere economico a disposizione della corona. Mosso da interessi personali, lo stesso Rhodes, guidò l’esercito imperiale alla conquista di vasti territori così da accerchiare le due repubbliche boere. Nuove scoperte di miniere nel ‘85-’86 nel Orange e Transvaal provocò l’emigrazione di molti inglesi (uitlanders) in queste regioni, così da rendere ancora più tesi i rapporti tra le due etnie. Ad aggravare ulteriormente la situazione si verificò una vertenza sulla questione degli schiavi. I boeri, che vivevano in un sistema patriarcale, regolato da calvinismo intransigente erano favorevoli allo schiavismo sui nativi, gli inglesi no. Iniziò un’abile campagna di provocazioni contro i boeri. Quando gli uitlanders inglesi furono discriminati da alcune leggi locali, Rodhes appoggiò i compatrioti con pressioni politiche e militari, costringendo nel ‘99 il Presidente del Transvaal Kruger alla dichiarazione di guerra agli inglesi. Le sorti del conflitto, che dapprima arrise ai boeri, che opposero una grande tenacia alla superiorità numerica inglese, finì col favorire l’Inghilterra. Ma quando le due province furono annesse alle colonie inglesi nel 1902, lo spirito indipendentista dei boeri provocò forti sommovimenti e violenze civili. La tenacia con cui la popolazione boera portò avanti la protesta costrinse il governo a una rivisitazione della propria politica che portò alla concessione dello statuto di autonomia all’Orange e Transvaal. Nel 1910, nasce l’Unione Sudafricana con cui inglesi e boeri trovarono un punto di comunanza nella scelta di sfruttamento delle risorse minerarie e diamantifere pagate con una politica di segregazione razziale e di sfruttamento dei neri.
50 ESPANSIONE EUROPEA IN ASIA E OCEANIA.
In Asia gli europei avevano già radici profonde.
Gli inglesi possedevano India, Ceylon, Singapore, gli olandesi dominavano l’arcipelago indonesiano, i portoghesi controllavano Macao; la Spagna le Filippine, la Russia aveva occupato gran parte della Siberia e dell’Asia centrale; e la Francia aveva gettato le basi di un vasto impero nella penisola indocinese.
L’Indocina era frammentata in tanti staterelli (i più importanti: Vietnam, Cambogia e Thailandia) gravitanti sotto l’orbita dell’Impero cinese. La colonizzazione francese era cominciata come infiltrazione commerciale negli anni ’50, accompagnata dal missionariato cattolico. Proprio le persecuzioni ai cattolici dalle sette buddiste locali costituirono il pretesto per l’invio di forti contingenti militari. Nel 1862 i francesi occuparono la Cocincina e l’anno dopo la Cambogia. Negli anni ’80 ci fu la seconda fase dell’espansione francese. Nel 1883-85 dichiarò guerra alla Cina, dalla quale ottenne nuove territori.
Per reazione la Gran Bretagna occupò la Birmania nel ’85-’87.
Allora la Francia si assicurò il Laos nel ’93.
Il Siam rimase l’unico territorio indipendente, usato da anglo-francesi come stato cuscinetto tra i due imperi. In questo modo l’Inghilterra aveva efficacemente contrastato la Francia al Sud, ora doveva pensare alla Russia al Nord.
La Russia, colonizzava sia verso est, che verso il centro-sud. La colonizzazione della Siberia fu ultimata prima di fine secolo e promosse anche lo sviluppo infrastrutturale della regione (ricordiamo la costruzione della transiberiana 1904). Nel 1860 fu costruito il porto di Vladivostok sul Mar del Giappone (per dar sfogo al commercio in quella zona). Il governo russo, invece, ritenne opportuno rinunciare all’Alaska (troppo costosa da mantenere) che vendette nel 1867 agli Stati Uniti. L’impero russo, pericolosamente avvicinato a quello britannico, provocò una serie di guerre per procura (a nome delle tribù locali) in Turkistan e Afghanistan. Gli ultimi territori ad essere colonizzati furono gli arcipelaghi che furono spartiti soprattutto da inglesi e tedeschi. La Gran Bretagna occupò Australia e Nuova Zelanda, Fiji e Salomone e parte della Nuona Guinea. La parte rimanente spettò ai tedeschi. Intanto, però, si affacciavano sui territori due nazioni che a breve giro di posta sarebbero diventate le nuove potenze mondiali: Usa e Giappone.
51 Cina nel ‘800. Panoramica, dalle guerre dell’oppio alla rivolta dei boxers.
Già alla metà del ‘800 la Cina, lo stato più popoloso del mondo, subì la pressione commerciale-militare europea. L’impero si fondava su un forte potere centrale, rappresentato nel paese da potenti funzionari, i mandarini, custodi della tradizione confuciana. L’agricoltura, principale fonte di sostentamento, era abbastanza sviluppata e sottoposta ad un controllo centrale serrato. Per parecchi secoli l’impero cinese fu soggetto a un isolamento diplomatio-commerciale, che consentiva l’accesso solo a poche località portuali. Quest’emarginazione politica aveva profondamente indebolito l’impero cinese, così al primo scontro con l’Occidente entrò in crisi irreversibile. Il contrasto si concretò con le DUE GUERRE DELL’OPPIO:
- 1839-’41. L’oppio severamente vietato nell’impero, era prodotto in India ed esportato clandestinamente in Cina con il beneplacito della Gran Bretagna. Nel 1839, quando un funzionario imperiale fece sequestrare le navi inglesi nel porto di Canton, scoppiò una guerra che durò più di due anni. Gli inglesi vincitori col trattato di Nanchino del ‘42, occuparono Hong Kong e costrinsero la Cina ad aprire altri porti. La sconfitta militare mise in crisi l’impero; attraversato da un’ondata di scontri sociali si trovò in balia di un’ulteriore rafforzamento commerciale straniero, che portò a nuove tensioni interne.
- 1856-’60. Inglesi e francesi soffocarono un timido tentativo d’emancipazione commerciale cinese. La nuova sconfitta liberalizzò la penetrazione commerciale in tutta Cina, che acuì la crisi sociale interna tanto da culminare nella sanguinosa rivolta di Taiping (nel 1860); anch’essa sedata dagli occidentali. Furono aperte anche le vie fluviali interne agli stranieri e furono allacciati con gli stranieri “normali rapporti diplomatici”.
Alla fine del secolo la Cina dovette guardarsi anche dalla nuova potenza imperialista. Nel ‘94 il Giappone mosse guerra alla Cina per divergenze sulla Corea, stato vassallo di quest’ultima. Per l’ennesima volta l’esercito cinese fu sconfitto e al Giappone spettarono il controllo sulla Corea e l’isola di Formosa.
La situazione politica allo sbando provocò la nascita di un movimento nazionalista e xenofobo che si proponeva la restaurazione integrale delle tradizioni imperiali, che trovò il suo braccio armato in un’organizzazione paramilitare – I BOXERS – che costrinse, nel 1900, le potenze straniere (bersagliate da attentati e violenze) ad accordarsi per un intervento militare congiunto. In poche settimane la rivolta fu sedata e le truppe alleate occuparono Pechino. La situazione interna, benché restituita alla calma, mostrò agli occidentali l’impossibilità di una spartizione della Cina. La reazione naturale a questo susseguirsi poco onorevole d’insuccessi provocò un brusco moto d’orgoglio interno con la nascita di un nuovo movimento democratico che avrebbe portato alla lotta contro gli stranieri e alla modernizzazione del paese.
52 GLI STATI UNITI POTENZA MONDIALE ALLA FINE DEL ‘800
Negli ultimi anni del ‘800 gli USA subirono una grande trasformazione interna e si allargarono territorialmente in modo significativo. Favorita dallo sviluppo ferroviario, fu ultimata la colonizzazione dell’Ovest (nel 1869, fu completata la prima tratta transcontinentale, che collegava l’atlantico con il pacifico). Nel 1890 la conquista dell’Ovest poteva considerarsi terminata. Vittime principali della colonizzazione furono i pellirosse nativi, contro cui il governo federale dal ’66 al ’90 aveva proceduto con estrema decisione. Le isolate vittorie dei nativi (sconfitta del generale Custer, a Little Big Horn nel 1876, con un reparto di cavalleria sterminato dai Sioux) non impedirono la sconfitta finale. Per i pellirosse la situazione fu di essere emarginati in riserve di sempre minori dimensioni, senza mai riuscire ad integrarsi pienamente con i coloni.
Lo sviluppo dell’industri americana si concretò soprattutto nella siderurgia, nella meccanica e nel settore elettrico. Nacquero le grandi Corporation (holding industriali-finanziare che monopolizzano i settori). Per contrastare le tendenze monopolistiche fu varata una legge, la Sherman Antitrust Act (1890), che vietava gli accordi sui prezzi fra imprese dello stesso settore. L’effetto fu esattamente l’opposto di quello sperato, perché vietando gli accordi costringeva alla fusione fra le grandi imprese. Furono realizzati notevoli progressi anche nel campo dell’agricoltura che fu veramente rivoluzionata, favorita anche da un mercato interno sempre in espansione. La popolazione aumentava in modo proporzionale all’estensione territoriale e a causa delle sempre più grandi ondate migratorie dai paesi europei. Nel 1882 il governo spalancò le porte all’immigrazione alla ricerca di nuova manodopera. Nascono in questo modo le grandi metropoli dove la competizione ed il progresso procedevano affiancate. Quest’esplosione industriale provocò anche forti contraccolpi sociali, facendo nascere forti sperequazioni fra le classi sociali, con grandi scontenti fra classi. Le tensioni erano palpabili, anche tra industriali, protetti da barriere doganali, e contadini inclini al liberismo. Da questa situazione sociale nasce il Partito Populista negli anni ’90, che d’ispirazione contadina e democratica ottenne notevole ma effimero successo sino a sfiorare la vittoria alle elezioni del ’96. Sull’ondata delle agitazioni sociali, notevole sviluppo ebbero anche le associazioni operaie; nel 1886 nasce la American Federation Of Labour, una confederazione sindacale autonoma, priva d’ideologie politiche.
Nonostante tutto, né i populisti, né i sindacalisti, misero mai in dubbio la validità del regime capitalistico.
Le lotte sociali interne alla fine del ‘800 si scontrarono con un potentissimo padronato, che non mancò d’usare la forza per sedare le agitazioni.
L’imperialismo che si sviluppò in questo periodo negli USA, assunse forme più spiccatamente commerciali che militari. Nacque in questo fine ‘800 anche un movimento d’opinione, che sarà ripreso da Wilson, secondo cui gli Usa avrebbero dovuto esportare il loro modello politico-economico in tutto il mondo (Manifest Destiny). Queste idee s’innestarono sulla spinta espansionistica dello sviluppo economico provocando le prime politiche estere coloniali.
La politica imperialistica era indirizzata verso due direttici: a Sud, in America latina e Verso Ovest, nel Pacifico. Riprendendo la Dottrina Monroe, gli americani incominciarono la penetrazione economico-politica in Sudamerica. Nel 1895 l’esercito USA intervenne a Cuba in favore dei locali in rivolta contro gli Spagnoli. La guerra tra Spagna e Cuba-USA finì con la vittoria dei locali, che acquistarono l’indipendenza di nome, ma il protettorato americano rimase radicata di fatto nella loro situazione socio-economica.
Oltre al controllo dei Caraibi, gli USA si mossero con decisione anche in Asia Orientale conquistando nel ’98 le isole Hawaii.
In questo modo gli Stati Uniti diventarono una delle maggiori potenze mondiali.
fonte: http://leotardi.no-ip.com/download/ManualeStoriaContemporanea.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine del testo
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