Cultura e politica dal 1850 al 1900

 

 

 

Cultura e politica dal 1850 al 1900

 

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Cultura e politica
dal 1850 al 1900

 

Esaminiamo quali siano le principali visioni del mondo e della società presenti nel panorama culturale di fine ottocento. Occorre specificare che, tuttavia, non ci interesseremo, in questa sede, alla disamina dei momenti culturali più profondi o geniali del periodo , ma indagheremo i riferimenti culturali che guidano la vita quotidiana, soprattuto dal punto di vista politico e sociale, dell'uomo di fine ottocento.
Da questo punto di vista sono rintracciabili fondamentalmente tre grandi filoni culturali di riferimento : l'ideale borghese, l'ideale socialista, l'ideale cristiano-cattolico.

 

La borghesia

 

E' il grande modello dominante la scena della seconda metà dell'ottocento. Il grande borghese, rappresentante dell'alta-borghesia, (imprenditore, industriale, uomo d'affare), é il modello a cui si ispira tutta la società sia come ideale da seguire, sia come ideale da combattere.
Al grande borghese, che esprime in senso proprio l'ideale della borghesia, si affianca il piccolo-borghese, ovvero liberi professionisti, insegnanti, proprietari di botteghe, militari di carriera, funzionari e impiegati. La piccola borghesia imita il modello borghese. Essa é caratterizzata dal fatto di non svolgere lavori manuali, e cresce numericamente in maniera rapida in Inghilterra e in Germania in particolare.


Al contrario della grande borghesia, la piccola borghesia non ha prospettive e orizzonti internazionali, ma, conseguentemente alla limitatezza della sua attività economica, possiede una mentalità piuttosto provinciale, una cultura generalmente piuttosto limitata negli orizzonti; in una parola essa esprime un certo provincialismo. Talvolta rappresentanti della piccola borghesia vivono una situazione economica precaria.
Tuttavia il fatto di svolgere un lavoro intellettuale, di saper leggere e scrivere porta la piccola borghesia a separarsi con un certo disprezzo dal mondo operaio e contadino (analfabeta e tutto preso dal problema della sussistenza), per rivolgersi ad una imitazione, talvolta risibile, della grande borghesia. Così se i grandi borghesi hanno un'ampia servitù, il piccolo borghese possiede una donna di servizio,  se i grandi borghesi hanno sontuose ville, i piccoli borghesi aspirano ad una casa indipendente collocata fuori dai quartieri operai, se i grandi borghesi speculano in borsa, il piccolo borghese acquista i meno rischiosi titoli di stato.
Il modello di vita che sviluppa la borghesia é piuttosto rigido. Il primo valore é la rispettabilità. Linguaggio, modi, vestiario devono distinguere immediatamente un borghese da un contadino o operaio. Fa parte di questa acquisizione di rispettabilità l'arredamento della casa (quadri, mobili), il rispetto di convenzioni sociali, la frequentazione di teatri, circoli, ecc.
Il modello di vita familiare é particolarmente rigido: matrimonio tra appartenenti dello stesso ceto, spesso per motivi economici, stretta fedeltà della donna, tolleranza per il marito qualora i tradimenti siano tenuti segreti, educazione autoritaria dei figli, spesso affidati a istitutori e scuole rinomate, famiglia mononucleare  (in rapida affermazione rispetto alla famiglia patriarcale).
Assai più che in passato, alla donna sono riservate mansioni puramente domestiche; si ritiene anzi disdicevole che una donna lavori fuori casa. D'altra parte il lavoro dell'uomo si svolge prevalentemente fuori casa; abbiamo dunque una netta separazione degli ambiti di lavoro da quelli familiari.
L'alimentazione prevede una frequenza di pasti (tre al giorno), con presenza di carne e dolciumi. Soprattutto su questo punto enorme é la distanza col certo proletario; gli operai hanno a mala pena il tempo di consumare un veloce pasto tra i turni di lavoro con cibo scadente, nella più totale assenza di zuccheri e la rara presenza di carne.
Questo breve e schematico quadro della vita borghese di fine ottocento, quadro pertinente sia all'alta che alla piccola borghesia (con i dovuti raffronti), rende evidente come la società di questo periodo viva una spaccatura chiara e sempre più conscia anche da parte delle classi umili, tra borghesia e il resto della società (proletariato operaio e contadino). I ceti umili non troveranno accesso a questo stile di vita e ricercheranno altri riferimenti e altri valori.

 

Il socialismo

 

Le sconfitte del '48, segnano un periodo di crisi per tutte le forze popolari e tutti i movimenti sociali. Cartisti inglesi, socialisti francesi, repubblicani e radicali, democratici mazziniani subiscono un duro colpo dalla repressione dei governi.


Tra le cause della sconfitta occorre annoverare senza dubbio la mancanza di una unità ideologico-dottrinale e la mancanza di una omogenea situazione economica tra i vari stati. Ciò comporta una frammentazione della lotta e dell'azione di queste forze nel contesto internazionale.
Difatti la espansione dell'industrialismo non era ancora omogenea e in alcuni paesi il  proletariato non era ancora sviluppato. Esistevano già gruppi ampi di operai, ma affiancati da artigiani e contadini mezzadri. Peraltro la stessa classe proletaria, la dove era esistente, spesso non possedeva una coscienza di classe,  ovvero una cultura e una mentalità autonome e adeguate ala propria situazione sociale. Generalmente possedeva una cultura ancora di tipo contadino o piccolo-artigianale.
Sarà con l'espansione economica (ed industriale) del 1849-1857 e soprattutto con la seconda fase  dell'industrializzazione (1870-1914) che si svilupperà la classe proletaria in tutti i maggiori paesi dell'Europa avanzata. Nei proletari emergerà una più chiara coscienza di classe, una coscienza della propria peculiarità nella società, della propria situazione che é allo stesso tempo segno di inferiorità (sfruttamento) e tuttavia funzione fondamentale all’interno del sistema produttivo.
Frutto di questa maggiore coscienza di classe e dell’opera di riflessione politica di personaggi di cui tra poco parleremo, é la costituzione di una istituzione che coordini gli sforzi della lotta socialista. Nasce nel 1864 la Associazione internazionale dei lavoratori (meglio conosciuta come prima internazionale socialista). Gli statuti saranno redatti da K. Marx. In essa tuttavia nasceranno polemiche tra le forze di ispirazione marxista e quelle di ispirazione anarchica (particolarmente dure le polemiche tra i marxisti e Proudhon, e tra i marxisti e Bakunin). Essa vedrà anche la partecipazione di alcuni mazziniani, i quali però saranno presenti con una prospettiva piuttosto critica.
Un peso determinante ha in questo contesto la riflessione di Karl Marx. Noi però non tratteremo qui tale pensiero in quanto sarà affrontato analiticamente in sede filosofica.
Elenchiamo solamente i punti fondamentali (a modo di schema) del suo progetto politico:
1          la storia procede per lotta di classe (dialettica materialista = scientificità dell'analisi);
2          il sistema produttivo di mercato é imposto dalla borghesia e non é l'unico possibile;
3          il sistema produttivo di mercato implica un furto perpetrato ai danni delle classi operaie;
4          il sistema produttivo di mercato presenta elementi di inevitabile crisi;
5          tali elementi di crisi consistono nella forza necessariamente espandentesi della classe       proletaria;
6          la rivoluzione condotta dalla classe proletaria porterà ad una dittatura del proletariato;
7          la dittatura del proletariato sarà solo un necessario passaggio per giungere ad un società priva di stato, leggi e coercizioni. Ad ognuno sarà dato secondo i suoi bisogni.
Su altre posizioni si muove il pensiero di J. Proudhon, il quale é sospettoso rispetto ad ogni potere centralizzante, sia proletario che padronale. Attento soprattutto alla situazione contadina, artigianale e piccolo industriale (non conosceva i grandi complessi industriali inglesi), elabora un programma di rivoluzione politica incentrato sul progetto di costituzione di piccoli agglomerati economici frutto dalla libera associazione di comuni autonomi e di cooperative di lavoratori. Lo Stato era il primo nemico da abbattere, e l'autogoverno di queste entità autonome doveva garantire la più assoluta libertà dell'uomo. Tutto ciò andava sviluppato secondo una modalità pacifica e progressiva.
E' evidente la distanza notevole dalla prospettiva marxista; potremmo definire la prospettiva proudhoniana anarchica più che socialista. Tale differenziazione emerse fin da subito all'interno della internazionale dei lavoratori, con strascichi polemici notevoli.


Il tedesco Lassalle, con il suo attivismo, sviluppa un ampio movimento socialista in Germania.
Nel 1863 dà vita al primo partito operaio d'Europa, la Associazione generale degli operai tedeschi.
Egli puntava alla conquista, da parte del proletariato (tramite il suffragio universale), del potere statale; grazie a questa conquista del potere i socialisti (legalmente, in forza del loro potere poltiico) avrebbero poi sviluppato un ordinamento economico che lasciasse ampia possibilità a cooperative economiche di lavoratori. Dunque un socialismo di stato (attuato dalla stessa compagine statale), che si dirige verso un sistema di cooperative di lavoratori. Prudenti (per non dividere il movimento operaio tedesco) ma nette le critiche di Marx, per il quale era inefficacie dirigere la propria attenzione a cooperative di lavoratori, occorreva rivoluzionare l'intero sistema economico di mercato.
Lassalle muore nel 1864 e il movimento si divide tra coloro che (abbandonando il riferimento marxista) riterranno che si dovesse operare nell'ambito del pur ristretto parlamentarismo del governo di Bismark, e coloro (di più stretta osservanza marxista) che ritenevano si dovesse opporsi radicalmente al governo borghese. Tra questi Bebel é il leader più noto. I seguaci di Bebel sviluppano un movimento marxista in Sassonia e nella Germania meridionale. Essi entreranno nella Internazionale, mentre i lassalliani ne escono. I seguaci di Bebel inoltre fondano il Partito socialdemocratico dei lavoratori  nel 1869.
La divisione più forte all'interno dell'Internazionale sarà però tra i marxisti ed i seguaci di Bakunin. Bakunin era un nobile russo, esule, formatosi alla scuola del populismo e seguace delle teorie del Proudhon e dello Stirner.


Nel 1868 darà vita all'Alleanza internazionale socialdemocratica, detta Internazionale Anarchica, in contrapposizione a quella socialista di stampo marxista.
Bakunin propone una insurrezione violenta per distruggere lo Stato (vero nemico della libertà). Si differenziava dunque rispetto al Proudhon per quanto riguarda il metodo, (Proudhon pensava ad un pacifico movimento di riforma). Tuttavia tale metodo é assai distante anche dal marxismo. Difatti esso non si rivolge alla classe proletaria nella sua unità, ma a gruppi insurrezionali o anche a singoli, in prevalenza studenti o intellettuali, quali guide degli strati più disperati della società (braccianti agricoli, ecc.) Per quanto riguarda le finalità, si avvicina al pensiero del Proudhon, in quanto pensa ad una società di libere aggregazioni ed aborrisce una compagine statale centralizzante.
L'anarchismo di Bakunin divenne un forte concorrente del socialismo marxista, specie in quei paesi dove non esisteva un progredito sviluppo industriale e quindi mancava una agguerrita classe proletaria, unita e disciplinata. Esso faceva leva sulla disperazione scomposta e rabbiosa dei ceti che vivevano la miseria delle campagne depresse di Spagna, Italia, Russia.

 

VEDI LA COMUNE DI PARIGI  a pag.289 del manuale.

 

Dal 1875 in poi i partiti socialisti si costituiscono in diversi paesi con un programma minimale, ovvero provvisorio, valido in attesa di poter sviluppare una più precisa azione rivoluzionaria. Tale programma prevede schematicamente: maggior democrazia; migliori condizioni di lavoro e salari; garanzie assicurative per malattia, invalidità, disoccupazione; libertà di sciopero e di associazione.
Tuttavia differenziazioni si sviluppano nelle varie nazioni e, all'interno delle stesse, tra i vari movimenti. Difatti i socialisti si dovranno porre, ad esempio, il problema delle masse contadine (che sembravano essere escluse da un progetto che prevalentemente faceva leva sul proletariato industriale) e della differenziazione tra mano d'opera qualificata e mano d'opera dequalificata (una sorta di proletariato inferiore). La linea di fondo di queste divisioni, un po’ in tutti i paesi d’Europa, sarà tra una corrente di ispirazione rivoluzionaria (marxista o, talvolta, anarchica) ed una corrente di ispirazione riformista .
Vediamo ora le varie situazioni nazionali. L’Inghilterra risulterà un caso piuttosto atipico.

 

Socialismo in Inghilterra
Qui le organizzazione operaie seguono una prospettiva quasi del tutto de-politicizzata, ispirata ad uno stretto empirismo e pragmatismo. Dunque la storia del movimento operaio inglese é storia dei sindacati, più che di partiti socialisti. Ciò non toglie che da un sindacalismo nuovo e dinamico, quale quello sviluppatosi dopo la crisi del 1879, si sviluppasse il Partito laburista indipendente, (1893) capace di prospettare una riforma politica (di ispirazione estranea al marxismo), riforma che rompe l’isolamento politico delle Trade Union. Da esso nel 1906 nasce poi il Labour party, ovvero il moderno partito laburista che otterrà buoni risultati elettorali.
Il contributo dottrinale a tale partito sarà conferito soprattutto dalla società fabiana,  esistente dal 1883, costituita da un gruppo di intellettuali (G.B. Shaw, S. Webb) che porta avanti un programma riformista. Debole la presenza di sparuti gruppi di ispirazione marxista.

Socialismo in Germania
Nel 1875 nasce il Partito socialdemocratico tedesco  dalla fusione tra il movimento di Lassalle e del Partito operaio di stretta ispirazione marxista. Il programma del partito é ispirato comunque al riformismo lassalliano (programma di Gotha).
La moderazione del programma permise al partito un ampio consenso, tale da abbracciare un milione e mezzo di voti (1890), e divenire il primo partito in Germania. Un partito così forte (numericamente) non poteva rimandare un chiarimento di prospettiva. Parve allora riemergere una corrente intransigente (programma di Erfurt 1891, redatto da Kautsky), che rilanciasse le dottrine marxiste all'interno del partito. Ma nel tempo, ebbe la meglio nel dibattito interno E. Bernstein, il quale propose una revisione del marxismo, in modo da renderlo attuale a tempi che non confermavano la caduta del capitalismo prevista da Marx. In tal modo si intendeva rendere il socialismo capace di confrontarsi con il sistema parlamentare. Il revisionismo, come fu chiamata questa linea ispirata al Berstein, dunque rifiuterà parte della prospettiva marxista, indirizzando il movimento socialista verso la democrazia parlamentare. Si trattava di inserirsi nella lotta politica democratica, cercando di conquistare democraticamente il potere per sviluppare, poi, una democrazia più diretta e reale. Dunque il partito socialista, all'interno dell'ottica revisionista, opera all'interno della società borghese e non (almeno  direttamente)  per la sua distruzione.

 

Il socialismo in Francia


Dopo lo sfascio della Comune, si costituiscono gruppi di vecchi membri della Internazionale, sotto la guida di J. Guesde. Il Guesde sospinge i sindacati francesi (fino ad allora ispirati al pensiero del Proudhon) ad appoggiare il Partito dei lavoratori socialisti, costituitosi nel 1879. Questo partito tuttavia dovette soffrire dell'opposizione dei movimenti anarchici e di una divisione interna tra possibilisti, che si ponevano su di una linea simile a quella dei fabiani inglesi e dei revisionisti tedeschi, e i seguaci del Guesde, che si separò dal partito fondando nel 1882 il Partito operaio  francese.
Altre scissioni attraversarono il movimento operaio francese.
Così il sindacato, in mancanza di una forza unificante, si attestò sulla posizione che teorizzava lo sciopero generale come lo strumento più efficace, in prospettiva rivoluzionaria . Questo quanto accade all'interno della Confederazione generale del lavoro  (CGT, 1892). Accade cioè che il sindacato in Francia si autoconferisce una prospettiva politica, autonoma dai movimenti socialisti, assai vicina invece all'anarchismo. Abbiamo una vera e propria spaccatura tra sindacalismo e socialismo.
D'altra parte il socialismo francese andava gradualmente attestandosi su posizioni riformiste (malgrado l'azione del Guesde) ispirate dal Jaurès. Secondo il Jaurès il capitalismo attraversava una fase di transizione, che permetteva ai socialisti di intervenire secondo una logica di collaborazione tra le forze del proletariato e della borghesia.
Il sindacalismo nel frattempo organizza scioperi locali che sarebbero dovuti confluire nel grande sciopero generale, il quale avrebbe messo in ginocchio l'economia capitalistica.

Il contesto ci pare opportuno per mettere in evidenza la produzione letteraria di Georges Sorel (1847-1922), autore di notevole importanza per la cultura del primo novecento, in quanto influenzò notevolmente i movimenti anarcoidi, di sindacalismo rivoluzionario, di socialismo massimalista, che peraltro faranno da sfondo ideologico per la formazione del pensiero fascista di Mussolini.
Il Sorel conduce una guerra (borghese) contro la borghesia; é una figura contraddittoria ed ambivalente che sta alla base del pensiero novecentesco.
Nasce a Cherbourg il 1847, da famiglia borghese, é poi funzionario statale, finché lascerà il lavoro per dedicarsi alla sua attività di intellettuale autodidatta, e quindi aperto alle avanguardie (Bergson, Rolland, Péguy, Havely, Benda, Delesalle).
Preoccupato della dissoluzione moderna (profetizzata dall'ultimo Proudhon), egli la intende come decadenza prevalentemente morale e la riscontra nella Francia della terza repubblica, ma la ritiene esito di un ampio corso storico che va dall'intellettualismo socratico, corruttore dell'autentica eroica democrazia ateniese, all'anti-intellettualismo cristiano, il quale può fungere da forza per la democrazia autentica, che nascerà però solo sull'onda della violenza proletaria.

Intellettualismo -  individualismo - utilitarismo (il quale é sintomo di mediocrità).

Il suo moralismo é spesso deviato dal dilettantismo della sua ricerca (si ricordi l'autodidattismo della cultura del Sorel).
Visse una grande delusione per l'affare Dreyfus. Conobbe il marxismo nel 1893-4 e ne subì l'influenza.
Scrive al Croce (corrispondenza dal 1895 alla sua morte) che il suo grande problema é comprendere la "genesi storica della morale", ricerca intentata dapprima con analisi storiche e poi politico-sociali.
Il Sindacalismo rivoluzionario si configura come una guerra morale, che parte da una duplice critica: alla democrazia e al marxismo, per una democrazia ed un socialismo autentici.
Dapprima concorde con il revisionismo di Berstein, successivamente (1908), matura un rifiuto radicale del marxismo e del revisionismo, approdando al sindacalismo rivoluzionario. Tentiamo, ora, di precisare la sua posizione (e dunque di chiarire cosa è, dal punto di vista teorico, il socialismo rivoluzionario)
Egli assume la VIOLENZA ed il MITO come perno della sua teoria di genesi storica della morale, influenzato decisamente dal vitalismo anti-intellettualistico di Bergson (seguiva le sue lezioni). Questo autore lo confortava nell'idea che il reale é flusso vitale, azione, non irrigidibile in cristallizzazioni, cosa che invece accade nel marxismo (dialettica materiale), nella democrazia individualistica (le regole sociali e di mercato), nel materialismo scientista (le rigideleggi matematiche applicate al reale).
Sorel afferma che la violenza  é l'espressione di questa energia vitale nella sua originaria essenza; essa allora é la vera morale,  estranea a qualsiasi compromesso e utilitarismo; é il vero fondamento della vita sociale.
Violenza = espressione della energia vitale, al di là delle incrostazioni che la limitano e la frenano (quali compromessi, regole utilitaristiche).
Di qui nasce una FILOSOFIA DELL'AZIONE.
La forma concreta storica perché si esprima la violenza é lo sciopero generale, il quale può abbattere lo stato e la democrazia, i quali sono immorali. Esso é il nuovo mito, che può sollevare la storia dalla sua decadenza; il protagonista é il proletario.
Tale decadenza ha il suo elemento più prossimo nel razionalismo illuministico e la sollevazione da esso può essere compiuta solo da un gesto di forza, (pessimismo storico: la decadenza é naturale , la sollevazione solo forzata; - deriva dallo studio di Vico -).
Tale prospettiva é coscientemente irrazionalistica. Si pensa ad una antinomia di questo tipo: azione contro pensiero. L'azione si nutre del mito (e non del pensiero intellettuale, che come abbiamo detto è sintomo di utilitarismo e di mediocrità) che é violenza (la quale trova la sua espressione sociale nello sciopero generale). La violenza é morale vivente.
Esso può spazzar via la democrazia borghese ed il suo “figlio bastardo”: il socialismo parlamentare. Così il ciarlare dei moralisti ("il gregge belante dei moralisti") e la mediocrità dei borghesi (scienziati, giuristi, intellettuali) saranno travolti dalla rivoluzione storica nella sua purezza.
Sorel intende risvegliare il "fuoco metafisico" che dorme sotto la cenere, trovandosi compagno del Péguy (1899); ma se ne distacca quando Péguy abbraccia il messaggio sociale cristiano.
Egli vive tuttavia un dubbio che il suo pessimismo lascia senza risposta: può il genio morale riportare una vittoria storica sulla mediocrità?
La storia é dominata dalla mediocrità e la violenza si erge sulla sua necessaria decadenza in uno slancio irrazionalistico, vitalistico e violento, che é l'irrazionale originalità vitale.


Questo nostro dilungarsi sul pensiero del Sorel non faccia perdere tuttavia la descrizione generale dello sviluppo del socialismo; in Francia il partito socialista ritroverà l'unità solo nel 1905, grazie al Jaurès. L'avvento della grande guerra, poi, determinò una profonda crisi di tutti i movimenti socialisti.

 

Occorre tener presente come nel 1889 rinasca l’internazionale socialista (prenderà nome di seconda internazionale) fortemente influenzata dall’opera del Berstein.

 

Il socialismo in Italia
In Italia il Partito socialista  nasce nel 1892. Prima di esso però si sviluppa, dal 1870 circa, il movimento anarchico di Bakunin, che si sotituisce ai mazziniani nel controllo delle società operaie. Esso si sviluppa non nelle zone industrializzate, ma nelle zone di bracciantato agricolo, Romagna, Emilia, Meridione, Toscana.
Sotto la guida di Cafiero o di Malatesta, l'anarchismo (non preoccupato di costituire un movimento unitario) ispira diverse insurrezioni violente (Imola  e Bologna 1874, Benevento 1877), sempre tuttavia fallimentari.
Di qui la ripresa delle idee socialiste.
In particolare é interessante la figura di Andrea Costa, ex-capo anarchico, che si convince della necessità di un forte e unitario movimento operaio. Il Costa si presenta con successo alle elezioni del 1882 e progetta la formazione di un partito socialista.  Alcuni amici milanesi del Costa fondano nel 1882, a Milano, il Partito operaio.
Nel frattempo un esponente della democrazia radicale, Filippo Turati, si converte al socialismo; inoltre nascono le Camere del lavoro.
Vi é, come si vede, un notevole fermento.
Nel 1892 nasce il partito dei lavoratori italiani, che l'anno dopo, acquisirà il nome di Partito socialista. Il partito socialista nasce dalla fusione del partito operaio del Costa, del gruppo dei turatiani, dei gruppi anarcoidi. Il programma del partito sarà formulato dal Turati e sarà ispirato ad un certo gradualismo e riformismo, come d'altra parte la formazione dei leader del partito poteva lasciare immaginare. Affermò il Turati che era necessaria una lotta "per conquistare i poteri pubblici per trasformarli da strumenti di oppressione e di sfruttamento in uno strumento per l'espropriazione economica e politica della classe dominante".
Tuttavia la presenza di un ala rivoluzionaria all'interno del partito non venne mai a meno, e durante il periodo giolittiano emerse una forte polemica tra ala riformista e ala rivoluzionaria.

 

Il socialismo in Russia
Il socialismo marxista non ebbe inizialmente un grande seguito. Fu assai più presente invece l'anarchismo  violento ispirato a Bakunin e il movimento dei populisti,  il quale pensava all'instaurazione di un regime socialista sulla base delle istituzioni comunitarie contadine. Occorre infatti ricordare che l'economia russa era di tipo pre-capitalistico, incentrata sul villaggio rurale, che aveva una struttura fortemente comunitaria. Il mir , (così prendeva nome), era costituito da terre coltivate in comune. Di qui un'idea di socialismo elementare fondato su tale predisposizione del popolo russo ad un'economia comunitaria.
Il primo a far riferimento al marxismo sarà Plechanov, che si richiamò allo sviluppo dei primi centri industriali in alcune città russe. Plechanov fondò alcuni gruppi di ispirazione marxista. Dopo alcune attività di propaganda essi si costituirono nel Partito socialdemocratico russo, fondato nel 1898 a Minsk. I partecipanti erano solo nove delegati, che furono arrestati poco dopo. Il partito era poco più che un fantasma, ma aveva come capo Lenin, personaggio destinato ad avere un peso enorme nella storia della Russia.


 

Il Cristianesimo

 

Premessa

Dall'esperienza della Rivoluzione francese in poi, il cristianesimo si trova a fronteggiare uno spirito laico  che non é solo espressione di minoranze intellettuali, ma é vero e proprio fenomeno diffuso, teso oramai a divenire lo spirito della società intera. Questo indirizzo diviene palese alla fine dell'ottocento, per il concorrere di più aspetti. Da una parte le classi imprenditoriali si dimostrano del tutto orientate verso una logica del profitto che trova la sua base teorica non nella prospettiva etica cristiana (in particolare cattolica), ma in un generico scetticismo ed agnosticismo. La vita borghese, se continua a dare una certa importanza alla religione, la considera semplicemente come un aspetto interiore, relegato nell'intimo umano e privo di incidenza sociale.
Dall'altra parte le grandi masse operaie cominciano ad essere attratte dal movimento socialista, dichiaratamente ateo, anzi, profeta di una società dove religione e Dio non avranno più motivo di esistere. Il cristianesimo si trova dunque di fronte ad un mondo sempre più laico ed irreligioso.
La reazione a questa situazione, come vedremo, é variegata: dalla opposizione più intransigente al mondo moderno  considerato di per sé ateo, frutto del rifiuto di Dio; al tentativo di conciliazione, dove si tenta di distinguere tra le libertà democratiche e la laicità della vita sociale e politica da una parte, e dall’altra l'irreligione dell'ateismo pratico e teorico. Vediamo le principali correnti che definirono la posizione dei cristiani in questo frangente storico.

 

Il protestantesimo

L'impatto con il mondo moderno fu assai meno cruento che per il cattolicesimo, tuttavia non fu alieno da travagli e momenti di crisi. Certamente il profondo senso dell'interiorità e l'eliminazione della struttura gerarchica ecclesiale, resero il protestantesimo assai più "funzionale" alla modernità rispetto al cattolicesimo.
Grande importanza nel mondo protestante ebbero gli studi biblici, che accompagnarono una vera e propria rinascita religiosa durante l'epoca romantica .
Tuttavia tali studi biblici assunsero ben presto, sotto l'influenza di istanze neo-illuministe o di autori della sinistra hegeliana (Bauer, Strauss) un connotato di critica alle verità storiche del cristianesimo, fino a giungere alla lettura storica dei vangeli in chiave puramente mitologica, privandoli di ogni veridicità fattuale. Essi sarebbero un mito da cui non é possibile trarre alcuna verità storica. Questa é la posizione di fondo della teologia liberale  rappresentata da Harnack e Troeltsch, e divulgata dalla famosa Vita di Gesù  (1863) del francese Ernest Renan.
A fronte di questo sviluppo, vi sarà nella seconda metà dell'ottocento una reazione della teologia ortodossa e un lento dissolvimento della teologia liberale, anche per la preoccupazione nel mondo protestante di un calo palese della pratica religiosa, provocato, come si comincia ad intuire, dal clima di razionalismo ed intellettualismo che permeava anche la teologia liberale.
Ma oltre a tale dibattito culturale, occorre sottolineare l'opposizione di molte frange del protestantesimo alle forti Chiese di Stato, presenti in ambito evangelico. Così il fenomeno delle numerose sette, specie di origine calvinista e diffuse soprattutto in America (quaccheri, mormoni, metodisti, pentecostali, testimoni di Jeohva, battisti), oltre ad animare il panorama religioso contribuiscono al decadere dell'idea della Chiesa di Stato.
Tra i grandi oppositori del concetto di Chiesa di Stato troveremo, con una riflessione assai più complessa del problema che stiamo trattando, anche il filosofo S. Kierkegaard.
Notevole fu anche lo sviluppo di opere assistenziali e filantropiche in un mondo (quello industriale e sviluppato) in cui le sperequazioni sociali crescevano rapidamente Tra queste occorre ricordare: l'opera di Wilberforce (1759-1833), il quale si batte contro la schiavitù e a favore delle classi lavoratrici, e Florence Nightingale (1820-1910) che in occasione della guerra di Crimea, diede vita, grazie alla sua opera di assistenza ai feriti, alla Croce Rossa.
Sempre in questo ambito caritatevole e filantropico notiamo la nascita dell' Esercito della Salvezza , in America dal ceppo metodista attorno al 1875; esso fonda una serie numerosa di ospedali ed enti caritativi.
Altro campo di impegno saranno le missioni. Esse tuttavia spesso ebbero la malaugurata sorte di essere sfruttate dai governi quale avanguardia per la conquista coloniale, come dimostra l'opera dell'inglese David Livingstone (1813-1873), il quale fu operatore religioso e scientifico disinteressato, ma sulle cui tracce il governo inglese operò la conquista delle popolazioni dell'Africa nera. Assai più interessante in questo ambito è indubbiamente l’opera di Albert Schweitzer, medico e grande musico, che lascia la sua brillante carriera artistica, la professione e la famiglia per aiutare le popolazioni africane.


Inoltre si svilupperà in ambito protestante una chiara esigenza ecumenica onde ritrovare un ambito unitario rispetto alla frammentazione delle innumerevoli sette interne, e per costruire un cammino di riavvicinamento con la Chiesa Cattolica.

 

Il Cattolicesimo

Il cattolicesimo vive un ambivalente atteggiamento nei confronti del mondo moderno. Taluni considerano possibile una conciliazione della dogmatica cristiana con le tesi moderne; questi sono i cattolici liberali.
Altri (tra cui ampie parti della gerarchia) considerano l'opposizione tra liberalismo e cattolicesimo irrimediabile ed intrinseca; sono i cattolici intransigenti.
I cattolici liberali forti del motto di Montalambert (1810-1870) "libera chiesa in libero stato",  intendevano accettare il dibattito democratico e vincere la battaglia del cristianesimo mediante le armi del liberalismo moderno, ovvero all'interno del dibattimento politico-parlamentare. In Italia  sappiamo come la riflessione di intellettuali, quali il Rosmini, il Gioberti, lo stesso Manzoni, operarono in tal senso; sappiamo tuttavia anche che i fallimenti del '48 crearono un più profondo stacco tra la prospettiva risorgimentale-liberale e quella religiosa-cattolica, di cui il cattolicesimo liberale italiano soffrì perdendo consensi da ambo le parti (all'interno della Chiesa e all'interno delle classi moderate). Il progetto dei cattolici liberali italiani era quello della formazione di un partito moderato costituzionale non ostile al papa.
La situazione politica diede più spazio ai cattolici liberali in Francia e in Belgio, ma le polemiche furono, proprio per questa maggior forza della fazione liberale nel cattolicesimo, assai accese ed implicarono accuse reciproche e separazioni dolorose.


Interessante in Inghilterra un diffuso movimento di conversioni dall'anglicanesimo al cattolicesimo. Tra queste conversioni spicca, per la levatura intellettuale e la profondità umana, quella di Henry Newman (1809-1890), fautore peraltro di interessanti e innovative (ed insieme pienamente ortodosse) tesi sulla formulazione dei dogmi.
I cattolici intransigenti al contrario, progettavano una opposizione netta e radicale allo stato liberale, che si traduceva poi in una azione di operatività sociale, la quale doveva preparare una riconquista cattolica della società da attuarsi tramite la stampa, l'impegno nel sociale, associazioni, ecc.
Nasce perciò la rivista La Civiltà Cattolica  (1850), redatta dai Gesuiti, la quale peraltro sarà propagatrice della rinascita del tomismo (neotomismo), il quale funge da baluardo contro le correnti filosofiche moderne, che non si prestano, se non ambiguamente, ad esprimere le verità Cristiane.
Tra le obiezioni al liberalismo politico é esemplificativa l'espressione di Pio IX che sostiene: "la Chiesa non ammetterà mai come un bene o un principio che l'errore e l'eresia possano essere predicati a dei popoli cattolici."
Si comprende come l'opposizione sia radicale; lo stesso Pio IX reagirà all'unificazione italiana ed alla prospettiva politico-sociale del liberalismo (anche moderato) con l'enciclica Quanta cura  ed il Sillabo , un elenco degli errori della cultura moderna. Tra questi errori citiamo: il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, diverse tesi sul matrimonio, sull'etica civile, sulla libertà di culto.


Tuttavia vi fu chi, come il vescovo francese Dupanloup, vide in questo elenco di errori, interpretando nel contesto alcune affermazioni, una posizione comunque possibilista. Difatti l'interpretazione di Dupanloup dei documenti papali é questa: la chiesa non può accettare le tesi dei moderni se queste vengono intese come le intendono i liberali, lasciando capire che tuttavia potrebbe esservi una giusta concezione di liberalismo, libertà politica, ecc. Effettivamente occorre porre la posizione di Pio IX nel contesto storico di un aperto scontro tra Chiesa e liberalismo, dove i colpi non furono scagliati solo da parte della Chiesa ma anche da parte delle stesse forze liberali e in forma non certo discreta. In ogni caso é indubbio che l'atteggiamento di Pio IX fu di chiusura rispetto al mondo liberale, così come si andava costruendo, senza l'indicazione esplicita di elementi di effettiva riconciliazione.


La Chiesa per poter difendere la sua autonomia dagli stati nazionali tende a precisare la sua struttura gerarchica e a dare centralità ed importanza maggiore alla figura del Pontefice. Questa condizione garantiva l'unità della Chiesa ed era il presupposto per un' opera di riconquista della società mediante l'attivismo sociale di cui si parlava.
Sarà il Concilio Vaticano I (1869-70), a sanzionare tale peso preponderante del papato nella vita della Chiesa mediante l'istituzione del dogma dell'infallibilità del Papa.
Il concilio stabilì inoltre anche i principi culturali e filosofici erronei del mondo moderno e ribadì che scienza e fede, se rettamente intesi, non possono scontrarsi.
Sulla tesi della infallibilità del Papa vi fu un aspro dibattito conclusosi con l'uscita dalla Chiesa di un'esigua minoranza (tra cui tuttavia alcuni intellettuali cattolici di rilievo).
Insieme a questa opera di precisazione gerarchica della struttura della Chiesa si sviluppa un'azione di iniziativa popolare e caritatevole, in cui ha forte peso il laicato. Nasce la religiosità relativa al Sacro Cuore e al culto di Maria ; un culto cioé capace di rispondere anche alle esigenze del sentimento e del cuore (religiosità tipicamente italiana). Si sviluppa una particolare devozione verso il Santo Padre (il papa). Tale fedeltà dei cattolici al Papa si esprime sensibilmente anche attraverso l'istituzione dell'obolo di San Pietro, che supplisce alle mancate entrate dovute alla perdita del potere temporale.


Grande sviluppo presenta l'opera di missionariato e di apostolato, tra cui spiccano figure quali il Curato d'Ars e S. Giovanni Bosco.
Ma negli ultimi decenni del XIX secolo si sviluppa in maniera notevole un movimento di iniziativa che potremmo chiamare il cattolicesimo sociale.
Questo movimento implicava il superamento della mentalità caritatevole per entrare all'interno delle problematiche delle classi operaie, della libertà di associazione, del diritto di rivendicare diritti e denunciare ingiustizie.
I cattolici dal punto di vista teorico si trovano ad essere fin da subito contrari al capitalismo, in quanto é una legittimazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Questo non é altro che una conseguenza dell'errore del liberalismo. Ma  accanto a questo é criticato anche il socialismo, che con le sue teorie atee e rivoluzionarie porta al conflitto sociale, alla morte e distruzione.


A livello sempre teorico la risposta cattolica si sofferma a suggerimenti che vanno verso una società corporativa, organica, di vaga memoria medievale, secondo un'ottica solidaristica e gerarchica.
A livello concreto é interessante l'attività del laicato cattolico, che dà vita ad una serie di iniziative sociali di tutto rilievo: istituti assistenziali, società di mutuo soccorso, circoli, società operaie, cooperative di consumo, casse rurali e casse operaie, ecc.
Queste attività si coordineranno in Associazioni o Unioni Cattoliche nei vari stati europei.
L' "Opera dei circoli operai cattolici", in Francia, indicava il progetto  di costruire una società corporativa, in cui la corporazione cristiana avesse un suo peso significativo.
In senso più politicamente illuminato, il vescovo di Magonza Ketteler in La questione operaia e il cristianesimo  (1864), sostiene che occorre invece l'intervento di uno stato di stampo moderno a favore della questione operaia, ovvero quale garante di requisiti minimi di legislazione del lavoro. Questa impostazione imponeva una maggiore attenzione da parte dei cattolici rispetto alle critiche poste allo stato, che dovevano essere non generiche (condanna del liberalismo) ma più determinate e specifiche (richiesta di libertà religiosa, rinuncia all'anticlericalismo, richiesta di legislazioni sociali, di minimi salariali, del riposo festivo, ecc.).
Le riflessioni suddette, unitamente alle iniziative e alle opere di cui abbiamo parlato pongono le condizioni per la nascita di un partito politico d'ispirazione cristiana. Questo accadrà nel 1871 in Germania, dove nasce il partito del Centro.
In Italia invece l'azione sociale  (piuttosto timida) dei cattolici non permetterà di superare la posizione di scontro frontale ed intransigente nei confronti dello stato. Dal 1874 le organizzazioni cattoliche si incontrano periodicamente in congressi; nel 1875 danno vita all'Opera dei Congressi.  L'opera dei congressi fu uno spazio in cui si discusse dei problemi dei ceti popolari, delle questioni contadine, ecc., anche se prevalse  un tono ancora moralistico; tuttavia emersero personalità di tutto rilievo, quali l'economista Giuseppe Toniolo (1845-1918), Albani, Rezzara, don Cerutti. L'accusa allo Stato, sempre considerato l'usurpatore dei diritti pontifici, si colora anche di toni sociali.
Abbiamo anche iniziative internazionali, come quella dell'Unione di Friburgo, voluta dal vescovo di Ginevra Mermillod.
Il dinamismo di queste iniziative fu appoggiato e rinfocolato dall'avvento al soglio pontificio di papa Leone XIII (1878-1903), figura discussa, vista talora come pontefice moderno e precorritore dei tempi, talaltra come pontefice di stampo medievale e retrogrado.
In realtà la forza ascetica e spirituale di questo pontefice si unisce alla chiara coscienza della necessità per la Chiesa di uscire dall'isolamento in cui si é posta. Dunque senza negare il primato del pontefice ed alcuna verità dogmatica della fede, e senza negare l'erroneità delle dottrine moderne, Leone XIII si adopera per rinforzare l'azione cattolica nel sociale.
Questo spiega la sua enciclica Aeterni Patris  del 1879 dove si dichiara che il tomismo é dottrina preferenziale per la Chiesa. Nelle encicliche Quod apostolici muneris  (1878), Immortale Dei  (1885), Libertas  (1888), sostiene che la Chiesa é indifferente alla forma di governo, ribadendo tuttavia gli errori del liberalismo e del socialismo e gli errori della filosofia idealistica e positivistica.
Inoltre Leone XIII tentò una politica di riconciliazione internazionale con gli Stati. In Italia vi fu qualche speranza nel decennio 1878-1887, senza tuttavia che si ottenessero risultati concreti; in Germania vi fu attenuazione e l'annullamento della politica anticlericale del Bismark; in Francia ci si avvicinò al governo repubblicano.
Ma l'opera per cui Leone XIII é maggiormente ricordato é, indubbiamente, l'enciclica Rerum Novarum  (1891), nella quale la Chiesa per la prima volta in maniera esplicita affronta la questione sociale.
Questi i capisaldi dottrinali della Rerum Novarum:
1)  condanna del socialismo e del collettivismo;
2)  in nome del diritto naturale, difesa della proprietà privata, ma indicazione degli          obblighi sociali che essa comporta;
3)  inaccettabilità per la coscienza cristiana di alcuni meccanismi di mercato, quale la       determinazione dei salari secondo la legge della domanda e dell'offerta;
4)  indicazione dei compiti dello stato, sia come garante dei diritti per tutti, sia come       tutela della posizione sociale dei più deboli;
5)  esortazione ai cattolici di portare avanti l'attivismo sociale con associazioni miste di   operai e imprenditori.
Apparirono rivoluzionarie le posizioni relative ai doveri sociali relativi alla proprietà privata, al problema del giusto salario e l'incoraggiamento dato all'associazionismo cattolico.
Essa conferirà un grande incremento del sindacalismo cattolico soprattutto nelle campagne, meno tra gli operai.
Nasce l'idea di una Democrazia cristiana, intesa tuttavia da Leone XIII non come un partito politico, ma come "azione benefica verso il popolo"  ;  a parere del pontefice essa doveva evitare di trasporsi sul piano politico. Di opinione contraria furono esponenti illustri dell'Opera dei congressi, tra cui Romolo Murri, i quali spinsero per un'entrata dei cattolici nel dibattito politico. Proprio a causa delle polemiche che nacquero attorno a tale problema, oltre al fatto che il Murri fu accusato di eresia per alcune sue posizioni teologiche, l'Opera dei Congressi dovette chiudere.
Il rinnovamento fu presente anche a livello culturale, con una parziale accettazione di prospettive tipiche della cultura moderna (positivismo, idealismo, cultura scientifica, sociologica, psicologica), ma questo contatto portò a risultati piuttosto dubbi dal punto di vista dottrinale. Nacque una linea di pensiero che fu genericamente chiamato modernismo.  Si intende con questo termine un complesso di idee (a livello teologico, filosofico, biblico, sociale) che fa leva sull'esigenza di un radicale rinnovamento del pensiero cattolico, che si dovrebbe adeguare al pensiero moderno. Tra le tesi fatte proprie da alcuni modernisti, vi è quella della verità come in continua evoluzione e quindi perfettibile. Ciò poteva entrare in conflitto con la tesi cattolica, secondo cui la verità si è compiuta nell’incarnazione di Dio in Gesu Cristo.
Tale movimento fu condannato da Pio X con l'enciclica Pascendi  nel 1907, poiché sembrava mettere in dubbio la verità dei dogmi cristiani (storicizzandoli) e la necessità di un culto ecclesiale ed istituzionale.

 


              cosa che faremo nel corso di storia della filosofia.

              che talvolta si intrecciano e confondono, ma che nella loro struttura originaria hanno precise connotazioni distinte.

              coloro che possiedono solo la loro prole.

              Mazzini non accetta due principi in particolare: la connotazione di classe della lotta rivoluzionaria; l’interpretazione materialistica della società e della lotta di emancipazione. Egli difatti riteneva principi irrinunciabili sia l’unità del popolo al di sopra di ogni classe, sia l’identificazione dello stesso popolo con il divino.

              prenderanno poi questa denominazione: i riformisti saranno detti minimalisti,   mentre i rivoluzionari saranno detti massimalisti.  In politica con il termine massimalismo, si intende una posizione che tende a non considerare le sfumature della situazione, ma a perseguire con coerenza radicale (fino ad essere talora contro la situazione di fatto) i propri programmi politici di fondo.

              tale strumento era avversato dai marxisti che sostenevano la necessità di una precisa guida (il partito) alla testa del movimento rivoluzionario.

              quella mediocrità che Tocqueville profetizzava nel 1830 come inevitabile per quella democrazia  che rimanesse legata al solo benessere e che Sorel vede realizzata sotto i suoi occhi.

              si pensi al fatto che taluni (tra cui Hegel) vedono la nascita del mondo moderno coincidere con la predicazione di Lutero. Questo ci fa capire la sintonia di alcune linee di fondo tra modernità e protestantesimo.

              si pensi alle leggi Siccardi, alle leggi sui fraticelli, alla opposizione contro gli oratori di don Bosco, alla prospettiva teorica del mazzinianesimo, al Kulturkampf di Bismark, ecc.

            diviene uno degli elementi centrali della predicazione. E' di questi anni l'apparizione di Lourdes (1858) a cui seguirà quella di Fatima (1917). La Chiesa aveva peraltro proclamato il dogma della Immacolata Concezione nel 1854.

            definito da Del Noce come la illusione che il pensiero moderno sia occasione per realizzare, più pienamente di quanto fino ad ora sia accaduto, la filosofia cristiana. Il suo primo passo é denunciare come fasullo il legame tra cristianesimo e sapienza classica.

 

Fonte: http://xoomer.virgilio.it/epolverelli/testi/dcupol.rtf
Autore: prof. Polverelli Emanuele 

 

 

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