Le donne nella storia

 

 

 

Le donne nella storia

 

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Le donne nell’antichità


Il periodo Neolitico
La civiltà greca
La civiltà romana
La società Medievale
La caccia alle streghe
Le Beghine
Il Seicento
Il Settecento
L’ottocento
Il movimento suffragista
Il Mondo Contemporaneo.. 10

 

Il periodo Neolitico

La storia delle donne inizia in Asia, circa 12.000 anni prima della nascita di Cristo: è infatti proprio in questo momento che la "società" neolitica affida dei compiti importantissimi alle donne, tanto da poter essere quasi considerata una società a carattere matriarcale.
In questo periodo della storia le donne, con la scoperta e la pratica sempre più specializzata dell'agricoltura, divennero le principali procacciatrici di cibo e di conseguenza si trovarono anche ad esercitare il potere. Di questo ruolo fondamentale si trova traccia anche nella religione: le divinità femminili iniziarono a prendere il sopravvento su quelle maschili, evidenziando così quella sorta di alone misterioso che avvolgeva le donne, portatrici di vita come del resto la terra; inoltre la loro conoscenza della natura e dell'agricoltura era cresciuta a tal punto da farle considerare delle maghe che esercitavano servendosi di filtri ottenuti dalle erbe.   

 

La civiltà greca

Dopo aver assunto una posizione preminente nella quasi matriarcale società neolitica, la donna iniziò a perdere progressivamente il suo potere nelle successive civiltà greche e romane; a questo proposito una fonte molto importante è rappresentata dai poemi omerici, specchio della civiltà greca nei secoli tra la fine della civiltà micenea e l'VIII secolo.
Dalla lettura dell'Iliade e dell'Odissea possiamo innanzitutto venire a conoscenza di quelle caratteristiche femminili che i greci consideravano fondamentali: in primo luogo la BELLEZZA che la rende simile a una dea e fa perdonare tutto, tratto riscontrato nella figura di Elena; questa bellezza inoltre andava curata e valorizzata con un abbigliamento adatto per conquistarsi "fama gloriosa" (Odissea, VI, vv. 25-30); l'aspetto fisico però non bastava, difatti la donna greca doveva anche eccellere nei lavori domestici ma soprattutto doveva OBBEDIRE al potere maschile:
su, torna alle tue stanze e pensa alle opere tue,
telaio e fuso; e alle ancelle comanda
di badare al lavoro; all'arco penseran gli uomini
tutti, e io sopra tutti, mio qui in casa è il comando [...]

 

queste sono le parole che Telemaco rivolge alla MADRE Penelope (Odissea, XXI, vv. 350-353).

La donna quindi, nonostante avesse l'obbligo di rimanere sempre fedele, era comunque considerata un'adultera in potenza; al contrario, gli uomini potevano contare sulla compagnia di altre donne oltre, ovviamente, a quella della moglie: le CONCUBINE.

Questa situazione impari all'interno del matrimonio raggiungerà l'apice della degenerazione nella società ateniese, dove all'uomo erano concesse quattro donne:

  • la MOGLIE, per avere figli legittimi;
  • la CONCUBINA "per la cura del corpo"; tra l'altro le concubine, dal punto di vista giuridico, non erano considerate molto differenti dalle mogli in quanto anch'esse dovevano sottostare all'obbligo di fedeltà, ma soprattutto i loro figli godevano di diritti molto simili a quelli dei figli legittimi.
  • l'ETERA per il piacere;
  • la PROSTITUTA, che nella maggior parte dei casi era una donna che appena nata era stata esposta dal padre e destinata alla prostituzione da chi l'aveva raccolta.              

 
Da questo fatto è evidente come la condizione femminile dipendesse dal rapporto, stabile o occasionale, con un uomo e quindi fosse:

  • quasi inesistente dal punto di vista sociale;
  • giuridicamente regolata da una serie di norme che ne sancivano l'inferiorità e la perpetua subordinazione a un uomo (dapprima il padre, poi il marito, e in mancanza di questi un tutore)
  • le donne erano escluse anche dalla vita politica della città: ricordiamo ad esempio la città di Atene, dove erano ritenuti cittadini solamente coloro che erano in grado di difendere in armi la città.

L'età ellenistica  fu caratterizzata da un notevolissimo mutamento delle condizioni di vita delle donne che in questo periodo divennero sensibilmente più libere di partecipare alla vita sociale e videro ampliarsi anche il campo delle loro capacità giuridiche: le donne potevano ora liberamente comprare e vendere beni mobili e immobili, ipotecare i propri beni, essere istituite eredi e (anche se comunque questo succedeva ancora raramente) concludere il proprio contratto di matrimonio. Ad ogni modo sono ancora presenti alcune delle antiche situazioni di sottomissione al potere maschile, come ad esempio la legge che accordava al padre il diritto di interrompere il matrimonio della figlia, la possibilità dell'esposizione delle figlie femmine e l'analfabetismo femminile che, nonostante l'aumento della cultura delle donne, era ancora maggiore di quello maschile.
A questo punto è quindi possibile fare un piccolo bilancio delle conquiste femminili in quest'epoca. Certamente più libera delle sue antenate, la donna dell'età ellenistica può vantare anche delle rappresentanti in campo politico che, seppure in via eccezionale come accadde per la madre di Alessandro Magno (Olimpiade) e Cleopatra, parteciparono alla gestione del potere; vi furono anche alcune poetesse e donne di cultura, ma la letteratura greca rimase sempre impregnata di una forte misoginia. A differenza però della misoginia dell'età arcaica e classica, quella dell'età ellenistica è la critica di coloro che vedono progressivamente vacillare le proprie certezze e si difende traducendo gli antichi pregiudizi in una sorta di saggezza popolare in cui i luoghi comuni hanno la parte principale. In fondo questo si può vedere come un segno  del fatto che per la prima volta i greci devono fare i conti con la presenza delle donne.

 

La civiltà romana

Alcune fonti documentano che nei primi secoli successivi alla fondazione della città di Roma (753 a.C.) la religione locale onorava una figura femminile, presente in numerosi culti e conosciuta con diversi nomi: Mater Matuta, Feronia, Bona Dea, Fortuna e infine Tanaquilla.
Sulle condizioni di vita delle donne etrusche abbiamo numerosi racconti e descrizioni ad opera del greco Teopompo, che ne sottolinea la grande libertà: curavano il loro corpo, partecipavano ai banchetti insieme agli uomini, bevevano vino, e soprattutto allevavano i figli senza preoccuparsi di sapere chi ne fosse il padre.
Le donne etrusche godevano di una notevole libertà di movimento e di un certo prestigio: non più analfabete ma, anzi, colte, vivevano così con grande dignità e libertà un ruolo che però era sempre esercitato a livello familiare.
Anche i severi censori romani erano sgomenti davanti al fatto che le mogli degli aristocratici etruschi partecipassero tranquillamente ai banchetti standosene sdraiate sui letti del triclinio accanto ai loro mariti, spesso acconciate con bionde parrucche. Erano, questi, comportamenti da cortigiane, e nessuna seria matrona romana si sarebbe mai permessa simili libertà. Quando i Romani estesero il loro dominio sulle città etrusche imposero nuovi modelli di comportamento anche alle donne, che i sarcofaghi dell'epoca ci mostrano compostamente sedute ai piedi del letto su cui è disteso il marito.
Quindi la società etrusca non sembra essere matriarcale.... pertanto anche se in alcune fonti greche compare la parola "ginecocrazia",  questa è da intendersi con il significato di matrilinearità e cioè discendenza in linea materna. Un dato molto significativo è rappresentato dall'abitudine, riscontrata nelle iscrizioni tombali, di indicare anche il nome della madre dopo quello del padre: "Larth, figlio di Arruns Pleco e di Ramtha Apatrui". Queste tradizioni onomastiche sopravvissero in Etruria pure dopo la romanizzazione; anche le iscrizioni in latino continuano a rispettare l'antica regola: "Lucius Gellius, figlio di Caio, nato da Senia", oppure "Vibia figlia di Vibius Marsus, nata da Laelia", in questi casi però il "figlio di" è seguito dal nome del padre, mentre "nata da" suggerisce una forma "d'uso" della madre come fattrice. Forse lo status femminile stava ormai offuscandosi.
Nella Roma arcaica il modello femminile era rappresentato da donne come Claudia e Turia, sulle cui lapidi sono incise lodi che ne esaltano la bellezza, la fedeltà e il senso di sottomissione al marito: la donna doveva infatti essere lanifica, pia, pudica, casta e domiseda. Tuttavia, alcune donne si dedicavano alle arti e alla letteratura o comunque proponevano un'immagine femminile diversa da quella tradizionale; queste donne facevano una scelta che la coscienza sociale non accettava: la donna diversa era considerata degenerazione, corruzione e pericolo, come possiamo vedere dalla dura repressione dei culti bacchici che furono stroncati nel 186 a.C.. 
Il modello era sempre quello della matrona univira, moglie e madre, che nell'adempimento dei suoi doveri familiari dimenticava se stessa o, meglio, che in questi si realizzava (come Cornelia, madre dei Gracchi) e per sé non chiedeva come ricompensa che la consapevolezza di aver contribuito alla grandezza di Roma.
La donna romana non era segregata, come la donna greca, anzi, i romani consideravano onorevole per una donna, un comportamento che i greci non le avrebbero mai consentito: non pensavano che essa dovesse vivere rinchiusa in apposite zone della casa, che non potesse banchettare con gli uomini o uscire liberamente nelle strade.
La donna romana insomma non era legata, come la donna greca, a una funzione puramente biologica ma era anche strumento fondamentale di trasmissione di una cultura, il cui perpetuarsi era in misura non trascurabile affidato al suo contributo visto che a differenza di quelle greche, esse educavano personalmente i loro figli. Toccava infatti a loro prepararli a divenire cives romani, con tutto l'orgoglio che questo comportava. E, se lo facevano, erano ricompensate dal tributo di un onore che alla donna greca non veniva mai tributato.
Forse la liberalità dei romani verso le loro donne non è del tutto casuale. Dati i loro compiti, esse dovevano essere in qualche modo partecipi della vita degli uomini per assimilarne i valori e diventarne le più fedeli trasmettitrici.
Tipici documenti della vita sociale romana sono i ritratti e i rilievi funerari nei quali i due coniugi sono rappresentati l'uno accanto all'altro, in una condizione di reciproco rispetto e di assoluta parità. Ai pasti familiari, la moglie sedeva a tavola con il marito: ma per l'uomo si trattava di sdraiarsi sopra il letto tricliniare, mentre invece la donna, forse per il fatto che doveva contemporaneamente badare a nutrire i figli, veniva rappresentata seduta su una poltrona a braccioli, a fianco del letto su cui il marito era sdraiato.
Nessuna limitazione era posta alla libertà di movimento delle donne: uscivano da sole, frequentavano i negozi e le terme; non vivevano come la donna attica del V secolo, le cui uscite di casa non erano frequenti e dovevano avere una giustificazione, ma piuttosto come la donna greca dell'età ellenistica.
Nell'ultimo secolo della repubblica la condizione delle donne andò progressivamente migliorando giungendo al punto che, pur essendo escluse dalla vita pubblica, avevano attraverso la vita domestica un'influenza sempre più grande negli affari di stato.
Negli ultimi mesi del 63 a.C. la vita politica romana fu sconvolta da un grosso scandalo: si scoprì infatti, grazie a una serie di denunce e di delazioni e soprattutto all'incredibile ingenuità dei protagonisti, che attorno a Lucio Sergio Catilina, ambizioso discendente di una famiglia di antica nobiltà, si era raccolto un piccolo gruppo tutt'altro che omogeneo con l'intento di dar vita a un colpo di stato violento. L'opera che narra in modo più completo e diffuso la congiura di Catilina è il Bellum Catilinae chiamato più spesso De coniuratione Catilinae, scritto da Sallustio intorno al 40 a.C.
Una delle cause fondamentali della crisi di Roma sarebbe stata quella della diminuzione della natalità che sarebbe stata determinata dal rifiuto delle donne di assumersi i pesi e le conseguenze della maternità.
Sempre più avide di piaceri e di lusso, le donne avrebbero determinato uno squilibrio insanabile nella bilancia dei pagamenti. Le sete di cui esse si vestivano dovevano essere importate dalla Cina, i profumi dall'Arabia, i gioielli dall'Oriente...  . Come già Tiberio aveva denunciato, la follia delle donne aveva fatto sì che, mentre i romani si impoverivano, i loro nemici si arricchissero. Possiamo trovare testimonianza sull'opinione negativa che in questo periodo serpeggiava nei confronti delle donne negli Epigrammata di Marziale e, qualche decina di anni dopo, in Giovenale.
Ma nessuna delle colpe imputate alle donne è stata sufficiente a spiegare le ragioni di un crollo dovuto a ben più complessi motivi economici, finanziari e militari. La diminuzione delle nascite fu certamente una delle cause che determinarono l'ingresso di nuovi ceti ai diversi livelli del potere e fu dovuta appunto a una scelta femminile. 
La crisi demografica colpì non solo le città ma anche le campagne, dove i contadini non erano più in grado di sostenere l'onere dei tributi. Fra le classi alte, inoltre, il calo della natalità fu solo in parte voluto. Molte donne che avrebbero avuto tutto l'interesse a farlo non ebbero figli: le mogli degli imperatori, ad esempio. Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone morirono senza lasciare discendenti. Nerva, Traiano, Adriano e Antonino, per assicurare la continuità dinastica, furono costretti ad adottare dei figli.
Di fronte alle donne emancipate, che rifiutavano la maternità come scelta di vita, quante furono costrette a rinunciarci per ragioni economiche o furono vittime di una situazione né voluta né desiderata? Quanto all'amore del lusso, poi, quanti uomini amavano gli agi e le ricchezze non meno delle loro donne?
Mi sono soffermata sull'argomento per rilevare una circostanza molto significativa: l'atteggiamento di chi, di fronte alla crisi di un sistema politico ed economico creato nel bene e nel male dagli uomini, ha creduto di poter individuare tra le sue cause le scelte e le debolezze di una minoranza di donne.
Nei secoli successivi al crollo dell'Impero Romano d'Occidente la condizione delle donne andò inesorabilmente peggiorando. I secoli dell'emancipazione erano lontanissimi. L'inversione di tendenza, determinatasi in concomitanza con la crisi dell'impero, aveva proseguito inevitabilmente il suo corso. Di nuovo, le donne erano state richiuse nei confini di un ruolo al quale, per un breve momento, avevano creduto di poter sfuggire. La famiglia, la casa, la maternità erano tornati a essere l'unico orizzonte della loro vita. L'unica alternativa era il convento.

 

La società Medievale

Fisicamente deboli, moralmente fragili, le donne erano considerate nel Medioevo creature da proteggere dagli altri, ma anche da se stesse. Esse erano sempre state sottoposte alla sorveglianza e alla guida degli uomini del loro "ordine". Quindi a tutti i livelli della società la donna disponeva di una libertà di spostamento e di azione molto ridotta rispetto a quella maschile. Il compito principale assegnato loro, di qualsiasi ceto o condizione fossero, era quello di prendersi cura della famiglia a cui appartenevano o presso cui prestavano servizio, e di vegliare sui beni del gruppo familiare. Dall'alto Medioevo in  poi, le bambine venivano educate già dall'età di sette-otto anni quando, separate dai bambini, iniziavano la loro vita di apprendimento stando intorno alla loro madre: la signora del castello. Quest'ultima insegnava alle figlie come usare il telaio e l'ago. Infatti il campo artigianale tessile è rimasto per tutto il Medioevo di competenza femminile. Si lavorava in casa per uso familiare ma anche come lavoro retribuito nei laboratori dei villaggi. Il matrimonio nella società medievale aveva funzione procreativa che nei ceti elevati era affiancata dalla trasmissione del patrimonio familiare, e questo implicava trattative complesse e prudenti. L'integrazione della donna alla casa dell'unico uomo che avesse il diritto di fecondarla arrivava talvolta fino a cambiare il suo nome personale. L'aspetto più importante del suo ruolo nella casa era partorire dei buoni eredi che potessero essere degni della trasmissione del patrimonio degli avi. I figli erano quindi la conseguenza più importante del matrimonio e rappresentavano la fusione del sangue delle due famiglie. I nomi a loro assegnati erano quelli di entrambi i rami.
Nel basso Medioevo, invece, la situazione migliorò. Anche se le giovani ragazze dai quindici anni in su sposavano signori dai sessant'anni in poi, traevano da questa situazione il loro vantaggio. Da parte dei mariti si evidenziava una sorta di protezionismo paterno, e questi si preoccupavano di insegnare loro come dovevano comportarsi. Erano particolarmente indulgenti lasciando coltivare alle mogli i propri interessi e assecondandole nella richiesta di istruzione. 
Nei confronti del marito, in seguito all'insegnamento:  "... le donne a cui Dio ha dato una coscienza e che sono ragionevoli debbono avere un perfetto e riverente amore per i loro mariti...", 
dovevano essere sempre premurose sia a letto che a tavola, a volte nascondendo un cuore triste. Mostrare pazienza era una qualità essenziale e per tale motivo non dovevano mai lamentarsi, tenendosi stretto il marito e riportandolo a sé se questo evadeva dal rapporto coniugale. 
Anche la contadina dei feudi gestiva la sua casa ma direttamente, innanzitutto versando i tributi e poi tenendola in ordine e pulita. Accudiva i figli in quanto il marito stava tutto il giorno nei campi del MANSO dove ogni tanto andava ad aiutarlo, curandosi del pollaio e di tosare le pecore. Esisteva inoltre un laboratorio separato da quello degli uomini dove, insieme alle altre contadine e serve, svolgeva i lavori assegnati. 

 

La caccia alle streghe

Nel corso del XII secolo, accanto ai monasteri maschili ebbero ampia diffusione anche quelli femminili. Ma verso la fine del secolo, la religiosità delle donne cominciò ad esprimersi al di fuori di qualsiasi regola, trovandosi immediatamente esposta all'accusa di eresia. 
All'assurdo massacro degli eretici si deve aggiungere un'altra categoria, duramente perseguitata dalla Chiesa: le streghe.
Il Terrore iniziò con papa Gregorio IX il quale decretò che gli eretici dovevano essere consegnati al braccio clericale ai fini dell'esecuzione della pena. Centinaia di morti torturati e bruciati testimoniano la follia dell'Inquisizione. Alle cerimonie stregonesche la Chiesa oppose sue personali forme di magia (riprese dalle Antiche Religioni)come acqua santa, candele benedette, campane, medaglie, rosari, reliquie, esorcismi e sacramenti ma nonostante tutte queste armi "divine" più torturava, bruciava ed uccideva, più c'erano streghe, maghi e fattucchiere. In letteratura vengono riportati casi di località nelle quali il numero delle streghe superava del doppio quello delle persone "normali". Interi paesi vennero spopolati (a Triora, la Salem italiana vennero bruciate 400 donne) bruciandone gli abitanti. 
Su incoraggiamento del papa Innocenzo VIII Heinrich Kramer e Jakob Sprenger pubblicarono nel 1486 il Malleus Maleficarum. Quest'opera raccoglieva tutte le credenze e superstizioni popolari che spesso mischiava con la dottrina della Chiesa. Questo libro dava anche direttive su come svolgere i processi e le torture ed è indicativo dei pensieri morbosi, specialmente verso le donne, a quel tempo:
"...Che cosa e' la donna se non un nemico dell'amicizia, una inevitabile punizione, un male necessario, una tentazione naturale?"
Grande fu la fama di questo libro tanto che fu tradotto in francese, inglese tedesco e italiano e in tutti i paesi infiammava l'animo della comunità con il monito biblico del versetto 22,17 dell'Esodo: 
" Non lascerai vivere la maga".  
La caccia alle streghe iniziò nel '400, si intensificò nella seconda metà del '500 e declinò a  partire dalla fine del '600. La maggior parte delle condanne per stregoneria fu la conseguenza di processi condotti in modo legale. L'ultimo processo per stregoneria in Inghilterra risale al 1712. La giuria giudicò l'imputata, Jane Wenham, colpevole e la condannò a morte, una sentenza che poi fu annullata grazie agli sforzi del giudice che aveva tentato invano di convincere la giuria a scagionare la prigioniera. 

 

Le Beghine

Le donne che vivevano sole o in comunità, conducendo un'esistenza povera e casta, furono chiamate con un nome che era usato per i Catari della Francia meridionale: quello di Beghine. Il movimento delle Beghine si sviluppò come una nuova forma di vita religiosa e cercò la protezione della curia. Il Medioevo è un periodo nel quale l'esperienza religiosa e i testi sacri sono il tessuto della vita comune. Le donne del tempo sicuramente si confrontarono con un famoso passo del Vangelo che presenta la figura di Marta e quella della sorella Maria al cospetto di Cristo. 
I testi medievali ci tramandano tre figure di donne, che ci permettono di riflettere su questa doppia via: Trotula De Ruggiero, Ildegarda di Bingen e Margherita Porete.
Con il movimento religioso del tempo, quello femminile aveva una meta in comune: vivere cristianamente, secondo i principi del Vangelo, che si intendeva realizzare mediante la povertà e la castità. Spesso è stato detto che questo movimento religioso femminile del XIII secolo si può spiegare con la situazione economica e sociale delle donne appartenenti ai ceti più bassi della popolazione, ma esse non si erano fatte monache per trovare fonti di sostentamento. Molte donne avevano rifiutato la ricchezza dei loro genitori e il matrimonio con ricchi e nobili signori per vivere in povertà con il lavoro delle proprie mani, mangiando e vestendo poveramente, dedicandosi alle proprie aspirazioni religiose. Molte donne si separavano dal proprio marito per andare a far parte di comunità di Beghine o, più tardi, di Conventi di Domenicane, ai quali fecero capo le comunità delle Beghine, soprattutto nella Germania meridionale.  

 

Il Seicento

Quando nel tempo storico avvengono profonde mutazioni nei costumi, un segnale di queste trasformazioni è il cambiamento dei rapporti tra donne e uomini. Una storia scritta dalle donne non può corrispondere alla storia scritta dagli uomini: le donne hanno molto più a cuore i rapporti, che le legano agli uomini, e ne segnalano per questo le trasformazioni. Occorre cercare un altro modo di vivere in comune. Invece, nei periodi solidi, lenti, dove le abitudini sembrano inamovibili, la spartizione storica tra donne e uomini, che ha preso una forma stabile, rimane inamovibile e così finisce per scomparire allo sguardo. Diventa invisibile, tanto finisce per far parte della vita di ogni giorno, che si ripete sempre uguale. Si potrebbe chiedere: ma perché le donne hanno accettato di vivere in consuetudini, che sembrano a noi così svantaggiose? Anche di fronte alle costrizioni più dure, c'è sempre la possibilità di trovare delle vie alternative. 
L'arco di tempo che va dal 1600 al 1700 in Europa, e in modo particolare in Francia, è stato un periodo di trasformazione delle consuetudini, che regolano i rapporti tra le donne e gli uomini. 
Il mettere al mondo dei figli, il matrimonio, il divorzio, le amicizie, l'educazione: tutto è stato risignificato dalle dame dei salotti francesi del tempo. Hanno messo a soqquadro quel che fino ad allora si era fatto senza pensiero. Che si era fatto così, per abitudine. Senza fermarsi a capire.  
Le dame dei salotti francesi soprattutto del '600, ma anche del '700, hanno avuto la capacità di dire quali dovessero essere i costumi quotidiani non solo delle donne, ma anche degli uomini. Hanno preso la parola con grande sicurezza su tutte le questioni che riguardavano i rapporti sociali tra donne e uomini. Hanno influenzato indirettamente la vita politica, proprio perché hanno avuto molto ascolto presso gli uomini loro amici. 
Naturalmente le signore dell'aristocrazia avevano aperto già in precedenza i loro salotti a incontri e a feste, ma da questo momento alcune signore lo fecero con un intento diverso. Le feste, gli incontri, le cene non ebbero più come scopo quello di chiacchierare e divertirsi, ma quello di incontrarsi - donne e uomini - per ragionare sulla morale, sulla verità, sulle abitudini di vita femminili e maschili, mantenendo, tuttavia, il senso del piacere dell'avvenimento. 
Sono state poi proprio le dame famose per i loro salotti a scrivere i libri che più hanno circolato e più sono stati letti nella loro epoca. 
I palazzi (Hôtels) dove aprivano i loro salotti (Salons) erano costruiti in modo tale che l'ala abitata dalla signora fosse in genere del tutto autonoma e separata dall'ala abitata dal signore, di modo che l'autorità della padrona di casa nel suo salotto fosse indiscussa e non incrinata dalla presenza del padrone di casa.
Più che in altri periodi storici, la cultura femminile di questo periodo non è concentrata in pochi nomi, portatori di un pensiero autonomo e innovativo ma al contrario sostenuta da molte donne che guidano i salotti, si incontrano in essi, discutono di cosa sia il modello di vita per una dama e per un gentiluomo e anche, tra l'altro, scrivono. E scrivono molto.
Possiamo pensare ai testi di Mademoiselle de Scudéry o quelli di Madame de La Fayette, ad esempio. Con queste nuove forme di incontri, di ragionamenti e di scrittura le dame dei salotti seppero riformare il senso del vivere comune e i rapporti tra le donne e gli uomini. Contribuirono così alla creazione di un tessuto vasto e fitto di discorsi, di scritti, di breviari e piccolo manuali perché il comportamento avesse una civiltà nei costumi. Le dame scrissero e discussero che cosa significasse l'amore tra un uomo e una donna, come l'uomo avesse da seguire tutta una trafila di attese e di prove di fedeltà per conquistare l'amore di una donna. Era da loro preso a modello l'amore del cavaliere medievale per la sua signora. Le dame dei salotti del '600 ripensarono e imposero un nuovo patto di convivenza tra le donne e gli uomini. 
Dall'ambiente dei salotti nacque un movimento, che divenne una moda culturale, uno stile di vita e una precisa posizione di pensiero e di politica: la Preziosità, e le donne che ne fecero parte vennero chiamate le Preziose. Anche le Preziose affermarono l'importanza di un amore che con un uomo intrecciasse soprattutto un  legame di intesa intellettuale. Ribadirono che l'uomo doveva conquistare la donna con pazienza e fedeltà. Negli scritti più radicali sostennero - ma non tutte - che questo amore doveva bandire ogni rapporto carnale. Questa loro posizione le portò a rifiutare il matrimonio come una istituzione inutile, oppure a ripensarlo come una forma di vita che poteva essere scelta nel periodo in cui il legame di intesa spirituale con un uomo era effettivo, per poi abbandonarlo e scegliere un'altra forma di esistenza. Alcune di loro sostennero la necessità del divorzio, altre non difesero questa necessità dato che per loro il matrimonio stesso era inutile. Discussero molto su che significato avesse per le loro vite il mettere al mondo dei bambini, si occuparono di quando metterli al mondo; proposero di purificare il linguaggio parlato e quello scritto per renderlo meno volgare, più in sintonia con il gusto, i modi gentili, arguti e civili, per distanziarsi così dal linguaggio maschile della traduzione, sentito come troppo pesante. La loro riforma del linguaggio ebbe molta influenza nella cultura del tempo.  

 

Il Settecento

Anche nel Settecento le signore dell'aristocrazia aprirono i loro salotti per discussioni colte. Ne era cambiata però l'atmosfera. I principali invitati nei salotti erano filosofi illuministi come Voltaire, Rousseau e Diderot. Le conversazioni si trasformarono: da temi quali il rapporto tra donna e uomo e le forme del vivere civile, l'attenzione si spostò su temi di scienza e di filosofia. Alcune delle signore più importanti del tempo, come Madame De Châtelet, si interessarono di scienza. Molte altre, come Madame d'Epinay e Madame du Deffand, entrarono nelle polemiche filosofiche più accese a fianco dei filosofi loro amici. In questo modo esse partecipavano con molta intensità alle discussioni del tempo. Vennero chiamate infatti le donne filosofe. Ma gli argomenti da discutere erano soprattutto quelli che interessavano i loro amici filosofi. In questo modo persero quell'autorità che le signore del 600 avevano, quando erano loro a decidere i temi da considerare e l'andamento della discussione. Non furono più le protagoniste né di una riforma dei costumi né di una forma di alleanza tra donne e uomini da loro dettata. Erano i filosofi e non le dame-filosofe a decidere infatti i temi da discutere. Le donne si erano fatte da parte quanto a capacità di orientare i discorsi, per confrontarsi invece appassionatamente con gli amici filosofi e sui loro testi. L'idea che ci fosse un'unica Ragione, e che di questa partecipassero sia donne che uomini, favorì questo rinunciare delle dame a guidare le discussioni nei loro salotti e le portò a impegnarsi soltanto sul piano dei ragionamenti sullo stesso livello degli uomini. Anche le dame del 600 avevano come riferimento principale la ragione ma non per questo avevano rinunciato a pensare che le donne potessero insegnare agli uomini qualche cosa di valore.Più figlia delle dame del 700 che di quelle del 600 fu dunque Olympe de Gouges, che scrisse nel 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Si trattava di chiedere dei diritti, che erano negati, di modo che le donne potessero diventare delle cittadine sotto ogni aspetto. Essere dunque cittadine a pari titolo degli uomini. Olympe dedicò la Dichiarazione a Maria Antonietta, regina di Francia, sostenendo che la regina era una donna oppressa come le altre.

 

L’ottocento

Durante il primo quindicennio del secolo era maturata in Germania una nuova cultura, il Romanticismo, che aveva le sue radici già nel pensiero di alcuni filosofi e letterati tedeschi degli ultimi anni del '700. 
Il Romanticismo nasce in opposizione ai motivi più astratti dell'ideologia illuministica, della quale, però, conserva e approfondisce quelli più validi. L'Illuminismo aveva esaltato la ragione come facoltà sovrana, aveva rifiutato le religioni tradizionali, sostituendo ad esse un vago deismo o una concezione materialistica della realtà. Il Romanticismo è, invece, pervaso da un'ansia religiosa che,  o si concreta nel ritorno alle fedi tradizionali o sfocia nell'immanentismo, cioè in una religione dell'umanità fondata sul culto dei valori spirituali più alti. Nasce così un concetto più organico della vita dello spirito, sentita come il mezzo che ci pone in contatto più immediato con l'Assoluto, ciò che i Romantici chiamano l'Infinito.
In questo periodo un articolo di Madame de Staël (Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni), l'entusiastica diffonditrice del Romanticismo tedesco nei paesi latini, fu l'occasione per uno scontro tra classicisti e romantici. La Staël sosteneva che i letterati italiani dovevano abbandonare la vuota imitazione dei classici e l'idea orgogliosa, ma falsa, di un proprio primato letterario ed entrare in colloquio vero con le nazioni moderne. I classici insorsero accusando la Staël di voler togliere all'Italia l'unica gloria che ancora le rimaneva, quella delle lettere. I Romantici, invece, difesero la Staël perché sentivano che amare la patria significava, in quel momento, riconoscere lucidamente la decadenza e le sue cause, per sforzarsi di superarle. Furono insomma i propugnatori del Risorgimento nazionale: vollero essere guida di una nazione rinnovata da una cultura patriottica, liberale e democratica. La nostra letteratura romantica risorgimentale non raggiunse risultati artistici veramente notevoli, ad eccezione di Foscolo, Leopardi e Manzoni.    
Manzoni, con i Promessi Sposi, offrì un esempio altissimo di letteratura moderna e popolare, sia nel contenuto sia nello stile. Il Manzoni fu considerato il caposcuola del nostro Romanticismo. Anche in Francia si diffuse il romanzo di critica storica e sociale che ebbe come maggiori esponenti Flaubert, De Musset, Stendhal e Murget. Tra gli scrittori francesi di questo periodo, un altro degno di nota è Baudelaire, il poeta maledetto. Fra le donne emerse la figura di Aurore Dupin, scrittrice del movimento romantico, che scandalizzò la società parigina per la vita anticonformista e le relazioni amorose: sfidò la società benpensante portando abiti maschili, scegliendosi lo pseudonimo maschile di George Sand, lanciandosi in amori passionali e sposando la causa dei più deboli ed emarginati.
Dopo alcuni decenni, attorno al 1870, prese forma un nuovo movimento artistico in contrapposizione al Romanticismo: l'Impressionismo. A scandalizzare il pubblico e la critica fu la mancanza di idealizzazione con cui Edouard Manet presentò il nudo in Olympia; la figura della donna viene esaltata in molti quadri di pittori come Renoir, Monet e Degas. 
Le nuove istanze positivistiche e realistiche della nostra cultura vennero portate alle conseguenze più rigorose dal Verismo. Il suo fine era una letteratura che fosse strumento di conoscenza e diffusione del vero. Dietro l'impassibilità dei veristi c'era uno stato d'animo di disperazione e di pessimismo che rivelava tuttavia l'urgente necessità di risolvere i problemi di fondo della società italiana. Il nostro Verismo ebbe come principali rappresentanti degli scrittori meridionali. Il maggio teorico fu il catanese Luigi Capuana, seguito da Giovanni Verga, e da una donna: la napoletana Matilde Serao. 
Dall'esperienza naturalistica e psicologica del Verismo presero le mosse altri scrittori, che la svolsero, però secondo nuove forme di sensibilità ormai decisamente antipositivistiche e ispirate in misura diversa al decadentismo: basti ricordare D'Annunzio, Pirandello e Svevo.
Della fase iniziale del Decadentismo, ricordiamo in primo luogo l'Estetismo (rappresentato, ad esempio, dal D'Annunzio e da Oscar Wilde) che deriva direttamente dalla già esposta concezione della poesia. 
Una delle manifestazioni più significative della spinta verso la democrazia fu il movimento per l'emancipazione femminile. Sebbene la questione fosse stata affrontata fin dal tempo della Rivoluzione francese e si fosse via via ripresentata nei momenti di crisi rivoluzionaria, la legislazione civile e gli istituti politici avevano mantenuto in tutto il corso dell'Ottocento la disuguaglianza dei diritti tra i due sessi, ribadita ed aggravata dall'atteggiamento della mentalità comune e dal costume. 
Il movimento per i diritti delle donne, detto anche "Movimento femminista", si affermò per la prima volta in Europa nel tardo XVIII secolo, e dopo importanti conquiste ottenute a cavallo del XIX e XX secolo passò momenti di difficoltà fino a rifiorire durante gli anni '60 del Novecento. Si sostenne allora, che la subordinazione delle singole donne era espressione diretta di una generale oppressione politica contro il genere femminile. Le tre direzioni di riflessione e di impegno del femminismo sono state: la ricerca della solidarietà e la presa di coscienza dell'identità di genere, al fine di consolidare le posizioni politiche e sociali delle donne; le campagne di sensibilizzazione a favore dell'aborto, dell'eguaglianza di trattamento economico, dell'eguale responsabilità nella cura dei figli e contro la violenza domestica; il fiorire delle discipline accademiche che raccolsero intorno all'area dei cosiddetti "women's studies" (studi delle donne o di genere) e che fornirono argomenti teorici e dati empirici a sostegno delle tesi del movimento. 
L'Illuminismo e la rivoluzione industriale contribuirono a creare in Europa un clima favorevole allo sviluppo del femminismo, sull'onda dell'influenza dei movimenti riformatori a cavallo tra XVIII e XIX secolo. In Francia, durante la rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle donne invocarono l'estensione universale dei diritti di libertà, uguaglianza e fraternità, senza preclusioni di sesso. In quegli anni Mary Wollstonecraft scrisse in Gran Bretagna la prima opera femminista, intitolata Rivendicazione dei diritti delle donne (1792), in cui denunciò la forte discriminazione della società di quel tempo, richiedendo l'uguaglianza tra i generi. Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni sociali, il primo passo verso l'indipendenza, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti. Nello stesso periodo, le donne di classe di media e alta furono invece relegate al ruolo di "angeli del focolare". Mentre nei paesi di religione cattolica la Chiesa si oppose duramente al femminismo, in quanto riteneva che distruggesse la famiglia patriarcale, nei paesi di religione protestante (come la Gran Bretagna e gli USA) il movimento femminista ebbe maggior successo. Alla sua guida si posero donne istruite riformiste che provenivano dalla classe media. Nel 1848 più di cento persone tennero a New York la prima assemblea sui diritti delle donne sostenute dall'abolizionista Lucrezia Mott che si opponeva alla schiavitù, e dalla femminista Elisabeth Cady Stanton, le donne chiesero uguali diritti e, in particolare, il diritto di voto e la fine della disparità di trattamento. Le femministe inglesi invece si riunirono per la prima volta nel 1855 per ottenere pari diritti di proprietà. In Gran Bretagna, inoltre, la pubblicazione dell'opera "Schiavitù delle donne", del filosofo John Stuart Mill, influenzata probabilmente dalle conversazioni con la moglie Harriet Tayllor Mill, richiamò l'attenzione sulla questione femminile e portò alla concessione nel 1870, sempre in Gran Bretagna, dei diritti di proprietà alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul mantenimento e sul sostegno nella cura dei figli e la legislazione del lavoro introdusse i minimi salariali (cioè il salario minimo che doveva essere pagato per un certo lavoro) e i limiti relativi all'orario di lavoro. 
Un segno del mutamento di clima fu il grande successo che ebbe un dramma di Ibsen, "Casa di bambola" (1879), in cui la questione veniva affrontata soprattutto sotto l'aspetto morale e con riferimento all'istituto del matrimonio.     
Altri due romanzi: The scarlet letter di Nathaniel Hawthorne e The portrait of a lady di Henry James rivestono un'ulteriore importanza nell'ambito della letteratura ottocentesca sulla questione femminile. 

 

Il movimento suffragista

Un ruolo determinante nell'affermazione dell'uguaglianza di genere ebbe il movimento delle "Suffragette", che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diversa classe sociale e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di voto. Il movimento suffragista era particolarmente attivo negli USA e in Inghilterra dove alcune associazioni iniziarono a organizzare manifestazioni e proteste. In un primo tempo le suffragette cercarono di tenere comizi e di fare marce di protesta per sensibilizzare l'opinione pubblica e convincere il governo inglese a estendere il diritto di voto alle donne. Di fronte alla repressione della polizia, le suffragette passarono a forme di protesta più decise e violente; così nel 1912 proclamarono la "guerra delle vetrine": gruppi di donne sfilarono per le vie principali di Londra e presero a sassate le vetrine dei negozi. Nel 1913 il movimento suffragista ebbe la sua martire: una giovane inglese, Emily Davison, si getto sotto la carrozza reale durante un affollato derby e rimase uccisa. Il movimento tendeva ad assumere il carattere di generica lotta contro l'altro sesso, il che oscurava il suo contenuto democratico e costituiva un fattore di debolezza. L'agitazione divenne assai più efficace quando le associazioni femministe si collegarono con i sindacati operai e con i partiti socialisti ed ebbero il parziale appoggio di organizzazioni religiose. Ma per il momento le rivendicazioni femministe non furono accolte: oltre che urtare contro una diffusa mentalità tradizionalista, la richiesta del suffragio femminile coinvolgeva problemi più ampi, riguardanti il lavoro e la famiglia, che la società non era in grado di affrontare senza correre il rischio di gravi squilibri.  
Negli ultimi decenni del XIX secolo, tuttavia, il movimento per l'emancipazione della donna, grazie soprattutto ad Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, si intrecciò strettamente a quello operaio e socialista e con il congresso delle donne indetto nel 1908 a Roma dal Consiglio nazionale delle donne nacque il suffragismo femminile italiano. Una proposta per allargare il diritto di voto alle donne, avanzata nel 1919, fu travolta insieme con le istituzioni liberali dall'avvento del fascismo.    
Fu la Nuova Zelanda il primo paese a estendere il diritto di voto alle donne nel 1893. In Italia le donne iniziarono a votare soltanto il 2 giugno del 1946. 
In Russia nel 1917 e in Cina nel 1949, dopo le rispettive rivoluzioni, i nuovi governi comunisti sostennero l'uguaglianza tra i generi e attuarono una politica decisa a favore del controllo delle nascite, anche al fine di sradicare il modello di famiglia patriarcale. Ciò nonostante, nell'URSS alle donne lavoratrici furono corrisposti sempre e soltanto salari minimi e la loro rappresentanza politica fu molto ridotta. In Cina continuarono a verificarsi alcune forme di discriminazione sessuale sul lavoro.

 

Il Mondo Contemporaneo

L’ultima tappa di questo breve viaggio nella storia è quella che abbraccia l’arco di tempo trascorso dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi e che quindi ci porterà verso l’incerta linea di confine che separa la storia dalla cronaca.
Negli anni fra le due guerre vengono ripresi e approfonditi molti dei temi culturali che erano balenati nella complessa ricerca del primo 900. La nostra letteratura si svolge, in questo periodo, nell'atmosfera oscurantistica e oppressiva del Fascismo. Vi furono intellettuali che tradirono la loro missione per piegarsi all'adulazione servile e alle esigenze della propaganda, ma la maggioranza dei nostri scrittori più vivi (ad esempio Eugenio Montale e Cesare Pavese) furono scrittori d'opposizione. 
Durante gli anni ‘60 i mutamenti demografici, economici e sociali portarono in tutto l’Occidente a una nuova ondata di femminismo. La diminuzione del tasso di mortalità infantile, l’aumento generalizzato della speranza di vita e la diffusione della pillola contraccettiva alleviarono il carico di responsabilità e lavoro delle donne relativamente alla cura dei figli. Questi mutamenti, combinati da una parte con l’inflazione (che comportò per molte famiglie la necessità del doppio stipendio) e dall’altra con l’aumentato numero di casi di divorzio, indussero un numero crescente di donne ad entrare nel mondo del lavoro. Il movimento femminista in quegli anni mise in discussione le istituzioni sociali e i valori dominanti, fondando le proprie critiche su studi che dimostravano l’origine culturale e non biologica delle supposte differenze tra uomo e donna.
Il primo documento del femminismo italiano porta la data del l° dicembre 1966 e si intitola Manifesto programmatico del gruppo Demau. Demau era l’abbreviazione di Demistificazione dell’autoritarismo patriarcale. In realtà né il gruppo né il suo manifesto avevano molto a che fare con la demistificazione dell’autoritarismo. Il tema centrale del manifesto, come dei testi che gli faranno seguito nel ‘67 Alcuni problemi sulla questione femminile, e nel ‘68, Il maschile come valore dominante, è la contraddizione tra donne e società.
Il principale bersaglio polemico del Demau è la politica di “integrazione della donna nell’attuale società”. La polemica è indirizzata specialmente alle numerose associazioni e movimenti femminili che si interessano della donna e della sua emancipazione.
Coerentemente, le autrici attaccano i trattamenti di favore, leggi o altri provvedimenti, riservati alle sole donne perché queste, volendo o dovendo inserirsi nel mondo del lavoro, possano continuare ad assolvere il tradizionale ruolo femminile. Nella società in cui si inserisce la donna scopre inevitabilmente che il femminile è “privo di qualsiasi valore sociale”. Avviene di conseguenza che la singola, trovandosi confrontata con la sfera del maschile, abbia la sola alternativa di “mascolinizzarsi” o rifugiarsi nel vecchio ruolo femminile. In ogni caso la sostanza del potere maschile e della società che su di esso si basa rimane immutata.
A metà degli anni ‘60 negli USA gli studenti delle università incominciarono un movimento di contestazione, che si allargò velocemente, a macchia d’olio. Gli studenti avevano iniziato a protestare contro il governo degli USA perché aveva partecipato alla guerra tra il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud, a fianco di quest’ultimo. I ragazzi non erano d’accordo con la guerra. Il loro pacifismo trovò come forma di protesta la disobbedienza civile. Scelsero cioè di disobbedire a quelle leggi dello stato, che andavano contro la loro coscienza, rischiando per questo di frequente la prigione. Da forma di protesta contro il governo, il movimento degli studenti divenne ben presto qualche cosa di più e di molto più esteso. Si incominciò a discutere che significato avesse la politica. Che cosa fosse pubblico e che cosa privato. Si andò formando un movimento liberatorio. Le donne contribuirono a questo movimento in modo originale. Scelsero una strada autonoma, in quanto, pur partendo anche loro dalla contestazione nei confronti delle gerarchie, misero in evidenza che quelle gerarchie erano composte in genere e per la maggior parte di uomini e che dunque i principi e le norme che regolavano la società erano scelti e sostenuti più dagli uomini che dalle donne. Esisteva, secondo loro, un intreccio molto stretto tra dominio sociale e sessualità maschile. Per questo la pratica che queste donne scelsero fu quella di separarsi con un gesto chiaro anche dal movimento politico degli studenti: anche i capi di questo movimento erano uomini.
Separarsi politicamente significava organizzare incontri di riflessione solo fra donne, escludendo decisamente qualsiasi presenza maschile. Nel discutere tra loro le donne si esponevano personalmente in tutte le sfaccettature della loro esperienza. Non si trattava infatti soltanto di contestare una legge dello stato, una gerarchia, ma di saper vedere anche nella propria vita di ogni giorno i segni del predominio maschile. Significava perciò analizzare insieme alle altre gli amori, le fantasie, i legami affettivi nella famiglia e nelle amicizie. Se il dominio era un dominio maschile, esso attraversava non solo la vita pubblica ma anche quella privata.
Alla fine degli anni ‘60 il movimento degli studenti si diffuse in tutta l’Europa, sia quella democratica che quella comunista. In Italia, in Francia, in Germania questo movimento antigerarchico e di contestazione delle leggi si mescolò con i diversi movimenti comunisti, che si opponevano anch’essi alle leggi e alle gerarchie, ma con lo scopo ben preciso di costruire una nuova forma di comunismo. Il maggio del ‘68 a Parigi fu il momento dell’esplosione della contestazione in Francia e fu come un segnale per il resto d’Europa.
Agli inizi degli anni ‘70, le donne europee ripresero le pratiche già sperimentate dalle donne statunitensi: fecero propria sia la critica alle gerarchie come generalmente maschili sia il separarsi dagli uomini per ragionare tra donne di sé e di quello che stavano vivendo.
In Italia si riconosce generalmente a Carla Lonzi non solo di aver fatto conoscere le scelte delle americane ma soprattutto di aver ragionato a fondo sulla pratica della conoscenza di sé nei gruppi di donne.
Nel 1970 l’uguaglianza non era ancora raggiunta e già si doveva sopportare, oltre alla perdurante discriminazione, il peso nuovo di un inserimento sociale alla pari con l’uomo. Era troppo e quasi bruscamente la prospettiva di portarsi alla pari con l’altro sesso perse le sue attrattive. Alcune, molte, le voltarono le spalle per aprirsi una strada tutta diversa, quella del separatismo femminile. Da sempre, si può dire, le donne hanno l’abitudine di trovarsi fra loro per parlare delle loro cose al riparo dall’orecchio maschile.
Dal femminismo viene la proposta entusiasmante di abbattere strutture e assunzioni inaccettabili, per lasciare fluire i veri pensieri e i sentimenti. Le donne non devono più adeguarsi alle opinioni altrui,
“abbiamo finalmente trovato la libertà di pensare, dire, fare ed essere ciò che noi decidiamo. Compresa la libertà di sbagliare”,
che per alcune è stata la cosa più liberatoria.
Fino al 1975 circa i gruppi autonomi di donne sono stati gruppi la cui attività principale consisteva nel parlare. Intorno al 1975 cominciarono a costituirsi gruppi che si dedicarono alla realizzazione di qualcosa, come librerie, biblioteche, case editrici, luoghi di ritrovo. Nasce la cosiddetta pratica del fare tra donne. Nell’ottobre del 1975 si apri a Milano la Libreria delle donne, dopo dieci mesi circa di preparazione.
La Libreria sarà dunque un “centro di raccolta e di vendita di opere delle donne”.
La scelta di tenere e vendere soltanto opere di donne viene motivata con l’importanza che ha avuto e ha per noi il conoscere ciò che altre hanno pensato prima di noi e con il proposito di privilegiare i prodotti del pensiero femminile contro il misconoscimento sociale del loro valore.
In quello stesso anno, a Milano, nasce la casa editrice La Tartaruga, dedicata alla letteratura femminile. Primo titolo del catalogo, Le tre ghinee di Virginia Woolf
Si cominciò con la scelta delle scrittrici e dei romanzi da leggere. Le preferite risultarono essere Jane Austen, Emily Brontë, Charlotte Brontë, Elsa Morante e Virginia Woolf.
Le donne nel femminismo riprendono idee della psicoanalisi e del materialismo, ma in forma originale, perché ciò che le guida è seguire la via che porta alla consapevolezza di ciò che si è senza doversi inventare diverse da sé né migliorarsi per raggiungere un altro modo di essere.
La cornice storica della fine degli anni ‘60 e dell’inizio dei ‘70 ci serve per meglio comprendere il testo che è al centro della filosofia di quegli anni: Speculum. L’altra donna di Luce Irigaray. Guardando più specificatamente al panorama della produzione italiana contemporanea, notiamo che è da sempre viva, nel nostro paese, una letteratura scritta da donne per le donne: si tratta per lo più di opere narrative, che soprattutto per le tematiche affrontate coinvolgono in modo praticamente esclusivo l’universo femminile. La novità degli ultimi decenni in questo ambito consiste soprattutto nell’innalzamento qualitativo di queste opere, che fa seguito probabilmente alla maggiore preparazione culturale raggiunta dalle donne, oltre che alla loro più cosciente maturità. Rientrano in questa categoria tutti quei romanzi incentrati sulle vicende biografico-sentimentali di eroine dei nostri, un esempio significativo è il best-seller di Susanna Tamaro Va’ dove ti porta il cuore (1993).

 

Fonte: http://ipertestiscuola.altervista.org/storia/donne.zip

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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