Questione balcanica

 

 

 

Questione balcanica

 

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.

 

 

 


La questione balcanica

 

La battaglia del Campo dei Merli del 1389      Iniziamo questo excursus sulla questione balcanica con una data ed un episodio che sono rimasti impressi nella memoria storica dei  serbi che, guidati dal principe Lazzaro, tentarono eroicamente di fermare l’avanzata ottomana  nei balcani, uscendo sconfitti da questo confronto.
Il popolo serbo nel corso dei secoli ha assunto il ruolo di estremo baluardo dell’occidente cristiano contro la presenza turca; ricordiamo ancora la strenua resistenza serba durante l’assedio di Vienna del 1693.

Nel XIX secolo la questione balcanica è parte costitutiva della più generale Questione d’Oriente

 La Questione d’Oriente nella prima metà dell’800      L’Impero ottomano è preda all’inizio del secolo da una grave crisi, soprattutto dal  punto di vista dell’organizzazione militare e dell’efficacia amministrativa. I timidi tentativi di ammodernamento sono  frenati da una burocrazia corrotta e inefficiente. L’economia é fondata su forme antiquate di produzione agricola. Il lento processo di disgregazione dell’Impero è iniziato sin dalla fine del XVII secolo: molti territori come la Serbia e il Montenegro, l’Algeria, la Tunisia e soprattutto l’Egitto hanno conquistato condizioni di autonomia amministrativa che sfiorano l’indipendenza formale.  L’instabilità ottomana fa paura alle principali potenze europee: si tende a salvaguardare l’equilibrio faticosamente raggiunto dopo le guerre napoleoniche. L’eredità dell’uomo malato, così viene chiamata la Turchia, appare difficile da controllare agli occhi della diplomazia europea. Nei momenti di difficoltà si accettano perciò tutte le soluzioni che garantiscano la continuità dell'Impero (e dell’equilibrio europeo), sacrificando e mortificando le legittime rivendicazioni delle varie nazionalità presenti al suo interno.
CHIAMIAMO QUESTIONE D’ORIENTE LA RIDEFINIZIONE DEGLI EQUILIBRI EUROPEI NELL’INTERA AREA DEL MEDITERRANEO ORIENTALE, DAI BALCANI ALL’AFRICA SETTENTRIONALE, SEMPRE PIU’ PRECARIAMENTE CONTROLLATA DAL DECLINANTE IMPERO OTTOMANO. Già a partire da questi anni si delineano i principali interessi geo-politici delle principali potenze europee: la Russia è interessata ad un’espansione verso Occidente e in particolare verso il Mediterraneo; l’Inghilterra teme che sia messa in discussione con ciò la propria egemonia sui mari; l’Austria, da parte sua è interessata ad un’espansione verso i Balcani.
La proclamazione dell’Indipendenza greca del 1822 mette in crisi il fragile equilibrio, determinando la guerra russo-turca e la conseguente pace di Adrianopoli  del 1829 con cui la Turchia è costretta a riconoscere  l’autonomia della Serbia, della Moldavia e della Valacchia e la piena indipendenza della Grecia.

 La Questione d’Oriente dopo il 1848: la Guerra di Crimea   Dopo il 1848 lo zar Nicola I lancia un ultimatum al debole sultano turco: o si accoglie la richiesta di una protezione generalizzata da parte della Russia alle popolazioni di culto ortodosso presenti nell’Impero ottomano o è la guerra! L’Inghilterra, storicamente contro i progetti russi di impossessarsi dei territori che permettono l’accesso al Mediterraneo, si trova  a fianco stavolta anche la Francia, preoccupata dal progetto espansionistico della Russia verso Occidente: entrambe le potenze sostengono la Turchia. La Russia occupa i principati danubiani della Moldavia e della Valacchia. Il Regno di Sardegna di Cavour entra nel conflitto sperando che l’Austria si schieri con la Russia, cosa che non avviene perché la potenza nemica dell’Italia assume un atteggiamento di neutralità.
La Guerra di Crimea termina con la sconfitta della Russia. La Moldavia e la Valacchia vengono riconosciuti principati autonomi sotto sovranità turca (ma nel 1859 con l’appoggio francese daranno vita al nuovo stato autonomo della Romania); la Turchia si impegna a garantire uguaglianza di condizioni giuridiche tra musulmani e cristiani ortodossi. La Serbia, pur rimanendo sotto la sovranità turca, conferma  ampi margini di autonomia garantiti da Francia e Inghilterra. L’Austria resta isolata mentre si costruisce un’asse  tra Russia e Francia in funzione antiaustriaca.

 La Questione d’Oriente dopo il 1848: la Guerra russo-turca   Alla base della politica europea del nuovo stato tedesco che ha come cancelliere  Bismarck  ci sono due principali preoccupazioni: evitare una nuova guerra con la Francia (che rivendica il possesso dell’Alsazia-Lorena, passati al Reich con la Guerra franco-prussiana) e permettere l’espansione dell’Austria verso i Balcani, per compensare le perdite che questa nazione ha subito con l’indipendenza italiana e la formazione del nuovo stato tedesco. Il tutto senza innervosire la Russia che sappiamo interessata anch’essa ad un’espansione verso Ovest e che è  potenza alleata all’interno della Triplice Alleanza insieme con l’Austria.
La situazione matura tra il 1875 e il 1876 per effetto delle insurrezioni scoppiate in diversi paesi slavi (Bosnia, Erzegovina, Serbia, Bulgaria) sottoposti all’Impero ottomano che reprime in modo estremamente crudele questi moti (in poche settimane saranno uccisi, dopo dolorose torture circa centomila bulgari). Lo zar Alessandro II assume il solito ruolo di difensore degli slavi ortodossi oppressi  dichiarando guerra alla Turchia (aprile 1877 – marzo 1878) e vincendo il conflitto.
La Pace di  Santo Stefano prova a definire  i nuovi rapporti di forza che si sono venuti a creare a vantaggio della Russia: si viene a formare una grande Bulgaria, nazione slava legata alla Russia, con il riconoscimento per essa di uno sbocco sull’Egeo. Lo Zar assume una posizione egemonica nei Balcani che non può che impensierire le potenze europee, in primo luogo l’Austria che accampa diritti sulla Bosnia-Erzegovina: la flotta inglese salpa verso i Dardanelli  e Bismarck si propone come mediatore, invitando tutte le potenze europee ad   una conferenza di pace a Berlino.   

 Il Congresso di Berlino del 1878   In questa sede si rovesciano i risultati degli accordi russo-turchi di Santo Stefano. Viene riconosciuta l’esistenza della Serbia e del Montenegro, la Bulgaria viene ridimensionata, la Turchia rientra in possesso di alcuni suoi territori balcanici, anche se deve riconoscere il protettorato austriaco sulla Bosnia-Erzegovina, di cui mantiene però la sovranità formale; solo la Bessarabia va alla Russia, mentre l’Inghilterra si impossessa dell’isola di Cipro confermando il suo dominio nel Mediterraneo.
Questi risultati provocano la reazione di gran parte dell’opinione pubblica serba che non accetta il protettorato austriaco sulla Bosnia-Erzegovina  dove è forte la componente serba. Scrive il geografo serbo Cvijiç: “Non riunire la Bosnia-Erzegovina alla Serbia o al Montenegro…ma consegnarla all’Austria-Ungheria significa creare un equilibrio instabile, una situazione infernale che non dà riposo né al conquistatore né ai paesi i cui diritti sono sacrificati e contro i quali tutte le forze vive di un popolo saranno in uno stato di rivolta permanente. Tali combinazioni sono gli errori più gravi che si possono commettere a livello internazionale. Non ha senso infatti che i francesi paragonino queste regioni all’Alsazia-Lorena, esse sono serbe così come è russa la regione di Mosca. La Bosnia-Erzegovina è il cuore stesso del popolo serbo”(J. Cvijiç, L’annexion de la Bosnie et la question serbe).
La politica dell’Austria-Ungheria nella Bosnia-Erzegovina é volta a ridimensionare la componente serba e musulmana: le autorità infatti incoraggiano fino al limite estremo l’immigrazione dei croati e dei tedeschi cattolico-romani, spingendo invece i bosniaci musulmani nella Vecchia Serbia (il Kosovo) e in Macedonia, due zone ancora sotto il dominio turco. Continua J. Cvijiç: “Si provocano dei dissensi tra la popolazione e grazie principalmente agli stranieri si oppone il croatismo al serbismo, dovendo il primo servire da appoggio allo spirito cattolico e clericale dell’Austria-Ungheria…Spossato dalla lunga guerra sostenuta contro la Turchia …il regno di Serbia, in teoria indipendente precipita prima economicamente poi politicamente sotto l’influenza assoluta dell’Austria-Ungheria e diviene una specie di Stato vassallo”. Con il trattato commerciale del 1880 la Serbia consegna all’Austria-Ungheria il proprio credito, il 60% delle sue importazioni, l’80% delle sue esportazioni e le entrate derivanti dalle sue strade ferrate.

 L’annessione della Bosnia-Erzegovina del 1908   L’Austria, violando il Trattato di Berlino, per piegare definitivamente la Serbia, si annette la Bosnia-Erzegovina. La Germania accetta il fatto compiuto e inizia ad ipotizzare una soluzione pangermanica per la questione jugoslava: attraverso una germanizzazione della Slovenia (con la costituzione di una regione slovena sotto il condominio austro-tedesco, con lingua tedesca sui battelli, commercio e lingua tedesche, scuole tedesche) sarà possibile costruire, attraverso i porti di Trieste e Pola, un accesso al Mediterraneo che contrasti l’egemonia inglese sul Mediterraneo. Per questo disegno è necessaria quella che viene definita la soluzione croata per la Jugoslavia. Germanizzare gli sloveni e croatizzare il Sud slavo, sono questi dunque i due obiettivi del pensiero pangermanista. La Serbia, rinserrata con due catenacci, si vedrebbe ricacciata nei Balcani.

 Guerre balcaniche 1912-1913    La prima scoppia nell’ottobre 1912 allorché la coalizione di Serbia, Bulgaria, Grecia, Montenegro (Lega balcanica) attacca la Turchia, allo scopo di ridefinire gli equilibri nella regione. Sconfitti, i turchi devono abbandonare quasi tutta la penisola balcanica (Pace di Londra). La Bulgaria, convinta di aver sostenuto il maggior peso della guerra e insoddisfatta dalla spartizione territoriale, attacca la Serbia (Seconda guerra balcanica), ma viene sconfitta da una coalizione che comprende, oltre la Serbia, Romania, Grecia, Montenegro e Turchia.

 Ultimatum dell’Austria-Ungheria all’Austria   Il 28 giugno 1914 a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, lo studente Gavrilo Princip uccide l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico, e sua moglie Sofia. Ultimatum austriaco alla Serbia cui si chiede la collaborazione austriaca nell’individuare i responsabili e nel reprimere le organizzazioni nazionaliste slave. La Serbia non accetta. Scoppia la Prima guerra mondiale.

 Dichiarazione di Corfù  Il 7 luglio 1917 croati, serbi e sloveni prevedono di unirsi in uno stato comune sotto la dinastia serba dei Karadodordeviº.  I croati, non più sostenuti dagli Imperi centrali sconfitti nel conflitto mondiale, lamentano la futura egemonia dei serbi sul nuovo stato che di fatto verrebbe a diventare una Grande Serbia. I serbi da parte loro non riconoscono le prerogative storiche della Croazia: per loro la Dalmazia è un’invenzione francese e la Bosnia-Erzegovina una creatura artificiale austriaca, la stessa Croazia-Slavonia un compromesso della monarchia danubiana.

 Nasce la Jugoslavia   Il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni nasce il 1 marzo 1919. L’articolo 70 della Costituzione del ’21 suddivide il territorio in distretti che frantumano le regioni storiche e il cui tracciato facilita ovunque possibile le maggioranze serbe. I croati del Partito del Diritto dichiarano illegale il nuovo Stato. Nel 1929 il re Alessandro scioglie il Parlamento e abolisce la Costituzione. Il nuovo regno assumerà il nome di Jugoslavia. Le frontiere interne saranno ancora più favorevoli ai serbi.
L’opposizione croata assume forme violente e  il 26 agosto 1939 il re Pietro sarà costretto a dare soddisfazione ai croati: viene creata una banovina autonoma che include tutta la Dalmazia e buona parte della Bosnia-Erzegovina.

 Lo stato ustascia di Ante Paveliç   Nel 1941 le truppe di Hitler entrano in Jugoslavia e realizzano il vecchio progetto pangermanista: viene creato lo stato fascista degli ustascia, una Grande Croazia due volte più grande della Serbia che passa, invasa e sottomessa, sotto l’amministrazione militare tedesca. Atroci massacri di serbi, un vero genocidio, si producono in Bosnia, in Erzegovina e nel Nord, nelle zone della Sava e del Danubio. I croati, alleati del Reich trionfano.  Il cardinale Stepinac, attualmente beatificato dalla Chiesa, sostiene con vigore il regime ustascia.

 La Jugoslavia comunista di Tito   Nel secondo dopoguerra Tito decide che la geopolitica interna della Jugoslavia deve prendere come modello la divisione antecedente il primo conflitto mondiale. La Bosnia-Erzegovina e la Macedonia diventano pertanto repubbliche e il peso della Serbia viene riequilibrato dalla creazione, al suo interno, delle regioni autonome del Kosovo e della Vojvodina. Il progetto titino si compendia in quest’immagine: una debole Serbia in una grande Jugoslavia. La serba Belgrado nondimeno diviene capitale federale dello Stato. I confini tra le repubbliche hanno valore soprattutto amministrativo: in Croazia sono presenti consistenti minoranze serbe, nella Bosnia ci sono addirittura tre popolazioni (serbi, croati e musulmani) che riescono a convivere pacificamente, nel Kosovo è largamente maggioritaria l’etnia albanese. Il socialismo, anche grazie alla popolarità che la figura del croato Tito ha presso tutti i popoli della federazione jugoslava, riesce a comprimere per diversi decenni i conflitti etnici, anche attraverso la politica dell’autogestione che rappresenta la peculiarità del modello jugoslavo rispetto a quello sovietico e cinese.
Alla morte di Tito le tendenze disgregatrici prendono il sopravvento: la politica dell’autogestione ha consentito un parziale decentramento delle decisioni, ma in tal modo ha consentito anche una differenziazione tra una zona maggiormente sviluppata economicamente (Slovenia e Croazia), più attratta dal processo di unificazione europeo, e un Sud-Est più sottosviluppato, di cui è parte integrante la Serbia.

 La crisi del Kosovo del 1987   La minoranza serba in Kosovo protesta vigorosamente con il potere centrale perché si sente discriminata dalla maggioranza albanese. Il potere centrale jugoslavo, che fino ad ora non ha mai parteggiato per una nazionalità rispetto ad un’altra, questa volta si schiera apertamente accanto ai serbi: è proprio Milosevic, esponente di primo piano del Partito comunista che inizia a cavalcare la tigre del nazionalismo serbo.

 1989: il Kosovo perde la sua autonomia    I minatori albanesi del Kosovo protestano contro il potere centrale. Il presidente della Slovenia, Kucan, appoggiando i minatori  mostra la sua volontà di rompere con la Federazione jugoslava. L’esercito federale interviene in Kosovo, anche sulla scia di manifestazioni di piazza serbe in tutto il paese. Il parlamento kosovaro cede tutti i suoi poteri, l’autonomia di cui ha goduto il Kosovo in tutti gli anni del socialismo titino viene revocata.

 L’indipendenza della Croazia e della Slovenia   Nel 1991 le due nazioni proclamano la loro indipendenza da Belgrado; a loro va  subito la simpatia e il riconoscimento ufficiale  della Germania, dell’Austria  e del Vaticano. Il presidente della Croazia, Tudjman, non fa mistero del suo antisemitismo e si richiama esplicitamente allo stato filo-nazista di Ante Paveliç. La situazione precipita verso la guerra civile:  da giugno e dicembre si protraggono  scontri tra truppe federali e milizie serbe da una parte e forze slovene e croate dall’altra. In Krajina  (Croazia) la minoranza serba tenta di dar vita a una repubblica serba autonoma. Ricompaiono le milizie a base etnica  da una parte e dall’altra: gli ustascia croati e i cetnici serbi che si contraddistinguono entrambi per la loro crudeltà e per la pratica della pulizia etnica. Ricordiamo in particolare la feroce spedizione punitiva organizzata  nel mese di maggio nella città di Zara dai croati contro i serbi.

 L’indipendenza della Bosnia-Erzegovina e della Macedonia    Nel 1992 è la volta  di queste due nazioni a proclamare l’indipendenza. Nella  prima repubblica dove convivono da sempre popolazioni di religioni ed etnie diverse (serbi, croati, musulmani) scoppia una guerra civile sanguinosa e spietata con epicentro a  Sarajevo, che viene quasi completamente distrutta negli scontri. La Serbia dà vita con il Montenegro ad una Repubblica Federale di Jugoslavia e viene accusata di perseguire un disegno egemonico: annettere con la forza i territori vicini abitati da popolazioni serbe. Inizia la pulizia etnica da parte delle milizie serbe e croate, presenti in Bosnia, che massacrano popolazioni appartenenti ad altri gruppi o provocano esodi di massa.
Viene formata una repubblica indipendente serba, con capitale Pale, che vuole abbandonare la Bosnia per aderire alla federazione serbomontenegrina di Milosevic.
L’ONU interviene sempre nel 1992 con i suoi caschi blu per fermare i massacri, non riesce tuttavia a riportare la pace nella regione. Nel 1994 ci prova la NATO con bombardamenti aerei contro le postazioni serbe e si arriva in questo modo ad un primo provvisorio cessate il fuoco, ma la proposta di divisione consensuale in tre repubbliche indipendenti non viene accettata dai serbobosniaci. Le ostilità riprendono e si interrompono solo alla fine del 1995: a Dayton nell’Ohio, grazie alla mediazione di Bill Clinton si giunge ad un accordo. Viene creata una Repubblica di Bosnia-Erzegovina divisa in due entità distinte: una federazione croatamusulmana e una repubblica serbobosniaca con capitale unica Sarajevo, controllata dai croatomusulmani; viene inviata una forza della NATO (anche con presenza italiana) in sostituzione dei caschi blu dell’ONU. Vengono accusati di crimini di guerra dal Tribunale internazionale dell’Aja il leader dei serbobosniaci Radovan Karadzic e il capo militare Ratko Mladic.

La crisi del Kosovo del 1998   La crisi della Jugoslava  post-comunista torna  da dove era partita :il Kosovo. La popolazione di origine albanese, privata da Milosevic dell’autonomia concessa da Tito, privata delle sue scuole, i suoi ospedali, i posti di comando, la sua lingua, rivendica l’indipendenza con l’UCK. Il leader non-violento moderato Rugova, che ha organizzato per dieci anni la resistenza passiva albanesecontro i serbi, continua a chiedere l’autonomia all’interno della Serbia.

 

Fonte: http://www.liceoumberto.eu/word/storia/balcanica.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Questione balcanica

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Questione balcanica

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

Questione balcanica