Storia riassunti
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La Francia e le guerre di religione
La Francia dopo la pace di Cateau-Cambresis si trovò sull’orlo del disfacimento politico e civile. Dopo la morte di Enrico II i tre suoi figli maschi erano minorenni e quindi salì al trono Caterina de Medici che era odiata dai francesi poiché amava il lusso, ma soprattutto poiché era di origine italiana. Per cercare di spodestare la regina ci furono molti complotti da parte dei nobili o da componenti di rami secondari della famiglia reale. I due principali aspiranti furono Francesco di Guisa e Antonio di Borbone.
A complicare il quadro politico contribuiva la situazione religiosa; i riformati, che seguivano il calvinismo, erano detti ugonotti (dal tedesco che significa confederati) ed erano una gran parte dei nobili e dei borghesi, attivi soprattutto nei centri costieri. In questo periodo ci furono molte violenze e rappresaglie che vennero accentuate da questa rivalità religiosa. I Guisa erano di fede cattolica e i Borbone erano ugonotti, mentre Caterina, cattolica, cerca di fare da mediatrice tra le parti ma la sua posizione fu piuttosto ambigua. Di fronte a queste lotte cittadine religiose Caterina concesse il primo editto di Saint-Germain, concedendo libertà di culto agli ugonotti purché risiedessero fuori dalle mura cittadine. Ma questo non calmò gli animi in quanto nel 1562 i cattolici uccisero una settantina di ugonotti nel massacro di Vassy. Da questo momento iniziarono le cosiddette guerre di religione che durarono circa 35 anni. Nel 1570 la regina emanò il secondo editto di Saint-Germain che ribadì i concetti del primo e concesse alcune roccaforti come La Rochelle agli ugonotti. Due anni dopo Caterina ordino la strage di tutti i maggiori esponenti ugonotti giunti a Parigi per celebrare le nozze tra Enrico di Borbone (il capo degli ugonotti) e la figlia di Caterina. Il massacro avvenne la notte di San Bartolomeo nella zona di Parigi ma anche nel resto del Paese. Ci furono migliaia di vittime, ma questo gesto provocò la reazione dei Paesi protestanti e fini in una lotta internazionale. Durante il regno di Enrico III, figlio di Caterina, si aprì la lotta per la successione tra il capo dei cattolici, Enrico di Guisa e quello degli ugonotti, Enrico di Borbona. Lo scontro prese il nome di guerra dei “tre Enrichi” che portò alla morte di Enrico di guisa nel 1588 e di Enrico III nel 1589 che fu accoltellato da un monaco domenicano. Enrico di Borbone allora divenne re di tutta la Francia sotto il nome di Enrico IV. Per scongiurare complotti religiosi Enrico IV (ugonotto) si convertì al cattolicesimo.
Nel 1598 venne firmato il trattato di Vervins nel quale la Spagna riconobbe il governo di Enrico IV e rinunciava ad ogni pretesa sul trono di Francia. Poco prima il re emanò l’editto di Nantes nel quale concedeva libertà di culto agli ugonotti, uguaglianza politica e civile e alcune roccaforti come Montpellier e La Rochelle.
Dopo aver raggiunto la pacificazione Enrico IV promosse lo sviluppo economico e cercò di procedere verso una ripresa dell’egemonia francese sull’Europa. Per prima cosa accentrò il potere tutto nelle sue mani: eliminando le tensioni, svuotando di ogni potere i parlamenti e i nobili locali, ma promuovendo la borghesia che fece accedere alle cariche amministrative e giudiziarie. Si venne a creare la nobiltà di toga, ovvero quei borghesi che avevano acquistato il titolo di nobile contrapposta alla nobiltà di spada ovvero la nobiltà antica. In questo modo il re riuscì anche ad accumulare grandi somme di denaro.
Enrico fu anche aiutato dal duca di Sully che era il ministro delle finanze che puntò sullo sviluppo dell’agricoltura piuttosto che puntare ad una politica coloniale o di espansione. I duca protesse i mercati interni, puntando al massimo sviluppo della produzione locale riducendo le importazione e favorendo le esportazioni, soprattutto del grano, concedendo premi in denaro o materia a chi vendeva i propri prodotti agli stranieri. Riorganizzò anche le finanze pubbliche mediante una politica di lotta agli abusi. Enrico IV riorganizzò l’esercito mirando ad abbattere l’egemonia degli Asburgo. Purtroppo fu ucciso nel 1610 da un monaco fanatico che lo accusava di essersi riavvicinato troppo agli ugonotti
Il seicento
La prima parte del seicento fu caratterizzata dalla guerra dei Trent’anni (1618-1648), che contribuì ad aggravare la situazione economica e sociale. Si trattò di un conflitto a sfondo religioso, in cui lottarono tra loro cattolici e protestanti. La Spagna e l’impero degli Asburgo lottò contro la Danimarca, la Svezia e i stati tedeschi: successivamente la Francia cattolica lottò contro la Spagna, per evitare di essere accerchiata. Dopo una serie di varie guerre si arriva nel 1648 alla pace di Westfalia che consolidò la situazione dei protestanti: in Germania oltre che al luteranesimo, si professò anche il calvinismo. Fu sancita l’indipendenza dell’Olanda, Svizzera e nacque il regno della prussica, e ci fu il consolidamento della Svezia e della Francia. L’Italia e l’Europa accettarono un regime assoluto affinché fosse salvaguardata la pace. L’assolutismo nel seicento non è più soltanto una questione di fatto ma anche di diritto. Così come in filosofia si svilupparono due principali correnti, l’empirismo e il razionalismo, anche le giustificazioni del razionalismo seguono due tendenze, la prima riferita all’esperienza e la seconda alla ragione. Le teorie di tipo empiristico sono quelle di Joadin Boadin, Giovanni Botero e Thomas Hobbes; le interpretazioni di tipo razionalistico sono quelle di Ugo Grozio e Giovanni Althiusius. L’assolutismo contribuì ad unificare la religione e l’amministrazione, consentendo un unità politica. La vita negli stati in questo periodo è caratterizzata dall’intolleranza religiosa, politica e dalla violenza. La Chiesa della Controriforma crea un clima repressivo e severo e ne fanno le spese i grandi scienziati e i liberi pensatori, come Giordano Bruno che fu arso vivo nel 1600 a causa di una sentenza fatta dalla Santa Inquisizione romana, oppure Galileo Galilei che fu costretto a nascondere le sue idee razionalistiche per la fisica e l’astronomia. Si afferma anche un idea di tolleranza che sarà oggetto della riflessione dei più importanti intellettuali
Con la pace di Cateau-Cambresis l’Italia non godeva più di nessuna indipendenza in quanto la Spagna dominava un po’ ovunque. Per nulla preoccupati della crisi economica che si andava manifestando per lo spostamento del traffico marittimo dal mediterraneo all’atlantico, i dominatori spagnoli si dedicarono soprattutto allo sfruttamento delle ricchezze esistenti. I governatori della Lombardia e i vicerè del Meridione, sembravano impegnati nel imporre tasse e tribuni di ogni genere, che non contribuivano al bisogno del popolo ma a pagare le guerre che la Spagna andava conducendo. I nobili italiani e il clero avevano fatto causa comune ai dominatori ed insieme ad essi vivevano una vita di ricchezze e lusso. Oppressione politica e sfruttamento economico durarono per oltre un secolo e mezzo. Le popolazioni esasperate dalla miseria si ribellarono in maniera disordinata e soprattutto senza nessun appoggio degli intellettuali. Le rivolte di Milano, Palermo e Messina non dettero risultati. Un segno rappresentativo ci fu con lo scoppio della rivolta a Napoli. La tassa sulla frutta fresca fece insorgere i cittadini napoletano con a capo Tommaso Aniello detto Masaniello e riuscire ad abolire il provvedimento ed instaurare un regime popolare. Masaniello fu nominato “capitano generale del fedelissimo popolo”, egli abusò immediatamente dei poteri acquisiti e finì per essere ucciso da un tumulto. Però la sua avventura ebbe un seguito in quanto la rivolta si era subito riaccesa e divenne una vera e propria azione di guerriglia da parte dei contadini. Questa rivolta assunse proporzioni tali che il vicerè non potè impedire la proclamazione della repubblica con a capo Gennaro Annese. Ma si trattò di una vittoria di breve durata. Una controrivoluzione organizzata dagli spagnoli permise al vicerè di riprendere in mano la situazione e di riportare la calma alla città. Questo episodio può essere considerato come l’episodio più importate verificatosi in Italia dalla fine del Medioevo.
L’Italia durante il predominio spagnolo
La Toscana con a capo la famiglia dei Medici non riuscì a liberarsi di un dominio indiretto della Spagna. Tuttavia Cosimo I attuò una costruttiva politica interna: risanò le finanze, bonificò le paludi, aiutò il commercio e l’agricoltura e costruì una forte difesa. Ottenne anche il titolo di granduca e conquistò la repubblica di Siena. Il granducato era comunque accerchiato dallo stato dei Presidi che era spagnolo e da Lucca che era governata dagli spagnoli indirettamente. Il figlio di Cosimo, Ferdinando ampliò il porto di Livorno e favorì la prosperità economica e la libertà di pensiero e di ricerca (Galileo Galilei).
Il granducato di Toscana era destinato a rimanere uno stato secondario nel panorama politico italiano, tanto che finì anch’esso, estinta la famiglia dei Medici, in mano straniere.
L’influenza spagnola si faceva sentire anche nello Stato Pontificio, soprattutto quando si trattava di eleggere un nuovo papa. Dal punto di vista economico risultava poi essere uno dei più poveri d’Italia per la mancanza d’iniziative economiche. Dal punto di vista strettamente politico invece alcuni pontefici ottennero notevoli risultati, riunificando lo stato attraverso l’eliminazione dell’autonomia concessa precedentemente a taluni territori.
Solo la Repubblica di Genova trasse vantaggio dalla pace di Cateau Cambresis. Negli anni successivi alla pace, Genova raggiunse il suo massimo splendore, conquistando l’attributo di superba. Importanti in quest’ambito furono i prestiti concessi alla corona di Spagna, che permisero il potenziamento della flotta. L’aumento delle pubbliche entrate rese possibile l’ampliamento del porto, divenuto ormai un importantissimo centro commerciale. A trarre benefici da questa situazione fu la sola classe nobiliare. Al declino della Spagna, facciamo corrispondere, nostro malgrado, anche quello della repubblica ligure, travagliate da sanguinose lotte intestine tra le famiglie più importanti della città.
Grazie ad Emanuele Filiberto, invece, lo stato sabaudo raggiunge un assetto politico stabile e definitivo. Si venne ad instaurare nello stato un governo accentrato con un buon apparato burocratico di tipo moderno. Egli trasferì la capitale del suo regno a Torino, italianizzando il suo regno. Introdusse inoltre l’uso della lingua italiana, abolendo quella francese.
Da qui scaturì uno scontro con la Francia che deteneva legalmente alcuni territori appartenenti al suo Stato. Grazie all’aiuto di un esercito di estrazione locale (ottenuto introducendo la leva militare obbligatoria) riuscì a riprendersi gran parte dei territori in mano francese. Francia e Savoia stabiliranno più tardi, con il trattato di Lione, le linee di espansione dei due paese: il territorio transalpino per la Francia, l’Italia per i Savoia.
Venezia invece, preoccupata per la propria autonomia, aveva intrapreso una politica espansionistica nell’entroterra. Ma è in questo periodo che assistiamo alla crisi della potenza marittima veneziana. L’occupazione dei Turchi di Cipro, un importante colonia veneziana, portò alla sanguinosa battaglia di Lepanto, ben combattuta da Venezia. Ma la repubblica Veneziana si stava effettivamente indebolendo. Venezia rimase però la roccaforte italiana della libertà di pensiero. Finì per divenire il rifugio di tutti i liberi pensatori. Era inevitabile, pertanto, un duro contrasto con Roma. Lo scontro si concretizzò quando Venezio avviò una normale procedura giudiziaria per due sacerdoti. Venezia fu così accusato di non volersi sottomettere al potere religioso e di imporre limitazione alla Chiesa nell’acquisto di beni. A risolvere la contesa intervenne come mediatore, il re Enrico IV, che portò alla pacificazione Venezio e la Chiesa romana. È in quest’ambito che appare un importante figura, quella del frate veneziano Sarpi, uno degli intellettuali più acuti del tempo.
Economia e cultura nell’Italia del seicento
Anche se in Italia vi fosse il predominio spagnolo,nella prima metà del Cinquecento la penisola poté beneficiare di un periodo di pace che diede vita ad una fiorente economia.
Genova e Venezia crearono importanti porti che furono utilizzati da tutte le nazioni per i traffici verso l’oriente. La vita cittadina mostrò una grande vivacità in particolare nella produzione dei beni di lusso. In Italia affluirono grosse somme di denaro attraverso operazioni di cambio favorendo un’ampia circolazione di denaro, grazie anche alla creazione di una rete di fiere cui si affianco un buon andamento del settore agricolo.
Ma nella seconda metà del Cinquecento, a causa della rinuncia da parte degli imprenditori di rinnovare i meccanismi produttivi, si ebbe una crisi poiché gli Inglesi e gli Olandesi abbassarono i prezzi grazie alle loro tecniche moderne; anche l’agricoltura andò in crisi. La parabola discendente dell’economia italiana fu causata dalla rinuncia a rinnovare i meccanismo produttivi e commerciali che avrebbero portato ad un abbassamento dei costi e dei prezzi. Ci fu una grossa depressione e crisi economica in tutta l’Europa Occidentale (ad eccezione dell’Olanda e Inghilterra). Questo periodo viene identificato come prima vera crisi del capitalismo commerciale; la causa fu il venir meno di tutti quegli elementi di sviluppo che erano alla base di un deciso ampliamento dei mercati e dei profitti.
Ci fu un calo demografico a causa delle epidemie di peste, delle frequenti carestie e di lunghe serie di conflitti. Questo calo portò ad una sensibile diminuzione della domanda di prodotti agricoli che mandò in crisi anche il settore della attività artigianali industriali commerciali e manifatturiere, accentuato anche dal calo dell’importazione di metalli preziosi dall’America; soprattutto l’argento che era usato per coniare monete. Si venne a creare una mancanza di moneta circolante che creò una contrazione della potenzialità operativa delle imprese.
Di conseguenza ci fu un abbassamento dei prezzi che fece aumentare la disoccupazione e provocò la fuga dalle campagne in quanto i contadini vendettero i loro piccoli terreni ai grandi proprietari che però non erano stimolati a incrementare la produttività del terreno.
Aumentò inoltre la pressione fiscale e i signori imposero i propri diritti feudali ai contadini con onerosi canoni per la concessione delle terre. Questo disagio portò a sommosse, banditismo, accattonaggio e quindi preoccupazione per la sicurezza. In conclusione aumentò ancora di più il divario tra le classi ricche e quelle povere.
La Francia e l’Inghilterra
Dopo l’assassinio del re Enrico IV la reggenza fu affidata a Maria de Medici (moglie del ex re) in nome del figlio Luigi XIII che aveva 9 anni. Fu contrastata dalla nobiltà a causa delle sue origini straniere e anche perché nominò ministro delle Finanze uno sconosciuto italiano Concino Concini. A ridare solidità e prestigio alla monarchia provvide il cardinale Armand-jean du Plessis, duca di Richelieu che divenne ministro del giovano Luigi nel 1624. Egli diede inizio ad un energica opera di restaurazione: consolidò l’assolutismo regio francese e indebolì la nobiltà, gli ugonotti, e gli Asburgo. Il cardinale privò dell’autorità il Parlamento di Parigi e limitò le autonomie locali; ma soprattutto ridusse le libertà politiche e militari concesse agli ugonotti con l’editto di Nantes. Nel 1627 assediò la fortezza di La Rochelle che si arrese dopo 14 mesi per fame. Fu proprio tale vittoria (con l'editto di grazia del 1629 cui concesse agli ugonotti uguaglianza civile con i cattolici e piena libertà di culto) a liberare in via definitiva il Paese dalle continue minacce ugonotte contro la monarchia e a permettere a Richelieu di dare concreto inizio a una politica antiasburgica. Richelieu attuò anche una riforma del sistema fiscale finalizzata a un drenaggio regolare e costituì un esercitò rinnovato che fu appoggiato da una possente flotta navale.
Nel 1603, estintasi con Elisabetta la dinastia dei Tudor in Inghilterra, la corona passò al figlio della regina di Scozia Maria Stuart, Giacomo I di Stuart. Egli perseguì una politica antiparlamentare ed autoritaria, ma il suo disegno si dovette scontrare con un Paese in cui ormai erano troppo vive le esigenze delle autonomie locali. Il suo regno fu pertanto caratterizzato da una serie di conflitti religiosi, politici e sociali. Fu comunque con Giacomo I che Scozia ed Inghilterra furono unite, insieme all’Irlanda, sotto un unico sovrano, anche se i singoli stati continuavano ad essere politicamente indipendenti. (Per sottolineare l’importanza di questa unificazione Giacomo I creò la Union Jack). Bisogna precisare però che l’unione politica vera e propria avverò un secolo più tardi, sotto il regno della regina Anna.
Si trattava di 3 stati profondamente diversi tra loro, non solo per le diverse strutture economiche che li caratterizzavano, ma soprattutto per quanto concerne l’ambito religioso, in quanto coesistevano nel territorio unificato di Giacomo I confessioni religiose rese fra loro inconciliabili dopo la riforma.
Mentre l’Inghilterra era saldamente legata alla chiesa Anglicana episcopale, di impronta gerarchica, la Scozia era passata ormai apertamente al presbiterianesimo, di orientamento più democratico. A entrambi le fedi religiose si opponeva a sua volta l’Irlanda, rimasta legata al cattolicesimo e più che mai desiderosa di indipendenza. Di qui uno dei principali motivi di debolezza del nuovo regno, i cui abitanti erano in gran parte ostili al sovrano, tanto che nel novembre 1605 un gruppo di cospiratori cattolici organizzò quella che poi fu chiamata la congiura della polveri. I ribelli approfittando della cerimonia dedicata all’inaugurazione annuale del parlamento, cercarono di far saltare in aria il palazzo dove si trovavano la corte e il sovrano. Lo spietato rigore con il quale Giacomo I punì ribelli non contribuì certo a migliorare la posizione della monarchia. Deciso comunque a portare avanti il suo disegno autoritario, Giacomo cercò di guadagnarsi il favore della camera alta o dei lords, concedendo ricche pensioni di corte e il mantenimento dei diritti feudali alla grande nobiltà e alla Chiesa episcopale, i cui interessi coincidevano con quelli della corona. Ne derivò un grave stato di tensione con la borghesia commerciale e con la piccola nobiltà agraria, la gentry, i cui rappresentanti costituivano la Camera bassa o dei Comuni. Questi ceti costituivano in realtà l’elemento economicamente più vivo della società, ed erano in grande espansione produttiva e commerciale e desiderosi di abolire i vincoli di tipo feudale, per tentare soluzioni economiche più produttive. Venne così a crearsi un aspro conflitto fra la Corone la la camera dei comuni, che il sovrano ritenne di superare non convocando più il parlamento. Tuttavia nel 1621, Giacomo I fu costretto, causa urgente necessità di denaro, a convocare il Parlamento, che rispose rivendicando il diritto a intervenire in tutto ciò che riguardava lo Stato, la politica, l’economia e la stessa condotta del re. Si venne a determinare nel paese un clima di generale tensione, divenuto uno scontro aperto anche con Carlo I, successore e figlio di Giacomo I che credette di continuare la linea politica del padre, mantenendo una condotta intransigente e spregiudicata, sia in politica interna, imponendo tasse senza il consendo del parlamento, che in politica estera, appoggiando gli Ugonotti contro la corona francese. Fu appunto per aiutare questi ultimi che il sovrano dovette convocare il Parlamento, il quale approfittando della favorevole circostanza, chiese a in cambio delle ingenti somme di denaro richieste dal sovrano, una sorta di carca costituzionale, la Petizione dei diritti, con cui si stabilivano disposizioni volte a limitare l’arbitrio regio.
Posto di fronte a questo parlamento che gli negava l’autonomia, Carlo I, che necessitava ingenti somme di denaro, altro non potè fare se non sottoscrivere le nuove disposizionI. L’anno successivo, il sovrano stesso sciolse il nuovo parlamento e governò l’Inghilterra come sovrano assoluto per ben undici anni fino al 1640, fino a quando, fu costretto a riconvocare nuovamente il parlamento.
La guerra dei Trent’anni
La guerra dei Trent’anni è considerata la più grande calamità dal tempo delle guerre barbariche in Europa. Essa rientrava nell’ambito delle guerre di religione del XVI secolo.
Una causa fu la politica degli Asburgo che vollero unificare l’Europa, sopratutto la Germania, sotto un'unica guida e intorno alla fede cattolica per liberare il paese dal disordine causato dalle diverse religioni, e dalle rivalità tra i principi elettori e tra gli stessi Asburgo. I principi luterani tedeschi si unirono nel 1608 nell’Unione Evangelica e nel 1609 i cattolici formarono, in risposta, la lega Cattolica.
La Francia era preoccupata per i tentativi di espansione degli Asburgo. Comunque la Francia aveva una visione più moderna dello stato che si opponeva a quella più medievale degli Asburgo.
A dar fuoco alle polveri fu nel 1618 l'imperatore del Sacro Romano Impero Mattia II: egli impose come re alla Boemia, prevalentemente protestante (hussita), il cattolico Ferdinando II, che vietò la costruzione in Boemia di alcune chiese protestanti, provocando una violenta ribellione, che culminò con la defenestrazione di Praga nel 1618 quando 2 luogotenenti dell'imperatore furono scaraventati giù dalle finestre del palazzo reale; i due tuttavia ne uscirono illesi in quanto atterrarono su della paglia. La Guerra dei Trent'Anni si divide in quattro periodi:
- Boemo-palatino (1618–1623)
- Danese (1623–1629)
- Svedese (1630–1635)
- Francese (1635–1648)
I Boemi insorti offrirono la corona del loro Paese all'elettore Federico V del Palatinato, disconoscendo Ferdinando d'Asburgo. La ribellione boema si estese ad altre regioni del Sacro Romano Impero,come l’Ungheria. Ferdinando II (1610-1637) divenne imperatore nel 1619. Solidamente appoggiato dalla Spagna e dal duca Massimiliano di Baviera, questi stroncò le truppe boeme nella battaglia della Montagna Bianca (novembre 1620), alla quale fece seguire una spietata repressione e costrinse Federico V ad andare in esilio.
Tra la prima e la seconda fase ci fu la guerra della Valtellina che vedeva Savoia Venezia e Francia contro gli Asburgo che vinsero e grazie alla pace di Monzon ottennero il protettorato della Valtellina.
L'antagonista dell'impero nella seconda fase fu Cristiano IV di Danimarca. Richelieu favorì un'alleanza antiasburgica fra Olanda, Danimarca ed Inghilterra, stipulata all'Aia nel 1625. Le truppe dell'Impero riuscirono ad occupare parzialmente la Danimarca e Cristiano IV dovette firmare la pace di Lubecca (maggio 1629) con la quale egli si impegnava a non inserirsi nelle vicende germaniche, in cambio della restituzione dei territori invasi. Lo spostamento della guerra nel Nord e l'occupazione imperiale di importanti porti sul Mar Baltico provocarono l'intervento della Svezia. Per non perdere la fedeltà dei principi cattolici, l'imperatore nel marzo 1629 emanò l'Editto di restituzione, che imponeva la restituzione alla Chiesa delle terre secolarizzate dopo la Pace di Augusta che aveva concesso la libertà di culto ai luterani, ma il provvedimento suscitò la reazione anche dei principi luterani che erano rimasti neutrali.
Nella 3° fase Gustavo Adolfo di Svezia intraprese una guerra contro l'Impero per difendere i protestanti e per impadronirsi di una testa di ponte in Pomerania che gli assicurasse l'egemonia sul Baltico. Alleato della Francia, Gustavo Adolfo passò di successo in successo grazie al suo ottimo esercito, invase Monaco e proseguì in un'avanzata che terminò solo con la battaglia di Lützen (novembre 1632), nella quale gli Svedesi vinsero, ma il loro sovrano perse la vita. La giovanissima regina Cristina, figlia del defunto re, fece però continuare le operazioni militari, e gli Svedesi migliorarono le posizioni conquistate. Solo nel settembre del 1634 gli eserciti imperiali, rafforzati da contingenti militari spagnoli, ottennero a Nördlingen una vittoria decisiva. La grave sconfitta svedese indusse i principi protestanti ad accettare la pace di Praga (1635), con la quale essi si sottomettevano all'imperatore, ottenendo a loro volta che l'Editto di restituzione fosse sospeso per quarant'anni.
L'ultima fase della guerra, si risolse in ambito politico, infatti, mentre la situazione militare era equilibrata, lo stesso non poteva dirsi delle condizioni economiche e finanziarie della Francia e della Spagna. Lo sforzo imposto dalla guerra era stato gravosissimo per entrambi i Paesi, ma la Francia riuscì a reggere a tutti gli inasprimenti fiscali, la Spagna, invece, già provata dalla politica di Filippo II, precipitò in una spaventosa miseria. In Catalogna fu proclamata la repubblica (1640). Anche il Portogallo si ribellò e riuscì a scacciare gli Spagnoli e a insediare sul trono la dinastia nazionale dei Braganza (1641). Il nuovo imperatore, Ferdinando III d'Asburgo (1637-1657), si rese conto che il Paese era stremato e che non c'era più alcuna speranza di vittoria, intavolò perciò, sin dal 1642, le trattative di pace, che si svolsero in Westfalia, mentre i maggiori responsabili della guerra scomparivano dalla scena politica: il Richelieu morì alla fine del 1642, e fu sostituito dal Cardinale Mazarino, ma la guerra durò ancora per anni. Solo quando la supremazia francese fu indiscutibile, Ferdinando III, vedendosi minacciato non solo come imperatore, ma negli stessi domini ereditari di Casa d'Asburgo, firmò, nell'ottobre del 1648, la pace di Westfalia. La sola Spagna continuò per oltre un decennio una lotta ormai disperata. La pace di Westfalia pose fine alle sanguinose guerre di religione riconoscendo l’esistenza di tre confessioni; resta comunque il fatto che il regnante definisce la religione di appartenenza, ma i sudditi liberi potevano seguire la religione di famiglia se era professata da almeno 25 anni, altrimenti dovevano lasciare il paese. Afferma il principio secondo cui ogni stato è libero e sovrano e ha il diritto di essere rispettato nella propria unità territoriale e indipendenza. Inoltre tende a stabilire una politica di equilibrio tra gli Stati senza che uno possa acquisire tanta potenza da imporre il predominio sugli altri. Infine inaugura l’era dei regolari e stabili rapporti tra gli stati sulla base della diplomazia che da origine al moderno diritto internazionale.
La pace decreto l’indipendenza dell’Olanda e della Svizzera e divise l’impero in 360 stati.
La guerra tra Francia e Spagna finì nel 1659 con la Pace dei Pirenei dopo la vittoria della Francia sugli spagnoli che dovettero cedere alcuni territori.
La guerra provocò anche una crisi sociale e economica, caratterizzata da una catastrofe demografica, da epidemie e dalle carestie causate anche dai saccheggi degli eserciti che avevano solo un modo per trovare cibo. Questo portò al regredimento di una buona parte dell’Europa centrale.
La rivoluzione inglese
La politica di Carlo I suscitò un generale malcontento a causa dei provvedimenti fiscali impopolari e anche poiché il re favorì la diffusione dell’anglicanesimo nella vicina Scozia che era di fede presbiteriana. Fu allora che gli Scozzesi si ribellarono stabilendo un patto tra grande nobiltà e piccola nobiltà (gentry), contro ogni innovazione religiosa. A questo punto il re riconvocò il Parlamento per imporre nuove tasse e procurarsi i mezzi finanziari per contrastare la rivolta. In questo periodo ci fu un ridimensionamento dell’assolutismo regio; poiché Carlo sciolse il Parlamento dopo un mese (Corto Parlamento). Ma lo riconvocò pochi mesi dopo per 13 anni (Lungo Parlamento) che era composto soprattutto da puritani che contrastarono il re per molti anni. Fuori dal Parlamento vi erano 3 schieramenti in lotta tra loro: i moderati, i radicali e gli estremisti che solo più tardi furono chiamati “partiti”. Il re intanto a causa della guerra contro la Scozia e delle ribellioni cattoliche in Irlanda fu costretto a fare diverse concessioni che limitarono il suo potere. Carlo prendendo spunto da una violenta insurrezione dei cattolici irlandesi che sterminarono 30000 anglicani nell’Ulster nel 1641 decise nell’anno successivo di arruolare l’esercito e di tentare una soluzione di forza contro il Parlamento arrestandone i capi intransigenti e sfruttando i contrasti interni all’assemblea.
Il decollo economico dell’Inghilterra
Carlo II Stuart ritornò alla politica assolutistica paterna, favorendo i nobili e la Chiesa anglicana. Ma vi era un grave stato di tensione e portò il sovrano a firmare due leggi destinate a impedire il ritorno dell'assolutismo regio. La prima, il Test Act, prevedeva l'ammissione alle cariche pubbliche sono dei seguaci della religione anglicana; la seconda, l Habeas corpus Act, vietava l'arresto illegale dei sudditi e il carcere preventivo.
Poiché il sovrano era privo di figli il trono doveva passare al fratello Giacomo; si formarono nel Parlamento dei partiti: gli Whigs favorevoli all’esclusione della successione, e gli Tories favorevoli alla secessione. i primi rappresentavano la borghesia, i secondi la nobiltà. I tories ebbero la meglio e Giacomo divenne re, ma solo per tre anni poiché la sua politica filocattolica fece muovere il Parlamento che decise di affidare la corona a Guglielmo III d’Orange. Giacomo fu costretto ad abbandonare la città e a rifugiarsi in Francia, ma il Parlamento fece firmare a Guglielmo in una dichiarazione dei diritti al fine di circoscrivere volere del re, garantire libertà di parola e libere votazioni. Nasceva così la prima monarchia parlamentare costituzionale; ma tale sistema continuava ad escludere la popolazione nella sua generalità dalla vita politica. La lunga lotta tra monarchia e Parlamento era mossa da interessi economici; tra le più aspre ragioni del conflitto vi era concessione dei Monopoli e la vendita di licenze commerciali, poiché il re spesso vendeva queste licenze ad alto prezzo per ottenere facili finanziamenti ma e penalizzava l'espansione dei traffici commerciali. per questo il Parlamento esigeva l'adozione di un indirizzo economico fondato sulla protezione degli interessi dell'intera classe produttiva inglese. Si veniva affermando così l'idea di un'economia protetta dallo Stato, venne infatti attuata una politica di tipo protezionistico basata sull'aumento delle esportazioni, il limitare delle importazioni era i prodotti nazionali. Un primo passo di questa politica fu lo statuto dei Monopoli che toglieva la corona la possibilità di arrogarsi la concessione dei Monopoli e difendeva il diritto di proprietà dei brevetti contro l'arbitrio regio.
Tale misura si rivelò fondamentale per lo sviluppo dell'economia inglese; rimase comunque una competizione commerciale e coloniale con la rivale Olanda. ma l'Inghilterra seppe utilizzare, le colonie americane come zone di sfruttamento delle materie prime da importare a basso costo sia come d'esportazione di prodotti finiti. Accanto al settore del commercio si sviluppò anche quello dell'agricoltura poiché l’aumento dei prezzi rese appetibile l'investimento in terreni e il loro sfruttamento intensivo. Anche il settore industriale era in crescita, per cui dopo la rivoluzione agraria, già avvenuta, si andava verso la prima rivoluzione industriale grazie anche a un aumento della produzione in campo minerario e industriale.
Hobbes e Locke
Hobbes, esercitò una profonda influenza nell'epoca: che egli scrisse il leviatano, un libro a carattere giusnaturalista; egli era convinto che in principio vi fosse uno stato di natura: ovvero un periodo immaginario prima della società, dove tutti avevano diritto su tutto (bramosia naturale) questo portava a una guerra continua, ma la ragione intervenne e fece stipulare agli uomini un patto che garantiva: il rispetto di tutti verso tutti, la pace, eliminava il diritto di tutti su tutto e affidava il potere allo Stato: questo potere era illimitato e irreversibile, colui che teneva il potere era sopra le leggi, definiva il ma nel bene e formulava le leggi. Questo è un tipo di esempio di assolutismo: il potere che non ha limiti. Anche la religione era sottomessa lo Stato perché proponeva una modalità diverse di governo. I sudditi consegnavano tutti i diritti allo Stato, la vita era l'unico diritto.
Locke, nei suoi due trattati sul governo ci propone la stessa situazione iniziale di Hobbes, ovvero lo stato di natura dove i diritti erano l'integrità della persona e la proprietà (ciò che hai prodotto col lavoro). I problemi iniziano quando qualcuno tenta di turbare l'ordine naturale che in principio è senza guerra; porta guerra che fa intervenire la ragione e porta al patto. Il potere che ne deriva è revocabile e è legittimo, si può rifiutare o cambiare il patto. I sudditi affidano allo Stato solo i diritti fondamentali difesa della vita della libertà della proprietà. Questa è una forma di liberalismo.
Locke scrisse anche una lettera sulla tolleranza, dove diceva che lo Stato si occupa dei diritti civili e politici delle persone fisiche, mentre la chiesa si occupa della salvezza delle anime. La regione non deve interferire con lo Stato e lo Stato non deve interferire con la religione. Non esiste quindi una religione di Stato.
Equilibrio internazionale e economia del 1600-1700
I rapporti dagli stati tra 1600 e 1700 continuavano a essere dominati dal principio dell'equilibrio, che era stato riconosciuto dal trattato di Westfalia ed era stato richiamato dal trattato di Utrecht. Questa politica di equilibrio delle forze e dei contrappesi mirava far sì che principi e governi considerassero l'Europa come una comunità. Nel 700 per equilibrio si intendeva quello interno agli stati. Era diffusa l'opinione che il mantenimento dell’equilibrio doveva essere l'obiettivo di un governo prudente e costruttivo. E’ proprio in conseguenza della politica di equilibrio che si sviluppa l'attività diplomatica dei vari Stati. Nascono i ministeri per gli affari esteri di tipo moderno e si venne a creare un'efficiente rete di rappresentanti diplomatici all'estero. La lingua delle relazioni internazionali era il francese che sostituì il latino e l'italiano. Il periodo compreso tra 1620 e 1750 è caratterizzato da una crisi economica generalizzata in Europa: si assiste a rallentamento dello sviluppo demografico, delle scene e ristagno della industria. Solo dopo la metà del XVIII secolo in molte regioni europee il processo riprenderà sulla base di condizioni che si erano gradualmente sviluppate in precedenza. si esiste inoltre a un rinnovato sviluppo demografico che culmina nel periodo della rivoluzione industriale francese ma soprattutto inglese. la politica economica è caratterizzata dal mercantilismo, un sistema di produzione e circolazione della ricchezza che favorisce le esportazioni e frena le importazioni, col fine di aumentare la quantità di metallo prezioso. Il mercantilismo individua nel commercio internazionale la fonte di ricchezza dello Stato: quest'ultimo è impegnato nel mantenimento di una corte numerosa, di un esercito permanente, di una burocrazia e diplomazia professionali e ha una diffusa tendenza di sprecare le risorse. Lo Stato vede così accresciute le proprie esigenze finanziarie e avverte il bisogno di interessarsi alle attività economiche, controllandole, dirigendole e regolandole dall'alto. Questo sistema mira rendere attiva la bilancia commerciale. Tutto ciò favorisce lo sviluppo di un sistema protezionistico che considera lo stato solo ente capace di realizzare un ordine economico razionale.
A queste dottrine si oppone la scuola fisiocratica, elaborata da un gruppo di economisti francesi che propone una dottrina secondo cui la terra è l'unica fonte di ricchezza. Per incrementare lo sviluppo essi ritengono indispensabile una politica economica basata sul libero scambio, che favorisca l'esportazione di derrate alimentari.
La Francia di Luigi XIV
Nel 1643 alla morte del re Luigi XIII, la moglie Anna d’Austria assunse la reggenza del trono di Francia in nome del figlio Luigi XIV. Ad esercitare il potere effettivo fu però il cardinale Mazzarino; il cardinale continuò la politica accentratrice si impegnò a rafforzare l’assolutismo regio. Il Parlamento e la nobiltà ostacolarono Mazzarino che dovette affrontare una rivolta del Parlamento di Parigi, che si rifiutava di registrare alcuni provvedimenti finanziari; successivamente ci fu anche la rivolta della nobiltà, esasperata dalla politica accentratrice del cardinale. Queste rivolte diedero vita a due forze opposte alla monarchia: Fronda parlamentare e Fronda dei principi. Il primo movimento fu stroncato grazie all’esercito, mentre il secondo a causa di una reazione popolare che non perdonò al capo dei nobili, il principe de Condé, di aver fatto ricorso alla Spagna pu di poter affermare la propria economia. La monarchia ne usci rafforzata e non subi più scosse fino al 1789. Mazzarino si volse allora alla politica estera, concludendo la guerra dei Trent’anni con la Spagna con la pace dei Pirenei.
Nel 1661, alla morte di Mazzarino, Luigi XIV (re Sole) assunse il potere; la sua fu una politica espansionistica soprattutto nei confronti di Spagna e Olanda. Il re fece accumulare alla Francia un maggiore prestigio internazionale e per un periodo divenne la prima nazione d’Europa. Il re governo praticamente da solo, togliendo poteri ai Parlamenti locali e agli Stati generali. Il re pensava di avere quel potere per diritto divino, come sosteneva il letterato Bossuet, e quindi non ammetteva limitazioni al suo potere. Per evitare ribellioni dei nobili li costrinse a risiedere nella fastosa reggia di Versailles e li coprì di regali e privilegi economici. Luigi assegnò le cariche a membri della borghesia e attuò una centralizzazione amministrativa e una politica invadente e vessatoria nei confronti degli organismi tradizionali dello Stato.
In ambito religioso rese indipendente la chiesa gallicana dal papato. La chiesa gallicana infatti esaltava l’autonomia politica del re nei confronti del papa, ponendo in tal modo precisi limiti all’autorità pontificia. Luigi XIV si schierò anche contro il giansenismo che predicava il ritorno al rigore morale della chiesa cristiana e combatteva il lusso e la mondanità. Il re fece sciogliere il movimento religioso, ma non riuscì ad arrestare i progressi del giansenismo che raccolse consensi anche nella borghesia e la nobiltà trasformandosi in un movimento in opposizione della monarchia assoluta. Il re emanò l’editto di Fontanbleau con il quale revocava l’editto di Nantes e tutti i diritti degli ugonotti; diede il via ad una serie di persecuzione contro gli ugonotti e impose il battesimo cristiano ai figli degli stessi. Questo portò all’esodo di 200.000 ugonotti che contribuì ad impoverire la Francia.
Il re fece diventare la reggia di Versailles il centro effettivo di ogni attività anche culturale: il re fece sorgere Accademie, e favorì il fenomeno del mecenatismo. Inoltre esercitò una forte sorveglianza sulle tipografie e esercitò la censura.
Colbert, il ministro delle finanze francese, valido esponente del mercantilismo, promosse le esportazioni e frenò le importazioni; egli ricorse ad una politica protezionistica finalizzata alla realizzazione di una grande riserva di metalli preziosi; impose elevati dazi doganali, appoggiò lo sviluppo del commercio interno intensificando la costruzione di strade e canali (Canal Du Midi).
Colbert incoraggiò lo sviluppo industriale rispetto a quello agricolo, impegnando consistenti somme di denaro nella realizzazione di nuove imprese industriali. Nello stesso tempo incrementò il commercio con l’estero e formò cinque compagnie commerciali; potenziò la flotta militare anche per incrementare l’attività coloniale.
Luigi XIV formò un esercito moderno, alle dipendenze del re e diretto da comandanti validissimi; intraprese una lunga serie di guerre di conquista che si conclusero con risultati modesti rispetto all’impiego di denaro e uomini, ma servivano ad accrescere il potere del re e a spiegare la politica aggressiva del re Sole.
La Spagna si trovò indebolita sia economicamente sia militarmente. Il re Filippo V cercò di conquistare la Sicilia ma fu costretto dalle altre potenze europee a firmare la paca dell’Aja ponendo fine alle sue pretese sull’Italia. L’Austria scambiò la Sicilia con la Sardegna con i Savoia, mentre ai figli di Elisabetta Farnese furono dati il ducato di Parma e il granducato di Toscana.
Le riforme illuminate in Europa
Il sistema della monarchia elettiva era rimasto solo in Polonia, ma ovunque i sovrani dovevano impegnarsi ad affermare il proprio potere su svariate forze antagoniste. La sovranità fiscale restava subordinata alle assemblee dei ceti che stabilivano l’ammontare dell’imposta e partecipavano alla sua ripartizione. Vi era inoltre il problema del clero, che conservava ancora una vasta influenza sulla società. Il rafforzamento dell’azione dello stato poteva avvenire soltanto attraverso delle riforme che avrebbero portato la burocrazia a dipendere unicamente dalla monarchia. Inoltre le guerre di successione avevano spinto le monarchie ad accrescere le entrate migliorando l’efficienza degli apparati amministrativi e fiscali.
Alla base del rinnovamento del sistema di imposizione diretta ci fu la realizzazione del catasto fondiario (registro di beni immobili con l’indicazione del loro proprietario e del loro valore ai fini dell’imposizione fiscale) che descriveva le caratteristiche di tutte le proprietà ed era una base sicura per la ripartizione del carico delle imposte, col fine di far tramontare l’era dei privilegi fiscali per nobiltà e clero. Il primo catasto fu fatto nei domini dei Savoia nel 1699 e successivamente anche nello Stato di Milano nel 1718.
Il catasto divenne inoltre capace di stimolare lo sviluppo agricolo: poiché le imposte una volta fissate rimanevano invariate per molti anni ed eventuali miglioramenti o aumento del reddito non venivano tassati, per questo chi sviluppava la propria attività sarebbe stato premiato, mentre chi non investiva era destinato a sobbarcarsi un peso fiscale crescente.
Le riforme dei monarchi puntavano al generale progresso della società civile e alla felicità pubblica, per questo gli storici hanno potuto parlare di assolutismo illuminato.
Contro la chiesa, i sovrani attaccarono la proprietà terriera ecclesiastica, ridussero l’entità numerica del clero regolare e tentarono di abolire diversi ordini religiosi “inutili” dediti alla pure vita contemplativa e giudicati come parassiti. Infatti l’ordine dei gesuiti venne soppresso prima in Portogallo nel 1759, poi negli altri stati europei, fino a quando nel 1773 il papa sciolse l’ordine la Compagnia di Gesu
In tutti i paesi cattolici furono poi rinforzate le disposizioni chiamate giurisdizionaliste che subordinavano la giurisdizione ecclesiastica a quella dello stato. Inoltre lo stato si impegnò a creare proprie istituzione nel campo sanitario e scolastico da contrapporre a quelle tradizioni ecclesiastiche.
SI puntò inoltre sullo sviluppo economico, con la costruzione di strade e il finanziamento di bonifiche. In molti casi i sovrani accolsero le dottrine fisiocratiche e abolirono i vincoli della circolazione interna del grano e il libero scambio con i mercati esteri, inoltre soppressero le corporazioni. Inoltre si cercò di abolire la servitù della gleba, perché economicamente insufficiente e favorire lo sviluppo degli affitti contadini e del lavoro salariato. Inoltre si puntò sulla centralizzazione amministrativa, abolendo tutte le giurisdizioni che non dipendono dallo stato. Si tentò di abolire il sistema di appaltare a finanzieri privati le imposte indirette, come quelle generali sui consumi o quelle specifiche, poiché gli appaltatori versavano in anticipo l’ammontare delle imposte anche per più anni lasciando spesso lo stato in condizioni di debolezza.
Infine fu concessa la libertà di culto, la libertà di stampa e ci furono innovazioni nella legislazione penale, come l’abolizione della tortura giudiziaria e del carcere preventivo e un minor ricorso alla pena di morte.
Dopo i successi contro i turchi e nelle guerre di successione gli Asburgo si erano ritrovati alla testa di un impero composito, per questo, prima Maria Teresa poi Giuseppe II, rafforzarono le strutture statali dell’impero.
Maria Teresa, con l’aiuto del conte Kaunitz-Rietberg sottrasse progressivamente alle assemblee dei ceti i poteri sulle entrate fiscali e i privilegi sociali. Furono abolite le autonomie amministrative delle provincie austriache e boeme. In questo periodo la Lombardia assunse un ruolo molto importante nell’impero. Inoltre compilò un catasto, affidò il fisco alla cura di dipendenti governativi, riduce i dazi interni e riordina il sistema scolastico.
Giuseppe II nel 1768 istituì la censura di stato sostituendo quella ecclesiastica e l’istruzione elementare obbligatoria nelle scuole statali. Abolì gli ordini religiosi inutili e le discriminazioni contro gli ebrei proclamando una generale tolleranza per tutti i culti religiosi. Istituì il matrimonio civile e per questi ultimi il divorzio. Istituì il catasto nel 1785 e abolì la schiavitù, decretando l’annullamento degli obblighi feudali e la loro conversione in una quota d’affitto. Venne rinnovato il codice penale nel 1787 e negli anni successivi furono esautorate le corporazioni e la politica doganale fu usata in funzione dello sviluppo delle industrie nazionali. Leopoldo II fece un programma di riforme molto importante, ma di fronte alle pressioni dell’opposizione dovette cercare la via del compromesso.
In Spagna Filippo V prima abolì i privilegi amministrativi delle varie regioni spagnole per avviare l’unificazione amministrativa dello stato, poi ridusse i poteri del tribunale dell’inquisizione anche se non riuscì ad abolirlo. Carlo III nel 1767 espulse i gesuiti, rese libero il commercio della terra, e creò il catasto che però restò inattuato.
Federico II in Prussia accrebbe le dimensioni dell’esercito portandolo a 20000 unità, ridusse le autonomie nobiliari e cittadine e attuò una politica popolazionista (tendeva ad attrarre nel regno l’immigrazione da altri paesi favorendo la colonizzazione nelle regioni meno popolate). Favorì l’elevamento culturale dei funzionari statali e estese l’istruzione a tutti i suoi sudditi, con l’insegnamento elementare obbligatorio e favorì la circolazione delle idee con una maggiore libertà di stampa. Rinnovò il codice penale con l’abolizione della tortura giudiziaria e propose una tolleranza religiosa. Rese Berlino una vera capitale europea con più di 150000 abitanti. Le condizioni degli schiavi ebbero poche modifiche, soltanto che i nobili persero la possibilità di venderli come beni mobili. In favore delle campagne egli creò banche agricole e crediti agrari per ripopolare le campagne, cambiò il corso di fiumi e canali, obbligò i grandi proprietari a erigere case coloniche e a distribuire gratuitamente le sementi, esonera dal pagamento delle tasse i contadini delle zone colpite da guerre e favorisce la coltivazione della patata.
Caterina II in Russia aveva steso un programma che conteneva: maggiore libertà di stampa, istruzione obbligatoria, modifiche all’assistenza sanitaria e la riforma del diritto penale. Il problema principale fu la questione della schiavitù, infatti ci fu anche la rivolta del 1772-74 capeggiata dal cosacco Pugacev deciso a rivendicare la liberazione dei servi della gleba e una più giusta suddivisione delle terre, che venne repressa violentemente.
Le riforme illuminate in Italia e la riforma penale
In Lombardia sotto il dominio degli Asburgo ci furono molte riforme di cui abbiamo già parlato prima con Maria Teresa e Giuseppe II. La Lombardia divenne uno dei centri intellettualmente più avanzati della penisola, erano lombardi Cesare Beccaria, famoso giurista autore del trattato Dei delitti e delle pene e i fratelli Verri redattori del Caffe, il più importante periodico dell’epoca. Nel granducato di toscana Pietro Leopoldo attuò una serie di provvedimenti a favore dell’agricoltura e del commercio. Inoltre abolì la tortura e la pena di morte (con il codice leopoldino del 1786), soppresse il tribunale dell’inquisizione, elimino i privilegi fiscali dei nobili e del clero e sviluppò l’istruzione. A Napoli con Carlo III e il suo ministro Tanucci vennero limitati i privilegi del nobili e del clero, come l’omaggio della chinea (un regalo annuale al papa di denaro e un cavallo bianco), venne sviluppato il porto di Napoli e ci fu la lotta al banditismo. Questa politica riformista fu seguita da Ferdinando IV anche se in maniera minore. In Piemonte con la politica assolutistica dei Savoia, viene limitata la libertà di pensiero che induce molti intellettuali a emigrare. In decadenza era anche lo Stato Pontifico, che però vide una parentesi di modernità con le riforme di Benedetto XIV e Pio VI che bonificarono le paludi Pontine e crearono un catasto.
Cesare Beccaria discendente da una nobilissima famiglia di Pavia, nacque a Milano nel 1738. Egli è il nonno di Alessandro Manzoni. Conobbe i fratelli Verri che lo introdussero nel circolo degli illuministi milanesi; scrisse alcuni articoli per il periodico il “Caffè” e nel 1764 pubblica le sue considerazione sul diritto penale nella sua opera “Dei delitti e delle pene”. Mori nel 1794.
Alcuni punti fondamentali della sua opera sono:
- L’utilità e l’equità della pena aumentano quanto più questa viene inflitta velocemente
- Il carcere preventivo deve essere ridotto al minimo
- Anche la pena è un male e il diritto penale non deve accrescere i mali della società più del minimo indispensabile
- La certezza della pena è necessaria, ma la minaccia di pene sempre più dure è spesso semplicemente il segnale di uno stato debole
- Non deve essere consentita la cancellazione della pena in seguito all’eventuale perdono da parte dell’offeso, perché la morale e il bene pubblico sono due ambiti distinti
- Anche l’indulgenza da parte del potere pubblico deve esser evitata, perche basata sull’arbitrio del singolo e potrebbe non essere equo
Pietro Leopoldo che occupò il trono di Firenze nel 1765 tenne conto del dibattito sul diritto penale e emanò il suo codice nel 1786. Alcuni punti fondamentali della sua opera sono:
- Sospensione della pena di morte e della tortura
- Non è la paura per la condanna che fa diminuire i reati più gravi, ma la prevenzione dei reati, la certezza della pena e la veloce esecuzione dei processi.
- Non bisogna abusare del carcere preventivo
- Viene istituita la figura del difensore d’ufficio per i meno abbienti
- Alla pena di morte vengono sostituiti i lavori forzati molto più utili per dissuadere i criminali dal commettere reati.
La Russia di Pietro
Ad avviare il processo di modernizzazione della Russa del diciottesimo secolo fu lo zar Pietro I della dinastia dei Romanov, cui fu attribuito il soprannome di “Grande”. Fu il primo infatti a capire che bisognava creare un organismo statale forte ed efficiente, nel quale il potere assoluto del sovrano non fosse più limitato, come in passato dalla Duma, l’assemblea dei nobili e dalla Chiesa ortodossa, Per tale scopo Pietro il Grande privò di autorità la Duma, sostituendola con un consiglio da lui scelto, organizzò una numerosa burocrazia e costituì un forte esercito, un’efficiente marina e un corpo di polizia segreta. Ridusse all’obbedienza anche la Chiesa Ortodossa istituendo un Santo Sinodo da lui nominato, posto sotto il controllo di un procuratore imperiale. La chiesa Russa divenne così un potentissimo mezzo di unificazione spirituale e culturale dello sterminato Paese.
Modernizzò l’economia dello Stato attraverso la nascita delle industrie di Stato e il favoreggiamento di scambi commerciali. Si mosse anche in ambito culturale, istituendo scuole di ogni genere, incoraggiando gli studi scientifici e dimostrandosi attento alle innovazioni tecniche provenienti dall’estero. In tal modo trasformò la Russia in un forte stato europeo. Le sue riforme incontratono però l’opposizione dei conservatori: mentre nel 1698 lo zar si trovava a Vienna, scoppiò in Russia la rivolta degli stilizzi, che lo costrinse a ritornare in patria. Volendo garantire uno sbocco sul mare al Paese, si interessò alla politica estera, intraprendendo una lotta contro i Turchi. Ma la direttrice di espansione russa puntava soprattutto verso nord e portava alla scontro con la Svezia: tra il 1700 e il 1721 (seconda guerra del nord) la Russia sottrasse alla Svezia una quantità rilevante di territori (Livonia, Estonia, Ingoia e Camelia), garantendosi l’accesso al golfo di Finlandia. Consapevole della necessità di uno sbocco sul mar baltico, nel 1703 Pietro il Grande aveva fondato, alla foce della Neva, la Città di San Pietroburgo e nel 1715 vi trasferì da Mosca la capitale.
Ideali illuministi e mutamento sociale
Le idee illuministiche determinarono importanti cambiamenti in molti settori della società, che si avviò ad assumere caratteri molto diversi da quelli del passato. L’aumento della popolazione fece sorgere l’esigenza di attivare un sistema economico in grado di soddisfare i nuovi bisogni che si stavano precisando. Per questo iniziò lo studio della scienza economica che superasse le idee del mercantilismo. Le due nuove dottrine furono il liberismo e la fisiocrazia.
La fisiocrazia era basata sullo sfruttamento della terra, fu introdotta in Francia da Quesnay; i fisiocratici ritenevano che la libertà fosse la legge fondamentale dell’economia e sostenevano, al contrario del mercantilismo, la libera iniziativa, il libero commercio e la riconduzione al semplice meccanismo della domanda e dell’offerta. Essi erano avversi ad ogni controllo o intervento dello stato e auspicavano all’eliminazione di tutti i privilegi. Essi volevano realizzare un equilibrio tra gli interessi privati e quello sociale.
Il liberismo che ebbe come massimo esponente Smith (con la sua opera Indagine sulla natura) vede il mondo economico come un vasto laboratorio e il lavoro costituisce la vera fonte di ricchezza. Il vero motore è l’interesse personale che spinge gli uomini alla ricerca del guadagno e al miglioramento del proprio tenore di vita. L’unico punto in comune con i fisiocratici era la libertà e l’abolizione di tutti i privilegi di tipo medievale. Inoltre Smith vedeva nella divisione del lavoro, ossia la distinzione delle varie fasi di produzione in operazioni semplici e ripetitive tali da ottenere un risparmio di tempo e una maggiore abilità lavorativa negli operai, un enorme fonte di aumento di produttività, che con l’aiuto delle macchine avrebbe abbassati di molto i prezzi.
Dal punto di vista sociale si afferma l’idea di cosmopolitismo, basato sull’uguaglianza di tutto il genere umano. Ciò portava gli illuministi a combattere contro il concetto di guerra e di sopraffazione di uno stato nei confronti di un altro.
Inghilterra e Francia
Nel diciottesimo secolo, le vicende della storia recente, avevano creato in tutti un diffuso desiderio di mantenere una pace duratura: venne allora avviato un sistema politico basato sull’equilibrio internazionale. In tal senso agli Stati minori si assicurava difesa e protezione contro la prepotenza dei maggiori. Conseguenza diretta di tale politica internazionale fu lo sviluppo di una vasta serie di contatti permanenti e duraturi tra i sovrani europei. L’aspetto negativo si trova nel fatto che in nome dell’equilibrio i popoli d’Europa vennero più volte rimescolati. Questo equilibrio internazionale fini per favorire l’aumento della popolazione grazie al: decremento della mortalità determinato dalla fine delle guerre, dal miglioramento delle condizioni di vita e dagli sviluppi della scienza medica. A mantenere il più possibile la situazione di equilibrio era l’Inghilterra. Il governo di Londra si adoperò, finendo per assumere la finzione di ago della bilancia della politica europea. Questo nuovo indirizzo politico dell’Inghilterra, che la vide sostenitrice dei principi o dell’equilibrio, ebbe inizio con l’insediamento sul trono della dinastia tedesca degli Hannover. Sotto il regno di Anna Stuart fu creato nel 1707 il Regno Unito di Gran Bretagna. Infatti, quando la regina morì senza eredi, il Parlamento concesse la corona di ambedue i Paesi a Giorgio I, elettore di Hannover. Una volta salito al trono, Giorgio I dovette occuparsi di difenderlo dalle rivendicazioni di Giacomo III, figlio di Giacomo II Stuart. I tories (conservatori) sostennero la candidatura di quest’ultimo. Giorgio I cercò invece l’appoggio dei Whigs, che rappresentavano gli interessi dei ceti borghesi, industriali e commerciali, e favorì in particolare modo il loro capo Walpole. Fu proprio quest’ultimo che diresse con successo la politica economica inglese per oltre un ventennio, assumendo in pratica le funzioni di primo ministro: una novità assoluta nella storia del paese. Sotto di lui l’Inghilterra decise di dedicarsi al risanamento delle pubbliche finanze e all’incremento della produttività interna mediante l’attuazione di una politica di tipo mercantilistico (aumento esportazioni, diminuzione importazioni). Inoltre lo stesso Walpole si adoperò per ampliare la democratizzazione della costituzione, rendendo il potere esecutivo responsabile verso il Parlamento e non più verso il re.
Nel frattempo la Francia abbandonava i propri sogni di egemonia. Lo stato era governato dal Duca Filippo d’Orleans il quale cercò di restaurare la precedente situazione. Anzitutto restituì all’aristocrazia i privilegi aboliti da Luigi XIV, favorirono il ritorno alla nobiltà di sangue e tornò a concedere il diritto di rimostranza al Parlamento. Il problema più grave per la Francia era costituito dalle condizioni finanziare: enorme era il deficit pubblico e da modificare erano la gestione privata della riscossione dei tributi e la pressione fiscale che si presentava iniqua e diseguale. Il sovrano decise di affidarsi al piano di risanamento proposto dal finanziere scozzese John Law. Secondo il sistema da lui ideato, lo Stato avrebbe potuto avviare una propria attività imprenditoriale tramite l’emissione di una grande quantità di moneta cartacea, il cui valore sarebbe stato garantito da un pari valore in metalli preziosi versati da privati un’apposita Banca generale in cambio di banconote. In tal modo lo Stato avrebbe potuto disporre dei valori depositati, impiegandoli in imprese redditizie. Per assicurare nuovi introiti allo Stato, Law raccolse tutte le compagnie commerciali in un’unica che prese il nome di Compagnia francese delle Indie e che ebbe il monopolio del sale e del tabacco. Law pensò che dalla vendita delle azioni della Compagnia avrebbe potuto estinguere il debito dello Stato. L’inizio di tale operazione ebbe un grande successo. Il valore delle banconote e le azioni messe in circolazione avevano un valore nominale assai superiore al valore del metallo depositato. Fu proprio che per questo motivo che, nel 1720, quando alcuni grossi finanziatori chiesero di riconvertire in denaro le loro azioni. La Compagnia non fu in grado di operare una piena riconversione e Law dovette dichiarare fallimento e rifugiarsi a Venezia.
L’illuminismo
Mentre nel periodo umanistico - rinascimentale, ci si era soltanto avvicinati al “regno del uomo”, coll’illuminismo questo concetto ritorna e vi è un rinnovamento radicale della sensibilità dell’epoca nei confronti di quella precedente. Il vivo desiderio di rinnovamento avviene in ogni settore della vita associata, c’è quasi una smania di recuperare il tempo perduto.
Il termine Illuminismo deriva dalla metafora della ragione come luce che illumina le tenebre dell’ignoranza. La classe colta ha delle nuove responsabilità: liberare l’umanità dal peso del plurisecolare assorvimento e assicurare a tutti una degna esistenza.
La ragione laica, certa delle proprie possibilità incitava ad indagare in ogni settore. Dopo Galileo e Newton il pensiero scientifico è in continuo progresso, visto che si pensava che la scienza potesse portare la felicità agli uomini allontanandoli dalla miseria e dall’ignoranza. Nascono cosi i caffè cittadini e i salotti nobiliari dove la cultura si diffondeva, vengono pubblicati molti libri e gli scienziati effettuano esperimenti in pubblico per far conoscere alla gente, tanto che spesso si arrivano a costruire anfiteatri in legno. Anche alle donne viene aperta la cultura, soprattutto a quelle dell’alta società. La cultura diventa il più importante strumento di progresso.
Nascono anche i periodici scientifico-letterari e nasce la distinzione tra libri filosofici e libri cattivi, considerati pericolosi. Viene a crearsi cosi una prima forma di opinione pubblica.
Si diffondono le società segrete come la massoneria nata a Londra nel 1717, dove la filantropia e la dedizione al bene della società era accompagnate dalla diffidenza verso gli strati popolari (come gli intellettuali del tempo). La finalità era l’elevazione spirituale a Dio, chiamato grande architetto, e il perfezionamento morale. Quest’ultimo inaccettabile per la chiesa provocò il processo da parte dell’inquisizione. Iniziò cosi il contrasto fra cultura laica moderna e quella ecclesiastica.
I due principi dell’Illuminismo erano: l’autosufficienza della ragione umana, capace di rompere con la mentalità del passato e la critica verso la tradizione. Questo si trasformò in una disputa tra gli antichi (che difendevano e valori della tradizione) e i moderni ( che difendevano i valori del progresso).
Pierre Bayle scrisse un dizionario storico-critico con tutti gli errori presenti nelle opinioni e nelle conoscenze tradizionali. Da qui l’esaltazione dell’osservazione della natura e la creazione del mito del “buon selvaggio” che si sostituiva ai miti romani e greci e predicava una condizione di purezza e di felicità per l’uomo. L’orientamento materialista, ateista e deista si trasformò in un atteggiamento di tolleranza verso tutte le forme di fede e un rifiuto verso i dogmi della chiesa. Il filosofo Voltaire formulò il principio secondo il quale ci deve essere il rispetto per le opinioni religiose e politiche altrui.
L’illuminismo divenne ben presto una potente arma contro l’assolutismo monarchico a favore di un rinnovamento radicale delle istituzioni. Gli illuministi lottarono per la propria libertà di pensiero. Da ciò scaturì un vivace spirito critico che si diffuse tra tutte le classi sociali.
Anche tra i nobili c’era malcontento: chi desiderava un governo meno assoluto per riavere una parte dei propri poteri, chi spingeva per opportune riforme per le classi più deboli e chi criticava la società basata sul privilegio e lo sfruttamento. Anche se la borghesia rimane la classe dove queste posizioni erano più accentuate.
Le nuove idee, i nuovi risultati della tecnica e scientifica dovevano essere accessibili a tutti. Solo se un grande numero di persone fosse stato sollecitato ad istruirsi, sarebbe stato possibile spingere l’umanità verso una nuova forma di organizzazione sociale. Per questo nel 1748 iniziò la scrittura dell”Encyclopedie”, scritta da i migliori intellettuali francesi con a capo D’Alambert e Diderot. Essa terminò nel 1772 e costituì una preziosa fonte di diffusione del sapere e efficace mezzo di lotta alle idee del passato.
Montesquieu propose una nuova idea politica che postulava la divisione dei poteri dello stato (egli aveva viaggiato molto ed era rimasto affascinato dal modello inglese):
- Potere legislativo: che permette di fare leggi uguali per tutti in mano al Parlamento
- Potere esecutivo: che provvede ad applicarle e a farle osservare in mano ai ministri scelti dal re
- Potere giudiziario: che sottopone alle sentenze dei tribunali chi trasgredisce le leggi in mano a magistrati indipendenti.
Se i tre poteri non sono divisi che li controlla tutti e tre diventa un despota e non tiene conto dei singoli cittadini. Questo principio rappresenta un caposaldo per la salvaguardia della libertà politica.
L’espansione economica in Inghilterra
L’incremento demografico provocò una crescente domanda di beni agricoli e di prodotti artigianali, determinando un poderoso sviluppo dei settori produttivi. Tale sviluppo provocò un vero e proprio sconvolgimento nella vita delle campagne. Ci fu uno sfruttamento intensivo dei campi che portò alla ricerca di nuove terre da coltivare e sollecitò l’uso di tecniche agricole più razionali e il passaggio a nuove colture. Inoltre i capitalisti acquistarono grandi quantità di terre diventando ricchi latifondisti a discapito dei piccoli proprietari terrieri. Questo avvenne soprattutto in Inghilterra già nel Cinquecento dove le zone destinate alla raccolta della legna e al pascolo vennero trasformati in possessi privati. Da questo sfruttamento intensivo e razionale dei terreni da parte dei latifondisti portò alla rivoluzione agraria.
Una prima grande innovazione fu la scoperta delle capacità fertilizzanti delle leguminose da prato, le quali grazie ai batteri contenuti nelle radici assorbono l’azoto dall’atmosfera e lo trasformano in fertilizzante naturale. Inoltre queste leguminose venivano impiegate per il foraggio che permetteva di intensificare l’allevamento bovino e di conseguenza la produzione di letame.
Alla rivoluzione contribuì il lavoro di irrigazione e di bonifica nonché la diffusione di alcuni importanti prodotti del continente americano (patata, pomodoro, granoturco), gia conosciuti, ma sfruttati solo ora in quanto davano un rendimento superiore a quello del grano. Inoltre ci furono importanti invenzioni come l’aratro meccanico, le trebbiatrici, i mulini, le sarchiatrici e nel 1770 la prima seminatrice meccanica.
La massiccia crescita della popolazione provocò l’aumento della richiesta delle merci, la quale, a sua volta, stimolò la ricerca di nuovi sistemi di produzione, in grado di soddisfare l’aumento della domanda dei prodotti. Nel campo tessile gli inventori i inglesi contribuirono con l’invenzione di nuove macchine, come la spoletta automatica di Kay che raddoppiò la produzione e la qualità della merce; la filatrice meccanica di Hargreaves e l’organizzazione delle filande su base industriale di Arkwright.
Samuel Crompton realizzò la mule jenny, combinando le invenzioni di Arkwright e Hargreaves, capace di produrre dei fili di cotone pregiatissimi. Edmund Cartwright costruì il primo telaio meccanico completamente meccanizzato che sostituì i vecchi telai manuali in legno. Inoltre grazie alle miniere di ferro e di carbon fossile, venne sfruttata la potenza calorifica del carbone e il ferro sostituì il legno in molti macchinari.
L’Inghilterra divenne un paese specializzato soprattutto nel settore dell’industria metallurgica e mineraria, grazie anche alle invenzioni della pompa a vapore nel 1698 per estrarre l’acqua dalle gallerie, dal miglioramento dei sistemi di areazione e dall’introduzione dei carrelli su binari per il trasporto dei minerali. Grazie all’uso del carbon fossile per la fusione dei metalli Cort trovò il modo di trasformare la ghisa in acciaio dolce grazie al puddellaggio, ovvero al lavorazione ad altissime temperatura e la laminazione della ghisa mediante rulli. La più grande innovazione fu la macchina a vapore inventata da James Watt nel 1769 che migliorò la macchina a vapore a effetto semplice di Newcomen. L’invenzione della macchina a vapore determinò una svolta decisiva nell’impiego di capitali in campo industriale e conseguentemente una radicale trasformazione della società. Con l’entrata in funzione di queste nuove macchina, il costo per l’acquisto delle nuove macchine aumentava e le piccole imprese o fallivano o si riunivano in società per acquistare gli impianti. Acquisirono importanza le banche che fornivano i finanziamenti necessari. Questo processo di concentrazione delle macchine e dei capitali creò una solida classe di imprenditori e di industriali. Le colonie assunsero un ruolo importante perché si rivelarono una preziosa fonte di materie prima e basso prezzo e un vasto mercato in cui smerciare i beni prodotti dalla madrepatria. Il primato economico di questo periodo spettava all’Inghilterra.
La rivoluzione industriale portò lo spopolamento delle campagne e un impetuoso afflusso verso le città (urbanesimo o inurbamento). I contadini di fronte alla povertà si spostavano in città sperando di trovare lavoro nelle fabbriche. La vita nelle città mutò radicalmente dal momento che nelle capitali e nelle metropoli industrializzate si verificò in un breve giro di anni un fortissimo aumento della popolazione.
A causa di ciò le città furono costrette a modificare il loro impianto urbanistico e c’era spesso il problema dell’approvvigionamento delle derrate alimentari poiché non c’era abbastanza cibo per sfamare tutta la gente nelle città. Ci fu inoltre una ancora più netta distinzione tra borghesia che deteneva i capitali e proletariato che era sempre più sfruttato in quanto l’offerta di lavoro era maggiore della domanda e di conseguenza i salari erano bassissimi. Inoltre i lavoratori vivevano nei malsani e sovraffollati quartieri dei centri industriali in condizioni disastrose.. Un altro grave problema era quello del lavoro minorile e femminile nel settore industriale e minerario con donne e bambini costretti a lavorare per aiutare la famiglia. Le altre conseguenze furono: l’aumento della produzione in serie e l’abbassamento dei prezzi; l’incremento del traffico commerciale terrestre e marittimo grazie anche all’espansione delle colonie. Questo periodo anticipava i profondi conflitti sociali tra i capitalisti e i lavoratori
La rivoluzione americana
Lungo le coste atlantiche si erano costituite 13 colonie, sotto il controllo dell’Inghilterra, popolate da emigranti Scozzesi, Irlandesi, Francesi, Inglesi e Tedeschi. Questo miscuglio di popolazione riuscì a trovare un’identità comune che unì le colonie nella dura lotta per la sopravvivenza creando l’entusiasmo di fondare un mondo nuovo. Sorse una nuova coscienza nazionale autonoma, sganciata dall’Inghilterra, accentuata dalla diffusione di riviste e giornali locali, la costruzione di due università americane e il fiorire di centri di ricerca scientifica. Tra le 13 colonie vi era una netta differenza tra le colonie settentrionali e quelle meridionali:
- Le prime sorte in territori del clima più sfavorevole puntavano sull’industria e sul commercio ed erano città come Filadelfia o Boston popolate soprattutto da artigiani mercanti e piccoli imprenditori.
- Le seconde sorte in territori fertili e dal clima favorevole erano basate sull’agricoltura e sulle grandi proprietà terriere ed erano abitate da aristocratici latifondisti che sfruttavano il lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni di tabacco cotone e canna da zucchero.
A causa dell’aumento della popolazione a partire dai primi decenni dell’Ottocento i pionieri cominciarono a spingersi verso il Pacifico nel Far West dapprima in modo isolato e in seguito in carovane organizzate, per far avanzare la frontiera della colonizzazione; però dovettero affrontare molte insidie come la resistenza degli indigeni chiamati indiani e le restrizioni del governo inglese.
I coloni non potevano partecipare alla discussione di leggi che li riguardavano e spesso erano contrarie alle loro aspirazione e inoltre gli Inglesi consideravano le colonie un mercato da sfruttare: i coloni dovevano far pervenire i propri prodotti solo sui mercati inglesi e al prezzo voluto da loro e erano costretti a importare solo dall’Inghilterra con costi esorbitanti. Inoltre era stato vietato alle colonie di intraprendere attività produttive in concorrenza con quelle della madrepatria. I due motivi che causarono l’aumento del malcontento furono:
- Il rifiuto da parte della madrepatria di alleggerire le rigide restrizioni economiche dell’America in seguito all’aiuto da parte delle colonie durante la guerra dei Sette Anni con l’invio di truppe agli inglesi e l’aiuto dato agli Indiani per non far avanzare i pionieri americani.
- L’imposizione di nuove tasse sui principali generi di consumo (manufatti carta tè ecc.) e l’obbligo di pagare uno speciale bollo sui giornali (Stamp Act).
Inoltre in ambito religioso ci fu l’atteggiamento di aperta intolleranza da parte dell’episcopato anglicano, contrario a concedere spazio a ogni altra confessione religiosa soprattutto ai calvinisti.
Ad esasperare la contesa contribuirono da un lato le dichiarazioni arroganti del ministro inglese Pitt, dall’altro il fiero atteggiamento antibritannico di alcune organizzazioni chiamate Figli della Libertà e di alcuni uomini politici come Adams che indicavano nella conquista della pieni indipendenza l’unica via percorribile. Anche alcuni inglesi come lo scrittore Paine avevano appoggiato la causa degli americani.
A far precipitare gli eventi fu il Tea Act emanato dal Parlamento nel 1773, con il quale alla Compagnia delle indie orientali veniva concesso il monopolio del commercio del tè danneggiano di traffici dei coloni americani. Le proteste culminarono nel famoso episodio in cui 50 Figli della libertà si travestirono da indiani e assalirono 3 navi della Compagnia delle indie a Boston e gettarono il carico di tè a mare. L’Inghilterra in risposta chiuse al traffico il porto e eliminò ogni autonomia amministrativa in tutto il Massachusetts di cui Boston era la capitale. La situazione si aggravò quando il parlamento inglese, nel 74, votò il Quebec Act con il quale venivano riconosciute come appartenenti al Canada tutte le terre a nord dell’Ohio, verso le quali i coloni tendevano ad espandersi. I coloni decisero ci rompere ogni rapporto con l’Inghilterra, ma nel primo congresso continentale del 74 a Filadefia prevalse la linea moderata: si chiese alla madrepatria di ripristinare le autonomie amministrative riconfermando il boicottaggio delle merci provenienti dell’Inghilterra e si stese una dichiarazione dei diritti basata su tre punti fondamentali:
- Gli uomini sono tutti uguali
- Gli uomini hanno diritti inalienabili
- Il governò è legittimo solo col consenso dei governati
Le proposte furono segnatamente respinte dal re Giorgio III e questo portò ad una vera e propria guerra d’indipendenza.
Accettare lo scontro armato con la madrepatria non era facile per le colonie. In primo luogo perché l’opinione pubblica era divisa in due schieramenti: quello lealista a fianco degli Inglesi; e quello dei patrioti che mirava all’indipendenza. In secondo luogo alle colonie mancava un esercito regolare la cui formazione fu decisa solo nel secondo Congresso Continentale del 1775. Il 4 luglio del 74 i rappresentanti elle 13 colonie sottoscrissero la Dichiarazione d’Indipendenza redatta da Jefferson sulla base dei principi dell’illuminismo e si fondava sulla sovranità popolare sulla difesa dei diritti irrinunciabili dell’uomo; oltre al diritto alla vita e alla libertà c’è anche il diritto alla ricerca della felicità. Essa ribadiva anche il diritto di abbattere un governo oppressore. Contemporaneamente le colonie assunsero il nome di Stati Uniti d’America.
Nel frattempo le truppe inglese ben organizzate sconfiggevano le truppe americane, ma grazie a George Washington che aveva il controllo dell’esercito le truppe dei coloni riuscirono a fronteggiare gli inglesi. Un aiuto venne dall’Europa, prima con numerosi volontari poi con lo schieramento di Francia (1778) Spagna (1789) e Olanda (1780) dalla parte dei coloni. La prima vittoria venne nel 1777 a Saratoga.
Benjamin Franklin costituì la lega dei neutrali facendola firmare da Russia Prussia Austria Svezia Danimarca e Portogallo a difesa della libertà di navigazione sui mari contro le pretese inglesi di sottoporre a ispezione tutte le navi dei Paesi neutrali nel timore che trasportassero merci armi e combattenti per le colonie.
Dopo sconfitte e di fronte all’ampiezza dello schieramento avversario, l’Inghilterra si trovò costretta a firmare la pace e a riconoscere ufficialmente l’indipendenza degli Stati uniti con trattato di Versailles nel 1783.
All’interno dei tredici stati si manifestarono gravi tensioni dovute a una complessa serie di motivi, ma soprattutto ai contrasti sull’organizzazione dello Stato che vedevano schierate due opposte correnti di opinione. A fronteggiarsi erano i repubblicani antifederalisti con a capo Thomas Jefferson fautore di una politica economica agricola e dall’altra parte i federalisti capitanati da Hamilton che aveva una visione industriale degli Stati Uniti. Alla fine prevalse la politica federalista e venne varata una Costituzione federale che prevedeva un governo centrale retto da un Presidente e un sistema bicamerale con un Senato e una Camera dei Rappresentanti; il primo con 2 membri per ogni stato e il secondo con 1 deputato ogni 30000 abitanti per ogni stato. Il 21 giugno del 88 venne ratificata la Costituzione e nel marzo del 89 venne eletto come primo presidente George Washington.
La costituzione americana è espressione della cultura illuministica perché:
- Si fonda sul principio della divisione di poteri di Montesquieu
- Se fonda sul principio della sovranità popolare ed estende il diritto di voto ad un ambia base elettorale
- Recepisce il principio dell’uguaglianza politica
- Proclama la piena tolleranza in ambito religioso
- Vengono eliminati i privilegi ecclesiastici
- Viene considerata la prima costituzione moderna in quanto non fu concessa da un sovrano, bensì votata da un’assemblea di rappresentanti del popolo.
La Rivoluzione segnò l’inizio di una nuova fase storica nella quale si delinearono la prima forma di governo democratico e un nuovo tipo di società. Proprio l’assenza di distinzioni di rango e la conseguente tendenza al livellamento sociale impressionarono Tocqueville che definì queste caratteristiche il “fatto fondamentale” della società americana.
Gli Stati Uniti nascevano dunque come un amalgama di popoli regolato da principi di libertà e tolleranza. Ma agli schiavi neri e ai Pellirosse questi principi non vennero attuati. Gli schiavi africani venivano impiegati come servi o lavoranti nelle piantagioni del Sud ed erano trattati alla stregua degli animali. I coloni avevano elaborato l’assurda teoria secondo la quale gli schiavi sarebbero appartenuti a un specie inferiore; il razzismo si radicò in questa mentalità e durò a lungo nella storia americana. Gli indigeni dell’America del Nord chiamati Indiani o Pellirosse appartenevano al ceppo mongolo giunto dall’Asia per lo stretto di Bering vennero sterminati dagli americani che cercavano nuove terre. Essi furono sconfitti dalla tecnologia e dai diversi usi degli Americani che sconvolsero la vita dei Pellirossa.
La rivoluzione francese
La Francia agli occhi delle altre nazioni risultava all’avanguardia della cultura europea in quanto aveva portato l’Illuminismo nella sua forma più compiuta. Vi era un clima di ricche aspettative di rinnovamento che non si trasformarono in realtà e la mancanza di riforme portarono ad un malcontento tra tutte le classi sociali: nobiltà (Primo stato), clero (secondo stato) e popolo (terzo stato). Anche tra le viarie classi sociali vi era un grande distacco: i piccoli nobili vivevano nelle stesse condizioni dei borghesi i il basso clero viveva come la maggior parte della popolazione francese. La borghesia era la forza trainante del Terzo stato ed era composta da intellettuali, professionisti, banchieri e commercianti che secondo i principi illuministici non accettava di essere tenuta lontano dal governo. Se il liberalismo aveva dato grandi vantaggi all’economia francese, da un’altra parte aveva portato all’aumento dei prezzi con disagi per i lavoratori con reddito fisso come contadini e salariati e aveva solamente arricchito i grandi proprietari terrieri. Inoltre tra il 1786 e il 1789 un a serie di carestie aveva diminuito i prodotti agricoli e l’agricoltura francese era incapace di fornire una sufficiente quantità di alimenti ai mercati.
Per di più i contadini abbandonarono i campi per trovare lavoro in città e il settore industriale andò in crisi a causa della concorrenza inglese. Questa crisi unì il terzo stato contro nobili e clero provocando un senso di paura tra i ricchi che si opponevano a cambiare il sistema. Nel 1788 la pessima riuscita del raccolto provocò un spropositato aumento dei prezzi dei cereali e di conseguenza del pane. Una grande responsabilità andava alla monarchia, perché il re spendeva a piene mani per mantenere la corte, l’esercito e soprattutto i nobili e il clero non pagavano le tasse. Inoltre la Francia aveva affrontato molte guerre e molte sconfitte con perdite di denaro, uomini e colonie.
Di fronte all’aggravarsi del deficit erano possibili solo due strade: dichiarare bancarotta o una totale riforma del sistema finanziario. In tale situazione serviva un re intelligente e determinato, ma Luigi XVI era debole e indeciso e anche mal consigliato dalla moglie Maria Antonietta. Luigi si mostrò disposto a rinnovare le finanze e incaricò ben 3 ministri che non risolsero la situazione: Turgot elaborò un programma di risanamento per tassare nobili e clero, ma venne bloccato a causa del loro rifiuto.
Necker chiese prestiti ai banchieri privati, per non tassare nobili e clero, indebitando lo Stato. Rese pubblico il bilancio statale evidenziando che il deficit è generato soprattutto dalla corte, ma si dimise per l’opposizione delle classi privilegiate.
Charles Alexandre de Calonne cercò di ottenere l’approvazione per la riforma fiscale convocando un’assemblea di notabili, composta da esponenti della nobiltà e del clero. Ma il suo tentativo fallì per l’opposizione dei nobili che per evitare di essere tassati chiesero la convocazione degli stati generali, ritenuti i soli in grado di approvare una diversa forma di tassazione.
Luigi XVI cercò di contrastare la rivolta nobiliare ma dovette cedere e nel 1789 convocò gli Stati Generali. La borghesia si era impegnata a chiedere che tutti i cittadini dovessero avere lo stesso trattamento fiscale e che il potere regio fosse limitato; i delegati del Terzo Stato presentarono alla prima riunione i cahiers de dolèances, quaderni di doglianze che contenevano le lamentele e le richieste rivolte al re dagli elettori. Il 5 maggio del 1789 vennero aperti gli Stati Generali i cui rappresentanti erano stati votati nelle elezioni a suffragio ristretto e maschile. I nobili e il clero volevano una votazione per stato (in questo modo essendo due stati contro l’uno del terzo stato avrebbero vinto) mentre il Terzo stato voleva che si votasse per testa (il numero dei deputati del terzo stato superava la somma dei deputati del clero e nobiltà. Ne nacque un aspra controversia che culminò col giuramento della Pallacorda: il 20 giugno i rappresentanti del terzo stato trovarono chiusa la sala delle riunioni e si riunirono per proprio conto in uno stadio della pallacorda e giurarono di non separarsi fino a quando non avessero dato vita a una costituzione sul modello inglese. Questa assemblea prese il nome di Assemblea Nazionale. I nobili e il clero spinsero il re a ricorrere alla forza per sciogliere l’assemblea nazionale, ma di fronte alla determinazione del terzo stato il re ordino ai nobili e al clero si unirsi a questa assemblea e il 9 luglio si formò l’Assemblea Costituente per dare vita ad una nuova costituzione.
Rimaneva comunque uno stato di conflittualità che sfociò nella presa della Bastiglia: dopo che si era diffusa la notizia che il re aveva creato un nuovo governo conservatore e intendeva sciogliere con la forza l’assemblea costituente, circa 800 parigini, dopo essersi procurati le armi presso l’Hotel des Invalides, si diressero verso la Bastiglia, il simbolo dell’assolutismo regio e se ne impadronirono. Da allora il popolo, la nuova forza tumultuosa e disorganica assunse il controllo della città attraverso un consiglio di cittadini che prese il nome di Municipalità; per la difesa di Parigi fu istituita la guardia nazionale con a capo il marchese La Fayette. In tutta la Francia i contadini diedero inizio a violente rivolte, massacri e saccheggi ai danni dei possedenti.
La borghesia intanto andava impadronendosi dei consigli comunali che obbedivano all’Assemblea Costituente che nell’agosto 1789 decretò l’abolizione dei privilegi di nobiltà e clero e approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che affermava l’uguaglianza dei cittadini e dei loro diritti che erano dati dalla natura ed erano quindi inalienabili. Il popolo francese non era più suddito del re, ma cittadino dello stato. L’assemblea inserì altri diritti come la libertà di stampa, di parola, di pensiero e di religione, la sovranità popolare e l’inviolabilità della persona e della proprietà.
Il re rifiutò di approvare i decreti e il 5 ottobre una grande folla, soprattutto di donne raggiunse Versailles e costrinse il re a trasferirsi a Parigi per controllare meglio la situazione.
In questa fase molti esponenti del fronte rivoluzionario si riunirono in club impegnandosi nella lotta politica con volantini opuscoli e giornali:
- Gli Amici dell’89, moderati, capitanati da La Fayette aspiravano ad una soluzione sul tipo di quella codificata dalla costituzione inglese
- I Giacobini o Amici della costituzione erano all’inizio monarchici-costituzionali, ma sotto la guida di Robespierre assunsero un atteggiamento repubblicano
- Gli Amici dell’uomo e del cittadino era formato dai cosiddetti cordiglieri e ne facevano parte i più vivaci rappresentanti delle masse popolari parigine ed erano orientati verso l’abbattimento della monarchia; a capo c’era Danton e Marat.
La folla parigina era chiamata popolo rivoluzionario o sanculotti perché non portavano le culottes, pantaloni corti tipici dei nobili.
In favore della borghesia l’assemblea fece le seguenti riforme:
- Liberalizzazione del commercio
- Soppressione di corporazioni di mestiere
- Confisca statale delle proprietà ecclesiastiche
- Costituzione civile del clero
- Espropriazione di tutti i beni della chiesa e delle opere pie
La nazione si addossò le spese del culto e oramai presti e vescovi erano impiegati dello stato, di conseguenza venne ridotto il numero delle diocesi per limitare le spese statali. Inoltre i sacerdoti dovevano prestare giuramento alla nazione. Il clero contrario a queste riforme si staccò da quello normale e venne chiamato clero refrattario.
Nel 1791 il re tento di fuggire da Parigi, ma a Varennes fu riconosciuto, fermato e ricondotto a Parigi dove fu imprigionato nei locali dove si trovava l’Assemblea.
Il 17 luglio 1791 si tenne a Campo di Marte a Parigi una manifestazione per chiedere l’abolizione della monarchia: ma la guardia nazionale preoccupata per lo spirito rivoltoso della massa e per disperderla fece ricorso alle armi e uccise 40 dimostranti. L’Assemblea prese posizione contro le aspirazioni rivoltose delle masse popolari che persero ogni fiducia nell’assemblea.
In questo periodo l’Assemblea si riavvicinò alla monarchia e permise al re di firmare la costituzione e così la Francia divenne una monarchia costituzionale. I poteri erano divisi in tre (secondo le teorie di Montesquieu): legislativo, in mano a un’unica assemblea di 750 membri; esecutivo esercitato da ministri scelti dal re; giudiziario assegnato a giudici eletti dal popolo. Ma solo una minoranza del popolo che godeva di un certo reddito poteva esercitare il proprio diritto di voto, per questo il popolo francese venne diviso in cittadini attivi e passivi a seconda che avessero o meno il diritto al voto. L’assemblea deliberò anche l’unificazione dei pesi e delle misure, l’adozione del sistema metrico decimale e l’eliminazione dei titoli nobiliari, delle tasse feudali e delle dogane interne. Presso ogni comune vennero istituiti gli uffici di stato civili che avevano la funzione delle nostre moderne anagrafi.
Prima fase della grande Guerra
Le cause del primo conflitto mondiale furono:
- L’attentato di Sarajevo
- Lo spartizione imperialista delle colonie
- La politica aggressiva e militarista tedesca
- La lunga crisi balcanica
- La creazione di sistemi di alleanze contrapposte (contrasto anglo-tedesco)
- Il nazionalismo
- L’economia tesa allo sviluppo di industria pesante e militare
- Gli irredentismi
Triplice Intesa: Francia Inghilterra e Russia
Triplice Alleanza: Germania Austria e successivamente Italia
Il 28/06 del 1914 vennero uccisi a Sarajevo Francesco Ferdinando, arciduca ereditario austriaco e la moglie. Autore del delitto su uno studente serbo, Princip. L’Austria si mostrò subito decisa a dare una lezione alla serbia e reagì inviando a Belgrado un ultimatum di 48 ore contenente richieste durissime. Ma l’austria, che pretendeva una resa senza condizioni, non si ritenne soddisfatta e dichiarò guerra alla serbia (28/7/1914). Scattò cosi il meccanismo delle alleanze militari e quello assai più complesso della mobilitazione generale che coinvolse masse enormi da riunire, equipaggiare e addestrare. La germania entrò in guerra con l’Austria contro la Russia e la Francia schieratesi a fianco della serbia. Il piano della Germania elaborato dal generale Von Schlieffen, mirava a mettere rapidamente fuori combattimento l’esercito francese schierato sulla frontiera. Per prenderlo alle spalle la Germania invase il Belgio, violandone la neutralità, sulla base dei trattati internazionali i quali non venivano seguiti. Un simile atto costituì un gravissimo errore contribuendo a far apparire l’esercito germanico come l’espressione tipica della violenza, ma indusse l’inghilterra a scendere in campo a fianco della Francia (preoccupata per la presenza dei tedeschi sulle coste della manica). Il piano tedesco doveva fallire; i belgi opposero un accanita resistenza e l’esercito francese appoggiato dai britannici ebbe la possibilità di prepararsi a difendere il fronte e di fermare l’invasore, giunto fino al fiume Marna: Qui impegnò il nemico in una sanguinosa battaglia e lo respinse sul fiume Aisne. Cosi la guerra che fino al qual momento era stata di movimento si trasformò in una guerra di posizione.
I russi avevano invaso la Prussia e la loro avanzata era divenuta minacciosa che per arginarla il comando tedesco si era visto costretto a prelevare numerosi reparti dal fronte francese. La germania riuscì a fermare e a sbaragliare gli avversari nelle due battaglie di Tannemberg e dei laghi Masuri.
Il governo italiano era stato colto di sorpresa dagli avvenimenti: l’Austria aveva ultimatum alla Serbi a senza informare il nostro paese e aveva anche dato inizio ad una guerra offensiva e ciò era in contrasto con quanto prevedeva il trattato della triplice alleanza. L’italia il 2/8/14 aveva dichiarato ufficialmente di voler restar neutrale: nei dieci mesi successivi si susseguirono in Italia accese discussioni fra neutralisti e interventisti; nello stesso tempo le potenze dell’intesa tentavano di attirare l’Italia dalla loro parte.
Alla fine il ministro degli esteri Sonnino si decise a firmare con le potenze dell’intesa il patto segreto di Londra 26/4/15. In base ad esso l’Italia garantiva agli alleati il proprio intervento a loro fianco entro 30 giorni. In caso di vittoria l’Italia avrebbe avuto una parte di territori tra cui il Dodecaneso.
INTERVENTISTI |
NEUTRALISTI |
Irredentisti democratici e alcuni socialisti riformisti che vedevano la grande guerra come una sorta di 4° guerra d’indipendenza. |
Partito socialista vedeva la guerra solo a favore dei capitalisti e non della classe operaia |
Liberal-consevatori (salandra e sonnino) che vedevano la guerra un occasione per il rafforzamento internazionale dell’Italia |
Cattolici erano neutralisti per ragioni umanitarie e perché non si poteva andare contro i cattolici austriaci |
Nazionalisti (Mussolini) vedevano la guerra come igiene del mondo e un mezzo per rafforzare l’autoritarismo dell’esecutivo e rendere più stabile il paese |
Liberali-giolittiani non credevano in una guerra di breve durata e pensavano di ottenere ricompense con la propria neutralità |
Sindacalisti-rivoluzionari vedevano la guerra come un motivo di slancio per un’azione rivoluzionaria |
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In Italia gli interventisti organizzarono numerose manifestazione dette Radiose giornate: uno dei oratori ufficiali fu D’annunzio, vi era tuttavia una maggioranza neutralista legata al nome di Giolitti. Salandra, interventista, il presidente del consiglio, prese la decisione di presentare le dimissioni al re, il quale era favorevole all’intervento e lo invitò a restare al governo. Il 20 maggio in parlamento vi era l’approvazione del conferimento dei pieni poteri al governo in caso di guerra. Sotto l’impressione del fermo atteggiamento del re e delle manifestazioni di piazza il parlamento fini per votare i pieni poteri a salandra. Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Al momento dell’ingresso dell’italia nel conflitto le cose non andavano bene per l’Intesa. Se sul fronte occidentale era stato possibile contenere la pressione tedesca, la situazione andò peggiorando sul fronte orientale, dove i russi erano stati ricacciati dalla polonia e dalla lituania. Gli austro-tedeschi con la bulgaria riuscirono a mettere fuori combattimento la serbia. L’intervento Italiano costituì l’unico elemento positivo per l’intesa. Il nostro esercito comandato da Cadorna dovette arrestarsi dinanzi alla resistenza austriaca. Tra il giugno e il dicembre del 15 furono combattute le 4 battaglie dell’isonzo, risoltesi con perdite ingentissime da entrambi i fronti. Il 3° anno di guerra si aprì con eserciti numerosissimi che ancora si fronteggiavano a breve distanza l’uno dall’altro, mentre all’interno dei singoli paesi milioni di uomini (il fronte interno) venivano impegnati per produrre armi e munizioni. La battaglia di Verdun e della Somme si risolsero in vere e proprie stragi a causa dell’uso di munizioni all’avanguardia come lanciafiamme e gas asfissianti, senza conseguire alcun risultato decisivo.
Nel maggio del 1916 si svolse l’unico scontro navale anglo-tedesco nel mare del Nord. Gli austriaci sferrarono in trentino una violenta offensiva detta spedizione punitiva con l’intenzione di vendicare il tradimento dell’italia. L’azione dell’austria ebbe all’inizio successo, ma la resistenza italiana permise al comando italiano di passare alla controffensiva, grazie anche ai russi. L’offensiva portò Vienna sull’orlo di una catastrofica resa.
Di fronte al grave pericolo corso, il governo Salandra si dimise, per dare vita a una più forte compagine ministeriale con la partecipazione di tutti i partiti interventisti. Il nuovo governo, presieduto da Boselli, dichiarò guerra anche alla Germania. Intanto l’Italia aveva iniziato un’offensiva sull’Isonzo conquistando Gorizia. Le sorti della guerra erano ancora incerte. L’Austria con il nuovo re Carlo I e la Germania si avvicinavano alla pace e grazie anche all’intervento di papa Benedetto XV si avviarono le prime trattative per la fine di questa strage, che fallirono anche a causa del primo ministro inglese George sostenitore della guerra a oltranza.
Giolitti
Dopo la morte di Umberto I divenne re Vittorio Emanuele III che affidò il governo all’esponente della sinistra Giuseppe Zanardelli. Questo abbandonò il sistema repressivo seguito dai predecessori, concesse un amnistia ai condannati politici e una limitata libertà di associazione e di propaganda e in seguito egli si ritirò per malattia e fu sostituito da Giovanni Giolitti incarico che mantenne per quasi un decennio (età giolittiana). Di orientamento liberale il nuovo capo del governo fu abilissimo nel trovare un equilibrio tra le forze sociali promuovendo una legislazione sociale e una politica volta a favorire la nascente industria italiana. Concesse ampia libertà di sciopero. Fece molte riforme per i lavoratori convinto che potessero giovare a tutto il paese: le riforme furono a favore di: lavoratori anziani, infortunati ,fanciulli e delle donne. Venne esteso l’obbligo dell’istruzione elementare e venne stabilito il diritto al riposo settimanale. Venne stabilita anche un’indennità parlamentare e vennero aumentate le retribuzioni degli operai e dei salariati. Distribuì gratuitamente il chinino contro la malaria e fece migliorare le condizioni di vita e sanitarie dei cittadini. L’economia nazionale fu risanata e aumentarono le entrate dello stato: fu possibile mantenere il bilancio in pareggio e successivamente anche in attivo.
La favorevole situazione finanziaria accrebbe i depositi presso le banche che poterono finanziare imprese agricole e industriali. Si sviluppò l’industria meccanica, chimica tessile ed alimentare. Fu estesa la rete ferroviaria e stradale e venne aperto il traforo del sempione. Giolitti istituì inoltre il monopolio stradale sulle assicurazioni sula vita. L’Italia era però ancora un paese arretrato, ancora dilagava l’analfabetismo, si moriva di tubercolosi e vi erano disoccupazione e miseria.
Giolitti estese il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di 21 anni in grado di leggere o 30 anno se analfabeti. La politica di Giolitti non fu esente da critiche. Durante le elezioni cedette alla corruzione e alla intimidazione. Malgrado queste accuse la lunga stabilità del suo governo portò ad importanti risultati.
Giolitti si accordo anche con il partito socialista offrendo a Turati,capo del partito, di entrare nel suo primo governo. Offrì alla chiesa un riavvicinamento per avere appoggio nei confronti del pericolo dei comunisti.
Lasciando da parte il ps (partito socialista) stipulò un patto segreto in base al quale i cattolici si impegnavano a votare i deputati liberali, il patto Gentiloni.
Il sacerdote Murri fondò nel 1900 il movimento chiamato “democrazia cristiana”: aperto ai problemi sociali dell’industrializzazione e polemico nei confronti dei cattolici intransigenti. Questo movimento non trovò il consenso del papa i quali scomunicarono Murri. Nel frattempo il sacerdote Sturzo si adoperò per fondare un partito laico cristiano a carattere democratico e popolare. Con il nome di partito popolare prima e di democrazia cristiana poi il partito di Sturzo diventerà il protagonista della storia politica italiana nella seconda metà del secolo.
Giolitti prese accordi con la Francia per eliminare i contrasti tra i due paesi indebolendo i rapporti con la triplice alleanza e rafforzando al posizione italiana in Europa. Giolitti lasciò invadere il Marocco dalla Francia ed ebbe la possibilità di invadere la Libia dando inizio alla seconda impresa militare italiana (la prima era fallita).
Nel 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia e sconfisse gli avversari ad Ain Zara e lentamente conquisto il territorio libico. Per costringere la Turchia alla pace l’Italia attaccò il Dodecaneso e penetrò nello stretto di dardanelli. Il sultano Turco firmò la pace il 18/10/1912 cedendo all’Italia la Libia. Questa occupazione non portò i vantaggi economici sperati perché era una zona desertica e priva di materie prime ad eccezione del petrolio che però non era ancora scoperto. Tuttavia le operazioni militari contribuirono a rafforzare le posizioni italiane nel mediterraneo. L’impresa libica spinse i nazionalisti sempre più contro il governo considerato debole e provocò una spaccatura nel ps tra i riformisti favorevoli alla guerra e la maggioranza contraria. I riformisti espulsi formarono il partito socialista riformista italiano; altri socialisti riformisti rimasero nel psi diretto da Mussolini.
La leadership di Giolitti cominciò ad indebolirsi e cedette il posto a Salandra. Il governo Salandra non molto diverso da quello giolittiano intendeva dal punto di vista pratico percorrere vie diverse. la situazione precipitò e il 07/06/1914 durante una manifestazione socialista vennero uccisi tre dimostranti. Ne consegui una settimana di sciopero generale con agitazioni e tumulti detta settimana rossa
La rivoluzione russa
La lunga guerra stava ormai logorando i soldati di tutti i paesi in lotta, oltretutto duramente provati da un inverno rigido che causava difficoltà sempre più gravi alle popolazioni civili. A questo punto la propaganda pacifista andava via via diffondendosi fra la popolazione e si diffondevano tra le truppe tentativi di diserzione e di autolesionismo.
Ad accrescere l’insofferenza generale si aggiungeva la constatazione degli enormi profitti ricavati da industriali e speculatori, in contrasto con la durissima vita dei soldati e con le privazioni sopportate dagli abitanti delle campagne. Questo senso di insoddisfazione tra la popolazione assumeva in alcuni casi forme di ribellione.
Nella Russia zarista lo stato d’insofferenza e di scoraggiamento si era andato aggravando; l’8 marzo 1917 (corrispondente in Russia al 23 febbraio - a causa dei 13 giorni di differenza tra il calendario ortodosso e quello gregoriano) scoppiò a Pietrogrado una spontanea sommossa popolare contro la dilagante carestia e la fame. Le truppe incaricate di ripristinare l’ordine finirono per unirsi agli insorti (la rivoluzione di febbraio).
Si formò un governo provvisorio di unità nazionale a cui capo era L’vov, un personaggio che rappresentava gli interessi degli industriali, ma che aveva al proprio fianco come ministro Kerenskij (unico esponente della sinistra). Sotto la pressione del governo e dell’opinione pubblica lo zar Nicola II venne indotto ad abdicare la corona al fratello Michele, il quale rifiutò la corona rendendosi conto dell’impossibilità di dominare la situazione. Lo zar e i suoi familiari vennero successivamente trasferiti e sorvegliati.
Le forze popolari riuscirono ad affiancare al governo L’vov l’istituzione dei soviet (assemblee) degli operai, dei soldati e dei contadini. I soviet furono costituiti con delegati eletti dai lavoratori all’interno delle fabbriche e dai corpi dell’esercito che si erano ammutinati. Come reazione della popolazione riguardo alle disastrose condizioni del paese, si andava estendendo il disfattismo nazionale, diretto a sottrarre la Russia alla guerra mediante l’accettazione di una pace a qualsiasi costo e a difendere sul piano morale i disertori.
Nel frattempo Lenin era rientrato a Pietrogrado, pubblicando le “tesi d’Aprile” che miravano a trasformare al più presto la rivoluzione borghese di febbraio in rivoluzione proletaria e comunista, interrompendo così ogni possibilità di intesa con la maggioranza; con il dichiarato proposito di eliminare come reazionario e incapace il governo L’vov e di concentrare tutto il potere nei soviet, espressione diretta degli interessi proletari e popolari e capaci di gestire il passaggio dalla rivoluzione borghese a quella socialista. Famosi sono gli slogan “tutto il potere ai soviet” o “la terre ai contadini e le fabbriche agli operai”. Di grande importanza era poi la necessità di stipulare una pace immediata.
In seguito alla caduta del governo L’vov, la presidenza del governo provvisorio venne assunta da Kerenskij, il quale dovette affrontare una situazione disastrosa sia sul fronte interno (scioperi-manifestazioni) che quello esterno. Di qui l’attesa da parte di molti di un uomo forte, capace di riportare la disciplina nell’esercito e di bloccare le manifestazioni. Ci fu cosi il colpo di mano del generale Kornilov (comandante dell’esercito) il quale si impegnò a riportare la Russia alla normalità abbattendo sia il governo Kerenskij che i soviet. In questa circostanza il governo provvisorio di Kerenskij si trovò costretto a chiedere l’appoggio dei soviet e dei bolscevichi guidati da Lenin. Questo resosi conto dell’accresciuta influenza delle forze rivoluzionarie e dello sfaldamento delle strutture governative rovesciò il governo Kerenskij acquisendone il potere; nella notte tra il 6 e il 7 novembre (24-25 ottobre per i russi), la guardia rossa (un corpo armato di operai organizzato dai bolscevichi), occupò il Palazzo d’Inverno sede del governo. La sommossa aveva come scopo l’allontanamento di tutti gli elementi borghesi dall’apparato statale per la formazione di un governo rivoluzionario di operai e soldati e per la cessazione della guerra. Si era così conclusa la rivoluzione d’ottobre (6-7 novembre 19127). Dopo il successo della rivoluzione d’ottobre Lenin soppresse il governo Kerenskij. Si procedette così alla costituzione di un nuovo ministero, espressione del partito bolscevico: nacque così il consiglio dei commissari del popolo del quale Lenin era il presidente, Trotskij (commissario degli esteri e successivamente della guerra) e Stalin (commissario delle nazionalità: si occupava di curare i rapporti fra le parti dell’ex impero zarista).
Un duro lavoro aspettava il consiglio dei commissari del popolo; prima però si dovevano risolvere due problemi di fondo:
- Lo scioglimento dell’Assemblea costituente
- La fine della guerra
L’assemblea costituente serviva per dare una forma definitiva di governo al paese ma visto che i risultati elettorali erano stati deludenti per i bolscevichi Lenin si affrettò a proclamare che il potere dei soviet era da considerarsi superiore a quello dell’Assemblea. (per sintetizzare vi era a capo di tutto il consiglio dei commissari del popolo, poi i soviet ed infine l’Assemblea costituente)
Il secondo problema riguardò l’immediata cessazione delle ostilità: il nuovo governo intavolò con l’Austria-Ungheria e con la Germania intense trattative, che si conclusero con l’armistizio di Brest-litovsk nel 1917 che si trasformò in pace nel 1918 a condizioni durissime che comportarono per la Russia la rinuncia della Polonia e della Lituania.
La fine della guerra
Il crollo del fronte russo costituì un duro colpo per l’Intesa ma soprattutto per l’Italia che si vide 40 divisioni tedesche (in più) da controllare. Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917 gli Austriaci, aiutati da sette divisioni tedesche, scatenavano un’improvvisa e potente controffensiva, spezzando il fronte italiano a Caporetto. Alla grave situazione l’Italia reagì con fermezza. Infatti, mentre nel paese al debole ministero Boselli succedeva un nuovo “ministero” presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, il quale mobilizzò tutte le forze lavoro per colmare le perdite (uomini e alimenti), la difesa della linea del Piave venne affidata ai veterani. L’esercito italiano guidato da Armando Diaz, contrastò ogni tentativo di sfondamento del nemico preparandosi alla riscossa.
La situazione cambiò con l’entrata in guerra degli USA a fianco dell’Intesa: il presidente americano Wilson sotto la crescente pressione dell’opinione pubblica, indusse il congresso a dichiarare guerra alla Germania in nome della libertà e del diritto dei popoli, abbattendo i regimi autoritari al fine di creare i presupposti per una piena democrazia.
Gli altri motivi riguardo l’intervento americano furono:
- Per fronteggiare il militarismo tedesco
- Per salvare i crediti fatti all’Intesa sotto forma soprattutto di massicci rifornimenti di materie prime e di armi
- Perché la guerra sottomarina, condotta dalla Germania, colpiva qualsiasi nave anche appartenente a forze neutrali
- Per la convinzione che la neutralità avrebbe finito per togliere ogni peso politico agli USA al momento delle trattative di pace
Gli americani inviarono uomini mezzi e viveri; non va dimenticato che tale intervento determinò un forte indebitamento nei confronti degli USA da parte dell’Europa.
Nel 1918 Germania e Austria tentarono la prova suprema: benché la loro situazione interna stesse diventando insostenibile, i due imperi riunirono sui rispettivi fronti tutte le riserve disponibili in uomini e mezzi. I tedeschi sferrarono il loro attacco agli Anglo-Francesi con la battaglia di Kaiser ma l’esercito francese riuscì a sterrare una potente controffensiva nella “seconda battaglia di Marna”. Successivamente anche l’Austria giocava l’ultima carta, attaccando sul Piave senza successo. Nel frattempo la marina da guerra italiana e l’aviazione portavano il loro contributo positivo: tra le imprese di maggior rilievo ricordiamo gli attacchi da parte di velocissimi motoscafi (mas) per l’affondamento di corazzate austriache. Arrivarono le richieste di pace da parte della Turchia e della Bulgaria (le quali facevano parte della triplice alleanza); proprio in questo momento il generale Diaz decise di sferrare un’offensiva che ebbe inizio il 24 ottobre e che portò allo sfondamento del fronte austriaco a Vittorio Veneto con la ritirata del nemico. I giochi erano fatti: poche ore dopo le nostre truppe erano entrate a Trento. Il 03/11/1918 a villa Giusti l’Austria era costretta a firmare l’armistizio. L’Italia aveva vinto.
Otto giorni dopo anche la Germania si trovò costretta a firmare l’armistizio.
Sull’onda della sconfitta subita, Germania e Austria dichiararono decaduti i rispettivi regnanti e si trasformarono in repubbliche.
La conferenza di pace
Due mesi dopo la cessazione delle ostilità, i rappresentanti delle potenze vincitrici si riunirono a Parigi allo scopo di dare una nuova sistemazione all’Europa; alla conferenza di pace parteciparono quelle potenze che avevano un effettiva autorità (i quattro grandi): Wilson per gli USA, Clemenceau per la Francia, Lloyd Gorge per l’Inghilterra e Orlando per l’Italia.
Ben presto fu evidente il contrasto fra la mentalità politica della diplomazia europea ed il nuovo orientamento democratico americano. Wilson aveva fissato in 14 punti i principi fondamentali cui la pace avrebbe dovuto ispirarsi.
- pubblici trattati di pace
- assoluta libertà di navigazione per mare
- soppressione di tutte le barriere economiche
- garanzie che gli armamenti dei singoli stati saranno ridotti al minimo
- regolamentazione di tutte le rivendicazioni coloniali
- regolamentazione della questione russa allo scopo di dare possibilità allo stato russo di un nuovo sviluppo economico
- il belgio dovrà essere evacuato e restaurato
- il territorio della Francia dovrà essere completamente liberato
- rettifica delle frontiere italiane
- libertà ai popoli dell’Austria-Ungheria per un nuovo sviluppo economico
- Romania Serbia e Montenegro dovranno essere evacuati e restaurati
- alle regioni turche dovrà essere assicurata una sovranità non contestata
- dovrà essere creato uno stato indipendente polacco
- in virtù di condizioni formali dovrà essere creata un’associazione delle nazioni, allo scopo di procurare a tutti gli stati garanzia di indipendenza
Più autodecisione dei popoli e i confini debbono comprendere quanti parlano la stessa lingua e hanno la stessa nazionalità.
Dalla conferenza di pace scaturirono 5 trattati, il più importante fu il trattato di Versailles con la Germania. Le clausole di Versilles imposte alla Germania furono di tre tipi: territoriali, militari ed economiche. Con quelle territoriali la Germania cedeva alla potenze vincitrici i propri possedimenti coloniali ed alla Francia il bacino minerario del Saar, con quelle territoriali la Germania è costretta a ridurre il proprio esercito a 100.000 uomini mentre con quelle economiche dovette risarcire alle nazioni vincitrici tutti i danni di guerra. Questa clausole costituirono una pesante umiliazione che permette di rilevare i 4 fondamentali errori commessi dai vincitori, errori che portarono al risorgere di rivincita tedesco:
1)rifiuto di trattare con i perdenti dei trattati di pace
2)richieste economiche molto elevate da non permettere una ripresa economica
3)criteri di riorganizzazione mai messi in atto
4)eccessivo peso dato agli interessi nazionali delle potenze vincitrici.
A favore della repubblica di Polonia veniva creato un corridoio che le univa al Mar Baltico.
Fondamentale per l’Italia fu il trattato di Saint-Germain, firmato il 10 settembre 1919 in base al quale l’Austria era costretta a cedere il Trentino, l’Alto Adige e l’Istria.
L’imperialismo
Il rapido evolversi dello sviluppo economico industriale fra XIX e XX sec. Finì per determinare contrasti fra diversi stati europei. Il nazionalismo si trasformò in aggressivo espansionismo verso i paesi extraeuropei, a danno dei quali ogni stato tendeva a crearsi un proprio impero: questo è l’imperialismo inteso come tendenza ad espandere il possesso ed il controllo economico e politico sulla maggiore quantità possibile di territori. La penetrazione coloniale era sostenuta dall’illusione della superiorità politica, culturale e biologica della razza bianca. Oltre ai fattori ideologici ci furono moventi economici: aumentò la domanda europea dei prodotti e di conseguenza la domanda di materie prime necessarie alla produzione: ma lì Europa non disponeva di sufficienti merci e materie prime e andò alla ricerca di territori d’oltre mare poco sfruttati per reperire le materie prime. In questo modo l’Europa aumentò al sua produzione e alzò il suo livello di produttività.
Nel 1884 venne inaugurata a Berlino con la partecipazione dei più importanti stati una conferenza internazionale per gli affari africani nel corso della quale le maggiori potenze riuscirono ad assicurarsi il diritto di spartizione dell’Africa. L’Inghilterra, la Francia il Belgio e la Germania avevano un vasto impero coloniale mentre Olanda Portogallo e Spagna erano meno forti; alle potenze europee si affiancarono USA Giappone ed Italia.
Si venne a creare un contrasto tra le due maggiori potenze coloniali: Inghilterra e Francia che sembrò scoppiare nel 1898 dove truppe francesi ed inglesi si incontrarono a Fascioda. Il governo di Parigi impose alle truppe di abbandonare la città per evitare una guerra coloniale. Da quel momento i rapporti tra Francia e Inghilterra migliorarono sempre di più fino a confluire nella triplice intesa.
Belle epoque
Il radicale mutamento tecnologico della seconda metà dell’Ottocento suscitò un diffuso senso di euforia accompagnato da una grande fiducia in un progresso materiale illimitato. Questo periodo dal 1885 al 1915 è detto “Bella epoque”.
Nel 1888 dopo la morte di Guglielmo I era salito al trono Guglielmo II. Si liberò subito di Bismarck per poter imprimere un nuovo corso alla politica estera tedesca. L’imperatore adottò una linea improntata al militarismo appoggiando le aspirazioni di conquista divenute più imperiose che mai nel paese in seguito al crescente nazionalismo. Il Kaiser (l’imperatore) costruì una operosa flotta militare e procedette ad un energico riarmo dell’esercito. Questa politica allontanò dall’imperatore le simpatie dell’Europa, soprattutto dell’Inghilterra la quale era preoccupata per il successo economico industriale dell’impero tedesco che possedeva un grande abbondanza delle materie prime. Gulgielmo II non rinnovò il patto segreto con la Russia voluta da Bismarck avvicinando il governo zarista alla Francia.
Le guerre balcaniche
Il progressivo declino dell’impero Ottomano aprì la strada all’espansionismo austriaco all’interno dell’Impero ottomano il partito dei giovani turchi tentò di avviare un processo di liberalizzazione per modernizzare il paese. L’Austria approfittò di questa fase di transizione per annettere nel 1908 la Bosnia Erzegovina. Questo gesto irritò la Serbia, con l’appoggio della Russia, che aspirava a liberare dall’Austria le popolazioni delle Bosnia e riunirle in un unico stato, la Iugoslavia. Nel 1912 le cose cominciarono a precipitare dando luogo alla prima guerra balcanica. Mentre l’Italia stava conducendo la guerra contro la Libia la Serbia la Grecia il Montenegro e la Bulgaria si coalizzarono per sottrarre all’Impero Ottomano la Macedonia. La guerra fu vinta dalla coalizione appoggiata dalla Russia. Si arrivò al trattato di Londra del 1913 nel quale l’Impero turco rinunciò a tutti territori Europei tranne Costantinopoli e gli stretti e riconobbe il regno indipendente di Albania. La pace durò due mesi e ci fu la seconda guerra balcanica che si risolse con la pace di Bucarest che assegnava gran parte della Macedonia alla Serbia.
Nel 1893 la Francia firmò con la Russia un accordo di reciproca assistenza in campo militare. Il trattato tra Germania e Austria del 1879, la duplice alleanza (divenuta triplice nel 1882 con l’ingresso dell’Italia) fu il primo passo nella formazione di due blocchi di potenze contrapposte in Europa. Nel 1904 Inghilterra e Francia firmano un’intesa cordiale che culminò nel 1907 con la formazione della triplice intesa.
Il dopoguerra in Italia
Nel dopoguerra l’Italia che pure era uscita vincitrice dal conflitto, dovette affrontare numerose difficoltà economiche: la riconversione produttiva, la disoccupazione, la crisi finanziaria. Il peggioramento della situazione economica provocò una pesante inflazione e un inasprimento dei conflitti sociale. Questi fattori di malcontento si unirono alla delusione per la vittoria mutilata. Il dopoguerra era per di più travagliato da un profondo senso di frustrazione non solo fra i militari. Sembrava infatti che i terribili costi, soprattutto umani, della guerra non fossero serviti a nulla dato che l’Italia alla conferenza di pace di Parigi, non aveva neppure raggiunto gli ampliamenti territoriali previsti dal patto di Londra. Ebbe cosi vasta presa il mito della vittoria mutilata che rianimò le vecchie lotte interne tra i nazionalisti e i neutralisti; i primi a riprendere le armi per correggere le storture dei trattati di pace, i secondi decisivi avversari di ogni forma di violenza.
Si vennero cosi diffondendo forti tendenze autoritarie e antidemocratiche, in primo luogo negli organi fondamentali dello stato come burocrazia ed esercito, abituati nel periodo bellico ad esercitare un ruolo di primaria importanza nei confronti del parlamento. In questo difficile contesto il partito liberale andava perdendo peso politico, mentre nel 1919 nasceva ad opera di Luigi Sturzo il partito popolare con un programma basato sulla riforma agraria. Gravi dissidi si manifestarono nel maggiore partito di massa dell’epoca: il partito socialista al cui interno si scontravano:
- la linea riformista di Turati che sosteneva che il compito dei socialisti era quello di individuare e mettere in pratica una strategia di lotta per le riforme e per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavorative
- la linea massimalista di Serrati che era convinta che fosse oramai prossimo in Italia l’avvento della rivoluzione proletaria si tipo sovietico
- la corrente dell’ordine nuovo di Bordiga che sollecitava la formazione di un partito rivoluzionario sul modello del partito di Lenin
Benito Mussolini rientrato dal fronte si era messo a difendere i risultati positivi della guerra contro l’arrendevolezza della classe dirigente e a farsi sostenitore dell’ordine interno tra i disordini di piazza di stampo socialista. Dotato di un’ottima capacità oratoria era riuscito a raccogliere intorno a se alcuni simpatizzanti tra i nazionalisti e gli ex combattenti, con i quali aveva fondato i fasci di combattimento. Il programma del nuovo movimento, chiamato programma di San Sepolcro, prevedeva l’instaurazione della repubblica con ampie autonomie regionali e comunali, il suffragio universale esteso anche alle donne, l’istituzione del referendum popolare. Prevedeva inoltre la terra ai contadini e la concessione di industrie a organizzazioni operaie. Il programma di San sepolcro come lo stesso movimento dei fasci erano considerati come un movimento politico duttile ed elastico. I fascisti si consideravano aristocratici e democratici, reazionari e rivoluzionari a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente; non hanno dottrine prestabilite, la loro unica tattica è l’azione. Primo segno di un nuovo movimento fu il saccheggio e l’incendio della sede dell’Avanti, durante uno sciopero generale a Milano.
Nel Dopoguerra si verificò la questione di Fiume, città che l’Italia intendeva annettere contro il volere delle altre potenze mondiali; D’Annunzio con un gruppo di nazionalisti, marciò su Fiume, dove instaurò un governo provvisorio, chiamato reggenza del Carnaro, proclamando l’annessione della città all’Italia.
Con la firma del trattato di Rapallo che dichiarava Fiume città libera, e con l’allontanamento di D’Annunzio dalla città, si giunse ad una soluzione.
Il fascismo
Il primo risultato delle elezione del 1921 fu la caduta del ministero Giolitti; l’incarico di formare un nuovo governo venne affidato a Bonomi e successivamente a Facta, dotato di poca autorità. Di fronte all’evidente crisi dello stato liberale i fascisti dichiaravano ormai di voler arrivare con la forza al governo senza alleanze. Il rifiuto socialista era dettato dal timore di restare isolati dalle masse. Di fronte al progressivo deteriorarsi della situazione, i socialisti decisero di offrire la propria disponibilità per una collaborazione governativa con i fascisti. L’unica conseguenza di questa decisione fu una scissione del partito socialista italiano, durante il quale la maggioranza massimalista espulse i riformisti del partito: questi ultimi costituirono il partito socialista unitario, il quale segretario fu Giacomo Matteotti. Il 26/10/1922 Mussolini ordinò ai suoi seguaci di marciare su Roma e di impadronirsi del potere; il presidente del consiglio Facta si preparò a resistere alle squadre fasciste. Quando Facta presentò al sovrano il decreto che proclamava lo stato di assedio, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare, timoroso di non vedere eseguito un simile ordine da parte dell’esercito italiano oramai schierato coi fascisti.
La via per Roma era cosi aperta ai fascisti. Infatti il 29/10 il re invitava Mussolini a raggiungere la capitale per formare un nuovo governo. La monarchia aveva scavalcato il parlamento compiendo un colpo di stato: i fascisti infatti costituivano ancora in ambito parlamentare una ristretta minoranza. Mussolini si affrettò per formare un ministero di coalizione composto non solo da fascisti ma anche da liberali e social democratici. Inizialmente Mussolini lasciò relativamente liberi la stampa e i partiti, in pratica egli continuava ad appoggiare le azioni terroristiche al fine di mettere a tacere gli avversari più temibili. Aumentando le spedizioni punitive, avvalendosi della protezione degli organi governativi, si moltiplicavano le devastazioni dei giornali e dei saccheggi. Mussolini cercava con ogni mezzo di togliere prestigio e autorità al parlamento: nel dicembre del 22 fondò il gran consiglio del fascismo, un supremo organo collegiale destinato a prendere le decisioni politiche e quindi a limitare notevolmente le funzioni parlamentari.
Nel gennaio del 23 arrivò ad istituire un vero e proprio esercito di partito posto direttamente ai suoi ordini, trasformando le squadre di azione in milizia volontaria per la sicurezza nazionale. In ogni caso il fascismo disponeva di un numero esiguo di deputati, decise quindi di indire nuove elezioni per il mese di aprile del 24, dopo aver fatto votare nel novembre del 23 una legge elettorale di tipo maggioritario (la legge Acerbo) destinata ad assicurare la maggioranza parlamentare al partito che avesse raccolto più voti. Al fine di assicurare in ogni modo il successo al movimento fascista, Mussolini volle che le operazioni elettorali si svolgessero sotto il segno dell’intimidazione, commettendo brogli. L’opposizione si fece ben presto sentire, tra cui Matteotti che aveva denunciato in parlamento le irregolarità e i soprusi commessi. Venne quindi rapito e assassinato. Il re che avrebbe potuto e dovuto garantire il rispetto delle leggi non si mosse. L’opposizione composta da socialisti e comunisti abbandonò la camera, decisa a non partecipare più ai lavori parlamentari, finché il re non avesse ristabilito la libertà democratica licenziando Mussolini.
Infatti il 27 giugno del 24 l’opposizione abbandonò il parlamento ed ebbe origine la secessione dell’Aventino. Tale protesta non ebbe le conseguenze sperate per tre motivi:
- I partiti democratici non riuscirono a mettersi d’accordo e ad organizzare la lotta
- Il fascismo godeva oramai dell’appoggio della monarchia
- L’assenza dei deputati dell’opposizione dette occasione a Mussolini di affretta tre la distruzione delle istituzioni democratiche.
Mussolini rimise in moto le squadre di azione riuscendo a varare restrizioni della libertà di stampa, ma addirittura con il discorso alla camera rivendicò a se la responsabilità di quanto accaduto, preannunciando l’instaurazione della dittatura. Il fascismo era diventato un partito di regime. Iniziò ufficialmente il processo di smantellamento dello stato liberale. Instaurò un regime forte, accentrato e conservatore. I provvedimenti economici adottati determinarono risultati positivi, quali la riduzione del disavanzo dello stato e un notevole sviluppo dell’industria e dell’agricoltura; potere delle grandi concentrazioni capitalistiche a tutto svantaggio della classe popolare. Sul piano politico Mussolini cercò di dare al fascismo un volto rassicurante per la grande borghesia: affidò cariche e mansioni particolari ai capi dello squadrismo. Nello stesso tempo pur essendo stato un violento anticlericale egli prosegui una politica di avvicinamento alla chiesa cattolica. Il fascismo dopo il colpo di stato si trasformò in un vero e proprio regime, promulgando leggi repressive. L’esercizio del potere legislativo venne affidato al capo del governo. Inoltre nel febbraio del 26 venne soppresso il sistema elettivo delle amministrazioni comunali. Al posto del sindaco istituì la carica del podestà. L’opera di ricostruzione dello stato culminò con la cosiddette leggi fascistissime: in tal modo venne definitivamente soppressa la libertà di parola di associazione e di stampa da un organo appositamente costituito, chiamato il ministero della cultura popolare. Molto efficace fu in tal senso l’opera nazionale Balilla, destinata all’educazione fascista dei ragazzi tra i 6 e i 18 anni. In tal senso anche l’organizzazione dei gruppi universitari fascisti. Il duce procedette metodicamente alla trasformazione dello stato da costituzionale in totalitario, fondato cioè su una dittatura personale e su un partito unico. Un tappa importante di questa trasformazione fu una riforma elettorale in base alla quale i candidati della camera dovevano essere designati in un lista unica nazionale, formata da particolari enti statali e scelti in via definitiva dal gran consiglio del fascismo. L’elezioni continuarono ad essere “inutili”: i cittadini dovevano limitari a votare con un si o con un no in un'unica lista compilata dal governo. Il compito della camera era oramai quello di collaborare con il governo fascista. Mussolini inquadrò gli italiano nelle organizzazioni di partito per educarli alle nuove idee e risvegliare in tutti istinti militaristici. L’Italia sembrò così una grande caserma. Chiunque fosse contrario era condannato a violenze fisiche e psicologiche. L’attività antifascista si diffuse clandestinamente promossa dai partiti di sinistra e repressa dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Degno di rilievo fu l’attentato a Mussolini del 31/10/1926 attribuito
Crisi del 29 e New Deal rooseveltiano
All’inizio del 1920, gli Stati Uniti si andavano affermando come Stato Guida del mondo capitalistico. Il presidente democratico Wilson tentò di consolidare questo ruolo attraverso una politica di difesa della libertà, della democrazia e dell’autonomia dei popoli contro i nazionalismi europei. Il nuovo governo di Harding adottò un atteggiamento isolazionistico sia nel campo politico che in quello economico, per difendere i prodotti nazionali. Nel 1919 fu emanata la legge sul proibizionismo che vietava la vendita di alcolici e che fini per favorirne il traffico illegale. La politica conservatrice di Harding fu proseguita da Coolidge che però favorì le esportazioni verso l’Europa per soddisfare il mondo industriale statunitense. Coolidge con il finanziere Dawes predispose nel 1924 un sistema di aiuti finanziari ai Paesi vinti. I fondi americani riuscirono a rivitalizzare l’economia europea che poté restituire agli stati uniti i prestiti bellici. I capitali cosi ottenuti venero reinvestiti nel vecchio continente favorendo un boom economico.
Il benessere crescente, la speculazione, i facili guadagni crearono negli Stati uniti una crisi di sovrapproduzione. Il mercato internazionale divenuto a poco a poco stagnante, si trovò nell’impossibilità di assorbire le eccedenze produttive e ciò determinò una crisi gravissima con una serie di conseguenze a catena. La borse di Wall Street crollò il 24 ottobre del 1929, le fabbriche chiusero e le banche fallirono; la produzione industriale calò vertiginosamente, mentre crebbero disoccupazione e povertà. La crisi degli stati Uniti si propagò in tutto il mondo, soprattutto in Europa.
A risollevare gli Stati uniti dalla crisi contribuì con tempestività e decisione il nuovo presidente Franklin Delano Roosevelt che elaborò un piano di emergenza detto New Deal (nuovo Corso). Pur accettando l’esistenza del sistema capitalistico Roosevelt era infatti convinto dell’assoluta urgenza di porre precisi limiti alla crescita senza controlli e all’eccessiva libertà concessa all’iniziativa individuale dai governi repubblicani. Il New Deal rappresentò una decisa tendenza ad allontanarsi da un’economia libera di tipo privatistico per adottare un’economia guidata basata su un energico intervento dello Stato. Roosevelt riuscì, anche a costo di aumentare il deficit dello stato, a combattere la disoccupazione e sollecitò con ogni mezzo il mercato, favorendo l’aumento degli stipendi e dei salari. Inoltre riuscì a condurre con risultati positivi la propria battaglia in favore di un diretto intervento del potere pubblico negli affari privati.
La prussia di Bismarck
Grazie allo sviluppo industriale in Prussia si affermò un ceto borghese deciso a ottenere un regime più liberale e l’unificazione di tutti gli stati germanici. Nei progetti del re Guglielmo I e del primo ministro Bismarck l’unità tedesca doveva avvenire sotto l’egemonia della Prussia. Ciò provocò l’ostilità dei regni tedeschi che preferivano l’egemonia dell’Austria. Si aprì cosi la guerra dei ducati che si concluse con l’unificazione degli stati Germanici sotto la guida della Prussia. Il progetto della Prussia preoccupò la Francia che entrò in guerra contro Berlino (luglio 1870 guerra franco prussiana). L’esercito tedesco sconfisse varie volte i francesi, fino ad annientarli a Sedan, costringendo Napoleone III alla resa. Questa disfatta provocò la caduta di Napoleone III con la conseguente creazione della terza repubblica che portò avanti la resistenza contro le truppe di occupazione prussiane, arrivate ad assediare Parigi. Nel gennaio del 1871 la città si arrese e con l’Armistizio di Versailles la Francia cedette l’Alsazia e la Lorena. Il popolo parigino diede vita a un governo rivoluzionario e democratico detto la Comune. Questo primo esperimento di regime proletario e socialista della storia spaventò il governo francese che scatenò una feroce repressione contro i comunardi. Mentre cadeva l’impero francese, nasceva l’impero Germanico sotto la guida di Guglielmo I detto il Kaiser.
I moti del 20-21 e il 48
Dopo il congresso di Vienna L’Italia ritornava alla precedente condizione di Paese diviso e sottoposto all’egemonia straniera. La reazione restauratrice fu particolarmente dura nel regno delle Due Sicilie e nello Stato Pontificio. Nel Lombardo Veneto, L’Austria condusse una politica antiliberale e oppressiva. Per sfuggire al rigido regime repressivo i patrioti italiani si riunirono in società segrete, la più importante delle quali fu la carboneria; essa però per il suo carattere elitario non riuscì a coinvolgere le classi popolari. Proprio questo fu il limite delle insurrezioni scoppiate a Napoli nel 20-21 e in Piemonte nel 21. Anche i moti del 20 a Napoli furono organizzati in seno all’esercito da un gruppo di ufficiali al comando di Michele Morelli e Giuseppe Silvati, cui si unì il generale Guglielmo Pepe. Il re di Napoli Ferdinando IV divenuto re delle due Sicilie dovette concedere la costituzione mentre nel frattempo scoppiava una rivolta in Sicilia tesa però a ottenere la separazione. Di fronte a questi avvenimenti intervenne la Santa alleanza; l’esercito austriaco calò su Napoli e sedò la rivolta.
Nel frattempo anche nel Piemonte, dove il re Vittorio Emanuele I Savoia attuava una politica reazionaria, il diffuso malcontento alimentava le organizzazioni segrete ispirate alla Carboneria e in particolare al movimento dei federati che aspirava ad una federazioni tra gli Stati Italiani guidata da una monarchia costituzionale. Tale progetto moderato trovava l’appoggio, seppur non esplicito del principe Carlo Alberto. Quando nel gennaio del 1821 un’insurrezione studentesca venne brutalmente soffocata nel sangue, i federati piemontesi si convinsero però che solo una rivoluzione armata e una guerra contro l’Austria potevano liberare l’Italia dallo straniero. Nel 21 in alcune città piemontesi scoppiarono diverse sommosse, che indussero il re ad abdicare in favore del fratello Carlo Felice che si trovava a Modena, per cui la reggenza passò nelle mani di Carlo Alberto che concesse la Costituzione. Carlo Felice però non la riconobbe e chiese aiuto all’Austria per reprimere l’insurrezione.
Il 1848 fu un anno decisivo per l’evoluzione delle storia d’Europa, ed è considerato la più importante svolta storica del XIX secolo. I grandi rivolgimenti che si verificarono in molti Paesi erano animati dagli ideali civili e sociali e in particolare dal proletariato urbano e dalla piccola borghesia. Inoltre le idee socialiste avevano infiammato il proletariato. Furono tutti questi fermenti che nel 1848 dettero vita in Europa a un’ondata rivoluzionaria. La scintilla rivoluzionaria scoppiò ancora una volta in Francia dove gli operai stavano aderendo alla dottrina socialista. Il re Luigi Filippo reagì con una posizione di intransigente chiusura verso le rivendicazioni operaie. Ciò non impedì la rivolta del proletariato parigino che mise in fuga il re a proclamò la seconda repubblica, capeggiata da un governo provvisorio socialista. Nel 48 scoppiarono rivoluzioni anche in Belgio e in Germania dove ebbero un carattere liberale e nazionale, dato che gli insorti chiedevano un’Assemblea Costituente. Moti insurrezionali scoppiarono nell’impero Austriaco dose si giunse alla formazione di assemblee costituenti. L’Ungheria si ribellò all’Austria per ottenere l’indipendenza. Si ribellarono anche i Boemi che aspiravano a formare uno Stato slavo con i polacchi.
Il 48 fu un anno decisivo anche per l’Italia. Dove le rivolte scoppiarono a Milano e a Palermo. Ferdinando II, Leopoldo II, Carlo Alberto (che concesse lo statuto Albertino) e Pio IX concedettero la costituzione. Il 17 marzo insorsero i Veneziani che cacciarono gli austriaci e ricostituirono la repubblica di San Marco di impronta democratica; il 18 insorsero i Milanesi che sconfissero le truppe austriache (cinque giornate di milano) costringe doli ad abbandonare la città e a ritirarsi nel Quadrilatero. Anche a Parma e a Modena gli insorsi misero in fuga i rispettivi sovrani.
Le guerre di indipendenza e l’unità d’Italia
Dopo i moti del ’48 in tutti gli stati italiani prevalse ancora una volta la più dura reazione da parte dei governi contro gli insorti. In Piemonte a differenza degli altri stati il re Carlo Alberto mantenne la costituzione e divenne il punto di riferimento dei liberali. Nel marzo del ’48 dichiarò guerra all’Austria dando inizio alla prima guerra d’indipendenza a cui aderirono anche il regno delle due Sicilie, la toscana e lo stato pontificio, che fornirono eserciti di volontari per affiancare l’esercito piemontese. La prima fase della guerra (29 marzo – 9 Agosto) fu favorevole al Piemonte. Dopo una serie di vittorie a Curtatone e Montanara e Goito, la Lombardia, Parma e Modena furono annesse al Piemonte e Carlo Alberto venne proclamato re d’Italia. In seguito le operazioni cominciarono ad andare a rilento e a quel punto gli altri stati ritirarono le truppe lasciando soli i piemontesi che persero a Custoza. Carlo Alberto fu costretto a siglare l’armistizio di Salasco (9 agosto), in base al quale la Lombardia tornò all’Austria.
Nel frattempo però la scintilla indipendentista era scoccata e in altre parti d’Italia si tentò di proseguire la lotta. L’8 agosto Bologna insorse e respinse gli austriaci che intendevano invadere la città; la Sicilia si proclamò indipendente dichiarando decaduta la monarchia borbonica e offrì la corona al secondogenito di Carlo Alberto. A Roma un moto insurrezionale mise in fuga il papa e dette vita alla repubblica romana il cui governo provvisorio venne affidato ad un triumvirato (Mazzini, Armellini e Saffi). Anche il Toscana venne cacciato il Granduca e creato il governo provvisorio.
Nella seconda fase della guerra (12 – 24 marzo del 1849) Carlo Alberto decise di riprendere le armi contro l’Austria ma fu sconfitto a Novara; a quel punto abdicò in favore di Vittorio Emanuele II il quale firmò l’armistizio di Vignale in base al quale manteneva i propri confini ma doveva pagare una pente indennità di guerra. Nel frattempo il papa aveva chiesto alle potenze cattoliche di essere aiutato a ristabilire il potere temporale a Roma. Intervennero la Spagna, l’Austria, il regno delle due Sicilie e la Francia il cui presidente Luigi Napoleone cercava l’appoggio dei cattolici nonostante la strenua difesa di un gruppo di volontari capeggiati da Garibaldi nel luglio del 49 la repubblica romana si arrese e i francesi entrarono a Roma ristabilendo il potere pontificio. Il 22 agosto anche Venezia che aveva sostenuto una coraggiosa rivolta contro l’Austria durata 4 mesi, si arrese e tornò sotto il dominio asburgico.
L’insuccesso della prima guerra d’indipendenza fece riprendere vigore alla propaganda mazziniana per reprimere la quale l’Austria adotto una linea ferrea. Per diffondere il programma repubblicano Mazzini fondò a Ginevra il partito d’azione. Le costituzioni vennero ovunque abolite fuorché nel regno di Sardegna in cui Vittorio Emanuele II cercò l’appoggio della borghesia moderata per impedire l’affermazione dei repubblicani. La presidenza del consiglio del regno di Sardegna venne affidata a Massimo d’Azeglio che si adoperò per eliminare i privilegi medievali ancora riconosciuti dalla chiesa (legge Sicardi del ’50). Nel frattempo entrava a far parte del governo il moderato di destra Camillo Benso conte di Cavour il quale strinse un’alleanza con Urbano Rattazzi esponente della sinistra al fine di creare una solida maggioranza parlamentare.
Nel 1852 Cavour divenne primo ministro e si impegnò a modernizzare il Piemonte. In politica estera Cavour si adoperò per dare maggior prestigio al Piemonte in ambito internazionale, con lo scopo, tra l’altro di risolvere la questione dell’unità di Italia a livello diplomatico. Fu in questa prospettiva che egli stabilì un patto di alleanza con la Francia.
Dopo il colpo di Stato del 1851 Luigi Napoleone, presidente della seconda repubblica francese si era fatto proclamare imperatore con il nome di Napoleone III. Egli introdusse importanti riforme in campo sociale. Inoltre si atteggiò a paladino del liberalismo e delle nazionalità negate e per questo appoggiò l’Italia nel progetto dell’unificazione.
L’evento che favorì il patto franco-piemontese fu la guerra di Crimea (1853-1856) combattuta tra Francia e Inghilterra contro la Russia che aveva mire espansionistiche nei Balcani. Cavour si impegnò a inviare truppe piemontesi a sostegno delle truppe anglo-francesi chiedendo di entrare nell’alleanza alla pari. L’arrivo del contingente sabaudo piemontese contribuì alla caduta della fortezza di Sebastopoli e alla sconfitta della Russia. Al congresso di pace di Parigi poté così partecipare anche Cavour in rappresentanza del Piemonte che usciva in tal modo dall’isolamento e sedeva tra le potenze internazionali.
A fronte del succedo di Cavour si faceva più palese il fallimento delle iniziative Mazziniane. La spedizione di Pisacane nel regno di Napoli con lo scopo di dar vita ad una rivolta contro i Borboni si risolse con un disastro. Si faceva sempre più consistente l’ipotesi monarchica, che assegnava al regno sabaudo il ruolo guida nel processo di unificazione. Nel ’58 l’attentato a Napoleone III da parte del mazziniano Orsini procurò tensione tra Parigi e Torino. Tuttavia l’incontro di Plombieres tra Napoleone e Cavour portò alla firma di un trattato con cui la Francia si impegnava ad intervenire a fianco del Piemonte, se l’Austria lo avesse attaccato. Non restava quindi che indurre l’Austria a dichiarare guerra.
A Giuseppe Garibaldi fu assegnato il compito di provocare scontri al confine con il suo corpo di volontari, i cacciatori delle Alpi. Per questo l’Austria inviò un ultimatum a Vittorio Emanuele II che lo ignorò dando inizio alla seconda guerra d’indipendenza. Gli austriaci furono battuti dai franco-piemontesi a Montebello e Magenta. Dopo la liberazione della Lombardia, Firenze, Parma, Modena, Bologna e Ferrara insorsero, cacciando i rispettivi regnanti e formando governi provvisori. Le vittorie di Solferino e San Martino sembrarono aprire la strada per il Veneto; a quel punto Napoleone firmò l’armistizio di Villafranca con l’Austria che prevedeva la cessione della Lombardia alla Francia, il quale avrebbe ceduta al Piemonte (luglio 1859). Questo ordine di cessare delle ostilità suscitò l’indignazione generale, Cavour si dimise ma fu richiamato al governo per condurre le trattative con la Francia alla quale vennero cedute Nizza e Savoia in cambio di Emilia, Toscana, Liguria e Lombardia. Con il plebiscito del 12/03/1860 fu approva l’annessione.
Di fronte alla delusione del comportamento di Napoleone III si tornò a puntare sul programma insurrezionale. Nel frattempo alcuni profughi siciliani di fede Mazziniana sollecitarono all’azione Garibaldi. Con il consenso del governo sabaudo nella notte tra il 5 e il 6 maggio del 1860 Garibaldi e i mille si imbarcarono a Quarto per raggiungere la Sicilia. Dopo lo sbarco a Marsala, Garibaldi a Salemi lanciò un proclama in cui dichiarava di assumere la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II e iniziò la conquista dell’isola. Garibaldi vinse a Calatafini e conquistò Palermo. Dopo un’altra vittoria a Milazzo il generale marciò su Napoli mentre il re Francesco II re di Napoli si rifugiava a Gaeta. A quel punto Cavour temendo che nel meridione potesse venirsi a creare un regime repubblicano, decise di inviare il proprio esercito che sconfisse a Castelfidardo le truppe pontificie che intendevano ostacolarne il passaggio. L’esercito si diresse verso sud e a Teano incontrò Garibaldi che consegnò al re sabaudo il territorio conquistato (26/10/1860). Nel novembre anche l’Umbria e le Marche furono annesse al regno e il 18/02/1861 si riunì il primo parlamento italiano e fu proclamato il regno d’Italia.
I vari ministri di destra e sinistra che si avvicendarono l governo dovettero affrontare il problema di completare l’unità del paese. Dopo il breve ministero Ricasoli, caratterizzato da un accentuato centralismo e da una feroce repressione del brigantaggio il governo passo a Rattazi vicino al partito d’azione il quale pensò di accelerare l’annessione di Roma incoraggiando Garibaldi a organizzare una spedizione contro lo stato pontificio. Contrario all’impresa era Napoleone III che fermò l’esercito garibaldino a nella battaglia dell’Aspromonte. Rattazzi si dimise e Sali al governo Minghetti che siglò un accordo con Napoleone III in base al quale la Francia ritirava le sue truppe da Roma a patto che il governo italiano non invadesse lo stato pontificio (convenzione di settembre). L’accordo prevedeva che la capitale venisse trasferita a Firenze per attenuare il predominio del Piemonte sulle altre regioni. L’obiettivo dell’Italia era solo quello di allontanare i francesi da Roma. Nel frattempo cresceva la speranza di risolvere il problema del veneto grazie alla firma di un trattato italo prussiano voluto da Bismarck per attaccare l’Austria su due fronti. In caso di vittoria il trattato prevedeva la cessione del Veneto all’Italia. dopo 4 gironi dall’entrata in guerra della Prussia anche l’Italia entrò in guerra e iniziò la terza guerra d’indipendenza. Dopo le sconfitte subite dall’Italia a Custoza e dalla flotta a Lissa (1866) intervenne Garibaldi che vinse gli Austriaci a Bezzecca e invase il trentino. Il 26 luglio però Bismarck firmò una armistizio con l’Austria che costrinse l’Italia a cessare i combattimenti. La guerra si concluse con la pace di Praga in cui l’Austria dovette accettare la formazione della confederazione germanica sotto la guida della Prussia e a riconoscere l’indipendenza del regno di Ungheria di cui però continua a mantenere la corona. Si formò cosi l’impero austro ungarico con la pace di Vienna l’Austria cedette il Veneto a Napoleone III che lo cedette a l’Italia.
Nel 1867 alcuni garibaldini erano entrati nello stato pontifico con l’intento di congiungersi ad una rivolta popolare; il moto fu represso e i garibaldini vennero dispersi. Nel frattempo Garibaldi entro con i volontari nel Lazio e sconfisse i papalini a Monte rotondo ma venne sconfitto a Mentana dai francesi. La questione romana si riapri nel 1870 quando il conflitto franco-prussiano e il conseguente ritiro delle truppe francesi da Roma permisero all’Italia di invadere lo stato pontificio. Il 20 settembre del 1870 le truppe italiane entrarono a Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Il 2 ottobre l’annessione dello stato pontificio venne regolata da un plebiscito che dichiarò Roma capitale e pose fine al potere temporale dei papi. I rapporti tra lo stato e la chiesa vennero regolati dalle leggi delle guarentigie che riconoscevano al papa diritto sovrani e il pieno e assoluto possesso dei palazzi del Vaticano del Laterano e del Castel Gandolfo. Alla chiesa è concessa piena libertà di azione, di propaganda e di organizzazione su tutto il territorio nazionale un appannaggio annuo per il mantenimento della corte papale. La reazione del papato alla legge delle guarentigie fu molto dura. Il papa scomunicò i Savoia e si ritenne prigioniero in vaticano. Tre anni dopo con il non expedit il papa vietò ai cattolici di prendere parte alle elezioni politiche del 1874.
Nel 1876 alla caduta del governo di Minghetti divenne primo ministro l’esponente della sinistra Agostino de Pretis. Il governo della destra finiva dopo 15 anni: esso riuscì a riordinare le finanze pubbliche e completare e consolidare l’unificazione del regno. Purtroppo dimostrò scarsa attenzione verso le condizione di vita delle classi più deboli.
Il regime fascista
Dopo aver posto fine ad ogni forma di libertà, il regime imboccò la via di un aperto appoggio all’alta finanza e alla grande borghesia capitalistica, evitando di colpirne gli esponenti con forti tasse.
I liberi sindacati, vennero sostituti dai sindacati fascisti inquadrati nelle corporazioni, alle quali dovevano obbligatoriamente aderire tutti i rappresentati dei datori di lavoro. Le corporazioni erano veri e propri organi statali preposti alla conciliazione di eventuali controversie fra capitale e lavoro sulla basse della collaborazione di classe, sancita con la pubblicazione della Carta del Lavoro.
Le corporazioni non furono certo espressione degli associati, il principio del dirigismo statale venne applicato in campo economico, soprattutto con l’imposizione dell’autarchia, politica secondo la quale l’Italia era in grado di produrre da sola tutto ciò che gli occorreva al fine di raggiungere l’autosufficienza economica. Altri obbiettivi che il fascismo si propose furono
- La battaglia del grano: campagna per lo sviluppo della produzione dei cereali
- La battaglia della palude: opera di bonifica delle zone incolte e malsane
- La battaglia demografica: provvedimenti atti a favorire l’aumento delle nascite.
A partire dal 1925 si imboccò la via del protezionismo che vedeva lo Stato intervenire direttamente nell’economia. Questa strategia rispondeva alla necessità di limitare la dipendenza dall’estero.
Si determinò un improvviso ristagno, caratterizzato, da una brusca riduzione delle importazioni e delle esportazioni. I prezzi aumentarono e la disoccupazione fini per triplicarsi. Al conseguente crollo della produzione il fascismo rispose allargano l’intervento dell’economia da parte dello Stato, in particolare attraverso la creazione dell’IMI (istituto mobiliare italiano: concessione di fondi statali alle industrie in procinto di fallire) e l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale: acquisto da parte dello Stato di parte del pacchetto azionario di alcune industrie). Queste iniziative provocarono la reazione dei grandi capitalisti che consideravano dannoso l’eccessivo peso economico conquistato dalle gerarchie fasciste e che di conseguenza non appoggiarono più il regime.
Il fascismo portò a termine una serie di lavori di pubblica utilità, vennero costruiti ponti strade e acquedotti e si arrivò alla bonifica di campi come quelli delle paludi pontine. Al fine di incoraggiare le ricerche petrolifere fu istituita l’AGIP (azienda generale italiana petroli).
Anche se fino a quel momento Mussolini si era dimostrato anticlericale, una volta raggiunto il potere, si rese conto che per consolidare il regime aveva bisogno di un accordo con la chiesa. Si giunse ai patti Lateranensi; con i patti il pontefice Pio XI riconosceva Roma come capitale, mentre il governo italiano ammetteva la religione cattolica come unica religione di Stato e riconosceva al papa la sovranità sul nuovo stato della città del Vaticano. L’accordo non eliminò i contrasti tra regime e chiesa. Mussolini emanò un provvedimento di immediata chiusura di tutti i circoli della gioventù cattolica tra i quali l’azione cattolica.
La politica internazionale fu affidata a Contarini impegnato a creare un’atmosfera di pace. Una delle linee programmatiche della politica di Mussolini fu quella di presentare l’Italia come una grande potenza. La ricerca della pace tuttavia dovendo essere strettamente congiunta con la rivendicazione del ruolo di grande potenza era accompagnata dalla richiesta di revisione dei trattati di pace della prima guerra mondiale, considerati ingiusti per l’Italia. Questo periodo fu caratterizzato dai tentativi di creare buoni rapporti con Francia e Inghilterra. Ciò fu possibile con l’Inghilterra, ma non con i transalpini che si dimostrarono contrari ad ogni rivendicazione coloniale e all’espansione dell’Italia. Mussolini sicuro sul fronte interno, cercò di far pesare il fascismo anche all’esterno. Ciò finiva per incoraggiare il militarismo e per inasprire i rapporti internazionali. Questa nuova fase della politica estera coincise con le dimissioni del Contarini. Nell’aprile del 1927 fu sottoscritto il trattato di amicizia italo-ungherese con cui Mussolini cercava di ottenere a danno della Jugoslavia un’influenza politica. Divenne ministro degli esteri Dino Grandi che seppe ispirarsi a criteri moderati. Esso continuò il lavoro di Contarini ossia quello di mantenere la pace. La Francia rinnovò i legami con l’Inghilterra, ponendo in grave difficoltà l’Italia fascista, relegata ad un ruolo di secondo piano. Ne derivò la caduta di Grandi e la sostituzione ad interim di Mussolini. Esso affermò con ogni mezzo l’ideologia fascista affinché l’Italia assunse un ruolo chiaro in un’Europa segnata dalla sempre più netta contrapposizione tra conservatori e rivoluzionari (ascesa del nazionalsocialismo di Hitler e radicalizzazione degli schieramenti politici europei). Anche Mussolini fu costretto ad accettare la via diplomatica per ottenere la revisione dei trattati e l’attuazione delle aspirazioni coloniali, ponendo in essere una politica di intese.
Per affermare il prestigio di regime fascista e dimostrarne la solidità, Mussolini decise di conquistare l’Etiopia, in nome del diritto dell’Italia ad avere un posto al sole e con il pretesto di compiere una missione civilizzatrice. Nonostante l’opposizione della società delle Nazioni, di cui l’Etiopia era membro, che applico sanzioni economiche all’Italia e le numerose difficoltà delle operazioni belliche, il 9/5/36 l’esercitò italiano conquistò il paese africano.
Destra e sinistra storica
Nel 1876 la presidenza del consiglio passò all’esponente della sinistra Agostino Depretis, il quale fu costretto a portare avanti una politica di compromesso con la destra (trasformismo), che impedì una piena realizzazione del suo programma politico. Depretis tentò di dare soluzione ai tanti problemi che affiggevano l’Italia. Nel 1882 varò una riforma elettorale che fece passare i votanti dal 2,2 al 7,4% (escludendo ancora donne e ceti popolari). Per combattere l’analfabetismo introdusse con la legge Coppino del 77 l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione elementare; per ridurre la pressione fiscale tra il 1880 e il 1884 approvò l’abolizione della tassa sul macinato; istituì una Cassa Nazionale destinata ad aiutare i lavoratori in caso di incidenti sul lavoro (1883). In politica economica Depretis convinto della necessità di un intervento regolatore dello stato adottò una politica protezionistica (barriera doganale), che fini per danneggiare l’agricoltore del meridione. Ciò suscitò il malcontento della popolazione che spinta dalla propaganda socialista dette via a una serie di manifestazioni e scioperi.
L’indirizzo della Sinistra ebbe effetti positivi sullo sviluppo industriale. Nacquero soprattutto al nord grandi industrie tessili, meccaniche, chimiche e automobilistiche. La ripresa industriale non fu sufficiente ad assorbire la disoccupazione, particolarmente forte nel meridione, ecco perché continuò ad aumentare l’emigrazione, specialmente verso l’America.
In Italia, paese ancora poco industrializzato e privo di una forte classe operaia, non vi fu un radicamento della dottrina marxista. Maggior presa ebbe la dottrina anarchica. Ma l’inconcludenza delle azioni anarchiche spostò progressivamente i consensi verso iniziative politicamente più strutturate. Vennero così create le prime formazioni socialiste, da cui scaturì la fondazione nel 1892 del Partito socialista italiano (psi) a opera di Filippo Turati.
In pochi anni il Psi ottenne un notevole risultato elettorale e riuscì a guadagnare larghi consensi presso l’opinione pubblica. Parallelamente si sviluppò anche il movimento sindacale, che grazie alle Camere del lavoro riuscì a difendere gli interessi dei lavoratori. Mentre il movimento socialista si andava affermando nascevano altri partiti (repubblicano e radicale) destinati a diffondersi tra le classi medie. Il re e i ceti aristocratici e militaristi assunsero posizioni sempre più militariste.
Diversamente dalle altre potenze l’Italia adottò una politica di non impegno internazionale che favorì le mire imperialistiche della Francia. Per evitare il completo isolamento Depretis si alleò con Germania ed Austria nella triplice alleanza. Questo patto provocò lo sdegno degli irredentisti, che aspiravano alla liberazione del trentino e della Venezia Giulia. Intanto nel paese si affermava la convinzione che anche l’Italia si dovesse impegnare nel’avventura coloniale e Depretis col pretesto di vendicare l’eccidio di una spedizione italiano, fece occupare il porto di Massaua 1885 sul Mar rosso, avamposto per la penetrazione in Eritrea e in Etiopia.
Alla morte di Depretis il governo passò a Crispi, ex mazziniano, fautore di una politica autoritaria e anticlericale. Abolì l’insegnamento religioso e instituì la punibilità del clero. Con la riforma del codice penale nel 1889 Crispi riconobbe il diritto di sciopero e abolì la pena di morte; nello stesso anno con la nuova legge comunale e provinciale definì un nuovo assetto amministrativo, più democratico e decentrato. Egli rilanciò la politica coloniale, stipulando con gli etiopi il trattato di Uccialli che riconobbe il protettorato italiano sull’Etiopia. Contemporaneamente Crispi si accordò con i somali per il protettorato italiano sulla costa somala.
Dopo la caduta del governo Crispi nel 1892 salì al governo Giolitti appartenente alla sinistra moderata e fautore di un riformismo democratico, aperto ai problemi dei lavoratori e delle masse popolari. Egli decise di accantonare la questione coloniale per risolvere i problemi sociali del Paese. Tra il 92-93 dovette far fronte alla rivolta dei Fasci del lavoratori in Sicilia. Giolitti preferì non intervenire con la forza, ma i proprietari terrieri, molto influenti, resero precaria la sua situazione e lo costrinsero a dimettersi 1983.
Il governo passò di nuovo in mano a Crispi che adottò una politica repressiva nei confronti delle crescenti rivendicazioni del movimento operaio. Per questo fece scogliere i fasci siciliani e il partito socialista, senza riuscire a soffocare le rivolte operaie. Particolarmente reazionaria fu la politica del suo successore di Rudinì sotto il cui governo avvenne il grave episodio della strage di Milano del 98, ordinata dal generale Beccaris per reprimere una manifestazione. La gravità dell’evento costrinse di Rudinì alle dimissioni.
Il governo passò nelle mani del liberale Saracco che non riuscì a placare la rabbia popolare fomentata dalla sanguinosa reazione dei ministeri precedenti. Il re Umberto I fu assassinato a Monza dall’anarchico Bresci.
La nascita del movimento operaio
Il movimento operaio si sviluppa storicamente a partire dal XIX secolo in Europa e negli Stati Uniti, prende piede a seguito della rivoluzione industriale e allo sviluppo del capitalismo e della nuova borghesia imprenditoriale, con la nascita di associazioni e organizzazioni di operai volte alla conquista di miglioramenti nelle condizioni di lavoro.
Questi movimenti prendono la forma di società di mutuo soccorso, leghe operaie e leghe contadine, fino alla nascita del Sindacato. Le prime a nascere sono le Trade Unions (1824) nel mondo anglosassone. Queste associazioni si pongono generalmente l'obiettivo di migliorare - attraverso le lotte sociali e le riforme - i salari ed in generale le condizioni di vita, attraverso, fra l'altro, la riduzione dell'orario lavorativo, la tutela del lavoro minorile e femminile.
È di quegli anni la nascita e lo sviluppo del socialismo scientifico (dottrina elaborata da Karl Marx e Friedrich Engels) che darà vita (insieme ad altre correnti come l'anarchismo di Michail Bakunin) alla Prima Internazionale o Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.L.), da alcuni definita l'ispiratrice della Comune di Parigi il 18 marzo 1871. Il movimento operaio nei principali paesi europei e negli Stati Uniti dà la spinta alla costituzione di movimenti politici e partiti di ispirazione popolare e operaia di diversa matrice, dai riformisti di varia ispirazione (mazziniana, socialista, laburista, cattolica) a quelli rivoluzionari, di ispirazione socialista rivoluzionaria e comunista, agli anarchici.
Oggi l'espressione "movimento operaio" è usata principalmente dalle forze della sinistra per indicare l'insieme del movimento sindacale e dei partiti politici di sinistra, che fanno più o meno direttamente riferimento agli interessi della classe salariata.
L'Associazione internazionale dei lavoratori (A.I.L.), conosciuta anche come Prima Internazionale, era un organismo internazionale avente lo scopo di creare un legame internazionale tra i diversi gruppi politici di sinistra e organizzazioni di lavoratori, in particolare operai. Fu fondata nel 1864. Veniva considerato necessario un organismo che coordinasse la lotta a livello internazionale così come la repressione veniva coordinata dalle alleanze tra stati. L'Internazionale si pose soprattutto degli obiettivi pratici da conseguire per migliorare la condizione dei lavoratori: tra questi si ricorda la limitazione della giornata lavorativa ad otto ore. Questa prima esperienza fu caratterizzata dalla convivenza di più correnti ideologiche: in origine, l'organizzazione conteneva gruppi operai inglesi, anarchici, socialisti francesi e repubblicani italiani, ed era guidata da Karl Marx. Si accese quindi un intenso dibattito, nel quale spiccò subito la discussione tra marxisti ed anarchici (proudhoniani prima, Michail Bakunin e seguaci poi). Il confronto tra Marx ed i proudhoniani (Proudhon era morto pochi anni prima) portarono all'espulsione di quest'ultimi dall'organizzazione. In seguito, dispute tra Marx e Bakunin, l'esponente anarchico più rilevante nell'Internazionale, portarono ad una rottura tra gli anarchici ed i marxisti, per cui anche gli anarchici fedeli a Bakunin vennero espulsi dall'Internazionale. Durante la prima internazionale vi fu anche uno scontro fra il delegato italiano, inviato da Giuseppe Mazzini, ed i marxisti. I mazziniani infatti erano decisamente contrari alle teorie che si basavano sulla lotta di classe. Il conflitto con gli anarchici, il fallimento dell'esperienza della Comune di Parigi, la crisi economica del ’73 e un'inadeguatezza organizzativa, portò allo scioglimento della prima internazionale nel 1876.
La Seconda Internazionale era un'organizzazione fondata nel 1889 a Parigi dai partiti socialisti e laburisti europei. L'Internazionale Socialista si prefiggeva di essere la centrale di coordinamento fra i partiti nazionali collegati al movimento operaio; proponeva riforme nel campo economico e della legislazione sociale, oltre a propugnare una politica antimilitarista. Erede della Prima Internazionale, al contrario dell'organismo che la precedette, fu definitivamente dominata dal socialismo marxista. Non mancarono comunque i dibattiti, questa volta tra marxisti ortodossi e revisionisti. I primi rimanevano fedeli alle teorie marxiane (Karl Kautsky), arrivando però ad operare una distinzione tra il fine ultimo del movimento (la società senza classi) e gli obiettivi immediati della lotta (il cosiddetto programma minimo: suffragio universale, giornata lavorativa di 8 ore), tipici del riformismo; gli altri predicavano una revisione delle stesse teorie (Eduald Bernstein) sulla base degli avvenuti mutamenti nel sistema non presi in considerazione da Marx. Negli anni immediatamente precedenti alla Prima Guerra Mondiale infatti, l'Internazionale iniziò a dividersi fra leader e correnti che perseguivano la politica di opposizione alla guerra e chi invece era favorevole. Il dissidio principale era fra chi si opponeva alla guerra ritenendo che avrebbe portato solo lutti e sofferenze ai lavoratori, destinati a costituire il grosso degli eserciti, e chi riteneva che invece avrebbe accelerato la crisi del sistema capitalistico, avvalorando la teoria di Marx e spianando la strada alla rivoluzione. La confederazione entrò in crisi e si sciolse con il voto favorevole alla Grande Guerra dato dal partito socialdemocratico tedesco, che violava il comune rifiuto alla guerra imperialista e borghese accordato precedentemente.
Tra le azioni più famose della Seconda Internazionale c'è la proclamazione (nel 1889) del 1° maggio come giornata internazionale dei lavoratori.
Comintern è il termine con cui si indica la Terza Internazionale o Internazionale comunista (1919-1943), ovvero l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti.
Fu fondata per iniziativa dei bolscevichi russi dopo il fallimento della Seconda Internazionale, causato dal voto dei socialdemocratici tedeschi e francesi ai crediti richiesti dai loro governi per affrontare la prima guerra mondiale. Il Comintern nasce a Mosca nel marzo 1919, con lo scopo di sostenere il governo sovietico, favorire la formazione di partiti comunisti in tutto il mondo e diffondere la rivoluzione a livello internazionale.
Con il secondo congresso del luglio-agosto 1920, a cui presero parte delegazioni provenienti da 37 nazioni, si tracciarono le basi e il programma del Comintern, che ruotava attorno al nocciolo della "rivoluzione mondiale".
Il Comintern fu fin dall'inizio egemonizzato dal Partito Comunista Russo, come dimostra il fatto che la direzione dell'Internazionale fu affidata a un comitato esecutivo permanente, con sede a Mosca. Fu quindi caratterizzato dal rifiuto del parlamentarismo e del riformismo socialdemocratico .
Dopo che in Europa erano nati i partiti comunisti, tramite scissione da quelli socialisti, nel 1926 iniziò la stalinizzazione del Comintern, grazie all'imposizione della teoria del "socialismo in un solo paese".
Per lanciare un segnale di moderazione agli alleati occidentali impegnati a fianco della URSS nella seconda guerra mondiale, il 15 maggio 1943 l'Esecutivo dell'Internazionale comunista propone lo scioglimento dell'Internazionale che diventerà effettivo il 10 giugno 1943.
La seconda guerra mondiale
Dopo l’annessione dell’Austria, Hitler intimò alla repubblica Cecoslovacchia la cessione del territorio dei Sudeti, con il pretesto che in quella regione prevaleva la popolazione tedesca. La Cecoslovacchia non accettò. Per evitare la guerra il governo inglese tentò una mediazione con Mussolini nel corso di una conferenza internazionale a Monaco nel 1938, dove si riuscì a salvare la pace, acconsentendo alle richieste di Hitler.
Hitler invase tutta la Cecoslovacchia nel 1939 occupando Praga. Mussolini il 7/4/39 attaccò senza giustificazione l’Albania, occupandola. Hitler intimò ai polacchi la cessione del corridoio di Danzica (ottenuto dai polacchi alla fine della prima guerra mondiale) e Francia e Inghilterra si opposero assicurando protezione alla Polonia. Il 22 maggio 1939 il ministro degli esteri italiano Ciano firmò con la Germania un trattato di alleanza militare detto Patto d’acciaio che impegnava le due potenze a prestarsi aiuto in caso di guerra.
Tre mesi dopo, la Germania sottoscrisse un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica, in vista della spartizione della Polonia. Hitler voleva proteggersi le spalle nella sua lotta contro i Francesi e Stalin voleva ottenere alcuni vantaggi territoriali. Cosi il 1° settembre Hitler invase il territorio polacco. Nonostante gli inviti alla pace del papa Pio XII e del presidente americano Roosevelt il 3 settembre Francia e Inghilterra dichiararono guerra dando inizio alla seconda guerra mondiale.
Mentre sul fronte occidentale gli eserciti francese e tedesco si fronteggiavano dietro le opposte linee di fortificazione Maginot e Sigfrido, la macchina bellica nazista mosse contro la Polonia una massa di aerei e mezzi corazzati secondo la tattica della guerra lampo. Con l’attacco della Russia da oriente l’esercito polacco capitolò dopo meno di un mese. Il territorio polacco fu diviso tra Germania e Russia.
L’esercito sovietico occupò anche le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) e la Finlandia. Hitler invece attaccò prima la Danimarca e la Norvegia, poi violando la neutralità di Olanda e Belgio, penetrò in Francia aggirando la linea Maginot. Cosi in giro di pochi giorni tutta la costa della manica fu in mano ai tedeschi e il corpo di spedizione britannico sbarcato sul continente fu costretto alla ritirata a Dunkerque.
Nel frattempo il consiglio dei ministri italiano proclamava la non belligeranza, ma Mussolini, di fronte alle vittorie di Hitlere non seppe resistere alla tentazione e il 10/6/40 dichiarò guerra a Francia e Inghilterra. Il 22 giugno il capo del governo francese chiese l’armistizio ai tedeschi, dopo che Parigi era già occupata da 8 giorni. La Francia atlantica passava sotto il controllo tedesco, mentre nella parte centromeridionale veniva creato il governo di Vichy (dal nome della capitale). Il 24 giugno anche l’Italia firmava l’armistizio con la Francia, mentre il generale De Gaulle raggiungeva l’Inghilterra e si proclamava da Londra capo della Francia Libera dando inizio ai primi movimenti di resistenza.
I ripetuti tentativi fatti da Hitler per ottenere la pace con l’Inghilterra restarono senza risposta da parte del primo ministro inglese Churchill. Allora la Germania progettò un piano per sbarcare in Inghilterra (piano detto leone marino) che prevedeva innanzitutto la completa paralisi della aviazione britannica. L’8 agosto del 40 Hitler iniziò la battaglia di Inghilterra, ma la RAF, l’aviazione inglese, nonostante gravi perdite riuscì a respingere l’attacco nemico grazie anche all’uso dei radar. Già solo dopo 2 mesi la battaglia di Inghilterra poteva definirsi fallita.
Intanto nel Mediterraneo e in Africa ebbe inizio l’offensiva Italiana mirante a colpire le linee di navigazione inglesi. Si ebbero così scontri a Malta e nell’Africa Orientale che si conclusero con la conquista Italiana della Somalia Britannica. Nel frattempo il patto d’Acciaio venne estero al Giappone con la firma del Patto Tripartito 27/10/40. Il patto tripartito aveva lo scopo di formare un predominio dei 3 paesi sull’Europa, sul bacino del mediterraneo e sull’Asia.
Mussolini il 28/10 attaccò la Grecia, ma l’offensiva, malpreparata e insufficientemente equipaggiava fu respinta dai greci riforniti dagli inglesi.
Tra il 40 e il 41 la flotta italiana subì gravi perdite a Taranto e a capo Matapan ad opera degli Inglesi. Le sorti della guerra in africa vennero cosi rovesciate, dato che l’Inghilterra rioccupo le posizione perse all’inizio della guerra.
Nella primavera del 41 ci fu una grande offensiva dell’asse: in Africa, Il generale tedesco Rommel con le truppe italiane riconquistarono territori inglese; la Iugoslavia, dove c’era stato un improvviso cambio di governo che ora era ostile alla Germania, venne occupata dalle truppe italo - tedesche; i Tedeschi costrinsero alla resa anche la Grecia e sottrassero l’isola di Creta agli Inglesi.
Hitler tuttavia guardava con apprensione verso l’Est Europeo dove c’era il potente esercito russo. Ecco perché il 22/6/41 attaccò la Russia con l’operazione Barbarossa. L’avanzata delle truppe tedesche fu veloce (come quella napoleonica), ma l’esercito russo aveva subito poche perdite e aspettava i tedeschi a Mosca. Inoltre il sopraggiungere di un inverno precoce fece fallire la guerra lampo tedesca che si fermò a Mosca dove la Russia si preparava alla riscossa.
Nel frattempo mezza Europa era sotto il dominio tedesco che controllava le risorse agricole e industriale, eliminava tutti gli oppositori, deportava civili, come forza lavoro in Germania e deportava e sterminava gli Ebrei mediante esecuzioni di massa nei campi di concentramento.
Il 14 agosto del 41 si incontrarono il presidente Americano e il primo ministro inglese (Roosevelt e Churchill) e firmarono la Carta Atlantica, una dichiarazione congiunta dove venivano fissati alcuni principi fondati sull libertà da realizzare dopo la caduta della tirannia nazista. Venne firmata il 1/1/42 da Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Cina e altre venti nazioni libere la Dichiarazione delle Nazioni Unite.
Il 7/12/41 ci fu l’attacco a sorpresa da parte dei Giapponesi alla base navale americana di Pearl Harbour, che causò l’entrata in guerra degli USA a fianco degli alleati. L’obiettivo dei giapponesi era quello di assicurarsi il controllo dell’Asia, ma nella zona c’erano basi navali americane e occorreva distruggerle cogliendole di sorpresa.
Nella primavera del 42 le potenze dell’asse (Ita Ger Giap) ripresero l’iniziativa: il Giappone occupò molti territori importanti in Asia, in Africa le truppe italo – tedesche conquistarono terreni in Egitto arrivando fino a El-Alamein e i Tedeschi avanzarono in Russia arrivando fino a Stalingrado. Ma l’allargamento del fronte e l’allontanamento delle truppe dalla base di partenza avevano reso lunghe le linee di rifornimento e diventava più difficile l’invio di uomini e materiali al fronte.
Si preparava cosi un rovesciamento delle sorti del conflitto con la controffensiva americana nel Pacifico e quella britannica in Africa, che portò allo sfondamento del fronte italo-tedesco, mentre nel novembre del 42 gli americani sbarcavano in Marocco e Algeria sotto la guida del generale Eisenhower. Dopo la decisiva sconfitta di Stalingrado, a partire dal mese di marzo tutte le armate germaniche in URSS iniziarono una disastrosa ritirata che segnò il crollo delle ambizioni imperiali tedesche.
Intanto nell’Europa occupata si verificarono diversi episodi di resistenza: uno dei più famosi fu quello del ghetto di Varsavia.
Il rientro di Rommel in Germania portò alla disfatta delle truppe italo tedesche rimaste in Africa del Nord: da allora tutta l’africa del Nord era in mano degli alleati (USA Ingh Rus). Nel gennaio 43 Roosevelt e Churchill si erano incontrati in Marocco e nella conferenza di Casablanca decisero di aprire un secondo fronte in occidente: partendo dall’africa scelsero come obiettivo l’Italia. Il 20 luglio dopo aver occupato Lampedusa e Pantelleria tredici divisioni anglo-americane sbarcarono in Sicilia. Con lo sbarco in Sicilia ebbe inizio il periodo più tragico di tutto il conflitto per l’Italia. Mentre le truppe alleate avevano la meglio sui reparti siciliani, l’aviazione bombardava Roma e Frascati sede del comando tedesco in Italia. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 43 il Gran Consiglio del fascismo al termine di una riunione straordinaria sanciva la fine del regime. Nel pomeriggio Vittorio Emanuele III convocava Mussolini obbligandolo alle dimissioni e arrestandolo.
Il nuovo governo italiano affidato a Badoglio annunciò la continuazione della guerra, intavolando però trattative con gli alleati per una pace separata. Il 3 settembre venne firmato a Cassibile l’armistizio che fu reso noto solo l’8 settembre. Il 9 settembre il re e Badoglio lasciarono Roma per trasferirsi a Brindisi lasciando senza disposizioni le truppe italiane.
I tedeschi fecero scattare il piano Alarico per prendere Roma che era difesa da pochi ufficiali in attesa degli alleati. L’esercito che oramai era abbandonato a se stesso perse e i Tedeschi entrarono a Roma.
Il 12 settembre un gruppo di paracadutisti tedeschi liberarono Mussolini che proclamò l’istituzione della Repubblica Sociale Italiana o di Salò dal nome della città sul Garda sede del nuovo governo.
Aveva inizio anche in Italia la resistenza ad opera di partigiani. L’Italia era cosi divisa: al nord i tedeschi e il governo di salò e al sud gli alleati e il re legittimo. La guerra di liberazione si trasformò in guerra civile.
Il governo legittimo di Badoglio dichiarò guerra alla Germania il 13/10/43 dando cosi inizio alla partecipazione di truppe regolari alla guerra. L’Italia divenne cobelligerante e non alleata degli anglo-americani. Nel frattempo gli alleati risalivano la penisola e trovarono una Napoli già liberata da un’insurrezione spontanea durata 4 giorni.
Gli alleati si fermarono lungo la linea di difesa tedesca Gustav che aveva come caposaldo la città di Cassino. Questo successe anche perché gli alleati preferirono puntare di più sulla Francia per stringere i tedeschi su due fronti: decisione presa alla conferenza di Teheran tra americani, inglesi e russi.
Intanto gli alleati erano sbarcati ad Anzio per aggirare la linea Gustav ma erano stati fermati dalle truppe tedesche. Intanto era tornato dalla Russia il leader comunista Togliatti che adottò una linea moderata appoggiando Badoglio. Inoltre il re si impegnò a nominare il figlio Umberto I luogotenente del regno al momento della liberazione di Roma e rimandava la scelta fra monarchia e repubblica ad un referendum popolare da tenersi al termine della guerra. Nel frattempo nell’Italian nazifascista vennero compiute esecuzioni di massa come quella delle Fosse Ardeatine 24/3/44 dove furono uccisi 335 cittadini per vendicare un attentato partigiano contro i tedeschi dove erano morti 32 soldati.
Nella primavera del 44 riprese l’avanzata alleata e il 4/6 gli alleati entrarono a Roma: Umberto I venne nominato luogotenente e Badoglio venne sostituito da Bonomi. Intanto le truppe angloamericane e Italiane raggiungevano Firenze. La risalita fu bloccata di nuovo quando venne raggiunta la linea Gotica nel settembre.
Il 6/6/44 gli alleati sbarcavano presso Cherbourg in Normandia e infrangevano la difesa Tedesca lungo la Manica (Vallo Atlantico), grazie all’organizzazione militare e alla quantità di mezzi e uomini impiegati. Nel mese di agosto, un altro sbarco, in Provenza contribuì a far crollare la resistenza tedesca. Nel settembre 1944 la Francia era liberata e affidata al generale De Gauille. Quasi contemporaneamente l’Armata Rossa (Russi) rioccuparono la Polonia, mentr e la Romania, l’Ungheria e la Bulgaria si arrendevano e la Iugoslavia riacquistava la libertà nell’ottobre del 44 grazie all’azione partigiana comandata da Tito.
Tuttavia Hitler continuava a sperare di capovolgere le sorti del conflitto grazie all’utilizzo di nuove armi segrete come la bomba atomica e i nuovi missili V1 e V2. Una speranza destinata a rivelarsi illusoria.
Nella primavera del 45 gli alleati passarono il Reno e dopo aver sottoposto le città tedesche a pesanti bombardamenti si congiunsero il 25 aprile con le truppe russe che avevano occupato la Prussia ed erano arrivate fino all’Elba. Contemporaneamente gli alleati superavano la linea gotica e entravano nella pianura padana e affiancate dai partigiani liberavano dai nazisti le maggiori città del Nord. Il 27 aprile Mussolini che fuggiva venne riconosciuto e assassinato presso Dongo. Hitler invece si suicidava nei sotterranei della cancelleria del Reich e il 7 maggio la Germania firmava una resa incondizionata.
Resisteva però ancora il Giappone che però era stato colpito da numerose sconfitte da parte degli USA. Gli americani conquistarono le isole Marshall, le Marianne, e le Filippine per poter attaccare la base di Okinawa. Ciò nonostante l’esercito giapponese era ancora molto potente e per anticipare la fine del conflitto i tre grandi (Roosevelt, Churchill e Stalin) si riunirono a Yalta per decidere le sorti del conflitto e della Germania.
Il nuovo presidente americano, il democratico Truman decise di accelerare i tempi usando la bomba atomica. Il 6 agosto del 45 nelle prime ore dell’alba un aereo sganciava una bomba su Hiroshima provocandone la distruzione totale con 70000 morti e 100000 feriti. Il 9 agosto venne sganciata un’altra bomba atomica su Nagasaki. Il 1° settembre il Giappone firmava la resa.
La seconda guerra mondiale sancì la fine del predominio politico dell’Europa: si ergevano due nuove potenze USA e URSS. Il futuro della Germania fu il problema principale affrontato nella conferenza di Yalta. I grandi decisero di dividere il paese e la città di Berlino in zone di occupazione e di imporre alla Germania ingenti riparazioni. Per quanto riguardava la Polonia, la nazione venne spostata notevolmente ad ovest ai danni della Germania.
Il nazismo
In Germania nel gennaio del 1919 esplose una rivoluzione, guidata dal movimento marxista. Artefice di tale iniziativa fu la Lega di Spartaco, l’organizzazione rivoluzionaria guidata anche da Rosa Luxemburg. Questi rimproveravano alla socialdemocrazia la sua adesione alla guerra a cui i comunisti invece si erano opposti. Sostenevano una forma di marxismo ben diverso rispetto a quello leninista. Essi temevano l’eccessivo peso assunto in Russia dal partito comunista dalla masse operaie; Luxemburg nel periodo dei tumuli promosse la trasformazione della Lega di Spartaco in partito comunista tedesco (1°gennaio 1919). La rivolta venne repressa, l’ordine venne riportato anche in Baviera dove si era formata la repubblica dei Consigli di stampo sovietico. Nel frattempo una Assemblea costituente a maggioranza socialdemocratica, si era riunita a Weimar (repubblica di Weimar) e aveva elaborato una nuova Costituzione. La Germania diveniva così una re-pubblica federale, costituita dagli Stati regionali retta da un cancelliere, il quale era responsabile del proprio operato di fronte al parlamento cui spettava il potere legislativo. A capo dello Stato vi era un presidente, eletto ogni sette anni direttamente dal popolo e detentore del potere esecutivo. La nuova repubblica dovette fare subito i conti con le pressioni di sinistra e di destra. Questi ultimi dettero vita ad un movimento insurrezionale militare e a un tentato colpo di Stato, il putsch di Kapp, dal nome di un alto funzionario che promosse e diresse l’azione. La situazione era comunque aggravata dal disastro economico: la Germania doveva risarcire i danni della prima guerra mondiale, le imprese tedesche non riescono più a vendere i proprio prodotti sui mercati (occupati dai francesi e inglesi) ne alle colonie oramai perdute; molte imprese chiusero con il successivo dilagarsi della disoccupazione, l’ inflazione infine raggiunge livelli altissimi. La Francia poi, occupò militarmente il bacino minerario del Ruhr, fondamentale per la ripresa dell’economia tedesca. Ciò significa mettere in ginocchio la Germania. L’unico risultato ottenuto fu quello di ingigantire il risentimento dei Tedeschi e di esasperare il nazionalismo e le correnti di destra. In questo clima si costituì a Monaco, il Partito operaio tedesco, di estrema destra, al quale nell’autunno dello sesso anno aderì un imbianchino di nome Hitler. Grazie alla sua oratoria dette vita ad un movimento politico che egli chiamò “nazionalsocialista”, contraddistinto dal simbolo delle camicie brune e dal segno della svastica (significa apportatore di benessere, è diffuso in India come simbolo religioso; fu assunto poi dai gruppi tedeschi come simbolo di arianità) sul braccio destro. Il movimento si trasformò in Partito nazionalsocialista dei lavoratori, più comunemente noto come partito nazista. I militanti si distinsero per i loro metodi terroristici volti a restaurare in Germania un regime autoritario. Hitler tentò nel 1923 un colpo di stato contro il governo bavarese che però fallì. Nel frattempo la situazione della Germania stava lentamente migliorando grazie all’apertura di relazioni diplomatiche e commerciali con Unione Sovietica e Stati Uniti. Nello stesso tempo anche la politica internazionale cominciava a volgere in senso positivo. Nell’ottobre del 1925 infatti Francia e Germania, con la garanzia dell’Inghilterra e dell’Italia, firmarono nella città di Locarno un patto che pur riconoscendo la cessione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena e l’impegno della Germania a non modificare con le armi la nuova situazione politica.
Subito dopo la Germania venne ammessa alla Società delle Nazioni e enne firmato il patto Briand-Kellog sottoscritto dai sottosegretari di ben 60 stati. Tale patto rifiutava la guerra come mezzo per risolvere contese fra Stati e stabiliva l’appoggio incondizionato dei paesi aggrediti.
Le ripercussioni della crisi del’29 in Germania rafforzarono le tendenze estremiste tedesche. Rinacquero gli impulsi di irrazionalità esasperata, che trovarono nuovo sfogo nel nazionalismo.
Il nazionalsocialismo fini per prevalere sui partiti moderati di Weimar. Oltre ad ottenere il sostegno dell’esercito e della polizia, Hitler riuscì ad assicurarsi l’appoggio dell’industria e dell’alta finanza disposte a fornirgli cospicui mezzi economici nella speranza di veder sorgere un regime autoritario, garantendo i loro interessi. Hitler si presentava come il paladino della nazione offeso dagli alleati a Versailles; a essi prometteva di riscattare il paese. Nel settembre 1930 il nazismo conseguì un successo elettorale che non gli concedeva ancora la maggioranza, ma gli assegnava il costo di secondo partito del paese. Dopo il successo ottenuto dl partito nazista nelle successive elezioni a causa dell’impossibilità di costituire una solida compagine governativa, il presidente Hinderburg prese ‘iniziativa di compiere una decisa svolta a destra. Facendosi forte del risultato delle elezioni allontanò il cancelliere Von Papen e chiamò a fondare il nuovo governo lo stesso Hitler( 3071719033).
La sera del 27 febbraio giunse improvvisa la notizia che il ReichStag, sede del parlamento, era stato incendiato. Si sparse la voce che l’incendio fosse frutto di un complotto comunista con lo scopo di impadronirsi del potere. Ebbe inizio cosi una vera caccia all’uomo; in seguito a questa macchinazione i nazisti riucirono a dare inizio a una politica fondata sul terrore infliggendo un colpo decisivo alla democrazia. Il presedente Hindemburg sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni al fine di dare alla Germania un parlamento meglio rispondente alla svolta storica. Facendo leva sulla maggioranza parlamentare raggiunta, Hitler si affrettò a far votare una legge delega destinata a concedere per quattro anni i pieni poteri al suo governo che ne approfittò per eliminare ogni forma di opposizione e per instaurare un regime totalitario. Hitler chiamato Fuhrer cioè duce iniziò una spietata dittatura. Con una specifica legge provvide anche a far riconoscere ufficialmente come partito unico quello nazista. Clamoroso fu l’eccidio della notte dei lunghi coltelli nel corso della quale furono trucidati dalle SS (squadre armate personali di Hitler) molte SA (squadre d’assalto).
Alla morte di Hindemburg, Hitler ottenne il potere assoluto, riunendo illegalmente nelle proprie mani le due cariche supreme dello Stato. Annientata ogni forma di opposizione e deportazione nei campi di con-centramento la Germania venne trasformata da Stato federale a stato unitario. Di tutto questo la gente era soddisfatta e anche il parlamento era diventato un luogo dove si approvavano i decreti di Hitler e si applaudiva ai discorsi dello stesso. La principale ragione del consenso del popolo tedesco deve essere cercata nei buoni ri-sultati ottenuti in campo economico. L’evocazione del mito del capo carismatico fu consacrata infatti dai suoi successi in politica interna risollevando le sorti della Germania. Risollevò anche le sorti economiche in-staurando la forma di autarchia. Ad instaurare in Germania il sistema totalitario contribuirono tre strumenti: il terrore poliziesco, l’azione di propaganda, l’inquadramento della popolazione attiva nelle organizzazioni del partito.
La politica estera del partito ebbe un carattere aggressivo nei confronti dei paesi naturalmente tedeschi come l’Austria e la Cecoslovacchia considerando l’espansione in questi territori come la prima tappa di un processo che avrebbe portato all’unione di tutti i Tedeschi in un'unica grande patria germanica.
I fondamenti dell’ideologia nazionalsocialista vennero delineati nel Mein Kampf. Grande fu l’avversione verso il comunismo bolscevico e la socialdemocrazia. La politica hitleriana era basata su una specie di sentimento mistico, su un miscuglio di aspirazioni nazionalistiche, di principi liberaleggianti e di teorie eugenetiche: che avevano come punto di raccordo due elementi fondamentali quello della razza e quello dell’ineguaglianza. Il nazismo sosteneva la teoria della superiorità assoluta della razza ariana alla quale andava attribuito il merito esclusivo del progresso dell’umanità. La razza ariana si identificava con quella germanica e il compito dello stato nazista era quello di dar vita ad un processo di purificazione. Il principale nemico del nazismo fu il popolo ebraico considerato la vera origine di tutti i mali. Ne conseguì una politica che mirava ad una progressiva e spietata persecuzione degli ebrei. Le persecuzioni divennero più acute con le leggi di Norimberga. L’antisemitismo era un pretesto una copertura delle ragioni economiche; gli ebrei occupavano posizioni di rilievo in importanti settori della finanza e potevano quindi ostacolare i piani economici del nazismo.
Tali teorie trovavano il consenso di quasi tutto il popolo tedesco il che deve far riflettere sulla propensione umana ad individuare un capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni.
Inorgoglito dal successo nella Saar (dove la popolazione aveva scelto con un plebiscito l’annessione alla Germania) e deciso ad imboccare la strada della prova di forza, Hitler dopo aver potenziato l’esercito occupò la Renania. Ciò nonostante Francia e Inghilterra non seppero reagire, mentre Mussolini procedeva a stringere con Hitler un accordo dando vita all’asse Roma Berlino (1936) cui in seguito aderì anche il Giappone. Forte di tali alleanze il dittatore tedesco invase nel 38 l’Austria che venne annessa alla Germania.
Autore: Federico Ferranti
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