I totalitarismi del novecento - fascismo, nazismo, stalinismo

 


 

I totalitarismi del novecento - fascismo, nazismo, stalinismo

 

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I totalitarismi del novecento - fascismo, nazismo, stalinismo

I TOTALITARISMI: FASCISMO, NAZISMO, STALINISMO

 

TOTALITARISMO
Il termine indica la forma di governo – e l'ideologia – che subordina tutte le attività sociali, economiche e politiche, intellettuali, culturali e spirituali ai fini del gruppo dominante. Si tratta di una forma di dittatura affermatasi nel Novecento in concomitanza con l’avvento della società di massa e lo sviluppo della tecnica, fattore essenziale per l’esercizio di un dominio assoluto e onnipervasivo. , in un sistema totalitario il singolo deve invece conformarsi all'ideologia del partito unico al potere, che si identifica con lo stato. Gli esempi più eclatanti di regimi totalitari sono stati la Germania sotto il nazionalsocialismo di Adolf Hitler e l'Unione Sovietica soprattutto durante il periodo stalinista, ma non sono mancate altre manifestazioni del fenomeno, sia pure in forme meno compiute e articolate come in Italia durante il fascismo di Benito Mussolini. In un regime totalitario i membri del partito al potere diventano l'élite del paese; tutta la società è assoggettata a un'organizzazione gerarchica nella quale ogni individuo deve rispondere a qualcun altro sopra di lui, con l'unica eccezione del capo supremo, che non risponde a nessuno. Tutti i gruppi non allineati al potere vengono annientati. La soggezione totale dei singoli individui al partito è ottenuta mediante un'estesa burocrazia, il monopolio dei mezzi di comunicazione, un'efficiente polizia segreta, il controllo politico delle forze armate e una forte centralizzazione dell'economia. Il partito possiede tutti i mezzi di comunicazione attraverso i quali i cittadini ricevono informazioni, orientamenti, direttive. Giornali, riviste, radio e televisione, teatro e cinema sono controllati dal centro. Infine, le forme di manifestazione del pensiero che non si conformano alla linea del partito sono colpite dalla censura.
Descrizione dei tre sistemi totalitari per eccellenza: Fascismo, Nazismo e Stalinismo.

 

REGIME FASCISTA
Fascismo: Movimento politico e regime di carattere totalitario. In senso stretto, il fascismo – il cui nome deriva dal "fascio littorio", simbolo del potere in Roma antica – nacque nel 1919 in Italia, dove conquistò il potere nel 1922 e lo conservò sino al 1943 (quando però creò, nel Nord del paese, la Repubblica sociale italiana). Il termine viene comunemente utilizzato per definire analoghi movimenti e regimi politici nati in molti paesi prima, durante e, anche se in misura minore, dopo la seconda guerra mondiale.
Il fascismo fu caratterizzato dal monopolio della rappresentanza da parte di un unico partito; da un'ideologia fondata sul culto del capo (il “duce”); dal disprezzo per i valori della civiltà liberale, che si concretizzò nella soppressione delle libertà politiche e civili (di pensiero, di stampa, di associazione ecc.); dall'ideale della collaborazione tra le classi, opposto alla teoria socialista e comunista della lotta di classe; dal dirigismo statale; da un apparato di propaganda che mirò a mobilitare le masse e a inquadrarle in organizzazioni di socializzazione politica funzionali al regime; dall'integrazione nel partito o nello stato dell'insieme dei rapporti economici, sociali e culturali.
Agli inizi, il fascismo fu un movimento privo di una vera e propria ideologia. La stessa parabola di Benito Mussolini, prima socialista, rivoluzionario, anticlericale, antimilitarista, poi interventista e da ultimo profondamente antisocialista, non ci dice molto dei fondamenti teorici e dottrinali del fascismo. In esso confluirono piuttosto confusamente elementi eterogenei presi a prestito da varie ideologie: vi si ritrova infatti un sentimento spiccatamente nazionalistico, repubblicano e rivoluzionario, la denuncia del capitalismo, l’esaltazione della comunità dei produttori come base dell’organizzazione sociale, un’estetica individualista e virile tinta di romanticismo, i miti della violenza e del coraggio propri della cultura irrazionalistica, la delusione per il mancato riconoscimento dell’Italia come potenza internazionale alla fine della prima guerra mondiale (il mito della “vittoria mutilata”) ecc. Fondamentalmente anti-intellettuale, il fascismo utilizzò quanto tornava utile al suo progetto politico. Fu solo con il Manifesto degli intellettuali del fascismo (1925) di Giovanni Gentile che venne compiuta una prima sistematizzazione dell’ideologia e della dottrina fascista.
Regime fascista italiano :Sistema politico e periodo della storia d'Italia dominato dall'ideologia fascista e dal regime totalitario di Benito Mussolini; durò dal 28 ottobre 1922, data della marcia su Roma e della nomina di Mussolini a capo del governo, al 25 luglio 1943 quando, in seguito all'ordine del giorno di sostanziale sfiducia votato dal Gran consiglio del fascismo, il duce fu esautorato dai suoi gerarchi e dal re dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia.
Le caratteristiche sostanziali che contraddistinsero il regime fascista furono: liquidazione dello stato liberale e delle sue istituzioni; negazione del pluralismo democratico dei partiti e conseguente repressione violenta delle opposizioni; progressiva organizzazione corporativa dei rapporti economici e sociali; irreggimentazione dei cittadini per categorie sociali, di sesso e di età; dirigismo statale nell’economia; organizzazione gerarchica dell'amministrazione pubblica; nazionalismo (connotato, dopo l’avvicinamento alla Germania hitleriana, in senso razzistico) e pretesa di svolgere una politica estera di potenza. Tratto saliente del fascismo fu pure l’allargamento della sfera del consenso a vasti settori della popolazione, attraverso un gigantesco apparato di propaganda e la repressione violenta di tutte le voci di dissenso. Al fine di accrescere il consenso fu fatto ricorso a una serie di provvedimenti di varia natura: furono promosse le nuove forme di comunicazione di massa (in primo luogo la radio) e fu favorita l’assimilazione della cultura a cultura di regime, e, per ottenere l’adesione dei cattolici, fu stipulato un concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede. Restò invece solo un aspetto di facciata l’ammodernamento e il rafforzamento dell’apparato militare, la cui esaltazione propagandistica da parte del regime non resse alla prova dei fatti. Il regime fascista inoltre, a parere di alcuni storici, diede luogo a un totalitarismo imperfetto, nella misura in cui dovette scendere a compromessi con le forze tradizionali della società italiana, quali la Chiesa, l’esercito e la monarchia.
La prima fase del fascismo al potere fu un periodo di trapasso, in cui non furono ancora soppresse le istituzioni ereditate dallo stato liberale, a cominciare dallo Statuto albertino; vennero tuttavia piegate da Mussolini (a capo di un governo di coalizione che comprendeva fascisti, liberali di varie correnti, nazionalisti e popolari) a interventi finalizzati alla creazione di un regime autoritario e totalitario. Fra questi interventi occorre ricordare l’istituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che di fatto inquadrava le forze paramilitari fasciste (vedi Camicie Nere); la nuova legge elettorale del 1923 (detta “legge Acerbo”), che attribuiva alla lista di maggioranza relativa i due terzi dei seggi alla Camera, e inoltre la repressione delle forze d’opposizione e del movimento sindacale. Proprio la fine di ogni forma palese di conflittualità sociale, grazie all’intimidazione degli oppositori, garantì al governo la simpatia di gran parte della pubblica opinione, stanca o spaventata per le continue turbolenze sociali del triennio seguito alla fine della prima guerra mondiale e convinta che la sostanza autoritaria e poliziesca della politica fascista fosse soltanto transitoria. A favorire il consenso contribuirono l’istituzione di organi per l’assistenza dei lavoratori, delle donne e dell’infanzia, e anche alcuni successi nella politica estera, quali l’azione di forza dell’Italia contro la Grecia nel 1923 (occupazione di Corfù) e l’accordo italo-iugoslavo del 1924, che sancì il passaggio della città di Fiume sotto la sovranità italiana.
L'esito delle elezioni politiche del 1924, svoltesi in un clima di intimidazione nei confronti delle opposizioni, fu duramente contestato dal deputato socialista-riformista Giacomo Matteotti, che in un discorso al Parlamento denunciò le violenze e i brogli commessi dai fascisti: pochi giorni dopo fu trovato ucciso. Ne seguì una grave crisi, ma nonostante il disorientamento iniziale di ampi settori della popolazione che avevano sostenuto il fascismo, Mussolini riuscì alla fine a rafforzare le sue posizioni, anche per l’appoggio ricevuto dal sovrano. Le opposizioni (formate dai liberali di Giovanni Amendola, dai popolari di Alcide de Gasperi, dai socialisti, dai comunisti, dai repubblicani) avevano abbandonato i lavori parlamentari, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino: ma la loro protesta non ebbe conseguenze, sia perché restava affidata alla speranza di un ripensamento da parte del re, sia perché continuavano a svolgere un ruolo determinante le divisioni soprattutto tra comunisti, socialisti e popolari. Con il discorso del 3 gennaio 1925 il duce si assunse la piena responsabilità delle illegalità fasciste ed esautorò il Parlamento.
Con le leggi eccezionali del 1925-26 (dette “leggi fascistissime”) fu realizzato lo stato totalitario: furono sciolti tutti i partiti, a eccezione naturalmente di quello fascista, e furono dichiarati decaduti dal mandato parlamentare i deputati dell’opposizione; furono soppresse tutte le pubblicazioni periodiche contrarie al fascismo; venne vietato lo sciopero e furono messi al bando i sindacati non fascisti; fu approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica, governativa; venne introdotta la pena di morte e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso. Molti esponenti dell'antifascismo emigrarono all'estero, in particolare a Parigi. Migliaia di oppositori, in maggioranza socialisti e comunisti, subirono pesanti condanne al carcere e al confino per reati di opinione o per attività antigovernative.
Nella prima fase (dal 1922 al 1924) la politica economica del fascismo fu favorita da un ciclo di espansione economica e si caratterizzò, nell’azione del ministro delle finanze Alberto de Stefani, per una serie di provvedimenti ispirati ai principi del liberismo economico. Dopo la crisi monetaria del 1925-26 prevalse invece una linea di politica economica ispirata a un interventismo statalista. Misure di questo tipo furono la rivalutazione della lira (fissata a "quota 90" rispetto alla sterlina) e la "battaglia del grano", volta a estendere l’area seminativa e a introdurre un forte protezionismo doganale.
Con i Patti lateranensi nel 1929 fu chiuso il conflitto tra Stato italiano e Chiesa cattolica: il Vaticano veniva riconosciuto come stato indipendente e il cattolicesimo veniva dichiarato religione ufficiale. Nel paese, fatta eccezione per una ristretta minoranza di anticlericali, il successo di questa iniziativa diplomatica fu immenso. Al regime fascista veniva assicurato il sostegno della Santa Sede e del clero, anche se non mancarono negli anni momenti di contrasto acuto fra la Chiesa e il fascismo, specialmente in merito alla volontà della Chiesa di mantenere in vita istituzioni educative come l’Azione cattolica.
Gli effetti della Grande Depressione del 1929 giunsero in Italia l'anno successivo. Il governo ricorse a misure di difesa della produzione nazionale, all’accentuazione del protezionismo e all’estensione dell’intervento dello stato nell’economia. Furono ridotti salari e stipendi, fu varato un piano di opere pubbliche e di risanamento dell'agricoltura (bonifica dell'Agro Pontino, ammodernamenti e interventi urbanistici nelle principali città), fu incoraggiato il processo di concentrazione delle imprese. Nel 1933 fu fondato l'IRI, finanziato dallo stato allo scopo di salvare banche e industrie di importanza strategica, che divennero proprietà pubblica. Tra il 1934 e il 1936 fu varata la riforma del sistema bancario che fu posto sotto il controllo della Banca d'Italia. A partire dal 1936, in concomitanza con la guerra di conquista dell’Etiopia, il fascismo proclamò la politica autarchica, finalizzata a ridurre il più possibile le importazioni.
Sul piano dei rapporti tra imprenditori e lavoratori vennero aboliti lo sciopero sindacale e la serrata padronale: ai classici strumenti del conflitto tra capitale e lavoro doveva subentrare un’armonia fondata sulle corporazioni, delle quali erano chiamati a far parte sia i datori di lavoro che i lavoratori delle diverse categorie e che finirono per configurarsi come veri e propri organi statali. Già delineato nel 1927, il sistema corporativo trovò però la sua attuazione giuridica solo nel 1934 e culminò nella legge del 19 gennaio 1939, che aboliva la vecchia Camera dei deputati e istituiva la Camera dei fasci e delle corporazioni. In quegli anni il fascismo diede organicità, carattere pubblico e dimensioni di massa all'assistenza sociale con una serie di misure: sistema pensionistico, settimana lavorativa di quaranta ore, sabato semifestivo, ferie, dopolavoro, assistenza alla maternità e all'infanzia, promozione
dell'associazionismo culturale e sportivo nelle fabbriche e nelle scuole.
La politica culturale ufficiale tentò di orientare gli italiani in senso nazionalistico e bellicistico. La gioventù veniva irreggimentata nell’Opera Nazionale Balilla (fra gli 8 e i 18 anni) e nei Fasci giovanili (tra i 18 e i 21 anni), che nel 1937 confluirono nella Gioventù italiana del Littorio. Questi organismi erano rivolti ad attività sportive, ricreative, ma anche paramilitari, per quanto le manifestazioni militaresche si rivelassero soprattutto di facciata e di propaganda. Stampa, cinema e radio furono soggetti alla censura, con cui si impediva la circolazione di notizie che potessero danneggiare l'immagine dell'Italia fascista; venne appositamente istituito il Ministero della cultura popolare (Minculpop), il quale impartiva direttive ai giornali e alle radio, cui era obbligatorio attenersi.
La politica estera fascista per oltre un decennio rimase ancorata al sistema uscito dalla conferenza di pace di Versailles del 1919 e alle alleanze della prima guerra mondiale. Ma l'ideologia nazionalista e la politica autarchica, che indirizzavano gran parte della produzione industriale verso gli armamenti, nonché la politica culturale e demografica indirizzata alla guerra, comportarono un'inevitabile svolta. Questa si verificò nel 1935 con la guerra d'Etiopia e la proclamazione dell'impero, la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III (vedi Colonialismo italiano
L'impresa coloniale comportò il formale isolamento internazionale dell'Italia, che si legò allora alla Germania nazista. Con questa, nel 1936, intervenne nella guerra civile spagnola al fianco dei generali ribelli guidati da Francisco Franco. Quindi, aderendo nel 1937 al patto Anticomintern siglato tra Germania e Giappone, avallò le annessioni tedesche dell'Austria e della Cecoslovacchia. In questo modo l'Italia si rendeva corresponsabile della spirale di eventi che portarono alla seconda guerra mondiale.
Il progressivo avvicinamento alla Germania nazista comportò una serie di concessioni: nell’estate 1938 il regime, per compiacere Hitler, emanò le leggi "per la difesa della razza", che colpivano soprattutto gli ebrei italiani (circa 40.000 persone), ridotti al rango di cittadini di serie B: venne proibito agli studenti ebrei di frequentare le scuole secondarie pubbliche, si stabilì l’esclusione degli ebrei dal servizio militare e dall’amministrazione pubblica, furono vietati i matrimoni misti.

 

REGIME NAZISTA
Nazionalsocialismo o Nazismo :Dottrina politica che dava contenuto ideologico al National Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP; Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori), improntando la sua azione e, in generale, tutta la politica interna ed estera di Adolf Hitler e del suo governo dal 1933 al 1945. I principi centrali della dottrina nazista, per alcuni aspetti affine al fascismo italiano, erano ispirati alle teorie che sostenevano una presunta superiorità biologica e culturale della razza ariana formulate da Houston Stewart Chamberlain e da Alfred Rosenberg; ma il successo della formula politica in Germania fu dovuto anche alla sua relazione di continuità con la tradizione nazionalista, militarista ed espansionista prussiana, nonché al suo radicamento nella cultura irrazionalista di inizio secolo.
L'ascesa del movimento nazionalsocialista trasse forte impulso dallo scontento diffuso fra i tedeschi alla fine della prima guerra mondiale. Ritenuta la principale responsabile del conflitto, la Germania dovette infatti accettare le pesantissime condizioni del trattato di Versailles, a causa delle quali entrò in un periodo di depressione economica, segnato da un'inarrestabile inflazione e da una vasta disoccupazione.
Finanziata dagli ambienti militari, la formazione politica guidata da Adolf Hitler nacque nel 1920 in un paese prostrato dalla guerra e attraversato da violenti conflitti politici e sociali (vedi Repubblica di Weimar). Parte dei militanti furono organizzati in una specie di braccio armato, le SA (Sturmabteilungen, "sezioni d'assalto"), organizzato da Ernst Röhm; le SA avevano il compito di intimidire con la violenza gli avversari politici e i sindacalisti. Hitler formulò un programma d'azione antidemocratico, imperniato sul nazionalismo e sull'antisemitismo, e nel 1923 dotò il partito di un efficace strumento di propaganda, il quotidiano "Völkischer Beobachter" (L'osservatore nazionale), e di un simbolo ufficiale, una croce uncinata nera, inscritta in un cerchio bianco su campo rosso: la svastica. Nello stesso anno intensificò la propaganda e le azioni dimostrative contro il Partito comunista tedesco, tentando infine un colpo di stato (il putsch di Monaco) per rovesciare il governo.
Il tentativo fallì e Hitler fu condannato a cinque anni di carcere. Durante la detenzione, che in realtà durò meno di un anno, scrisse la prima parte di Mein Kampf (La mia battaglia), l'opera in cui riassunse i capisaldi dell'ideologia nazista, tracciando il suo progetto di conquista dell'Europa. Le fonti intellettuali di Hitler erano alquanto eterogenee e il nazionalsocialismo si presentava così più come un conglomerato di idee dalle matrici più disparate che come un'ideologia organizzata e strutturata. In Mein Kampf le istanze nazionaliste e il progetto di una grande Germania che radunasse tutte le genti di lingua tedesca trovavano una teorizzazione che ben si inseriva nel clima causato dalla disfatta della guerra: Hitler propose infatti un piano di ampliamento del territorio nazionale, giustificandolo con la necessità di allargare il Lebensraum ("spazio vitale") per il popolo tedesco. Le altre nazioni dovevano sottomettersi alla razza ariana, in virtù della sua conclamata superiorità, destinata com'era a regnare sul mondo intero. Nemici degli ariani erano in primo luogo gli ebrei, responsabili del disastro economico e della diffusione delle ideologie marxiste e liberali.
Una volta rilasciato, Hitler riorganizzò il partito, creò il corpo armato delle SS (Schutz-Staffeln, "squadre di difesa"), diretto da Heinrich Himmler, e l'ufficio di propaganda, che fu affidato a Joseph Goebbels. Nel 1929, l'anno della grande crisi seguita al crollo di Wall Street, buona parte dei grandi imprenditori tedeschi cominciarono a guardare con favore a Hitler e al suo programma e ingenti somme di denaro presero ad affluire nelle casse del partito nazista. Appoggiato anche dalle classi medie, dai piccoli proprietari e dai disoccupati colpiti dalla grande depressione economica, il partito nazista conquistò la maggioranza relativa nelle elezioni del 1932.
Un anno dopo Hitler ottenne il cancellierato e, sfruttando con abilità l'episodio dell'incendio del Reichstag, fece in modo che il presidente della Repubblica decretasse lo stato di emergenza, affidandogli poteri straordinari. Alle successive elezioni politiche il Partito nazionalsocialista ottenne una schiacciante vittoria; a Hitler furono quindi assicurati i pieni poteri, che egli usò per assorbire le competenze del Parlamento ed eliminare con la violenza l'opposizione. Il Partito nazionalsocialista divenne l'unica organizzazione politica legale. Nel 1933, allo scopo di eliminare i dissidenti, venne istituita la Geheime Staatspolizei (Polizia segreta di stato), nota come Gestapo, svincolata da ogni controllo legale e soggetta solo al proprio comandante, Himmler.
Soppressi gli avversari politici e i diritti costituzionali e civili, il regime affrontò la crisi occupazionale, pianificando una ristrutturazione industriale e agricola dell'intero paese, eludendo le restrizioni del trattato di Versailles, abolendo le cooperative e ponendo le organizzazioni sindacali sotto il controllo dello stato. Grazie al "nuovo ordine" la Germania hitleriana uscì dalla crisi: le sorti dell'alta finanza e della grande industria nazionale furono risollevate e gradualmente fu assorbita la disoccupazione; ma questo fu dovuto anche al lavoro creato per la preparazione di una possente macchina da guerra, mentre veniva inaugurata una politica estera estremamente aggressiva e brutale. Fu rimilitarizzata la Renania, si formò l'Asse Roma-Berlino (1936) e l'Austria venne annessa con uno spregiudicato colpo di mano (1938; vedi Anschluss). Infine, l'invasione della Polonia (1° settembre 1939) fu la scintilla che fece scoppiare la seconda guerra mondiale. (vedi Blitzkrieg)
Nella prima fase del conflitto la Germania sembrò avere la meglio; Hitler e i suoi uomini diedero allora il via alla cosiddetta "soluzione finale", organizzando la deportazione e l'eliminazione di milioni di ebrei, zingari, omosessuali, malati mentali, oppositori politici ecc. (vedi Shoah).

 

REGIME STALINIANO
Stalinismo: Termine utilizzato per designare, solitamente in senso peggiorativo, i tratti più autoritari del comunismo sovietico legati alla figura di Stalin: un eccessivo potere della burocrazia, un uso arbitrario delle repressioni di massa, un'esaltazione esagerata fino al grottesco della figura del segretario generale del partito (il cosiddetto culto della personalità), la liquidazione fisica degli avversari. Per estensione, il termine si applica ad altri regimi dittatoriali di sinistra: la Cambogia di Pol Pot, la Romania di Ceauşescu, la Corea del Nord di Kim Il Sung.
Negli ultimi anni della vita di Stalin, lo stalinismo divenne una sorta di religione di stato, i cui dogmi venivano accolti senza discussione in ogni campo dell'arte (realismo socialista), delle scienze sociali, della linguistica e delle scienze naturali (la genetica di Trofim Lysenko). Sul piano economico lo stalinismo si identifica con una concezione dirigista di pianificazione centralizzata, basata sulla priorità agli investimenti nell'industria pesante e sulla rapida collettivizzazione dell'agricoltura: una rivoluzione condotta a tappe forzate senza riguardo per i costi umani coinvolti. Dopo la denuncia dei crimini di Stalin nel rapporto segreto di Kruscev al XX congresso del PCUS nel 1956, il termine stalinismo è venuto a designare chi si rifà a un modello di esercizio del potere quale fu quello del dittatore sovietico, opponendosi alla modernizzazione e alla revisione del comunismo.
Dopo la morte di Lenin, la guida del paese era nelle mani di una troika composta da Stalin, Zinov'ev e Kamenev. All'interno del partito, il principale oppositore di Stalin era Lev Trotzkij che propugnava la teoria della "rivoluzione permanente" contraria a quella staliniana della "costruzione del socialismo in un solo paese". Nel 1927, forte dell'appoggio di Zinov'ev e Kamenev, Stalin riuscì a isolare Trotzkij, ma poco dopo fece un brusco voltafaccia e si schierò con Nikolaj Bucharin e Aleksej Rykov contro i suoi ex alleati; Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev costituirono la cosiddetta "ala di sinistra". Con un'abile propaganda, illustrando la propria interpretazione dei principi di Lenin, Stalin riuscì a far prevalere le sue posizioni e a sconfiggere i rivali. Tra il 1927 e il 1928 Trotzkij e Zinov'ev vennero espulsi: nel 1929 Stalin era ormai unanimemente riconosciuto come l'unico successore di Lenin e divenne il leader incontrastato dell'Unione Sovietica.
Alla fine degli anni Venti, per risollevare la disastrosa situazione economica del paese, Stalin varò la politica dei piani quinquennali, che trasformò un paese sostanzialmente agricolo in una grande potenza industriale. Si crearono nuove industrie pesanti, che sfruttarono gli immensi giacimenti minerari della Siberia, vennero fondate migliaia di scuole per preparare nuovi tecnici e debellare la piaga dell'analfabetismo, e si procedette alla collettivizzazione delle campagne con l'istituzione di grandi aziende agricole collettive (kolchoz) e statali (sovchoz); la terra venne espropriata ai contadini e milioni di persone furono obbligate a trasferirsi per coltivare terreni da bonificare o rimasti fino ad allora desertici. Fu così liquidata la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri (kulaki), condizionando l'andamento dell'agricoltura per molti anni a venire. :I contadini cercarono di resistere con ogni mezzo alla collettivizzazione, soprattutto i kulaki contro i quali furono adottate misure di sterminio:arresti, fucilazioni in massa e principalmente deportazioni in campo di lavoro forzati. Questi campi iniziarono nel 1930 al Gulag (amministrazione centrale dei campi) , anche se già esistevano dal 1918, ma ora il numero e l’estensione crebbe in modo vertiginoso. Nei Gulag i lavoratori vennero utilizzati per costruire grandi infrastrutture e per l’estrazione dell’oro, in condizioni climatiche estreme. All’inizio il lavoro ai Gulag era visto come attività “rieducativa” , ma dal 1934 servì per annientare gli oppositori, veri o presunti.
Stalin, negli anni ’30, riuscì a fare dell’unione sovietica  una grande potenza industriale e militare, ma i suoi veri scopi erano due e uniti tra loro:
- industrializzazione del paese
- avere un potere personale.
Puntò all’eliminazione fisica di tutti coloro che si opponevano, che erano sospettati e che sarebbero diventati presunti oppositori delle sue decisioni.
Stalin iniziò una grande campagna di epurazione politica, nota come "la grande purga": gli arresti e le deportazioni nei campi di lavoro colpirono più di otto milioni di persone accusate di complotto e di deviazionismo ideologico.
Le grandi purghe erano l’eliminazione fisica degli avversari veri  e presunti e cominciarono nel 1934 prendendo spunto dal misterioso assassinio di Kirov (uomo politico del PCUS), si accusò i dirigenti bolscevichi Zinov, Kamene, Bucharin e con dei processi sommari dal 1936 al 1938 furono condannati e giustiziati  e con loro centinaia di migliaia di persone.
Ovviamente non tutti poterono essere incriminati per Kirov, le cause erano molto più generiche: propaganda, attività e organizzazioni antirivoluzionarie, preparazioni di insurrezioni, spionaggio a favore di stati stranieri, etc.
Le grandi purghe sterminarono milioni di persone, ma non c’era un motivo preciso. Infatti tutti gli avversari politici si Stalin, nel 1934 furono allontanati anche se in fin dei conti non erano poi cosi pericolosi perché erano solo dei piccoli funzionari e solo se avessero avuto il coraggio di unirsi avrebbero potuto formare una forte opposizione per rovesciare il regine Staliniano. Quindi lo sterminio era solo per la paura di dover affrontare queste organizzazioni. Ma la causa principale fu il tentativo di fare dello stalinismo un regime Totalitario.
Nell’URSS non c’era più posto per gli avversari del comunismo e per chiunque pensasse a un sistema si comunismo in modo parzialmente diverso da come la pensava Stalin, il quale prese il diritto di controllo totale della vita e del pensiero dei cittadini. Tutti dipendevano da lui.
La vecchia classe dirigente fu di fatto sostituita da uomini nuovi. In tutto il paese si instaurò un clima di terrore, fomentato anche dall'azione della polizia segreta, la temibile NKVD, che diventerà in seguito KGB.
Anche a causa delle epurazioni, che privarono l'esercito di validi comandanti, l'Unione Sovietica si trovò in gravi difficoltà durante la seconda guerra mondiale. Stalin tuttavia diresse personalmente la guerra contro la Germania, come comandante supremo dell'esercito, e ottenne importanti vittorie, tra cui quella che concluse la battaglia di Stalingrado (1942), in cui riuscì a respingere l'offensiva nazista.
Stalin sedette al tavolo delle trattative con gli Alleati a Teheran (1943), Jalta (1945) e Potsdam (1945), dove ottenne il riconoscimento di una sfera di influenza sovietica in Europa orientale; dopo la guerra, estese il controllo sovietico sulla maggior parte dei paesi liberati dall'Armata Rossa, dove si insediarono al potere i Partiti comunisti locali. I suoi timori di un'altra devastante aggressione da parte dell'Occidente e la diffidenza degli Stati Uniti, che vedevano con sospetto la crescente potenza sovietica, innescarono un clima di tensione, noto come Guerra Fredda, che si sarebbe protratto fino alla dissoluzione dell'URSS.
Nel dopoguerra il culto della personalità di Stalin raggiunse i massimi livelli. Ormai isolato ai vertici del potere e già minato nella salute, continuò a sospettare complotti contro lo stato e la sua persona, fino al punto di ordinare, nel gennaio del 1953, l'arresto di numerosi medici accusati di assassinio nell'esercizio delle loro funzioni e di cospirazione. Il "complotto dei camici bianchi" sembrò preannunciare una nuova ondata di "purghe", ma l'improvvisa morte del dittatore (5 marzo 1953) per emorragia cerebrale prevenne un altro bagno di sangue.

 

 

Fonte: https://c1e0f1e1-a-62cb3a1a-s-sites.googlegroups.com/site/gionni555/download/Totalitarismi.doc?

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