Videogames videogiochi
Tesi sui Videogames videogiochi
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Fabrizio Tropeano
Si fa presto a dire… Game Over
Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso intorno al videogaming dopo 50 anni di storia
PREFAZIONE
INTRATTENIMENTO, NIENT’ALTRO CHE INTRATTENIMENTO…
Di fronte alla richiesta di un mio lettore di perorare la causa dei videogiochi in ambito accademico, non ho potuto esimermi dal dare il mio contributo in proposito.
Quello dei videogame è un discorso interessante, perché in esso credo sia possibile vedere il percorso di altre forme espressive del secolo appena passato, prime fra tutte il cinema e la musica rock.
Che l’uomo sia sempre stato spaventato dalle novità ma che al tempo stesso le abbia cercate, credo sia innegabile. Ad esempio, con la scoperta delle prime locomotive, numerose furono le persone convinte che il viaggiare a una velocità superiore a quella di un cavallo avrebbe impedito una corretta respirazione e, quindi, causato la morte per asfissia.
È curioso notare come proprio un mezzo di trasporto così contestato all’epoca sia stato oggetto dei primi filmati creati nel 1895 a Lione dai fratelli Lumière, che volevano mostrare le potenzialità della loro invenzione.
Eravamo agli albori del cinema ma questo momento era vissuto dai suoi stessi creatori non tanto come possibile forma d’arte, bensì come un semplice mezzo d’intrattenimento alternativo a quelli già esistenti. Arriviamo quindi, e qui mi riallaccio a quanto scritto in precedenza, all’avvento della musica rock: anche in tal caso le accuse rivolte a coloro che si esibivano in questa forma di espressione erano tra le più pittoresche che si siano mai potute sentire nella seconda metà del ‘900, superate forse da quelle rivolte al mondo dei videogiochi e ai suoi membri.
Credo sia inutile commentare le accuse di satanismo rivolte ai Rolling Stones, quelle di devianza affibbiate ai Beatles, così com’è superfluo notare che ormai i treni sono un mezzo di trasporto addirittura superato in velocità e che questi costituiscono tutto fuorché la principale musa ispiratrice per la cinematografia contemporanea.
I videogiochi non sono da meno e, adesso che sono diventati un fenomeno di massa, passato il periodo sabbatico dell’accettazione da parte dei garanti dell’informazione, possono cominciare a respirare dalle accuse, peraltro non ancora del tutto sopite, gettate loro addosso da quei tanti che hanno visto in questa forma di intrattenimento una panacea alla spiegazione dei mali che affliggono la società odierna.
Opinione di chi scrive è che al momento i videogiochi non siano altro che un intrattenimento elettronico che rispecchia l’ormai raffinata visione del divertimento della ricca civiltà occidentale.
Giocattoli interattivi dal diverso spessore a seconda della fascia cui essi sono rivolti, non meritano certo le invettive di cui sono stati fatti oggetto recentemente. Al pari della danza in discoteca, della lettura di un libro, della visione di un film o di una partita a pallone, essi non sono che una forma di svago la cui intensità di fruizione spetta alla coscienza di chi se ne serve.
Le accuse di fomentare l’alienazione dei giovani d’oggi sono infondate nella stessa misura in cui si considera che altre “forme d’intrattenimento” possono portare alle medesime conseguenze: non si riescono altrimenti a spiegare gli atteggiamenti di coloro che vivono per la serata in discoteca, la partita allo stadio o, ancora, di chi passa i pomeriggi e le serate davanti ad abulici format televisivi.
In una società che gioca allo scaricabarile con l’educazione, con i genitori che l’affidano alle scuole e queste ultime che la respingono ai mittenti, risulta evidente l’importanza che riveste la formazione caratteriale e culturale che si impartisce ai propri figli. Una volta che questi hanno gli strumenti corretti per analizzare la realtà che li circonda, vivere la propria vita in modo equilibrato e dare la giusta misura alle cose, ecco che i rischi paventati dai detrattori del mondo dei videogiochi cessano di esistere.
I casi da notiziario di bambini caduti in preda alle crisi epilettiche (quando non già predisposti ad esse) o, peggio, collassati di fronte ai monitor dopo sedute interminabili, credo siano imputabili più all’incuria di chi li ha in responsabilità che non al media prescelto dalle “vittime”.
Alla stessa stregua, coloro che accusano i videogame di plagiare le menti dei più giovani dovrebbero puntare il loro indice accusatore più verso l’operato delle famiglie che non, ancora una volta, verso una mera forma d’intrattenimento.
Se una critica si può muovere ai videogiochi del giorno d’oggi è quella di non riuscire a staccarsi da semplice forma d’intrattenimento ed evolversi piuttosto in una forma d’arte, occasione questa che la popolarità e l’accettazione da parte delle masse sta dando loro.
La scelta delle produzioni è ancora basata unicamente su considerazioni di botteghino, in virtù anche degli alti costi di produzione dei videogiochi del giorno d’oggi.
Purtroppo tra l’altro, forse a causa dell’età media cui l’intrattenimento elettronico si rivolge, a differenza di quanto accade nell’industria del cinema le produzioni “indipendenti” hanno scarsissimo successo, il che provoca un notevole appiattimento verso il basso delle realizzazioni videoludiche.
I tempi comunque stanno cambiando, e mentre una volta chi passava il proprio tempi coi videogiochi era considerato un disadattato e comunque una persona “out”, ormai per quelle che sono le tendenze attuali si è “out” se non sia ha a casa una PlayStation 2, agli occhi dei suoi promotori una macchina da intrattenimento costosa, d’immagine e rivolta a quella fascia d’utenza non certo adolescente che insieme ai videogiochi c’è cresciuta. Passerà del tempo e alla fine ciò che una volta destava scalpore diventerà consuetudine, e guardando alle accuse mosse ai videogame ci si riderà sopra, così come lo si fa ora pensando a quanto si è detto a suo tempo di locomotive, cinema e musica rock.
Stefano Silvestri*
*Caporedattore di The Games Machine
Da 10 anni, la rivista di videogiochi per PC più venduta in Italia
PERCHE’ SCRIVERE DI VIDEOGIOCHI?
E’ da qualche anno che in termini di fatturato, il mercato dell’entertainment elettronico ha superato per dimensioni quello cinematografico e musicale.
L’offerta si è variegata, proponendo titoli sempre più eterogenei e complessi con ingenti investimenti da parte delle software house che a volte superano le produzioni cinematografiche.
Gli “eroi digitali” protagonisti dei titoli di maggior richiamo hanno una fama pari (se non superiore, a volte) ai cantanti pop e ai divi cinematografici.
L’uscita di nuove console, macchine dedicate esclusivamente al videogiocare, hanno completamente disatteso (in positivo) le tipiche curve per descrivere il ciclo di vita di un prodotto, ottenendo nel giro di poche ore l’esaurimento delle scorte disponibili.
Il gioco on line è una forma di intrattenimento capace già di coinvolgere milioni di persone al mondo e con possibilità di rapporti sociali molto più ampie delle chat.
E se anche Bill Gates non si è accontentato di creare all’interno di Microsoft un comparto dedicato alla produzione di videogames per PC ma è voluto entrare direttamente anche nel mercato delle console con l’X-Box, ciò potrebbe significare che le possibilità di crescita sono ancora ampie.
Ma a fronte di questi dati economici, il “videogiocare” non ha ancora acquisito tanti degli elementi che un medium dalle caratteristiche così uniche meriterebbe di avere.
Tranne rarissime eccezioni, quotidiani, periodici e telegiornali e media non specialistici in genere, dedicano percentuali irrisorie del loro tempo e spazio ai videogames se paragonato a quello dato a cinema, libri e musica, per non parlare dei talk show in cui l’unico motivo per tirare in ballo il divertimento elettronico è riguardo le possibili influenze negative dei titoli a più alto contenuto violento sui giocatori più giovani.
Da un punto di visto accademico, esistono pochi casi al mondo in cui il “videoludus” sia riuscito ad entrare nelle scuole e nelle università in maniera stabile e le pubblicazioni di testi riguardo l’argomento (sotto un punto di vista sociale o culturale) sono ugualmente non frequenti (in Italia non esistono più di 6/7 titoli al riguardo compresi quelli tradotti da altre lingue).
A differenza del cinema e della musica, non c’è in questo mercato un’alternativa stabile al “mainstream” (i prodotti di massa, solitamente ad elevato budget) in grado di offrire una diversificazione maggiore dei prodotti sia sotto il profilo dei contenuti che delle forme.
Dopo quasi 50 anni di storia del videogaming, avere più di 30 anni e dichiararsi videogiocatori nella maggior parte dei casi significa essere considerati “bambinoni” troppo cresciuti o comunque al di fuori della cosiddetta “normalità” e immaginarsi che il videogioco sia argomento da salotto è oggi per i “gamers” ancora solo una splendida utopia.
Quanti, se non una piccola nicchia di appassionati, conoscono i nomi di sceneggiatori o programmatori anche dei titoli più famosi?
E le dissertazioni interminabili di vari generi di intellettuali che si “sprecano” per il cinema, per la musica o l’arte figurativa?
Mai sentiti per videogiochi anche con una splendida trama, una più che rispettabile introspezione psicologica dei personaggi e dall’estetica elegante?
Quello che proveremo a dimostrare nelle pagine seguenti, dopo una breve storia dell’evoluzione dei videogiochi, è che i motivi di questo “riconoscimento” ancora parziale non sono attribuibili alle caratteristiche del medium in sé ma alla sinergia di pregiudizi culturali, sociali ed ideologici radicati nei non videogiocatori e dalle caratteristiche predominanti di produzione in questi primi 50 anni di videogaming: i due fattori hanno generato il tipico meccanismo del “cane che si morde la coda” ma illustreremo nell’ultima parte di questo testo come si possano già citare esempi di prodotti in grado di aprire un varco verso una nuova era del videogiocare, capace di trovare usi, forme, utenti e contenuti complementari a quelli esistenti.
Opere capaci di mostrare la possibile trasformazione dell’entertainment elettronico nello strumento principe di narrazione audiovisiva.
NOTA INIZIALE
ETIMOLOGIA DI “VIDEOGIOCO”
Dopo interminabili discussioni con colleghi di studio, intellettuali, professori e semplici giocatori appassionati sull’importanza di definire cosa sia il videogioco, mi è sembrato opportuno aggiungere questa breve nota iniziale sull’etimologia di questo neologismo.
Sia chiaro: la questione rimane molto aperta ed anche le opinioni espresse in alcuni dei testi presenti nella bibliografia sono estremamente discordanti se non opposte.
Il motivo di questa difficoltà nasce dal periodo di forte convergenza digitale e non risulta affatto semplice trovare discriminanti stabili per suddividere in maniera radicale sia i nuovi che i vecchi media traghettati sulle piattaforme elettroniche.
Ho deciso di fornire questo punto di partenza per un’operazione di chiarezza semantica ma proprio una parte di questo testo sarà incentrata riguardo il possibile superamento delle concezioni attuali e di come, processo già in atto, la convergenza non sarà solo tecnica ma anche nel contenuto e nella interazione fra macchina e uomo.
Reputo comunque che Matteo Bittanti (M. Bittanti, “L’Innovazione Tecnoludica”, Jackson Libri 1999) presenti la migliore delle definizioni: si parla di “…una doppia natura: da una parte è gioco, dunque è attività, prassi. Dall’altra è video, per tanto rimanda ad un vedere, ad un’estetica…. Definiremo quindi il videogioco come dispositivo elettronico che consente a uno o più giocatori di simulare vari giochi sullo schermo di un televisore o di un monitor al quale viene collegato.
Il videogioco è un new medium a finalità essenzialmente ricreativa”.
Definizione simile poi a quella che troviamo nel vocabolario Zingarelli ovvero: “Apparecchio elettronico che permette a uno o più giocatori di simulare, mediante vari tipi di comandi, sullo schermo di un televisore ordinario a cui viene collegato o su quello di un monitor che ne fa parte integrante, vari giochi esistenti o ideati appositamente”.
Ci permettiamo di aggiungere alla definizione citata il fatto che per gioco possiamo considerare qualsiasi attività ed azione reale od immaginaria riproducibile su schermo (il gradimento dell’utente deciderà esclusivamente il successo dell’opera e non la sua natura) e che la partecipazione umana (in qualsiasi sua forma) debba essere indispensabile per ciò che viene presentato.
…E la discussione può continuare.
I PASSI FONDAMENTALI DELL’EVOLUZIONE:
BREVE STORIA DEI VIDEO GAMES
1958 – 1984: LA “PREISTORIA”
Nella ancora non precisa1 storia videoludica, possiamo considerare il ricercatore fisico William A. Higinbotam come il primo vero creatore di un videogioco. Era il 1958, quando all’interno del Brookhaven National Laboratory negli Stati Uniti, si cercano nuove forme per coinvolgere maggiormente i visitatori del centro scientifico, aperto al pubblico durante alcuni giorni della settimana.
Nasce così un tentativo di simulazione di tennis (due linee su schermo che si passavano un quadratino luminoso) che Higinbotam chiamerà “Tennis for Two” e diverrà la vera attrazione del laboratorio Brookhaven per molto tempo.
Da Tennis for Two passeranno 4 anni per il secondo titolo videoludico: Space War è una sorta di simulazione di combattimento spaziale che rispettava in maniera adeguata le leggi della gravità nello spazio e realizzato da Stephen Russell, studente di ingegneria al Massachussets Institute of Technology di Boston.
Tennis for Two e Space War non sono pensati per arrivare al grande pubblico anche perché in quel tempo giocare con questi due titoli significava avere degli elaboratori grandi quanto un’ autovettura e dal costo di circa 150.000 dollari.
Le due invenzioni, anche se per motivi diversi, non saranno neppure brevettate: Higinbotam non immaginò minimamente che la sua invenzione
1: Ci riferiamo alle varie divergenze che abbiamo trovato nella ricostruzione delle origini dei videogames. Quella che noi presentiamo cerca di unire gli elementi più comuni riscontrati nella nostra bibliografia.
avrebbe avuto degli effetti così importanti mentre Russell condivideva la filosofia degli hacker2.
Dopo il fallimento del progetto di Ralph H. Baer, il primo a brevettare nel 1968 una macchina da gioco destinata ad essere fruibile direttamente dalla televisione che arriverà solo nel 1972 sul mercato, è Nolan K. Bushnell con la realizzazione di prodotti destinati a locali pubblici a trasformare il videogaming in un fenomeno di massa. Prima Computer Space (una variante, per non dire imitazione di Space War) nel 1971 e soprattutto l’anno successivo Pong (anche in questo caso, non così lontano da Tennis For Two) entrano nel novero dei divertimenti preferiti prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. Bushnell, creato il marchio Atari3, deciderà di “invadere” con i suoi videogiochi anche la sfera privata con dei sistemi casalinghi e di cui sarà leader incontrastato per almeno 10 anni.
Saranno in molti, con alterni risultati, ad entrare nel mercato dei videogiochi e che insieme ad Atari, proporranno nuove forme di intrattenimento videoludico4.
2: Matteo Bittanti (M. Bittanti, L'innovazione Tecnoludica, Jackson Libri 1999) definisce l’hacker come “uno smanettone del computer e un fanatico della tecnologia che vede nell’informatica l’unica via possibile per la liberazione dall’oppressione politica ed ideologica. Legati alla cultura dello scambio, della condivisione delle conoscenze e delle competenze, gli hackers si rapportano al concetto di diritto d’autore con una certa elasticità”.
3: Per capire l’importanza nella storia dei videogiochi dell’Atari (scomparsa ufficialmente come sigla dal mercato da almeno 5 anni), citiamo l’indiscrezione secondo cui la software house francese Infogrames, azienda importante nella produzione odierna e il cui fatturato ogni anno cresce in maniera considerevole, sta prendendo in seria considerazione l’ipotesi di cambiare nome proprio in Atari (di cui ha acquisito i diritti del marchio durante la prima metà del 2001) perché soprattutto nel mercato americano susciterebbe ancora in molti utenti un forte richiamo.
4 E’ da sottolineare come nel 1979 quattro ex programmatori dell’Atari fondino la Activision, prima azienda a produrre esclusivamente software per macchine da gioco.
Le prime produzioni saranno proprio per le macchine Atari che risponderà con una serie di azioni legali, molto frequenti nel settore in quel periodo.
Non solo macchine dedicate: il videogioco diverrà una possibile applicazione di Home e Personal Computer che dalla seconda metà degli anni ’70 iniziano la loro lenta ma inesorabile diffusione.
Ma è soprattutto l’apporto di alcuni prodotti giapponesi alla fine del decennio ad essere l’artefice di importanti innovazioni nel settore.
Space Invaders (Taito - 1979) viene considerato il capostipite di una nuova generazioni di prodotti grazie alla prima caratterizzazione dei protagonisti del gioco5 e al livello di coinvolgimento in grado di offrire all’utente.
Pac-Man (Namco - 1980) è la prima vera star6 dei videogiochi: oltre a riscuotere un consenso enorme (anche da parte, per la prima volta, del pubblico femminile), otterrà copertine di giornali e magazine, dischi ai vertici per settimane delle classifiche e cartoni animati dedicati alla produzione nipponica.
Sono di questi anni i primi interventi di psicologi, intellettuali e sociologi sui videogames ma il dibattito si limita ad una discussione sui possibili effetti negativi che l’intrattenimento elettronico potrebbe avere sulle nuove generazioni.
5: Gli alieni “invasori” della terra e che il giocatore doveva eliminare, presentavano a seconda della fila in cui erano schierati, delle forme piuttosto diverse. Per il 1979, quel tipo di tecnica grafica era impressionante.
6: L’origine di quel cerchio giallo senza uno spicchio inseguito da alcuni fantasmi in un labirinto ha una storia alquanto bizzarra: il suo autore, Iwatani, prende ispirazione dalla visione di una pizza a cui già aveva mangiato uno spicchio! Solo le limitazioni tecniche stilizzeranno il personaggio non in una pizza ma in un indefinito essere giallo…. Se aggiungiamo inoltre che l’idea di chiamare i due “operai” protagonisti dei più famosi giochi Nintendo, Mario e Luigi, nasce da alcuni dipendenti della Nintendo America che solitamente cenavano in una pizzeria italiana ed i cui proprietari si chiamavano Mario e Luigi (ed avevano una spiccata somiglianza ai protagonisti dei giochi) possiamo tranquillamente affermare di come la pizza sia stato un elemento fondamentale per il successo e lo sviluppo mondiale dei videogames.
Da Pac Man in poi, il mercato continuerà a crescere in modo esponenziale e sarà in grado di offrire ulteriori forme di intrattenimento con nuove tecniche (grafica vettoriale, laser game ed altri esperimenti meno riusciti) e modi di interazione tra macchina e uomo7.
L’eccesso della crescita ed il tentativo di alcuni nuovi arrivati nel mercato che proporanno titoli scadenti ma ad un prezzo più basso saranno il motivo nel 1984 di una pesante ma temporanea crisi del settore.
7: Ci stiamo riferendo, oltre ai tanti nuovi titoli usciti sempre più diversificati, anche ai giochi di ruolo elettronici, alle simulazioni gestionali e le avventure testuali.
1984-1993: L’ETA’ CLASSICA
Come già è stato fatto da altri, abbiamo deciso di definire questi 9 anni come “l’età classica” del videogioco perché è opinione piuttosto diffusa fra tanti players di tutto il mondo che in questo decennio siano stati prodotti i migliori titoli della storia: secondo i fautori di questa teoria, si era nel momento di maggior equilibrio tra le possibilità tecnico/grafiche (ancora non eccessive) e la strutturazione del gioco in sé.
Torneremo su questo importante concetto successivamente.
Superato il temporaneo sbandamento dell’84, la “fabbrica dei giochi”, per l’ambito casalingo si sviluppa in due direzioni: se in Giappone e nel Nord-America saranno le macchine esclusivamente dedicate al videogaming, le console (in particolare quelle prodotte da Sega e Nintendo) a prendere il sopravvento e diventare in modo stabile i “giocattoli” più venduti, in Europa si preferiranno gli home computer dei produttori Commodore e Spectrum come strumenti per videogiocare8.
E’ di questi anni l’importante passaggio dagli 8 ai 16 bit per i microprocessori principali di ogni sistema: ciò consente di iniziare ad usare un numero molto più elevato di colori, risoluzioni, oggetti sullo schermo impensabile fino a pochi anni prima ed anche dal punto di vista sonoro, ci avviciniamo ad una qualità da musica “reale”.
E’ veramente difficile scegliere per questo periodo i titoli che
8: La diffusione delle console tarderà di qualche anno nella zona europea ma in seguito comincerà ad avere larga diffusione. In Giappone avrà un discreto successo come Home Computer l’MSX, uno standard aperto a vari produttori come oggi Windows. Anche negli USA le macchine Commodore ebbero una certa diffusione come non mancarono le applicazioni ludiche per i primi modelli degli Apple di Steve Jobs che in precedenza aveva lavorato per Atari.
maggiormente hanno avuto una parte importante nell’evoluzione del
videogiocare casalingo e pubblico.
La scelta è caduta su 4 opere piuttosto diverse.
In Dragon’s Lair (Readysoft, Canada – 1984) si trovava sullo schermo un ottimo cartone animato realizzato dall’ex disegnatore Disney Don Bluth9: il giocatore non doveva far altro che eseguire dei movimenti elementari (destra, alto, sinistra, pulsante, basso e via dicendo…) al momento giusto per far proseguire il protagonista del gioco10 fino alla fine della storia.
Anche con un modo di gioco così semplice, Dragon’s Lair affascina: ci si trovava di fronte al primo tentativo di rendere interattivo qualcosa che fino a quel momento si era potuto vedere esclusivamente nelle sale cinematografiche. Il successo fu immediato e mondiale ma la fragilità della tecnologia laser11 (su cui era basato il gioco) e la noia dei giocatori che va a sostituirsi all’eccitazione iniziale, porterà a poche altre produzioni del genere12.
Rimane però l’importanza del prodotto della Readysoft che aprirà degli spiragli di evoluzione tecnico/grafica importanti soprattutto per le produzioni degli anni più recenti.
Tetris, progettato dal ricercatore e matematico russo Alexi Pajitnov e
9: Autore poi di altri videogames e di lungometraggi che hanno insediato da vicino la leadership Disney nei film di animazione.
10: In un medioevo fantastico, il cavaliere Dirk deve salvare la principessa Daphne, catturata dalle “solite” creature infernali e prigioniera in un castello pieno di mille insidie.
11: Il costo di affitto delle macchine per i gestori delle sala giochi era molto più alto delle altre e la facilità con cui andava fuori uso (e quindi non generatrice di profitto) spinse molti esercenti a rimandare indietro in tempi brevi molti degli esemplari di Dragon’s Lair.
12: Sempre ad opera di Don Bluth e della Readysoft, citiamo Space Ace, la trasposizione in un futuro fantascientifico di Dragon’s Lair.
programmato da uno studente informatico moscovita nel 1987, è un gioco molto semplice: si tratta di incastonare in maniera adeguata delle forme geometriche che arrivano dall’alto (ad una velocità sempre più elevata) in linee orizzontali12.
L’intuizione di Pajitnov13 è geniale: sarebbe molto difficile ricordare tutte le versioni di Tetris uscite nelle sala giochi di tutto il mondo. Impresa ancora più ardua quella di elencare le successive trasposizioni su computer, console portatili e da casa14.
Il successo è planetario e crea anche una nuova fascia di giocatori: saranno milioni le copie di Tetris installate sui PC negli uffici di tutto il mondo15 e che appassioneranno dei giocatori dall’età più elevata del solito ma meno esperti in fatto di videogames.
Street Fighter II della software house giapponese Capcom nel 1990 rivoluziona il genere, già molto in voga da alcuni anni, dei combattimenti con tecniche di arti marziali e semplici calci, pugni e mosse più o meno corrette. Oltre ad una grafica sconvolgente per l’inizio degli anni ’90, ad un coinvolgimento di gioco molto elevato, Street Fighter II dava la possibilità
12: Ci scusiamo per la non esauriente spiegazione ma descrivere Tetris a parole non è affatto semplice!
13: Per la cronaca, Pajitnov proporrà un altro paio di titoli sulla falsariga di Tetris ma saranno accolti molto freddamente dai giocatori.
14: Ironicamente J.C. Herz (J.C. Herz, “Joystick Nation”, 1997 Little Brown and Company) scrive: “Probabilmente il videogioco più simile alla droga mai inventato: con un livello di pratica sufficiente, riesce ad indurre stati simili alla trance. Non sono molte le cose certe nell’industria dei videogiochi, ma un articolo di fede è che Tetris ci sarà sempre, disponibile su ogni piattaforma fino al Giorno del giudizio”.
15: Ricordiamo come fosse anche possibile, premendo il “Boss Button” mettere immediatamente in pausa il gioco e passare ad una finta pagina di un foglio elettronico per prevenire le possibili visite dei propri capiufficio.
all’utente di scegliere 10 combattenti (sia maschili che femminili) originari di varie parti del mondo, ognuno con delle caratteristiche proprie di
combattimento ma anche con delle motivazioni diverse per cui combattere: la vendetta, il patriottismo (sia americano che sovietico), l’amore, la famiglia, la religione, l’auto realizzazione…
Il prodotto della Capcom, oltre ad essere uno dei più grandi successi nella storia dei videogames16, fa un grande passo in avanti nella caratterizzazione dei personaggi17: si potrebbe definire un’ autentica rivoluzione nel proporre i protagonisti di un gioco elettronico d’azione18.
L’ultimo rappresentante del decennio non è un gioco singolo ma l’insieme dei titoli firmati dalla nipponica Nintendo e che hanno per protagonista il simpatico personaggio di origine italiana noto al mondo con il solo nome di battesimo: Mario.
16: Oltre alla Capcom stessa che produrrà un numero incredibile di seguiti del suo best seller con l’aggiunta di nuovi personaggi (anche i nemici del precedente che i giocatori umani non potevano utilizzare) e le battaglie con universi paralleli come quella contro i super eroi dei fumetti Marvel, saranno molti i produttori a gettarsi su questo filone così popolare.
Vanno ricordate in particolare la giapponese SNK che proporrà decine di titoli fortemente ispirati a Street Fighter 2 e la saga Made in Usa chiamata Mortal Kombat: il gioco cercherà di calamitare l’attenzione con una grafica ai primordi del foto realismo e soprattutto con l’uso massiccio di violenza gratuita che farà scatenare una nuova crociata negli Stati Uniti contro i videogames violenti. Il gioco della Midway otterrà un buon successo ma comunque di molto inferiore a Street Fighter 2.
In anni più recenti saranno le giapponesi Namco (la stessa di Pac Man) e Sega a darsi battaglia rispettivamente con i vari episodi di Tekken e Virtua Fighter.
17: Aneddoto di videogiocatore. Ricordo ancora un pomeriggio invernale maceratese di dieci anni fa, qualche partita in sala giochi e sentire un amico esclamare: “Lo devo dire, Guile (un marine americano protagonista del gioco) è il mio ideale di uomo”
18: Riguardo i giochi di ruolo parleremo più avanti.
L’idraulico più famoso del pianeta fa la sua prima apparizione nel lontano 1981 in “Donkey Kong”, uno dei primi “platform game”19 in cui aveva il
cruciale ruolo di salvare la sua dama da un simpatico scimmione20 emulo delle gesta di King Kong.
Il pubblico si innamora immediatamente del personaggio, della sua tuta rossa e delle forme rotondeggianti.
Mario sarà poi protagonista insieme al fratello Luigi21 di altri titoli per varie piattaforme con un successo sempre crescente che toccherà il suo apice22 nel 1990 con Super Mario Bros 3, considerato secondo molte statistiche come il gioco più venduto nella storia con un realizzo di circa 500 milioni di dollari.
Indubbiamente i titoli Nintendo erano incredibilmente piacevoli e divertenti ma per raggiungere questi risultati hanno dovuto dare qualche cosa di più: riuscire a creare un nuovo universo di fantasia con i suoi protagonisti, luoghi, suoni, antagonisti e regole, capace di reggere il paragone (e la sfida) con “l’impero” Disney.
Si sono spinti verso la stessa direzione di Pac Man ma sono andati molto più oltre.
Come l’eroe giallo, Mario riscuote un certo consenso anche nel pubblico femminile; pur se destinato agli utenti molto giovani è un best seller in ogni fascia d’età. Diviene una vera icona pop degli anni ’80 ed il suo successo traina anche gli altri co-protagonisti delle sue avventure23.
19: Genere basato principalmente sul saltare da una piattaforma all’altra con ostacoli di vario tipo che impediscono il facile proseguimento nel cammino del protagonista.
20: Anche lui diverrà protagonista di molti titoli di successo.
21: Luigi non è altro che il “gemello” di Mario ma con la tuta verde. Proprio lui, il meno famoso dei due fratelli, sarà invece il protagonista del primo titolo di punta della nuova console Nintendo denominata Gamecube ed in cui Mario invece farà solo una fugace apparizione.
22: Ma anche i titoli successivi otterranno sempre vendite clamorose.
23: Oltre al già citato Luigi, ci saranno vari “animaletti”, il parallelo in cattivo di Mario e molti altri nuovi “attori”.
Nintendo farà enormi profitti con le licenze di Mario per il merchandising ma sarà sempre molto attenta nel difendere l’immagine24 della star con
attente valutazioni nel decidere su quali prodotti possa comparire e nelle azioni e movenze che deve compiere in apparizioni pubbliche25.
Non c’è ancora un personaggio nella storia dei videogiochi che si possa solo immaginare26 in grado di bissare i 20 anni di grandi successi che il signor “200 milioni di copie vendute” ha ottenuto.
24: Stupisce per questo il grande flop che ebbe il film dedicato a Mario.
25: Ci riferiamo chiaramente ai costumi che vengono indossati all’interno di centri commerciali per promozionare nuovi prodotti o altro.
26: La Sega, entrata in concorrenza diretta con Nintendo nella guerra delle console a 8 e 16 bit, ha cercato di controbattere con un porcospino blu chiamato Sonic e destinato ad un pubblico più maturo. Anche Sonic riscuoterà grande successo e nel corso degli anni saranno decine i titoli che lo vedranno protagonista ma il confronto, in una ipotetica sfida pugilistica, si concluderebbe alla prima ripresa per K.O. dopo pochi secondi a favore di Mario.
1993-2001: “STORIA CONTEMPORANEA”
E’ opinione comune e diffusa che siano stati due i principali fattori a rivoluzionare gli ultimi anni del videogaming.
Il primo è stato l’uso del Compact Disc come supporto per i dati (chiaramente non solo per i giochi).
Prima del CD, i dischetti utilizzati dai computer e i vari formati di cartucce per le console, potevano contenere un numero molto limitato di informazioni se paragonato a quello dei CD, capace di oltre 650 mega di bytes, cifra di circa 200/300 volte maggiore rispetto ai titoli precedenti spesso scomodamente inseriti in un numero piuttosto elevato di floppy disk.
Il CD si può considerare come uno dei principali strumenti anche della convergenza digitale: musica, videogiochi, film (se pure in maniera minore) potevano essere finalmente fruiti con un unico strumento.
Inserire nei giochi colonne sonore dalla stessa identica qualità dei CD audio diviene un operazione molto semplice come con la tecnica del Full Motion Video, diverrà abitudine inserire veri e propri filmati all’inizio, alle fine o all’interno del gioco stesso ad esempio fra un livello e l’altro.
In questo periodo assistiamo ai primi tentativi di film interattivi27: il problema è che gli utenti non si accontenteranno di trovarsi di fronte a degli aut-aut in stile kirkegaardiano dove semplicemente si indicava all’attore di prendere la strada buia o quella illuminata e come successe per Dragon’s Lair, allo stupore iniziale, subentrò l’indifferenza degli utenti.
27: Oltre che sul PC, gli esperimenti furono fatti sulla console Philips CD-I e 3DO, quest’ultima prodotta da più marche fra cui la Matsushita.
Entrambe miravano a non essere semplici macchine da gioco ma ad entrare nei salotti come uno strumento multimediale per giocare, ascoltare musica, vedere film ed usare altri programmi educativi come enciclopedie e prodotti culturali di vario genere. Forse l’eccesso di coraggio delle due compagnie portò ad un totale insuccesso delle due macchine.
Con il Compact Disc e il parallelo monopolio costituente di Windows che spazzò via dalla competizione il Commodore Amiga (che nel campo dei videogiochi per computer aveva regnato incontrastato per almeno 5 anni) e ridusse le macchine Apple ad un target di nicchia, milioni di giocatori trovarono nelle macchine “targate” da Bill Gates l’unica possibilità per giocare su computer ma è indubbio di come su questa piattaforma nel passato ed oggi si scrivano importanti passi della storia che vi stiamo raccontando.
L’altro evento degli anni ’90 è l’arrivo tra i produttori di console della Sony.
Il colosso giapponese aveva una minima conoscenza nel settore dei videogiochi28 e la stragrande maggioranza degli analisti di mercato non gli tributava alcuna possibilità di scalzare dai vertici Nintendo e Sega.
Mai nessuna previsione fu così sbagliata.
La Playstation non solo sarà la console più venduta al mondo29 ma diverrà un vero fenomeno di costume: per la prima volta sarà “trend” essere videogiocatori!
La strategia di Sony si basò sull’alzare l’età del target di riferimento del suo prodotto30 e conseguentemente la maggior parte dei titoli rispecchiavano questa scelta con storie, estetiche, contenuti e forme plausibilmente indirizzati ad un target fra i 16 e i 30 anni.
28: Fu tra i vari produttori (e neppure con entusiasmo) dello standard MSX durante gli anni ’80.
29: Solo con il fattore “Pokemon”, Nintendo con l’Ultra 64, riuscirà ad avvicinarsi alle cifre di Sony, mentre Sega dopo il fallimento del Saturn proporrà una nuova macchina chiamata Dreamcast ma anche in questo caso il flop sarà così marcato da indurre Sega ha ad uscire dal mercato hardware e continuare solo a produrre software per sala giochi e per le macchine di quelli che fino a pochi mesi fa, erano i suoi diretti concorrenti.
30: In realtà già Sega si presentò con delle macchine pensate per una fruizione più adulta rispetto a Nintendo ma lo fece in maniera non troppo decisa e marcata.
Tramite la PSX, l’evoluzione del concetto di film interattivo inizia ad essere realmente coinvolgente per il giocatore e grazie anche ad una politica di marketing piuttosto innovativa31, possiamo affermare di come la Sony sia riuscita a rivoluzionare gli usi, le modalità ed il concetto stesso di videogioco. Parlare di tempi così recenti e scegliere quei prodotti che maggiormente hanno avuto un ruolo importante in questa evoluzione non è una scelta così semplice ma abbiamo voluto “azzardare” 4 nomi.
Doom (Id Software – Usa, 1993) è stato il primo gioco32 3D d’azione in cui la prospettiva di gioco era sempre in soggettiva: su schermo non avremmo mai visto il protagonista ma quello che potevano vedere i suoi occhi e che potevamo gestire a nostro piacimento in ogni direzione dello spazio tridimensionale creato.
Doom è stato solo l’inizio di uno dei generi più floridi degli anni ’90 e che ancora oggi non sembra conoscere alcuna sorta di crisi.
Quasi sempre, in questo genere, il nostro scopo è di uccidere ogni forma vivente che incontriamo nel corso dei livelli: lascio a voi immaginare cosa abbia potuto scatenare un realismo mai visto fino a quel momento, la forte stimolazione sensoriale33 e la violenza gratuita del titolo34.
31: Tutta la campagna pubblicitaria di Sony si basò nel mostrare il meno possibile i giochi sia in TV che nei manifesti, cercando invece di calamitare l’attenzione dei consumatori con “scenette” di vario genere riguardo la potenza della sua macchina o di altro genere. Visto il successo di questa strategia, si sono ripetute le stesse modalità per l’uscita della Playstation 2.
32: Gli stessi programmatori avevano già distribuito in forma gratuita un gioco molto simile a Doom chiamato Wolfenstein 3D.
33: Comunque abbastanza tipica per tante delle nuove produzioni.
34: Una precisazione: non si vuole in questo testo aprire un capitolo sui possibili effetti della violenza dei videogiochi ma abbiamo riportato sempre le polemiche su quest’argomento per evidenziare il fatto che fino a tempi recenti, questo sia stato l’unico motivo per cui la stragrande maggioranza (vicino all’unanimità) di intellettuali, medici, psicologi e sociologi prendeva la parola sui videogiochi, chi per difenderli, chi per attaccarli.
Se Doom nasce su PC, Wipe Out (Psygnosis – Inghilterra 1995) è stata una delle prime “killer application”35 per Playstation.
Il gioco ci porta in un futuro non meglio precisato dove le corse di Formula Uno vengono sostituite da vetture volanti in grado di raggiungere velocità elevatissime.
Wipe Out propone un’estetica scioccante con uso massiccio di colori sgargianti e “buca” lo schermo per la sensazione di velocità.
Ma il titolo è importante anche perché sarà l’inizio36 della collaborazione tra il mondo dei videogames e musicisti già noti al grande pubblico37.
Nel 1996 farà la sua apparizione in contemporanea su PC e Playstation, la donna virtuale più famosa del mondo, Lara Croft, protagonista della serie Tomb Raider (Eidos – Inghilterra 1996) già arrivata al suo 5° episodio.
Oltre ai successi di vendita e alla validità del prodotto38, la signorina Croft diviene un vero oggetto di culto: poche “pin-up” degli anni ’90 possono contare su un numero di fan superiore a quello dell’archeologa virtuale.
I poster dell’eroina di casa Eidos, invadono le stanze di milioni di teenagers ma anche Bono Vox, leader del gruppo degli U2, rimane affascinato dalle forme e dalla personalità decisa della Croft che diverrà il soggetto
35: Con killer application si intendono quei titoli che per la loro innovazione o fascino riescono a convincere un numero elevato di utenti ad acquisire la piattaforma su cui questi giochi si possono utilizzare.
36: In realtà già alcuni prodotti su Amiga firmati dai Bitmap Brothers contenevano canzoni realizzate da gruppi noti come i Bomb The Bass ma le limitazioni tecniche non permettevano agli artisti di potersi esprimere liberamente o riproporre in maniera completa i brani che avevano già lanciato sul mercato discografico.
37: In Wipe Out sono presenti i Prodigy, Chemical Brothers, Orbital, Future Sound of London e altri dei maggiori rappresentanti della nuova scena musicale techno degli anni ’90.
38: Lara Croft è una novella archeologa in giro per il mondo alla scoperta di incredibili segreti in grado di segnare i destini del mondo. Qualcuno ha trovato molte somiglianze con Indiana Jones, ma Lara usa molto più frequentemente le armi per andare avanti nelle sue esplorazioni.
principale delle immagini trasmesse sui mega schermi durante i concerti della band irlandese.
E’ di quest’anno l’uscita del film dedicato a Tomb Raider: secondo i produttori la parte più complessa della lavorazione si è avuta nel momento di decidere l’attrice che avrebbe dovuto interpretare Lara, scelta poi caduta sulla “mia coetanea” Angelina Jolie.
L’ultimo titolo che conclude la nostra breve, se pur intensa, sintesi, è il capolavoro Konami chiamato Metal Gear Solid (Giappone, 1998).
Forse è la prima volta che per descrivere un prodotto videoludico, non sarebbe il caso di iniziare a parlare della modalità di gioco ma della sua trama39 visto che Metal Gear è forse il miglior rappresentante di una complessità narrativa degna di un lungometraggio cinematografico.
Non sono solo i contenuti ad avvicinarsi al linguaggio filmico ma anche le “riprese”: più telecamere mobili seguono le azioni del personaggio e a seconda del movimento che compie, il regista “virtuale” trova sempre l’angolazione più spettacolare da mostrarci.
Il titolo Konami è il miglior prodotto per concludere la storia e tornare al presente.
39: Sintetizzando in maniera estrema, si narrano le gesta di un agente segreto mercenario oramai in ritiro con i suoi cani nelle gelide terre d’Alaska che viene richiamato forzatamente dal governo americano per fermare il ricatto atomico di alcuni soldati super specializzati e manipolati geneticamente.
Proseguendo nel gioco, si scoprirà di come dietro la storia che raccontano a Solid Snake (nome del protagonista) ci siano intrighi, complotti, esperimenti genetici che vedono coinvolti governi, multinazionali e lobby segrete in un susseguirsi di colpi di scena sempre più emozionanti.
STORIE PARALLELE:
MACCHINE PORTATILI, GESTIONALI,
AVVENTURE,GIOCHI DI RUOLO E PIRATERIA
Per concludere questo breve sunto sulla storia del divertimento elettronico, sono ancora necessarie alcune righe per scrivere di vicende parallele a quelle descritte fino a questo momento.
Il motivo di lasciare alcuni argomenti a parte, è dettato dagli obiettivi di questo elaborato ma ci sembrava comunque doveroso riportarli per dare un quadro completo del tema.
DIVERTIMENTO PORTATILE
Oltre ai sistemi casalinghi e alle sala giochi pubbliche, nel corso dei decenni si è andato sviluppando anche il divertimento portatile.
Da semplici giochi singoli (in Italia furono rinominati “schiacciapensieri”), si è passati a vere console sempre più potenti tanto che l’ultima produzione Nintendo, il Game Boy Advance, ha delle capacità hardware superiori ai sistemi da casa al top del mercato solo qualche anno fa e con milioni di esemplari già venduti a pochi mesi dall’uscita.
Ancora da decifrare la risposta del pubblico alla sinergia fra videogioco da casa e portatile che è stata sperimentata dalle console di ultima generazione di Sega e Sony.
STRATEGICO-GESTIONALI, SIMULAZIONI,
AVVENTURE E GIOCHI DI RUOLO
I quattro generi appena elencati rappresentano i principali modi di produrre
videogiochi non di azione38.
Gli strategico-gestionali sono programmi in cui l’utente si fa carico di responsabilità di varia natura come amministrare e controllare una città, un palazzo, l’evoluzione dell’uomo o addirittura l’intero universo attraverso le decisioni su un numero possibile di variabili. Sim City, Civilization e Popolous sono fra i principali successi di questa tipologia che su PC gode di un nutrito seguito.
Le simulazioni hanno nel realismo il proprio fine: sono infatti frequenti i casi di interscambio, ad esempio, tra il software in dotazione alle aeronautiche di ogni parte del mondo per addestrare i propri piloti ed i simulatori di volo destinati al mercato. Gli utenti dei simulatori frequentemente sono videogiocatori esclusivamente di questo genere.
Chi si è imbattuto nelle prime avventure elettroniche si trovava di fronte allo schermo un testo che ad un certo punto della storia narrata chiedeva di fare delle scelte39 che avrebbero influito sul proseguire della vicenda.
Al testo si è poi sostituita la grafica e possiamo considerare anche i primi film interattivi come della avventure40.
Con il passare degli anni sempre più giochi “arcade”41 hanno iniziato ad acquisire elementi di questo genere al punto tale che oggi proprio i più
38: In cui, forse un po’ brutalmente, inseriamo i platform (Mario & Co.), i giochi di combattimento (Street Fighter ed i suoi “figli”) , gli sportivi (pensate a qualsiasi sport, esisterà sicuramente un videogame), i rompicapo (Tetris e migliaia di altri titoli), gli shooters di vario genere (Doom e soci, ma anche Space Invaders ed “eredi”…) ed i vari ibridi dei generi appena citati.
39: La poca potenza delle macchine di allora, più di venti anni fa, comportava situazioni abbastanza paradossali in cui se non si fosse usata la parola esatta che il programma richiedeva, l’utente non aveva possibilità di andare avanti nel gioco.
40: Se pur banali e poco interattive.
41: Termine sinonimo di azione per i videogiochi.
grandi successi (Tomb Raider, Alone in The Dark, Shadow Man, Resident Evil e tantissimi altri) sono chiamati appunto arcade-adventure 3D.
Riguardo i giochi di ruolo, devo confessare la mia non approfondita conoscenza in merito, quindi preferisco citare J.C. Herz (J.C. Herz “Joystick Nation”, 1997 Little Brown and Company) che dà la seguente definizione: “I giochi di ruolo si svolgono come lunghe e complesse narrazioni epiche delle gesta di una banda di personaggi che viaggiano, saccheggiano e combattono con azione di squadra. Hanno le loro radici nei giochi da tavolo degli anni ’70… si basano sulla statistica, la probabilità e le mappe…”.
I Gdr, quasi sempre ambientati in mondi epico “fantasy” o futuristici , per loro natura sono molto longevi42 e costringono i produttori a creare delle trame piuttosto complesse ed articolate che hanno aiutato tutta la produzione di videogiochi a crescere in contenuti.
L’altro aspetto di interesse di questo genere è il gioco on line che permette agli appassionati di condividere le stesse avventure e da lì è frequente un uso simile alle chat line per socializzare virtualmente con persone di ogni angolo del mondo.
La saga di Ultima dell’americana Origin e quella nipponica di Final Fantasy43 della Square Soft, sono due dei più grandi successi in assoluto nella storia dei videogiochi.
PIRATERIA
Tema scottante la pirateria che ha riempito molte pagine dei magazine dedicati ai videogames.
42: Per concludere alcuni di questi titoli sono necessarie a volte fino a 60 ore di gioco.
43: Anche da Final Fantasy è nato un film completamente in computer grafica che ha diviso critica e pubblico.
La facilità con cui è stato possibile copiare44 illegalmente il software ed un certo lassismo da parte delle autorità internazionali almeno fino a quando il mercato non ha acquisito una certa importanza, secondo molti è stato un fattore influente sulla direzione dello sviluppo dei videogames come ad esempio la preferenza delle software house di programmare sui sistemi a cartucce molto più difficili da copiare rispetto ad un floppy disk o ad un cd.
D’altra parte, ci sono strenui sostenitori di una visione opposta: solo con software, se pur illegale, a basso prezzo il videogaming è potuto diventare un fenomeno di massa.
Ciro Ascione (C.Ascione, “Videogames – Elogio del tempo sprecato”, Minimum Fax 1999) afferma riguardo la Playstation Sony: “Schiere di ragazzini accaniti e sudati (…) che si scambiano CD pirata comprati per quattro soldi. E’ proprio la natura “proletaria” ad aver fatto la fortuna della PSX: software facilmente duplicabile, basso costo della console (…) (riguardo il Nintendo 64) la distribuzione di software su cartucce anziché su CD per bloccare le duplicazioni pirata è stata una scelta perdente, se la PSX è diventata così popolare, è anche per merito della pirateria”.
Come per la violenza, non si vuole dare un giudizio sulla questione pirateria ma anche questo elemento fa parte di un background storico “minimo” che abbiamo voluto raccontarvi per capire meglio, forse, il presente ed il futuro del videogaming.
44: Ed oggi il modo migliore per procurarsi software illegale è “avventurarsi” nei meandri di Internet dove esistono autentiche banche dati con migliaia di titoli ma anche con il rischio di virus.
DI FRONTE A NOI:
IL VIDEOGAMING DEL PRESENTE
Le coordinate guida dello sviluppo attuale
IL MERCATO E LA PRODUZIONE GLOBALE
Come già anticipato in precedenza, il mercato del divertimento elettronico è cresciuto al punto tale da superare, in termini di fatturato, prima l’industria discografica e poi quella del cinema.
Ma produrre videogames, soprattutto negli ultimi 5 anni, ha significato anche molti altri cambiamenti.
Se nella “preistoria” era sufficiente un singolo programmatore in grado di scrivere il codice del programma ma anche la grafica ed il sonoro del gioco, la potenza a disposizione del nuovo hardware ha si permesso di avere strumenti più flessibili e in grado di dare “mano libera” a realizzatori del concept di gioco e agli artisti audiovisivi, ma contemporaneamente ha alzato in maniera esponenziale i costi di produzione: per un titolo di fascia medio-alta, oggi bisogna costituire un team di decine (a volte centinaia) di persone che lavorano sul prodotto in media per un anno1. Un esempio: la realizzazione della colonna sonora, ha molte caratteristiche simili a quelle di un film oppure, in altri casi, ad una produzione discografica.
Servono quindi ingenti investimenti per un singolo prodotto e per ottenere profitti è chiaro che sarà necessaria una diffusione globale nel mondo2 : ciò implica una distribuzione capillare a livello planetario ed una politica di
1: Ma a volte può succedere di arrivare fino a 5 anni, come ad esempio per Max Payne della 3D Realms, di cui parleremo in seguito.
2: I mercati principali dei videogames sono tre: il nord-americano, il nipponico e l’europeo. Di minore importanza l’australiano e l’asiatico (Giappone escluso).
marketing oculata3 che solo in pochi possono permettersi ed hanno a disposizione.
Per questo, come già successo in altri settori economici, la “globalizzazione” ha portato ad una drastica riduzione delle aziende sul mercato, concentrando la produzione mondiale nelle mani di poche decine di “nomi”.
C’è chi ha deciso di compiere una fusione fra varie aziende come nel caso della Eidos (i produttori di Tomb Raider) in cui sono confluite le maggiori software house britanniche di un tempo.
Chi, forte della sua posizione sul mercato, come la francese Infogrames, ha comprato aziende in crisi o comunque incapaci di far fronte alle caratteristiche del nuovo mercato.
L’altra strada intrapresa negli ultimi anni per far fronte alle nuove esigenze è quello delle collaborazioni e delle partnership in cui ad esempio un gruppo di programmatori decide di continuare il lavoro in maniera autonoma ma trova poi una multinazionale che si occupa della distribuzione, del marketing, della localizzazione4, delle public relation, della parte commerciale in genere.
Le collaborazioni possono anche essere fra “giganti”: la nipponica Square Soft, produttrice della saga best-seller Final Fantasy, ha deciso di
3: Tra i vari strumenti di marketing usati, è sempre più frequente l’uso di indagini di mercato per scoprire i gusti dei consumatori e realizzare i protagonisti dei nuovi titoli con le caratteristiche estetiche, caratteriali e psicologiche possibilmente vicine alle preferenze maggiormente riscontrate.
Negli ultimi anni le software house decidono di puntare sempre più sui personaggi e giochi già affermati e proporre seguiti con una certa frequenza e regolarità senza rischiare troppo con esperimenti o nuovi soggetti.
4: La traduzione dei dialoghi, dei sottotitoli, del manuale ma a volte anche a delle modifiche dei contenuti del programma stesso per varie motivazioni come l’aggirare il divieto di vendita ad alcune fasce di età: in alcuni paesi, USA in testa, i metri di giudizio degli organi che hanno potere in merito a queste decisioni sono maggiormente restrittivi.
appoggiarsi all’americana Electronic Arts5 per la distribuzione dei suoi prodotti negli Stati Uniti e in Canada con ottimi risultati economici per entrambi.
IL ROSPO DIVENTA PRINCIPE:
HOLLYWOOD CERCA STAR DISPERATAMENTE
Anche il rapporto fra cinema e videogames si è profondamente modificato.
Se fino a alla metà degli anni ’90, era l’entertainment informatico a guardare ai lungometraggi per idee, stili e personaggi6, oggi è soprattutto Hollywood a cercare nuove star tra gli eroi virtuali come la già citata Lara Croft di Tomb Raider, i violentissimi guerrieri di Mortal Kombat7 e Street Fighter II, l’ironico Duke Nukem e molti altri che presto arriveranno sul grande schermo8.
5: Secondo alcune indagini di mercato, la Electronic Arts si può considerare come la più grande software house del pianeta. Oltre alla collaborazione con la Square Soft, vanta tra gli altri nel suo catalogo le produzioni della Westwood e della Maxis, autori dei titoli più venduti per PC come Sim City, Blade Runner, Command & Conquer, Red Alert, The Sims e molti altri. La E.A. si può anche considerare come la prima ad aver iniziato la strategia del seguito prestabilito: infatti ogni anno (sempre nello stesso periodo) escono le nuove versioni dei loro titoli sportivi come Fifa Soccer, NBA Live, NHL, John Madden’s Football e molti altri.
6: I “tie-in” sono dei titoli basati sulla storia e i personaggi di un film. La prima ad inaugurare questo tipo di produzioni fu l’Atari con E.T. di Steven Spielberg. Certi che il nome sarebbe bastato ad ottenere un successo senza precedenti, realizzarono un prodotto piuttosto scadente che fu accolto in maniera così negativa dal mercato tanto da non riuscire a recuperare neppure i costi per l’acquisizione dei diritti.
Non solo: E.T. fu anche il fattore scatenante della grande crisi dei videogames nel 1984.
7:Da cui è nato anche un serial TV.
8:Nel caso poi di Final Fantasy, un film realizzato completamente in computer grafica, il confine fra cinema e videogiochi è piuttosto labile. Il tentativo (secondo molti fallito) era quello di sostituire agli attori dei modelli 3D capaci di non fare rimpiangere uomini in carne ed ossa. Il realismo di questi personaggi è veramente impressionante ma risultano carenti nella recitazione…. Due anni all’Actor’s Studio forse farebbero bene anche a loro!
Ma il cinema, soprattutto per le pellicole destinate al pubblico più giovane, sembra sempre più orientato ai ritmi frenetici, ai montaggi “esagerati” che sono tipici di quelle produzioni elettroniche che per “nascere” hanno precedentemente guardato, loro, alle tecniche cinematografiche.
INDOVINA CHI PROGRAMMA UN VIDEOGIOCO
Anche chi ha sempre pensato che il modo migliore per esprimere storie e pensieri fosse il formato cartaceo9, negli ultimi anni si sta avvicinando con maggiore frequenza ai videogiochi.
Paulo Coelho Clive Barker, Frank Herbert, Tom Clancy, Michael Crichton, Bernard Weber sono i nomi più noti di una lunga lista di autori che hanno deciso di trasporre alcuni romanzi o scrivere una sceneggiatura appositamente per un prodotto elettronico.
Per il nostro percorso, sono utilissime le dichiarazioni di Clive Barker10 che afferma: “Ho appena finito di scrivere un libro e nel corso della stesura mi è capitato spesso di pensare ad un videogame. Ci sono dei momenti nei quali alcuni personaggi devono prendere delle decisioni. Fosse stato un gioco avrei potuto sviluppare la narrazione su piani diversi. Solo i videogiochi offrono tanta libertà (…) Il vero difetto dei videogame oggi è la loro prevedibilità, Eppure nessun gioco è così potenzialmente ricco di emozioni. Io ho intenzione di esaltare questo aspetto (…) Non penso che nessuno abbia ancora scritto il Moby Dick o l’Oliver Twist dei videogiochi. Ci vorranno almeno 10 anni, e richiederà un leggero cambiamento nelle aspettative dei giocatori, in quello che i motori grafici possono fare, e quello che noi creatori vogliamo rischiare. Ma immagino un gioco che abbia la drammaticità di un’opera teatrale, la complessità narrativa e
9: Non ci riferiamo solo agli scrittori ma anche agli autori e disegnatori di fumetti.
10: Dopo Stephen King, il più importante autore al mondo di libri “horror”.
l’impatto emotivo di un libro e che al tempo stesso mantenga le cose che ti
può dare solo un gioco: la possibilità di scegliere la strada che vuoi, senza mai ripetersi due volte. Non c’è ancora un gioco così, ma arriverà.”
Inutile negarlo, devo alle precedenti frasi di Clive Barker la scintilla iniziale di questo elaborato.
WORLD IS ON LINE
Il gioco on-line “linka” milioni di videogiocatori che ad ogni latitudine del mondo si collegano dalla propria postazione, chi per competere in giochi sportivi e di corsa, chi per formare una sorta di “gang” virtuale e sfidare i rivali in combattimenti all’ultimo sangue nelle arene fornite dalla quasi totalità degli shooter in commercio, oppure per esplorare nuovi mondi e città nei giochi di ruolo11.
Le caratteristiche di gioco “multiplayer” si differenziano in maniera netta dal gioco singolo perché l’interazione non avviene più con una intelligenza artificiale (o non solo) ma con quella di altri esseri umani.
Molti li amano alla follia, altri non la considerano ancora una modalità di gioco interessante.
VECCHI E NUOVI GIOCATORI
Possiamo dividere in due grandi categorie i videogiocatori di oggi.
La prima viene definita quella degli “hardcore gamers” ovvero la fascia di
11: Leggenda metropolitana: sembra che un esiguo ma compatto numero di giocatori di Ultima, stava riuscendo ad uccidere virtualmente il creatore della serie, Lord British che nel gioco è dotato di grandi poteri e quasi dell’invulnerabilità. Le connessioni di questi giocatori si staccarono in contemporanea, impedendo quindi di portare a termine il loro obiettivo. Sempre secondo la leggenda, furono disconessi volontariamente.
utenza che da molti anni segue con passione gli sviluppi del divertimento elettronico, si presume che abbiano una memoria storica sul fenomeno, è spesso critica rispetto alle nuove produzioni ma possiede più piattaforme da gioco per non perdersi nessuno dei migliori titoli in uscita, si “commuove” utilizzando quei programmi chiamati emulatori12 per rivedere i giochi del passato, hanno un’età compresa tra i 20 ed i 30 anni e sono accomunati anche da un certo risentimento verso l’altra fascia di utenza.
I “nuovi” videogiocatori hanno iniziato a giocare presumibilmente con una Playstation o con il PC, in passato ignoravano (se non disprezzato) il videogaming come forma di intrattenimento, non hanno e presumibilmente non vogliono avere memoria storica e si distribuiscono anagraficamente tra gli 8 e i 45 anni.
L’accusa più dura mossa dai giocatori di vecchia data ai nuovi13 è di aver trasformato l’entertainment elettronico in un mercato di massa e conseguentemente di averlo “mediocrizzato”, “stereotipato” e “banalizzato”.
Siamo “completamente d’accordo….a metà”14 con l’accusa degli hardcore gamers. In seguito torneremo sull’argomento.
12: Gli emulatori sono dei programmi che permettono di far girare su PC i titoli di piattaforme del passato (antico e recente) ed anche le produzioni da bar. In Internet, se pur rimane una pratica illegale, si può trovare qualsiasi gioco prodotto in questi primi 50 anni di videogiochi.
Ci sembra lecito sottolineare come siano in questo campo siano i programmatori italiani a detenere la leadership delle migliori produzioni.
13: E’ bene comunque ricordare che se il mercato è cresciuto così tanto in termini di fatturato è proprio grazie all’utenza di seconda generazione.
14: Citazione di una vecchia intervista ad un calciatore, un momento cult di Blob e Mai Dire Gol.
PATCHMANIA
Forse è stato ripetuto già troppe volte in questo capitolo, ma il mondo dei videogames sta cambiando. Un’altra novità interessante (soprattutto per il nostro percorso) è l’uso sempre più frequente delle patch15, piccoli programmi quasi sempre gratuiti facilmente scaricabili da Internet e che vanno ad influenzare le caratteristiche di un programma già in possesso.
All’inizio, l’uso delle patch era quasi esclusivamente quello di correggere degli errori di compatibilità o altri problemi tecnici ma si è presto scoperto che potevano essere usate con molte altre finalità.
Sono nati i primi siti in cui si potevano scaricare per il proprio gioco di calcio le maglie della nuova stagione oppure della squadra del cuore che si trova nei campionati minori fino a vari tipi di scarpette, palloni, porte, reti, cartelloni pubblicitari, tutte cose facilmente e ben realizzate anche da grafici e programmatori non professionisti e senza finalità economiche.
Vogliamo parlarvi in maniera più approfondita di due patch veramente particolari. La prima è un produzione italiana chiamata Grande Fragtello in cui, come si evince dal nome, ci troveremo nell’ambientazione del Grande Fratello e con strumenti di offesa tipo fucile a canne mozze e mitragliatore dovremo “confrontarci” con gli occupanti della casa più famosa d’Italia. Grande Fragtello è stato realizzato da tre studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, realizzando una patch grafica per uno shooter molto noto chiamato Quake16. Ancora più recente, esattamente 20 giorni dopo le tragedie di New Jork e Washington, è la realizzazione in 3D da parte di una software house americana di Osama Bin Laden ed utilizzabile come
15: Possiamo tradurre letteralmente dall’inglese patch come pezza o toppa. Si usa anche il termine MOD per indicare un nuovo livello di gioco creato amatorialmente per un gioco.
16: Realizzato dagli stessi autori di Doom.
avversario in tutti i giochi in soggettiva più famosi.
Nei primi 5 giorni in cui è stata disponibile, la Patch “Osama” ha registrato il download da parte di più di 20.000 utenti.
Un’altra leggenda metropolitana dice che sia possibile trovare in Internet una patch identica a quella realizzata per Bin Laden in cui però l’avversario raffigurato da sconfiggere è George Bush JR ma al momento in cui sto scrivendo, non sono in grado di darvi conferma su queste dicerie.
2002: ODISSEA NEL VIDEOGAMING
Con le migliori intenzioni, si è cercato fino a questo momento di presentare una ricostruzione sintetica ma che reputiamo abbastanza vicina alla realtà, di questi primi 50 anni di videogaming e delle sue nuove caratteristiche in tempi recenti.
Vi abbiamo “contestualizzato” ma ora è giunto il momento di intraprendere il “vero cammino” per riflettere su nuove possibili forme, contenuti, utilizzi, estetiche del “videogaming che verrà”.
Il primo passo sarà quello di provare a scardinare i pregiudizi insiti in molti non videogiocatori che reputiamo non corrispondenti al vero.
Poi giungerà il momento più difficile di questo elaborato: analizzare le mancanze nel modo di produrre videogiochi e proporre delle soluzioni realizzabili nel contesto sociale, economico e culturale in cui siamo immersi.
Non si tratta di affermazioni categoriche, sarebbe un peccato di superbia, ma un punto di vista che reputo possa favorire un ragionamento importante riguardo questo medium di cui ancora non si sono sfruttate appieno le doti immense di suggestività emozionale e possibilità narrative.
Si va ad incominciare…
“VIDEOGAMES? ROBA DA RAGAZZINI”
I pregiudizi dei non videogiocatori
“Sono Solo Macchinette”
(Massimo Cacciari)
Pregiudizio: “Idea od opinione errata, anteriore alla diretta conoscenza di determinati fatti e persone, fondata su convincimenti tradizionali e comuni ai più, atta a impedire un giudizio retto e spassionato1”.
Forse non è poi così corretto parlare di esperienze personali ma se da parte di tanti “colleghi videogamers” interpellati, il progetto di questo elaborato ha suscitato vibrante interesse ed anche costruttive critiche ed obiezioni all’impianto generale del testo, non è mancato invece sarcasmo, ilarità ed anche un pizzico di compassione nelle reazioni di molti “non gamers”.
Il motivo?
Sarà la sua relativamente giovane età, la sua particolare natura di medium, l’essere categorizzato prevalentemente nei consumi adolescenziali, ma il videogiocare, e di conseguenza i suoi utenti, soprattutto in Europa, è considerato ancora da molti “roba da ragazzini”.
Il videogaming è vittima di frequenti pregiudizi e “discriminazioni”.
Già dovreste aver letto come si avvicina al fenomeno un uomo di cultura importante come Massimo Cacciari e non può rimanere inosservato il titolo che Ciro Ascione ha dato al suo interessante testo (per di più uno dei pochissimi italiani):“Videogames: Elogio del tempo sprecato”, una sorta di provocazione per “difendersi” dai detrattori di vario genere.
1: Dal Vocabolario Zingarelli
Come se un appassionato di cinema, musica, arte o letteratura dovesse giustificare la sua passione: se non si è professionisti del settore, non sarebbe tempo sprecato anche quello dedicato alle attività precedentemente elencate?
E’ prevedibile che alcuni, alla lettura dell’affermazione precedente stiano indirizzando vari improperi alla direzione dell’autore. Immagino alcune reazioni: “Ma come? Accostare Dante e Petrarca a Pac Man e Mario Bros, Ejzenstein e Orson Wells a Lara Croft e Donkey Kong!”
”La crescita culturale che può dare un libro paragonabile ad attività primitive come rincorrersi virtualmente in bui labirinti per squartare l’avversario di turno? Follia, pura follia”.
Cercheremo di convincere anche voi.
L’EQUIVOCO DEL TERMINE
Gioco: ”Ogni esercizio compiuto da fanciulli o adulti per ricreazione, divertimento o sviluppo di qualità fisiche ed intellettuali”2.
Reputo che molti dei pregiudizi legati alla storia dei videogames siano nati proprio a causa del termine scelto per descrivere il ludus elettronico interattivo e sulla concezione erronea di gioco esclusivamente come attività ricreativa (per questo ne abbiamo riportato l’esatta definizione).
C’è un’ampia parte della popolazione adulta che considera il gioco come un’attività legata all’età puerile, tollerabile al massimo fino al periodo adolescenziale.
Quindi gioco e videogioco, secondo questo pensiero, si dovrebbero fermare
al raggiungimento della maggiore età ed essere completamente sostituiti
2: Vedere nota 1.
dall’interessarsi a questioni “più importanti” come il successo lavorativo, il costruire una famiglia, l’elevazione dello status sociale3 etc.
Eppure negli ultimi anni, si è acceso un dibattito molto interessante sul cosiddetto “Homo Ludens”4 che, grazie soprattutto al forte influsso della cultura americana, maggiormente incline al gioco anche in età adulta, si starebbe imponendo anche in Europa.
Il cambiamento di prospettiva si sta effettivamente realizzando anche nel vecchio continente ma in maniera piuttosto lenta e soprattutto arbitraria riguardo al cosa considerare socialmente accettabile o meno.
Per il videogaming, la strada si è aperta ma risulta essere ancora in salita.
Massimo D’Alema ai tempi della sua presidenza al consiglio, in un’intervista alla trasmissione Golem, si dichiarava abituale giocatore di quei titoli5 preinstallati in Windows come Freecell, un gioco di carte con una certa logica.
All’Onorevole D’Alema (comunque l’unico, a mia conoscenza, nel mondo politico ad aver espresso pubblicamente un minimo di interesse per i videogiochi) e a tutti i giocatori dei solitari di Windows consigliamo di esplorare i tanti universi virtuali a disposizione come nella saga di Myst che ci regala mondi paralleli realizzati con una cura grafica tanto curata da far sembrare ogni schermata un quadro e con tanti enigmi logici da risolvere che per il terzo episodio c’è voluto il supporto di ben 4 cd per contenere tutto il programma.
3: Qualche anno fa, sarebbe stato opportuno inserire in queste voci anche l’interesse ad attività sociali e la partecipazione attiva alla politica ma visti i mutamenti degli ultimi anni, oggi ci saremmo rivolti soltanto ad una esigua minoranza.
4: Non si andrà oltre nella discussione riguardo l’importanza del gioco in età adulta riguardo l’aspetto psicologico, sociale e culturale perché sarebbe argomento esclusivo di un elaborato dalle dimensioni anche maggiori di questo.
5: Tuttavia smentisce di essere giocatore del flipper di windows, di cui invece, secondo D’Alema, un altro esponente DS, Fabio Mussi, sarebbe un grande appassionato.
Per non parlare poi dei titoli gestionali e dalla natura prettamente politica come Sim City in cui avremo il ruolo di “super sindaco” di città già esistenti o realizzabili ex novo.
In entrambi i casi, ci troveremo di fronte a scelte economiche, morali, ambientali e sociali che si avvicinano incredibilmente a quello che è il ruolo
degli enti locali reali.
Durante una conferenza di sindaci tenutati a Portland (USA) nel 1994, più di cento amministratori di città “vere” si sono confrontati su Sim City; lo stesso viene utilizzato, sempre negli Stati Uniti, in alcuni corsi di educazione civica e progettazione urbanistica.
Non solo politica comunque: chi ha predisposizioni spirituali, avrà una vasta gamma di titoli dedicati a “simulazioni di Dio” in cui si è creatori personali di interi universi.
Dilettanti ed affermati broker finanziari avranno a disposizione una serie di programmi che metteranno a prova la loro capacità di muoversi tra dow jones, nasdaq, brent, midex, numtel & co. senza rischiare le proprie finanze reali.
Con il titolo giusto, potrete anche gestire imperi del crimine mafioso, multinazionali, catene di ristoranti e pizzerie, stazioni, aeroporti, eserciti (presenti, passati e futuri), luna park, televisioni, radio, produttori cinematografici (anche hard core), manager in qualsiasi settore sportivo e dello show business….
E molti dei titoli più recenti, hanno raggiunto un livello tale di intelligenza artificiale da non far assolutamente “rimpiangere” la realtà.
Non sono comunque interessate solo le attività celebrali nei videogiochi.
In campo militare6 e civile, simulazioni elettroniche vengono realizzate per
addestrare piloti di aerei e veicoli terrestri.
Formula 1: le case automobilisti usano i titoli dedicati alle corse più
veloci del mondo per mostrare ai piloti esordienti le caratteristiche di piste a loro ignote e su cui dovranno competere nella vita reale.
Anche la prontezza dei riflessi può essere migliorata con tantissimi titoli in cui, per andare avanti nella prosecuzione, è indispensabile una risposta sensoriale “fulminante”.
Se anche disdegnate l’attività ricreativa (video)ludica ma comunque tenete alla vostra crescita intellettuale7 o sensoriale, non potete disprezzare il (video)gioco.
Non siete ancora convinti che il (video)gioco sia utile? Eccovi allora l’intervista a Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese che riportiamo dal sito POL (Psychiatry on Line). Si reputa opportuno presentarvi l’articolo completo per l’importanza del suo contenuto.
6: C’è sempre stato un forte interscambio tra l’industria militare e quella dei videogiochi. Alcuni titoli realizzati appositamente per l’esercito di qualche paese del mondo, dopo qualche anno vengono “riciclati” come prodotti per l’entertainment di massa. In altri casi, avviene il processo inverso: titoli usciti per il mercato, e di ottima qualità, vengono poi utilizzati a scopo di addestramento dagli eserciti stessi.
7: A supporto di questa affermazione riportiamo uno studio condotto da ricercatori americani dell’Economic and Social Research Council (e riportato da The Games Machine, la rivista dedicata ai videogiochi per PC più venduta in Italia), secondo cui un uso moderato che non sconfini nell’ossessione aiuta a sviluppare una mente più agile, favorendo altresì la capacità di concentrazione e di coordinamento tipiche degli atleti di alto livello. La ricerca prosegue affermando che le nuove generazioni di videogiocatori hanno beneficiato di stimoli che arrivano in età precoce, così da sviluppare attitudini sociali e accademiche più pronunciate rispetto al passato. In tal senso, i contributi dei videogiochi sarebbero superiori non solo a quanto apporta la televisione ma anche la lettura. Lo studio è stato effettuato su 100 videogiocatori britannici, selezionati fra coloro che partecipano a gare videoludiche nazionali o regionali. Mentre una esigua minoranza mostrerebbe un interesse ossessivo per i giochi, la maggioranza avrebbe interessi molto più vari della media, con una vita sociale intensa. I ragazzi studiati passano in media 18 ore alla settimana giocando, pari a due ore e mezza al giorno, tempo che viene comunque affiancato costantemente ad altre attività come la socializzazione, la lettura e lo sport.
Curare le nevrosi con Doom II
di Marco Gasperetti
A cura di Gennaro Esposito
Fonte: http://www.apogeonline.com/informaz/art_261.html
Secondo Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi. Nella terapia del dottor Paolo Fuligni, psicologo e psicoterapeuta livornese, c'è anche Doom II. Sì, avete capito bene, proprio il videogame finito nella hit-parade mondiale dei giochi elettronici più violenti e diseducativi.
Secondo Fuligni, Doom II può essere utile per combattere alcuni tipi di nevrosi e aiutare alcuni pazienti ad acquistare maggiore fiducia in se stessi.
E non c'è da meravigliarsi perché, come spiega Fuligni, "il gioco è sempre stato impiegato in psicologia clinica. Basti pensare che a inventare i mattoncini Lego fu uno psicologo inglese. I videogame sono soltanto l'evoluzione dei giochi tradizionali.
Doom? L'ho usato in alcuni soggetti adulti con forme di inibizione cognitiva. Erano timorosi, incapaci di difendersi e quindi soggetti ad essere aggrediti. Doom, insieme a un'adeguata psicoterapia, li ha aiutati a migliorare, perché davanti al computer sono riusciti a ricreare quel blocco psicologico che li rendeva insicuri e a superarlo. Certo, sono casi limite e non voglio fare l'elogio dei giochi elettronici violenti. No, la violenza è deleteria, soprattutto nei giovani e va evitata".
Fuligni non è il solo psicologo in Italia a impiegare i videogiochi nelle terapia e, ovviamente, non utilizza soltanto Doom II. Nel suo studio ci sono videogame studiati per migliorare la memoria, altri per stimolare capacità danneggiate da un trauma. E una serie di simulazioni alle quali lo psicologo dà un'importanza particolare.
“Ce ne sono alcune così realistiche - spiega ancora Fuligni - capaci di dare un grande contributo alla lotta contro le fobie. Una decina di anni fa, utilizzando un vecchio computer 286, il gioco Flight Simulator della Microsoft e un adeguato assetto cognitivo-comportamentale, sono riuscito a risolvere i problemi di alcune persone aviofobiche, cioè assalite dalla paura di volare.
Non solo le spingevo ad andare all'aeroporto e a leggere riviste dedicate al volo, ma le facevo giocare con Flight Simulator. All'inizio erano a disagio, manifestavano segni di rifiuto, che sono andati lentamente scomparendo dopo ogni seduta. Alla fine queste persone sono tornate a volare su un normale aereo di linea e hanno superato angosce e traumi".
Secondo Fuligni, anche altri programmi possono aiutare a superare le nevrosi. "Da anni - dice - negli Stati Uniti software di simulazione aiutano a tornare alla guida persone che hanno subito gravi shock da incidenti. Poi c'è tutto l'universo dell'handicap nel quale il personal computer e i videogiochi hanno un'importanza a volte determinante".
Il futuro? "A noi psicologi piacerebbe avere un software personalizzabile capace di creare videogiochi su misura. Sarebbe il massimo per mettere appunto terapie personalizzate". Negli Stati Uniti i videogiochi nella psicoterapia clinica sono entrati da più di vent'anni. Alla fine degli anni Settanta alcuni ricercatori, tra i quali, W. J. Lynch , Jo Douglas e John Malec, scandalizzando il mondo scientifico, iniziarono a far giocare i propri pazienti con Space Invaders e le prime versioni di simulatori di volo.
Space Invaders, nato nel 1978 e primo esempio di "arcade spara tutto", venne impiegato per la riabilitazione cognitiva di persone che avevano subito uno shock (incidente stradale, cadute, traumi); i giochi di simulazioni di volo per combattere l'aviofobia, la paura di volare.
Da allora divertimento elettronico e psicologia clinica sono diventati alleati e l'esperienza d'Oltreoceano si è trasferita, se pur con qualche difficoltà, anche in Italia. Due le principali applicazioni: in psicologia dell'età evolutiva e dell'apprendimento e in psicologia clinica. "Il videogioco può essere un eccellente vettore di conoscenza e aiutare il bambino a crescere - dice la professoressa Carmen Betti, docente di Pedagogia generale all'Università di Firenze -. Anche perché aiuta i bambini a comprendere più linguaggi e a confrontarsi con loro. Certo, la qualità è indispensabile, ma se non si abusa di violenza i ragazzi possono migliorare le proprie qualità cognitive".
Software ludico viene applicato con successo in soggetti ipercinetici, con disturbi dell'attenzione e persino con difficoltà nella socializzazione. In quest'ultimo caso gli psicologi impiegano giochi in rete: via telematica i bambini giocano con altri coetanei che rifiuterebbero con un normale contatto e si abituano a conoscerli. Insomma, diventano amici prima nel cyberspazio e poi nella realtà.
Anche nella psicologia clinica vi sono importanti applicazioni. Il computer è associato spesso al metodo cognitivo comportamentista. Il videogioco crea una realtà virtuale e il paziente può rivivere le emozioni che lo turbano e, con l'aiuto dello psicologo, superarle.
Il futuro? Quello di riuscire a realizzare videogiochi su misura. Alla Northwestern University, nei pressi di Chicago, l'équipe del professor Roger Schank costruisce sistemi virtuali e immersivi adatti per ogni tipo di nevrosi. Ma ciò che serve è un applicazione semplice "fai da te" da utilizzare in ogni studio, semplicemente, senza conoscere codici di programmazione. Un modo per adattare le esigenze di singoli pazienti allo "psico-gioco".
Permettetemi di aggiungere che….Giocare è una cosa seria.
IL VIDEOGIOCO E’ UN NEW MEDIUM
IL MEDIUM NON E’ IL MESSAGGIO
Medium:”Ogni strumento di divulgazione dell’industria culturale, quale la stampa, il cinema, la televisione…”.
Per quanto questo capitolo, per varie affermazioni fatte, potrebbe già essere bollato di “eresia culturale”, il ribaltare la concezione8 di Marshall McLuhan “Il medium è il messaggio” non vuole essere una contrapposizione al grande studioso canadese che aprì un solco fondamentale per lo studio delle comunicazioni di massa.
L’attacco, per così dire, è a chi bolla “buono o cattivo” il medium in sé, come se fosse, sempre il medium, responsabile dei suoi contenuti.
Vi presentiamo un breve elenco degli aggettivi usati9, da coloro che ritengono il videogaming “un male”: violenti, diseducativi, nichilisti, anarcoidi, fascisti, immorali, didascalici, semplicistici, razzisti, alienanti, ripetitivi….
Inutile negarlo che esistano videogiochi dalle caratteristiche corrispondenti a questi aggettivi, ma a qualcuno è mai venuto in mente di affermare che il medium libro sia razzista perché Adolf Hitler ha scritto il Mein Kampf?
O che il cinema sia da bollare esclusivamente come diseducativo per la moltitudine di pellicole di basso profilo e dal forte contenuto violento?
Sarebbe inutile continuare ad elencare altri esempi per dimostrare un
concetto così evidente.
8: Che comunque è stato interpretata da molti in maniera differente dal significato iniziale che McLuhan aveva dato alle sue parole. Sull’argomento consigliamo la lettura della spiegazione che ne danno Fabio Ciotti e Gino Roncaglia in “Il Mondo Digitale”.
9: In realtà, almeno in parte, simili a quelli usati frequentemente per la televisione.
La questione medium non si esaurisce però nei suoi contenuti.
Un altro attacco, meno ingenuo del precedente, si rivolge alla forte suggestività sensoriale che il videogaming avrebbe soprattutto nelle fasce di età più basse10.
E’ innegabile l’impatto che soprattutto nei più giovani, alcuni titoli possano suscitare ma ricordiamo che sono oramai vigenti anche in Italia delle limitazioni di vendita per i titoli più violenti: queste risultano anche più restrittive rispetto ai parametri per decidere di vietare i film a certe fasce di età. E poi ribaltiamo per un momento il concetto: se il videogioco ha questa grande forza di catturare l’attenzione dell’utente, pensate a quelle che potrebbero essere le applicazioni “positive” come l’apprendimento e lo scambio interculturale11.
10: Tutti ricorderanno, come caso limite, la discussione sulla responsabilità di alcuni videogames che avrebbero causato crisi epilettiche.
Quello che segue è l’intervento di Dario Varin, docente di psicopedagogia dell'età evolutiva all'università Statale di Milano, intervistato da Panorama on line su videogiochi violenti e crisi epilettiche “Come qualsiasi altro medium, cinema o televisione, esistono prodotti diseducativi e violenti e prodotti di valore per la crescita del bambino. Se il bambino è sano e la sua situazione psicologica è frutto di una corretta educazione, giocare ai videogiochi non è un rischio”. Per quanto riguarda le crisi di epilessia, secondo Varin i videogiochi sono un pericolo solo per quelle persone già predisposte a questi disturbi. “Come gli effetti speciali del cinema, le animazioni dei videogiochi sono composte da una velocissima sequenza luminosa di immagini fisse (più di 50 al secondo) che scorrono sullo schermo. È naturale, con la capillare diffusione dei videogame nelle case, che questo strumento diventi un rivelatore di disturbi più gravi. L'unica regola sicura è affidarsi al buon senso e impedire ai bambini di trascorrere tutto il tempo libero incollati ai giochi elettronici”.
11: Roberto Maragliano, presidente della commissione di saggi nominata dall’allora ministro Berlinguer per la riforma delle scuole, ha scritto: “il videogioco è la più grande rivoluzione epistemologica di questo secolo. Ti dà una scioltezza, una densità, una percezione delle situazioni e delle operazioni che puoi fare al loro interno, che permette di esaltare dimensioni dell’intelligenza e dello stare al mondo finora sacrificate dalla cultura astratta”.
Di questo argomento comunque si parlerà più approfonditamente nel prossimo capitolo.
Infine, elevandoci ancora nella discussione, si indica il videogioco come incapace di essere portatore di un certo tipo di contenuti, emozioni, storie e narrazioni; sarebbero inconvertibili quindi sui monitor di PC e console certi procedimenti comunicativi del cinema, della letteratura o di altri medium.
Non ci sembra di essere lontani dalla verità quando affermiamo che le stesse critiche all’inizio del secolo scorso venivano rivolte verso un nuova forma di comunicazione chiamata cinema: in quel caso, molti erano convinti che la mancanza materiale dell’attore sarebbe stato un elemento determinante nel fallimento della cinematografia come mezzo artistico, narrativo e culturale.
Sappiamo tutti come è andata avanti la storia del cinema.
Tornando ai videogiochi, non esistono più problemi tecnici o strutturali che potrebbero limitare la creatività dei narratori o l’arte di grafici e musicisti. Sono altri i problemi del videogaming. Basta girare pagina per incontrarli.
LETTERA AI MIEI AMICI VIDEOGIOCHI
Cari amici videogiochi,
se avete letto fino a questo momento le mie riflessioni, la vostra autostima dovrebbe essere notevolmente aumentata al punto tale da chiedervi, forse, perché non ho chiamato questo elaborato "Apologia del Videogioco".
Ho cercato di raccontare nel miglior modo possibile la vostra storia di quasi 50 anni, come siete cambiati in questi ultimi tempi ed ho anche provato, con i mezzi a mia disposizione, di farvi "voler bene" anche da chi non vi sopporta proprio ed ha nei vostri confronti dei pregiudizi decennali al punto tale da non essersi neppure accorti di quanto siete cresciuti e maturati.
Però.... c'è un però.
Proprio PERCHE’ vi voglio bene e reputo che abbiate maggiori capacità espressive dei vostri fratelli maggiori cinema, letteratura, musica, teatro e televisione (a cui tutti comunque tengo tantissimo, anche perchè da loro prendete molta della vostra personalità), credo che ancora avete molta strada da fare nel processo di evoluzione del vostro linguaggio, dei contenuti, delle applicazioni, della diversificazione.
Per quanto tante critiche siano frutto di un approccio superficiale al vostro essere, al tempo stesso è indubbio che la crescita di questi anni non sia stata molto proporzionata: le capacità audiovisive che avete a disposizione sono diventate così incredibili al punto tale che qualcuno inizia a chiedersi fin quando e dove potrete crescere, ma contemporaneamente non sono il solo a percepirvi incompleti nell'aspetto dei contenuti e dei modi narrativi che ci presentate.
E' per questo che subito dopo avervi salutato, umilmente cercherò di darvi alcuni consigli per superare i problemi che percepisco nel rapportarmi con voi. Se lo faccio è proprio PERCHE’ vi voglio bene, PERCHE’ possiate iniziare a camminare a testa alta di fronte agli altri media, entrare negli ambiti della cultura istituzionale, nei suoi salotti buoni, nei programmi televisivi di maggior successo, che finalmente siano riconosciuti i vostri meriti ed anche PERCHE’ comunque avete effettivamente ancora bisogno di crescere: sarebbe veramente un peccato non sfruttare appieno la vostra forte capacità emozionale e suggestiva; non che sia un male il fatto che alcuni guadagnino milioni di dollari con voi, anzi, cercheremo di rendervi un investimento ancora migliore, ma se foste gli strumenti di altri fini e cause non ci dispiacerebbe affatto.
E poi, lo ammetto, lo faccio anche per me e per tutti quelli che vi vogliono bene, PERCHE’ non si debba più nascondere una passione a meno di non vedere nella faccia di alcuni stupore o ilarità soprattutto se si hanno più di vent'anni, PERCHE’ è troppo tempo che ci tocca difendervi da accuse assurde e quando parliamo di voi lo vorremmo fare per altri motivi e PERCHE’ a scienze della comunicazione, insieme ai corsi di linguaggio cinematografico e radio-televisivo, mi sarebbe piaciuto affrontare un bell'esame di teorie e tecniche del linguaggio videoludico. Oramai io non lo potrò più fare ma sarei comunque contento se un giorno entrerete anche voi all'università da protagonisti e non sotto i banchi con qualche Game Boy Advance durante le lezioni di altre materie...
Spero solo di dare un piccolo contributo al vostro miglioramento visto che in questi 22 anni (a 4 anni già giocavo a Pong), oltre ad avermi fatto divertire "da paura" se c'è qualcosa che mi ha tenuto lontano dai grandi errori che si possono compiere nella vita (di quelli medio-piccoli ne ho fatto milioni e milioni ma chi non li fa?) lo devo proprio a voi, oltre alla musica, alla mia famiglia e a qualche (pochi ma veri) amica ed amico.
A voi, care "scatole infernali", la mia riconoscenza ed il mio amore vi vorrebbero finalmente veder diventare il media leader per sognare, raccontare, viaggiare, per vedere un "raggio di sole" (se pur virtuale) in questa valle di lacrime (Yes, Nietzsche...) in cui siamo noi tutti.
10 PROPOSTE PER CAMBIARE I VIDEOGIOCHI
1
“SIAMO ANCORA AI TEMPI DI JOHN WAYNE”…
I PROTAGONISTI
Se nei giochi di un tempo, la grafica spartana ed il tipo di interazione che ci veniva proposto, rendevano poco importante la caratterizzazione del nostro alter ego digitale che vedevamo muoversi ai nostri “ordini” sul monitor, il progresso tecnico1 e l’importanza crescente della trama (almeno in certi generi) hanno portato ad una forte simbiosi tra controllore e controllato.
Se avete letto attentamente anche le note di questo elaborato, dovreste essere già a conoscenza del fatto che alcune software house, soprattutto in Giappone, svolgono anche delle ricerche di mercato per scegliere le componenti caratteriali ed estetiche da attribuire ai propri personaggi.
Perché allora siamo ancora ai tempi di John Wayne? Perché nel 95%2 dei giochi attuali la nostra “reincarnazione virtuale” sarà un individuo molto al di sopra della media, con delle doti incredibili nello specifico campo di interesse, frequentemente con un fisico atletico, slanciato, muscoloso e uomo3 di comando (che sia militare o civile).
A differenza dei “tempi di John Wayne” però, nei videogames il nostro eroe potrà avere sani principi morali oppure il suo gemello del lato oscuro ossia
1: Compresi i filmati introduttivi realizzati a volte con attori veri o con figure digitali piuttosto realistiche.
2: Dei rappresentanti del restante 5% parleremo nel prossimo capitolo.
3: Non che siano solo maschili i personaggi di un videogioco, basta pensare al successo di Lara Croft. Ma ad un’analisi più attenta, la stessa Croft e le sue numerose replicanti, tranne avere delle forme volutamente sensibili alla percezione maschile, hanno le stesse identiche caratteristiche precedentemente illustrate.
essere sempre un super uomo però lottare a fianco delle forze del male.
Può essere utile un ipotetico esempio di stretta attualità: immaginiamoci che una software house decida di realizzare un videogame sui fatti di Genova
durante il G8: potete essere quasi certi che ci troveremmo a svolgere il ruolo o di gruppi speciali delle forze dell’ordine o ad indossare i panni (virtuali) di un componente del “black block”: meno probabile, se non impossibile, rivivere quei tre giorni come un poliziotto ordinario o da manifestante pacifico.
Ed invece pensiamo a quanto potrebbero ancora arricchirsi le nostre esperienze di gioco virtuale con persone “normali”: penso ad un titolo di guerra in cui, invece del solito “super addestrato - invincibile - posso fare fuori da solo 10000 avversari anche a mani nude” siamo solo dei soldati semplici di varie epoche storiche che oltre ad eseguire gli ordini, cercano
soprattutto di rimanere vivi tra bombardamenti, fuochi incrociati e malattie di vario genere4, il tutto cercando di riportare quelle che potrebbero essere le sensazioni di un soldato da trincea.
Immagino cosa potrebbe significare, anche in termini educativi, controllare un portatore di handicap costretto all’uso di una sedia a rotelle che di fronte a barriere architettoniche, dovrà seriamente ingegnarsi5 per portare a termine quello che i programmatori hanno deciso.
Anche a livello narrativo, pensiamo un gioco senza dialoghi ma
4: In realtà su Commodore Amiga ricordiamo Lost Patrol della inglese Ocean in cui una pattuglia di soldati americani era rimasta isolata nella jungla vietnamita e doveva trovare la strada della salvezza in mezzo alle linee nemiche. Se l’idea era degna di lode, i mezzi a disposizione 14 anni fa, non permettevano grandi possibilità di esprimere emozioni, stati d’animo, sensazioni delle truppe ed quindi il titolo non godeva di grande fascino.
5: Sicuramente “enigmi” molto più difficili e drammatici da superare rispetto a quelli tipici dei videogames.
caratterizzato esclusivamente da immagini dove controlliamo un animale destinato alla vivisezione e che riesce a fuggire dalla sua gabbia e dovrà trovare la via per scampare ad orrende mutilazioni ed esperimenti sul suo corpo. Oppure essere noi stessi, un John Smith, un Mario Rossi, uno Josè Rodriguez qualunque che per l’intreccio della trama si trova coinvolto in complotti internazionali o cospirazioni segrete, come succede nel film Minuti Contati con Johnny Deep e Christopher Walken. La trama racconta di un uomo, Gene Watson, da poco vedovo, e della sua figlioletta Lynn che giunti alla Union Station, nel centro di Los Angeles, per un appuntamento, vengono improvvisamente presi in ostaggio da una coppia di finti poliziotti. All'uomo è consentito di allontanarsi, ma con un preciso scopo: dovrà commettere l’omicidio della governatrice dello Stato entro i successivi 90 minuti (con un montaggio in tempo reale), altrimenti la bambina verrà uccisa, circostanza che ugualmente si verificherà nel caso in cui egli tenti di avvertire le autorità della cosa o comunque cerchi aiuto6. Ci sembra un’ottima base per un gioco di successo, peccato che nessuna software house abbia mai pensato a questo film fino ad oggi. Rimaniamo al cinema. Molti lungometraggi, soprattutto in questo ultimo decennio si sono occupati della tematica omosessuale: per quello che può ricordare la memoria, invece mai nessun videogioco ha presentato un soggetto gay7 o
6: Secondo Farinotti c’è “buona tensione fra una manifestazione e l'altra, con Walken che fa il cattivo e Depp un personaggio molto vicino a certi uomini della strada coinvolti in vicende enormi, che tanto piacevano a Hitchcock”.
7: Citiamo, per la sua ironia, l’onnipresente in questo elaborato Clive Barker che nel corso di un’intervista riguardo la realizzazione di Undying, di cui ha scritto la sceneggiatura, alla domanda su quale fosse stato il suo contributo principale ai cambiamenti apportati al gioco rispose: “Sicuramente il personaggio principale. La prima versione non era molto accattivante. Come omosessuale ho chiesto loro: portatemi qualcuno con cui posso andare a letto! E dannazione, l’hanno fatto! Sto esagerando, ovviamente, ma hanno davvero realizzato un personaggio sexy. Non è una caricatura, ti guarda con occhi umani e dice: stai per indossare la mia pelle. Prendine cura!”.
lesbica come protagonista se escludiamo Candy, l’alieno di Stupid Invaders della francese Ubisoft, titolo comunque completamente immerso in una forte componente ironica e quindi la caratterizzazione omosessuale serviva solo come ulteriore pretesto per un numero maggiore di gags all’interno del gioco.
Reputo che anche in questo caso, impersonificare il “diverso” (nel senso letterale di differente da sè e non in maniera discriminatoria) potrebbe rappresentare un’esperienza di gioco stimolante ed originale.
Un altro consiglio, questa volta di marketing, alle software house: non trovate che sarebbe un’ottima trovata pubblicitaria proporre il primo titolo con protagonista un attore virtuale omosessuale? Pensate a quanta promozione gratuita fatta da tanti organi di informazione che per una volta non si occuperebbero di videogiochi per i titoli più violenti.
Già come si evince da questa eterogenea lista di esempi si può dedurre di come le potenzialità del videogioco siano ampiamente sotto sfruttate.
L’utente finale potrebbe usufruire di una più vasta gamma di scelta per il proprio divertimento elettronico: nel mio immaginario dovrebbe rispecchiare un panorama ampio almeno quanto (se non più) quello cinematografico nella scelta del protagonista. Ma allora perché tutto questo non accade? Chi giustifica l’attuale situazione riguardo le caratteristiche degli “attori virtuali” nei ruoli principali dei videogames, adduce a motivazioni strutturali lo stato di cose esistenti.
Secondo questa tesi, produrre oggi un videogioco di fascia medio-alta significa compiere degli investimenti di svariati miliardi di lire e quindi per generare un profitto bisogna imprescindibilmente proporsi al mercato con un titolo destinato al pubblico di massa, in quanto i target di nicchia nell’entertainment informatico, a differenza del cinema, sarebbero a tal punto numericamente risibili da non permettere alle software house di pensare a prodotti destinati a queste fasce di utenza.
E poi, sempre per i “giustificazionisti”, nel videogioco, ancora più che nel cinema è importante il processo di impersonificazione8 che abbiamo con il
nostro protagonista virtuale: così se nel pubblico cinematografico di “massa”, diversità o “eccessiva” realtà9 degli interpreti possono essere maggiormente accettati, ciò non potrebbe accadere quando abbiamo in mano un joystick o un gamepad.
Anche se probabilmente queste sarebbero le stesse motivazioni con cui risponderebbero le software house alla domanda per cui sfornano decine di
titoli con personaggi clonati da un capostipite tipo Lara Croft ed altri, mi permetto di controbattere a questa teoria.
La prima risposta grossolana che mi passa per la testa è… “ma perché non ci provate? Sarà stato un esperimento venuto male ma quante volte è accaduto, nel campo dell’industria dei media, che successi annunciati si sono poi rivelati flop e viceversa? Una grande software house multinazionale potrebbe sicuramente permettersi al limite di sbagliare una volta… tanto capita già così di frequente!”.
Con minor slancio, si può innegabilmente affermare che i costi per un titolo elettronico sono effettivamente piuttosto alti e che le nicchie “sicure” nei videogiochi sono quelle, ad esempio, interessate ai simulatori di volo, ma reputo che forse con una maggiore diversificazione dei personaggi, si potrebbero avvicinare all’entertainment informatico soggetti che in precedenza non avevano neppure preso in considerazione l’idea di giocare, probabilmente proprio per l’eccesso di stereotipi del videogaming di oggi.
La differenziazione potrebbe far cadere qualche pregiudizio di alcuni nei confronti del videogaming. Riguardo poi il problema della maggiore
8: Lasciamo ad altri l’argomento che potrebbe essere sufficiente per un’altra tesi di laurea.
9: Ci riferiamo al soldato semplice e agli uomini della strada di cui abbiamo parlato in precedenza.
importanza dell’impersonificazione, qui si entra nel difficilissimo campo dell’incerto, del non sicuro: lasciamo far decidere il mercato e l’utenza se la diversità non viene gradita dai videogiocatori; forse potremmo trovarci di fronte a grandi sorprese.
Infine, se i nomi altisonanti dell’industria videoludica non prendessero neppure in considerazione l’idea proposta, la diversificazione potrebbe diventare la chiave di volta per una piccola etichetta che, senza possibilità di ingenti investimenti, potrebbe “sfidare” su un piano diverso le grandi software house: visto che da un punto di vista tecnico non ci sono chances di vittoria, proporre un personaggio nuovo potrebbe per una volta far vincere Davide contro Golia…. E’ già capitato nella storia!
2
USI E FINI
Rimaniamo in campo cinematografico ed in particolare alle pellicole con protagonisti dei soggetti omosessuali.
Secondo Bettetini e Fumagalli (G. Bettetini – A. Fumagalli: “Quel che resta dei media” Angeli, 1998), dietro la produzione ed il successo del film “Philadelphia”10, ci sarebbe la potente lobby gay americana che sovvenzionerebbe alcuni film, show tv ed altri media per imporre (o far accettare? n.d.a.) il modo di vita gay al numero più elevato di persone11.
Ora non ho una conoscenza così approfondita della cultura americana per negare o condividere la dietrologia fatta sulle ragioni che hanno portato alla produzione di Philadelphia, ma che sia vero o meno, reputiamo che il videogioco ancora più del cinema possa essere un ottimo strumento di
10: Dal sito “1999: Allarme ad Hollywood” ecco una breve recensione: “Giovane e brillante avvocato viene licenziato (ufficialmente) per inefficienza, in realtà perché gay e malato di AIDS, due caratteristiche non in sintonia con l'ambiente conservatore in cui lavora. Con l'aiuto di un avvocato di colore farà causa ai suoi superiori, mentre il male lentamente lo consuma.
Film che cavalca temi forti (cioè di facile presa sul pubblico), ma lo fa assennatamente, senza cadere nel patetico. Politicamente corretto ma non stupido, ben costruito ma comunque intrinsecamente hollywoodiano. (…) SCENA CULT: le reazioni dell'avvocato quando scopre che il suo cliente ha l'AIDS. Due oscar: a T. Hanks, attore protagonista e a B. Springsteen per la canzone "Streets of Philadelphia".
11: Tesi ampiamente confermata da Alfonso Iuliano che nel sito Tempi Moderni riguardo In & Out (altro film con protagonista un professore gay) scrive: “Sembra, insomma, che le lobby gay anche a Hollywood abbiano acquisito un certo potere, e oggi vige ormai la rappresentazione dell'omosessuale come persona più sensibile della media, in lotta contro l'ipocrisia della società e destinato comunque vada ad essere felice. Pochi anni fa, come sappiamo, gli omosessuali sullo schermo erano al contrario sempre depressi se non prossimi al suicidio, ergo delle figure grottesche. In entrambi i casi tutto sembra abbastanza stupido, meramente consolatorio per gli uni o per gli altri e probabilmente rappresenterà tra qualche anno un capitolo, forse importante, della storia del costume”.
“persuasione”.12
E come per l’accettazione per l’omosessualità, potremmo proseguire con temi quali la tolleranza religiosa o la sua professione, il rispetto verso la natura, la prevenzione sanitaria, l’animalismo, la discriminazione razziale13 ed anche la politica e il proselitismo ideologico in senso stretto.
Annotiamo come durante la seconda metà degli anni ’80, dalla Germania iniziarono a circolare tramite canali clandestini, alcuni videogiochi neo-nazisti14: oltre a finire sulle pagine di giornali e nei servizi dei TG, entrarono in migliaia di case d’Europa con una non indifferente cassa di risonanza per i gruppi nostalgici del terzo reich e ricordo inoltre come i giochi fossero anche di pessima fattura tecnica, il tutto realizzato con poche centinaia di byte di codice di programmazione.
Come per la scelta dei personaggi, anche in questo caso qualcuno potrebbe portare motivazioni economiche al perché del non uso “propagandistico” e “persuasivo” del videogioco.
Oltre alle risposte che abbiamo già dato per il primo punto, abbiamo questa volta maggiori supporti alla nostra teoria.
Vicino alle già citate piccole e grandi software house, in questo caso potrebbero entrare in scena anche gli “artigiani” di “patch” e “mod” per realizzare prodotti a sé oppure costruire sopra a qualcosa di già esistente15.
Inoltre, i finanziamenti potrebbero arrivare non solo da privati ma anche da
12: Noi ci auguriamo per fini nobili e degni ma poi un medium può essere un’arma/strumento nelle mani di qualsiasi persona capace di sfruttarne le potenzialità.
13: In questo caso, i videogiochi non possono essere accusati di razzismo (se non quei 2-3 titoli neo-nazisti di cui parleremo fra qualche riga) perché ci sono protagonisti provenienti da ogni parte del mondo ma in nessun caso è stato affrontato l’argomento della discriminazione.
14: I più noti si scagliavano senza nessuna esitazione contro turchi ed ebrei.
15: Un po’ come l’inventio medioevale, il “venire sopra” di coloro che nei monasteri creavano nuovi manoscritti di grandi opere e che mettevano qualcosa di loro nella trascrizione.
enti, istituzioni, associazioni, gruppi politici, sociali e culturali interessati ad autopromuoversi con un mezzo che, già in precedenza abbiamo affermato, viene considerato fortemente suggestivo.
Non mancano esempi recentissimi delle prime sperimentazioni di questo genere: aspettate solo qualche pagina, ne riparleremo verso la fine del nostro “viaggio”.
3
”PRIMA DI USCIRE, DEVI TERMINARE IL LIVELLO DI PETRARCA E FARE I PRIMI SCHEMI DI PASCOLI”
IMPARARE GIOCANDO: EDUTAINMENT & VIDEOGAMES
Esistono già molti titoli di edutainment, ovvero programmi a metà strada fra l’educativo e l’intrattenimento ma questi “ibridi”, oltre a rivolgersi quasi esclusivamente ai giovanissimi (6-10 anni), non si spingono molto in avanti sia nella parte istruttiva che in quella ludica.
Ed invece, per la capacità seduttiva del videogioco, reputo che questo potrebbe essere il miglior mezzo per apprendere certi tipi di studi.
Vi propongo il seguente esempio.
Vista anche la vicinanza geografica con Recanati, proviamo ad immaginare insieme un’avventura 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi.
Dopo un lungo filmato introduttivo che ci mostra le scene topiche della triste vita del poeta, troviamo il nostro alter ego in visita all’abitazione recanatese. Mentre la guida ci racconta a sufficienza tutto il background dell’esistenza del Leopardi, improvvisamente si spengono tutte le luci, inizia a soffiare un vento gelido da una fonte misteriosa. La guida e gli altri visitatori scappano in preda al panico mentre voi (o almeno il protagonista sul monitor) mantenete il sangue freddo, anzi siete così incuriositi da voler capire cosa stia accadendo. Iniziando ad esplorare le stanze della casa, troverete degli indizi sulle strane vicende in cui siete oramai coinvolti, oltre a degli oggetti “immateriali”: non sono altro che le poesie di “Giacomo L.”
Una suadente voce sarà sempre disponibile a rileggerle ogni volta che vorremmo visto che le potremo portare con noi16.
16: Se quest’avventura sarà veramente realizzata troveremo anche uno stratagemma per far portare ad un individuo degli oggetti immateriali
Proseguendo nel nostro cammino, impareremo a conoscere altre vicende meno note del poeta e in un turbinio di colpi di scena ed enigmi da decifrare, ci troveremo di fronte al fantasma di Leopardi tornato in questo mondo per suoi motivi personali.
Sono pronto a fare un sondaggio in qualsiasi scuola superiore d’Italia: ritengo che alla domanda sulla preferenza fra studiare Leopardi con il tradizionale libro o con un videogioco sulla falsariga della struttura che abbiamo precedentemente presentato ed in grado di essere uno strumento altrettanto valido di studio con tutti gli elementi indispensabili del
programma didattico, ci sarebbe un plebiscito a favore della forma videoludica.
Spostiamoci nel campo delle arti figurative.
Esistono svariate collane dedicate a decine di pittori ma l’evoluzione di questi titoli è stata piuttosto limitata. Di fronte al tipico ipertesto, potremo scegliere di vedere le immagini, forse potremo ascoltare o leggere dei commenti, saperne di più sulla vita dell’autore e se saremo fortunati potremo trovare qualche motore grafico in grado di farci vedere l’opera in tre dimensioni.
Non vogliamo in nessun modo sottovalutare il lavoro di chi compie queste opere però, in questa forma, reputiamo che l’interesse ai titoli d’arte sarà limitato a chi se ne interessava già in precedenza anche senza cd-rom o a quei soggetti, come già accade a volte per i libri, che useranno intere uscite del genere solo per una semplice esibizione di cultura o come arredamento.
Anche in questo caso vi presento una proposta concreta.
Immaginiamoci di realizzare un titolo dedicato a Guernica di Pablo Picasso, l’opera del pittore di Malaga sul bombardamento nazista effettuato in pieno giorno nella città dei Paesi Baschi nel 1937 durante la guerra civile spagnola.
Nella costruzione del nostro “videogioco”, oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere “scene” diverse17:
Esempio Scena 1
Nella metà di sinistra tutto è orrore, morte, disperazione. Il toro, simbolo della brutalità, è impassibile e trionfante, vincitore sull’uomo, che è simboleggiato dalla testa spezzata della statua, come se si trattasse di una corrida al contrario. Il cavallo è il popolo che trafitto e colpito a morte si contorce per il dolore. Una mano stringe inutilmente una spada che è spezzata, cioè inservibile contro i tedeschi. Una madre grida il proprio dolore straziante e abbraccia il figlio morto.
Esempio Scena 2
Nella metà di destra una donna fugge da una casa in fiamme e altre donne implorano che sorga una nuova luce, vera non artificiale che possa far rinascere un fiore che appassisce accanto alla spada.
I simboli del reale si trasformeranno nei propri referenti attraverso il nostro movimento e potremo “rivivere” le parti del quadro anche parlando con i protagonisti delle scene, farci raccontare le loro sensazioni, provare a scappare, essere insomma anche noi protagonisti del massacro di Guernica.
Picasso ha scritto:
"Io sono fiero di dirlo, non ho mai considerato la pittura come un’arte di
17: La descrizione del quadro è presa dal sito www.bdp.it
puro piacere, di distrazione. Io ho voluto con il disegno e col colore, dato che sono le mie armi, penetrare sempre più nella coscienza degli uomini e del mondo, affinché questa coscienza ci liberi ogni giorno di più.
Io ho sempre cercato di dire alla mia maniera ciò che desideravo essere il più giusto, il meglio, che poi naturalmente era sempre il più bello, come i grandi pittori sanno bene. Sì, io ho la coscienza di aver sempre lottato da vero rivoluzionario con la mia pittura, ma ora ho capito che neppure ciò può bastare. Questi anni di oppressione terribile mi hanno dimostrato che io devo combattere non soltanto con tutta le mia arte ma anche con tutto me stesso".
Credo che anche il grande artista spagnolo avrebbe apprezzato l’idea di amplificare le sensazioni che riuscì ad esprimere nel suo capolavoro con nuove tecnologie fortemente suggestive, oggi a disposizione di tanti.
Vi proponiamo l’ultimo esempio, sempre nel campo dell’arte, per un nuovo modo di sfruttare tecniche e linguaggi del videogaming per imparare.
Questa volta siamo nel Duomo di Milano, perfettamente ricostruito con un motore grafico 3D di media potenza per gli standard attuali.
Scegliete voi il protagonista, la trama, la sceneggiatura ed il modo di gioco, l’importante è che per proseguire nel nostro cammino, dovremo esplorare in maniera approfondita interni ed esterni del monumento, vederne i particolari più importanti sotto un profilo artistico e “cammin facendo” conoscerne tutti segreti. Qualche ora di gioco, e conoscerete il Duomo di Milano alla perfezione.
Leopardi, Picasso ed il Duomo di Milano: abbiamo scelto questi tre soggetti, ma con un piccolo sforzo intellettuale potete compiere la stessa operazione creativa con svariate decine di argomenti di studio.
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INVASION
I VIDEOGAMES NEI DVD
Pur se il nuovo standard di archiviazione dati è stato scelto come supporto dalla quasi totalità delle multinazionali dell’entertainment multimediale, il DVD18 sta incontrando notevoli difficoltà a soppiantare sia il Compact Disc in campo musicale ed informatico sia lo standard VHS nell’Home Video. Se una motivazione strutturale può essere la mancanza a prezzi accettabili di masterizzatori in grado di copiare facilmente il supporto (come già invece da qualche anno avviene per i cd), è indubbio che il DVD come nuovo formato per il cinema in casa abbia leggermente deluso le attese.
A parte la maggiore qualità audio/video19 del DVD, gli inserti “speciali”
18: I DVD (acronimo che sta per Digital Versatile Disk) assomigliano ai compact disc, ma possono contenere una quantità di informazioni da 7 a 26 volte maggiore. Qualsiasi tipo di informazione digitale può essere memorizzato su un DVD - software interattivo, giochi, enciclopedie multimediali ecc. Oltre a una qualità superiore nella riproduzione di suoni e immagini, il DVD offre molta più flessibilità:
Funzionalità di accesso casuale - Il DVD consente di riprodurre un disco partendo da una posizione qualsiasi. Mentre state guardando un film, per esempio, potete interromperlo, guardarlo al rallentatore o in avanzamento veloce con una qualità di immagine molto più chiara rispetto a un videoregistratore.
Supporto a inquadrature multiple - Con il DVD chiunque si può improvvisare regista. Dopo aver registrato una scena da più angolazioni, potete scegliere le inquadrature che volete guardare mentre riproducete le immagini.
Supporto a più tracce audio - Il DVD è in grado di memorizzare più colonne sonore per un singolo film, ciascuna con più canali. Per esempio, è possibile registrare fino a otto lingue per un singolo film. Il DVD supporta inoltre 32 tracce per i sottotitoli.
19: Non privi di difetti comunque, come ad esempio il problema del kaos generalizzato sugli standard audio e sulle grandezze dell’immagine (16:9, 4:3 etc.). Per garantirsi il massimo delle prestazioni sarebbe necessario avere in casa televisori e monitor multiformi.
(interviste con il regista, scene tagliate, storyboard, trailer etc.) solitamente presenti nei film sarebbero potuti essere inseriti anche in una semplice videocassetta a nastro con l’unico inconveniente di cercare il punto di inizio del contenuto di nostro interesse.
Ed anche il tanto decantato supporto ad inquadrature multiple contemporanee per la stessa scena, è stato fino ad ora, nella stragrande maggioranza dei casi, ignorato o minimamente considerato.
Non mancano però le prime avanguardie che usano il DVD in maniera più flessibile.
Ci sono i primi titoli in cui il film diviene una sorta di storia a bivi in cui lo spettatore potrà fare delle scelte sul proseguimento della storia (il che ricorda molto da vicino gli esperimenti di cinema interattivo realizzati nei primi anni ’90 e di cui abbiamo parlato in precedenza) ed anche nuove forme di interfaccia per utilizzare gli inserti extra: in una sorta di casa virtuale, potremo accendere il videoregistratore per vedere i trailer, entrare nella stanza del regista per intervistarlo (chiaramente con delle domande già
presenti ma potremo scegliere noi, quali porgli nel ventaglio di scelte a nostra disposizione) e compiere altre azioni in tipico stile da avventura grafica in 3D.
In questo caso quindi, il cinema prende dal videogioco la sua tecnica, il linguaggio e l’interfaccia uomo/macchina per diventare anch’esso realmente interattivo e per rendere il DVD un’esperienza unica e diversa dal film in sala o in videocassetta.
Oltre ad augurarmi che questo tipo di scambio tra cinema e videogioco divenga al più presto la norma per i Digital Versatile Disk, il successivo passo in avanti che invito a compiere è una reale “invasione” da parte del videogioco nei film in DVD.
Senza togliere la possibilità di visionare il lungometraggio nella versione cinematografica, immagino vari modi rendere interattivo l’intrattenimento in formato DVD:
a) Possibilità di costruirsi con semplici operazioni intuitive, potremmo proprio dire “da videogioco”, il nostro film su misura: scegliere le scenografie, parte della sceneggiatura (finale positivo/negativo/aperto ma anche esclusione/aggiunta di scene), durata, montaggio, colonne sonore etc. Sono già usciti alcuni videogames sulla falsariga di questa idea ma veramente troppo limitanti nelle operazioni possibili tanto da renderli piuttosto inutili.
Quello che invece intendo è aprire realmente le porte di “fare cinema” (pur se non completamente) a tutti: credo che ciò comporterebbe degli scenari piuttosto interessanti sia in prospettiva economica che socioculturale.
Pensate solo a quello che è successo con “Star Wars: Episode 1”, il “prequel” della famosa saga di George Lucas. Come è noto, i fan di Guerre Stellati sono piuttosto esigenti, entusiasti ma anche severi quanto all'oggetto del loro culto. E così, all'uscita di "Episodio I - La minaccia fantasma", non avevano nascosto alcune perplessità sulla pellicola: in particolare, sull'improbabilità di Jar Jar, l'animale imbranato tutto creato al computer, e anche sulla non corrispondenza tra il bambino "perfettino" Anakin e il futuro Darth Vader. Piccoli difetti, certo. Ma perché non provare a correggerli, eliminandoli alla radice? Detto fatto: qualche tempo fa un gruppo di appassionati americani ha rieditato la videocassetta del film, modificandone alcuni passaggi rispetto alla versione originale. E provocando, qualche settimana e migliaia di copie più tardi, l'ira della LucasFilm.
La nuova versione del primo prequel tratto dalla saga "Star Wars", chiamato dai fan "The Phantom re-edit: Episode 1.1" differisce, rispetto alla pellicola "vera", soprattutto per il taglio di alcune scene che hanno per protagonista Jar Jar, come ad esempio la sua sbilenca passeggiata sul pianeta Tattoine. Stessa sorte è toccata ad alcune sequenze di Anakin, di cui, ad esempio, è stata soppressa l'infantile e trionfalistica esclamazione "Yippie!", che mal si addice a chi, da adulto, si convertirà al lato oscuro della Forza. Insomma, lievi ritocchi al montaggio del film.
Fin qui, era solo un divertimento, un esperimento tra amici. Ma, grazie al passaparola web e al grande seguito di "Guerre stellari", la versione riveduta e corretta di "Episodio I" è diventata oggetto del desiderio per un esercito di ragazzi. Conseguenza: le copie della videocassetta "rivisitata" da decine sono diventate centinaia, e da centinaia migliaia; tanto che, secondo quanto riportato dall'Associated Press, alcune sono state offerte perfino sulle bancarelle davanti al Chinese Theatre sull'Hollywood boulevard, dove c'è la famosa "walk of fame" dei divi del cinema.
A questo punto la casa di produzione LucasFilm, di solito abbastanza tollerante verso le iniziative amatoriali, ha cominciato a preoccuparsi. Anzi ad arrabbiarsi, per la piega presa dagli eventi. A confermarlo, alle agenzie di stampa, è stata la portavoce della società, Jeanne Cole: "Quando ne abbiamo sentito parlare per la prima volta - ha raccontato - abbiamo pensato che fosse solo un fan che si divertiva con Guerre stellari. Ma ora la faccenda si è trasformata in una duplicazione di massa, e allora potrebbe trattarsi di violazione di diritto d'autore". I legali sono stati già allertati: e così adesso si aspetta di sapere se mentre George Lucas è al lavoro nella postproduzione di "Episode II", che arriverà nelle sale nel 2002 - le "Star wars" si trasformeranno in "Copyright wars".20
Provate solo ad immaginare le applicazioni, le possibilità creative (più o
20: La descrizione della vicenda di Episode 1.1 è tratta quasi interamente da www.repubblica.it
meno positive e costruttive) e gli ingenti profitti che potrebbe dare la possibilità di modellare un film a proprio piacimento con semplici operazioni.
b) Coinvolgimento dello spettatore nella narrazione cinematografica: in questo caso con una struttura elementare tipica del videogaming, mi immagino, ad esempio, in un thriller “mozzafiato”, essere in casa soli. Con una inquadratura soggettiva, ci accorgiamo che dal piano di sopra si sentono degli strani rumori e a questo punto ci troveremo di fronte a delle scelte: Salire le scale? Chiamare la Polizia (A cui chiaramente non risponderà una persona ma una voce registrata che vi chiede di rimanere in attesa)? Avvisare il vicino (noto molestatore omo/eterosessuale)?
Scappare fuori (ma prima mentre guardavate il notiziario in tv, avete ascoltato di un pericoloso serial killer che ha già fatto vittime tra persone che passeggiavano sole di notte)?
E poi potremmo ricevere una telefonata anonima che ci avvisa di un pericolo imminente: sarà con la nostra abilità comunicativa nel dialogo che riusciremo scoprire maggiori elementi possibili per sfuggire alla difficile situazione in cui involontariamente ci siamo imbattuti.
Forse a questo punto, qualcuno giustamente si chiederà: ma siamo di fronte ad un film o ad un videogioco? Risposta difficile, a cui comunque non ho così interesse a rispondere: quello che più mi interessa da spettatore/giocatore è di emozionarmi.
Qualsiasi mezzo (anche ibrido) in grado di farlo sarà il benvenuto nella mia dimora.
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INVASION 2
IL VIDEOGAMING IN NUOVI CONTESTI COMUNICATIVI
Lo abbiamo già affermato in precedenza: anche dopo tanti anni di videogaming, la sua fascia di utenza predominante è quella giovanile mentre gli “over 30” sono una nicchia di mercato piuttosto limitata almeno per quanto riguarda il mercato europeo.
Eppure, se torniamo indietro di soli 10 anni, possiamo affermare che l’intrattenimento elettronico si sia modificato ed ampliato nelle forme e nei contenuti a tal punto che, se pur il processo è ancora in atto, il mercato presenta oggi molti titoli che potrebbero soddisfare un pubblico più maturo rispetto a quello attuale.
Ma questo allargamento dell’utenza21 riguarda oggi solo una sparuta minoranza di “avanguardisti”.
Molte delle ragioni per cui ciò non sia ancora avvenuto (pregiudizi, processo di cambiamento del videogaming ancora non completo) sono state già spiegate.
Ci è sembrato però opportuno aggiungere a questi elementi, un altro importante fattore.
Mi sto riferendo alla diffusione di conoscenza dei videogiochi nell’industria mass mediatica.
Oggi, riguardo la situazione italiana che però non differisce di molto da quella delle altre nazioni dell’Europa Occidentale, l’informazione videoludica è principalmente veicolata da mensili cartacei e siti Internet specializzati in cui abbiamo a disposizione veramente un’ampia gamma di news, anteprime, anticipazioni, interviste e quant’altro si voglia sapere
21: Comunque non solo generazionale. Torneremo in seguito ad esempio sulla questione “videogiochi – donna”.
sull’intrattenimento videoludico.
Il fatto però è che l’utenza ed i lettori di questi contenuti sono sempre persone già appassionate di videogiochi. L’informazione specializzata, in ogni campo, difficilmente può giungere ai possibili neofiti del settore.
I primi segni di un cambiamento di rotta però si possono osservare in alcuni dei quotidiani a grande tiratura nazionale come il Corriere della Sera, la Stampa, Repubblica (in particolare il suo inserto del Venerdi con articoli molto interessanti e che trattano l’argomento sotto un ottica nuova) e le testate Monrif (la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno).
Ma dove i videogiochi non sono riusciti a ritagliarsi neppure un piccolo angolo di spazio è sicuramente dalla “regina” televisione.
I pochi servizi che raramente possiamo vedere nei TG sono quasi sempre legati all’argomento “trito e ritrito” della violenza o delle crisi epilettiche
presumibilmente causate dai videogiochi stessi.
E sorprende, come invece accade solitamente per film, libri, e dischi (anche per le più bieche operazioni commerciali) che siano eventi più unici che rari i minuti dedicati alle nuove uscite nel campo dell’intrattenimento elettronico e da ciò che siamo venuti a conoscenza, ottenuti con un difficile lavoro da parte degli uffici stampa delle software house che devono letteralmente inventare legami piuttosto labili con film ed altro materiale più “tipico” per i telegiornali. Ci chiediamo se forse qualcosa potrà cambiare con l’entrata del colosso Microsoft nel mondo delle console: almeno un evento del genere potrà calamitare un certo interesse da parte dei media generalisti?
Situazione ancora peggiore è quella dei talk show o dei programmi di approfondimento.
Prendiamo come esempio uno dei più seguiti, il “Maurizio Costanzo Show”. Visto che sono piuttosto di casa nello studio del Parioli di Roma, autori di libri, film e canzoni, ci chiediamo perché non sarebbe possibile far intervenire i game designers dei titoli di maggior richiamo tra le ultime uscite che non reputo avrebbero troppe difficoltà a presentare il loro lavoro ad una platea più vasta rispetto al solito. Quello che ancora mi chiedo, più in generale, è se i responsabili dell’immagine di software house e distributori valorizzino al meglio il loro potenziale a disposizione. Per essere più specifici, nelle pagine comprate sulle riviste, nei materiali da esporre nelle vetrine, nei cartelloni affissi, tranne rarissime eccezioni, tutto sembra ad esclusivo appannaggio del ragazzo sui 15/25 anni, a cui vengono proposti, a seconda dei casi, riferimenti sessuali, prove di forza, coraggio o velocità. Insomma: tutti gli input tipici e stereotipati per attrarre i teenagers della X Generation. Quindi si viene a formare un altro terribile circolo vizioso: l’immagine che danno i produttori dei videogiochi è quella appena descritta, i media li recepiscono nella maniera con cui si presentano e quindi non se ne occupano e l’utenza più adulta senza nessun input non può cambiare e allora visto che quest’ultima non cambia, non ci saranno neppure tentativi di costruire una nuova “facciata” all’industria del videogaming.
…E pur si muove: ci riferiamo alla comunicazione pubblicitaria del distributore Cidiverte per lanciare l’uscita sul mercato del proprio titolo di punta chiamato Max Payne (di cui riparleremo in seguito). A posto di puntare sulla tipica pagina pubblicitaria, la compagnia ha preferito una grafica piuttosto scarna in stile rotocalchi degli anni ’80 ma con la presenza di un articolo che, se pur con toni trionfalistici e semplicistici, dà un’immagine abbastanza profonda ed interessante del prodotto22 tale da renderlo forse più appetibile a pubblici nuovi.
22: Ci sembrava utile proporvi nelle prossime pagine, oltre a Max Payne anche alcune delle pagine pubblicitarie tipiche di cui vi abbiamo parlato in precedenza.
L’industria dei videogiochi anche in Italia oramai produce un fatturato importante e notizie come l’acquisizione da parte del distributore CTO di una software house europea dimostra che, pur se a piccoli passi, anche nel nostro paese la situazione si sta evolvendo.
Penso che presto ci saranno quindi maggiori margini di manovra strutturale per arrivare nel complesso e variegato circuito dell’informazione e dell’ intrattenimento generalista allo stesso tempo dato a libri, film e musica anche al videogioco. Pur se qualcuno giustamente mette in dubbio la forza attuale della TV via etere, rimane comunque numericamente il mezzo più seguito, in particolare da quella utenza più restia al videogioco.
Forse gli effetti non saranno riscontrabili nel breve periodo ma potrebbe anche diventare una svolta epocale per il videogioco essere ospitato, o se preferite “invadere”, “mamma TV”.
Abbiamo parlato di riviste specializzate che offrono dei contenuti piuttosto importanti che, fra recensioni e notizie in anteprima, non si risparmiano anche ad offrire delle riflessioni veramente interessanti (e a cui molto devono queste pagine).
Ma non possiamo nasconderci però che tutti i magazine del settore, almeno in Italia, fondino la propria linea editoriale sull’essere dedicato a particolari macchine (PC, console, Playstation, X-Box, Dreamcast etc) e non sul fenomeno videogame in assoluto.
Immaginate se nel cinema ci fossero stati vari “hardware” per la visione di un film e in edicola, per farvi un’idea generale delle pellicole in uscita e riflessioni su di esse, non sarebbe stato sufficiente comprare una sola testata.
Questo è quello che accade nel mondo dell’editoria dedicata ai videogiochi e ci chiediamo perché nessuno non provi a lanciare sul mercato un mensile che si occupi del fenomeno a 360° sotto un punto di vista culturale ed artistico, con i migliori titoli in uscita senza fare distinzioni sulla piattaforma su cui girano.
Sempre in parallelo al cinema, ci sembra che tutta l’editoria sul videogaming assomigli troppo al mensile Ciak e che nessuno abbia mai provato (o comunque ancora non troppo) un approccio che ricalchi le orme di Duel: se pur con una tiratura minore, ha dalla sua una vasta schiera di fedeli lettori che dimostrano di gradire un’impostazione per così dire meno “commerciale - di massa” e maggiormente d’approfondimento.
Crediamo che un “Duel dei videogiochi” avrebbe dalla sua una nicchia sufficiente di lettori per garantire all’ipotetico editore una buona riuscita dell’impresa anche in termini economici.
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IL VIDEOGIOCO E’ MASCHIO?
Siamo ancora in tempi che quando una donna partecipa al motomondiale o a qualche campionato automobilistico, i media e la curiosità di tanti vogliono sapere come mai una rappresentante del “gentil sesso” voglia cimentarsi in competizioni tipicamente maschili.
Il fenomeno è simile, pur senza i riflettori dei media, nel mondo dei videogiochi, da sempre a quasi esclusivo appannaggio degli uomini.
Chiediamocelo subito: perché?
E soprattutto perché però ci sono stati poi alcuni titoli (mi riferisco in particolare a Pac Man, il suo clone Lady Bug23, Frogger24, Q-Bert25, Tetris, Puzzle Bubble ed in tempi più recenti The Sims) che si rivelano essere giocati maggiormente dalle ragazze?
La risposta al nostro quesito l’hanno già data altri, in particolare Barbara Lanza, progettista di giochi e teorica delle questioni di genere sessuale intervistata da J.C. Herz, anche lei donna, nel suo “Il Popolo Del Joystick”, ed Andrea Salvi sulle pagine del mensile Duel da cui riporto nella pagina seguente l’intero articolo poiché sarebbe un’operazione difficile affrontare il tema in modo migliore e completo.
23: Gioco veramente molto simile a Pac-Man ma che vedeva come protagonisti degli insetti.
24: L’odissea di un ranocchio che doveva superare un’infinità di ostacoli per attraversare l’autostrada, il fiume con i serpenti velenosi ed arrivare al piccolo nido anfibio in cima allo schermo.
25: Gioco rompicapo con prospettiva obliqua in cui uno strano essere doveva colorare tutti i tasselli di una piramide mentre veniva inseguito da alcune creature.
VIDEOGIOCATRICI: I videogiochi non piacciono alle donne?
Nel 2000, solo in Europa, sono stati venduti 64 milioni di videogiochi per console e 97 milioni per PC, per un totale delle vendite di oltre sei miliardi di dollari. Con l’avvento delle nuove console a 128 bit (che sulla carta sono 4 volte più potenti della vecchia Playstation), i videogiochi sembrano destinati a sostituire definitivamente il cinema come principale strumento di narrazione audiovisiva. Eppure, i videogiochi non saranno davvero maturi finchè non avranno conquistato la parte femminile del mercato, che finora è stata spesso delusa dai prodotti offerti. Una delle ragioni che si adducono per questa disaffezione è la violenza dei videogiochi. Tuttavia, questo argomento non regge se si considera che la violenza nei film, per esempio, è fruita ed accettata dal pubblico femminile come da quello maschile. Certo, vi sono generi tradizionalmente maschili, come il western, i film di guerra e, in generale, tutti i film d’azione, ma nelle sale cinematografiche i due sessi sono rappresentati nella stessa misura.
In realtà, il pubblico femminile non è attirato dai videogiochi “d’azione” non tanto per quello che presentano, ma per ciò che ancora non possono offrire: finora, le azioni di un eroe videoludico si limitano al movimento e alla lotta (anche se in parte negli ultimi tempi le cose stanno cambiando n.d.a.). Lara Croft, protagonista della serie di Tomb Raider è un’atleta straordinaria e un’ottima combattente, e questo, oltre alla provocante bellezza, basta per farla diventare un mito tra i giocatori maschi. Ma non sa fare altro. Se la si osserva da vicino, Lara è una maschera d’inespressività: non soffre, non sorride, non s’arrabbia, non si stupisce. Nel gioco incontra solo armi e avversari, con cui instaura un semplice rapporto amico-nemico, utile-dannoso, usare-eliminare. Così, Lara non è tanto una donna quanto una macchina da guerra, incapace di simulare non solo reazioni complesse come l’odio o l’innamoramento, ma anche i bisogni più comuni come la fame, il sonno o il sesso.
La sessualità di Lara è puramente visiva, asettica, da calendario sexy: abbastanza per scatenare l’universo erotico maschile, ma assolutamente insufficiente per indurre un processo di identificazione nelle donne, che anzi trovano ridicola la crescita esplosiva del suo seno, su di un “vitino” che si fa sempre più smilzo ogni anno.
Al contrario, il gioco di simulazione umana The Sims ha conquistato le videogiocatrici proprio perché, per la prima volta, ha saputo simulare tutte le necessità elementari dell’esistenza umana, come il bisogno di socialità, di divertimento, di igiene.
Per la prima volta, i personaggi di un videogioco guardano la televisione, aprono il frigo, rispondono al telefono. Ma The Sims è anche una straordinaria simulazione, i cui protagonisti si sposano, si baciano, si tradiscono, si riproducono. Il compito del giocatore è permettere ai propri Sims di trovare il proprio equilibrio, indirizzarli verso ciò di cui hanno bisogno, aiutarli a organizzare la propria esistenza. A parte l’originalità del soggetto, The Sims rientra nella categoria di giochi gestionali, dove occorre organizzare e far crescere un organismo complesso (in questo caso, una piccola struttura sociale). E anche questo è particolarmente adatto alle donne, tradizionalmente abituate a gestire, organizzare e risolvere le necessità del proprio nucleo familiare, per mettere sé stesse, i figli e il compagno in condizione di agire nel migliore dei modi. Così si spiega, ad esempio, l’interesse delle donne verso i cosiddetti puzzle game, i rompicapo elettronici come Tetris dove occorre incastrare delle forme geometriche che scendono dall’alto per poterle eliminare dallo schermo. In tutti i puzzle game il principio è separare, incastrare, riunire, insomma ordinare i pezzi di un mosaico in modo che tutto sia perfettamente combaciante. Un lavoro di logica e prontezza di riflessi che non contrappone il giocatore ad alcun nemico se non ai suoi stessi limiti, e che al principio di distruzione fisica o simbolica dell’avversario sostituisce quello della costruzione di un sistema ordinato.
Un altro motivo del successo di The Sims, come riconosce il suo stesso creatore Will Wright, è la presenza tra gli sviluppatori del gioco di una forte percentuale femminile, circa il 40%. E in effetti, anche nell’estrema cura dei particolari, nelle centinaia di diverse carte da parati, tendine e tappeti per decorare la casa, la mano femminile è davvero riconoscibile.
Per concludere, l’aumento del numero di giocatrici femminili richiede la creazione di videogiochi più adatti a loro, di simulazioni più complesse, di personaggi – maschili e femminili – che non conoscano soltanto le arti marziali ma sappiano simulare uno spettro più ampio di azioni e reazioni umane. Per questo sarà molto importante lo sviluppo dei giochi in rete, che già oggi permettono di collaborare e comunicare con gli avatar di giocatori collegati da tutto il mondo.
Finora, molti videogiochi sanno simulare alla perfezione soltanto la guerra vera o simbolica, ma le videogiocatrici pretendono molto di più.
Ad integrazione dell’articolo di Andrea Salvi, citiamo Barbara Lanza che afferma: “A dispetto di tutti i dibattiti sulla correttezza politica, i ragazzi e le ragazze non sono affatto uguali, specialmente quando sono piccoli. Possono diventare più simili crescendo, ma quando sono giovani, non sono uguali in nulla. Cercano cose diverse. Le ragazze vogliono esperienze, i ragazzi cercano qualcosa da imparare, cosa che richiede perseveranza (…) Che diavolo mai avrà fatto Ms Pac-Man che altri giochi del periodo non facevano? Prima di tutto il fatto che si chiamasse Ms Pac-Man era importantissimo. Regola numero uno: se vendi alle ragazze, accertati che sia evidente a chi ti stai rivolgendo. Sono altamente socializzate. Hanno bisogno di permessi. Una delle cose forti di Ms Pac-Man era che fin dall’inizio ti diceva: è un gioco femminile. Ora, a parte il fatto che fosse stato etichettato come per ragazze, Ms Pac-Man ha una strategia di gioco molto interessante. Notiamo che nulla ci spara addosso. Questo è estremamente importante: il fatto che non si è bersagli. Questo permette di girare e di pensare a quello che si vuol fare. E’ possibile fare una pausa e progettare un’altra strategia, perché non si stanno scansando oggetti che cadono, perché nessuno ci spara. Essere in grado di andare avanti, indietro, a destra e a sinistra era estremamente importante. Vedi, in un gioco tipico a scorrimento orizzontale, è necessario spostarsi da sinistra verso destra. Ci si può ritirare se lo si vuole, ma la cosa non fa avanzare nella partita.
Non fa parte della strategia base. Ritirarsi, per una femmina, è come respirare. Siamo abituate all’idea di poter vincere cedendo terreno. Ci infiliamo in una situazione che appare troppo stretta, ci ritiriamo, ci giriamo indietro e poi troviamo un’altra maniera per attaccarla. Si può aggirarla. Si può evitarla. Si può battere in ritirata. Non è indispensabile andare sempre avanti a tutta forza. Ma troppo spesso, nei giochi classici al computer, è tutto quello che viene permesso. Devi fare a modo loro. Ms Pac-Man funziona perché è possibile ritirarsi. Puoi arrivare alle spalle dei tuoi avversari. Siamo bravissime a prendere alle spalle.
Questi sono i veri punti forti di Ms Pac – Man: il potersi ritirare, il fatto che nulla ti spara addosso, e il poter aggredire il nemico da dietro. Ma è ugualmente possibile andare a prenderlo. Essere inseguiti non è la stessa cosa che essere presi a revolverate. Essere inseguiti può essere eccitante. Farsi sparare addosso può essere una cosa irritante”.
J.C. Herz invece scrive: “Non è che le donne siano avverse alla violenza in sé e per sé. Quando la cosa viene presentata nella maniera giusta, può essere veramente attraente, valga l’attuale mania femminile per le pistole, la kickboxe e Virtua Cop. Ma schiacciare il pulsante del fuoco 380 volte al minuto non è proprio l’idea che una dodicenne ha del divertimento.
Il problema, dato che i progettisti di giochi sono in maggioranza maschi, è che non riescono a immaginare cosa voglia una ragazza da un videogioco. Anche se, a un certo punto una delle maggiori aziende di videogiochi giapponesi o della Silicon Valley decide di corteggiare le aspiranti giocatrici, è dubbio che un branco di maschi che ha passato la vita con un joystick in mano saprebbe progettare qualcosa che faccia breccia nella mente di una quattordicenne. Ed è dubbio anche solo supporre che ci proverebbero… non si tratta del tipico progetto intrigante che tradizionalmente attrae i progettisti di grido. Rivolgersi ai ragazzi è più divertente. Le aziende produttrici sono bravissime e la cosa rende bene. E non hanno nessuna voglia di incasinare una formula vincente.
L’approccio dell’industria è motivato da due cose: la paura e il desiderio. Ci sono un mucchio di soldi da fare se si riescono a vendere giochi alla ragazze. Dall’altro lato, c’è la paura di sviluppare giochi per loro. Perché se si costruisce un gioco che abbia l’aria di essere troppo condiscendente verso le ragazze, i ragazzi lo butteranno in un secondo come una patata bollente, perché non vogliono che le ragazze giochino”.
Infine Justine Cassell, psicologa cognitiva al Media Lab del Mit, aggiunge che “i giovanissimi di entrambi i sessi iniziano a fare generalizzazioni di genere sessuale a tappeto dal momento in cui riescono a pronunciare la parola “pappa”, a tre anni i bambini danno già connotazioni sessuali ai giochi e agli oggetti di uso domestico come scope o martelli. Questi stereotipi di genere sono piuttosto stabili, e sappiamo che è possibile ottenere una simile stereotipizzazione per gli oggetti, le professioni, i tratti somatici… possono fare tutto questo per quando hanno 5 anni. Sappiamo che le ragazze che desiderano essere “ragazze-ragazze” si mantengono lontane dalle attività aggressive perché altrimenti tradirebbero il proprio genere.
Riguardo il tipo di gioco che potrebbe attirare le ragazze senza renderle traditrici dell’idea prepubescente della femminilità, c’è consenso (tra chi non fabbrica videogiochi) sul fatto che la narrativa sia un elemento chiave nel divertimento tra le ragazze.
Ci sono drammatiste e modelliste. Modelliste sono quelle persone che godono dei numeri in sé o del mettere assieme i pezzi di un rompicapo e i drammatisti sono persone che godono del raccontare storie. Anche i giocattoli tecnologici possono essere divisi in giocattoli a modello e drammatici. Alle ragazze piacciono i giocattoli drammatici, piace raccontare storie. Racconterebbero storie su tutto. Mi ricordo un compito di biologia, in quinta elementare, sull’idrogeno e l’ossigeno che si innamoravano e mettevano su casa assieme. Ed è un approccio alla scienza molto comune, tra le ragazze.”
A livello concettuale reputo che gli interventi citati siano sufficienti per un quadro dell’ancora difficile rapporto videogiochi-donne.
Mi permetto di aggiungere come questo aspetto, più degli altri, abbia un valore fondamentale per uno sviluppo più diversificato e nuovo del videogioco. La conquista dell’altra metà del cielo significherebbe in primo luogo la possibilità di raddoppiare l’utenza attuale ed è facile immaginarsi la nascita di una spirale positiva di influenza tra ragazzo-ragazza, marito-moglie, fratello-sorella: ovvero, come accade in altri campi sarebbe più facile trasportare l’entusiasmo all’altro della propria passione a patto che ci siano forme di videogioco maggiormente apprezzabili dall’attitudine femminile. Ed è possibile prevedere inoltre che tutto questo avvicini anche donne e ragazze al diventare progettiste e realizzatrici di videogiochi, la cui logica conseguenza sarebbe una ulteriore maggiore diversificazione delle opere. Immaginarsi quindi i videogiochi più rosa è il punto di primaria importanza per farli crescere in contenuti e forme.
7
SVILUPPO TECNOLOGICO SENSORIALE
Non c’è più spazio nel monitor.
Con questa frase ho voluto sintetizzare il pensiero di molti riguardo quello che potrà essere il futuro dei videogiochi: non c’è più spazio nel monitor significa che le potenzialità audiovisive sono oramai ai limiti di ciò che l’uomo può percepire. Effettivamente vanno sempre ad aumentare i numeri di colori disponibili su schermo o dei fotogrammi che possono essere proposti durante un solo secondo ma a volte ci scordiamo che la percezione umana ha delle limitazioni ben precise e che difficilmente potranno mutare (sempre che non arrivi l’ingegneria genetica ma questo è un altro discorso).
Ma il rapporto uomo-macchina è ancora limitato a soli due sensi26 e neppure pienamente sfruttati: l’affermazione appena fatta non è in contraddizione con la precedente poiché lo sviluppo massimo possibile da percepire è riferito alla periferica schermo e non alle potenzialità dell’occhio umano.
Sono già stati fatti in quest’ultimo decennio alcuni esperimenti di applicare la realtà virtuale27 anche al mondo dei videogiochi.
Si sono visti negli anni varie periferiche come “Techno-caschetti” e “Cyber-occhialini” che avrebbero permesso di rendere virtuale l’intero
26: Il tatto viene usato solo a scopo strumentale anche se ci sono i primi dispositivi, a dire il vero ancora poco sviluppati, che provocano il force-feedback ovvero delle forme di vibrazione dell’interfaccia gioco che dovrebbero simulare alcuni situazioni come potrebbe essere in un simulatore automobilistico prendere una buca o andare fuori strada. Anche se la sensazione può piacevolmente divertire siamo molto lontani anche ad una minima sensazione di reale o comunque di complessità. Potremo accostare più facilmente invece il force-feedback alle sensazioni tipiche del Luna Park.
27: Francesco Anticucci scrive: “La realtà virtuale consiste in un programma per permettere ad un utente qualsiasi di avere l'impressione di stare in un ambiente, quindi di poterlo osservare, spettro visivo umano, facendo quindi entrare l’utente in un vero mondo artificiale.
Ma dopo l’entusiasmo iniziale, questi percorsi sono andati esaurendosi sia per poco software in grado di sfruttare queste interfacce, sia per gli alti costi di questi accessori che anche nel corso di anni non sono scesi.
Ignoriamo le ragioni strutturali per cui a differenza di tutti gli altri campi della tecnologia dove nel giro di pochi mesi inizia una caduta senza fine dei prezzi fino al momento di un nuovo modello che ripartirà da cifre elevate per poi scendere alla stessa velocità, ciò non sia avvenuto.
A questo punto, per ogni senso umano, farò un piccolo sunto su ciò che già oggi abbiamo a disposizione e qualche mia idea (peraltro solo teorica, senza nessun ragionamento progettuale) su tutto quello che potrebbe fare maggiormente la gioia dei videogiocatori.
percorrere senza che questo ambiente esista. L'impressione deve essere il più reale possibile, deve essere il più vicina possibile alla realtà. Come si ottiene questo? Si ottiene modellando l'ambiente in un computer con i modi che conosciamo della computer grafica esattamente in tre dimensioni; successivamente interviene il programma di realtà virtuale. Il programma di realtà virtuale consiste nel permettere di prendere un punto di vista interno all'ambiente e di cambiarlo istantaneamente, di aggiornarlo istantaneamente. Con questo programma io posso fare sentire l'utente immerso nell'ambiente, perché se l'utente si muove, sposta lo sguardo, il computer gli rimanda istantaneamente la vista dell'ambiente corrispondente a questa sua nuova posizione. Perché si possa fare questo però bisogna che il computer, in qualche modo, sia in grado di generare la vista di questo ambiente in un tempo brevissimo, perché se io mi sposto, il punto di vista deve essere quello nuovo; il tempo tecnicamente richiesto è come quello del cinema: meno di un quindicesimo di secondo. Se dispongo di un computer grafico che è capace di ricostruire il modello in meno di un quindicesimo di secondo ho le condizioni per la realtà virtuale. La realtà virtuale è composta anche di mezzi per trasmettere l'idea di esservi dentro, mezzi che noi chiamiamo 'immersivi': il casco, un paio di occhialoni e così via. Tutti questi sistemi permettono di far sentire la scena più vicina al nostro sguardo, ma il cuore della realtà virtuale è la capacità di aggiornare il disegno grafico molto molto rapidamente”.
UDITO
La tecnologia più nuova in questo campo si chiama 5+1, ovvero la possibilità di avere un impianto formato da 6 casse, 4 “surround” (2 avanti e 2 dietro), una centrale ed una per le basse frequenze, che possono emettere suono diversificati: così ad esempio se un personaggio nel videogioco (o in un film) si sta avvicinando a noi da dietro, sentiremo i suoi passi solo dalle casse alle nostre spalle.
Il sistema 5+1 viene anche adottato dai film in DVD ed è uno standard comunque in evoluzione che già oggi soddisfa ampiamente esigenti cinefili e videogiocatori.
La mia idea sullo sviluppo della tecnologia surround 5+1 è molto semplice, ovvero aumentare il numero delle casse in grado di emettere suoni differenziati.
Mi immagino un 9+1 arricchito da due casse laterali, una sopra la testa e l’ultima proveniente dal pavimento (su cui comunque già oggi poggia il subwoofer) in grado di rendere l’esperienza sonora ancora più ampia rispetto ad oggi.
Il problema di questo ipotetico 9+1 potrebbe essere dato dalla necessità di uno spazio adeguato per tutte le casse ed i relativi accessori per poterli piazzare nel modo giusto ma reputo che sarebbero in molti a trovare una soluzione per un sistema che in teoria può raddoppiare qualità, dinamiche e timbri sonori. Io ancora non l’ho brevettato.
VISTA
Come esposto in precedenza, caschetti ed occhialini in grado di rendere totale l’immagine virtuale percepita dallo spettro visivo già esistono. Il problema è il costo proibitivo di queste periferiche ed il fatto che pochissimo software d’intrattenimento potrebbe funzionare, per ora, con tali apparecchi.
Ma il cambiamento della prospettiva di gioco sarebbe veramente epocale.
Oggi, anche di fronte al più bel monitor ad alta definizione o ad un maestoso televisore al plasma da 42 pollici, non siamo ancora videogiocatori, siamo videogiocatori-spettatori. Il fatto è che per quanto ci possiamo chiudere in una stanza buia cercando di non vedere nessun oggetto al di fuori del monitor e con tutta la fantasia a nostra disposizione per immedesimarci nell’esperienza virtuale, la percezione esclusivamente anteriore non potrà mai dare luogo ad una vera esperienza in cui siamo esclusivamente attori e non spettatori.
Si creano anche situazioni di interfaccia utente-macchina piuttosto particolari: pensiamo ad esempio nei tipici giochi in soggettiva dove in fin dei conti spostiamo i nostri occhi virtuali con il mouse cambiando prospettiva al nostro alter ego.
Ma per quanto si possano sforzare i programmatori, miracoli non se ne potranno fare. Solo nuovi collegamenti tra uomo e macchina potranno portare a nuove esperienze di gioco (tralasciando tutte le altre possibilità di applicazione) che oggi riusciamo solo ad immaginare con la nostra fantasia o con quella di alcuni autori di letteratura fantascientifica.
Bisogna solo augurarsi che un altro circolo “vizioso” (alto costo hardware – poca diffusione – poco software oppure l’esatto contrario) sia infranto da qualche soggetto sul mercato o da una joint-venture fra produttori delle varie parti che costituiscono l’asse di questa nuova prospettiva.
GUSTO-OLFATTO
Ho deciso di coniugare questi due sensi poiché forse, ai fini del nostro discorso, sono i meno importanti (in particolare il gusto) ma non per questo inutili.
Partiamo dal fatto che indubbiamente, dopo che già tutti gli altri sensi sono stati ben stimolati, ci sembrerebbe veramente un peccato non poter respirare l’aria del contesto in cui siamo nella nostra esperienza videoludica: in una foresta o in montagna, in praterie desolate o nel deserto.
A pensarci bene potremmo anche trovarci nelle fogne di una città o in una grande metropoli futuristica dall’aria irrespirabile ma non vi preoccupate: avremo la possibilità di scegliere quanto forte potrà essere la sensazione dell’odore.
Forse qualcuno penserà che ci stiamo riferendo ad un puro progetto teorico.
Non è così: nel giugno 2001 è stato portato a termine il primo esperimento di comunicazione olfattiva a distanza tra due macchine.
E’ successo all’Università di Tor Vergata a Roma, dove nel laboratorio del Cnr due “nasi elettronici” hanno condiviso i piacevoli odori della pizza napoletana.
Dei sensori ricostruiscono una sorta di immagine olfattiva per cui le informazioni captate dalla macchina emittente sono inviate e riconosciute da quella ricevente.
Variando di frequenza a seconda del segnale ricevuto, gli 8 sensori di cui è dotato il naso artificiale equivalgono ai recettori del bulbo olfattivo e sono in grado di creare una mappa degli odori analoga a quella naturale.
Si parla di applicazioni nel campo della medicina e della telemedicina, dove potrebbero apportare un contributo come strumenti non invasivi per la diagnosi di alcune malattie.
Altro campo d’interesse potrebbe potrà essere il settore dei controlli ambientali, laddove si necessiti valutare i livelli d’inquinamento olfattivo.
Sembra che il naso artificiale sia anche in grado di smascherare alla perfezione un olio di sansa che si spacci come olio d’oliva e un pesce conservato in frigo da uno fresco di pesca.
A questo punto immaginarsi una periferica in grado di emettere gli odori programmati per il “naso elettronico” tramite il mescolamento delle varie sostanze chimiche che fanno parte di ciò che si può respirare nel nostro mondo equivarrebbe molto similmente a ciò che oggi accade con le stampanti in cui a seconda delle tonalità delle immagini che abbiamo deciso di mettere su carta, vengono miscelati parti dei colori di base che creano le tantissime possibilità di cromature e toni.
Pensate solamente a che piacere respirare l’aria di montagna o quello del mare, così intriso di salsedine senza muovervi da casa: basta non esagerare perché anche in questo caso dovremo ricaricare con delle cartucce il nostro creatore di odori! Chissà se costeranno meno di quelle per la stampante…
TATTO
E’ sul senso tattile che scienza (e fantascienza) sembrano maggiormente attirate e non solo in campo ludico.
Partiamo dall’esistente: andando oltre il videogioco, uno dei maggiori campi di applicazione è stato quello medico.
Attraverso dei sensori alla mano che per semplificare sono definiti guanti virtuali, un chirurgo può operare un paziente anche dall’altre parte del mondo tramite un automa che riceve i comandi e li esegue.
L'operatore vede nello schermo le mani del suo “schiavo” muoversi sul paziente in perfetta sintonia con le sue. Da un amplificatore ascolta i rumori in sala operatoria e sulle sue dita sente l'attrito, l'intensità e la forza della manovra come se fosse lui a eseguirla. Oltre al vantaggio di lavorare su un'immagine ingrandita, il software che controlla i meccanismi del robot cancella le imperfezioni della manovra manuale: il margine di errore della «mano» dell'automa si riduce di un quarto rispetto a quella del più valente chirurgo in carne e ossa.
Contrariamente al robot utilizzato nella chirurgia a distanza, in cui l'uomo si limita semplicemente a dare il comando di avvio, questi robot-schiavi eseguono passo dopo passo le manovre del chirurgo. Si tratta della cosiddetta telemanipolazione.
Anche in campo ludico sono stati realizzati dei guanti virtuali. Nel 1989 la Mattel lanciò sul mercato americano un joystick con la forma di un guanto da indossare, il Power Glove. Questo guanto doveva essere utilizzato per i sistemi NES (Nintendo Entertainment System) della Nintendo. In pratica indossando il guanto i ragazzi potevano giocare con i videogiochi con dei semplici movimenti della mano. L'interesse per il Power Glove andò presto scemando poichè i videogiocatori si accorsero che non era molto comodo utilizzarlo come joystick e che la velocità di controllo era molto lenta rispetto ai sistemi tradizionali. La produzione fu bloccata e ben presto il guanto diventò solo un ricordo. Alcuni appassionati di informatica però, dopo aver analizzato le caratteristiche tecniche del guanto, si accorsero che esso poteva essere collegato molto facilmente ai comuni PC.
Con una semplice interfaccia (in pratica si trattava di un adattamento in tensione dei segnali) essi riuscirono ad interfacciare il PG (Power Glove) al computer e ad iniziare a scrivere dei programmi che utilizzassero tale dispositivo. Il primo vero programma capace di utilizzare a pieno le potenzialita' del guanto e' stato il Rend386, un software di pubblico dominio (ossia distribuito gratuitamente), scritto da Dave Stampe e Bernie Roehl nel 1992. Questo programma permetteva di utilizzare il guanto per manipolare oggetti virtuali presenti in un ambiente sintetico 3D (ossia in tre dimensioni) visualizzato sullo schermo del computer. L'interesse per la faccenda fu enorme e così si iniziò a parlare di Realtà Virtuale a basso costo. Con il Power Glove e' possibile ricostruire la posizione della mano nello spazio e la configurazione delle singole dita. In pratica se muoviamo il guanto nello spazio, il “PG” riesce a ricostruire il movimento tramite dei segnali elettrici. I segnali dei movimenti della mano vengono costruiti tramite delle onde ad ultrasuoni (le stesse utilizzate dai vecchi telecomandi per Tv): in pratica sul guanto sono posizionati due trasmettitori e sul sistema di tracking (un reticolo plastico fornito insieme al PG, da sistemare sul video del computer) sono posizionati i ricevitori che in base al tempo impiegato dal segnale per rimbalzare nel circuito riescono a ricostruire la distanza guanto - reticolo ricevitore. Per riconoscere la configurazione della mano (ossia per la gestualita' tipo mano aperta, pugno, ecc) il guanto e' dotato di trasduttori particolari che posizionati su ogni singolo dito riescono a misurarne la flessione. In realtà la precisione del guanto e' molto scarsa dal momento che le flessioni delle dita vengono interpretate in soli 4 modi diversi: dito aperto, dito chiuso e le due posizioni intermedie.
Non abbiamo notizie di altri guanti virtuali dopo quelli realizzati da Mattel e modificati per altri usi su PC ma si tratta solo di una questione di mercato portare la tecnologia utilizzata in campo medico nei videogiochi.
Ma il tatto non si ferma ai guanti. E’ stato in commercio qualche anno fa una sorta di giubbetto virtuale che emetteva delle vibrazioni tali da farci sembrare di ricevere veramente colpi o proiettili (chiaramente potendo settare l’intensità delle vibrazioni).
Molto più ambizioso, è stato il progetto di creare una “tuta” virtuale ideata da Helena Velena, personaggio della cultura underground internazionale, a scopo di “cyber sex” su cui si è detto molto ma di cui bene nessuno sa.
Altre sperimentazioni in vari campi di tute virtuali sono state fatte in molte parti del mondo ma ad oggi non abbiamo notizie di modelli già in commercio.
Con la tuta virtuale in grado di produrre impulsi recepiti dal corpo come stimoli simili a quelli che provano i nostri organi recettivi nella vita di tutti i giorni, saremo quindi in grado di giungere ad immergerci in una realtà virtuale che avrebbe tutte le caratteristiche di quella reale.
In alcuni film di fantascienza si va oltre: si pensa alla possibilità di emettere impulsi in grado di simulare l’atto del camminare o del correre a chi non lo può fare normalmente.
In quest’ultimo caso, lo ripeto, stiamo parlando di fantascienza, per ora.
Quello che comunque era il motivo per cui ho inserito una parte dedicata alla sviluppo tecnologico sensoriale è dato dal fatto che la diffusione di massa di periferiche in grado di simulare le stimolazioni che viviamo nella realtà, darebbero al “videogioco” (virgolettato perché con tuta, guanti, caschetto ed altro non so bene perché lo dovremmo chiamare ancora solo video) una capacità suggestiva ed emozionale fino ad oggi impensabile su cui forse si pongono anche dei problemi fisico-mentali nella ricezioni di stimoli così potenti. Ma qui dovrebbe intervenire la scienza medica.
Quello che mi sento di ribadire è il fatto che all’entertainment del futuro non basterà più uno schermo sonoro: lo sviluppo tecnologico riuscirà letteralmente ad immergerci in realtà che più che definire virtuali, sarebbe giusto chiamare alternative.
A questo punto si aprirebbero anche “autostrade di discussioni” sugli effetti sociali di tale evoluzione ma aprire un discorso del genere vorrebbe dire iniziare a scrivere un’altra tesi.
8
ON LINE
Del gioco on line abbiamo, se pur superficialmente, parlato nella prima parte di questo elaborato.
Il campo del nostro ottavo punto è quello invece di tutte le altre applicazioni di Internet. Ci chiediamo anche in questo caso perché, ad esempio, l’interfaccia uomo-macchina che si usa in un videogioco (ad esempio con una grafica 3D) non si possa riportare anche in ambiti diversi come potrebbe essere esplorare un sito commerciale o di informazione.
C’è una richiesta sempre crescente di facilità d’uso ma anche di “glamour” per i siti ed infatti le prime comunità virtuali 3D con dei modelli poligonali impersonificanti gli utenti, che si possono scambiare quattro chiacchiere (chat) di fronte alla vetrina di un negozio (commercio elettronico) e tutte le altre operazioni di sempre, già esistono ma siamo ancora allo stato embrionale.
Il problema è in questo caso di natura tecnica: la diffusione di linee ad alta velocità è ancora piuttosto limitata anche e soprattutto per dei prezzi ancora non alla portata di tutti.
Ma quando sarà arrivato il momento della diffusione di massa dei sistemi con nuove connessioni, proponiamo ai progettisti multimediali di prendere a piene mani dalla “libreria” di interfacce dei videogiochi. Se pensiamo che Steve Jobs, vero inventore del primo sistema operativo a finestre (quando invece sono i molti a credere che sia stato Bill Gates con Windows ad essere stato portatore di una grande innovazione) sulle macchine Apple, proveniva da Atari (nell’epoca del suo massimo splendore), si tratterebbe di compiere un’operazione di traduzione iconografico-estetica che reputo s piuttosto simile. Legato poi al discorso dello sviluppo tecnologico sensoriale, si potrebbero aprire ulteriori nuovi frontiere di intrattenimento e non solo.
9
ORRORE vs TERRORE
SPETTACOLARITA’ AD OGNI COSTO
Nell’ipotetica sfida fra orrore e terrore non c’è alcun dubbio su chi ne uscirebbe vincitore: il mostrare “tutto… e di più” a qualsiasi costo tipico dell’horror nei videogiochi (come nel cinema), fino all’uscita di un titolo chiamato Silent Hill (e di cui parleremo in seguito), deteneva il monopolio della paura sui monitor.
Emozioni forti, sbudellamenti e squartamenti sono piuttosto frequenti su PC e console.
Quasi assente invece (tranne il già citato Silent Hill) il giocare con più finezza sulle nostre angosce più profonde, cercare di far paura non mostrando, di creare attese e poi non soddisfarle, tutte percezioni indirizzate prevalentemente al nostro cervello e non allo stomaco.
Ma la questione nel videogioco è molto più ampia rispetto a forme ed estetiche e il confronto orrore-terrore può essere preso a modello di riferimento per tutta la produzione di software soprattutto riguardo i titoli dalle peculiarità maggiormente cinematografiche.
Nel videogaming, la ridondanza sensoriale e la spettacolarità non hanno alternative: colori sgargianti, montaggi rapidissimi, mostrare tutto fino alla nausea per stimolarci il più possibile.
Facendo un nostro classico parallelo con il cinema il videogioco oggi è quasi esclusivamente azione, movimento, forte presa emozionale e non c’è spazio per la riflessione, per un approccio più mentale ed assolutamente non c’è tempo per le pause.
Chi sta scrivendo queste parole non disdegna affatto quello che ha appena descritto, tutt’altro: ho salutato con entusiasmo l’influenza “spazio-temporale” ed estetica del videogioco in molti film (Matrix, The Snatch, Fight Club e Lola Corre sono solo quattro dei tanti esempi possibili) come nel videogaming proprio alcuni dei titoli maggiormente “ultra adrenalinici” sono i miei preferiti.
Ma vorrei poter scegliere, ogni tanto, di concedermi un’esperienza videoludica dai ritmi meno frenetici, dal montaggio non ridondante, che mi conceda anche un pò di spazio per la riflessione e la contemplazione.
Immaginiamoci oggi di voler mostrare su di un videogioco che una spia militare si debba infiltrare in territorio nemico senza essere riconosciuto ma alla frontiera per un piccolo particolare un soldato nemico lo riconosce e dà l’allarme.
Potete stare certi: le inquadrature saranno le più veloci possibili, primi piani senza ritegno, mostra del particolare da mille inquadrature diverse.
Ed invece mi chiedo perchè non mostrare solo una inquadratura velocissima degli occhi del soldato nemico, lasciarci il dubbio (e la conseguente suspense) se abbia capito o meno la nostra vera identità fino a quando non arriveremo ad un posto di blocco.
L’eccesso di spettacolarità giunge spesso poi a dei limiti che rendono a volte ridicole le proprie esperienze videoludiche, anzi, l’eccedere porta ad “uccidere” la spettacolarità stessa perché se tutto è così esteticamente “forte”, non ci potranno essere alti e bassi, dei climax di tensione che ad esempio nel cinema rendono possibile le emozioni più forti.
Tra le cose che mi irritano di più quando sono davanti al monitor, è vedere in qualsiasi simulazione calcistica sempre lo stadio pieno e con i tifosi super esaltati in qualsiasi partita che disputo contro l’intelligenza artificiale del mio PC: come se la finale di Champions’ League, conquistata dopo immensi sacrifici, avesse la stessa importanza di un’amichevole fra il Brescello ed il Baracca Lugo (con tutto il rispetto per le suddette squadre).
E’ indubbio che, come già scritto per i protagonisti ed i contenuti, le forme scelte siano diretta conseguenza del target di riferimento a cui sono indirizzati i videogiochi ma anche in questo caso ci troviamo all’ennesimo serpente che si morde la coda tra produttore e consumatore perché se gli amanti del cinema di autore non trovano un corrispettivo nei videogiochi, probabilmente non useranno mai il proprio computer a scopo ludico e visto che gli amanti di un certo tipo di “atmosfere” non diventeranno nuovi videogiocatori, i produttori non cercheranno di proporre dei titoli inusuali per il mercato di oggi.
Parola d’ordine? Sperimentare, anche perché il mondo dell’intrattenimento elettronico ha raggiunto quella maturità economica tale per cui è solo una questione di tempo per la trasformazione da mercato di massa indifferenziato ad uno composto da varie nicchie più o meno numerose.
I Nanni Moretti, i Lars Von Trier, i Michelangelo Antonioni del videogaming si facciano avanti e chi vuole avvantaggiarsi ed iniziare per primo, li “catturi” come può.
10
MONEY
Non vorrei essere considerato un’idealista che combatte i mulini a vento senza avere una minima percezione di cosa significhi un apparato industriale come quello dei videogiochi che, come gli altri, ha nel profitto il suo obbiettivo “molto” primario.
Ed allora non mi sono voluto nascondere dietro a frasi difficili da comprendere: il decimo ed ultimo punto del nostro “progetto” per cambiare i videogiochi si chiama money: denaro, pecunia, euro, yen, dracme, dollari, pesetas, marchi, sterline, sesterzi o come voi preferite e volete.
Nello spiegare il perché di questo lavoro, sono partito dal superamento in termini di fatturato dell’industria videoludica, a livello mondiale, su quella cinematografica e musicale.
Un bel risultato, indubbiamente, ma è lecito ipotizzare che si potrebbero realizzare risultati ancora più soddisfacenti in termini di crescita dell’intero settore.
Oltre all’allargamento dell’utenza di cui ho già discusso molto in precedenza, la mia attenzione si rivolge al possibile connubio pubblicità – videogiochi.
Sono veramente pochi i casi di videogiochi completamente sponsorizzati e nati a scopo promozionale e neppure troppo recenti: in questo momento, ricordo solo “McDonald’s Global Gladiator” e “Pepsi Challenge” ma non credo che ne esistano molti di più.
Pepsi è tornata proprio di recente nel settore firmando in questi giorni un contratto che legherà il suo nome ai prossimi giochi della britannica Empire sugli sport estremi.
Più frequenti altri tipi di advertising come la sponsorizzazione dei tabelloni negli stadi virtuali della serie Fifa Soccer e con diversi marche a seconda della nazione in cui si gioca oppure delle tavole per lo snowboard in vari titoli dedicati a questo sport.
Ma dalle dichiarazioni che abbiamo ricevuto dagli addetti ai lavori, abbiamo scoperto come l’idea di vendere spazi pubblicitari all’interno di videogiochi sia ancora allo stato embrionale.
Non si discute ancora ad esempio di parametri come il costo/contatto ma si rimane in una prospettiva di collaborazione, il più delle volte pensando a delle soluzioni tipo scambio merce o di ritorno d’immagine.
Anche in questo credo che si sottovaluti molto il medium videogioco.
Per prima cosa bisogna tenere in considerazione che se un prodotto ha dalla sua una certa qualità, il giocatore ci si stazionerà davanti per decine di ore. La “targetizzazione” poi del pubblico/giocatore in questo caso è ancora più semplice: già tutta l’utenza del videogaming è molto omogenea ma, da genere a genere, è ancora più semplice immaginarsi e sapere le caratteristiche del consumatore e quindi determinare chi può avere maggiori vantaggi nel promuoversi al loro interno.
E, fattore non secondario, a differenza della pubblicità ad esempio in TV che indubbiamente “interrompe un’emozione”, vedere che le gomme della nostra auto da corsa sono marcate Bridgestone o Michelin non provoca nessun fastidio nell’utente, anzi, forse lo potrebbe maggiormente entusiasmare in termini di realismo della simulazione.
Non mi sento di essere lontano dal vero quando scrivo che anche in questo caso, si tratta di diffidenza verso il nuovo, soprattutto nei confronti di un medium che non viene preso troppo sul serio neppure dai pubblicitari.
Certo, il videogioco non ha ancora dalla sua una massa di consumatori di cui ancora può godere oggi la televisione generalista almeno in Italia ma per alcuni prodotti, in particolare quelli giovanili, ci potrebbero essere delle possibilità che vanno anche al di là della semplice promozione.
Vi rimando alla lettura di alcuni degli interventi esterni presenti in appendice, in particolare all’idea esposta da Lorenzo Ferrari Ardicini di Halifax che ci presenta una forma di commercio elettronica piuttosto suggestiva e divertente.
Il discorso non è comunque a senso unico.
Non è detto che sia sempre il videogioco a dover cercare partner come ad esempio è accaduto nel caso di Findus e Blu.
Il colosso dell’alimentazione surgelata ha infatti pensato di regalare, tramite un concorso, un videogioco dedicato al loro personaggio rappresentativo, Capitan Findus, che si troverà invischiato in situazioni simili a quelle degli spot TV mentre Blu ha realizzato una sorta di avventura, distribuita gratuitamente, in cui ci troveremo di frequente in negozi tappezzati dal loro logo ed altri riferimenti espliciti al proprio marchio e nome.
In questo caso è un’altra azienda commissiona per sé un prodotto videoludico da usare come merchandising.
La strada aperta da Findus e Blu potrebbe essere nuovamente ripercorsa da altri soggetti. Il prodotto su commissione sarebbe poi maggiormente alla portata di software house anche a dimensione ridotta che in questi anni stentano a rimanere sul mercato nell’ottica degli ingenti investimenti per produrre anche un solo titolo.
Le strade del business sono veramente infinite in questo settore: pensiamo infatti anche al fenomeno Pokemon: dal videogioco è nato un cartone animato, film, innumerevoli e soprattutto tanto di quel merchandising da far impallidire qualsiasi altra serie animata.
Ci sono sicuramente altri soggetti nei videogiochi, forse non alla stregua dei Pokemon ma che comunque potrebbero avere un buon successo in altri campi di vendita.
DOGMA 2001:
IL FUTURO DEI VIDEOGIOCHI?
Non sono sicuramente l’unico soggetto che in questi anni si è occupato del futuro dei videogiochi. Nei Forum in Internet, nelle riviste specializzate con l’intervento di lettori e giornalisti, il tema del “videogioco che verrà” è uno dei più discussi fra gamers e “addetti ai lavori” di ogni parte del mondo.Tra i vari contributi, ha destato grande interesse (persino un articolo sul prestigioso New Jork Times), “Dogma 2001” di Ernest W. Adams, game designer per importanti software house da circa dieci anni ed opinionista per un sito Internet molto considerato nel settore chiamato Gamasustra. Parafrasando il manifesto in campo cinematografico dei danesi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg “Dogma 95”1 sottoscritto da vari registi
1: Il Progetto Dogma ’95 partiva da un assunto: il cinema è giunto a dipendere eccessivamente da effetti speciali e concessioni alla spettacolarità e per questo si invitava i registi ad aderire a quello che veniva definito un voto di castità artistico: “Io giuro di sottomettermi al seguente corpo di regole delineate e confermate da DOGMA 95:
- Le riprese devono essere fatte dal vero.
- Non devono essere utilizzati scenografie e set. (…)
- Il suono non deve mai essere prodotto separatamente dalle immagini e viceversa.
- La cinepresa deve essere a spalla. (…)
- Il film deve essere a colori. Non sono concesse illuminazione speciali. (…)
- Il lavoro sulle ottiche e sui filtri è proibito.
- Il film non deve contenere azioni superficiali (omicidi, armi ecc. non devono comparire).
- È proibita l'alienazione temporale o geografica (cioè il film deve avere luogo qui e ora).
- I film di genere non sono accettabili. (…)
- Il regista non deve essere accreditato. (…)
europei ed americani nella seconda metà degli anni Novanta, Adams propone “Dogma 2001: A Challenge to Game Designers”.Adams reputa la situazione dei videogames simile a quella prospettata da Von Trier nel cinema: "Anche noi abbiamo un arsenale di tecniche di produzione, e queste diventano ogni giorno più spettacolari. Ma quanti giochi possono davvero sostenere di essere innovativi? Magari sfruttano degli algoritmi innovativi, ma per quanto riguarda la filosofia di gioco non si può quasi mai dire altrettanto. Quanti shooter in soggettiva, quanti giochi di guerra, quanti videogiochi 'corri & salta' ci servono? Dipendiamo a tal punto dall'hardware che stiamo iniziando a ignorare il vero elemento fondante del nostro lavoro: la creatività, soprattutto nell'inventare non semplicemente nuovi giochi, ma nuovi tipi di gioco (…) "Il primo obiettivo di Dogma 2001 è di ridurre l'enfasi sulla tecnologia cosicché i game designer tendano a concentrarsi sul gioco in sé: filosofia di gioco, regole, interfaccia, ambiente di gioco, ruolo del giocatore. È evidente che, per definizione, i videogiochi utilizzano la tecnologia, ma questo non significa che debbano esservi progettati attorno. Il secondo obiettivo è semplicemente quello di disincentivare i giochi derivati. L'industria videoludica è diventata incredibilmente e orribilmente derivativa. Ci sono troppi giochi che si giocano allo stesso modo, e troppi ambientati nello stesso tipo di ambiente. Dogma 2001 proibisce esplicitamente certi tipi di gioco e certi tipi di ambiente."
Ecco quindi il giuramento che Adams propone ai suoi colleghi game- designers: ”In qualità di game designer prometto per il bene dei miei giochi, del mio lavoro e della mia anima creativa di aderire alle seguenti regole di Dogma 2001:
(Continua dalla pagina precedente) Giuro di fare ciò con tutti i mezzi disponibili e a discapito di ogni considerazione di buongusto o di carattere estetico. Pronuncio a questo modo il mio VOTO DI CASTITÀ.” Dogma, pur con tutti i suoi limiti, ha raccolto molti consensi ed anche proseliti.
- La documentazione del gioco non conterrà alcun riferimento ad alcun oggetto installato all'interno del computer dell'utente finale.
- L'utilizzo di qualsiasi tipo di accelerazione 3D via hardware è proibito.
- Sono consentite solo le seguenti periferiche di gioco: su una console il controller standard, su un PC un joystick a 2 tasti, una D-pad a 2 tasti, una tastiera standard o un mouse a 2 tasti.
- Il gioco non prevederà la presenza di cavalieri, elfi, nani, draghi, maghi, bardi, baristi, golem, giganti, chierici, necromanti, ladri, dei, angeli, demoni, streghe, non-morti, nazisti, russi, spie, mercenari, marine spaziali, piloti spaziali, robot umanoidi, geni del male, scienziati pazzi e alieni carnivori. E soprattutto niente vampiri.
- I seguenti tipi di giochi sono proibiti: shooter in soggettiva, platform, qualsiasi gioco d'azione con “attacchi speciali”. E inoltre: simulazioni di veicoli militari contemporanei, simulazioni di sport abitualmente trasmessi in televisione, giochi di strategia in tempo reale basati sulla guerra e sulla produzione di armi, adventure a puzzle, giochi di ruolo di carattere numerico, qualsiasi gioco di carte preesistente.
- Sono proibite tutte le scene cinematiche, gli intermezzi e i filmati non interattivi.
- La violenza è rigorosamente limitata alla scomparsa o all'immobilizzazione delle unità distrutte. Le unità danneggiate o distrutte verranno indicate in modo simbolico e non rappresentativo. Niente animazioni con sangue, esplosioni, ferite o morti.
- Può essere prevista una vittoria e una sconfitta e uno scontro tra fazioni, ma non ci possono essere il Bene e il Male.
- Nel caso di un gioco rappresentativo (non astratto) non vi possono essere illogicità concettuali (come kit medici nascosti dentro barili di petrolio).
- Nel caso di un gioco rappresentativo (non astratto) il colore nero non può essere utilizzato per rappresentare oggetti diversi dall'inchiostro. In particolare è proibito per indicare creature non umane pericolose. Può essere utilizzato per rappresentare stanze in cui le luci sono spente.
Riconosco infine che una filosofia di gioco innovativa non è solo un attributo desiderabile ma un imperativo morale. Ogni altra considerazione è secondaria.”
La prospettiva di Adams ha un fine ed una prospettiva molto diversi rispetto ai 10 punti (non dogmatici…) che ho esposto in precedenza, interessandosi quasi esclusivamente del modo di gioco e non degli altri aspetti proposti dal sottoscritto. Aggiungo anche che mi trovo in forte disaccordo su alcuni punti come la “proibizione” di scene cinematiche e filmati non interattivi ma il motivo per cui ho voluto dedicare una sezione del mio lavoro a Dogma 2001 è che diviene un altro importante supporto all’affermazione di come il videogioco sia un medium da prendere in considerazione seriamente e il dibattito sul tema in atto da alcuni anni non ha niente da invidiare, in termini di contenuti, a quello che avviene contemporaneamente per gli altri mezzi di comunicazione. Mi auguro che sia solo una questione di tempo (e non una pregiudiziale eterna) l’entrata del videogaming negli argomenti dei “salotti buoni” della cultura.
NEXT GENERATION
Le Avanguardie dei Nuovi Giochi
I titoli presenti in questo capitolo, hanno in sé alcuni degli elementi di cui ho parlato in precedenza e verso cui mi auguro parte delle prossime produzioni si avvicineranno sempre più.
Per la velocità con cui escono nuovi prodotti, forse quando leggerete queste righe, sarebbe stato già opportuno inserire altri programmi comunque Max Payne & Company hanno già ben connaturato il “germe” del nuovo anche se da prospettive diverse.
MAX PAYNE
Atteso per oltre 5 anni, sviluppato dalla software house finlandese Remedy, Max Payne non ha deluso le attese e si può considerare come uno dei titoli più apprezzati da critica e pubblico nel 2001.
Max Payne narra le vicende di un poliziotto newjorkese con incarichi non troppo rischiosi, una paga accettabile, villetta a due piani con giardino nella periferia della città, una moglie fedele ed una bambina nata da pochi mesi. Come dice lo stesso Payne, il sogno americano medio impersonificato, ma il suo non era destinato a durare. Infatti, in un giorno come un altro al ritorno dal lavoro, troverà tre criminali sotto l’effetto di una strana sostanza stupefacente che hanno appena trucidato la sua famiglia inneggiando a sconosciuti esseri demoniaci.
Scosso dalla drammatica vicenda, decide di entrare nel dipartimento antidroga ed iniziare ad infiltrarsi con una finta identità tra le cosche mafiose della city.
Dopo innumerevoli colpi di scena, le indagini involontariamente ci porteranno fino al mandante degli omicidi della famiglia di Payne.
Nessun “Happy End”, visto che Max sarà anche arrestato dopo che la sua copertura sarà stata bruciata da un poliziotto corrotto e si ritroverà solo contro mafie e forze dell’ordine, ma la sete di vendetta del protagonista sarà placata, in tipico stile noir-pulp.
Cos’ha di innovativo allora Max Payne?
In primo luogo Max Payne stesso, l’introspezione del personaggio raggiunge dei livelli più che discreti comunque mai toccati in precedenza da un videogame. Il poliziotto non si perde in banalità e dialoghi scontati ma attraverso la tecnica del fumetto tra un livello e l’altro (ma anche durante il gioco stesso), gli sceneggiatori ci fanno conoscere i suoi pensieri più intimi, le sue paure, il sarcasmo di fronte a situazioni difficili per non perdersi d’animo. E potremo entrare nei suoi sogni, nei rimorsi e nei sensi di colpa che si porta ancora con sé riguardo la morte delle due persone a cui teneva più al mondo. Dovremo anche impersonificarci in Payne quando gli sarà stata somministrata una quantità di droga enorme che lo porterà a deliri, visioni, miraggi e scarsa lucidità nell’affrontare situazioni piuttosto complesse.
In lotta tra la sua totale disillusione di fronte ai fatti della vita e il desiderio di trovare un colpevole per il suo immenso dolore, sarà difficile non entrare in empatia con Max Payne, volerlo aiutare di fronte agli scagnozzi delle cosche o ai boss travestiti da onesti uomini d’affari di Wall Street.
Altro elemento di caratterizzazione innovativa di questo prodotto è il background in cui avvengono le vicende. Ci muoveremo in una New Jork oscura, nei suoi bassifondi (anche nelle fogne), nel porto commerciale, in mega discoteche trend, lavanderie a gettone, ma sicuramente il luogo che più mi ha sorpreso per la sua “durezza estetica” è stato un motel ad ore in cui troveremo di tutto: prostitute con clienti, camere squallidissime con appesi ritagli sexy e soprattutto tossicodipendenti in preda a deliri e crisi d’astinenza, incapaci di alzarsi dalle proprie ginocchia e rispondere alle nostre domande.
Un “pugno allo stomaco” (non a caso Max Payne può essere venduto solo ai maggiori di 15 anni) che però produce nel giocatore emozioni forti e piuttosto diverse rispetto a quelle presentate da altri giochi: anche i titoli più violenti ed efferati si basano o sulla gratuità della violenza completamente estrapolata da qualsiasi contesto sociale minimamente realistico o su creature fantastiche come zombie, draghi, orchi etc.
Ed invece i ragazzi nel motel di Max Payne sono così simili a quelli che anche voi qualche volta nella vostra vita avrete sicuramente incontrato…
L’ultimo elemento da prendere in considerazione del prodotto finlandese è l’interazione che avremo con gli altri personaggi del gioco: ad esempio, mentre stiamo con le gambe quasi completamente immersi nei liquami delle fogne da lontano sentiremo squillare un telefonino ed ascolteremo tutta una conversazione fra un sicario ed un boss mafioso oppure dal basso di una scala sentiremo altri due criminali litigare duramente. Se avremo la pazienza di farli finire, i due si auto elimineranno a vicenda e noi avremo avversari in meno da incontrare che dovremo invece affrontare se decideremo di salire subito. Infine nello squallore in cui è costretto a muoversi Payne, ci troveremo anche di fronte ad un esponente importante della mafia intento ad ottenere una prestazione a pagamento da una prostituta. Il fatto che abbia ancora i pantaloni abbassati lo renderà un bersaglio più facile da colpire. Gli esempi appena esposti dimostrano come ci sentiremo di agire in un mondo che si muove in contemporanea a noi, i cui protagonisti interagiscono anche fra loro (in alcune scene vedremo anche i nemici organizzarsi per prenderci o cadere in crisi isteriche perché Max Payne sembra invincibile). Insomma un mondo più reale, o almeno più dinamico rispetto al solito. Aggiungete a tutto quello fin’ora elencato che il titolo distribuito dalla 3d Realms ha un “main theme” sonoro da brividi, un doppiaggio degno di un film, un’incredibile accuratezza nei dettagli (sui muri della metropolitana troverete murales, cartelloni pubblicitari, volantini attaccati oppure i segnali di lavori in corso perfettamente riprodotti) e colpi di scena a non finire.
E’ così facilmente spiegabile il consenso unanime di critica e pubblico nel decretare il grande successo per l’ex detective Payne.
CATCH THE SPERM – STOP AIDS
Il gioco, dal nome piuttosto bizzarro, fa parte dell’ottima campagna informativa realizzata dal Ministero della Sanità Svizzera in collaborazione con l’Unicef, per la prevenzione al virus dell’HIV. Al sito www.stopaids.ch, oltre ad una spiegazione semplice ma chiara del fenomeno AIDS, i numeri utili ai quali potersi rivolgere, filmati, alcune risposte alle domande più frequenti all’argomento (il tipico “Frequently Asked Questions”), potremo scaricarci anche questo simpatico giochino da poco più di 3 mega.
Non dovremo far altro, nei 5 minuti a disposizione, che “sparare” dei preservativi per “catturare” delle simpatiche caricature di spermatozoi ma soprattutto il virus dell’HIV: anche farsene sfuggire uno solo comporterà la fine anticipata della nostra partita.
Ogni settimana il ministero ha messo in palio simpatici gadget fra coloro che realizzeranno i punteggi più alti.
Non sarà certo “Catch The Sperm” a debellare l’atroce problema dell’AIDS, ma siamo convinti che soprattutto nelle fasce di età più giovani in cui è più difficile toccare l’argomento, un approccio ironico, interattivo e senza allarmismi può essere il migliore per diffondere pratiche contro la diffusione del virus. Abbiamo anche osservato che a distanza di tre mesi dal lancio del sito, ci sono ancora migliaia di giocatori che mandano al sito i loro punteggi durante la settimana per vincere i premi messi in palio, segno di un interesse immutato anche dopo un certo periodo di tempo.
MAJESTIC
Disponibile al momento solo negli USA e in Canada, considero Majestic uno dei più importanti esperimenti nel campo dell’entertainment elettronico. Realizzato da Electronic Arts, il gioco è vietato ai minorenni e per poter partecipare è necessario iscriversi tramite un apposito sito web, al costo di 9,9 dollari per un mese di gioco.
Cosa ha di nuovo Majestic, rispetto ai “classici” videogames?
Che in fase di iscrizione, oltre all'eventuale numero di carta di credito, vengono chiesti altri dati come recapito telefonico e numero di cellulare.
Perchè? Majestic è un videogioco che entra nel reale: una volta fornite le generalità, chi decide di vivere l'esperienza dovrà cercare di venire a capo di un complicatissimo complotto internazionale, interagendo direttamente con i protagonisti della storia. I novelli 007 però, non dovranno soltanto sfidare gli altri giocatori sparsi nella Rete, ma si troveranno durante la loro giornata a ricevere telefonate, e-mail, fax e tranelli.
Così potrà capitare ai videogiocatori di ricevere una telefonata nel mezzo della notte, un sms, una e-mail inviata da uno dei personaggi del gioco, o un messaggio sull'istant messenger di America On Line, partner di EA nella creazione del gioco.
Insomma un coinvolgimento senza precedenti, nulla di paragonabile a qualsiasi videogioco fino ad oggi messo in commercio.
Naturalmente , assicura EA, sarà possibile impostare nelle opzioni di gioco il livello di penetrazione nel reale, così che si possano evitare, ad esempio, telefonate notturne.
C’è chi si pone alcune domande di vario carattere: Stella Peyronel nel sito Zeus news si chiede: “Nel corso del gioco (ma anche, inevitabilmente, al di fuori) ci si imbatte in una serie di siti web “falsi”, creati apposta, insieme a false compagnie, per diffondere disinformazione. E che succede di tutte le informazioni reali che vengono date coscientemente al momento dell’iscrizione? Ma, soprattutto, che succede di tutti i dati che riguardano il comportamento dei giocatori, le loro abitudini comunicative o meno?
Quello che si crea, attraverso Majestic, è un vastissimo database di tipo echeloniano? E’ un database che si può utilizzare per svariati fini, non tutti limpidi. Restando su un livello più personale e più umano, possiamo affermare che Majestic confonde realtà e finzione: siamo sicuri che tutti i giocatori, solo per il fatto di avere più di 18 anni, siano in grado di gestire questa confusione? E, visto che potremmo non essere solo noi a ricevere le telefonate o a leggere i fax, siamo sicuri che non vengano coinvolti anche non-giocatori (famigliari, amici o colleghi che siano)? Sapranno capire che si tratta di un “gioco” e non di realtà? E poi c’è ancora un interrogativo, di tipo morale-commerciale: è giusto pagare per un prodotto che poi non si possiede? Il software del gioco, infatti, è in affitto, non si compra, e la sua funzione si esaurisce al termine di ogni episodio”.
Gli interrogativi della Peyronel sono più che pertinenti, a cui bisogna aggiungere che in seguito ai terribili attentati che hanno colpito gli Stati Uniti, l’Electronic Arts ha deciso di sospendere Majestic: vista la recente tragedia, alcuni degli elementi, per quanto fittizi ( ad esempio ricevere fax e telefonate la cui natura può andare fino alle minacce) del gioco non erano appropriati al momento ed ancora non è stata annunciata la data prevista per il ripristino del gioco.
Ma a fronte di dubbi ed interrogativi legittimi, ci troviamo di fronte ad una nuova frontiera dell’intrattenimento.
L’idea non è completamente innovativa, infatti nel film “The Game”1 di David Fincher si ipotizzava un gioco organizzato indistinguibile dai fatti del reale e che avrebbe alla fine coinvolto completamente il protagonista, il tutto con degli scopi positivi per risolvere alcuni suoi problemi psicologici.
Majestic non arriva a tanto ma l’entrare in maniera così decisa nella vita del giocatore apre delle strade completamente nuove all’intrattenimento da non sottovalutare.
Il prodotto della software house parte, secondo la mia opinione, da un cambiamento epocale (che in parte Alberto Abruzzese aveva profetizzato nell’introduzione al libro di Ciro Ascione “Videogames – Elogio del Tempo Sprecato”) nell’organizzazione del lavoro per una percentuale sempre più alta di persone nel mondo occidentale e che si ripercuoterà sempre più nel campo dell’entertainment elettronico.
I nuovi mezzi tecnici, le nuove forme di produzione e tutto quello che si può considerare conseguenza della società post-industriale stanno radicalmente cambiando le divisioni di una volta fra tempo libero e lavorativo. Non solo un PC può lavorare in multitasking2, ma anche chi per varie ragioni ci si troverà davanti durante il giorno per un numero svariato
di ore superiore alle canoniche 83.
Ma oltre al lavoro, l’utente vorrà utilizzare lo stesso mezzo (ottimizzando
1: Film piuttosto sottovalutato, The “Game” esce nelle sale nel 1997. Racconta la storia di Nicholas Van Orton (Michael Douglas), un uomo di affari di successo abituato, nel suo ambiente, ad esercitare un grande potere ma allo stesso tempo estremamente solo ed annoiato. La sua vita è ordinata secondo schemi ben precisi dei quali ha il completo controllo. Il giorno del suo compleanno il fratello Conrad (Sean Penn) gli organizza una sorpresa: partecipare ad un gioco. Malgrado la sua iniziale riluttanza, Nicholas decide di accettare, nonostante non ne conosca né le regole, né gli obiettivi. Entrato ormai del gioco l'uomo vedrà la sua vita radicalmente trasformata e assurdamente imprigionata in un meccanismo dove i rischi sono altissimi e addirittura fatali e dove non riuscirà più a capire dove si fermi il gioco ed inizi la realtà. Solo nell’ultima scena del film, sarà finalmente tutto chiaro.
2: Ovvero la possibilità di far girare più programmi contemporaneamente.
quindi il suo tempo) per poter rilassare ogni tanto il cervello magari navigando in Internet nei siti di intrattenimento, oppure chattando con qualche conoscente o facendo qualsiasi altra azione facilmente realizzabile da un Personal Computer in ogni parte del mondo.
Majestic è il primo dei titoli che ha percepito questo cambiamento nei processi di organizzazione del lavoro e “regala” ai suoi fruitori la possibilità più semplice, con meno risorse di energie e tempo, per distrarsi4 momentaneamente dalla vita reale, o come potremmo dire in gergo, per sentirsi “vivi”. Mi immagino un martedì mattina piovoso a Boston in cui il tipico impiegato di una grande impresa è come suo solito in ritardo nelle consegne dei rapporti che doveva compilare, non ha neppure il tempo di uscire per andare a pranzo e probabilmente dovrà avvisare sua moglie che farà tardi anche a cena, cosa che la fa piuttosto innervosire. All’improvviso arriva un fax da Majestic che lo avvisa di nuove notizie disponibili nel sito riservato a cui solo lui ha accesso riguardo il complotto che deve sventare.
Pochi attimi e si collega al sito, legge le informazioni, chiude la finestra di Internet Explorer e torna a scrivere i suoi rapporti, mi immagino con un po’ meno angoscia anche se ancora non ha chiamato la moglie.
Mi auguro che Majestic arrivi presto anche in Italia perché la sua invadenza durante le 5 ore ininterrotte passate oggi di fronte a Word 2000, avrebbero sicuramente allietato e ravvivato questa domenica pomeriggio.
3: Quello che possiamo considerare una delle conseguenze del concetto di flessibilità. Chiedere a grafici, webmaster, P.R., agenti pubblicitari ed altri soggetti coinvolti nel mondo dei nuovi servizi. Non sempre però ciò significa un peggioramento delle proprie condizioni di vita lavorative, la flessibilità è uno strumento dalle mille facce.
4: O forse sarebbe più corretto il termine marxista alienarsi? Lascio al lettore la decisione.
OPERAZIONE “TUONO BIANCO”
Sempre da Internet, in particolare nel sito ufficiale dell’Esercito Italiano, abbiamo trovato questo gioco che dobbiamo confessare essere molto divertente.
Ci troveremo di fronte a tre livelli di gioco diversi: nel primo dovremo lanciarci con il paracadute in un punto prestabilito, poi dovremo trovare un corridoio di sicurezza all’interno di un campo minato per giungere fino al nostro elicottero con il quale ingaggeremo un duello aereo per abbattere il mega carro armato nemico finale.
Nella schermata di presentazione, il testo finisce con “Accetta la sfida..... Se hai stoffa potresti diventare uno dei nostri”. Ciccando su “uno dei nostri” sarò possibile accedere alla pagina dedicata alle varie possibilità di arruolamento nell’Esercito.
A differenza di quanto si è soliti pensare, questa volta l’Italia è arrivata prima degli Stati Uniti (anche se in forme diverse) visto che anche oltre oceano si sta pensando al videogioco come mezzo in grado di catturare l’interesse dei giovani americani per la vita militare, fungendo sia da gioco che da veicolo promozionale per sostenere la campagna d’arruolamento dello “Zio Sam”.
I vertici delle forze armate statunitensi hanno deciso di intraprendere una collaborazione ad alto livello per rilasciare sul mercato alcuni simulatori bellici sia per PC che per console. I partner sono la University of Southern California, la Sony Pictures ImageWorks, i Pandemic Studios e la Quicksilver Software. Prima i terribili fatti dell’11 Settembre 2001, l’interesse per intraprendere la vita militare era in costante declino. Dopo gli attentati terroristici invece, l’ondata di rabbia che ha investito il paese si è tradotta in un incredibile aumento delle richieste d’arruolamento ma le previsioni parlano di un esaurimento a breve termine del fenomeno, e questo spiega il motivo dell’iniziativa intrapresa dall’esercito americano.
Il rapporto tra industria dei videogiochi e forze armate comunque ha origini più “antiche” visto che si sono ripetute in molte parti del mondo l’interscambio tra software destinato al mercato e convertito in simulazioni di addestramento dagli eserciti e viceversa.
Oggi però le strutture militari si rivolgono alle software house con uno scopo ben diverso, ovvero di trovare un mezzo per comunicare con le nuove generazioni e far crescere il loro interesse per la “divisa”. Se pensiamo come nel ’68, le nuove forme di comunicazione “giovanili”, in particolare la musica pop, furono gli strumenti principali del movimento pacifista contro la guerra del Vietnam, sembra che questa volta la “controparte” abbia “giocato” nettamente in anticipo.
RED FACTION
Qualcuno ha definito Red Faction, durante i giorni del G8, il gioco delle tute bianche, altri hanno indicato i Volition (gli autori del gioco) come i Ken Loach dei videogames.
Altri ancora lo considerano il primo videogioco che ha come protagonista la classe operaia, che può quasi diventare un manifesto per le giovani generazioni di contestatori del sistema delle multinazionali e del potere dell'Organizzazione mondiale per il commercio.
Vi state chiedendo il perché?
"Red faction" (letteralmente fazione rossa, in copertina c’è un pugno chiuso che imbraccia un piccone) sviluppato in Inghilterra, prende spunto esplicitamente dalla rivolte dei minatori del Galles in epoca del liberismo thatcheriano, fatti che hanno influenzato la cultura britannica soprattutto cinematografica, al punto che per molti registi la politica del primo ministro è diventata quello che il Vietnam è stato per gli Stati Uniti. E l'industria dei videogame non ne è rimasta immune. Solo che in "Red faction" quel periodo storico è stato trasfigurato e proiettato nel futuro. Non è il Galles la zona delle rivolte, è il pianeta Marte (non a caso il pianeta rosso). Qui un gruppo di minatori lavora in condizioni disumane e vive in baracche controllati a vista da capò armati e pronti a uccidere. La vita umana non conta nulla, i minatori cadono a decine, quel che conta sono le miniere. Chi controlla tutto sono i nuovi padroni della Terra, la razza aliena degli Ultor (anche in questo caso è facile trovare l'assonanza con "tories", il partito conservatore britannico). Il loro regime è destinato presto a far esplodere la rivolta.
In questo titolo (che nella struttura di gioco è uno dei tanti cloni derivati da Doom), impersonerete Parker, un giovane della middle class inglese che si rifiuta di andare ad Harvard credendo alle promesse degli Ultor che indicavano Marte come l’avamposto di un nuovo mondo senza più ingiustizie ma di tutto quello promesso, sul pianeta rosso non c’è niente, solo una vita da schiavo. "Come ho potuto essere così stupido?", dice quando arriva su Marte.
Dopo che un terribile virus (la cui maternità sembra da attribuire ai laboratori medici della Ultor) inizia a diffondersi tra i lavoratori, la rivolta ha inizio e voi ne sarete il leader carismatico.
I contenuti del gioco sono riusciti a far passare in secondo piano una realizzazione tecnica che lascia molto a desiderare ed il titolo ha avuto un successo imprevedibile sia negli Usa che in Europa.
Il merchandising, sotto lo slogan del videogame "Join the Revolution" (unisciti alla rivoluzione), ha realizzato migliaia e migliaia di adesivi che hanno tappezzato alcune città inglesi e tedesche, magliette e cappellini.
Si hanno notizie che in Germania l'avventura sul pianeta rosso è diventata un simbolo negativo per i nazi-skin che si sono scagliati contro numerosi negozi che lo esponevano in vetrina.
Red Faction è stato distribuito anche in alcuni paesi dell'Est raccogliendo un grande successo. In particolare a Mosca e a Varsavia il gioco è finito sul mercato nero andando letteralmente a ruba.
Il titolo dei Volition come abbiamo già scritto in precedenza non brilla per essere un capolavoro ed anche le tematiche “rivoluzionarie” (erano molto più presenti in un vecchio titolo italiano realizzato per Commodore Amiga chiamato “Guerrilla in Bolivia” e che ci metteva nei panni di Ernesto “Che” Guevara nella sua ultima battaglia) sono solo di contorno all’esperienza videoludica.
Ma quanto fatto in termini di novità riguardo i soggetti ed il contesto, è bastato a Red Faction per attirare su di sé l’attenzione dei media, di movimenti sociali fino ad oggi lontani dal videogaming e, non scordiamolo, ottenere un risultato economico molto soddisfacente.
Pur se embrionalmente, essere stati innovativi nei contenuti (ma parlare di Ken Loach ci sembra eccessivamente fuori luogo) ha premiato. Ci auguriamo che il messaggio giunga forte e chiaro a tutta l’industria del software intrattenitivo.
SILENT HILL
In uscita il secondo episodio in esclusiva per Playstation 2 proprio in questo periodo, Silent Hill della giapponese Konami non è un gioco recentissimo (1999) ma rappresenta il primo esempio di gioco dai contenuti e dall’estetica terrorifica.
Infatti nel mondo dei videogiochi è sempre stato l’horror a farla da padrone con il suo mostrarci di tutto…e di più, al non lasciare spazio alla nostra immaginazione ma a renderci partecipi con ostentazione di tutto quello che può passare nelle menti di sceneggiatori e registi (Resident Evil per i videogiochi, la Cosa di John Carpenter o gli Zombi di George Romero per il cinema).
Ed invece “le regole” del terrore partono da presupposti diversi: la sua base è un’angoscia più sottile, fatta di assenze/presenze “gestaltiche”, di attese non soddisfatte, percezioni indirizzate al nostro cervello e non allo stomaco.
Gli autori (Akihiro Imamura, Masashi Tsuboyama e Masahiro Ito) in realtà, oltre a citare F. Bacon e David Lynch tra le loro fonti di ispirazione, interpretano la diversità del tipo di paura che il giocatore sperimenterà nel corso della loro avventura rispetto alle altre con la loro preferenza allo stile nipponico di scrittori come Abe Kobo ed Edogawa Ranpo (non troppo conosciuti al di fuori dei confini della terra del sol levante).
Masahiro Hito afferma in un’intervista “..che lo stile occidentale è molto più diretto. La maggior parte della paura sta in ciò che si vede. Per noi invece non sempre è così. La paura viene fuori anche da ciò che non si vede, forse soprattutto da quello… Non è solo una questione grafica, vogliamo che i giocatori si sentano realmente spaventati, mentalmente e spiritualmente, e non in maniera superficiale”.
Avvolti da una nebbia misteriosa, in un paese sperduto della parte più interna degli Stati Uniti, Silent Hill ci proporrà varie situazioni di gioco sempre in un’atmosfera piuttosto tesa ed angosciante. Ma soprattutto dimostra come sia possibile ancora trovare nuove vie nel modo di fare videogiochi. Da grande appassionato del primo periodo di Dario Argento (ed anche del suo ultimo lavoro “Non ho Sonno”) mi auguro che anche fra i game designers qualcuno riesca a creare la stessa tensione suscitata al momento della scoperta dell’assassino in “Profondo Rosso”.
Se ciò avverrà, sarà stato grazie a Silent Hill ed il suo successo ha dimostrato che sperimentare si può rivelare anche un ottima fonte di profitto.
SHENMUE
Shenmue si può considerare come il tentativo fino ad oggi più riuscito d'unione tra cinema, gioco e "simulazione di vita reale". Nel gioco firmato da Sega, vestirete i panni di Ryo Hazuki, un ragazzo giapponese di 18 anni e figlio di Iwao Hazuki, maestro di arti marziali. Ryo vive nella casa di famiglia a Yamanose, un piccolo quartiere di montagna, frazione della città di Yokosuka. Qui trascorre una vita tranquilla seguendo gli allenamenti del padre e sotto le cure di Ine-san, un'anziana donna che si occupa della casa.
All'inizio del mese di Dicembre del 1986, tornando a casa, Ryo trova Ine-san distesa davanti alla porta di casa: questa gli indica il Dojo che il ragazzo non tarda a raggiungere. Un uomo vestito con un lungo abito cinese di seta verde sta combattendo contro suo padre, reclamandogli un certo specchio del drago. Al rifiuto di Iwao, l'uomo misterioso non esita a minacciare Ryo, obbligando suo padre a consegnargli lo specchio. La drammatica scena si
conclude con il combattimento tra l'uomo ed il padre del protagonista. Iwao Hazuki trova la morte in questo scontro, lasciando Ryo senza una famiglia e un desiderio di vendetta che sarà il principale motore della sua avventura.
Il gioco è diviso in giornate. Ogni ora dura circa cinque minuti e non c'è un limite fisso per portare a termine l'avventura: la data influisce soprattutto sul clima e sulla gente che vedrete per le strade. Nella stanza di Ryo è possibile aprire tutti i cassetti, accendere tutte le luci e interagire con quasi ogni oggetto presente nella stanza. E' possibile guardarsi attorno, aprire un inventario ed esaminare quasi tutto. Uscendo dalla camera ci ritroveremo in un corridoio nel quale convergono numerose stanze, ognuna d’esse visitabile e al tempo stesso completamente interagibile: in una di queste e’ perfino possibile pregare davanti ad un piccolo altare buddista. E poi potremo anche uscire, parlare con alcuni personaggi e iniziare a cercare indizi sulla morte di Iwao nel quartiere. Più in là nel gioco (quasi subito a dire il vero) sarà possibile visitare il resto della piccola città di Yokosuka. Lo scopo che Shenmue tenta di raggiungere è proprio questo: riuscire ad immergere il giocatore in questo piccolo mondo popolato da tanti abitanti, tutti indaffarati nelle loro faccende. Uno dei mezzi per raggiungere quest' immersione è un ciclo giorno-notte veramente riuscito. Con l'avanzare delle ore le attività della gente cambiano, i negozi chiudono, i bar aprono e la gente per le strade cambia. Altrettanto riuscita è la gestione del clima: questo può variare più volte in una giornata. La pioggia può essere leggera o battente ed è simpatico notare che non piove mai sotto tetti e tettoie.
A seconda del clima cambiano anche le persone che vedete per strada e gli indumenti che portano: quando piove tutti avranno un ombrello mentre verso Natale non mancherà il buon vecchio omone rosso in giro per le strade. Il mondo degli appassionati si è letteralmente spaccato nel giudicare Shenmue: chi lo considera un ”polpettone multimediale” chi l’inizio di un nuovo genere o era.
Ma il dato importante, nella prospettiva di questo elaborato, è che Shenmue (il cui secondo capitolo è in fase di uscita) ha le caratteristiche di un prodotto sperimentale ed innovativo che ha catturato l’interesse di buona parte dei videogiocatori di ogni parte del mondo. Sono anche interessanti alcune prospettive spazio-temporali del prodotto, ma di questo argomento avremo modo di parlare con l’ultima opera che andiamo a presentare.
PROJECT EGO
Project Ego non sarà disponibile prima della fine del 2002 ma dalle informazioni che si possono acquisire in rete, potrebbe essere un titolo con straordinarie caratteristiche innovative.
Nel nuovo titolo della Lionhead Software che sarà realizzato in esclusiva per la nuova console Microsoft X-Box, all’interno di un contesto fantasy non dovremo far altro che vivere la vita di un personaggio di nostra creazione, dai suoi quindici anni fino alla vecchiaia (intorno agli 80 anni).
Con il passare degli anni, il suo aspetto fisico subirà dei cambiamenti, dal grigiore dei capelli alle rughe ma anche lasciando il personaggio fermo al sole per diverso tempo, lo si vedrà abbronzarsi, oppure nel caso in cui venisse ferito, gli si formeranno delle cicatrici indelebili per tutta la vita.
Il nostro alter ego digitale si svilupperà quindi come una qualsiasi persona, diventando muscoloso se affronterà compiti che metteranno alla prova la sua muscolatura, ammalandosi se prenderà freddo. Potrete addirittura portarlo dal parrucchiere e decidere il suo taglio di capelli.
Ma potremo anche decidere, a seconda delle nostre azioni, se farlo diventare un eroe del popolo oppure un perfido criminale assassino.
In quest'arco di tempo dovremo fare del nostro meglio per rendere note e celebri le sue gesta ed il pensiero degli abitanti di questo mondo fantastico sarà fondamentale: saremo giudicati in continuazione, un po’ come nella vita di tutti i giorni, in base al nostro look, al portamento, ai vestiti ed altre caratteristiche.
Il tutto si svolgerà all’interno di un mondo gigantesco. Le zone da visitare ed esplorare saranno tantissime e ognuna con caratteristiche diverse. Tra villaggi e pianure potremo incontrare persone di ogni razza ed età con le quali interagiremo a nostro piacimento, anche regalando fiori ai matrimoni, offrire da bere nei pub ed altro. Se poi riusciremo a far crescere la vostra fama, potrà capitare di sentir cantare nelle piazze dei paesi che visiteremo delle canzoni sulle nostre eroiche imprese o i bambini potrebbero cominciare a imitare il nostro stile nell'abbigliamento o la nostra acconciatura. Ogni azione quindi potrà influenzare gli abitanti e l’aspetto del mondo virtuale in cui ci muoveremo. Se camminando per un bosco, calpesteremo un giovane alberello, gli impediremo di svilupparsi. Se, al contrario, avremo cura di aggirarlo, potremmo tornare decenni dopo e trovare una maestosa quercia al suo posto. Come per Shenmue, l’aspetto che mi ha particolarmente suscitato interesse in Project Ego, dalla prospettiva con cui ho analizzato il videogaming, è l’approccio così diverso alle coordinate spazio-temporali che avrà questo prodotto della Lionhead Software. Indubbiamente ci troveremo sempre di fronte a delle convenzioni riguardo lo spazio ed il tempo (oppure, forse, potremo anche decidere di giocarlo in modalità vita reale e finiremo il gioco dopo 65 anni…) ma per la prima volta vedremo il nostro personaggio cambiare ed invecchiare in un contesto che cambia con lui e in parte con le sue azioni. Senza arrivare a dire che Project Ego possa avere anche le caratteristiche di un esperimento sociologico (o almeno ancora non lo possiamo dire visto che il gioco finito sarà disponibile solo fra un anno), siamo però certi dell’importanza che avrà nell’influenzare il pensiero comune sui videogiochi.
La profondità e l’impatto grafico/sonoro con cui avremo modo di immergerci potrebbe essere traslata per altri contesti di gioco e forse con altri scopi. Mi immagino un nuovo Sim City (il simulatore “politico”) in cui dopo 40 anni di nostra amministrazione, vedremo gli effetti delle scelte in politica ambientale legate anche al contesto internazionale (effetto serra, inquinamento ambientale etc.) non solo da un punto di vista politico ma anche umano con i vari personaggi che subiranno le conseguenze del modo con cui avremo deciso di governare.
Forse stiamo sopravvalutando qualcosa che ancora non esiste ma se Project Ego avrà le caratteristiche prima elencate, potrebbe aprire le porte ad un nuovo modo e prospettiva di comunicare alcuni concetti. Il cinema, pur se ha raccontato storie ad ampio raggio temporale, non ha la possibilità di aumentare eccessivamente la durata di un lungometraggio.
Un videogioco, se ben impostato, non ha dalla sua nessun limite alla durata, cosa che lo potrebbe portare a raccontare storie individuali o collettive molto più profonde.
CONCLUSIONE:
DOVE SIAMO ARRIVATI?
Tutto quello che avete letto soffre di molti limiti, sarebbe sbagliato cercare di nasconderlo. Alcuni punti qui appena accennati avrebbero meritato un maggiore approfondimento degno di un elaborato ampio come questo. Mi riferisco in particolare alla parti dedicate all’intrattenimento on line e ai giochi di ruolo e non ho dubbi che chiunque ne potrebbe elencare altre di carenze.
La decisione di approfondire alcune “zone” rispetto ad altre, non è stata però una scelta casuale: non mi sono voluto spingere oltre i limiti più lontani ed ancora maggiormente inesplorati del videogaming, soprattutto riguardo la parte on line, perché il principale “rivale” a cui ho paragonato l’intrattenimento elettronico è stato il cinema e le mie argomentazioni si sono rivolte proprio ad un ipotetico parallelo fra questi media riguardo una superiorità narrativa e di suggestione che innegabilmente vede ancora il grande schermo prevalere ma ribadisco il fatto che, dal mio punto di vista sia solo una questione di tradurre in atto la potenzialità del medium videogioco.
Ed anche se alcuni importanti interlocutori in merito hanno espresso qualche perplessità sul fatto di compiere un’opera di traghettamento sul medium videogioco dei contenuti tipici dei “vecchi” media, credo invece che un narratore che ci guidi in una storia abbia ancora il suo fascino.
Dall’ ”anarchia” del gioco on line, dove saremo relativamente liberi dalle restrizioni di una storia già scritta (che comunque scriveremo insieme agli altri giocatori) sicuramente avremo nuovi interessanti modi di interagire ed anche forme alternative ed originali di intrattenimento, ma il fascino di una bella storia, credo non si perderà mai in nessun medium che l’uomo riuscirà a creare.
Sono inoltre palesi dei limiti di approfondimento sia sul piano sociologico ed umanistico che su quello delle scienze economiche, avendo scelto di perseguire un approccio piuttosto pragmatico e multidisciplinare che reputo tipico di una tesi in editoria multimediale e soprattutto del mio personale modo di affrontare questioni del genere.
Ma tutti questi limiti avvalorano alcuni pensieri che già ho esposto in precedenza: reputo inimmaginabile che un solo elaborato ( come per gli altri pochi realizzati fino ad oggi) possa riassumere e neppure avviare a conclusione la discussione sull’argomento.
Il pianeta videogiochi ha mille piani di interpretazione, di studio, di legami ad altri media, di specifiche caratteristiche sensoriali ed economiche e tutto quello che una forma di comunicazione d’intrattenimento (ma un domani mi auguro ne possa avere altre) porta nel suo “DNA”.
Il nostro percorso aveva l’obiettivo di evidenziare il rapporto difficile oggi esistente fra il mondo del videogaming ed i contesti sociali, culturali, comunicativi, istituzionali e di consumo che lo ignorano o lo snobbano evidenziando anche in questo caso i limiti di entrambe le parti.
Mi auguro che questa sia l’ultimo testo in cui si debbano necessariamente affrontare argomenti come il superamento di pregiudiziali anacronistici.
Il videogioco deve ancora crescere e molto ma la resistenza attuata dagli ambienti appena citati sono in larga parte frutto dei suddetti pregiudizi infondati e di un conservatorismo anti-tecnologico, sentimento piuttosto trasversale a livello politico, anagrafico e culturale.
Un conservatorismo che forse nasconde dietro anche una sorta di elitarismo inconscio.
Mi spiego meglio: con tutti i suoi limiti, il videogioco ci permette di fare cose che alla stragrande maggioranza degli uomini e donne di questo pianeta non saranno mai possibili per ragioni economiche: guidare un’auto di lusso, viaggiare da un capo all’altro del mondo e molto altro.
Senza poi dimenticare che ci permette di andare molto oltre i limiti della realtà superando le barriere spazio-cronologico-temporali e di verosimiglianza a piacimento dei programmatori.
In fin dei conti, solo in poche delle “sicure” case d’occidente (ma la tecnologia, anche se lentamente, diviene disponibile per quasi tutti i popoli del mondo) non è ancora possibile permettersi di videogiocare ed allora ci accorgiamo che se il videogaming aumentasse ancora il suo appeal, riuscirebbe ad essere un grande livellatore dei desideri di effimero e divertimento.
Un consumo senza più nessun tipo classismo perché tutti ne potrebbero usufruire.
Se oggi io non posso permettermi di girare in Lamborghini o Ferrari (macchine esclusivamente di prestigio e non di uso comune), forse un domani potrei girarci lo stesso con un caschetto virtuale, un bel volante con cambio di fronte a me ed un impianto dolby surround che mi circonda, il tutto con una spesa minore di cento volte rispetto alle macchine reali.
Certo, forse non sarà mai la stessa cosa (ne siamo sicuri? nota a me stesso) ma penso che sarebbe una incredibile e meravigliosa consolazione.
Ed allora auguriamoci che i progetti di realtà virtuale finalmente fruibile su vasta scala escano dal silenzio più assoluto in cui sono piombati da tempo, dopo che per alcuni anni non si parlava d’altro. .
E a quel punto, tutti (o quasi), potremmo realizzare i nostri sogni.
E forse anche reprimere la devianza sociale, che dal mio personalissimo e quasi profano punto di vista, nasce da qualsiasi desiderio non soddisfatto: ecco perché “deviato” può essere chi ha fame o l’uomo più ricco della terra che non può soddisfare una sua fantasia.
Ma dov’è la grande forza del videogioco, dove potrebbe arrivare più lontano rispetto agli altri mezzi di comunicazione? E’ nel passare dal vedere o leggere del cinema o della letteratura al fare, all’essere il protagonista di una storia che viene proposta, a vivere per qualche ora una vita parallela a quella reale, certo con dei limiti ma non ne abbiamo anche noi nella vita di tutti i giorni?
A pensarci bene, mi trovo con molte più limitazioni (fisiche, sociali e culturali) nel mondo reale che in quelli virtuali dei miei titoli preferiti.
In un grande film come “The Matrix”, si ipotizza che dei robot dall’elevata intelligenza artificiale intrappolino il genere umano in una sorta di realtà virtuale del tutto simile alla “realtà reale” di ogni giorno ma in cui gli essere umani non sono coscienti di essere.
Nelle battute finali del film, uno di questi robot confessa che la prima versione di questa realtà virtuale era una sorta di mondo perfetto ma l’umanità sembrava disdegnare questo luogo di pace, amore, gioia e fratellanza preferendo di essere in un contesto simile a quello reale del 21° secolo. Mi auguro invece che la liberazione collettiva degli uomini e di tutti gli esseri viventi possa nascere in partenza da una liberazione individuale, dal rifugiarsi nel proprio personale mondo perfetto in cui esprimere anche le pulsioni più primordiali e violente comunque insite nell’uomo ma che sbagliando, sublima spesso in atti criminali, d’ingiustizia o comunque non rispettosi degli altri. Rifugiarsi nel proprio mondo perfetto dove essere veramente liberi non comporta il sacrificio di qualsiasi creatura senziente.
Ecco perché se l’uomo, nel mondo reale, avesse dentro e di fronte a sé una singola e semplice legge morale, ovvero non fare agli altri ciò che non farebbe a sé stesso, un bel gioco violento pieno di squartamenti, torture e cattiveria gratuita non farebbe altro che aiutarci, con la sua funzione catartica, a vivere sempre con questo semplice precetto.
Ecco perché adesso “chiudo” Word, attacco la mia cyber pistola e inizio a far saltare la testa ad di un po’ di zombi, lucertole giganti e mostri vari in House of The Dead 2.
ULTIM’ORA
Ultime notizie dal mondo dei videogiochi
-A Indianapolis, nel luglio del 2000, venne approvata una legge che vietava ai minori di diciotto anni di utilizzare videogiochi da bar dai contenuti violenti o sessualmente espliciti. In pratica, i minorenni non potevano neppure avvicinarsi a tali macchinette senza la presenza di un genitore o di un tutore legale. Una corte minore dello stato dell’Indiana cassò la legge, definendola incostituzionale e in contrasto con il Primo Emendamento, quello che garantisce ad ogni individuo la libertà di parola e di espressione. Nell’enunciare la decisione, il giudice Richard Poster ha anche strigliato i rappresentanti della città, accusandoli di prendersela solo con i videogiochi, chiudendo gli occhi su tutto il resto.
A fine Ottobre 2001, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto l’appello della città di Indianapolis che chiedeva di far tornare in vigore la legge.
-A Los Angeles è nata la Global Product Placement, prima agenzia di pubblicità specializzata nell’ ”in-game advertising” cioè la pubblicità all’interno dei videogiochi. La Forrester Research, società di ricerche di mercato, ha confermato con dati ottimistici la crescita del settore: si prevede che la pubblicità nei videogiochi costituirà un’entrata fino a 1440 miliardi di lire entro il 2005.
-Dopo gli attentati alle Twin Towers di New Jork, si è registrato un aumento esponenziale delle vendite di war games e strategici dedicati alla lotta contro il terrorismo. L’altro genere che ha contribuito alla crescita generalizzata del settore in questi ultimi mesi è quello di prodotti meno impegnativi come i videogiochi tratti da quiz televisivi.
-Il 21 Novembre 2001 a Roma, si è tenuta un’importante conferenza dal titolo “Games@University”, organizzata dal Roman ACM Student Chapter, una associazione di studenti guidata dal professor Stefano Levialdi dell'Università di Roma "La Sapienza" sul rapporto fra videogiochi ed università. Tra gli intervenuti, il Professor Daniele Marini, titolare del corso di "Tecnico Orientato alla Programmazione dei Videogiochi" all'Università di Crema, il primo e finora unico corso accademico in Italia centrato sui videogiochi, ha mostrato come si può impostare un corso universitario improntato alla programmazione dei videogiochi prendendo come riferimento principale la parte grafica ma senza tralasciare gli altri aspetti che contribuiscono alla riuscita di un buon prodotto. È significativo come molti degli studenti usciti dal suo corso siano stati poi immediatamente assunti dalle aziende di videogiochi in cui avevano sostenuto lo stage finale prima dell’esame. Per ripetere il suo esperimento con successo, ammonisce però Marini, gli stessi docenti devono prendere atto di uno spostamento di prospettiva che li vede più come consulenti che come dispensatori di conoscenza. L’argomento infatti è relativamente nuovo e dovranno essere gli studenti a trovare il modo di applicare efficacemente le teorie apprese a lezione, sopperendo in parte alle carenze degli stessi insegnanti ai quali è richiesto sostanzialmente un bagno di umiltà ed un approccio collaborativo sconosciuto in molte realtà accademiche italiane. Senza togliere alcun merito a questo importante convegno, ci sembra però lecito sottolineare come l’argomento sia stato trattato esclusivamente da una prospettiva tecnico-scientifica tralasciando quello che in precedenza ho auspicato ovvero l’introduzione di un corso di teorie e tecniche del linguaggio videoludico nelle facoltà di Scienze della Comunicazione, università che esprime delle conoscenze importanti (tanto quanto quelle tecnico-programmative) per il mondo dei videogiochi senza però non averlo mai preso in considerazione come oggetto di studio.
-Il 6 Dicembre 2001 è stata presentata, nella cornice del Circolo della Stampa di Milano, la AESVI, Associazione Editori Sofware Videoludico Italiana. Sotto questo nome si sono riuniti, per la prima volta in Italia, i sei più importanti publisher di videogiochi che operano nel nostro paese: Disney Interactive, Electronic Arts, Infogrames, Microids, UbiSoft e Vivendi Universal. Gli obiettivi che l'associazione si prefigge sono molteplici, tutti però riassumibili nella frase "Stop alla disinformazione sul mondo dei videogame, stop al dilagante fenomeno della pirateria informatica". Questo vuol dire, una lotta più dura al mercato di videogame contraffatti. Al tempo stesso, prenderanno il via una serie di iniziative che avranno lo scopo di promuovere la cultura del videogioco, sviluppare iniziative a tutela del settore, gestire attività di formazione e informazione sul pubblico e sulle istituzioni, operare attivamente con le istituzioni, a livello italiano ed europeo, perchè i videogiochi diventino beni culturali a tutti gli effetti come lo sono già i film, i libri e i dischi. Questo vorrebbe anche dire l’abbassamento dell’IVA sui videogame dal 20% al 4%. Nel sito di The Games Machine, ci si augura che l’iniziativa porti anche ad una migliore e più omogenea politica di prezzi, che riporti un po' di ordine nel confuso panorama nostrano, dove i titoli budget spaziano dalle 9 alle 40 mila lire, e i titoli a prezzo pieno partono da 60 e arrivano a 150 mila lire.
Merito (o colpa?) decisivo per la scelta di realizzare questa tesi è
da ricondurre al seguente articolo di Stefano Silvestri,
caporedattore del magazine “The Games Machine”,
uscito nel numero 141 del Febbraio 2001.
Visto che quindi la partenza “ufficiale” di questo “progetto” è nata da queste parole, mi sembrava che riproporvelo come conclusione fosse il modo migliore per chiudere il “cerchio”
RICORDATI DI CRESCERE
di Stefano Silvestri
Nel limbo del tempo vagava la mia anima. Poi, non ricordo, sono entrato nella spirale della vita. Da miliardi di possibili combinazioni sono nato io. Potevano essere altri genitori, altri ovuli e spermatozoi, ma una costante in quel sottile calcolo probabilistico che fa di noi quello che siamo ha acceso la scintilla della mia esistenza.
Potevano essere diversi continenti, svariate nazioni, altre epoche, ma per me la sorte ha deciso un inizio: Milano, trent’anni fa. Non ci si riflette mai, ma quando si è piccoli si ha il mondo ai propri piedi: infinite possibilità, infinite vite, dimensioni parallele, futuri alternativi, immagini sfocate che, ma mano che si cresce, collimano in una sola nitida realtà. Quell'asilo, quella scuola elementare, quella scuola media. Poi, quasi che entrassimo in una sorta di imbuto, dove di tutto quello che potremmo essere ne esce solo un sottile filo, il primo restringimento: se andare a lavorare o se continuare a studiare.
E in quest’ultimo caso, quale scuola fare, la prima decisione su quello che si suppone sarà il nostro futuro. Quell’università, quel lavoro, quegli amici che ci vengono incontro solo perché si è deciso di voltare l’angolo e girare a destra invece che tirare dritti o girare a sinistra.
Quella fidanzata, quella moglie, quei figli, quella vecchiaia, quell'ultima notte, quell'ultimo respiro. Questa vita, non un'altra. Esistenze date da fibre sottili che girano l'una attorno all'altra fino a formare ciò che siamo, fili che a loro volta si incroceranno con altri fili fino a costruire la trama e l’ordito del mondo che ci sta attorno. Per ogni azione che decidiamo di non compiere la vita cambia lo stesso, solo che abbiamo l’illusione dell'autocontrollo.
Ricordati di crescere, dicevo nel titolo. Ricevo spesso lettere di persone che mi dicono, quasi vergognose, che nonostante la loro età seguono ancora il mondo dei videogiochi, che leggono ancora "tigiemme". Spesso fanno ciò a dispetto dei loro genitori, che vorrebbero che studiassero, delle loro ragazze, che vorrebbero al loro fianco degli uomini e non degli adolescenti, delle loro mogli, che sembrano non capire che nel fiume della vita alle fine arrivano tutti al mare, le correnti più veloci e quelle più lente, quelli cresciuti prima e quelli che lo hanno fatto dopo.
Spesso ho l'impressione che la gente non viva di vita propria, ma ragioni col tassametro: a tot anni ci si diverte, poi si deve mettere la testa a posto, poi si deve andare via di casa, poi ci si deve sposare, e se a una certa età non si è coniugati e con dei figli, beh, allora c'è qualcosa che non va. E guai a mettere in discussione questo meccanismo sul quale poggia la società civile: non si sarà mai visti come persone che semplicemente hanno un'altra filosofia, che vedono le cose a modo loro, che ascoltano ciò che viene dall'interno prima di ciò che viene dall'esterno, ma come dei bambinoni cresciuti, dei cocchi di mamma, dei figli di papà, dei Peter Pan.
Delle persone che hanno paura di diventare adulte. Un esempio, questo, di derisione altrui volta a incrementare la propria autostima, messa forse in dubbio dal fatto che ogni tanto, quando sì è finalmente diventati "grandi", prima di addormentarsi la sera si guarda nel buio e si sente che manca qualcosa, ma che cosa non si sa. O forse queste persone hanno ragione, e a una certa età si dovrebbe smettere di giocare, si dovrebbe mettere la freccia a sinistra, entrare in autostrada e andare avanti finché si ha benzina. Ci si dovrebbe confrontare con la realtà a 360°, smetterla di guardare il mondo che scorre fuori dalle finestre mentre i fosfori dei nostri monitor ci imprimono sulle retine dimensioni alternative delle quali non potremo mai sentire i profumi, assaggiare i sapori, toccare le increspature. Ma una cosa è certa: cresceremo ugualmente, non c'è da avere fretta. Prima o poi troveremo la nostra strada e diventeremo ciò che è scritto che dobbiamo diventare, o più semplicemente ciò che il più imprevedibile dei calcoli probabilistici deciderà per noi, o ancora ciò che la più complessa delle teorie del caos vorrà che sia.
E alla fine diventeremo uomini o donne, daremo il nostro contributo a questo mondo. Solo che potremo arrivare a questo punto sapendo che siamo stati vittime delle convenzioni, oppure potremo farlo illudendoci di aver ascoltato il nostro cuore, sapendo di aver fatto ciò che ci sentivamo di fare.
Siamo animali sociali e ciò che ci circonda influenza i nostri pensieri e influisce sulle nostre vite. Alle volte se si stringono gli occhi sembra che la maglia della rete che vuole catturare non siano poi così strette, che se ci facciamo piccoli piccoli forse possiamo passarci attraverso.
Ma non è così, e alla fine il risultato è che, come dicevo prima, ricevo lettere di persone che si giustificano, che si sentono in colpa, che mi scrivono all’insaputa dei propri genitori, della propria fidanzata, della propria moglie o del proprio capoufficio. Questo Backstage non lo dedico a tutti perché so che tra voi c'è chi gioca per il puro gusto di farlo, senza costrizioni, senza problemi, senza compromessi, forse perché ha ancora una certa età, forse perché non si pone il problema di fino a quando continuerà a farlo, forse perché nessuno gliel'ha ancora chiesto o forse perché qualcuno gliel'ha già chiesto ma se ne sbatte.
Lo dedico invece a chi si è riconosciuto nelle parole che ha scritto, a chi ha letto Peter Pan e gli è piaciuto, a chi non vede nel suo monitor uno schermo fluorescente ma una finestra che dà su mondi nuovi da scoprire, a chi ancora capace di emozionarsi davanti a dei pixel e non se ne vergogna.
Potrei dire altro ma mi fermo qui. Lascio che le righe successive siano le vostre considerazioni, i vostri pensieri, le vostre vite.
APPENDICE
L’appendice della tesi raccoglie gli interventi e le opinioni che abbiamo raccolto da vari soggetti coinvolti ed interessati all’argomento.
Ringraziamo tutti coloro che ci hanno concesso qualche ora del loro tempo per arricchire il nostro elaborato con le opinioni di chi direttamente vive la questione da varie prospettive.
Ricordiamo che Halifax, Cidiverte e Leader sono i più importanti distributori di software d’intrattenimento per il nostro paese, mentre CTO, oltre a rientrare nella categoria precedente, è da considerare anche nel novero delle software house con l’acquisizione ed il controllo, avvenuto quest’anno, di Arxel Tribe, da qualche anno una delle realtà europee più in crescita.
Anche Ubisoft è una software house europea di origine francese ma grazie al successo dei suoi prodotti, oggi si può annoverare fra le multinazionali più importanti del divertimento elettronico.
Di Nintendo e Duel abbiamo già parlato in precedenza mentre riguardo i 99 Posse ricordiamo che sono considerati una delle realtà più importanti nel panorama musicale italiano da circa 10 anni ed abbiamo deciso di raccogliere anche la loro opinione perché, oltre alla forte componente comunicativa dei loro testi, nelle loro produzioni, sono fra i pochi (se non gli unici) ad utilizzare le nuove tecnologie (compresi i videogiochi ed i suoi riferimenti estetici) organicamente e non come un semplice manierismo.
Alberto Abruzzese
Docente di Sociologia della Comunicazione,
autore di numerosi saggi sui media e la cultura di massa
Preside della Facoltà di Scienze Della Comunicazione
all’Università Sapienza di Roma
Trascrizione di un colloquio avuto insieme anche al relatore
di questa tesi, il Professor Luigi Mattucci.
Dopo una breve sintesi sui contenuti della tesi…
Abruzzese: Tu dici che nel caso di un videogioco sui fatti del G8 di Genova, si riproporrebbe la schematizzazione idealistica del conflitto, tipico della televisione generalista e di quasi tutta la cultura moderna. Il videogioco invece potrebbe essere più duttile e aperto. Su questo media oggi non si farebbe altro che una operazione di traduzione senza ricerca di nuovi soggetti conflittuali. Non credo, però che il cinema si discosti più di tanto da questa regola.
Tropeano: Mi sono posto due problemi riguardo il cinema. Il primo riguarda il fatto che esso è tutt'ora lo strumento principe per sognare. Il secondo invece prende in considerazione le potenzialità immaginifiche del videogioco, che attualmente non sono ancora riuscite ad imporsi rispetto al cinema.
Abruzzese: Il cinema, è un grande strumento per sognare.
Il videogioco invece si serve di alcuni stimoli e poi sono fatti tuoi. Si passa da forme estetiche che appartengono alla produzione a forme estetiche del consumo. Possiamo allargare il concetto a tutti i media digitali. L'idea che dai linguaggi nuovi possa a un certo punto venire la stessa ricchezza narrativa ed estetica che ha reso grande l’esperienze del cinema e, in tono minore, della televisione, è un argomento su cui ancora non possiamo dire molto. Io credo che non bisogna dare per scontato il movimento ciclico del linguaggio: dopo l'opera di destrutturazione dei linguaggi digitali che produce un disgregarsi dell'estetica non è detto che ci saranno altre forme espressive, come è successo in precedenza. La vera discriminante politico-culturale che possiamo considerare rispetto ai videogiochi, riguarda la volontà di uscire o meno dagli schemi del moderno, come ad esempio dal dualismo di cui parlavamo in precedenza. E’ possibile comunque che si ripeta ciò che è sempre accaduto e quindi che da queste nuove forme possano venire fuori delle straordinarie narrazioni.
Tropeano: Io reputo comunque che questa crescita sia già avvenuta, almeno in parte. Ad esempio in un titolo come Max Payne per la
prima volta si supera il tipico dualismo buono/cattivo e finalmente c'è
un'estetica diversa, dove non si ha paura di mostrare lo squallido motel a
ore, oppure dei ragazzi “strafatti” con le peggiori droghe a terra e incapaci
di alzarsi.
Abruzzese: Si, ti capisco, ma dal punto di vista della narrativa non è che introduca molto di più rispetto a quello che è stato Marlowe e il fumetto nero italo-franco-americano. Non è proprio lì la novità da ricercare. L'audiovisivo ha sempre avuto la possibilità di assolvere a qualsiasi operazione di bricolage, prendere dall'immenso archivio multimediale del passato e riversare tutto. Questo ci porta esclusivamente al discorso della riproducibilità tecnica della cultura di massa occidentale che ha continuamente "ritritato" queste cose e ha saputo riveicolarle cambiando il pubblico e ricostruendo modelli estetici, riuscendo a volte a creare qualcosa di estremamente affascinante anche per pubblici non di elite. Come è successo per il fumetto, possiamo immaginare che il videogioco si arricchisca con maggiore capacità di racconto, personaggi più sfumati ecc. In questo modo, però, non farebbe altro che ripercorrere in termini di ricchezza quella che è comunque la cultura moderna. Moderna e non post-moderna.
Tropeano: A mio avviso, il medium videogioco, con questo arricchimento di contenuti, andrebbe comunque oltre rispetto all'esistente. Magari il videogioco avesse la ricchezza del moderno! Nella tesi faccio frequentemente paralleli tra cinema e videogiochi. La speranza è che il
videogioco sia "sfruttato" almeno quanto lo sia il cinema, anche riguardo a
usi diversi rispetto al semplice intrattenimento. Siamo ancora molto lontani da questo.
Abruzzese: Sicuramente sarebbe un bel passo in avanti. Qui però si apre un altro problema: le risorse materiali dell'industria culturale. Torniamo al fumetto: la sua immensa diffusione è stata anche possibile grazie al fatto che costava poco. Per questo è stato un grandissimo laboratorio di sperimentazione anche rispetto al cinema, dove certe cose si sono potute fare solo da quando alcuni hanno avuto a disposizione dei grandi budget e tecnologie digitali. Nel videogioco ci saranno i capitali sufficienti a realizzare quello che vuoi tu?
Tropeano: Mi sono occupato anche degli elementi strutturali. Una grande software house multinazionale può permettersi un esperimento del genere. Immagino il primo videogioco con un protagonista gay: se poi il mercato decide la "sua morte" sarà stato un flop come ne avvengono già molti altri.
Comunque non è detto che un videogioco debba costare necessariamente miliardi visto che c'è la possibilità di sfruttare motori grafici fatti da altri. Allora anche piccole società o artigiani di patch e mod potrebbero provare a sfidare i grandi nomi da una prospettiva alternativa.
Abruzzese: Per quanto tu possa risparmiare, se vuoi veramente essere l'attore del videogioco, non è poi così semplice. Se si vuol fare teatro da camera è un fatto ma se vuoi mantenere la grandezza del cinema e trasportarla nel videogioco è un'altra questione! A me sembra chiaro che il tuo discorso miri all'assunzione da parte del videogioco del ruolo che ha
avuto l'immaginario cinematografico; tra l'altro è esattamente ciò che chi
ha il culto del cinema nega al videogioco ritenendolo un qualcosa di
troppo semplice. Apprezzo molto quindi il discorso che fai, però mi
domando se questo sia possibile e quando ciò potrà diventare realtà. Nel frattempo il tipo di immaginario che noi abbiamo formulato attraverso il cinema non sarà diventato completamente diverso? Il cinema era una tecnologia nata non con l'idea di dover raccontare, poi con il tempo ha dovuto dare storie al pubblico ed ha recuperato tutte le narrazioni del passato, in particolare il romanzo. Il videogioco probabilmente potrebbe fare la stessa cosa.
Tropeano: Comunque io credo che il vero problema sia dato da un circolo vizioso difficile da superare: i pregiudizi di tanti che dicono "i videogiochi sono roba da ragazzini" portano le stesse software house a fare "cose da ragazzini".
Abruzzese: Questo lo condivido. Ma nello stesso tempo ritorno a porre la questione del rapporto tra media digitali e nuovi tipi di soggettività. Tu ti rivolgi alla "cultura alta" quasi con la volontà di farle capire che i videogiochi non sono solo "macchinette" per ragazzini e che lavorandoci scoprirebbero le potenzialità di questo medium. E’ esattamente quello che alcuni dicevano all'inizio del cinema quando era il teatro "a dominare la scena". A me viene da dire che in questo modo anche il videogioco verrà posseduto dalla tradizione moderna e invece bisognerebbe andare oltre.
Tropeano: Anche se minimamente, ho parlato anche di questo nella tesi: riguardo al corpo e alle possibilità di aumento percettivo e sensoriale con nuove periferiche.
Abruzzese: Quella è una zona di passaggio. Pensiamo al meccanismo dei consumi che in questi ultimi anni ha sviluppato fenomeni che nascono dal basso. Pensiamo alla telefonia mobile, agli sms: un clamoroso esempio di poca espressività, ma di forte appropriazione e fruizione del consumatore.
La natura affettiva-corporale del cellulare è stata scoperta proprio dai ceti
popolari. Se si riuscisse a dimostrare che in quest'area si esprime
comunque senso e cultura d'appartenenza pur non facendo parte di strati
sotto il controllo della scrittura e dell'audiovisivo, sarebbe un'ipotesi
interessante e anche il videogioco potrebbe esserne un terreno di
sperimentazione. La narrazione porta comunque con sé sempre lo schema
letterario: la scrittura ovvero la tecnologia del moderno che ha dominato
anche gli altri mezzi.
Tropeano: Riguardo a questo, penso a tutto il fenomeno delle patch, ovvero delle realizzazioni artigianali da mettere sopra un gioco che portano a delle modifiche grafiche o sostanziali al programma. Oppure penso al videogioco on line che a volte si trasforma in una sorta di chat più sofisticata.
Abruzzese: Credo in effetti che le multinazionali saranno quasi costrette dalle dinamiche di mercato a far diventare più flessibili i videogiochi. Se questi diventassero più semplici le “moltitudini” potrebbero intervenire direttamente. Questa è una bella frontiera, come lo sarà la rottura con la tradizione della scrittura che già oggi, vedendo di anno in anno gli studenti, sta cominciando a venir meno, insieme ad altri paradigmi come l'importanza della memoria e tanti altri.
Nicola Coccia & Carlo Giuttari
Videogiocatori
Il fondamento dell'esperienza videoludica consta di un accordo inespresso
tra sviluppatore e fruitore consistente in una mediazione programmatica che
viene incontro sia alle esigenze di realismo sia a quelle prettamente intrattenitive. In prima istanza infatti il giocatore è tenuto ad assoggettarsi ad un prontuario che identifica preventivamente l'ambiente di gioco e le regole ad esso sottese, salvaguardando in un secondo momento la possibilità di avvalersi delle stesse per interagire positivamente con le tematiche e le problematiche offerte dal pacchetto ludico. Ciò implica che a sacrificarsi sull'altare della natura ludico-intrattenitiva del videogioco sia il realismo, presente ancora in maniera embrionale nell'accezione più tecnica del termine, e per questo foriero di limitazioni strutturali. E comunque, una volta raggiunta la tecnologia in grado di eliminare qualsiasi differenza visivo-concettuale tra il mondo "reale" e l'universo virtuale e venute quindi meno le coercizioni di calcolo computazionale del mezzo meccanico, siamo sicuri dell'opportunità di questo processo ai fini della sospensione ludica? E' lecito chiedersi a questo punto il perchè di questa ricerca febbrile del fotorealismo e dell'adesione pedissequa alla realtà, appurato che essa non costituisca invero il quid del videogiocare in senso stretto. Proveremo a fornire una spiegazione tenendo in considerazione il vissuto esperenziale che ogni giocatore apporta consapevolmente o meno alla esperienza videoludica. Per esplicare il nostro pensiero rimandiamo il lettore ai rudimenti fondamentali della poetica aristotelica riferendoci in particolare ai capitoli conclusivi inerenti al sentimento di catarsi. Con questo termine lo Stagirita indica "quella piacevole liberazione operata dall'arte" analoga "a quello che oggi noi chiamiamo “piacere estetico”. [...] l'arte non ci carica ma ci scarica dall'emotività, e quel tipo di emozione che essa ci procura, non solo non ci nuoce, ma ci risana1."
Nell'economia del nostro ragionamento "l’arte liberatoria" alla quale si
riferisce Aristotele è rappresentata dalla qualità di visualizzazione
dell'environment2 ludico, quindi, quanto maggiore sarà l'adesione alla
realtà tanto superiore sarà la sinergia espressione-percezione fenomenologica interna3. Per comprendere meglio il nostro assunto prenderemo come riferimento Tomb Raider (1996, Core Design) gioco che ha basato gran parte del suo consenso di critica e pubblico proprio su questa filosofia. Nel prodotto Eidos le determinazioni temporali e fattuali vengono
sospese dall'esigenza di proiettare il punto di vista del giocatore
all'interno del contesto, consentendo allo stesso di "maturare".
Matura il gioco poichè avanza evidentemente nel suo darsi, dispiegandosi,
grazie alla risoluzione di quesiti ed enigmi specifici del caso, ma, cosa
che a noi più preme, matura il giocatore in quanto si (ri)desta in lui il
senso estetico, evocando echi di antichità e ancestralità. Risulta chiaro a
questo punto come il primo dei sensi assurga a rango di ente fondante la natura ontologica del videogioco e cioè il vedere costituisce dialetticamente un momento imprescindibile del giocare, nella sua valenza ontica. Ma allora, quando, controller alla mano, guardiamo ma non giochiamo, cosa stiamo giocando? E soprattutto, cosa stiamo guardando credendo di giocare? Come troppo spesso accade nella produzione videoludica contemporanea, il medium cinematografico insegue, accerchia e sottomette l'istanza prettamente ludica ingabbiando il naturale fluire del gioco
1 Cfr. Reale G., Storia della filosofia antica, vol. II, pag. 594
2 Termine tecnico di origine anglosassone per definire l'ambiente di gioco
3 Nell'accezione del pensiero husserliano
degna spesso di un manuale universitario. A differenza di quanto detto sopra, l'utente si trova passivamente ad osservare qualcosa di alieno alla propria sfera interrativo-decisionale. Quindi il guardare, il vedere diventa, forzando i termini, "attività non attiva". Questa trasformazione possiede una precisa matrice storica, da individuarsi nell'introduzione dell'opzione cosiddetta di "salvataggio". Questa opzione consente all'utente di riprendere la propria attività ludica dall'esatto punto nel quale l'aveva precedentemente
interrotta. Questo, di fatto, consente la dilatazione temporale della
longevità di gioco permettendo un maggior approfondimento dei contenuti e delle tematiche da parte dei programmatori laddove in precedenza la durata poteva stimarsi in un'ora di gioco continuo o poco più, per ovvi motivi pratici. Giungere alla tanto agognata ending sequence si traduceva allora nella reiterazione dedita e costante delle medesime sequenze di input
impartite dal giocatore, oliate e perfezionate attraverso applicazioni
successive. Oggi le cose sono molto cambiate. Mutuando un'espressione dal linguaggio sportivo, nel videogioco moderno esiste una reale e consistente differenza tra tempo "effettivo" e tempo "totale", quasi sempre a scapito del primo. Paradossalmente infatti i giochi sono più lunghi di un tempo ma si gioca meno, lasciando un certo senso di insoddisfazione.
Quanto detto finora ci porta inevitabilmente a formulare considerazioni
riguardo alla relazione biunivoca intenzione-forma finale, ritenuta da chi
scrive crocevia di ogni riflessione sul futuro dei videogiochi. Sembra
quasi esserci un tacito accordo tra gli sviluppatori sulle corrispondenze
strutturali di intenzione e forma finale, ossia, dato un certo tipo di gioco
(intenzione) esiste un precipuo motore grafico (forma finale) che meglio
incontra sia le aspettative del giocatore sia le volontà dei programmatori.
Nel corso degli ultimi anni, grazie anche all'avvento della grafica
tridimensionale, si sono intraprese e percorse molte vie con risultati molto
soddisfacenti ma allo stato attuale delle cose la sensazione che pervade
chi scrive è che fino a quando l'unico medium visualizzativo continuerà ad
essere il/la monitor/tv la sperimentazione è destinata a divenire asfittica,
essendo forse venuto a combaciare il possibile con l'esistente. Proviamo a
dare una risposta a questo problema traducendola in quesito che a suo modo vuol essere anche una speranza: sarebbe opportuno reinterpretare l'intero impianto mediatico-meccanico a favore della totale sublimazione del fruitore all'interno di esso con la cosiddetta realtà virtuale?
Andrea Cordara
Communications Manager Ubisoft
Domanda: Come già accennato in precedenza, ho posto molta attenzione nella mia tesi a quelli che potrebbero essere nuovi contenuti, nuovi tipi di narrazione, nuove forme estetiche, nuovi target, nuovi personaggi per il videogioco. Lei crede che ci siano gli spazi nel mondo del videogaming per forme nuove ed alternative a quelle esistenti? (in un parallelo con il cinema, intendo tutti quei pubblici di nicchia che comunque rappresentano una buona fetta del mercato cinematografico anche se minoritari)
Cordara: Pensare oggi a delle forme alternative a quelle esistenti oggi, non è così semplice. L’accusa di non rinnovamento è anche la più frequentemente mossa ai videogiochi dalla stampa specializzata che vedono il grande avanzamento della tecnologia, un impatto grafico sempre più sconvolgente, ma dei contenuti e dei gameplay che si ripetono da qualche anno senza nessuna grande innovazione. La mancanza di originalità però è causata anche dalla difficoltà di uscire da certi schemi di alcuni generi prestabiliti come possono essere i giochi di ruolo o gli strategici. Quando sono stati fatti esperimenti di contaminazione, invece di trovare una formula vincente ci siamo trovati di fronte agli estimatori di entrambe le tipologie di gioco scontenti, poichè esistono delle regole e linguaggi codificati nei generi che devono essere rispettati.
Riguardo le sperimentazioni in genere, oggi produrre un titolo di fascia medio-alta significa un ingente investimento e per una software house è ancora troppo presto rischiare per un esperimento che non si sa bene quale successo potrà avere sul mercato.
Credo però che interessanti novità potranno arrivare sia dal gioco on line e dalla conseguente interazione fra gli utenti che popoleranno i mondi paralleli che verranno messi a disposizione, sia dalle nuove tecnologie di telefonia mobile che porteranno ad un maggiore senso di compenetrazione della realtà come già accade in Majestic o nel meno recente “La Maschera di Ferro”.
Domanda: Sono stati pochissimi i casi in cui sono stati prodotti videogiochi
sponsorizzati (ricordo solo Pepsi Challenge e McDonald's Global Gladiators). Secondo lei perché anche il mercato dei videogiochi non potrebbe acquisire maggiori entrate da varie forme di pubblicità? Immagino ad esempio in un gioco di calcio la vendita dei tabelloni nello stadio virtuale oppure, mi scusi l'ignoranza, non se sia già avvenuto in F1 Racing di Ubisoft ma comunque sarebbero sempre casi piuttosto isolati. Eppure un videogiocatore passa a volte decine di ore di fronte ad un gioco. Proprio in questi giorni la Findus sta pubblicizzando la possibilità di avere un videogioco in omaggio dedicato al Capitan Findus. Pensa che si ripeteranno esperimenti simili, ad esempio con un grande marchio tipo Nike o Coca Cola che si fa produrre un videogioco (anche se pur breve) da regalare in omaggio come forma nuova di immagine o promozione?
Cordara: La nostra società si muove già da qualche tempo in questo settore con la creazione di un comparto non-retail che svolge le attività che lei ha descritto in precedenza nella domanda: giochi per aziende, titoli fuori catalogo regalati con le riviste o come gadget per un lancio pubblicitario di un prodotto.
Ed abbiamo anche varie possibilità per un’azienda che vuole un prodotto: si può personalizzare un prodotto già esistente e fuori catalogo con i logo e la promozione di una marca. Lo abbiamo già fatto nel campo delle autovetture prendendo un gioco di corse ed inserendo esclusivamente nella scelta delle macchine quelle prodotte dal nostro committente.
Oppure creare un prodotto ex novo chiaramente con la possibilità di scegliere il budget da destinare al prodotto.
Ubisoft sceglie solo quei marchi che possono anche portare un ritorno di immagine alla nostra azienda.
Comunque credo che ci sono ancora ampi margini di crescita per questo settore anche perché con la creazione di ambienti 3D sempre più affascinanti, si potranno sponsorizzare un numero maggiore di spazi: l’importante è però che queste scelte vengano decise prima della produzione così da poter evidenziare gli spazi da gestire ed ottenere maggiori finanziamenti per un maggiore profilo qualitativo L’industria videoludica poi sta diventando più matura e quindi avrà più facilità di contatto con i possibili acquirenti.
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livelli come forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership. Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il videogioco possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione.
Secondo lei, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
Cordara: Questo discorso è piuttosto delicato per una software house. Riguardo gli aspetti sociali temevamo ad esempio che l’inserire un alieno sfacciatamente omosessuale e con allusioni piuttosto forti in un titolo per
Dreamcast e PC chiamato Stupid Invaders, avrebbe generato un vespaio di polemiche mentre invece per il fatto che tutto era presentato con un certa ironia e la grafica era molto cartoonesca non ci ha creato alcun problema. Ancora più difficile è stato gestire, dopo l’11 settembre, il nuovo episodio di Rainbow Six (la saga di Tom Clancy n.d.a.).
Dopo aver deciso di togliere alcuni elementi come dirottamenti aerei ed altre situazioni ambientati in contesti aeroportuali, si è alzata la protesta degli appassionati che chiedevano il ripristino di tutti quegli elementi che rimandavano alla strettissima attualità.
Comunque credo che il compito primario di un videogioco sia quello dell’intrattanimento e del relax: questo non significa che non possano essere veicolati messaggi o informazioni.
Il videogioco poi, a volte, può andare invece controcorrente in una sorta di antimoralismo come accade nella serie di Carmageddon in cui si può guidare in maniera assolutamente criminale e si acquisiscono punti se vengono presi sotto i pedoni… Una interpretazione del divertimento puro…
Comunque, tornando alla saga di Tom Clancy, in uno degli episodi era allegata a parte un’enciclopedia sul terrorismo che inizia dagli anni ’60 ed arriva fino ai nostri giorni. Con una interfaccia molto videoludica, passavano molte informazioni interessanti.
Discorso a parte poi per quelle realizzazioni “no-profit” e dalla forte connotazione satirica che si possono trovare in rete e scambiati con una certa frequenza tramite E-Mail. So ad esempio di un giochino in cui si possono far ballare i membri del Parlamento Inglese.
Domanda: Il titolo della mia tesi è: "Si fa presto a dire... GAME OVER, Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso
intorno al videogaming dopo 50 anni di storia".
Ancora oggi, almeno per quella che è la mia esperienza in Europa, avere più
di 30 anni (o anche più di 25 come il sottoscritto) e dichiararsi videogiocatori significa subire ancora la derisione di alcuni, il videogioco non ha un riconoscimento istituzionale e degli intellettuali che hanno invece cinema, radio e TV pur se, a mio avviso, ha una capacità di racconto, narrazione e suggestività molto maggiore dei medium prima elencati.
La mia tesi è che si è creato il tipico meccanismo del cane che si morde la coda in cui i pregiudizi dei non videogiocatori hanno influenzato il modo di produzione dei videogiochi sempre comunque rivolto alle fasce più basse d'età continuando quindi a produrre il circolo vizioso.
Una parte di "colpa" però la attribuisco anche alla comunicazione delle software house che comunque non hanno provato (o forse non sono riuscite) ad imporre alcuni titoli degni di essere catalogati come opera d'arte in contesti diversi da quelli che possono essere i giornali e le riviste specializzate. Mi immagino ad esempio in un Maurizio Costanzo Show che oltre allo scrittore ed al cantautore di turno sia presente il game designer di Shadow Man a parlare del suo capolavoro. Voi che siete uno dei maggiori distributori italiani, saprebbe indicarmi una spiegazione del fenomeno?
Cordara: La domanda posta riguarda un aspetto molto importante ma al contempo difficile per le software house. Intanto Ubisoft ha deciso di uscire dalla comunicazione tipica di un'azienda del settore ed è divenuta sponsor della Asistel Milano, squadra di pallavolo maschile della A1. Riguardo i media di massa, c'è da una parte il problema del portafoglio di investimento che ancora è piuttosto limitato per l'industria dell'intrattenimento elettronico in Italia. Dall'altra ci sono gli uffici stampa che veicolano tutte le informazioni sulle nuove uscite a televisioni, radio, giornali e siti Internet ma solo con un legame ad un fatto di cronaca o di costume, ad una particolare contestualizzazione, al legame con un film (come è successo per Batman o il Pianeta Delle Scimmie) il videogioco "farà notizia".
Altrimenti, l'uscita di un nuovo prodotto senza nessuna correlazione che ho precedentemente descritto non avrà possibilità di essere veicolata dai mass-media. Il videogioco da solo non fa notizia anche se poi ci sono le eccezioni come Myst 3 che, dopo le 10 milioni di copie vendute dalla trilogia, suscita un certo interessa con interviste agli autori ed altro.
Riguardo poi i talk show, il problema in questo caso è che, come per gli altri campi da lei citati (cinema, musica), bisogna creare un “personaggio” e di questi, nel settore dei videogiochi, non ce sono che una decina, per di più tutti stranieri che difficilmente verranno in un Maurizio Costanzo Show. Certo, poi ci sono anche delle ragioni economico-strutturali alla poca presenza dei videogiochi in TV, ma di autori di videogiochi da mandare in TV ne esistono pochi anche perchè il videogioco ha una forte natura collettiva nella sua parte creativo-realizzativa. Può succedere però che al Maurizio Costanzo Show ci sia l'esperto come è accaduto con Francesco Carlà.
Domanda: Ubisoft ha lanciato sul mercato da alcuni mesi la nuova linea Ubikids con il loro personaggio di punta, Rayman, che cercherà di aiutare i bambini nei compiti oltre ai corsi di lingue.
Lei pensa che l'edutainment impostato con una maggiore interattività e con più divertimento possa sostituire anche per la fascia di mercato adulta quelli che sono i tipici cd rom interattivi che nel corso degli anni hanno subito minime variazioni? Ho immaginato ad esempio un'avventura grafica in 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi in cui mentre giochiamo possiamo imparare le sue opere e la sua vita oppure una collana dedicata all'arte in cui le opere "prendono vita" e diventano il contesto in cui si svolgeranno vari tipi di azione. Ho preso come esempio Guernica di Picasso "Nella costruzione del nostro "videogioco", oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere "scene" diverse". Non voglio un giudizio sulla mia idea precisa, ma pensa che ci sono i margini per nuove forme di edutainment come io ho prospettato?
Cordara: E’ il caso di fare una distinzione in questo settore. Esistono due tipi di prodotti: da una parte c’è l’edutainment il cui target di riferimento è fra i 5 e 12 anni in cui il bambino impara giocando secondo degli schemi che si rifaranno agli studi di psicologia dell’apprendimento. Poi c’è il prodotto reference, ovvero titoli destinati ad un pubblico adulto dal contenuto culturale come possono essere enciclopedie multimediali o corsi di chitarra e pittura in cui comunque la componente ludica è minima o non presente. Negli ultimi anni mentre l’edutainment sta avendo una forte crescita con sempre più scuole fornite di laboratori informatici che comprano direttamente questi titoli, il reference sta avendo un periodo difficile dovuto alla forte diffusione di Internet in cui l’utente vede un grande serbatoio di informazioni gratuite ed anche frequentemente aggiornate. Le due tipologie come abbiamo detto sono molto differenti e reputo improbabile che l’edutainment possa elevare il suo target d’età di riferimento. Ci sono stati alcuni esempi come Versailles che ha goduto anche di una buona comunicazione ma poi è stato velocemente dimenticato. Il fatto è che si preferisce imparare qualcosa, ad esempio nei titoli gestionali, ad esempio come gli egiziani costruivano le piramidi senza però non avere la sensazione di stare usando un prodotto “educativo”. Come già affermato in precedenza, esistono delle regole codificate da cui è piuttosto difficile uscire.
Domanda: Infine le chiedo, quali potrebbero essere secondo lei le coordinate del futuro del videogaming?
Cordara: Credo che l’innovazione non sarà tanto nel linguaggio e nelle idee ma dei mezzi con cui giocheremo nel futuro. Mi sto riferendo al gioco on line e quindi alla possibilità del multiplayer ma anche alla prossime generazioni di telefonia mobile. Il gioco non sarà più relegato alla nostra camera in casa ma potremo farlo in ogni momento ed in ogni luogo tramite i nuovi cellulari che avranno possibilità grafiche simili a quelle di un computer da casa. Dovrà passare ancora qualche anno ma tutti gli osservatori del settore vedono nella fine della forzata staticità delle postazioni da gioco, la frontiera più importante per l’industria del software videoludico.
Mi auguro poi che il gioco e videogioco vengano finalmente recepiti in maniera diversa da chi ha più di 30 anni. Oggi si considera un’attività liberatoria solo quella che procura uno “”sfogo fisico” mentre fare uno sforzo intellettuale viene considerato dalla maggioranza esclusivamente come una perdita di tempo. Però credo che con la crescita di tutto il settore, con investimenti pubblicitari che potranno elevarsi, le cose potranno finalmente cambiare anche con un interesse del mondo dei media che inevitabilmente si troverà quasi obbligato a recepire il videogioco come argomento di primaria importanza.
Lorenzo Ferrari Ardicini
Group Product Manager Halifax
Domanda: Come già accennato in precedenza, ho posto molta attenzione nella mia tesi a quelli che potrebbero essere nuovi contenuti, nuovi tipi di narrazione, nuove forme estetiche, nuovi target, nuovi personaggi per il videogioco. Lei crede che ci siano gli spazi nel mondo del videogaming per forme nuove ed alternative a quelle esistenti? (in un parallelo con il cinema, intendo tutti quei pubblici di nicchia che comunque rappresentano una buona fetta del mercato cinematografico anche se minoritari)
Ferrari-Ardicini: Ci sono sempre spazi per forme alternative. Mi spiego: il videogioco, a differenza del cinema e degli altri media, è strettamente legato all’evoluzione tecnologica, che è sempre in movimento. Col rendersi disponibile di nuove tecnologie diventano possibili anche nuove forme di intrattenimento, soprattutto per il media videogioco che è per sua natura predisposto a una convergenza superiore a tutti gli altri media. Questo si è sempre verificato in passato ed è facile prevedere che continui in modo invariato. L’unico limite è la creatività umana che sfrutta i mezzi e l’aspetto economico, che è più pesante di quanto possa sembrare, specialmente in un momento, come quello attuale, in cui il videogioco è un fenomeno di appannaggio per pochi e inizia a richiedere investimenti molto forti.
Domanda: Sono stati pochissimi i casi in cui sono stati prodotti videogiochi
sponsorizzati (ricordo solo Pepsi Challenge e McDonald's Global Gladiators). Secondo lei perché anche il mercato dei videogiochi non potrebbe acquisire maggiori entrate da varie forme di pubblicità? Immagino ad esempio in un gioco di calcio la vendita dei tabelloni nello stadio virtuale oppure, mi scusi l'ignoranza, non se sia già avvenuto ad esempio nei giochi Psygnosis di F1 ma comunque sarebbero sempre casi piuttosto isolati. Eppure un videogiocatore passa a volte decine di ore di fronte ad un gioco. Proprio in questi giorni la Findus sta pubblicizzando la possibilità di avere un videogioco in omaggio dedicato al Capitan Findus. Pensa che si ripeteranno esperimenti simili, ad esempio con un grande marchio tipo Nike o Coca Cola che si fa produrre un videogioco (se pur breve) da regalare in omaggio come forma nuova di immagine o promozione?
Ferrari-Ardicini: La sponsorizzazione all’interno del videogioco è una pratica in realtà più consolidata di quanto pensa. Ci sono moltissimi giochi che, pur non legandosi nel nome a un brand in particolare, ne riportano all’interno in varie posizioni (ad es: Wipeout, moltissimi giochi di guida basati su licenze reali come Colin McRae Rally 2, ShadowMan, David Beckam Soccer, MX 2002,…). Tuttavia, queste forme di sponsorizzazione non danno origine nella maggior parte dei casi a entrate dirette. Si tratta infatti di operazioni di co-branding che sono finalizzate principalmente alla comunicazione e che, dal punto di vista del videogioco, gli attribuiscono una maggior credibilità e, alle volte, anche un maggior realismo. Inoltre, a differenza dei mezzi di comunicazione più tradizionali, risulta anche particolarmente difficile stabilire l’efficacia effettiva di una comunicazione all’interno di un videogioco. E conseguentemente risulta ancor più difficile proporre a un partner potenziale uno spazio a fronte di un costo quantificato. Il secondo caso che propone all’interno della domanda riguarda invece un caso un po’ diverso, ovvero un videogioco prodotto esclusivamente con finalità di comunicazione. Questo è un caso molto difficoltoso principalmente a causa dei costi di sviluppo di un videogioco. Utilizzare infatti un budget inferiore a quelli solitamente accordati, significa anche ottenere un videogioco di qualità mediocre, che in questi casi è più dannoso che altro. Ma è comunque un’alternativa interessante che diventa però un mezzo di comunicazione valido solo e soltanto nel momento in cui il videogioco diventa un media popolare tanto quanto il cinema o la televisione.
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livelli come forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership. Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il videogioco possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione.
Secondo lei, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
Ferrari-Ardicini: Lo sviluppo di un videogioco per internet ha costi spaventosamente inferiori rispetto a quelli derivanti dallo sviluppo di un gioco vendibile al pubblico. Per questo, i presupposti di un maggior utilizzo del videogioco in questo campo è sicuramente più probabile poiché con un investimento relativamente basso si ottiene una visibilità aggiuntiva. Ma internet è già molto affollata di per sé, quindi bisognerebbe poi anche investire in pianificazione pubblicitaria su internet stessa per comunicare l'iniziativa e attirare i visitatori. In questo settore c’è sicuramente un futuro, tanto più ampio quanto più è ipotizzabile un abbassamento dei costi all’entrata al rendersi disponibile di nuove tecnologie.
Per quanto riguarda l’uso del videogioco come strumento di “propaganda” o “persuasione” sono un po’ scettico. Non dimentichiamoci che l’obiettivo iniziale con cui i giochi vengono creati è l’intrattenimento; la persuasione è difficile da raggiungere visto che comunque, come già sottolineato, il videogioco non è ancora un mezzo sufficientemente diffuso per poter diventare strumento di persuasione. A parte questo, lo riterrei anche un uso piuttosto improprio. Dispensare informazioni o voler comunicare un messaggio è assolutamente tollerabile e anche auspicabile così come lo è per qualsiasi forma d’arte. Poi si può essere d’accordo oppure no, ma parlare di persuasione mi sembra un po’ eccessivo.
Domanda: Il titolo della mia tesi è: "Si fa presto a dire... GAME OVER, Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso
intorno al videogaming dopo 50 anni di storia".
Ancora oggi, almeno per quella che è la mia esperienza in Europa, avere più
di 30 anni (o anche più di 25 come il sottoscritto) e dichiararsi videogiocatori significa subire ancora la derisione di alcuni, il videogioco non ha un riconoscimento istituzionale e degli intellettuali che hanno invece cinema, radio e TV pur se, a mio avviso, ha una capacità di racconto, narrazione e suggestività molto maggiore dei medium prima elencati.
La mia tesi è che si è creato il tipico meccanismo del cane che si morde la coda in cui i pregiudizi dei non videogiocatori hanno influenzato il modo di
produzione dei videogiochi sempre comunque rivolto alle fasce più basse
d'età continuando quindi a produrre il circolo vizioso.
Una parte di "colpa" però la attribuisco anche alla comunicazione delle software house che comunque non hanno provato (o forse non sono riuscite) ad imporre alcuni titoli degni di essere catalogati come opera d'arte in contesti diversi da quelli che possono essere i giornali e le riviste specializzate. Mi immagino ad esempio in un Maurizio Costanzo Show che oltre allo scrittore ed al cantautore di turno sia presente il game designer di Shadow Man a parlare del suo capolavoro. Voi che siete uno dei maggiori distributori italiani, sapreste indicarmi una spiegazione del fenomeno?
Ferrari-Ardicini: In Italia non esiste ancora la cultura del videogioco, mentre in altri paesi, anche europei, il videogioco è visto come un qualunque altro tipo di intrattenimento, paragonabile ad esempio al cinema.
I motivi che spiegano questa “sottovalutazione” del videogioco sono numerosi. In primo luogo il mercato è molto di nicchia e pertanto il videogiocatore è sempre visto dall’esterno con un occhio di disprezzo; diciamo anche che gli stessi videogiocatori si compiacciono nel definirsi appartenenti a un’élite, cosa che non fa che alimentare il senso di emarginazione. Inoltre non sono tantissimi i videogiochi che si possono definire “opere d’arte” e nella maggior parte dei casi non sono mai giochi che raggiungono un pubblico vasto; ovvero non sono mai in vetta alle classifiche di vendita. Questo significa anche che chi parla di videogiochi (operatori media, intendo) spesso non ha nemmeno una panoramica completa del mondo di cui discute e quindi non è nemmeno a conoscenza dell’esistenza di queste “opere d’arte”. Inoltre è comunque un dato di fatto il preconcetto esistente nella mentalità italiana/europea: videogiochi = violenza = divertimento senza senso = amoralità = immaturità.
L’unica pecca di cui si possono accusare le software house è l’incapacità di osare per paura di perdere le proprie posizioni acquisite e gli equilibri all’interno del proprio settore.
Domanda: Ubisoft ha lanciato sul mercato da alcuni mesi la nuova linea Ubikids con il loro personaggio di punta, Rayman, che cercherà di aiutare i bambini nei compiti oltre ai corsi di lingue.
Lei pensa che l'edutainment impostato con una maggiore interattività e con più divertimento possa sostituire anche per la fascia di mercato adulta quelli che sono i tipici cd rom interattivi che nel corso degli anni hanno subito minime variazioni? Ho immaginato ad esempio un'avventura grafica in 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi in cui mentre giochiamo possiamo imparare le sue opere e la sua vita oppure una collana dedicata all'arte in cui le opere "prendono vita" e diventano il contesto in cui si svolgeranno vari tipi di azione. Ho preso come esempio Guernica di Picasso Nella costruzione del nostro "videogioco", oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere "scene" diverse". Non voglio un giudizio sulla mia idea precisa, ma pensa che ci sono i margini per nuove forme di edutainment come io ho prospettato?
Ferrari-Ardicini: Giochi come quelli da lei descritti per la verità esistono già; ovvero giochi (che sono principalmente GIOCHI) che hanno uno sfondo educativo: parlo dei titoli di Cryo come Versailles – Alla corte del Re Sole e altri che sono usciti all’interno della medesima collana.
Sono sicuramente esperimenti interessanti perché effettivamente si propongono come obiettivo l’educazione attraverso l’intrattenimento e, sotto questo punto di vista, hanno sicuramente un maggior appeal rispetto alle controparti reference. Tuttavia, giochi come questi non hanno mai avuto un grande appeal almeno sul nostro mercato (Italia); a mio parere il motivo principale è sempre lo stesso: chi utilizza il pc per giocare? Per lo più certamente i ragazzi. E con cosa preferiscono giocare: Versailles o Quake 3? Credo che non sia necessario dare la risposta a questa domanda. Del resto, chi compra un videogioco per usarlo personalmente, non ha altro scopo che divertirsi. Quindi sì, in teoria ci possono essere margini per forme di edutainment come quello da lei prospettato, ma per ora non di certo in Italia e comunque, l’intrattenimento puro “tira” decisamente di più…
Domanda: Infine le chiedo, quali potrebbero essere secondo lei le coordinate del futuro del videogaming?
Ferrari-Ardicini: Online, online e online… questa è la tendenza principale e non solo per i PC, ma anche per le console. E il lato console è molto più affidabile in termine di percezioni future rispetto a quello PC: tutte le console di nuova generazione includono questa possibilità. E inoltre, videogioco “interattivo” nello stesso senso della “tv interattiva”.
Ad esempio, gioco nel fantastico mondo di Shadowman e, arrivato al culmine del gioco, sono talmente preso che non posso fare a meno di chiedermi “ma dove li trovo gli occhiali che usa shadowman e quanto potrebbero costarmi?”. Niente di più facile: metto in pausa il gioco, accedo alla schermata dell’inventario, clicco sulla figura di Shadowman e vedo che non solo ha degli occhiali scuri di RayBan, ma addirittura ha una camicia bianca Armani, dei jeans Diesel e un paio di Adidas Stan Smith.
“Fantastico! Vorrei averli anch’io…” clicco sulla camicia e mi collego direttamente (senza dover aprire connessioni, accessi remoti e altre cose che nel 90% dei casi non funzionano) all’online shop di Emporio Armani, dove posso tranquillamente eseguire il mio acquisto e vedermi recapitato a casa il capo scelto. Questo è un po’ il concetto che prenderà piede con la televisione interattiva, anche se la strada è ancora lunga e subordinata al miglioramento tecnologico e al diffondersi della cultura digitale (che è poi la stessa del videogioco di cui parlavo prima) tra la gente. Quest’ultima è forse la barriera più forte, almeno in Italia, per oltrepassare la quale probabilmente sarà necessario attendere i cambi generazionali; quando cioè, in poche parole, i videogiocatori di oggi avranno il potere d’acquisto di un genitore.
Sabina Mastropasqua
Software Group Manager Leader
Il mondo dei videogiochi è in continua evoluzione.
Si è passati dai classici giochi da puro intrattenimento a piccoli
capolavori dai contenuti sempre più ampi e complessi.
I nuovi giochi si rivolgono quindi ad un pubblico che oltre al semplice
divertimento cerca anche una forma di intrattenimento ricca di
contenuti.
Il settore del family in Italia non è sviluppato come in altri paesi
europei quali per esempio Francia e Germania. Rappresenta infatti solo
un 6/7% del mercato contro il 17% della Francia. Particolarmente
ristretta è poi la quota di mercato riferita ai cosiddetti prodotti
reference. Si nota tuttavia un leggero miglioramento, grazie ad una
maggiore penetrazione dei computer nelle famiglie e alla presenza dei
primi laboratori di informatica nelle scuole italiane, a partire dai
primi anni dell'istruzione scolastica. Esistono già sul mercato una
serie di prodotti a contenuto culturale e informativo in generale, con
impostazioni 3D che "guidano" l'utente nel corso di viaggi virtuali
volti all'approfondimento di particolari argomenti. In generale, nel
settore del family c'è una costante ricerca di nuovi elementi che
portino ad una forma di attività ludo-educativa sempre più attraente. I
prodotti educativi in particolare si basano sui curriculum scolastici,
ponendosi come obiettivo quello di insegnare divertendo.
C'è sempre una maggiore attenzione da parte di grandi industrie di vari
settori verso il mondo dei videogiochi. Seppur forse non sviluppata ad
amplissimi livelli, la sinergia fra mondo games e grandi industrie, si
sta rivelando sempre più diffusa e appetibile. Le grandi aziende sono
spesso presenti nei videogiochi, penso ad esempio ad un titolo
distribuito in questi giorni da Leader su cui compare già in copertina
il marchio Pepsi e addirittura il titolo del gioco prende a prestito il
famoso marchio (Pepsi Max Extreme Sports). Altre forme di
sponsorizzazione riguardano la presenza dei marchi all'interno dei
giochi. Per esempio, in particolare nelle simulazione di guida appaiono
i marchi sulle cartellonistiche a bordo pista o addirittura le
sponsorizzazioni sulle auto o sulle moto.
Quindi il mondo dei videogiochi sta conquistando sempre più terreno in
ambiti diversi da quelli strettamente legati alla propria industria.
Anche l'industria cinematografica si affaccia sempre più al mondo del
videogioco, sia concedendo licenze per le versioni games di film famosi,
sia prendendo a prestito i personaggi dei videogiochi per farne delle
star del grande schermo. Si pensi a La Mummia, uscito di recente su
Playstation 2 oppure alle eroine di Final Fantasy e Tomb Raider,
approdate nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
Una major come Vivendi Universal ha aperto una divisione multimediale e
addirittura il mondo del giocattolo si è affacciato su questo mercato
(si pensi alle divisioni multimedia di Lego e Mattel), o il settore
editoriale (per esempio De Agostini) e dell'home entertainment (è il
caso di Medusa). Il tutto a dimostrare che il mondo games sta sbarcando
in molteplici settori.
A conferma di quanto scrive nella sua mail, è sempre maggiore il numero
delle società (sia pubbliche che private) che si affidano a sviluppatori
per la creazione di videogiochi studiati ad hoc per pubblicizzare i
propri prodotti e/o progetti, considernadoli quindi un ottimo veicolo di
informazione.
E di recente è stato lanciato sul mercato un titolo (Real War),
originariamente sviluppato dal Ministero della Difesa americano per
l'addestramento alla comunicazione fra reparti diversi delle forze
armate USA dei propri ufficiali.
In quanto all'utente tipo del videogioco, l'età media dei
videogiocatori si sta innalzando e i gamers si trovano fra tutte le
fasce d'età, le professioni e i ceti sociali. Non ci troviamo quindi più
di fronte all'adolescente impegnato in uno spara spara, ma ad un utente
sempre più raffinato ed esigente che cerca una forma di intrattenimento
che oltre a distendere abbia anche dei contenuti.
Inoltre, in questi ultimi tempi si è notata anche una espansione dei videogiochi verso il mercato cosiddetto di massa, a dimostrazione del fatto che il potenziale numerico di giocatori ha avuto una crescita quasi esponenziale.
Pur non arrivando ai livelli di Gran Bretagna e Germania, per esempio, i
videogiochi sono sempre più presenti nella grande distribuzione, luogo
deputato agli acquisti delle famiglie e non quindi di utenti
specializzati e "core gamers".
In breve, gli sviluppi degli ultimi anni fanno pensare che il mercato
dei videogiochi sia in costante crescita, anche grazie all'uscita di
nuove piattaforme di gioco (si pensi alla nuova Playstation, al Game
Cube Nintendo e a X-Box Microsoft).
Elena Morlacchi
Responsabile Marketing Cidiverte
Domanda: Ho posto molta attenzione nella mia tesi a quelli che potrebbero essere nuovi contenuti, nuovi tipi di narrazione, nuove forme estetiche, nuovi target, nuovi personaggi per il videogioco.
Crede che ci siano gli spazi nel mondo del videogaming per forme nuove
ed alternative a quelle esistenti? (in un parallelo con il cinema, intendo
tutti quei pubblici di nicchia che comunque rappresentano una buona fetta
del mercato cinematografico anche se minoritari rispetto al mainstreaming)
Morlacchi: Le nicchie esistono ma nei videogiochi sono diverse rispetto a quelle del cinema. Nell’intrattenimento elettronico riguardano soprattutto le simulazioni, da quelle di volo alle managerial- calcistiche che hanno un loro pubblico molto fedele a distanza di anni come anche i giochi di guerra non di azione ma strategici.
Domanda: La Ubisoft ha lanciato da qualche mese la linea Ubikids con il
suo personaggio di punta, Rayman, che cercherà di aiutare i bambini nei
compiti oltre ai corsi di lingue.
Pensa che l'edutainment impostato con una maggiore interattività e con
più divertimento possa sostituire anche per la fascia di mercato adulta
quelli che sono i tipici cd rom interattivi che nel corso degli anni hanno
subito minime variazioni?
Ho immaginato ad esempio un'avventura grafica in 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi in cui mentre giochiamo possiamo imparare le sue opere e la sua vita oppure una collana dedicata all'arte in cui le opere "prendono vita" e diventano il contesto in cui si svolgeranno vari tipi di azione. Ho preso come esempio Guernica di Picasso "Nella costruzione del nostro "videogioco", oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere "scene" diverse".
Non voglio un giudizio sulla mia idea precisa, ma pensate che ci sono i
margini per nuove forme di edutainment come io ho prospettato?
Morlacchi: C’è subito da fare una distinzione tra l’Italia dove l’ edutainment è ancora un mercato di nicchia e gli altri paesi europei in cui invece è già una realtà affermata anche se, molto recentemente, qualche passo in avanti si sta facendo nel nostro paese.
Il problema comunque nasce da una certe diffidenza del genitore che ancora non vede il computer e soprattutto il videogioco come strumento in grado di insegnare o comunque di supporto allo studio ma solo come una perdita di tempo, l’esatta antitesi dello studio. Credo che sia soprattutto per questo motivo che siamo ancora fermi alle enciclopedie multimediali. Reputo però l’edutainment uno dei campi in cui si potrà avere un maggiore sviluppo del mercato negli anni a venire.
Domanda: Sono stati pochissimi i casi in cui sono stati prodotti videogiochi
sponsorizzati (ricordo solo Pepsi Challenge e McDonald's Global Gladiators). Secondo voi perchè anche il mercato dei videogiochi non potrebbe acquisire maggiori entrate da varie forme di pubblicità? Immagino ad esempio in un gioco di calcio la vendita dei tabelloni nello stadio virtuale; non se già avviene ad esempio in altri titoli ma comunque sarebbero sempre casi piuttosto isolati.
Eppure un videogiocatore passa a volte decine di ore di fronte ad un gioco. Proprio in questi giorni la Findus sta pubblicizzando la possibilità di avere un videogioco in omaggio dedicato al Capitan Findus. Pensate che si ripeteranno esperimenti simili, ad esempio con un grande marchio tipo Nike o Coca Cola che si fa produrre un videogioco (se pur breve) da regalare in omaggio come forma nuova di immagine o promozione?
Morlacchi: La pubblicità all’interno dei videogiochi per ora è limitata alle grandi brand multinazionali che possiamo vedere ad esempio nei tabelloni della serie Fifa Soccer. Per il resto, quello dei videogiochi viene considerato come un mercato nuovo, ancora non riconosciuto e se analizziamo la situazione presente, in particolare in Italia, si possono solo pensare a delle forme di collaborazione come cambi merce o promozione e non la vendita di spazi pubblicitari anche all’interno dei titoli di punta.
Riguardo invece il videogioco-promo come quello di Capitan Findus, abbiamo già avuto dei contatti con alcune agenzie di pubblicità che si informavano della nostra disponibilità a realizzare prodotti simili quindi non è da escludere che il fenomeno possa ripetersi e diventare abituale.
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livello come forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership. Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto
circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto
clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il videogioco
possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione.
Secondo voi, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
Morlacchi: Oggi come oggi non mi sembra proprio che ci siano grandi prospettive per questo genere di uso ma se il videogaming diverrà un fenomeno più di massa non lo escluderei.
Domanda: Il titolo della mia tesi è: "Si fa presto a dire... GAME OVER, Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso
intorno al videogaming dopo 50 anni di storia".
Ancora oggi, almeno per quella che è la mia esperienza in Europa, avere più
di 30 anni (o anche più di 25 come il sottoscritto) e dichiararsi
videogiocatori significa subire ancora la derisione di alcuni, il videogioco
non ha un riconoscimento istituzionale e degli intellettuali che hanno
invece cinema, radio e TV pur se, a mio avviso, ha una capacità di racconto,
narrazione e suggestività molto maggiore dei medium prima elencati.
La mia tesi è che si è creato il tipico meccanismo del cane che si morde la
coda in cui i pregiudizi dei non videogiocatori hanno influenzato il modo di
produzione dei videogiochi sempre comunque rivolto alle fascie più basse
d'età continuando quindi a produrre il circolo vizioso.
Una parte di "colpa" però la attribuisco anche alla comunicazione delle
software house che comunque non hanno provato (o forse non sono riuscite) ad imporre alcuni titoli degni di essere catalogati come opera d'arte in contesti diversi da quelli che possono essere i giornali e le riviste
specializzate. Mi immagino ad esempio in un Maurizio Costanzo Show che oltre allo scrittore ed al cantautore di turno sia presente il game designer di
Max Payne a parlare della loro opera d'arte. Sapreste darmi una spiegazione del perché ciò non accade?
Morlacchi: Il problema è che, riguardo la situazione italiana, il videogioco non è ancora un vero fenomeno di massa.
Prendiamo ad esempio il mercato PC: c’è una base di 7.000.000 di macchine nel nostro paese ma solo il 25% utilizza il computer anche per giocare. Se facciamo un paragone di vendite fra quello che accade da noi e in Inghilterra, il rapporto è di 1 a 100…. Quasi a pensare che qui da noi, siamo ancora ai tempi degli antichi romani!
Certo, sarebbe importante “bucare” con titoli fuori dalle righe, far risalire l’iceberg, ma la cosa è ancora abbastanza difficile anche perché se pensiamo all’advertising nella televisione generalista, sono veramente in pochi a potersi permettere un budget promozionale così elevato per quegli spazi. Il problema è dell’immagine stereotipata del videogiocatore, del tipico “gamer” incallito che non si schioda dalla sua postazione se non per dormire e poco altro. Il fatto è che questi soggetti sono i veri opinion leader dell’utenza videoludica e quindi dal mondo dei videogiochi emerge soprattutto la loro figura a modello di tutti. Quando invece ci sono anche molti adulti che volentieri si distraggono con una partitina ad un bel titolo ma questi non emergono nell’immaginario collettivo dei media prima e di tutte le persone poi.
Anche in questo caso le cose stanno cambiando ma sempre piuttosto lentamente.
Domanda: Con Max Payne avete fatto due scelte coraggiose, un prezzo più basso rispetto al solito ed una pubblicità redazionale, esempio quasi unico nel campo.
E' stato un esperimento riuscito? E riguardo la comunicazione, non crede
che la vostra direzione, forse anche accentuandola maggiormente, potrebbe
avvicinare nuova fasce di pubblico al videogaming?
Morlacchi: Riguardo il discorso del redazionale, la nostra scelta è partita dall’esigenza di far scrivere anche alla stampa non specializzata di un videogame, cosa che sembra rimanere molto difficile!
E’ l’articolo usato per la pubblicità di Max Payne, ci è servito per uscire dalle righe ed aprirci ad altri media: in fin dei conti sia per il contenuto che per l’impaginazione, sembra veramente adatto ad essere inserito, ad esempio, nel Corriere Della Sera. Riguardo il prezzo, la nostra politica di commercializzare i titoli a dei prezzi più bassi su Pc (visto che su console non sarebbe possibile per la questione delle royalties), è iniziato nell’aprile del 2001 per allargare il concetto di acquisto di massa contro la pirateria e a distanza di circa 6 mesi, possiamo dire che l’esperimento sia positivamente riuscito.
Domanda: Sono usciti in questo periodo le versioni videoludiche dei quiz “Chi vuol essere miliardario” e “Quiz Show”.
Crede che possano essere dei fenomeni in grado di ampliare l’utenza tipica del videogaming?
Morlacchi: Entrambi i titoli sono produzioni internazionali localizzati anche per il mercato italiano in maniera ottima anche con delle buone idee di marketing: “Chi vuol essere miliardario” è promozionato direttamente nella trasmissione televisiva e questa è un buona vetrina mentre Quiz Show punterà invece sul prezzo più contenuto rispetto al concorrente.
In Inghilterra, Chi Vuol essere miliardario ha venduto nel giro di due settimane oltre un milione e mezzo di copie ma credo che in Italia non potrà ripetere questo exploit perchè non mi sembra che sia così atteso dall’utenza ma comunque sono fenomeni da tenere in considerazione per la strada della massificazione del mercato.
Molto più significativo sembra essere però il fenomeno “Harry Potter”: nel giro di una settimana dal suo lancio, è riuscito a balzare in testa alla classifiche di vendita anche in una catena di negozi come Media World, di solito frequentata dagli “hard-core” gamers.
Domanda: Infine le chiedo, quali potrebbero essere secondo lei le coordinate del futuro del videogaming?
Morlacchi: C’è un certo ottimismo fra gli addetti ai lavori riguardo il mercato italiano. Dopo due anni piuttosto bui, anche per un mercato giovane come quello dell’intrattenimento elettronico, tutti pensano che ci sono buone ragioni per pensare che dal 2002 inizierà una forte e duratura crescita.
Dal punto di vista delle console, il taglio dei prezzi operato da Sony per la sua Playstation 2 e l’immissione sul mercato di molti titoli dal forte appeal, contribuiranno ad una crescita esponenziale delle basi installate nelle case degli italiani. Si vocifera poi che nel corso del prossimo anno, il prezzo sarà ulteriormente ridotto e questa non può che essere una buona notizia potendo così avvicinare anche chi non si poteva permettere di giocare per ragioni economiche.
Non dimentichiamoci poi dell’X-box, la nuova macchina di Microsoft che uscirà in Italia nei primi mesi del prossimo anno.
Inizialmente il suo prezzo sarà piuttosto alto ma credo che nel giro di poco tempo potrà comunque affermarsi: solo un colosso come l’azienda di Bill Gates poteva dare del filo da torcere a Sony e questa concorrenza potrà solo fare del bene .
Ci sarà maggiore vivacità e brio in un mercato che fino a questo momento era involontariamente monopolizzato dalla multinazionale giapponese.
E non credo poi che X-Box “cannibalizzerà” il PC riguardo le applicazioni ludiche. Anche se in un primo momento era questo l’obiettivo ed il posizionamento sul mercato che voleva dare Microsoft, mi sembra che i piani si siano modificati perché il PC ha comunque un certo tipo di funzioni e di utenza diversi da quelli delle console: potrei anche essere smentita ma in questo momento credo che si continuerà a giocare per molto tempo anche sui computer.
La “guerrà” scoppierà tra PS2 ed X-Box ma anche su PC non mancheranno per il futuro tanti titoli di ottima fattura.
Il gioco on line invece rimane una questione piuttosto aperta, non sappiamo ancora bene quale potrà essere il suo futuro, almeno in Italia, visto che negli Stati Uniti è già un fenomeno piuttosto consolidato.
Ci sono opinioni piuttosto discordi non solo sul suo sviluppo ma anche se il servizio messo a disposizione debba essere o meno a pagamento e in quali forme. Alcuni sviluppatori si stanno indirizzando in questa direzione anche in Italia ma ancora è presto per dire se rimarrà una nicchia di utenza, come lo è oggi, o si allargherà al punto tale di comprendere l’intero ambito del mercato videoludico.
Luca “Zulù” Persico
99 Posse
Domanda: I 99 Posse sono una delle poche band italiane ad avere un rapporto piuttosto organico con le nuove tecnologie: dalla parte rom degli ultimi vostri CD nel quale era anche incluso un simpatico videogame, all'ultimo video (Stop That Train, realizzato completamente in computer grafica) che sembra uscito direttamente da un gioco fantasy (in particolare Warcraft).
Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto a fare queste scelte?
Zulù: Le nuove tecnologie ci incuriosiscono,anzi direi che ad incuriosirci sono le possibilità di comunicare più cose insieme, ad esse legate. Da sempre siamo circondati da compagni "bravi" con i computers, in grado cioè di trasformare delle idee in un cd rom o in un video e, perchè no, in un
videogame. Nella domanda ti sei dimenticato di mettere il sito, uno dei nostri vanti più grandi. Lavorare con queste tecnologie ti apre la testa verso nuovi orizzonti della comunicazione e come si sa, aprire le teste è un vecchio cruccio dell'autonomia, mia area politica di riferimento.
Domanda: E' possibile ipotizzare per il futuro nuovi incontri tra new media (in particolare il videogaming) ed i 99 Posse?
Zulù: Perchè no? Anzi ti dirò che da un pò di tempo “Marcoposse” si è fissato che vuole realizzare una versione per Pc e Mac del glorioso "Corteo".
Domanda: Perchè siete i pochi (se non gli unici) in Italia ad aver scelto come veicolo anche i new media come mezzo di espressione?
Zulù: Forse perchè siamo tra i pochi a considerare ancora la musica stessa principalmente un mezzo d'espressione.
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livelli come forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership.
Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il videogioco possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione.
Secondo te, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
In particolare ti chiedo per quale motivo, a differenza della musica, del cinema e della letteratura il videogioco non sembra usato da parte dei movimenti che potremmo definire per semplicità "no-global" o "alternativi" come mezzo per diffondere le proprie idee.
Ragioni strutturali (alto costo di produzione ecc.) o sono altre le motivazioni? Eppure sono in tanti a considerarlo (me compreso) un mezzo veramente potente per trasmettere alcuni contenuti.
Zulù: Da parte del potere ha già questa funzione da anni, ai movimenti mancano fondamentalmente i mezzi, ma comunque io stesso ho giocato ad uno spara spara in cui più SS ammazzavi più andavi avanti e alla fine, se eri veramente bravo avevi l'opportunità di ammazzare il fuhrer. L'antifascismo è più esteso di quanto non si creda in realtà.
Domanda: Legata alla domanda di prima, ci potranno mai esseri i corrispettivi 99 Posse, con la loro coscienza ed identità sociale e politica, nel videogaming?
Zulù: Lo auspico, certo che è possibile, mica i 99 sono supereroi, in ogni settore c'è della gente non inquadrata e magari disposta anche a fare qualcosa per cambiare le cose in questo fottuto paese. “Autonomen” programmatori, battete un colpo se ci siete.
Andrea Salvi
Senior Translator Nintendo of Europe ed Opinionista di Duel
Domanda: Come già accennato in precedenza, ho posto molta attenzione nella mia tesi a quelli che potrebbero essere nuovi contenuti, nuovi tipi di
narrazione, nuove forme estetiche, nuovi target, nuovi personaggi per il
videogioco. Credi che ci siano gli spazi nel mondo del videogaming per forme nuove ed alternative a quelle esistenti? (in un parallelo con il cinema,
intendo tutti quei pubblici di nicchia che comunque rappresentano una
buona fetta del mercato cinematografico anche se minoritari)
Salvi: Fare un buon videogioco sta diventando sempre più caro: occorrono squadre di figure professionali specializzate e mesi, a volte anni di produzione. Per fare un esempio, il processo di localizzazione del prodotto nelle varie lingue, che comprende la traduzione e il testing del software localizzato, sta diventando sempre più complesso e costoso, sia perché i giochi sono sempre più grandi e ricchi di testo, anche recitato, sia perché aumenta la qualità della localizzazione, avvicinandosi a quella del prodotto
cinematografico.
In generale, gli alti costi permettono soltanto alle grandi software house di produrre videogiochi "vendibili". Ciò non significa che non esistano pubblici di nicchia. Mi viene in mente un campo piuttosto specifico: la simulazione di volo civile. Esistono - anche in Italia - gruppi di appassionati che hanno creato compagnie di volo virtuali, e che - collegati ai vari aeroporti virtuali presenti nella rete, eseguono voli di linea esattamente corrispondenti a quelli reali, comprese tutte le lunghe e noiose procedure di sicurezza prima del decollo. La Ubi Soft, per esempio, da alcuni anni distribuisce anche in Italia gli "add-on" per i flight
simulator della Microsoft, che permettono di volare su un determinato aeroplano o di sorvolare una specifica città.
Insomma: un pubblico limitato, ma facoltoso e tendenzialmente fedele, che tende a premiare la qualità del prodotto. Un pubblico di nicchia che tuttavia le multinazionali come la Ubi Soft sono in grado di soddisfare, andando a selezionare e distribuendo le opere di piccole case di produzione sparse nel mondo. La tendenza è quindi, da una parte, una crescita costante degli investimenti, che in parte limita la creatività di piccoli produttori, ma dall'altra anche una diversificazione potenzialmente in grado di soddisfare pubblici di nicchia, ancorché attraverso il filtro, e l'amplificazione, delle grandi software house mondiali.
Domanda: La Ubisoft ha lanciato sul mercato da alcuni mesi la nuova linea
Ubikids con il suo personaggio di punta, Rayman, che cercherà di
aiutare i bambini nei compiti oltre ai corsi di lingue.
Pensi che l'edutainment impostato con una maggiore interattività e con
più divertimento possa sostituire anche per la fascia di mercato adulta
quelli che sono i tipici cd rom interattivi che nel corso degli anni
hanno subito minime variazioni?
Ho immaginato ad esempio un'avventura grafica in 3d ambientata nella
casa di Giacomo Leopardi in cui mentre giochiamo possiamo imparare le
sue opere e la sua vita oppure una collana dedicata all'arte in cui le
opere "prendono vita" e diventano il contesto in cui si svolgeranno
vari tipi di azione. Ho preso come esempio Guernica di Picasso "Nella
costruzione del nostro "videogioco", oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3d e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere "scene" diverse". Non voglio un giudizio sulla mia idea precisa, ma pensi che ci sono i margini per nuove forme di edutainment come io ho prospettato?
Salvi: Coniugare insegnamento e videogiochi è difficile, perché l'insegnamento, almeno per come lo conosciamo, prevede un rapporto "squilibrato" tra gli interlocutori, cioè tra chi trasmette il sapere e chi lo riceve. Per quanto si possano sviluppare sistemi di insegnamento "On demand", in cui lo studente può decidere il percorso del proprio apprendimento, ci dev'essere sempre il momento della spiegazione, della comunicazione a senso unico, che è di per sé la negazione dell'interattività su cui il videogioco si basa. Prima di poter applicare veramente un mezzo rivoluzionario come il videogioco all'apprendimento, occorrerebbe rivoluzionare l'apprendimento stesso, insegnando fin dall'inizio agli scolari e agli studenti a "cercare" il sapere, ad elaborarlo e a trasmetterlo. Il videogioco permette e pretende la confusione dei ruoli tra creatore e creatura, autore e fruitore, attore e pubblico, e quindi, potenzialmente, anche tra insegnante e studente. Ma questo implica una trasformazione nella gestione e nella diffusione del sapere che potrà avvenire - e che sta avvenendo - solo con grande lentezza.
Domanda: Sono stati pochissimi i casi in cui sono stati prodotti videogiochi
sponsorizzati (ricordo solo Pepsi Challenge e McDonald's Global
Gladiators). Secondo te perchè anche il mercato dei videogiochi non potrebbe acquisire maggiori entrate da varie forme di pubblicità? Immagino ad esempio in un gioco di calcio la vendita dei tabelloni nello stadio virtuale oppure, non so se già avviene in altri giochi comunque sarebbero sempre casi piuttosto isolati. Eppure un videogiocatore passa a volte decine di ore di fronte ad un gioco. Proprio in questi giorni la Findus sta pubblicizzando la possibilità di avere un videogioco in omaggio dedicato al Capitan Findus. Pensi che si ripeteranno esperimenti simili, ad esempio con un grande marchio tipo Nike o Coca Cola che si fa produrre un videogioco (anche se pur breve) da regalare in omaggio come forma nuova di immagine o promozione?
Salvi: Avendo lavorato nel reparto di marketing della filiale italiana di una grande software house, ti posso assicurare che le cosiddette operazioni di co-marketing, cioè la collaborazione con società di altri settori, sono una
priorità per l'industria dei videogiochi. Ma, soprattutto in Italia, nel
recente passato i videogiochi erano ancora considerati un prodotto di serie
B, e la collaborazione a livello di marketing trovava ancora serie
resistenza da parte dei grandi marchi di altri settori. Ora la situazione è
sicuramente cambiata. Potrei fare l'esempio dei Pokémon, che nascono come personaggi dei videogiochi per migrare con estremo successo ad altri media come la tv, il cinema e la carta stampata. Centinaia di prodotti rivolti ai bambini, dai gelati alle scarpe, sfruttano la licenza Pokémon. Il successo
dei Pokémon rappresenta un fenomeno di marketing interessante non tanto per la sua novità, ma proprio perché nasce dal mondo dei videogiochi.
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livello come
forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership. Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un
simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto
circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto
clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il
videogioco possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione. Secondo te, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
Salvi: I videogiochi sono impregnati di ideologia, non meno del cinema e della televisione. Se dovessimo giudicare i videogame soltanto da quel poco che raccontano, vi troveremmo soltanto banalissime varianti dello schema del racconto fiabesco, così come lo analizzò Propp: il protagonista, paladino del bene, si batte per ricostituire l'ordine che l'antagonista, rappresentante del male, vuole distruggere. Alla fine, il protagonista sarà premiato con un aumento del proprio prestigio all'interno di quel sistema per cui si è battuto. Pertanto, non mi stupisce affatto che il videogioco possa essere usato come mezzo di propaganda anche da guppi ideologici marginali o addirittura criminali. Va però notato che i videogiochi sono molto di più delle storie che sanno raccontare.
In Black and White, per esempio, ad un certo punto il giocatore è messo di fronte ad un fondamentale dilemma: scegliere il bianco o il nero, il bene o il male, questa o l'altra parte della barricata. In Dungeon Keeper, il famoso god game, il giocatore allevava creature malefiche nelle viscere della terra
per sconfiggere i paladini del bene, e per ridurre ridenti contrade in un
deserto di morte. La verità è che in un videogioco la "storia", con tutto
il suo carico ideologico, è così poco importante, che il giocatore può
trovarsi benissimo dalla parte "sbagliata", senza che ciò alteri minimamente la godibilità del gioco. Il videogioco è una struttura, un
universo, un luogo d'incontro, ed è proprio nella costruzione
dell'ambiente, nei parametri fissati per la sopravvivenza e l'azione
all'interno di quella struttura, che si può nascondere sua parte più
pericolosamente ideologica. I giocatori di Sim City si credono liberi di
costruire una città secondo i propri criteri, i propri gusti, le proprie
convinzioni, non pensando che le soluzioni da adottate per la gestione
della città potranno fallire o avere successo secondo parametri tutt'altro
che oggettivi, decisi in base all'idea che il programmatore ha di una
metropoli ben funzionante. In conclusione, il videogioco è uno strumento
ideologico né più né meno efficace dei media tradizionali, anche se in modo
diverso. Ma, per la sua stessa natura ludica e metamediatica, si presta
anche all'ironia, uno strumento fondamentale proprio per difendersi dal
carico ideologico che sempre contengono.
Domanda: Il titolo della mia tesi è: "Si fa presto a dire... GAME OVER, Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e
d'uso intorno al videogaming dopo 50 anni di storia".
Ancora oggi, almeno per quella che è la mia esperienza in Europa, avere
più di 30 anni (o anche più di 25 come il sottoscritto) e dichiararsi
videogiocatori significa subire ancora la derisione di alcuni, il
videogioco non ha un riconoscimento istituzionale e degli intellettuali che hanno invece cinema, radio e TV pur se, a mio avviso, ha una capacità di
racconto, narrazione e suggestività molto maggiore dei medium prima elencati.
La mia tesi è che si è creato il tipico meccanismo del cane che si
morde la coda in cui i pregiudizi dei non videogiocatori hanno influenzato il
modo di produzione dei videogiochi sempre comunque rivolto alle fasce più basse d'età continuando quindi a produrre il circolo vizioso.
Una parte di "colpa" però la attribuisco anche alla comunicazione delle
software house che comunque non hanno provato (o forse non sono
riuscite) ad imporre alcuni titoli degni di essere catalogati come opera d'arte in contesti diversi da quelli che possono essere i giornali e le riviste
specializzate. Mi immagino ad esempio in un Maurizio Costanzo Show che
oltre allo scrittore ed al cantautore di turno sia presente il game designer
di Sim City 3000 a parlare del suo capolavoro. Hai qualche idea a riguardo?
Salvi: Posso solo dire che la realtà italiana è ancora indietro rispetto ad altre, in cui il videogioco è entrato a far parte della vita di moltissimi
trentenni e quarantenni. E vorrei aggiungere una provocazione: sei certo
che un game designer sarebbe così interessante al Maurizio Costanzo Show? Non sarebbe molto più divertente sentir parlare un giocatore che sia
riuscito a creare, per esempio, una città di dieci milioni di abitanti in
Sim City, o qualcuno che abbia fatto il giro del mondo su un deltaplano
simulato? Questo per dire che "chi fa il videogioco" sono i giocatori, non
i game designer. Perché un programma televisivo rivoluzionario - nel bene e nel male - come il Grande Fratello ha così successo? Perché sembra
eliminare la barriera tra l'aldilà e l'aldiqua della rappresentazione, tra
chi guarda e chi è guardato, tra chi "fa il gioco" e chi lo fruisce. I
personaggi del Grande Fratello saranno anche noiosi, ma sono loro i
giocatori ed è giusto che l'attenzione si concentri su di loro e non sugli
autori del programma, per esempio. I videogiochi, secondo me, fanno parte
di una rivoluzione del costume e dei gusti già in atto, che passa anche
dalla reality tv. E' soltanto una questione di tempo. D'altra parte, anche
il cinematografo, al suo nascere era considerato una meraviglia da
baraccone, e ci vollero decenni perché iniziasse ad essere annoverato tra
le arti "nobili".
Domanda: Infine ti chiedo, quali potrebbero essere le coordinate del
futuro del videogaming?
Salvi: Nel futuro dei videogiochi non vedo tanto il cinema o la televisione,
quanto la realtà. Non un nuovo realismo, inteso come la fedele riproduzione
dell'esistenza quotidiana, ma una moltiplicazione di universi, tutti
perfettamente reali e simulati, in cui si ritroveranno migliaia di
giocatori collegati in rete, ma anche migliaia di personaggi simulati dal
computer, difficilmente distinguibili da quelli reali.
Helena Urfer
Responsabile per il Ministero della Sanità Svizzero della Campagna Stop Aids, del sito Internet e della promozione del gioco “Catch The Sperm – Stop Aids (Il gioco è descritto all’interno del capitolo “Next Generation: Le avanguardie dei Nuovi Giochi”)
Domanda: L’impostazione della vostra campagna Stop Aids è molto innovativa, sia nelle sue forme che nei contenuti. Riguardo poi il campo di mio interesse, i videogiochi, ha destato notevole interesse la vostra scelta di inserire un videogioco all’interno del sito. Quale è stato il motivo per cui avete pensato a “Catch The Sperm” per questa campagna di informazione?
Urfer: Il progetto nasce all'inizio del 2001 con la decisione di mettere on line un nuovo sito riguardo il problema Aids e della sua prevenzione visto che in Svizzera si stava creando un problema di banalizzazione della questione Aids, considerata da molti già una malattia guaribile o più in generale che il problema Aids non esistesse più.
Poi ricercando in Internet, abbiamo riscontrato di come già ci fosse una buona informazione e di qualità da parte di altri siti svizzeri ma quello che mancava era un buon numero di visitatori.
Partendo da questo assunto abbiamo deciso quindi di lavorare ad un progetto diverso rispetto agli esistenti e puntare a creare una visibilità pubblica del problema e poi reindirizzare i visitatori verso questi siti già esistenti e ricchi di contenuti. Volevamo quindi creare un sito in grado di attrarre i navigatori, ed abbiamo pensato al gioco come un buon “eye catcher” (letteralmente cacciatore d’occhio n.d.a.). Potremo considerare Catch the Sperm come la nostra vetrina virtuale per attrarre i passanti e farli poi entrare e navigare nel nostro sito.
Domanda: Nella schermata di presentazione del gioco in alto a sinistra è visibile anche il logo dell’Unicef. Ci può spiegare il motivo di questa presenza?
Urfer: E’ nata una collaborazione tra il Ministero della Sanità Svizzero e l’Unicef visto che su richiesta dell’Unicef stessa, abbiamo deciso di regalare la licenza del gioco a chi avesse voluto inserirlo in altri contesti internazionali sempre nel campo della prevenzione all’Aids. La produzione di un gioco è piuttosto costosa e molti enti non avrebbero potuto permettersela ed allora abbiamo voluto rendere il nostro gioco disponibile anche per altri soggetti in campo nella lotta all’Aids.
Domanda: Ha qualche dato sul successo di Catch The Sperm?
Urfer: Sinceramente non ci aspettavamo dei risultati del genere dal nostro videogioco! Dal 17 aprile di quest’anno, Catch The Sperm è stato scaricato 17 milioni di volte da ogni parte del mondo, in particolare in 87 paesi rappresentanti di ogni continente. Da campagna nazionale, il nostro sito è diventato uno strumento informativo e di prevenzione per tutto il mondo e la cosa non ci disturba affatto.
Pensiamo pure che in paesi come la Polonia e la Russia non esistono campagne di prevenzione all’Aids. La questione che invece ci ha creato qualche problema sono state le E-Mail che si possono spedire tramite Catch The Sperm. Ci sono arrivate migliaia di richieste di domande specifiche sulle varie forme di protezione ma di fronte alle richieste provenienti esternamente alla Svizzera, abbiamo sia un problema pratico nel rispondere a tutti, sia un problema di “credits” nazionali.
Domanda: Oltre al Ministero della Sanità Svizzero, altri soggetti come Esercito Italiano e presto quello americano hanno usato il videogioco come forma di promozione/comunicazione. Lei crede che sia possibile uno sviluppo del videogaming come mezzo di comunicazione per contenuti informativi? In particolare, dal suo punto di vista, per quanto riguardo le istituzioni.
Urfer: Come già accennato in precedenza, oltre ad essere un Eye catcher ed un gioco divertente, Catch The Sperm porta con sè un messaggio molto semplice ma allo stesso tempo riesce a dare al preservativo un’immagine positiva ed un crescente potenziale di simpatia. Però, almeno nel nostro caso, non potevamo fermarci al gioco, il nostro obiettivo era quello di dare maggiori informazioni e quindi prevenire maggiormente l’Aids. Quindi l’importanza della vetrina gioco con i suoi 17 milioni di download è stato importante ma comunque complementare ai contenuti testuali di informazione del sito. Questo è stata la nostra esperienza.
Domanda: Da una schermata del gioco si evince che Catch The Sperm avrà un seguito.
Urfer: Esattamente ed uscirà il 7 gennaio 2002 . Il Gioco sarà più sofisticato, con un nuovo design, più virus e batteri, nuovi livelli di gioco. Vogliamo catturare anche l’attenzione dei giocatori più incalliti che forse avranno trovato il primo episodio troppo semplice.
Dal punto di vista dei contenuti, vogliamo allargare il discorso alla prevenzione non solo dell’HIV ma a tutte le altre malattie trasmettibili sessualmente.
Inoltre anche i miei colleghi che stanno lavorando sulle campagne di prevenzione a tabacco ed alcool hanno deciso di promuovere una strategia simile on line. Visto che il problema comunicativo è simile a quello dell’AIDS (molti siti ma poco utenza) si è pensato di attirare l’attenzione, soprattutto dei più giovani, con altri due giochi.
Dovrebbe essere già disponibile in rete “Catch The Smoke”.
Gabriele Vegetti
Label Manager CTO
Presentazione: Lavoro nel campo dei videogiochi da diversi anni,
in vari settori (sviluppo, localizzazione, più recentemente sto spaziando
nel ramo marketing/comunicazione), in partnership con alcuni dei maggiori
publisher mondiali. Senza voler pretendere di essere un esperto nel settore
come le altre persone da te contattate, credo comunque di essermi formato
una certa esperienza "dietro le quinte" di questa industria.
In base a questa esperienza, vorrei dirti che molte delle idee riassunte
nella tua tesi sono senza dubbio interessanti, ed alcune di esse già in
discussione da qualche tempo. Purtroppo, per quanto riguarda molti di questi sviluppi il mezzo videogioco è ancora lontano dalla "maturità" da te
auspicata. Il motivo principale, tanto per cambiare, è il "vil denaro" che
muove, come sempre, mari e monti.
Oggi come oggi, i costi di sviluppo di un videogioco e il suo mercato sono
assolutamente sproporzionati.
Da una parte, la realizzazione di un videogioco è costosissima, e non sto
parlando solo dei titoli "kolossal", ma anche di prodotti più modesti. Per
raggiungere la qualità minima richiesta da un videogioco odierno, occorrono dei team di sviluppo composti da decine di persone che lavorano per mesi, a volte per anni.
Per non parlare della ELEFANTIACA struttura di marketing,
vendita e distribuzione necessaria a far arrivare il prodotto di tante
fatiche sul tuo PC o sulla tua console.
Dall'altro lato, il mercato (nel senso di numero di pezzi venduti) è ancora
inesorabilmente ristretto. Ancora una volta, non mi sto riferendo alle poche
eccezioni, ma al grosso della produzione, titoli di media levatura che però
costituiscono il 90% della produzione mondiale.
Ci troviamo quindi di fronte a questo contrasto: produzioni con budget
cinematografici che devono sopravvivere grazie alla vendita di poche
migliaia di unità in ciascun paese.
Anche il fumetto, tanto per fare un esempio a me vicino, è un mercato
estremamente ristretto, ma i costi di produzione sono immensamente inferiori a quelli di un videogioco, ed è per questo che, accanto ai prodotti più commerciali (Bonelli, manga, Marvel) riescono a sopravvivere produzioni minori ma molto interessanti ed innovative, magari destinate al solo circuito delle librerie specializzate.
Nei videogiochi, per il momento questo non è possibile; nessuno si prende la briga di investire in prodotti di sicuro insuccesso commerciale. E allora
avanti con i sequel dei sequel, con i tie-in cinematografici, con i cloni di
giochi di successo, di dubbio valore "artistico" ma che per lo meno
permettono di far quadrare i conti.
Ma forse tutte queste considerazioni le conosci già.
In questo scenario non proprio incoraggiante si inquadra la mia risposta alle tue domande.
Domanda: Come già accennato in precedenza, ho posto molta attenzione nella mia tesi a quelli che potrebbero essere nuovi contenuti, nuovi tipi di
narrazione, nuove forme estetiche, nuovi target, nuovi personaggi per il
videogioco. Tu credi che ci siano gli spazi nel mondo del videogaming per forme nuove ed alternative a quelle esistenti? (in un parallelo con il cinema, intendo tutti quei pubblici di nicchia che comunque rappresentano una buona fetta del mercato cinematografico anche se minoritari)
Vegetti: Videogiochi a contenuto "alternativo" e/o innovativo: ci sono stati tanti esperimenti, alcuni abortiti sul nascere, altri che hanno raggiunto gli
scaffali e lì sono purtroppo rimasti a prendere polvere. Un esempio lampante è proprio il "Nirvana" da te citato; il videogioco tratto dal film si
pregiava di un'ideazione assolutamente originale, inusuale ed interessante,
che riprendeva e sviluppava alcuni dei concetti del film: il gioco nel
gioco, la tecnologia vista da dentro, ecc. Addirittura fu uno dei primi
giochi che prevedeva dei passaggi per i quali era necessario un collegamento Internet per la consultazione di particolari siti, ben quattro anni prima del recente "Majestic" di EA. Purtroppo era funestato da una realizzazione tecnica non all'altezza, ma non fu questa la causa del suo clamoroso insuccesso: semplicemente non furono capite (neanche dalla critica specializzata) le sue potenzialità innovative, per quanto abbozzate. Di esempi come questi ce ne sono a dozzine. E, per proseguire la tua analogia cinematografica, non c'è nessun festival di "videogioco d'autore" pronto a valorizzare produzioni di nicchia come queste.
Domanda: La Ubisoft ha lanciato sul mercato da alcuni mesi la nuova linea Ubikids con il suo personaggio di punta, Rayman, che cercherà di aiutare i bambini nei compiti oltre ai corsi di lingue.
Lei pensa che l'edutainment impostato con una maggiore interattività e con
più divertimento possa sostituire anche per la fascia di mercato adulta
quelli che sono i tipici cd rom interattivi che nel corso degli anni hanno
subito minime variazioni?
Ho immaginato ad esempio un'avventura grafica in 3D ambientata nella casa di Giacomo Leopardi in cui mentre giochiamo possiamo imparare le sue opere e la sua vita oppure una collana dedicata all'arte in cui le opere "prendono vita" e diventano il contesto in cui si svolgeranno vari tipi di azione. Ho preso come esempio Guernica di Picasso "Nella costruzione del nostro "videogioco", oltre ad avere a disposizione gli elementi tradizionali per questo genere, potremmo muovere un personaggio immerso nella riproposizione del quadro in 3D e a seconda del punto che sceglierà, Guernica diverrà viva, durante il mercato prima del bombardamento e potremmo vedere "scene" diverse".
Non voglio un giudizio sulla mia idea precisa, ma pensi che ci sono i
margini per nuove forme di edutainment come io ho prospettato?
Vegetti: L'edutainment è invece un fenomeno (negativo) prettamente italiano. In altri paesi, come la Francia o l'Europa del nord, il mercato edutainment gode di buona salute ed esistono diverse collane piuttosto interessanti. In Italia, invece, è sempre stato un esperimento fallimentare. In generale, ti rispondo: non è che le tue idee non siano buone, i mezzi e la creatività per realizzare "giochi" di questo tipo ci sono, ma semplicemente non si troverà ancora per un certo tempo gente disposta a finanziare generosamente questi progetti.
Domanda: Sono stati pochissimi i casi in cui sono stati prodotti videogiochi
sponsorizzati (ricordo solo Pepsi Challenge e McDonald's Global Gladiators). Secondo te perchè anche il mercato dei videogiochi non potrebbe acquisire maggiori entrate da varie forme di pubblicità? Immagino ad esempio in un gioco di calcio la vendita dei tabelloni nello stadio virtuale o non so se già avviene ad esempio in altri titoli ma comunque sarebbero sempre casi piuttosto isolati.
Eppure un videogiocatore passa a volte decine di ore di fronte ad un gioco. Proprio in questi giorni la Findus sta pubblicizzando la possibilità di avere un videogioco in omaggio dedicato al Capitan Findus. Pensi che si ripeteranno esperimenti simili, ad esempio con un grande marchio tipo Nike o Coca Cola che si fa produrre un videogioco (anche se pur breve) da regalare in omaggio come forma nuova di immagine o promozione?
Vegetti: Per contro, la sponsorizzazione nei videogiochi è ormai una prassi
consolidata. Non si arriva per il momento a sponsorizzare il titolo del
gioco o a farsi produrre un gioco "ad hoc", ma i marchi fanno ormai capolino ovunque: nei tabelloni a bordo campo di FIFA, sulle piste dei giochi automobilistici, sulle tute degli snowboarder... ovviamente il genere
sportivo è il più martellato, e per il momento non si è ancora visto un Max
Payne vestito Armani, ma non credo che questo momento sia così lontano... e poi, che cosa sono gli innumerevoli giochi dedicati ai Pokemon o alla Barbie (che vendono milioni di copie) se non dei veicoli pubblicitari per vendere pupazzi e merchandising vario (e viceversa)?
Per contro, non vedo bene un giochino pubblicitario sponsorizzato dalla
Coca-Cola e distribuito gratuitamente... queste operazioni troppo spudorate
di solito non vengono ben accolte; la pubblicità è più efficace quando è
subdola...
Domanda: Nel sito dell'esercito italiano c'è un gioco a tre livello come forma di avvicinamento dell'istituzione ai giovani ed anche il ministero della difesa americano sta compiendo lo stesso tipo di operazione anche se con uno spessore più ampio con importanti partnership. Il ministero della Sanità svizzero nel sito dedicato alla lotta contro l'Aids ha inserito un simpatico giochino chiamato "Catch The Sperm - Stop Aids" che mette in palio dei gadget ogni settimana e raccoglie l'interesse di migliaia di giovani.
Durante la fine degli anni '80, gruppi neonazisti tedeschi hanno fatto circolare clandestinamente giochi razzisti che hanno ottenuto un vasto
clamore in tutta Europa. Tutti esempi se pur diversi di come il videogioco
possa essere uno strumento di propaganda, informazione e persuasione come già hanno fatto altri media come la musica, il cinema e la televisione.
Secondo te, anche questo nuovo utilizzo del videogaming avrà uno sviluppo ed un futuro?
Vegetti: Credo che elementi di tipo persuasivo/propagandistico faranno purtroppo (o per fortuna, a seconda del messaggio veicolato) la loro comparsa in modo sempre più massiccio anche nei videogiochi, come ormai è prassi comune nel cinema e nella televisione. Ma, anche in questo caso, il messaggio, buono o cattivo che sia, risulta più efficace quando è mescolato ad altri elementi più consueti, piuttosto che costituire il fulcro del gioco.
Già un gioco di guerra in cui si comandano le truppe di un paese contro
quelle di un altro, senza che sia possibile scambiare le parti, è una scelta
ideologica e propagandistica ben precisa. Se poi si inseriscono elementi
semi-subliminali quali ad esempio espressioni dispregiative nei confronti
del "nemico", puoi immaginarti dove si potrebbe arrivare. Non so se ti ricordi un piccolo scandalo scoppiato qualche anno fa a proposito di X-Wing vs. Tie Fighter (nel quale fui io stesso marginalmente coinvolto in quanto mi occupavo della localizzazione italiana del gioco), in cui i nomi di alcune astronavi Imperiali "cattive", se letti al contrario, diventavano nomi di popolazioni: "Irish", "Italian", ecc. Il caso arrivò anche ai TG nazionali, gettandoci tutti nello sconcerto poichè nessuno di noi si era mai accorto di nulla. Alla fine i progettisti del gioco dovettero chiedere scusa...
Domanda: Il titolo della mia tesi è: "Si fa presto a dire... GAME OVER, Idee, percorsi e possibili sviluppi per cancellare i pregiudizi culturali e d'uso
intorno al videogaming dopo 50 anni di storia". Ancora oggi, almeno per quella che è la mia esperienza in Europa, avere più di 30 anni (o anche più di 25 come il sottoscritto) e dichiararsi videogiocatori significa subire ancora la derisione di alcuni, il videogioco non ha un riconoscimento istituzionale e degli intellettuali che hanno invece cinema, radio e TV pur se, a mio avviso, ha una capacità di racconto, narrazione e suggestività molto maggiore dei medium prima elencati. La mia tesi è che si è creato il tipico meccanismo del cane che si morde la coda in cui i pregiudizi dei non videogiocatori hanno influenzato il modo di produzione dei videogiochi sempre comunque rivolto alle fasce più basse d'età continuando quindi a produrre il circolo vizioso. Una parte di "colpa" però la attribuisco anche alla comunicazione delle software house che comunque non hanno provato (o forse non sono riuscite) ad imporre alcuni titoli degni di essere catalogati come opera d'arte in contesti diversi da quelli che possono essere i giornali e le riviste specializzate. Mi immagino ad esempio in un Maurizio Costanzo Show che oltre allo scrittore ed al cantautore di turno sia presente il game designer del nuovo capolavoro Lucartas a parlare del suo capolavoro. Tu lavori per una importante azienda del settore come CTO, sempre più importante nel panorama nazionale ed internazionale: sapresti indicarmi una spiegazione del fenomeno?
Vegetti: Credo che la spiegazione ricada di nuovo nel fatto che il videogioco è ancora un fenomeno di nicchia, e il mercato non è abbastanza allargato. Già negli ultimi tempi questo "razzismo" verso i videogiocatori si è attenuato, soprattutto da quando le console si sono affermate come fenomeno di costume.
Oggi giocano molte più persone rispetto all'era pre-Playstation, e gli
articoli derisori-allarmistici della stampa verso il mondo dei videogiochi
si sono fatti molto meno frequenti. Ma non basta: occorre una ulteriore
espansione. E' matematico: più persone giocheranno, meno persone
considereranno i giochi come dei passatempi da imbecilli. E credo che questo ulteriore salto di qualità verso il videogioco di massa possa venire solo dall'ulteriore affermazione del fenomeno console. Purtroppo per i puristi del PC come il sottoscritto, credo che le console rappresenteranno la leva per scardinare la diffidenza del grande pubblico. Occorre fare in modo che diventino elettrodomestici di uso comune come il videoregistratore.
Personalmente ritengo il PC la migliore piattaforma per videogiochi, la più
versatile e la più potente. Ma la sua stessa essenza di "oggetto
tecnologico" lo rende inadatto al grandissimo pubblico.
Domanda: Infine ti chiedo, quali potrebbero essere secondo te le coordinate del futuro del videogaming?
Vegetti: Questa risposta contiene in sè tutte le precedenti; il videogioco non è ancora un genere "maturo", se si intende con questo termine il fatto di aver sviluppato tutte le sue potenzialità adulte.
Paradossalmente, ciò potrà avvenire solo quando sarà diventato un prodotto
ampiamente massificato. Che ci piaccia o no, il mercato funziona così:
quando ci sono i grandi numeri, allora cominciano ad aprirsi gli spazi per
le produzioni di qualità, innovative e culturalmente interessanti. Succede
da anni nel cinema; i produttori possono permettersi di finanziare i film
indipendenti grazie ai soldi guadagnati con le produzioni commerciali.
Quando lo scenario sarà di questo tipo, allora molte delle utopie da te
auspicate, e chissà quante altre, potranno realizzarsi. Ma ciò non accadrà a
breve termine. Saranno necessari almeno 4-5 anni, forse più.
Ci andrei piano anche con un'affermazione che sento pronunciare spesso, del tipo: "Il futuro è nel gioco on-line". Il gioco on-line è una realtà
affermata, ovviamente, ma ancora più circoscritta. Il futuro dei giochi di
ruoli immersivi di massa, di Gibsoniana memoria, è ancora molto lontano.
Secondo me il futuro immediato è una scommessa che molti publisher stanno cominciando a raccogliere: mettere un joypad in mano a mamme, nonni, zie e fidanzate. Rendere le serate davanti alla console l'equivalente delle tombolate di un tempo. Tirare fuori gli adolescenti brufolosi dalle loro
stanzette rendendo tutti gli altri partecipi della loro passione.
Prospettiva un po' prosaica, forse, ma propedeutica al salto di qualità che
tutti ci auguriamo.
GLOSSARIO VIDEOLUDICO
Arcade: Videogiochi dai meccanismi immediati e di breve durata
Avventura: In gergo videoludico, genere non di azione ma in cui bisogna risolvere vari enigmi logici. Possono essere testuali, grafiche o “contaminate” dall’azione in 3D
Beta Test: Insieme di prove di un prodotto terminato prima di essere lanciato sul mercato
Beat’em up: Genere di videogiochi basato su vari tipi di combattimento
Codice di programmazione: Linguaggio comprensibile all'elaboratore con cui vengono scritti i programmi (diminutivo: codice)
Concept: Essenza originaria e più profonda di un gioco
Console: Macchina elettronica destinata esclusivamente a scopi ludici
Dolby surround: Sistema di codifica audio digitale che permette di riprodurre una colonna sonora utilizzando differenti tracce audio
Echelon: Rete di satelliti, basi terrestri e super-computer degli USA (in collaborazione con Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda ed Australia) per permettere l'intercettazione di alcune particolari linee di trasmissione ma anche per intercettare indiscriminatamente quantitativi inimmaginabili di comunicazioni via qualsiasi mezzo o linea di trasmissione
Edutainment: Genere di Videogiochi con fini educativi o pedagogici
Fantasy: Relativo alle ambientazione fantastiche in stile Tolkien
Flop: Fallimento
Full Motion Video: Tecnica che consente di visualizzare durante un programma, filmati a tutto schermo
Gamepad: Periferica manuale di gioco
Gameplay: L’essenza del videogame ovvero la modalità di gioco
Gamers: Sinonimo per indicare i videogiocatori
Grafica vettoriale: Tecnica visiva composta da linee e curve definite da entità matematiche denominati vettori
Linkare: Collegare
Hardcore gamer: Giocatore appassionato ed incallito
Hardware: macchina elettronica in grado di rendere usabile all'uomo il software
Istant messenger: Programma usato per scambiare messaggi tramite Internet
Joystick: Periferica manuale di gioco
Laser game: Gioco basato sulla tecnologia laser
Main Theme: Termine per indicare la canzone o il tema musicale principale di una colonna sonora
Merchandising: L’insieme di metodi adatti a comunicare informazioni sul prodotto, promozioni ed eventi speciali e a rafforzare la comunicazione pubblicitaria attraverso veicoli di comunicazione non mediatici ma nel mondo dei videogiochi termine indicante anche tutti i prodotti realizzati con una licenza di un personaggio o di un gioco stesso
Microprocessore: Il "cuore" della struttura hardware di un computer o di una console
Mit: Massachussets Institute of Technology. Qui nacque Spacewar, il secondo videogioco della storia
Modelli poligonali: Figure tridimensionali composte da insiemi di poligoni
Multiplayer: Termine per indicare il gioco in contemporanea di vari utenti collegamenti tramite Internet o altri protocolli di collegamento.
On Line:Essere collegati ad Internet
Piattaforma (di gioco): Sinonimo, in gergo videoludico, indicante una macchina per videogiocare
Pirateria: Copiare e diffondere software in maniera illecita
Platform: Genere indicato anche con il sinonimo di "corri e salta" poichè sono queste le azioni più ricorrenti in questo tipo di giochi
Prequel: Videogioco ambientato in un tempo precedente al titolo originale
Reference: Prodotto ad alto valore informativo e con una componente ludica minima se non assente
Risoluzione video: Numero di punti (pixel) che è in grado di rappresentare uno schermo in orizzontale ed in verticale
Sequel: Seguito di un videogioco
Shooter: (Sinonimi: shoot'em up o spara tutto) Genere basato sul colpire vari generi di avversari/bersagli
Simulazioni: Genere dedicato al tentativo di riprodurre fedelmente l'uso di mezzi (aerei, auto), azioni o eventi
Software: programmi informatici di vario genere
Silicon Valley: Area a sud di San Francisco in cui sono nate le più importanti aziende del settore informatico
Software House: Produttore di programmi informatici
Subwoofer: Cassa sonora separata per la riproduzione delle basse frequenze
Videogaming: Il videogiocare
X Generation: Termine per indicare i nati fra la seconda metà degli anni '70 e la prima degli anni '80
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www.nuovonuovo.it (http://www.nuovonuovo.it/nn_abroad.php3?NumNNA=13)
www.nvidia.it (http://www.nvidia.it/view.asp?PAGE=pg_20010620860072)
www.panorami360gradi.com (http://www.panorami360gradi.com/Il%20servizio.htm)
www.pol-it.org (http://www.pol-it.org/ital/newsmail18.htm)
www.promopatent.net (http://www.promopatent.net/storie/casco_vi.html)
www.pronto.it (http://www.pronto.it/Computer_e_Internet/Internet/)
www.smau.it (http://www.smau.it/smau/view_NO.php?IDcontent=8906)
www.tempimoderni.com (http://www.tempimoderni.com/1998/in.htm)
www.tesionline.it (varie)
www.tgcom.it (http://www.tgcom.it/ArticoloTgCom/articoli/articolo20560.shtml)
www.tgmonline.it (varie news)
www.tmcrew.org (http://www.tmcrew.org/zonarischio/zonavirt.htm)
www.tombraider.halifax.it (http://www.tombraider.halifax.it/news_popup.htm?C=359)
www.url.it (http://www.url.it/ambienti/media/articoli/dogma/dogma.htm)
www.urra.it (http://www.urra.it/catalogo/188b.html)
www.zeusnews.com (www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=593&ar2)
RINGRAZIAMENTI:
99 Posse
Alberto Abruzzese
Bad Rose
Federica Begotti
Marco Biancucci
Cidiverte
Redazione di Cacao(Quotidiano delle Buone Notizie)
Nicola Coccia
Andrea Cordara
CTO
Duel
Lorenzo Ferrari Ardicini
Francesca Gattafoni
Carlo Giuttari
Halifax
Marco Iannini
Leader
Luigi Mattucci
Ministero della Sanità Svizzero
Sabina Mastropasqua
Elena Morlacchi
Francesco Nati
Nintendo
Benedetto Papi
Luca “Zulù” Persico
Monica Puricelli
Andrea Salvi
Stefano Silvestri
The Games Machine
Ubisoft
Helena Urfer
Gabriele Vegetti
WCW Faction
Wrestling Attitude
UN GRAZIE ANCHE A:
3D Realms
Activision
AMD
Amiga
Anco
Atari
Bitmap Brothers
Clive Barker
Codemasters
David Fincher
Eidos
Electronic Arts
Gremlin
Infogrames
Iwatani
Konami
Matteo Bittanti
Max Payne
Maxis
MSX
Namco
Nolan K. Bushnell
Ocean
Psygnosis
Ralph H. Baer
Sega
Stephen Russell
Taito
Team 17
THQ
Wachowsky Brothers
Westwood
William A. Higinbotam
Fonte: http://www.fabbricantidiuniversi.it/videogames/tesi.doc
Sito web: http://www.fabbricantidiuniversi.it
Autore: Fabrizio Tropeano
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