Tesina sull' estetica
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Tesina sull' estetica
L’estetica:
Eterna aspirazione e ricerca dell’uomo del bello, della perfezione, dell’armonia.
imbolo di bellezza e incorruttibile sono gli Angeli, di cui il più bello e il più vicino a Dio era Lucifero (portatore di luce, Luce di Dio), poiché così luminoso da trasmettere la luce di dio e la perfezione divina più di tutti gli altri Angeli. Ma questo bellissimo angelo, simbolo di bellezza e di perfezione assoluta, non contento ed invidioso di Dio, volle eguagliarlo e superarlo e così divenne l’Angelo caduto, un bellissimo angelo che, come prima era simbolo di bellezza e di perfezione, dopo la ribellione, diventa simbolo di bellezza e di dannazione, di bellezza “capovolta”, “rovesciata”, la bellezza tremenda ed assoluta del male, così come lo vede Dante agli antipodi del Paradiso:da una parte, il bene estremo, Dio, dall’altra, il male estremo, Lucifero. Quest’ultimo rappresenta, o potrebbe rappresentare, l’uomo di sempre, in particolare, l’uomo di oggi, così teso verso una perfezione ed una bellezza comunque irraggiungibili, forse perché non ha ancora compreso che ciò che cerca è dentro di lui e non nel mondo esterno. Infatti l’uomo, nella sua continua ricerca, non è mai appagato di quello che raggiunge e vuole sempre qualcos’altro, per cui, la ricerca di bellezza e di perfezione, diventa solo una ricerca esteriore e fisica, senza un apporto di ricchezza e di profondità umana. Oggi, più che mai, si assiste al culto della bellezza e della perfezione in ogni campo, ma soprattutto in quello della salute e dell’aspetto fisico. Le palestre sono piene di persone dedite al culto del corpo, sia donne sia uomini, un culto che fa crescere i muscoli, con allenamento fisico spesso stressante. La ricerca spasmodica di una forma fisica “perfetta”, da qualche tempo, è avvalorata da alcuni stilisti di moda sia maschile che femminile, i quali hanno cominciato a proporre modelli sempre più efebici, magrolini ed anoressici.
Però l’ideale maschile proposto dai mass-media non è magrolino, ma piuttosto atletico e con la muscolatura ben definitam, per cui i maschi hanno minore tendenza delle femmine a considerarsi sopra peso. In generale si può dire che fra i disturbi legati al comportamento alimentare, che compaiono nell’adolescenza, quando si cerca di strutturare la propria identità di adulti, siano l’Anoressia e la Bulimia, molto legate fra di loro.
L’anoressia, mancanza patologica di appetito, conseguenza di un disturbo psichico, è causata da molti fattori scatenanti, quali fallimenti relazionali, cambiamenti del ruolo sociale e lavorativo, perdite affettive, malattie personali e di un familiare… Fattori presenti anche nella Bulimia, disturbo alimentare, che consiste in un aumento morboso della fame (fame da bue). Uno dei principali problemi di una persona che soffre di questi disturbi del comportamento alimentare è soprattutto un problema di controllo: queste persone sono sempre angosciate dall’ossessione del controllo del peso e del proprio aspetto fisico, o dalla paura angosciosa di perderlo. Da ciò, nasce il proliferare delle diete, che sono una vera trappola: numerosi studi scientifici hanno dimostrato che le diete ipocaloriche non servono a dimagrire, anche se equilibrate. Si tende a perdere una certa quantità di peso nelle prime settimane di dieta, ma dopo, il nostro peso si stabilizza nuovamente o anche aumenta, perché per ciascuno di noi, esiste un livello minimo e massimo di peso, nel quale possiamo fluttuare con una certa elasticità che si chiama Set-Point del peso.
Questo può essere predeterminato geneticamente alla nascita, e sembra essere legato alla quantità totale di cellule adipose dell’individuo, al suo metabolismo basale, alla sua età, alle sue abitudini alimentari e alla sua attività fisica. E’ proprio la continua fluttuazione di peso, alternanza di perdite ed accumuli di peso in seguito a diete dimagranti alternate e periodi di alimentazione eccessiva, che pare essere uno dei fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare.
Disturbi alimentari come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, al di là di essere un problema in se stesso, possono essere alla base di una serie di complicazioni mediche che aggravano tali disturbi che, col tempo, possono causare danni fisici irreparabili. Le complicazioni più gravi dell’anoressia sono dovute alla dieta ferrea, al deficit calorico-proteico e alla conseguente perdita di peso e ancora al vomito auto-procurato, all’uso eccessivo di lassativi e diuretici.
Nel caso della bulimia, le complicazioni sono le stesse dell’obesità, dall’ipertensione arteriosa ai disturbi respiratori, depressioni, cancro, malattia coronaria, calcolosi, infertilità e alla fine la morte. Mentre nell’anoressia si ha l’amenorrea (mancanza del ciclo mestruale) l’anemia (diminuzione dei globuli rossi nel sangue), l’osteoporosi (fragilità ossea), perdita di capelli. Quindi, con la scusa di una falsa estetica, non bisogna mai rinnegare se stessi, cercando di cambiare, migliorare per una salute fisica e mentale, ma mai rifiutarsi del tutto.
Sia nell’anoressia che nella bulimia, i fattori predisponenti e scatenanti sono di varia natura, familiare e psicologica: sono presenti sentimenti di bassa autostima, ansia di accettazione sociale, disturbi dell’umore, incapacità ad affrontare le emozioni ed i problemi personali, problematiche nei rapporti familiari. Tutto ciò comporta, di conseguenza, una tensione continua verso un mondo ed una vita diversa dalla mediocrità, che accetta come regola di vita solo il bello, anche se tale ricerca ossessiva della “perfezione” nasconde spesso una intima debolezza ed incapacità di accettare e di vivere la vita così come è realmente.
Nel culto religioso dell’arte della bellezza, così vivo nell’Estetismo dannunziano, si riscontra tutta la debolezza e tutte le contraddizioni della figura dell’esteta. Ne “Il Piacere”, il primo romanzo scritto da D’Annunzio, il protagonista, l’esteta così amante del bello e di una vita inimitabile, Andrea Sperelli, è un giovane aristocratico, artista, proveniente da una famiglia di artisti, «tutto impregnato d’arte»: egli, debolissimo e fragile di carattere, vive secondo il principio di «fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte», ma tale aspirazione verso la perfezione, diventa in lui, una forza distruttiva, perché lo svuota di ogni energia morale e di ogni spinta creativa. La sua crisi e la sua debolezza si evidenziano soprattutto nel rapporto con la donna: Andrea è combattuto tra due figure femminili, Elena Muti, la donna fatale, simbolo di un erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, simbolo di riscatto e di salvezza spirituale. Ma l’esteta libertino, in fondo, mente anche a se stesso: per lui, la donna-angelo è solo un mezzo di erotismo e di giochi più perversi ed ambigui e non certo una possibilità di salvezza spirituale. Così Maria Ferres è come la sostituta di Elena Muti, l’unica che Andrea veramente desidera, nonostante essa lo rifiuti. Alla fine, anche Maria, accorgendosi delle menzogne di Andrea, lo abbandona, lasciandolo nella sua arida solitudine, sconfitto ed inerte.
A tutto ciò può. quindi, porta la ricerca, spasmodica ed ossessiva del bello e dell’assoluta perfezione.
In un altro romanzo di D’Annunzio, “Il trionfo della morte”, si ha un’altra figura di esteta, Giorgio Aurispa, simile a quella di Andrea Sperelli. Anche Giorgio, tormentato da una misteriosa malattia interiore, che lo priva di ogni volontà, è continuamente teso verso la ricerca di un nuovo senso della vita, al fine di raggiungere una perfezione ed una pienezza, che gli permettono di vivere una vita inimitabile, Però, quando rientra, anche per poco tempo, nella sua famiglia, entra in crisi, a causa della vita convulsa e nevrotica presente in essa e, soprattutto, per i conflitti con il padre, figura dominante ma anche ambigua: tutto questo provoca un indebolimento della vitalità di Giorgio, che è quindi portato ad identificarsi con la figura dello zio paterno, Demetrio, sensibile come lui e morto suicida. Alla ricerca delle radici della sua stirpe, con la sua donna, Ippolita Sanzio, nella solitudine e nella semplicità di un villaggio abruzzese, ritrova la semplicità antica e genuina della sua gente, che vive di usanze e di tradizioni magico-superstiziose. Ma, nello stesso tempo, il raffinato esteta Giorgio Aurispa, rimane disgustato da quel mondo così primitivo e barbarico e così egli. come Andrea Sperelli de Il Piacere, fallisce nella sua ricerca di una vita perfetta e superiore. Giorgio crede però di trovare la soluzione, riscoprendo e vivendo la vita in tutta la sua pienezza, secondo il concetto «dionisiaco» di Nietzsche . Ma trova un ostacolo nelle oscure forze del suo inconscio, incarnate nella figura della sua donna, Ippolita: la lussuria distrugge ogni sua forza, per cui non riuscirà a raggiungere quell’ideale di bellezza e di perfezione assoluta, tante volte cercato, perché egli viene vinto e sconfitto, come Andrea Sperelli, dalle forze negative della «morte» e così, alla fine, si uccide. La ricerca estetizzante di D’Annunzio appare anche nelle sue liriche come La sera fiesolana, in cui descrive la Sera, nello sfondo di un paesaggio collinare fiorentino (fiesolano), con la sua dolcezza, i suoi uliveti, il suo fiume (l’Arno).
E’ una sera della tarda primavera, piena già di intensi profumi estivi (il fieno appena falciato, la pioggia leggera e tiepida). Sono presenti molte immagini belle e squisite, di natura visiva, olfattiva, uditiva, tattile; è anche presente una donna innamorata che, assieme al poeta, è alla ricerca profonda di un misterioso messaggio di fusione e di purezza. La poesia è piena di simboli, come l’ansia dell’uomo (si ricordi la ricerca spasmodica di Andrea Sperelli e di Giorgio Aurispa) di trovare il segreto della vita in un momento di particolare armonia e fusione con la natura. (Giorgio con la semplice e genuina gente abruzzese). Nel simbolismo estetizzante di D’Annunzio è presente la sinestesia (associare due termini, appartenenti a campi sensoriali diversi: luogo muto d’ogni luce) che dà alle immagini intensità e ricchezza artistica; la musicalità linguistica, con rime, assonanze, variazioni di ritmo; l’uso delle figure delle ripetizioni e dei richiami interni, dei rafforzamenti d’immagine («le possa amare / d’amor più forte», v. 47), la sintassi ampia ma poco varia; prevale la frase relativa, la metrica elegante e morbida, con pochi stacchi e poche pause: tutto questo dà eleganza e bellezza artistica alla poesia.
Ancora, personificando la Natura, l’uomo, non solo si fonde e si unisce con lei, ma riesce ad immergersi pienamente nella sua forza vitale e potente: e tale scopo, fondamentale è la ricerca di una parola che deve farsi “fresca” e “dolce” come le creature naturali, rinunciando ad essere parola umana, “razionale”.
Questa ricerca del senso profondo, misterioso ed assoluto delle cose e della vita, è anche presente ne “Il fanciullino” di Pascoli, anche se quest’ultimo, a differenza di D’Annunzio, trasfigura e assolutizza la realtà umile, laddòve d’Annunzio cerca la eccezionalità nella vita raffinata. Il “fanciullino” di Pascoli è colui che vede le cose «come per la prima volta» con stupore e quindi deve usare parole «nuove» «fresche» come ne La sera fiesolana di D’Annunzio, per scoprire il mistero delle cose nella loro genuina ed antica freschezza; per ciò, il poeta-fanciullino deve essere irrazionale e intuitivo così come i bambini, che riescono a scoprire nelle cose «le somiglianze e le relazioni più assurde», misteriose, in una visione simbolica. La materia -umile - quotidiana delle poesie pascoliane, anche se non si fa uso di un linguaggio raffinato ed elegante, come quello di D’Annunzio, non è mai naturalista ma sempre simbolistica, perché Pascoli usa l’analogia (legame fra due cose, apparentemente lontane), per cui dal semplice nasce una grande emozione ed un sentimento estetico di grande bellezza e raffinatezza come nella poesia “Il gelsomino notturno”, il cui tema centrale è la misteriosa natura dell’atto del concepimento, sia nel mondo naturale sia in quello umano.
Tutto ciò che accade all’esterno, nel mondo naturale (una campagna molto familiare con siepi, arbusti, alveari) è legato a ciò che succede nell’interno di una casa, secondo un rapporto analogico (di somiglianza). Seguendo la poetica del «fanciullino», il poeta usa piccole frasi molto semplici che non descrivono mai, però, le cose del tutto: sono presenti rimandi, richiami e contrasti fra le varie parti della poesia come l’opposizione fra l’«aperto» della campagna e il «chiuso» della casa, o la corolla del fiore che si apre e si chiude: la chiusura significa intimità, dolcezza come i nidi addormentati sotto le ali. In questa poesia di Pascoli come nelle opere di D’Annunzio si esalta, anche se in modo diverso, il mistero della vita umana nel suo profondo e vitale legame con la natura. La radice della vitalità irrazionale e misteriosa della vita, presente nella potente musica di Wagner, è stata oggetto di ricerca nel filosofo Nietzsche, per capire che cosa è che spinge l’uomo alla vita, nonostante il dolore legato ad essa. Nietzsche parte da Schopenhauer che vede la volontà incarnata nel corpo,per mezzo del quale noi sentiamo di vivere, proviamo piacere e dolore e anche il desiderio potente di vivere: egli afferma che l’essenza del nostro essere è la -volontà-, cieca, libera, senza scopo, irrazionale, insaziabile ed eternamente insoddisfatta che dà lacerazione e dolore all’agire umano ed è molto simile all’impulso dionisiaco di Nietzsche, perché, come quest’ultimo, è l’unico impulso reale e originario, mentre la felicità è solo illusoria.
Se il mondo come fenomeno è rappresentazione, nella sua vera essenza è volontà cieca e contrastante: l’uomo, quando, scendendo nell’abisso del proprio intimo, capisce che la realtà è volontà e che egli stesso è volontà, allora è pronto per la sua redenzione, che può raggiungere solo col cessare di volere, per mezzo dell’arte e dell’ascesi: grazie all’arte, l’uomo si stacca dalla sua volontà, perché si immerge nello stato di pura contemplazione: la tragedia greca, la forma più alta d’arte, oggettiva il dolore, che non ha più né un nome né una specifica connotazione, lo rende universale e perciò lontano dal singolo uomo, e così chi contempla quest’opera d’arte non è coinvolto personalmente in tutto ciò che essa rappresenta, l’angoscia dell’umanità, la vittoria del male…
L’arte è così liberatoria, ma tutto questo dura poco e perciò, la vera redenzione dell’uomo, per Schopenhauer può avvenire solo con l’ascesi, che libera l’uomo dal dolore, distruggendo in lui stesso la radice del male, la volontà di vivere: il primo passo è la giustizia, riconoscendo gli altri uguali a noi, poi c’è la bontà, la compassione, che fa superare il disprezzo per la malvagità della volontà degli uomini; qui nasce la pietà, il patire, la sofferenza che ci aiuta a distruggere in noi stessi la volontà di vivere, il dolore, grazie all’ascesi, che ricorda la saggezza indiana e gli asceti del Cristianesimo: l’ascesi è l’orrore che si prova per il dolore di cui è pieno il mondo, che comporta la rassegnazione, il sacrificio e rende l’uomo libero dal tormento della volontà, entrando in quello stato che i Cristiani chiamano Stato di Grazia. Solo quando la Voluntas diventa noluntas l’uomo è redento.
Nietzsche, rispetto a Schopenhauer, è ancora più convinto che i greci siano riusciti a capire questo segreto: ne La nascita della tragedia, il filosofo afferma che nell’opera d’arte, l’artista realizza una dimensione estetica parallela a quella della realtà: l’arte dà la possibilità di esprimere quella vitalità profonda e assoluta, che nella realtà rimane nascosta. Perciò, comprendendo l’arte, si possono trovare le radici del senso della vita e della morte, anche se l’esteta dannunziano Giorgio Aurispa de Il trionfo della morte, non è riuscito a realizzare quest’immersione nella pienezza totale della vita. Quella ricerca delle radici dell’esistenza, del senso della vita così sentita, come si è visto, dal D’Annunzio e del Pascoli, il primo attraverso una sensibilità esasperata e il secondo attraverso l’intuizione e la spontaneità del “fanciullino”, in una tensione continua verso l’interiorità, è fondamentale in Nietzsche: egli, nella tragedia greca, vede la fusione estetica, armoniosa ma reale dei due istinti potenti e contrastanti che lacerano la vita dell’uomo, il dionisiaco (impulso passionale) e l’apollineo (impulso a porre ordine, razionalità). Lo spirito dionisiaco è la volontà di vivere senza alcuna razionalità, volontà che ricorda Schopenhauer, priva però dei suoi aspetti metafisici: Dionisio è la vita originaria, primitiva dell’uomo, è vita e dolore perché senza le difese ed i limiti della razionalità rischia anche la morte, per l’impulso di esprimersi totalmente.
Ma Nietzsche, a differenza di Schopenhauer, non vede il dolore come disperazione totale, ma solo un mezzo per vivere la vita così come è, con tutte le sue contraddizioni, accettandola.
Apollo, esprimendo la forma razionale, dà al movimento passionale di Dionisio, la calma e la fissità della bellezza, come nelle statue classiche, ricche di armonia, bellezza e potenza (Apollo, dello scultore greco Fidia: potente nel suo corpo ma, nello stesso tempo, bello e armoniosamente equilibrato e perfetto, che esprime la pienezza di una esistenza -bella-.)
I greci sono così riusciti a produrre l’armoniosa serenità degli dei olimpici partendo dal caos primigenio dionisiaco: dotati di ricca sensibilità, essi avevano bisogno della serenità estetica, delle forme artistiche della tragedia greca, per dare armonia ed equilibrio e così sanare le lacerazioni delle passioni, le uniche originarie e primitive. Ciò vuol dire che non può esserci armonia e bellezza estetica senza il nutrimento vitale e sconvolgente delle passioni.
Quando Nietzsche afferma che Apollo, dio della luce e della sapienza nasconde il bisogno istintivo dell’uomo di dare una forma ordinata e razionale a se stesso e al mondo, nel caos primordiale delle passioni laceranti che tormentano l’uomo stesso, mi fa pensare a Oscar Wilde nel suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray”: «Per lui, certo, la vita in se stessa era la prima e la più grande delle arti, per la quale tutte le altre arti sembrano costituire soltanto una preparazione […]. Il culto dei sensi è stato biasimato spesso a ragione, perché gli uomini provano un istinto naturale di terrore nei confronti di passioni e di sentimenti che sembrano più forti di loro stessi e che sanno di avere in comune con forme di vita altamente organizzate. Ma per Dorian Gray sembrava che la vera natura dei sensi non fosse stata mai compresa e che, se questi sono rimasti selvaggi e animaleschi è solo perché il mondo ha tentato di affermarli per assoggettarli o di ucciderli mediante la sofferenza, anziché tendere a farne gli elementi di una spiritualità nuova, la cui caratteristica dominante dovrebbe essere un istinto affinato della bellezza». (Dorian Gray: l’esteta dei profumi, dei suoni, dei colori).
Dorian appare come uno spirito trasgressivo che, opponendosi decisamente ad ogni forma di razionalità ordinaria, dettata da una falsa morale, accetta di esprimere e vivere nella realtà la sua esaltazione esasperata e drammatica di un ideale di bellezza assoluta che dà, come afferma Nietzsche, libero sfogo alla “sfrenata passionalità del dionisiaco”, anche a costo di un’atroce sofferenza che lo condurrà presto al totale disfacimento, perché solo la saggezza apollinea può illuminare e dare armonia al caos sfrenato della vitalità dionisiaca. Dorian Gray, come Andrea Sperelli del D’Annunzio, risulta sconfitto nel suo sogno estetico sia nella loro vita.
Il concetto della bellezza e della perfezione assoluta ed eterna, che esiste solo nell’ideale, ma che a contatto con la realtà si perde, è anche presente, a livello simbolico, nella bellissima favola di Amore e Psiche, nelle Metamorfosi di Apuleio. Psiche era la figlia più bella di un re, così bella da essere adorata da tutti come la dea della bellezza, Venere. Questa, adirata con Psiche, decide di mandare da lei il figlio Cupido, per farla perdutamente ed inutilmente innamorare. Ma Cupido-Amore, alla vista di tanta bellezza, si innamora di Psiche e alla fine la sposa, ma con l’ordine che essa non lo deve mai vedere nella sua folgorante bellezza. Psiche, istigata dalle sorelle invidiose, tenta di vederlo e così lo perde; dopo varie sofferenze, riconquista l’amore e anche Venere la perdona.
“Allora Psiche, anche se debole nel corpo e nell’anima, poiché tuttavia la crudeltà del destino la incoraggiava, riunisce le sue forze, e presa la lucerna e il rasoio, il suo sesso è mutato dall’audacia. Ma a causa del diffondersi della luce, i segreti del letto si illuminarono, vede la più dolce e mite di tutte le bestie, quello stesso amabile dio, dolcemente addormentato, alla vista del quale, la luce si fece più viva e il rasoio mandava bagliori dalla sua sacrilega punta. Ma veramente Psiche, turbata da tanta visione e fuori di sé, venuta meno per via di un pallore cadaverico, tremando cadde in ginocchio e cercò di nascondere il ferro, ma nel suo petto; e l’avrebbe senz’altro fatto, se il ferro, scivolatole dalle mai temerarie, non fosse volato via, per l’orrore di un simile delitto. Ormai stanca, priva di forze, mentre non riesce a staccare gli occhi dalla bellezza del Dio, riprende forza. Vede la folta chioma intrisa di ambrosia, le ciocche dei capelli, graziosamente intrecciare, ricadenti sul collo del colore del latte e sulle guance del colore della porpora, ricadenti parte davanti (sulla fronte), parte dietro (sulle spalle), al cui splendore, fin troppo abbagliante la luce stessa della lucerna vacillava; sulle spalle del Dio alato biancheggiano le piume umide di rugiada dal fiore brillante e sebbene le ali fossero in riposo e le piume estreme tenerelle e delicate agitandosi con un tremolio, giocavano giochi inquieti; il resto del corpo era glabretto (senza peli) e lucente tanto che Venere non si sarebbe certo pentita di averlo generato.
Davanti ai piedi del letto giaceva l’arco e la faretra e le frecce, i dardi propizi del grande dio.
Mentre le osserva e le tocca Psiche, abbastanza curiosa, e ammira le armi di suo marito, estrae una freccia dalla faretra e mentre ne provava l’acutezza estrema sul polpastrello del pollice, per una pressione un poco più forte del dito ancora tremante, si punse assai profondamente, tanto che sulla superficie della pelle affiorarono piccole goccioline di sangue del colore della rosa. Così l’ignara Psiche si innamorò dell’Amore.
Allora sempre di più ardendo dal desiderio, china su di lui, con le labbra ardentemente dischiuse, deposti in fretta baci aperti e lascivi, temeva riguardo alla durata del sonno. Ma sopraffatta da un così grande piacere, oscilla con mente ferita, quella lucerna, o cattiva per pura malvagità, o odiosa per gelosia, sia perché bramava toccare tale corpo e quasi baciare lasciò cadere dalla sommità della sua luce, una goccia di olio caldo sopra la spalla destra del dio. Ahimè audace e temeraria lucerna, strumento indegno del servizio d’amore, bruci il dio stesso del fuoco, eppure certamente un innamorato per primo ti inventò per godere più a lungo dei suoi desideri; anche durante la notte, così scottato, si svegliò di soprassalto, il dio e visto l’oltraggio della fede svelata, subito volò via senza dire una parola dai baci e dalle mani dell’infelicissima moglie”.
Nel brano ci sono quattro sequenze, due principali, in cui vengono decritti gli effetti sull’animo di Psiche dalla rivelazione del Dio e del suo aspetto nel capitolo 22; nel capitolo 23 gli effetti della puntura subita da le e alla fine quelli della goccia d’olio bollente sulla spalla del Dio. Psiche ha in comune con Lucio, l’eccessiva curiositas. C’è una grande forza espressiva come si vede dai verbi roboratur, adrepta, hilaratum; dagli aggettivi marcido pallore defecta.
La descrizione del Dio addormentato è molto ricca e ci sono anche varie metonimie: Torum per cubiculum/Thalamus; giochi di parole: Amoris incidit amorem. Ci sono ancora molte personificazioni e apostrofi che creano un’atmosfera fiabesca (capitolo 23: lucerna illa…). Sintatticamente, nel capitolo 23 ci sono chiasmi:
In amoris Nome proprio |
incidit |
amorem |
Cupidine |
fragrans |
Cupidus |
I periodi sono ampi, asimettrici e con molte subordinate relative.
Questa favola è simbolica: Psiche rappresenta l’anima dell’uomo che aspira sempre alla bellezza e alla perfezione ma, per l’avidità e la curiosità eccessiva, viene punita e perde la bellezza originaria, così come il più bello degli angeli, Lucifero, sfidando Dio, perde la sua perfezione, diventando l’angelo caduto. Psiche, solo dopo molte sofferenze, potrà riavere quello che ha perduto così come l’uomo, prima padrone del Paradiso, dopo il peccato originale, per riconquistare la salvezza, è destinato a soffrire anche attraverso il martirio di Cristo, che Tertulliano, con una prosa potente, con immagini e personificazioni vigorose ed incisive, con frasi brevi, concitate e incalzanti, con giochi di parole, ripetizioni, allitterazioni, esclamazioni, continui cambiamenti di tono, nella conclusione dell’Apologeticum, esalta, facendo dell’arte, uno strumento didascalico e, della bellezza, un veicolo di verità morali nel Cristianesimo.
Ma la potente arte di Tertulliano si rivela soprattutto quando parla dell’onnipotenza e dell’assoluta perfezione, della bellezza dell’opera creatrice divina, in cui tutto diventa armonia ed equilibrio:
“[…] si che anche i greci dettero all’universo il nome di Cosmo” ,
che in greco indica un insieme ordinato, armonioso e bello.
“Ecco perché davanti ai vostri tribunali noi rendiamo grazie alle vostre sentenze: per il contrasto che vi è tra le cose divine e umane, quando voi ci condannate, Dio ci assolve” (esaltazione del martirio, 17-18).
Nello stesso brano, è forte l’espressività, ottenuta per mezzo di costrutti asindentici a climax (par. 12: cruciate, torquete, damnate, atterite) , di antitesi (par. 12: prolatio est enim innocentiae nostrae iniquitas vestro).
Tertulliano usa anche l’ironia e il sarcasmo (par. 12: hoc agite, boni praesides).
E così Tertulliano, come sempre, per mezzo della sua arte cos’ convincente, proclama la verità di Dio, affermando che l’anima stessa è naturaliter Cristiana (naturalmente Cristiana):
“Volete che confermiamo la nostra fede con la testimonianza spontanea dell’anima stessa? Ascoltate.
Pur costretta nella prigione del corpo e irretita da perverse consuetudini, […]. Tuttavia, non appena ritorna in sé, quasi destandosi dall’ebbrezza, […] riacquista lo stato di sanità, immediatamente allora nomina Dio, con questo solo nome, che davvero e propriamente è suo. «Dio grande», «Dio buono»… O testimonianza dell’anima, per sua natura cristiana!”
L’arte è ritenuta un valido strumento didascalico, idoneo a trasmettere, attraverso la bellezza e l’armonia, non solo le verità morali del Cristianesimo, di cui parla Tertulliano, ma anche l’amore e il senso più autentico dell’armonia e della bellezza nell’educazione scolastica, sin dalla scuola materna, come affermano Rosa e Carolina Agazzi, fondatrici della suddetta scuola. Esse, sviluppando e approfondendo l’insegnamento froebeliano, legano tutti i lavori-scolastici del giardinaggio, della pulizia, della raccolta e della sistemazione dei vari attrezzi, l’ordinare la tavola, anche adornando con fiori o il raccogliere foglie secche a contatto con la natura, non solo al principio basilare dell’ordine della scuola-casa, ma anche all’educazione verso il bello e l’armonia, essenziali per un vero sviluppo del senso estetico e rintracciabili in tutti gli aspetti della vita quotidiana, così come Pascoli tendeva a trasfigurare le cose più umili. Mentre Fröebel consiglia di usare dadi e cubi di legno, le Agazzi preferiscono l’argilla e la sabbia che, anche se di poco valore, grazie alla loro malleabilità, danno più spazio alla creatività spontanea del bambino, che così produce qualcosa di bello, come un piccolo artista.
Per l’educazione estetica è anche molto importante il disegno, non dimenticando mai di rispettare la libertà creativa del bambino; la recitazione è molto utile per esprimere sentimenti e situazioni vissute dal bambino, che deve essere stimolato ad una espressione spontanea e naturale. Tutte queste attività non solo, secondo le sorelle Agazzi, danno sicurezza e una buona autostima ma aiutano il bambino nel miglioramento di un sano equilibrio mentale e morale. Tutta l’educazione infantile “materna” delle sorelle Agazzi assume, fondamentalmente, una funzione e un valore estetici, accanto a valori sociali e morali, allo scopo ultimo di aiutare il bambino nella sua crescita mentale ma soprattutto umana.
Anche nella Casa dei bambini di Maria Montessori, è fondamentale l’educazione “aperta” che aiuti e rispetti la spontaneità e l’autenticità del bambino, che un giorno, redento, quasi salvato e liberato da costrizioni e pesanti limiti, sarà un uomo libero mentalmente e rispettoso delle opinioni altrui. La “libertà” della Montessori significa liberare, eliminare ogni ostacolo al giusto ed armonioso sviluppo del bambino, visto come persona sia fisicamente sia psichicamente: fondamentale, nel bambino, è stimolare un sano e vitale slancio spirituale, avvicinando il bambino alla natura (piante, animali…) nella ricerca di una comunione e comprensione del mondo in cui viviamo, con la spontaneità del fanciullino pascoliano, che però è carico di simboli e di mistero.
Mentre l’educazione all’estetica, di cui si è precedentemente parlato, ha come scopo una crescita sana, libera e armoniosa dell’essere umano in quanto tale, l’amore del bello e della perfezione, può talvolta degenerare nel buio del fanatismo più cupo e pericoloso, come l’assurdo “umanesimo” hitleriano che è convinto di riconoscere nella razza il fondamento stesso dell’umanità; di qui deriva la considerazione delle razze “inferiori” considerate come sub-umanità sulla quale poter esercitare la più barbara oppressione, fino al finale progetto dello sterminio totale della razza ebraica.
“La concezione nazionale, razzista, riconosce il valore dell’umanità nei suoi primordiali elementi di razza. In conformità coi suoi principi, essa ravvisa nello stato soltanto un mezzo per raggiungere un fine, il fine della conservazione dell’esistenza razzista degli uomini. Con ciò, non crede affatto ad un’uguaglianza delle razze, ma riconosce che sono diverse e quindi hanno un valore maggiore o minore; e da questo riconoscimento si sente obbligata ad esigere, in conformità con l’eterna Volontà che domina l’universo, la vittoria del migliore e del più forte, la subordinazione del peggiore e del più debole. E così rende omaggio all’idea fondamentale della Natura, che è aristocratica, e crede che questa legge abbia valore fino al più umile individuo. Crede nella necessità di idealizzare l’umanità ravvisando solo in questa idealizzazione, le premesse dell’esistenza dell’umanità stessa. Ma non può concedere un’idea etica il diritto di esistere se questa idea costituisce un pericolo per la vita razziale dei portatori di un’etica superiore, perché, in un mondo imbastardito e «negrizzato», sarebbero perduti per sempre i concetti dell’umanamente bello e del sublime, nonché ogni nazione di avvenire idealizzato del genere umano.”
La difesa della bellezza e dei valori più alti e nobili della storia umana, nutre il concetto della superiorità della razza “ariana” su tutte le altre.
I concetti di purezza e di perfezione assoluta, che normalmente portano l’uomo verso ideali di crescita e di superamento di se stessi, in Hitler si svuotano dei significato originari rivestendosi dei colori ambigui e sinistri della purezza razziale che deve rifuggire da ogni forma di contaminazione coi popoli «non ariani».
A questo si riferisce la frase:
“Soluzione finale della questione ebraica”
presente in tanti documenti nazisti del periodo della II guerra mondiale; soprattutto durante il secondo anno della gïÄQ
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P#¦¨ûÀèóйùae¤–¾aÈÖ«-lDí•b áÅl³Éterminio organizzato degli ebrei, dapprima confinati nei ghetti, come quello di Varsavia e discriminati, emarginati, con l’obbligo di portare al braccio una stella gialla.
In un secondo momento, essi furono deportati in campi di prigionia (lager), situati per lo più in località della Polonia o della Germania, (Auschwitz, Dachau…), dove i deportati venivano sfruttati fino alla consumazione fisica, usati a volte come cavie per esperimenti medici e, se non erano in grado di lavorare, eliminati in massa nelle camere a gas. Il «genocidio» (dal greco genos, stirpe) è proprio lo sterminio deliberato e organizzato di tutto un popolo, al di là dell’età, del sesso, delle opinioni politiche. Tale termine fu coniato nel 1946, durante il processo di Norimberga contro i capi nazisti, per indicare la più orribile delle colpe degli imputati: il massacro degli Ebrei nei paesi occupati dai tedeschi.
Durante la guerra, scomparvero nel nulla, fra cinque e sei milioni di ebrei, privati violentemente di ogni diritto fondamentale spettante a tutti gli esseri umani, in quanto tali: il diritto alla libertà, alla vita, all’uguaglianza, al rispetto della dignità umana: ogni uomo, al di là delle differenze di razza, di cultura o di condizione sociale, deve avere questi diritti fondamentali, anche se questa idea si è sviluppata gradualmente sempre più, perché nell’antichità, sembrava naturale, la divisione in uomini liberi e schiavi, fino a che nel 1948 l’O.N.U. approvava la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sia civili e politici sia economici, sociali e culturali.
- I diritti civili riguardano la persona umana come il diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà personale, di pensiero, di religione…;
- quelli politici permettono di partecipare alla vita pubblica, come il diritto al voto e nascono con la rivoluzione del XVIII secolo, con la rivoluzione americana (1776) e quella francese (1789). Ma spesso l’uguaglianza è solo apparente se c’è miseria e ignoranza e mancanza di lavoro.
- I diritti economici, sociali e culturali riguardano le condizioni economiche, sociali e culturali dell’uomo, come il diritto al lavoro, molto importante, all’esistenza, allo studio. Per ciò è molto importante la giustizia sociale.
Per questi diritti lottarono anche i movimenti operai socialisti nel XX secolo contro l’analfabetismo e la disoccupazione. Nasce così lo Stato sociale che partecipa alla vita economica per assicurare migliori condizioni di vita.
Di recente, si sono aggiunti altri diritti, per il forte sviluppo tecnologico, quali quelli riguardanti un’informazione corretta, la tutela della privacy, la manipolazione genetica, l’identità culturale, l’inquinamento e l’ambiente, uno dei più importanti, perché esso è vitale per la stessa sopravvivenza umana e per il benessere spirituale, dato dalla visione delle bellezze naturali.
Nella Costituzione italiana, la tutela dell’ambiente è la stessa tutela del paesaggio, come si legge nell’articolo 9:
“La Repubblica […] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione […]”.
Ma solo dal 1985 le offese alla Natura sono considerate un vero e proprio reato, nella legge n° 47 del 1985 per cui il deturpamento o la distruzione delle bellezze naturali costituiscono reato pubblico, con l’arresto fino a 2 anni. Ma tutto questo è inutile, se manca una educazione al rispetto della persona umana in generale: sin da piccoli, si dovrebbe essere educati, nella scuola e nella famiglia, soprattutto, all’uguaglianza solo per il fatto di essere -umani-: tale concetto non dovrebbe però solo essere insegnato ma praticato in ogni momento della vita quotidiana, perché solo così avrebbero un senso tutte le leggi riguardanti i diritti umani.
Oscar Wilde (Dublino 1854 - Parigi 1900), è il più famoso rappresentante del decadentislio inglese: godette di larga fortuna, ma fu travolto dallo scandalo di una relazione omosessuale che gli procurò due anni di prigione e morì in miseria. “Il ritratto di Dorian Gray” racconta la storia di Dorian, giovane e bellissimo dandy (damerino, elegante), che, ritratto dal pittore Hallward, si getta nella dissipazione senza che ciò incida sulla sua bellezza, perché è il ritratto ad invecchiare al suo posto. Quando Dorian, ripreso dal pittore per la sua condotta, lo uccide, e nota per questo nel quadro uno sguardo minaccioso, cerca di distruggerlo con un coltello: ma appena la lama taglia la tela, è Dorian a cadere fulminato: i vicini troveranno un corpo decrepito accanto ad un quadro in cui splende intatta la bellezza originaria.
Fonte: http://www.robertobernardini.it/letteratura/tesine/estetica.doc
Sito web da visitare: http://www.robertobernardini.it/letteratura/tesine/estetica.htm
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