Agricoltura
Il primo passo verso la scoperta dell’'agricoltura si ebbe già nel Paleolitico, quando le donne raccoglievano bacche commestibili e frutti per il sostentamento. La «rivoluzione agricola» si colloca invece nel Neolitico e si spiega con una serie di cause, tra le quali i mutamenti climatici seguiti alla quarta glaciazione, l'intuizione dei cicli riproduttivi della vegetazione, la tendenza agli insediamenti stanziali. L'introduzione della metallurgia perfezionò poi la qualità e l'efficienza degli utensili per il lavoro agricolo.
La culla della rivoluzione agricola fu la Mesopotamia, zona che, grazie alla sapiente opera di canalizzazione del Tigri e dell'Eufrate, risultava assai fertile, e che costituiva l'estremità orientale della cosiddetta «Mezzaluna fertile»: il lavoro agricolo fu infatti un settore di grande rilievo delle economie assirobabilonese, sumera ed egiziana; le colture più diffuse erano alcune piante alimentari: palma, grano, orzo. In Egitto la fertilità del suolo era garantita dalle inondazioni del Nilo, al punto che, grazie al limo lasciato dalle piene del fiume, non erano necessarie particolari attrezzature per la coltivazione.
Le civiltà dell'Egeo trovarono nella coltivazione dei cereali, della vite e dell'olivo la possibilità di una sopravvivenza autarchica. I Cretesi e i Fenici produssero questi beni anche per l'esportazione.
Agricolopastorale si può definire la prima fase di sviluppo della civiltà greca dei «secoli bui», caratterizzata da un'economia di sopravvivenza che troviamo descritta nell'Iliade, nell'Odissea e dal poeta Esiodo: questo regime economico contraddistinse anche i primi secoli di storia delle póleis greche. A Sparta l'agricoltura fu la fonte principale per il sostentamento dei cittadini: le terre, assegnate agli Spartiati, erano coltivate dagli Iloti. Ad Atene e nelle altre città greche, in epoca classica, l'economia si fondò su un'integrazione tra attività agricola, commercio e, talvolta, «industria» della guerra. In età ellenistica venne incrementato lo sfruttamento delle risorse agricole mediante opere idrauliche e l'introduzione di nuove colture. Sempre a questo periodo risale la formazione del latifondo.
Agricola era l'economia della valle dell’'Indo. Per proteggere i campi dalle inondazioni furono costruiti argini in muratura. Si coltivavano grano, orzo, piselli, ma non ancora il riso, introdotto in seguito dalla popolazione degli Arii.
Nel Tavoliere delle Puglie, nel VI millennio a.C., l'attività prevalente era l'agricoltura, attività primaria anche nella civiltà terramaricola, a partire dal 1600 a.C.: essa si affiancava alla caccia e all'allevamento ed era basata sulla rotazione delle colture che consentiva di sfruttare meglio le terre.
Grande importanza rivestiva l'attività agricola anche nell'economia della civiltà nuragica e in quella etrusca delle origini.
Agricolopastorale era l'economia del primitivo villaggio che, nei secoli X e IX a.C., costituì sul colle Palatino il nucleo della città di Roma. In realtà il Lazio conobbe, in epoca arcaica, un'economia agricola di pura sopravvivenza, affidata soprattutto a prodotti quali l'orzo e il farro. Una svolta si ebbe dopo le guerre puniche, quando il commercio prese il sopravvento. Molte terre inaridirono poiché i contadini erano stati chiamati alle armi per molti anni; la coltivazione intensiva dei cereali divenne poco redditizia per i piccoli proprietari, che a poco a poco scomparvero per lasciare spazio alle grandi proprietà terriere organizzate secondo il sistema della villa, in cui divenne conveniente abbandonare la coltivazione intensiva del grano a favore di prodotti più redditizi, come olio e vino.
Nel secolo II d.C. l'agricoltura decadde: per risanarla, gli imperatori obbligarono i senatori a comprare terreni in Italia e vietarono l'impianto di vigneti in territori non italici. Ma furono provvedimenti insufficienti: l'agricoltura, affidata a mezzi arretrati ed esposta al rischio di calamità, non poteva sostenere le spese di mantenimento delle città, che da essa dipendevano completamente. Inoltre l'avanzata del latifondo nuoceva alla produzione, visto che il surplus prodotto dalle grandi fattorie non veniva reinvestito per migliorare il rendimento delle campagne. Le grandi tenute furono divise in piccoli lotti affidati ai «coloni». Le campagne erano inoltre esposte al brigantaggio e all'arbitrio degli esattori delle imposte: gli imperatori emisero leggi a tutela dell'agricoltura, ma dopo il secolo II d.C. le campagne furono lasciate al loro destino. Traiano agevolò i prestiti ai piccoli proprietari terrieri indebitati e tutelò l'agricoltura italica, ma, verso la metà del secolo II d.C., un'epidemia di peste colpi numerose campagne, che non si risollevarono più.
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